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Approfondimenti
Diritto alla riservatezza e sicurezza del lavoro
Pierguido Soprani ............................................................................................
5
Proposte operative per la stima dei costi della sicurezza nei cantieri
Michele Giovannetti .........................................................................................
19
Dalle Università
a cura di Francesco Bacchini
La responsabilità sociale delle imprese e il dovere di salute e sicurezza
Francesco Bacchini ..........................................................................................
31
Notizie INAIL
WorkCongress 2004: prevenzione, riabilitazione ed indennizzo infortuni e malattie
professionali ..................................................................................................
39
Finanziamenti
Finanziamenti per la sicurezza
a cura di Bruno Pagamici .................................................................................
45
Inserto
Sicurezza e vivibilità nella chirurgia umana e veterinaria: assicurazione e prevenzione
in sala operatoria
Alessandro Baldacconi, Cristina Baldacconi, Roberto Buzzi, Paola Desiderio
Dispositivi per l’apertura manuale delle porte
D.M. (Interno) 3 novembre 2004 .......................................................................
50
Prassi
Stabilimenti costieri di lavorazione e depositi di oli minerali e sostanze esplosive
Min. Interno - Lettera circolare 11 novembre 2004, n. 2600 .....................................
52
Attrezzature a pressione trasportabili: quadro normativo
Min. Trasporti - Circolare 26 ottobre 2004, n. 3982 ...............................................
54
Giurisprudenza
Rassegna della Cassazione penale
a cura di Raffaele Guariniello
Leptospirosi del dipendente comunale, soggetti responsabili e carenza di fondi
Cass. Pen., Sez. IV, 6 ottobre 2004, n. 39052 .......................................................
59
Datore di lavoro pubblico e prova della delega
Cass. Pen., Sez. III, 7 ottobre 2004, n. 39268 .......................................................
60
Impossibilità tecnica di mezzi protettivi e divieto assoluto di macchine insicure
Cass. Pen., Sez. III, 12 ottobre 2004, n. 39852 ......................................................
61
Il coordinatore per la progettazione e per l’esecuzione dei lavori nei cantieri
Cass. Pen., Sez. III, 22 novembre 2004, n. 45054 ...................................................
63
Casi e Questioni
ISL risponde ..................................................................................................
66
ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005
Sommario
Legislazione
3
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a contributi, articoli ed argomenti trattati
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Protezione dei dati personali
Diritto alla riservatezza
e sicurezza del lavoro
Premessa
Prima con l’emanazione della
legge 31 dicembre 1996, n.
675 «Tutela delle persone e
di altri soggetti rispetto al trattamento dei dati personali», e
successivamente
con
il
D.Lgs. 30 giugno 2003, n.
196 «Codice in materia di protezione dei dati personali», la
legislazione italiana si è via
via arricchita di una normativa
rivolta a dare rilevanza giuridica alla riservatezza, intesa come bene immateriale a titolarità individuale, espressione non
solo della dignità umana, ma
anche dell’esigenza che ciascun individuo veda rispettati
i diritti e le libertà fondamentali della persona, tra cui rientra quello della privacy, funzionale ad un pieno sviluppo
della persona umana.
Il diritto alla protezione dei dati personali, espressamente
sancito dall’art. 1 del D.Lgs.
n. 196/2003, e quello alla riservatezza, intendendosi per
tale, ai sensi dell’art. 4 del decreto, «qualunque informazione relativa a persona fisica,
persona giuridica, ente od associazione, identificati o identificabili, anche indirettamente, mediante riferimento a
qualsiasi altra informazione,
ivi compreso un numero di
identificazione personale», deve peraltro trovare un contemperamento con le esigenze,
aventi pari rilievo sociale, insite in alcune attività, rispetto alle quali si debbano riconoscere
rilevanti finalità di interesse
pubblico. È in questo ambito
che l’art. 112 del codice ha individuato le finalità dirette all’instaurazione ed alla gestione
di «rapporti di lavoro di qualunque tipo, dipendente o
autonomo, anche non retribui-
to o onorario o a tempo parziale o temporaneo», nonché di
ogni altra forma di impiego,
quand’anche non comporti la
costituzione di un rapporto di
lavoro subordinato.
È cosı̀ che il c.d. «diritto ad essere lasciati soli» mostra segni
di relativa cedevolezza di contro alla sussistenza di obiettivi
sociali di uguale rango o addirittura prevalenti.
Con riguardo al settore del diritto penale del lavoro, il citato
art. 112 consente il trattamento
dei dati (comma 2, lett. e) al fine di «adempiere specifici obblighi o compiti previsti dalla
normativa in materia di igiene
e sicurezza del lavoro o di sicurezza o salute della popolazione, nonché in materia sindacale».
Il trattamento
dei dati sensibili
In relazione a tale ambito particolare, il Garante per la protezione dei dati personali è intervenuto con una serie di
autorizzazioni generali, rilasciate da ultimo ai sensi dell’art. 26, comma 4. lett. d)
del codice, con le quali ha
autorizzato il trattamento dei
dati sensibili nei rapporti di lavoro. Si tratta di provvedimenti emanati annualmente dal
Garante (l’ultima è l’autorizzazione n. 1/2004 (1), con efficacia fino al 30 giugno
2005), con i quali il trattamento dei dati sensibili nei rapporti di lavoro è stato consentito
sia «alle persone fisiche e giuridiche, alle imprese, agli enti,
alle associazioni e agli organismi che sono parte di un rapporto di lavoro o che utilizzano prestazioni lavorative anche atipiche, parziali o temporanee, o che comunque confe-
riscono un incarico professionale alle figure indicate al successivo punto 2, lettere b) e
c)», che agli organismi paritetici e agli altri organismi che
«gestiscono osservatori in materia di lavoro, previsti dalla
normativa comunitaria, dalle
leggi, dai regolamenti o dai
contratti collettivi anche aziendali». Significativo dell’apertura «culturale» alla dimensione sociale del lavoro, e della
centralità dell’uomo-lavoratore, al fine di tutela dell’integrità psico-fisica della persona, è
poi il fatto che l’autorizzazione del Garante riguarda anche
«l’attività svolta dal medico
competente in materia di igiene e di sicurezza del lavoro»,
in qualità sia di libero professionista, che di dipendente di
un datore di lavoro o di strutture convenzionate.
Il trattamento dei dati sensibili
riguarda non solo i lavoratori
dipendenti a tempo indeterminato, ma anche i lavoratori interinali, quelli in rapporto di tirocinio, apprendistato e formazione e lavoro, nonché gli associati anche in compartecipazione, i consulenti e i liberi
professionisti, gli agenti, i rappresentanti, i mandatari e coloro che effettuano prestazioni
coordinate e continuative. Il
trattamento deve corrispondere a finalità specificamente individuate, cui deve rivelarsi
assolutamente indispensabile.
Con riguardo al diritto penale
del lavoro, le finalità di trattamento definite sono le seguenti:
per adempiere o per esigere
l’adempimento di specifici obblighi o per eseguire specifici
Nota:
Approfondimenti
Pierguido Soprani Avvocato
(1) In G.U. 14 agosto 2004, n. 190.
ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005
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Approfondimenti
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compiti previsti dalla normativa comunitaria, da leggi, da
regolamenti o da contratti collettivi anche aziendali, in particolare ai fini del rispetto della normativa in materia di previdenza ed assistenza anche
integrativa, o in materia di
igiene e sicurezza del lavoro
o della popolazione, nonché
in materia fiscale, di tutela della salute, dell’ordine e della sicurezza pubblica;
per il perseguimento delle finalità di salvaguardia della vita o dell’incolumità fisica dell’interessato o di un terzo;
per l’esercizio del diritto di
accesso ai documenti amministrativi, nel rispetto di quanto
stabilito dalle leggi e dai regolamenti in materia;
per adempiere ad obblighi
derivanti da contratti di assicurazione finalizzati alla copertura dei rischi connessi alla responsabilità del datore di lavoro in materia di igiene e di sicurezza del lavoro e di malattie professionali o per i danni
cagionati a terzi nell’esercizio
dell’attività lavorativa o professionale;
per garantire le pari opportunità.
In questo ambito, le categorie
di dati suscettibili di trattamento - ferma restando la condizione generale che sono
«trattabili» solo ed unicamente
i dati strettamente pertinenti
agli obblighi, ai compiti o alle
finalità indicate nell’autorizzazione del Garante - sono:
quelle idonee a «rivelare le
convinzioni religiose, filosofiche o di altro genere, ovvero
l’adesione ad associazioni od
organizzazioni a carattere religioso o filosofico, i dati concernenti la fruizione di permessi e festività religiose o di
servizi di mensa, nonché la
manifestazione, nei casi previsti dalla legge, dell’obiezione
di coscienza»;
quelle idonee a «rivelare le
opinioni politiche, l’adesione
a partiti, sindacati, associazioni od organizzazioni a carattere politico o sindacale, i dati
concernenti l’esercizio di funzioni pubbliche e di incarichi
politici (sempre che il trattamento sia effettuato ai fini del-
la fruizione di permessi o di
periodi di aspettativa riconosciuti dalla legge o, eventualmente, dai contratti collettivi
anche aziendali), ovvero l’organizzazione di pubbliche iniziative, nonché i dati inerenti
alle attività o agli incarichi sindacali, ovvero alle trattenute
per il versamento delle quote
di servizio sindacale o delle
quote di iscrizione ad associazioni od organizzazioni politiche o sindacali»;
quelle idonee a «rivelare lo
stato di salute, i dati raccolti
in riferimento a malattie anche
professionali, invalidità, infermità, gravidanza, puerperio o
allattamento, ad infortuni, ad
esposizioni a fattori di rischio,
all’idoneità psico-fisica a svolgere determinate mansioni o
all’appartenenza a categorie
protette».
È altresı̀ previsto che i dati siano raccolti, di regola, presso
l’interessato, e che la loro comunicazione al medesimo
«deve avvenire di regola direttamente a quest’ultimo o a un
suo delegato, in plico chiuso
o con altro mezzo idoneo a
prevenirne la conoscenza da
parte di soggetti non autorizzati, anche attraverso la previsione di distanze di cortesia.
Restano inoltre fermi gli obblighi di acquisire il consenso
scritto dell’interessato e di informare l’interessato medesimo, in conformità a quanto
previsto dagli articoli 13, 23
e 26 del codice».
I dati sensibili oggetto di trattamento possono essere comunicati e, ove necessario, diffusi
nei limiti strettamente pertinenti agli obblighi, ai compiti o alle finalità indicate, a «soggetti
pubblici o privati, ivi compresi
organismi sanitari, casse e fondi di previdenza ed assistenza
sanitaria integrativa anche
aziendale, agenzie di intermediazione, associazioni di datori
di lavoro, liberi professionisti,
società esterne titolari di un
autonomo trattamento di dati e
familiari dell’interessato». Peraltro i dati idonei a rivelare
lo stato di salute non possono
essere diffusi.
Tutti i dati raccolti e trattati
devono essere conservati per
ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005
un periodo non superiore a
quello necessario per il raggiungimento della finalità sottintesa al trattamento. È previsto al riguardo un sistema di
verifiche periodiche, circa la
stretta pertinenza e la non eccedenza dei dati rispetto al
rapporto di lavoro, alla prestazione o all’incarico in corso,
da instaurare o cessati.
Il provvedimento del Garante
fa poi salvi «gli obblighi previsti da norme di legge o di regolamento, ovvero dalla normativa comunitaria, che stabiliscono divieti o limiti in materia di trattamento di dati personali e, in particolare, dalle disposizioni contenute:
a) nell’art. 8 della legge 20
maggio 1970, n. 300, che vieta
al datore di lavoro ai fini dell’assunzione e nello svolgimento del rapporto di lavoro,
di effettuare indagini, anche a
mezzo di terzi, sulle opinioni
politiche, religiose o sindacali
del lavoratore, nonché su fatti
non rilevanti ai fini della valutazione dell’attitudine professionale del lavoratore;
b) nell’art. 6 della legge 5 giugno 1990, n. 135, che vieta ai
datori di lavoro lo svolgimento
di indagini volte ad accertare,
nei dipendenti o in persone
prese in considerazione per
l’instaurazione di un rapporto
di lavoro, l’esistenza di uno
stato di sieropositività;
c) nelle norme in materia di
pari opportunità o volte a prevenire discriminazioni»;
d) fermo restando quanto disposto dall’art. 8 della legge
20 maggio 1970, n. 300, nell’art. 10 del D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, che vieta alle agenzie per il lavoro e agli
altri soggetti privati autorizzati o accreditati di effettuare
qualsivoglia indagine o comunque trattamento di dati
ovvero di preselezione di lavoratori, anche con il loro
consenso, in base alle convinzioni personali, alla affiliazione sindacale o politica, al credo religioso, al sesso, all’orientamento sessuale, allo stato matrimoniale o di famiglia
o di gravidanza, alla età, all’handicap, alla razza, all’origine etnica, al colore, alla
La
videosorveglianza
dei lavoratori
La società moderna vede ormai il ricorso diffuso agli strumenti della tecnologia più
avanzata in tutti i settori della
vita associata, siano essi
espressione o meno di diritti
fondamentali della persona.
Nell’accezione tradizionale,
«tecnologia» è sinonimo di
progresso; peraltro spesso l’utilizzo di dotazioni tecnologiche comporta, a seconda dei
casi, l’esercizio o l’assoggettamento ad un controllo sociale
più penetrante.
Uno degli strumenti di sempre
più frequente impiego sociale
è quello legato ai c.d. sistemi
di videosorveglianza: si pensi
ai progetti di telecontrollo e
di videosorveglianza nei centri
urbani, a fini di sicurezza pubblica; ovvero ai sistemi di rilevamento, a mezzo di telecamere, dell’accesso dei veicoli in
entrata nei centri storici. Nelle
grandi aree metropolitane, nel
quadro di un’azione mirante a
contenere il fenomeno della
criminalità e a diminuire la pericolosità di ambiti cittadini
particolarmente insicuri, sono
stati poi messi a punto sistemi
di videosorveglianza attraverso l’installazione, in via sperimentale, di telecamere su alcune linee di autobus e tram e
presso alcune fermate, sia a fini di sicurezza dei viaggiatori,
sia per prevenire atti di vandalismo.
