A002254 SESSO E AMORE. UN INTRECCIO EVOLUZIONISTICO
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A002254 SESSO E AMORE. UN INTRECCIO EVOLUZIONISTICO
A002254, 1 A002254 FONDAZIONE INSIEME onlus. Da PSICOLOGIA CONTEMPORANEA, del 15/11/2011, pag 33 <<SESSO E AMORE. UN INTRECCIO EVOLUZIONISTICO>> di Grazia Attili (vedi in fondo al pezzo). Per la lettura completa del pezzo si rimanda al periodico citato. Al di là del piacere che molti non possono fare, a meno di associare al sesso, tuttavia, se si dovesse chiedere quale è la funzione della sessualità da un punto di vista evoluzionistico la maggior parte delle persone risponderebbe che il sesso è necessario perché ha una funzione eminentemente riproduttiva. Postulato che trova l’accordo della Chiesa cattolica e che finisce per avere una valenza etica per le persone che in nome della religione ritengono che non sia possibile scindere il significato di unione da quello di procreazione. Non a caso all’inizio del secolo le giovani spose scrivevano sulla camicia da notte: <<Non lo fò per il piacer mio, ma per dare figli a Dio>>. Ma è proprio così? In effetti, le tendenze comportamentali, e non solo quelle relative alla sessualità, sono l’esito di pressioni selettive finalizzate al raggiungimento del successo riproduttivo dell’individuo, piuttosto che alla mera riproduzione, ovvero hanno come scopo biologico la possibilità che le caratteristiche genetiche dei singoli si propaghino al massimo nelle generazioni successive. Il successo riproduttivo sarebbe assicurato, più che da un numero cospicuo di figli, dalla possibilità che questi sopravvivano nelle migliori condizioni e che, da adulti, siano in grado a loro volta di diffondere le caratteristiche dei genitori. Vediamo, quindi, cosa assicura lo sviluppo dei nostri piccoli. Dobbiamo partire da lontano, dal momento in cui i nostri antenati ominidi, gli australopitechi, si sono staccati dalla scimmia antropomorfa, la quale aveva la struttura corporea di uno scimpanzé, e hanno assunto la posizione eretta. Questo cambiamento si rivelò subito vantaggioso visto che, consentendo la possibilità di utilizzare le zampe anteriori indipendentemente da quelle posteriori, assicurava l’utilizzo di utensili e di strumenti e la possibilità di procacciarsi il cibo anche camminando. Ma un altro vantaggio va rintracciato nel fatto che stare su due zampe permise di vedere gli altri in viso; fu quindi possibile decodificare le emozioni, capire dall’espressione del volto il punto di vista degli altri, prevedere gli stati d’animo e le intenzioni in modo da attaccare e difendersi o aiutare e cooperare a seconda delle necessità. Si trattava di capacità cognitive estremamente sofisticate, le quali consentirono ai primati umani di aggregarsi in gruppi molto più ampi rispetto a quelli in cui vivevano e vivono i nostri parenti più stretti quali i gorilla e gli scimpanzé. A002254, 2 E quanto più ampi diventarono i gruppi tanto più apparve necessaria un’intelligenza localizzata alla gestione delle relazioni interpersonali. La posizione eretta, tuttavia, ebbe presumibilmente come conseguenza nelle femmine il restringimento del canale vaginale, in questo modo non era possibile espellere un piccolo con una testa grande abbastanza da contenere un cervello in grado di assicurare quelle capacità cognitive che permettono la comprensione della complessità della vita sociale. L’”escamotage” della “natura” fu far partorire cuccioli fortemente immaturi, totalmente dipendenti per almeno otto, nove mesi e poi in grado di divenire adulti solo alla fine di un percorso che dura 12-14 anni, percorso che garantiva lo sviluppo di un’intelligenza “machiavellica”, necessaria al vivere in gruppo. La selezione naturale, in altri termini, cominciò a