Discorso d`insediamento di Mercedes BRESSO, Presidente del
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Discorso d`insediamento di Mercedes BRESSO, Presidente del
Bruxelles, 10 febbraio 2010 Discorso d'insediamento di Mercedes BRESSO, Presidente del Comitato delle regioni Signore e Signori, cari colleghi, vi ringrazio dell'onore che mi fate e della fiducia che mi avete accordato eleggendomi Presidente del Comitato delle regioni. Non posso nascondere l'emozione che provo in questo momento. Vista dall'esterno, in effetti l'elezione di oggi potrebbe sembrare scontata, tuttavia essa non ha avuto nulla di meccanico o di automatico. Al contrario, rappresenta il punto d'arrivo di un cammino politico lungo e fitto di eventi, ed è, naturalmente, anche la risultante di una struttura articolata di rapporti umani. Il mio primo ringraziamento per avermi aperto la strada della presidenza va in particolare a Karl-Heinz KLÄR, presidente del mio gruppo, che ha sostenuto la mia candidatura con energia e perseveranza. Sono riconoscente anche al mio partner alla presidenza del CdR, Ramón Luis VALCÁRCEL SISO, candidato del gruppo PPE, e a Flo CLUCAS, candidata del gruppo liberale. Entrambi hanno fatto onore alla democrazia preparando la loro candidatura alla presidenza del CdR, entrambi hanno avuto, in ultima analisi, la volontà di far prevalere il superiore interesse della nostra istituzione e di assumersi l'impegno di una gestione politica concertata per i prossimi cinque anni. Di questo sono loro grata. La mia candidatura alla presidenza del Comitato delle regioni è il risultato di un impegno politico in questa istituzione nel corso di lunghi anni, come presidente del gruppo socialista, carica che ho ricoperto per quattro anni, ma anche come relatrice sulla responsabilità comune di legiferare meglio, sulla via verso una costituzione per i cittadini europei, sulla cooperazione territoriale e la comunicazione decentrata. Il fatto che io sia la prima donna a essere eletta Presidente del Comitato delle regioni è la conferma, credo, dell'approdo del CdR a una certa normalità. La vera anomalia, invece, è il fatto che oggi io sia l'unica Presidente donna di un'istituzione dell'Unione europea. Spero che la mia elezione possa contribuire a fare indietreggiare questa anomalia; già questo rappresenta per me un elemento di grande gioia. Spero infatti che essa possa costituire un segnale d'incoraggiamento per le donne d'Europa perché s'impegnino di più nella vita pubblica e serva a dimostrare che il merito e l'essere donna possono andare perfettamente d'accordo. Lo dico anche a beneficio della maggioranza delle nostre delegazioni nazionali, perché una presenza femminile del 23% tra i membri del CdR non è certo uno specchio fedele della nostra società. IT -2Il merito dei rappresentanti politici si misura nelle elezioni. Oggi ho avuto successo nell'elezione alla Presidenza del Comitato delle regioni, ma, come molti di voi sapranno, il mese prossimo dovrò affrontare il verdetto delle urne nella mia regione, il Piemonte. L'identità intrinseca del nostro Comitato fa sì che noi, suoi membri, siamo prima di tutto dei rappresentanti eletti delle comunità territoriali, che assumono in più un impegno a livello europeo. Certo, non abbiamo il dono dell'ubiquità, però la nostra voce nel quadro istituzionale comunitario ha un suono particolare in quanto siamo investiti della legittimità dei territori che rappresentiamo. Ma prendo solennemente dinanzi a voi l'impegno di pormi lealmente al servizio della nostra istituzione nel corso del mio mandato. Nel contempo, assumo l'impegno a essere la Presidente di tutta l'istituzione, indipendentemente dalle differenze di origine nazionale, di appartenenza politica, di tipo di ente territoriale rappresentato. Essendo stata io stessa consigliere comunale, presidente di una provincia e poi di una regione, ho esperienza di enti molto diversi sotto il profilo delle competenze. Mi adopererò pertanto affinché il CdR continui a essere portavoce dell'interesse comune di tutti i livelli territoriali. È vero infatti che lungo tutto l'arco della sua storia, la forza del Comitato è stata la volontà di non creare divisioni tra noi. L'ambizione di rappresentare i circa 120.000 enti territoriali d'Europa non può tradursi nella divisione di questa diversità all'interno delle strutture della nostra casa. È una questione di efficienza interna ma anche di credibilità nei confronti