Questa rapida diffusione delle
tecnologie della sorveglianza
pone concreti e molteplici interrogativi circa il fenomeno
di costante erosione della privacy personale e delle libertà
civili. Moltissimi sono gli sviluppi tecnologici che interferi-
scono con la sfera personale
della riservatezza: si pensi alla
telefonia cellulare, al tracciamento delle navigazioni in Internet, al monitoraggio dell’utilizzo delle carte di pagamento, ai sistemi di intercettazione
acustica e/o visiva come l’autovelox, ai dispositivi di localizzazione della telefonia mobile, alle telecamere dei varchi
Telepass autostradali o a quelli
delle stazioni e delle filiali
bancarie. E tale fenomeno è
certamente destinato a progredire nel tempo, tanto che già
si parla di videocamere come
di dispositivi standard presenti
in ogni sistema di sicurezza
destinato a monitorare e proteggere spazi pubblici e privati
(rilevazione e controllo dei
flussi di traffico; rilevazione
delle infrazioni al codice della
strada; vigilanza nel pubblico
trasporto; controllo dei perimetri e degli spazi di stabilimenti ed edifici pubblici da
sottoporre a particolare tutela;
aree a grande presenza di pubblico quali stazioni, aree aeroportuali e portuali, grandi magazzini e centri commerciali,
centri direzionali, filiali bancarie, sportelli automatici, farmacie e rivendite di merci di valore, stazioni di rifornimento,
parcheggi ed altre aree pubbliche ad elevato tasso di criminalità).
In prima battuta, la tematica
della videosorveglianza tra tutela della sicurezza e rispetto
delle esigenze di riservatezza
individuale, è stata oggetto di
un provvedimento generale
del Garante per la privacy,
emanato in data 29 novembre
2000, a seguito di numerose
richieste in merito alle cautele
necessarie per conformare alla
legge n. 675/1996 gli impianti
di videosorveglianza stabili o
comunque non occasionali
(cioè l’installazione di sistemi,
reti ed apparecchiature di ripresa e di eventuale registrazione di immagini, in particolare a fini di sicurezza, di tutela del patrimonio, di controllo
di determinate aree e di monitoraggio del traffico o degli
accessi di veicoli nei centri
storici). Sul piano generale, il
Garante aveva rilevato che,
nonostante l’assenza di una legislazione specifica in merito,
le «regole di base della disciplina sul trattamento dei dati
personali ... sono già applicabili alle immagini ed ai suoni,
qualora le apparecchiature che
li rilevano permettano di identificare, in modo diretto o indiretto, i soggetti interessati».
La decisione del Garante, in
sintonia con le indicazioni
contenute sia nella direttiva
comunitaria 95/46/CE, sia
nella convenzione n. 108/
1991 del Consiglio d’Europa
(le quali considerano come
«dato personale» qualunque
informazione che permetta l’identificazione, anche in via
indiretta, dei soggetti interessati, ivi compresi i suoni e le
immagini), è stata in un secondo momento integrata con
il documento elaborato dal
Gruppo di lavoro che riunisce
le autorità di protezione dati
dell’Unione europea (Parere
11 febbraio 2004, n. 4). Da ultimo è stato emanato il provvedimento generale sulla videosorveglianza del 29 aprile
2004, con il quale sono state
fissate regole e garanzie precise sull’installazione di telecamere, ed è stato fornito un
quadro uniforme (in una prospettiva di futura armonizzazione a livello europeo) che
serva da riferimento comune
per i soggetti privati e pubblici
che intendano ricorrere alla
videosorveglianza.
Il parere n. 4/2004 contiene un
«decalogo» sulle cautele minime di esercizio ed i principi da
osservare in materia di videosorveglianza (in particolare il
principio di proporzionalità
tra mezzi impiegati e fini perseguiti). I principi elaborati
dal Garante per la privacy italiano sono riportati nel provvedimento allegato (v. ultra),
mentre quelli indicati dai Garanti europei sono riassumibili
come segue.
a) Stabilire la liceità del ricorso alla videosorveglianza, facendo riferimento alle norme
di diritto interno applicabili,
anche per quanto riguarda
quelle relative al diritto all’immagine ed alla tutela del domicilio.
ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005
Approfondimenti
ascendenza, all’origine nazionale, al gruppo linguistico, allo stato di salute e ad eventuali controversie con i precedenti datori di lavoro, nonché di
trattare dati personali dei lavoratori che non siano strettamente attinenti alle loro attitudini professionali e al loro inserimento lavorativo.
7
Approfondimenti
8
b) Garantire che le finalità
della videosorveglianza siano specifiche e lecite, in particolare evitando utilizzazioni
ulteriori delle immagini rilevate e indicando le finalità della
videosorveglianza in un documento che fornisca anche
chiarimenti ulteriori sulla privacy policy seguita dal titolare.
c) Assicurarsi della legittimità
del trattamento, verificando
il rispetto di almeno uno dei
criteri di legittimità previsti
dall’art. 7 della direttiva europea. Per quanto riguarda, in
particolare, i soggetti pubblici,
è opportuno ricordare che i
trattamenti effettuati mediante
telecamere devono essere previsti da norme di legge.
d) Verificare che il ricorso alla videosorveglianza sia proporzionato, ossia che gli scopi perseguiti siano tali da giustificare realmente l’impiego
di dispositivi del genere, e
sempre a condizione che altre
forme di tutela o altri dispositivi di sicurezza si dimostrino
chiaramente inadeguati o non
siano applicabili al caso specifico. (Per quanto riguarda l’Italia, ricordiamo che il codice
in materia di protezione dei
dati personali prevede, all’art.
3, l’obbligo di rispettare il
principio di necessità nel trattamento dei dati personali, ossia di ridurre al minimo l’utilizzazione di dati personali o
identificativi).
e) Verificare che l’attività di
videosorveglianza sia effettuata in modo proporzionato, in questo caso si tratta di
minimizzare l’impiego di dati
personali, anche attraverso opportuni accorgimenti tecnici
(angolo di ripresa delle immagini, periodo di conservazione
di immagini per breve tempo,
rischi legati all’eventuale associazione con altri dati che facilitino l’identificazione delle
persone). Su questo punto utili
suggerimenti sono venuti dai
contributi della consultazione
pubblica.
f) Informare adeguatamente
gli interessati, utilizzando indicazioni ben visibili e posizionate in modo corretto. Può
trattarsi di informative sintetiche, secondo un approccio
«stratificato» per cui l’interessato potrà ottenere informazioni più dettagliate rivolgendosi
direttamente al titolare; tuttavia, l’informativa deve essere
efficace. Pertanto, è necessario
specificare sempre le finalità
dell’uso di telecamere, e indicare chi sia il titolare del trattamento.
g) Garantire agli interessati
l’esercizio dei diritti di accesso, rettifica, cancellazione
ecc., e in particolare il diritto
di opporsi al trattamento per
motivi legittimi e prevalenti.
h) Rispettare eventuali ulteriori requisiti, come ad esempio l’obbligo di notificare il
trattamento effettuato attraverso sistemi di videosorveglianza e di adottare idonee misure
di sicurezza, preoccupandosi
anche di formare in modo adeguato il personale impegnato
in tale attività.
i) Adottare precauzioni ulteriori in rapporto a specifiche
attività di videosorveglianza,
ad esempio, se le immagini
permettono la raccolta di dati
sensibili, oppure se sono previste interconnessioni fra più sistemi di videosorveglianza, oppure se si intendono associare
le immagini rilevate con dati
di tipo biometrico (impronte digitali, ad esempio) o si prevede
di utilizzare sistemi per il riconoscimento automatico della
voce o del viso di una persona.