favorire la sopravvivenza di quei piccoli dotati di una testa relativamente piccola e di un cervello plastico che fosse suscettibile di apprendere, già dalle prime fasi dello sviluppo, le competenze necessarie alla socialità. I nostri piccoli potevano incominciare ad acquisire queste competenze attraverso il contatto e l’interazione con la persona che si prendeva cura di loro, la quale nel nostro ambiente di adattamento evoluzionistico era (e lo è per lo più tuttora) la madre biologica. L’EVOLUZIONE DELL’AMORE. La dipendenza dalla madre doveva tuttavia fare i conti con lo stato di debolezza che il post partum e l’allattamento determinavano nella donna. Affinché i nostri piccoli sopravvivessero e divenissero a loro volta adulti, così da poter contribuire alla massima propagazione delle caratteristiche delle loro madri, era necessario l’aiuto di un’altra persona che si impegnasse in quello che viene detto “investimento parentale”. Questo individuo non poteva che essere il padre, la persona il cui successo riproduttivo era assicurato ugualmente dal portare all’età riproduttiva quel piccolo immaturo. Emerse così, nell’evoluzione della nostra specie, “l’amore”: si selezionò nel maschio e nella femmina la tendenza a mantenere una relazione esclusiva e duratura la cui funzione biologica va rintracciata nel fatto che solo attraverso il contributo congiunto di una madre e di un padre un piccolo umano può sopravvivere (Hinde, 1989). Pressioni selettive, in altri termini, fecero in modo che specialmente a partire dall’Homo Sapiens, circa due milioni di anni fa, emergesse nei primati umani una sostanziale monogamia e che il legame d’amore avesse una sua durata. Un sistema motivazionale, detto “sistema dell’attaccamento” una specie di organizzazione psicologica che si era già radicata nella nostra mente al fine di assicurare il contatto di un bambino con la propria madre- venne utilizzato in modo che i partner di A002254, 3 una coppia si cercassero attivamente e attivamente protestassero nell’eventualità di una separazione (Hazan e Zeifmann, 2002). LA CONVERGENZA DEGLI INTERESSI. La sessualità umana ebbe una sua evoluzione specie-specifica in parallelo e assunse quelle caratteristiche che più potessero tenere uniti due partner in età di riprodursi. Il sesso perse progressivamente la sua funzione meramente procreativa e si configurò come un mezzo potentissimo per favorire il mantenimento di legami duraturi. Nelle femmine l’ovulazione diventò nascosta, ovvero sparirono quei cambiamenti dei genitali esterni che ne segnalano il periodo fecondo. Nelle donne, a differenza di quanto accadeva nella maggior parte delle altre scimmie, non si presentarono più rigonfiamenti né colori, così che là dove i maschi delle altre specie rimanevano a guardia di una femmina durante il periodo di recettività sessuale per poi passare ad interessarsi di altre femmine in calore, gli uomini, per poter avere una propria progenie, furono come spinti a rimanere accanto alla partner per tempi lunghi e ad accoppiarsi di frequente non potendo più prevedere il momento dell’ovulazione. Non a caso, specularmente, si selezionò nelle femmine la tendenza ad accettare il maschio durante tutto il ciclo e non solo nel periodo fertile come invece accadeva nella maggior parte delle specie. La fisiologia riproduttiva raggiunse poi un’orchestrazione ottimale con l’anatomia sessuale (Short, 1979). L’uomo venne dotato di un pene molto più grande di quello degli altri primati (l’organo sessuale maschile ha una lunghezza media, in erezione, di 13 centimetri e mezzo a fronte dei 5 centimetri di quello del gorilla). Questa grandezza permetteva di fare sesso in una grande varietà di posizioni (basti pensare al Kamasutra) aumentando la possibilità per la donna