dell'esterno. Da questo punto di vista intendo seguire una linea di continuità con il lavoro dei miei predecessori, Michel DELEBARRE e Luc VAN DEN BRANDE, ai quali va il mio caloroso omaggio. Ciascuno con il suo stile autentico e inimitabile, questi due "gemelli" fiamminghi, l'uno francese e l'altro belga, hanno saputo esprimere una notevole forza di convinzione per promuovere, nella concertazione, gli interessi dell'istituzione, e questo a prescindere dalle loro differenze politiche. Saranno il modello cui Ramón Luis e io ci ispireremo. Vi chiedo ora di fare loro un meritato applauso. Signore e Signori, cari colleghi, il 10 febbraio è un giorno che ha un valore particolare per me e la mia regione: quattro anni fa – il 10 febbraio – ho avuto l'onore di aprire ufficialmente i giochi olimpici invernali a Torino. Un evento che ha non solo contribuito a promuovere il mio territorio ma che – grazie anche al sostegno dell'Unione europea – ha innescato un processo di riqualificazione del territorio a beneficio dei piemontesi. L'elezione di oggi coincide inoltre, con solo un giorno di differenza, con l'insediamento della nuova Commissione europea, avvenuto ieri. Il mio primo atto come Presidente sarà dunque quello di rivolgere, a nome della nostra istituzione, le mie congratulazioni a José Manuel BARROSO. -3Da sempre il CdR è fautore di una Commissione forte che agisca come motore dell'integrazione europea e come il guardiano dell'interesse generale comunitario. Per tale motivo, saremo sempre un suo alleato oggettivo, in particolare nel contesto attuale, in cui l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona obbliga tutte le istituzioni, compresa la nostra, a ripensare il proprio ruolo. Non ho bisogno di insistere sull'importanza che attribuisco al rafforzamento delle nostre relazioni con il Parlamento europeo. Come parlamentare europea, sono stata una fervente sostenitrice del rafforzamento del quadro costituzionale europeo. Non dimentico tra l'altro che il punto di partenza che ha portato al potenziamento delle nostre competenze con l'entrata di vigore del Trattato di Lisbona è stato il parere sul contributo delle collettività territoriali al processo di costruzione europea di Giorgio Napolitano, illustre esponente del mio partito e oggi Presidente della Repubblica italiana. Vorrei inoltre sottolineare che il rafforzamento del nostro ruolo oggi non si pone in alcun modo in competizione con il Parlamento europeo. Al contrario, in occasione del mio prossimo incontro con il Presidente Jerzy BUZEK, sarà mia cura sottolineare la complementarietà dell'azione delle nostre istituzioni rispettive per il processo di integrazione europea. Al Presidente Herman VAN ROMPUY, Presidente del Consiglio europeo che riunisce oggi i capi di Stato e di governo per un Consiglio europeo straordinario sulla strategia di rilancio europeo vorrei dire che trovo la sua proposta un'azione leale e necessaria ma questo non va fatto a detrimento delle istituzioni che hanno portato avanti il processo di integrazione europea e neppure negando la diversità in seno agli Stati Membri dell'Unione europea. Ripensare il proprio ruolo nel contesto del nuovo Trattato può essere più facile per un'istituzione ancora giovane come il CdR: 20 anni nel 2014, tutto sommato è una bella età, ma è anche un'età alla quale si può ancora definire la propria identità. Beninteso non partiamo da zero. Nel corso del precedente mandato abbiamo iniziato i lavori sulla nostra dichiarazione di missione, lavori che hanno portato a riforme concrete. Attualmente, il personale del Comitato sta dando il suo contributo attraverso l'esercizio di autovalutazione, il cosiddetto "CAF", in cui mi sembra di poter rilevare la speranza del personale di riuscire ad intrattenere un dialogo più regolare e più sostanziale con i membri del CdR. Voglio quindi fin d'ora prendere l'impegno di incontrare due volte l'anno i rappresentanti del personale, in un contesto informale, per discutere senza formalità dell'evoluzione politica della nostra casa. Nelle loro raccomandazioni per il nuovo mandato, i membri dell'Ufficio di presidenza uscente hanno formulato delle proposte molto concrete riguardanti quattro sfide che dovremo affrontare di qui al 2015. Quella della legittimità politica, cui ho già fatto cenno, quella dell'influenza sull'agenda comunitaria, quella del controllo della sussidiarietà ed infine quella della comunicazione. Sono in grandissima misura