In tutti questi ambiti si dovrà
compiere una valutazione caso
per caso, alla luce dei principi
sopra ricordati.
Per ciò che concerne la possibilità di predisporre sistemi di
videosorveglianza in ambiente
di lavoro, la soluzione che si
impone sul piano generale è
negativa: infatti l’art. 4, comma 1, della legge 20 maggio
1970, n. 300 (c.d. Statuto dei
lavoratori), vieta al datore di
lavoro «l’uso di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell’attività dei
lavoratori». Peraltro il comma
2 del citato art. 4 prevede che
gli impianti e le apparecchiature di controllo che siano richiesti da esigenze organizzative e produttive, ovvero dalla
sicurezza del lavoro, ma dai
ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005
quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori «possono essere installati soltanto
previo accordo con le rappresentanze sindacali aziendali,
oppure, in mancanza di queste,
con la commissione interna. In
difetto di accordo, su istanza
del datore di lavoro, provvede
l’Ispettorato del lavoro, dettando, ove occorra, le modalità
per l’uso di tali impianti». La
norma prevede poi (comma
4) che contro i provvedimenti
dell’Ispettorato del lavoro il
datore di lavoro e le rappresentanze sindacali aziendali,
oppure i sindacati dei lavoratori «possono ricorrere, entro
30 giorni dalla comunicazione
del provvedimento, al Ministro per il lavoro e la previdenza sociale».
Se è indubbio che la prevalenza
della disciplina giuslavoristica
su quella generale è sancita dall’art. 114 del codice, nondimeno appare discutibile che, nell’ambito del modello di impresa sicura delineato nel D.Lgs.
n. 626/1994, la tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori possa essere condizionata
dalla necessità che su di essa
intervenga l’accordo con le
RSA aziendali, come prescrive
il citato art. 4 dello Statuto dei
lavoratori in tema di videosorveglianza. Una cosa infatti è il
trattamento dei dati effettuato
attraverso il sistema di videosorveglianza, altra cosa la videosorveglianza a fini prevenzionali e/o di igiene del lavoro.
In questo secondo caso il carattere diffuso della tutela, operante su beni indisponibili e a
dimensione sociale collettiva,
rende invero secondaria l’esigenza di non incidere nella sfera individuale attinente la riservatezza del singolo lavoratore.
Per di più il complesso degli
obblighi e degli adempimenti
di sicurezza sono, per la quasi
totalità, soggetti a sanzione penale: talché urterebbe con i
principi di diritto penale la circostanza che il soggetto obbligato (nel nostro caso il datore
di lavoro) sia posto in grado
di conformare e di adeguare la
propria condotta al precetto
normativo, solo in virtù e per
Le sanzioni
disciplinari
Il problema dell’incidenza della privacy in materia di sanzioni disciplinari è stato affrontato
e risolto dal Garante, quanto al
rapporto di pubblico impiego
alle dipendenze dello Stato,
con decisione 28 marzo 2000.
Il Garante ha stabilito che non
viola le esigenze di riservatezza
individuale la pubblicazione
nel bollettino ufficiale dei ministeri (peraltro solo per estremi e non nel testo integrale)
dei provvedimenti disciplinari
dei dipendenti pubblici. Nei
confronti di un dipendente
pubblico che aveva fatto ricorso all’Autorità affinché tutelasse il suo diritto alla privacy, il
Garante, nel dichiarare l’infondatezza del ricorso, ha qualificato la decisione dell’amministrazione di pubblicare sul bollettino mensile l’irrogazione
della sanzione come atto «doveroso», dal momento che esso
deriva da una specifica previsione di legge (T.U. delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello
Stato - D.P.R. n. 686/1957), e
che la legge sulla protezione
dei dati personali legittima la
diffusione di dati personali (come avviene in tutte le ipotesi di
pubblicazioni di informazioni a
mezzo stampa) qualora tale
modalità sia prevista da norme
di legge o di regolamento, come nel caso in questione. Tutto
ciò non vale, ovviamente, laddove la diffusione di dati inerenti alla procedura disciplinare
non assuma il carattere della
doverosità (come è di regola
per il settore privato).
Conclusioni
Come si vede, la materia della
prevenzione degli infortuni e
dell’igiene del lavoro ha un rilievo sociale tendenzialmente
prevalente rispetto alla tutela
della riservatezza del singolo
lavoratore. Del resto l’attività
di raccolta e di trattamento
dei dati dei lavoratori corrisponde alla tutela della sicurezza e della salute della popolazione occupata al lavoro, e
già nello stesso D.Lgs. n.
626/1994 - sia pure per la prima volta ma con grande rilievo - gli aspetti legati alla sicurezza e alla salute dei lavoratori sono stati valutati non come
dati isolato dal contesto sociale (quasi che l’impresa fosse
un’oasi avulsa dal restante e
contiguo tessuto della società),
bensı̀ come essenziali e primari obiettivi di tutela, al fine di
un generale miglioramento
della sicurezza e della salute
di tutta la popolazione. Sicurezza e salute in ambiente di
lavoro sono dunque visti come
anelli di una catena che cinge
tutta la società, tanto che, dall’esame di alcune norme del
decreto (art. 2, comma 1, lett.
g; art. 4, comma 5, lett. n;
art. 64, comma 1, lett. c; art.
79, comma 2, lett. e; art. 81,
comma 2, ult. parte) si ricava
la consapevolezza del legislatore che solo un’impresa sicura e salubre è in grado di contribuire al parallelo sviluppo di
una società più sicura e più
salubre. Migliorare le condizioni di sicurezza e di salute
in ambiente di lavoro significa
dunque migliorare (se non
proporzionalmente,
almeno
sensibilmente) la qualità della
vita umana, anche di quella
parte della popolazione non
occupata al lavoro.
È su questi principi di valutazione, e del resto lo stesso
D.Lgs. n. 626/1994 è intitolato
al «miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro», che il
Garante è intervenuto più volte
per riaffermarli, sia con riguardo al trattamento dei dati, che
al diritto di accesso, che al divieto di condotte discriminatorie: per altro verso nel documento, approvato dalla undicesima commissione permanente
(Lavoro e previdenza sociale)
del Senato, in data 22 luglio
1997, ad esito dell’indagine conoscitiva sulla sicurezza e l’igiene del lavoro, si è puntato
l’indice sulle difficoltà nella
raccolta ed elaborazione dei
dati, inerenti sia agli infortuni
sul lavoro che alle malattie professionali e alle malattie da lavoro, per le quali il livello di
arretratezza del sistema è stato
ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005
Approfondimenti
effetto del consenso di altri.
Tale ipotetica situazione comporterebbe infatti l’inammissibile riconoscimento di una efficacia condizionante esterna
della condotta altrui nel rapporto che lega ciascun cittadino al
dovere di osservanza della legge penale: la qual cosa si porrebbe in aperto e insanabile
contrasto con i principi della
personalità della responsabilità
penale e del libero arbitrio.