di raggiungere l’orgasmo e la sua prontezza a rendersi disponibile per una frequente attività sessuale. La posizione eretta comportò nella donna lo spostamento del clitoride in avanti così che venne facilitata la posizione ventreventrale, la quale consentiva la possibilità di guardarsi negli occhi e favoriva un legame intimo e sentimentale. Le donne, a differenza degli altri primati, vennero dotate di mammelle vistose, le quali oltrepassano la necessità di produrre latte e fanno pensare quindi ad una funzione di pura attrazione sessuale. DAL SESSO ALL’AMORE. La considerazione delle reazioni chimiche innescate dal raggiungimento della massima tensione sessuale aiuta a comprendere ancora di più lo stretto intreccio tra sesso e amore. L’orgasmo, infatti, innesca cambiamenti fisiologici determinanti. A002254, 4 Nell’uomo e nella donna esso consente il rilascio di ossitocina e vasopressina, due ormoni che inducono uno stato di calma, di appagamento e un desiderio di contatto affettuoso, un bisogno di abbracciarsi. L’ossitocina è stata addirittura chiamata l’”ormone dell’amore”: induce le contrazioni muscolari durante il parto, viene prodotta durante l’allattamento e spinge la madre a coccolare e vezzeggiare il piccolo. E dalle ricerche condotte all’interno della teoria dell’attaccamento (Bowlby, 1972) emerge in maniera chiara come siano il contatto e l’abbraccio i fattori responsabili della formazione di un legame affettivo sia nella relazione madrebambino che nella relazione di coppia (Hazan e Shaver, 1994). La vasopressina è associata alla territorialità e spinge, specialmente i maschi, alla protezione, all’intimità con il partner ed è responsabile perfino della gelosia, favorendo non poco la tendenza ad un rapporto monogamico. Insomma fare l’amore fa bene all’amore al punto che è stato ipotizzato addirittura che due partner coinvolti a più riprese in attività sessuali subiscano una sorta di condizionamento mediato da sostanze oppiacee, il quale inevitabilmente porta allo sviluppo di una relazione d’amore: la tensione iniziale è caratterizzata dalla produzione di feniletelamina, un trasmettitore nervoso che ha effetti simili a quelli delle anfetamine; l’abitudine alle feniletelamine stimola la produzione e il rilascio di enodorfine le quali inducono uno stato di calma e di appagamento; queste hanno gli stessi effetti di tutte le droghe oppiacee. Il partner, che eleva la tensione e che l’attenua, viene associato alla sensazione di benessere che deriva dalle endorfine e pertanto viene cercato e preferito ad altri (Leibowitz, 1983). MONOGAMI E INFEDELI. Quanto abbiamo detto finora deve tuttavia fare i conti con il dato che i maschi e le femmine possono utilizzare la sessualità in modo da mettere a rischio i loro rapporti d’amore. Negli uomini e nelle donne, infatti, a seguito della loro differente anatomia e fisiologia, si selezionarono, prima che si consolidasse la posizione eretta, strategie che assicuravano il successo riproduttivo a livello individuale e che vengono tuttora utilizzate anche se a scapito degli interessi del partner e ormai anche dei propri. I maschi producono 500 milioni di spermatozoi al giorno dalla pubertà alla morte. Questa riserva può tramutarsi nella possibilità di avere un figlio per ogni accoppiamento. Si mantenne così nel primate uomo (e nei maschi di quasi tutte le altre specie animali) una tendenza a copulare con quante più femmine possibile, anche in parallelo al mantenimento di un legame duraturo. Una strategia apparentemente ottimale che tuttavia può rivelarsi a detrimento del successo riproduttivo della partner e ... anche del proprio quando non si riesce a mantenere un A002254, 5 equilibrio tra monogamia ed infedeltà: come abbiamo visto, a seguito di più incontri