d'accordo con loro e chiederò che queste raccomandazioni siano fatte conoscere all'insieme dei membri. Vorrei tuttavia soffermarmi su due punti: l'influenza e la comunicazione. Penso infatti che il CdR abbia raggiunto oggi una maturità tale da permettergli di avere ancor più coraggio nei suoi pareri, e di non accontentarsi di rivendicare, nelle sue prese di posizione politiche, il -4coinvolgimento degli enti regionali e locali in questa o in quella politica comunitaria. Per poter essere ascoltata, a volte la nostra voce deve essere discordante. Non possiamo accontentarci di appoggiare in modo acritico questo o quell'orientamento alla moda. Dobbiamo incutere rispetto, osando sollevare a volte una discussione, ma facendo anche un lavoro approfondito sulla sostanza. Nei mesi e negli anni a venire i temi di dibattito non mancheranno certo. Penso in particolare al seguito della conferenza di Copenaghen sul cambiamento climatico, all'elaborazione della strategia 2020 che succederà a quella di Lisbona, al dibattito sulle future prospettive finanziarie e ad altri temi più specifici come le macroregioni o i servizi pubblici. Dovremo allo stesso tempo comunicare meglio questa sostanza e superare un'impostazione che a volte si basa più sul "colpo" mediatico che su un'azione impostata sulla durata. Ciò significa anche che dobbiamo consolidare i nostri lavori e concentrarci su priorità politiche adeguate alle risorse disponibili. Certo, il CdR è riuscito a creare aspettative enormi su un lungo elenco di temi, e questo è un bene. A volte però, bisogna anche saper dire "no". Naturalmente l'evoluzione politica della nostra casa non avverrà sotto una campana di vetro. Possiamo già individuare un certo numero di parametri e di campi d'azione sui quali dovremo impegnarci. Il primo è, beninteso, quello dell'attuazione del Trattato di Lisbona. La sua ratifica, alla conclusione di otto anni di introspezione istituzionale, suscita nei fautori dell'integrazione europea sentimenti contrastanti, in cui il sollievo si mescola alla spossatezza. Nella battaglia finale per la ratifica, gli atteggiamenti di difesa hanno più spesso primeggiato e la foresta ha in certa misura nascosto gli alberi. Abbiamo forse scordato di sottolineare che questo Trattato sarà ciò che noi vorremo farne, abbiamo dimenticato di metterne in risalto le potenzialità, in particolare quelle partecipative e territoriali. In breve, è giunto il momento di lasciarci alle spalle il torpore della ratifica e di infondere veramente vita a questo Trattato! Il Trattato definisce per un certo tempo le regole del gioco istituzionale, ma non stabilisce certo in modo definitivo e immutabile le politiche che saranno attuate sulla base di queste regole e i cui orientamenti saranno il risultato di un rapporto di forze. In quanto rappresentanti regionali e locali, dovremo in primo luogo avvalerci dello strumento rappresentato dall'introduzione del nuovo obiettivo della coesione territoriale. Si tratta di dire forte e chiaro che questo obiettivo significa richiamare tutti gli Stati membri dell'Unione europea alla necessità di mantenere una politica regionale comunitaria, in un momento in cui, nel dibattito sulle prospettive finanziarie post-2013, affiorano forse velleità di rinazionalizzazione della politica stessa. Si tratta di dire forte e chiaro che questo obiettivo significa la necessità di realizzare valutazioni d'impatto territoriale sia a monte che a valle della produzione legislativa comunitaria. Vogliamo impegnarci anche nella concretizzazione dell'"iniziativa popolare", perché sappiamo che le regioni, sul modello di numerosi precedenti registrati nei rispettivi Stati membri, possono avere un ruolo come soggetti iniziatori, vettori e federatori di queste iniziative. -5Per quanto riguarda il principio di sussidiarietà, siamo pienamente coscienti che l'esistenza di un diritto di ricorso non costituisce di per sé una politica. Al contrario, si tratterà di ricorrere il meno possibile alla dimensione "coercitiva" della sussidiarietà, assicurando però che la fase "a monte" dell'iter di una proposta legislativa risponda già alle esigenze di coinvolgimento degli enti territoriali, nella forma del partenariato: è questo che intende sostanzialmente il CdR per governance multilivello. Oggi in Europa il nodo centrale che la politica deve sciogliere non è più semplicemente chi fa che cosa - di questo si occupa il Trattato di Lisbona -, né che cosa