Cosı̀, se in alcuni casi la giurisprudenza ha ritenuto prevalente il diritto alla privacy del lavoratore (Consiglio di Stato,
sentenza 22 novembre 1999,
M.G. c. Ministero del lavoro
ed altro, secondo cui al datore
di lavoro non può essere rilasciata copia del verbale di dichiarazioni rilasciate dal lavoratore «in sede di interrogatorio
sul posto di lavoro da parte degli ispettori del Ministero in occasione di accertamenti ispettivi ... perché dalla divulgazione
potrebbero scaturire azioni discriminatorie e indebite pressioni»), in altri si è ritenuto l’esatto contrario (Consiglio di
Stato, sentenza 27 gennaio
1999, Ministero lavoro - Avv.
gen. Stato c. CIAL ed altri,
per il quale «Il diritto di accesso ai documenti amministrativi
riconosciuto dalla legge 7 agosto 1990, n. 241 prevale sull’esigenza di riservatezza del terzo ogni qualvolta l’accesso
venga in rilievo per la cura o
la difesa di interessi giuridici
del richiedente»).
Quanto alla possibilità di controllo delle e-mail dei lavoratori, attraverso la rete aziendale
interna di gestione della posta
elettronica, il Garante non ha
mai avuto occasione di pronunciarsi, anche se si è riservato di
adottare un provvedimento in
materia, anche sulla scorta di
approfondimenti in corso con
le Autorità garanti di altri Paesi, richiamando per il momento
le norme (art. 114 cit.) che fanno salve le disposizioni dello
Statuto dei lavoratori (le quali
non consentirebbero nemmeno
il monitoraggio e-mail se non
previa definizione di precisi limiti per l’azienda e dopo l’accordo con le rappresentanze
sindacali).
9
definito «davvero preoccupante». La Commissione senatoriale ha stigmatizzato non solo
la mancanza di idonei meccanismi di raccolta dei dati, basati
su flussi informativi e su parametri di classificazione e di calcolo degli indici di frequenza
affidabili (e in assenza di un
vero monitoraggio dei fenomeni, è oltremodo difficile realizzare una vera prevenzione),
ma anche la circostanza che i
dati raccolti sono scarsamente
«socializzati», cioè non sono
messi a disposizione di chi deve ulteriormente elaborarli per
trarne conclusioni operative.
Con riguardo poi alla tutela
della riservatezza dei dati, ai
sensi della legge sulla privacy,
la commissione ha dato l’indicazione - assolutamente condivisibile e di perdurante attualità
- che le questioni debbano «essere affrontate e risolte con
ponderazione e con un corretto
equilibrio tra la salvaguardia di
interessi di natura varia, individuali e collettivi», al fine di impedire che, con l’alibi della legge sulla privacy, «si producano
ingiustificate inerzie, proprio
mentre bisogna rilanciare il discorso sulla raccolta, elaborazione e circolazione di dati».
Approfondimenti
Garante per la protezione dei dati personali - Provvedimento generale sulla videosorveglianza (Roma 29 aprile 2004)
1. Premessa
Il Garante ritiene opportuno aggiornare e integrare il provvedimento del 29 novembre 2000 (c.d. «decalogo»
pubblicato sul Bollettino del Garante n. 14/15, p. 28), anche per conformare i trattamenti di dati personali
mediante videosorveglianza al Codice entrato in vigore il 1º gennaio 2004 e ad altre disposizioni vigenti
(art. 154, comma 1, lett. c), D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, recante il Codice in materia di protezione dei dati
personali) che hanno rafforzato le garanzie per i cittadini. Per altro verso va evidenziato che nel triennio di
applicazione del predetto provvedimento sono stati sottoposti all’esame dell’Autorità numerosi casi, attraverso reclami, segnalazioni e richieste di parere, i quali evidenziano un utilizzo crescente, spesso non conforme
alla legge, di apparecchiature audiovisive che rilevano in modo continuativo immagini, eventualmente associate
a suoni, relative a persone identificabili, spesso anche con registrazione e conservazione dei dati.
Con riferimento alle menzionate garanzie, il presente provvedimento (paragrafi 2 e 3) richiama taluni principi e
illustra le prescrizioni generali relative a tutti i sistemi di videosorveglianza; nei paragrafi 4, 5 e 6 vengono invece individuate prescrizioni riguardanti specifici trattamenti di dati. Ovviamente, per casi particolari l’Autorità
si riserva di intervenire di volta in volta con atti ad hoc.
Le prescrizioni del presente provvedimento hanno come presupposto il rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali dei cittadini e della dignità delle persone con particolare riferimento alla riservatezza, all’identità ed
alla protezione dei dati personali (art. 2, comma 1, del codice).
Il Garante ha posto doverosa attenzione al nuovo diritto alla protezione dei dati personali (art. 1 del Codice)
consapevole che un’idonea tutela dei diritti dei singoli, oggetto del bilanciamento effettuato con il presente
provvedimento, non pregiudica l’adozione di misure efficaci per garantire la sicurezza dei cittadini e l’accertamento degli illeciti.
Si è avuto riguardo pertanto anche alla libertà di circolazione nei luoghi pubblici o aperti al pubblico. In tali
ambiti, non si possono privare gli interessati del diritto di circolare senza subire ingerenze incompatibili
con una libera società democratica (art. 8 Conv. europea diritti uomo ratificata con legge n. 848/1955), derivanti da rilevazioni invadenti ed oppressive riguardanti presenze, tracce di passaggi e spostamenti, facilitate dalla crescente interazione dei sistemi via Internet ed Intranet.
Il Garante si è infine ispirato alle indicazioni espresse in varie sedi internazionali e comunitarie: in particolare
alle linee-guida del Consiglio d’Europa del 20-23 maggio 2003 (v. Relazioni annuali del Garante per il 2002 e
per il 2003, in www.garanteprivacy.it), nonché agli indirizzi formulati dalle autorità europee di protezione dei
dati riunite nel Gruppo istituito dalla direttiva n. 95/46/CE (11 febbraio 2004, n. 4/2004, in Relaz. annuale 2003
e http://europa.eu.int/comm/internal-market/privacy/workingroup/wp2004/wpdocs04_en.htm).
2. Principi generali
2.1. Principio di liceità
Il trattamento dei dati attraverso sistemi di videosorveglianza è possibile solo se è fondato su uno dei presupposti di liceità che il Codice prevede espressamente per gli organi pubblici da un lato (svolgimento di funzioni
istituzionali: artt. 18-22) e, dall’altro, per soggetti privati ed enti pubblici economici (adempimento ad un obbligo
di legge, provvedimento del Garante di c.d. «bilanciamento di interessi» o consenso libero ed espresso: artt. 2327). Si tratta di presupposti operanti in settori diversi e che sono pertanto richiamati separatamente nei successivi paragrafi del presente provvedimento relativi, rispettivamente, all’ambito pubblico e a quello privato.
La videosorveglianza deve avvenire nel rispetto, oltre che della disciplina in materia di protezione dei dati, di
quanto prescritto da altre disposizioni di legge da osservare in caso di installazione di apparecchi audiovisivi.
Vanno richiamate al riguardo le vigenti norme dell’ordinamento civile e penale in materia di interferenze illecite
nella vita privata, di tutela della dignità, dell’immagine, del domicilio e degli altri luoghi cui è riconosciuta analoga
tutela (toilette, stanze d’albergo, cabine, spogliatoi ecc.). Vanno tenute presenti, inoltre, le norme riguardanti la
tutela dei lavoratori, con particolare riferimento alla legge n. 300/1970 (Statuto dei lavoratori).