sessuali, le inevitabili modificazioni chimiche possono trasformare un legame adulterino in un nuovo rapporto stabile con conseguenze più o meno gravi sullo stato dei figli. In maniera analoga, nelle femmine sono presenti, a seguito della selezione naturale, tendenze che possono minare il successo riproduttivo del partner, ma anche il proprio. Una donna ha una riserva molto limitata di ovuli, dalla pubertà alla menopausa. È cruciale, ai fini del suo successo riproduttivo, individuare il partner che più dia garanzie di risorse essenziali all’allevamento congiunto della prole. Ma non è detto che il prescelto sia portatore di buoni geni. Di qui l’eventuale spinta a farsi fecondare, accuratamente di nascosto, da un maschio portatore di caratteri migliori. Il partner potrebbe così ritrovarsi ad allevare progenie non propria! Ma nel caso l’infedeltà venga scoperta, la donna potrebbe essere abbandonata e ritrovarsi a dover allevare da sola i propri figli. Il bisogno di un compagno per l’allevamento della prole può, inoltre, spingere a relazioni parallele con altri cui far credere di essere i padri dei figli nati eventualmente in quel periodo. Una strategia finalizzata ad assicurarsi un nuovo partner nel caso venga perduto quello ufficiale, analoga a quella di alcuni mammiferi, di alcuni leoni, dei delfini con il naso a bottiglia e degli scimpanzé: le femmine, accoppiandosi con molti maschi, anche in periodi in cui non sono feconde o quando sono già gravide, fanno sì che questi, nell’ipotesi di essere loro i padri, proteggano la prole che potrebbero aver generato e non ricorrano all’infanticidio (Hrdy, 1979). Sessualità e accoppiamenti, quindi, senza concepimento e con funzioni multiple sono presenti nella nostra e nelle altre specie animali. Caratteristica specifica del primate uomo è tuttavia avere con certezza successo riproduttivo solo attraverso lo stretto connubio tra sesso e amore. RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI ATTILI G. (2004), Attaccamento e amore, il Mulino, Bologna. ATTILI G (2007), Attaccamento e costruzione evoluzionistica della mente, Cortina, Milano. BOWLBY J.(1972), Attaccamento e perdita, vol.1: L’attaccamento alla madre (trad. it.), Boringhieri, Torino. HAZAN C., SHAVER P. (1994), <<Attachment as an organizational framework for research in close relationships>>, Psycological Inquiry. 5, 1-22. HAZAN C, ZEIFMANN D. (2002), <<I legami di coppia come attaccamenti>>. In J. Cassidy, P. R. Shaver (a cura di), Manuale dell’attaccamento: teoria, ricerca e applicazioni cliniche (trad. it.), Fioriti Editore, Roma, pp. 382-403. HINDE R. A. (1989), Individui, relazioni e cultura (trad. il.), Giunti, Firenze. HRDY S. B. (1979), <<Infanticide among animals: A review, classification and examination of the implications for the reproductive strategies of females>, Ethology and Sociobiology, 1, 3-40. LEIBOWITZ M, (1983), The chemistry of love, Berkeley Books, New York. A002254, 6 SHORT R. V. (1979), <<Sexual selection and its component parts: Somatic and genital selection as illustrated in man and in the great apes>>, Advances in the Study of Behavior, 9, 131-155. L’AUTRICE GRAZIA ATTILI è Professore ordinario di Psicologia Sociale presso la “Sapienza” - Università di Roma, dove dirige, nei Dipartimento di Ricerca Sociale, l’Unità di Ricerca “Attaccamento e Sistemi Sociali Complessi”. Conduce da anni ricerche sullo sviluppo sociale e affettivo, sulle relazioni di attaccamento madrebambino e padre-bambino e sui rapporti di coppia utilizzando una prospettiva evoluzionistica. Tra i suoi libri Attaccamento e amore (Il Mulino, 2004), Attaccamento e costruzione evoluzionistica della mente (Cortina 2007), Psicologia sociale tra basi innate e influenza degli altri (Il Mulino, 2011).