fare, bensì come fare. E la governance multilivello deve consentire di pensare la regolamentazione prodotta a livello europeo, al di là delle sole norme e procedure scritte che sono stabilite nei Trattati. È una questione di metodo che assume una dimensione particolare nell'attuale contesto, in cui si manifesta un bisogno di nuove forme di regolamentazione europea di fronte alla crisi economica, finanziaria, sociale e climatica. In concreto, il Libro bianco del CdR sulla governance multilivello elaborato dai miei predecessori dovrà sfociare nell'elaborazione di una Carta sulla governance multilivello, ma dovrà anche tradursi, per quel che riguarda l'aspetto dell'impatto territoriale, nella revisione dell'accordo di cooperazione con la Commissione che formerà parte dell'agenda dei lavori nel 2011-2012. Un altro tema di lavoro essenziale per gli enti regionali e locali sarà la promozione dei servizi pubblici, a cui il Trattato di Lisbona dedica specificamente un protocollo e un articolo. Queste basi dovrebbero consentirci di tener conto in modo più adeguato delle esigenze inderogabili proprie di tali servizi che la costruzione europea ha spesso teso a ignorare in passato di fronte alle necessità del diritto della concorrenza. Così come difendo le potenzialità territoriali del Trattato di Lisbona allo stesso modo sono cosciente che i momenti della verità che si presenteranno in questo mandato riguarderanno la definizione della strategia "UE 2020", la riforma della politica di coesione e la revisione delle prospettive finanziarie. La questione cruciale è sapere se i quattro strumenti disponibili per il rafforzamento della dimensione territoriale a partire dal Trattato di Lisbona - ossia le quattro leve della coesione territoriale, della sussidiarietà, della governance multilivello e dei servizi pubblici - funzioneranno in modo articolato per sfociare in una strategia che sia al contempo economica, sociale e ambientale, in un bilancio che sia all'altezza delle sfide che si preannunciano e del contesto di crisi nonché in una politica di coesione in grado di sbloccare i potenziali di crescita sostenibile dei territori. Il messaggio che rivolgo ai nostri partner nelle istituzioni è semplice: non mettiamo il carro davanti ai buoi; innanzitutto, definiamo gli obiettivi politici prendendoci il tempo necessario per farlo, e poi discutiamo di bilancio. Il mio punto di partenza coincide con quello evidenziato nella relazione BARCA: "La politica di coesione di cui l'Unione europea ha bisogno potrà nascere soltanto da un concetto politico, accompagnato da un'ampia riforma delle priorità e della governance, con un compromesso politico forte, associato a un calendario di negoziazione appropriato". -6Per quanto riguarda l'ex strategia di Lisbona, va ricordato che a livello degli Stati membri è mancata la volontà di assumersi la titolarità di questa strategia. Secondo noi, ciò è dovuto in particolare al mancato coinvolgimento degli enti territoriali, che sono tuttavia responsabili della gestione e del finanziamento di parti essenziali dei settori compresi nella strategia di Lisbona, come l'istruzione, la ricerca, l'inclusione sociale e l'inserimento professionale. Questa situazione è particolarmente deplorevole negli Stati membri in cui il 75% delle spese legate alla politica di coesione doveva essere destinata a progetti targati "strategia di Lisbona". Non è più concepibile che in futuro una percentuale così rilevante dei fondi strutturali rimanga ostaggio di un approccio esclusivamente intergovernativo. Quanto alla politica di coesione, tre aspetti ci sembrano irrinunciabili, ossia: il rifiuto di qualsiasi rinazionalizzazione, la necessità di adattare le nostre industrie e i nostri posti di lavoro alle sfide di una forma di sviluppo più sostenibile, l'utilizzo di una governance multilivello e di un approccio più mirato al territorio in questione e alle disparità intraregionali, in cui all'obiettivo dell'inclusione sociale sarebbe (finalmente) attribuito il suo giusto valore. Signore e Signori, cari colleghi, ricordavo prima che l'evoluzione politica della nostra casa non si compirà sotto una campana di vetro e che essa dipenderà dall'evoluzione dell'Unione europea nel suo insieme. Non illudiamoci su questa evoluzione: né il Trattato, né le strategie e le politiche comunitarie non basteranno da soli a ridare alla costruzione europea quel nuovo slancio di cui tutti riconoscono il bisogno. La