Specifici limiti possono derivare da altre speciali disposizioni di legge o di regolamento che prevedono o ipotizzano la possibilità di installare apparecchiature di ripresa locale, aerea o satellitare (D.L. 24 febbraio 2003, n. 28,
convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2003, n. 88), disposizioni che, quando sono trattati dati re(segue)
10
ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005
(continua)
lativi a persone identificate o identificabili, vanno applicate nel rispetto dei principi affermati dal Codice, in tema
per esempio di sicurezza presso stadi e impianti sportivi, oppure musei, biblioteche statali e archivi di Stato (D.L.
14 novembre 1992, n. 433, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 gennaio 1993, n. 4) e, ancora, relativi a
impianti di ripresa sulle navi da passeggeri adibite a viaggi nazionali (D.Lgs. 4 febbraio 2000, n. 45).
Appare inoltre evidente la necessità del rispetto delle norme del codice penale che vietano le intercettazioni di
comunicazioni e conversazioni.
2.3. Principio di proporzionalità
Nel commisurare la necessità di un sistema al grado di rischio presente in concreto, va evitata la rilevazione di
dati in aree o attività che non sono soggette a concreti pericoli, o per le quali non ricorre un’effettiva esigenza
di deterrenza, come quando, ad esempio, le telecamere vengono installate solo per meri fini di apparenza o di
«prestigio».
Gli impianti di videosorveglianza possono essere attivati solo quando altre misure siano ponderatamente valutate insufficienti o inattuabili. Se la loro installazione è finalizzata alla protezione di beni, anche in relazione ad
atti di vandalismo, devono risultare parimenti inefficaci altri idonei accorgimenti quali controlli da parte di addetti, sistemi di allarme, misure di protezione degli ingressi, abilitazioni agli ingressi.
Non va adottata la scelta semplicemente meno costosa, o meno complicata, o di più rapida attuazione, che
potrebbe non tener conto dell’impatto sui diritti degli altri cittadini o di chi abbia diversi legittimi interessi.
Non risulta di regola giustificata un’attività di sorveglianza rivolta non al controllo di eventi, situazioni e avvenimenti, ma a fini promozionali-turistici o pubblicitari, attraverso web cam o cameras-on-line che rendano
identificabili i soggetti ripresi.
Anche l’installazione meramente dimostrativa o artefatta di telecamere non funzionanti o per finzione, anche
se non comporta trattamento di dati personali, può determinare forme di condizionamento nei movimenti e
nei comportamenti delle persone in luoghi pubblici e privati e pertanto può essere legittimamente oggetto di
contestazione.
La videosorveglianza è, quindi, lecita solo se è rispettato il c.d. principio di proporzionalità, sia nella scelta se e quali
apparecchiature di ripresa installare, sia nelle varie fasi del trattamento (art. 11, comma 1, lett. d) del codice).
Il principio di proporzionalità consente, ovviamente, margini di libertà nella valutazione da parte del titolare del
trattamento, ma non comporta scelte del tutto discrezionali e insindacabili.
Il titolare del trattamento, prima di installare un impianto di videosorveglianza, deve valutare, obiettivamente e
con un approccio selettivo, se l’utilizzazione ipotizzata sia in concreto realmente proporzionata agli scopi prefissi e legittimamente perseguibili.
Si evita cosı̀ un’ingerenza ingiustificata nei diritti e nelle libertà fondamentali degli altri interessati.
Come si è detto, la proporzionalità va valutata in ogni fase o modalità del trattamento, per esempio quando si
deve stabilire:
se sia sufficiente, ai fini della sicurezza, rilevare immagini che non rendono identificabili i singoli cittadini, anche tramite ingrandimenti;
se sia realmente essenziale ai fini prefissi raccogliere immagini dettagliate;
la dislocazione, l’angolo visuale, l’uso di zoom automatici e le tipologie - fisse o mobili - delle apparecchiature;
quali dati rilevare, se registrarli o meno, se avvalersi di una rete di comunicazione o creare una banca di dati,
indicizzarla, utilizzare funzioni di fermo-immagine o tecnologie digitali, abbinare altre informazioni o interconnettere il sistema con altri gestiti dallo stesso titolare o da terzi;
la durata dell’eventuale conservazione (che, comunque, deve essere sempre temporanea).
In applicazione del predetto principio va altresı̀ delimitata rigorosamente:
anche presso luoghi pubblici o aperti al pubblico, quando sia di legittimo ed effettivo interesse per particolari
finalità, la ripresa di luoghi privati o di accessi a edifici;
l’utilizzazione di specifiche soluzioni quali il collegamento ad appositi «centri» cui inviare segnali di allarme
sonoro o visivo, oppure l’adozione di interventi automatici per effetto di meccanismi o sistemi automatizzati
d’allarme (chiusura accessi, afflusso di personale di vigilanza ecc.), tenendo anche conto che in caso di trattamenti volti a definire profili o personalità degli interessati il Codice prevede ulteriori garanzie (art. 14, comma
1, del codice);
l’eventuale duplicazione delle immagini registrate;
la creazione di una banca di dati quando, per le finalità perseguite, è sufficiente installare un sistema a circuito
chiuso di sola visione delle immagini, senza registrazione (es. per il monitoraggio del traffico o per il controllo
del flusso ad uno sportello pubblico).
2.4. Principio di finalità
Gli scopi perseguiti devono essere determinati, espliciti e legittimi (art. 11, comma 1, lett. b), del codice). Ciò
comporta che il titolare possa perseguire solo finalità di sua pertinenza.
Approfondimenti
2.2. Principio di necessità
Poiché l’installazione di un sistema di videosorveglianza comporta in sostanza l’introduzione di un vincolo per il
cittadino, ovvero di una limitazione e comunque di un condizionamento, va applicato il principio di necessità e,
quindi, va escluso ogni uso superfluo ed evitati eccessi e ridondanze.
Ciascun sistema informativo e il relativo programma informatico vanno conformati già in origine in modo da
non utilizzare dati relativi a persone identificabili quando le finalità del trattamento possono essere realizzate
impiegando solo dati anonimi (es., programma configurato in modo da consentire, per monitorare il traffico,
solo riprese generali che escludano la possibilità di ingrandire le immagini). Il software va configurato anche in
modo da cancellare periodicamente e automaticamente i dati eventualmente registrati.
Se non è osservato il principio di necessità riguardante le installazioni delle apparecchiature e l’attività di videosorveglianza non sono lecite (artt. 3 e 11, comma 1, lett. a), del codice).
(segue)
ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005
11
(continua)
Approfondimenti
Si è invece constatato che taluni soggetti pubblici e privati si propongono abusivamente, quale scopo della videosorveglianza, finalità di sicurezza pubblica, prevenzione o accertamento dei reati che invece competono
solo ad organi giudiziari o di polizia giudiziaria oppure a forze armate o di polizia.