ricerca di questo slancio e del senso dell'Europa proseguirà e sono pressoché certa che proseguirà anche dopo la pubblicazione ormai prossima della relazione del Gruppo di riflessione sul futuro dell'Europa presieduto da Felipe González. Forse questa ricerca, che è anche un'esigenza permanente, è al momento un elemento costitutivo dell'identità europea. Personalmente, come federalista europea di vecchia data, faccio riferimento a quello che Altiero Spinelli affermava nel suo Manifesto di Ventotene già nel 1941: "Un'Europa libera e unita è premessa necessaria del potenziamento della civiltà moderna". Ebbene, adesso l'Europa è libera e unita: non può più quindi rifiutarsi di contribuire con umiltà al potenziamento della civiltà moderna. Ritengo che questo contributo debba essere apportato da un'Europa meno ripiegata su questioni legate ai Trattati e alle procedure, più aperta sul mondo, ma anche più proattiva in rapporto al mondo esterno. In questo contesto sentiamo tutti l'esigenza di una maggiore integrazione a livello europeo per far fronte nell'immediato - alla crisi finanziaria, economica e sociale, e di una leadership europea più forte per far fronte - nel lungo termine - alla sfida dei cambiamenti climatici. Su questi due aspetti l'azione degli enti territoriali europei dovrebbe servire da punto di riferimento all'Unione europea. In effetti, trovandosi in prima linea a fronteggiare le crisi, gli enti regionali e locali sono dei veri laboratori d'innovazione in campo economico, sociale o ambientale. -7- Condividiamo di già questa esperienza in progetti che superano i confini dell'Unione europea, in particolare attraverso le due iniziative di punta lanciate dai miei predecessori che mi impegno ad approfondire ulteriormente: mi riferisco al Patto dei sindaci sul superamento degli obiettivi postKyoto, che stiamo attualmente estendendo alla Conferenza dei sindaci statunitensi e che già coinvolge diverse regioni europee, e all'Assemblea regionale e locale euromediterranea, che ci mette a disposizione un formidabile strumento per fornire l'esempio delle solidarietà concrete possibili intorno al bacino del Mediterraneo al di là della diplomazia degli Stati. L'esperienza sviluppata nelle strette relazioni tra collettività territoriali del Mediterraneo dimostra che quando i governi regionali e locali sono impegnati direttamente possono giocare un ruolo chiave per lo sviluppo economico e per il benessere di tutti i cittadini Signore e Signori, cari colleghi, Se fosse necessario riassumere il mio messaggio politico in due frasi, direi in ogni caso che gli enti territoriali d'Europa saranno chiamati ad affrontare le grandi sfide del nostro tempo, come le evoluzioni demografiche, i cambiamenti climatici, la globalizzazione. La questione risiederà nel sapere se essi riusciranno a rispondere a queste sfide in una prospettiva europea e con il sostegno dell'Europa. Si tratta soprattutto di una questione di efficacia. L'Europa ha bisogno delle regioni per far sentire la sua voce ai cittadini e per garantire che le politiche siano declinate a livello territoriale. Dobbiamo renderci portavoce di questo duplice messaggio. Al di là della sola politica e delle "hard skills" dell'Europa, cioè del "nocciolo duro", del Trattato, delle politiche, vorrei dedicare le mie parole finali al ruolo importante che spetta a noi svolgere per le "soft skills" dell'Europa. Vedo tutti noi, che siamo i rappresentanti dei territori, soprattutto come ambasciatori dei nostri concittadini, come interpreti del fattore umano europeo, ossia di un po' di buon senso. In ciò, noi siamo forse nella posizione migliore per dare un senso all'esortazione di Jean Monnet, il quale affermava che in Europa "non coalizziamo gli Stati, ma uniamo dei popoli". Credo che tra le nostre missioni anche quella di rendere l'Europa più accessibile e darle calore, quel calore che seppero infondere i padri fondatori quando ancora la guerra lacerava il Continente, quando molti giudicavano un'utopia la nascita di un'Europa aperta a tutti i popoli decisi ad informare la propria condotta all'ideale della libertà, loro vi credettero. Questa grande utopia è diventata oggi una realtà, e noi tutti possiamo e dobbiamo contribuire ad animarla e farla crescere. Altiero Spinelli ripeteva spesso " fare l'Europa dipende anche da te" di questo sono convinta e per questo vi ringrazio di questa grande opportunità che oggi, eleggendomi mi date. _____________