Sono invece diversi i casi in cui i sistemi di videosorveglianza sono in realtà introdotti come misura complementare volta a migliorare la sicurezza all’interno o all’esterno di edifici o impianti ove si svolgono attività produttive, industriali, commerciali o di servizi, o che hanno lo scopo di agevolare l’eventuale esercizio, in sede di
giudizio civile o penale, del diritto di difesa del titolare del trattamento o di terzi sulla base di immagini utili in
caso di fatti illeciti.
In ogni caso, possono essere perseguite solo finalità determinate e rese trasparenti, ossia direttamente conoscibili attraverso adeguate comunicazioni e/o cartelli di avvertimento al pubblico (fatta salva l’eventuale attività
di acquisizione di dati disposta da organi giudiziari o di polizia giudiziaria), e non finalità generiche o indeterminate, tanto più quando esse siano incompatibili con gli scopi che vanno esplicitamente dichiarati e legittimamente perseguiti (art. 11, comma 1, lett. b), del codice). Le finalità cosı̀ individuate devono essere correttamente riportate nell’informativa.
3. Adempimenti
3.1. Informativa
Gli interessati devono essere informati che stanno per accedere o che si trovano in una zona videosorvegliata
e dell’eventuale registrazione; ciò anche nei casi di eventi e in occasione di spettacoli pubblici (concerti, manifestazioni sportive) o di attività pubblicitarie (attraverso web cam).
L’informativa deve fornire gli elementi previsti dal codice (art. 13) anche con formule sintetiche, ma chiare e
senza ambiguità.
Tuttavia il Garante ha individuato ai sensi dell’art. 13, comma 3, del codice un modello semplificato di informativa «minima», riportato in fac-simile in allegato al presente provvedimento e che può essere utilizzato in
particolare in aree esterne, fuori dei casi di verifica preliminare indicati nel punto successivo. Il modello è ovviamente adattabile a varie circostanze. In presenza di più telecamere, in relazione alla vastità dell’area e alle
modalità delle riprese, vanno installati più cartelli.
In luoghi diversi dalle aree esterne il modello va integrato con almeno un avviso circostanziato che riporti gli
elementi del predetto art. 13 con particolare riguardo alle finalità e all’eventuale conservazione.
Il supporto con l’informativa:
deve essere collocato nei luoghi ripresi o nelle immediate vicinanze, non necessariamente a contatto con la
telecamera;
deve avere un formato ed un posizionamento tale da essere chiaramente visibile;
può inglobare un simbolo o una stilizzazione di esplicita e immediata comprensione, eventualmente diversificati se le immagini sono solo visionate o anche registrate.
3.2. Prescrizioni specifiche
3.2.1. Verifica preliminare
I trattamenti di dati personali nell’ambito di una attività di videosorveglianza devono essere effettuati rispettando le misure e gli accorgimenti prescritti da questa Autorità, anche con un provvedimento generale, come
esito di una verifica preliminare attivata d’ufficio o a seguito di un interpello del titolare (art. 17 del codice),
quando vi sono rischi specifici per i diritti e le libertà fondamentali, nonché per la dignità degli interessati.
A questo fine, con il presente provvedimento il Garante prescrive a tutti i titolari del trattamento, quale misura
opportuna per favorire il rispetto delle previsioni di legge (art. 143, comma 1, lett. c), del codice), di sottoporre alla verifica preliminare di questa Autorità (anche in tal caso, con eventuali provvedimenti di carattere
generale) i sistemi di videosorveglianza che prevedono una raccolta delle immagini collegata e/o incrociata e/o
confrontata con altri particolari dati personali (es. biometrici), oppure con codici identificativi di carte elettroniche o con dispositivi che rendono identificabile la voce.
La verifica preliminare del Garante occorre anche in caso di digitalizzazione o indicizzazione delle immagini
(che rendono possibile una ricerca automatizzata o nominativa) e in caso di videosorveglianza c.d. dinamico-preventiva che non si limiti a riprendere staticamente un luogo, ma rilevi percorsi o caratteristiche fisionomiche (es. riconoscimento facciale) o eventi improvvisi, oppure comportamenti anche non previamente
classificati.
3.2.2. Autorizzazioni
I predetti trattamenti devono essere autorizzati preventivamente dal Garante, anche attraverso autorizzazioni
generali, quando riguardano dati sensibili o giudiziari, ad esempio in caso di riprese di persone malate o di detenuti (artt. 26 e 27 del codice).
3.2.3. Altri esami preventivi
Non devono essere sottoposti all’esame preventivo del Garante, a meno che l’Autorità lo abbia disposto, i
trattamenti di dati a mezzo videosorveglianza, fuori dei casi indicati nei precedenti punti 3.2.1. e 3.2.2. Non
può desumersi alcuna approvazione implicita dal semplice inoltro al Garante di documenti relativi a progetti
di videosorveglianza (spesso generici e non valutabili a distanza) cui non segua un esplicito riscontro dell’Autorità, in quanto non si applica il principio del silenzio/assenso.
3.2.4. Notificazione
Gli stessi trattamenti devono essere notificati al Garante solo se rientrano in casi specificamente previsti (art.
37 del codice). A tale riguardo l’Autorità ha disposto che non vanno comunque notificati i trattamenti relativi a
comportamenti illeciti o fraudolenti, quando riguardano immagini o suoni conservati temporaneamente per
esclusive finalità di sicurezza o di tutela delle persone o del patrimonio (provv. n. 1/2004 del 31 marzo
2004, in G.U. 6 aprile 2004, n. 81 e in www.garanteprivacy.it; v. anche, sullo stesso sito, i chiarimenti forniti
con nota n. 9654/33365 del 23 aprile 2004 relativamente alla posizione geografica delle persone).
(segue)
12
ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005
3.3. Soggetti preposti e misure di sicurezza
3.3.1. Responsabili e incaricati
Si devono designare per iscritto tutte le persone fisiche, incaricate del trattamento, autorizzate ad utilizzare gli
impianti e, nei casi in cui è indispensabile per gli scopi perseguiti, a visionare le registrazioni (art. 30 del codice).
Deve trattarsi di un numero molto ristretto di soggetti, in particolare quando ci si avvale di una collaborazione
esterna.
Vanno osservate le regole ordinarie anche per ciò che attiene all’eventuale designazione di responsabili del
trattamento, avendo particolare cura al caso in cui il titolare si avvalga di un organismo esterno anche di vigilanza privata (art. 29 del codice).
La designazione di eventuali responsabili ed incaricati «esterni» può essere effettuata solo se l’organismo esterno svolge prestazioni strumentali e subordinate alle scelte del titolare del trattamento. Questo non deve, ovviamente, essere un espediente per eludere la normativa in materia di protezione dei dati personali, come può
accadere, per esempio, nel caso in cui la designazione dell’incaricato «esterno» mascheri una comunicazione di
dati a terzi senza consenso degli interessati, oppure nel caso di diversità o incompatibilità tra le finalità perseguite dai soggetti che si scambiano i dati.
Quando i dati vengono conservati - naturalmente per un tempo limitato in applicazione del principio di proporzionalità - devono essere previsti diversi livelli di accesso al sistema e di utilizzo delle informazioni, avendo
riguardo anche ad eventuali interventi per esigenze di manutenzione. Occorre prevenire possibili abusi attraverso opportune misure basate in particolare su una «doppia chiave» fisica o logica che consentano una immediata ed integrale visione delle immagini solo in caso di necessità (da parte di addetti alla manutenzione o
per l’estrazione dei dati ai fini della difesa di un diritto o del riscontro ad una istanza di accesso, oppure per
assistere la competente autorità giudiziaria o di polizia giudiziaria). Va infatti tenuto conto che l’accessibilità
regolamentata alle immagini registrate da parte degli addetti è fattore di sicurezza.
Sono infine opportune iniziative periodiche di formazione degli incaricati sui doveri, sulle garanzie e sulle responsabilità, sia all’atto dell’introduzione del sistema di videosorveglianza, sia in sede di modifiche delle modalità di utilizzo (cfr. Allegato B) al codice, regola n. 19.6).
3.3.2. Misure di sicurezza
I dati devono essere protetti da idonee e preventive misure di sicurezza, riducendo al minimo i rischi di distruzione, perdita, anche accidentale, di accesso non autorizzato o trattamento non consentito o non conforme alle finalità della raccolta (art. 31 del codice).
Alcune misure, c.d. «misure minime», sono obbligatorie anche sul piano penale. Il titolare del trattamento che
si avvale di un soggetto esterno deve ricevere dall’installatore una descrizione scritta dell’intervento effettuato
che ne attesti la conformità alle regole in materia (artt. 33-36 e 169, nonché Allegato B) del codice, in particolare punto 25; v. anche i chiarimenti forniti con nota n. 6588/31884 del 22 marzo 2004, in www.garanteprivacy.it).
3.4. Durata dell’eventuale conservazione
In applicazione del principio di proporzionalità (v. anche art. 11, comma 1, lett. e), del codice), anche l’eventuale conservazione temporanea dei dati deve essere commisurata al grado di indispensabilità e per il solo tempo necessario - e predeterminato - a raggiungere la finalità perseguita.
La conservazione deve essere limitata a poche ore o, al massimo, alle ventiquattro ore successive alla rilevazione, fatte salve speciali esigenze di ulteriore conservazione in relazione a festività o chiusura di uffici o esercizi, nonché nel caso in cui si deve aderire ad una specifica richiesta investigativa dell’autorità giudiziaria o di
polizia giudiziaria.
Solo in alcuni specifici casi, per peculiari esigenze tecniche (mezzi di trasporto) o per la particolare rischiosità
dell’attività svolta dal titolare del trattamento (ad esempio, per alcuni luoghi come le banche può risultare giustificata l’esigenza di identificare gli autori di un sopralluogo nei giorni precedenti una rapina), è ammesso un
tempo più ampio di conservazione dei dati, che non può comunque superare la settimana.
Un eventuale allungamento dei tempi di conservazione deve essere valutato come eccezionale e comunque in
relazione alla necessità derivante da un evento già accaduto o realmente incombente, oppure alla necessità di
custodire o consegnare una copia specificamente richiesta dall’autorità giudiziaria o di polizia giudiziaria in relazione ad un’attività investigativa in corso.
Il sistema impiegato deve essere programmato in modo da operare al momento prefissato - ove tecnicamente
possibile - la cancellazione automatica da ogni supporto, anche mediante sovra-registrazione, con modalità tali
da rendere non riutilizzabili i dati cancellati.
3.5. Documentazione delle scelte
Le ragioni delle scelte, cui si è fatto richiamo, devono essere adeguatamente documentate in un atto autonomo
conservato presso il titolare e il responsabile del trattamento e ciò anche ai fini dell’eventuale esibizione in
occasione di visite ispettive, oppure dell’esercizio dei diritti dell’interessato o di contenzioso.
3.6. Diritti degli interessati
Deve essere assicurato agli interessati identificabili l’effettivo esercizio dei propri diritti in conformità al Codice, in particolare quello di accedere ai dati che li riguardano, di verificare le finalità, le modalità e la logica
del trattamento e di ottenere l’interruzione di un trattamento illecito, in specie quando non sono adottate
idonee misure di sicurezza o il sistema è utilizzato da persone non debitamente autorizzate (art. 7 del codice).
La risposta ad una richiesta di accesso a dati conservati deve riguardare tutti quelli attinenti alla persona istante
identificabile e può comprendere eventuali dati riferiti a terzi solo nei limiti previsti dal codice (art. 10, commi
3 e seguenti, del codice). A tal fine può essere opportuno che la verifica dell’identità del richiedente avvenga
mediante esibizione o allegazione di un documento di riconoscimento che evidenzi un’immagine riconoscibile
dell’interessato.
Approfondimenti
(continua)
(segue)
ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005
13
Approfondimenti
(continua)
4. Settori specifici
4.1. Rapporti di lavoro
Nelle attività di sorveglianza occorre rispettare il divieto di controllo a distanza dell’attività lavorativa e ciò
anche in caso di erogazione di servizi per via telematica mediante c.d. «web contact center». Vanno poi osservate le garanzie previste in materia di lavoro quando la videosorveglianza è impiegata per esigenze organizzative e dei processi produttivi, ovvero è richiesta per la sicurezza del lavoro (art. 4, legge n. 300/1970; art. 2,
D.Lgs. n. 165/2001).
Queste garanzie vanno osservate sia all’interno degli edifici, sia in altri luoghi di prestazione di lavoro, cosı̀ come, ad esempio, si è rilevato in precedenti provvedimenti dell’Autorità a proposito di telecamere installate su
autobus (le quali non devono riprendere in modo stabile la postazione di guida, e le cui immagini, raccolte per
finalità di sicurezza e di eventuale accertamento di illeciti, non possono essere utilizzate per controlli, anche
indiretti, sull’attività lavorativa degli addetti).
È inammissibile l’installazione di sistemi di videosorveglianza in luoghi riservati esclusivamente ai lavoratori o
non destinati all’attività lavorativa (ad es. bagni, spogliatoi, docce, armadietti e luoghi ricreativi).
Eventuali riprese televisive sui luoghi di lavoro per documentare attività od operazioni solo per scopi divulgativi o di comunicazione istituzionale o aziendale, e che vedano coinvolto il personale dipendente, possono essere assimilati ai trattamenti temporanei finalizzati alla pubblicazione occasionale di articoli, saggi ed altre manifestazioni del pensiero. In tal caso, alle stesse si applicano le disposizioni sull’attività giornalistica contenute
nel Codice, fermi restando, comunque, i limiti al diritto di cronaca posti a tutela della riservatezza, nonché
l’osservanza del codice deontologico per l’attività giornalistica ed il diritto del lavoratore a tutelare la propria
immagine opponendosi anche, per motivi legittimi, alla sua diffusione.
4.2. Ospedali e luoghi di cura
L’eventuale controllo di ambienti sanitari e il monitoraggio di pazienti ricoverati in particolari reparti o ambienti (ad es. unità di rianimazione), stante la natura sensibile di molti dati che possono essere in tal modo raccolti,
devono essere limitati ai casi di stretta indispensabilità e circoscrivendo le riprese solo a determinati locali e a
precise fasce orarie; devono essere inoltre adottati tutti gli ulteriori accorgimenti necessari per garantire un
elevato livello di tutela della riservatezza e della dignità delle persone malate, anche in attuazione delle doverose misure che il Codice prescrive per le strutture sanitarie (art. 83).
Il titolare deve garantire che possano accedere alle immagini solo i soggetti specificamente autorizzati (es. personale medico ed infermieristico) e che le stesse non possano essere visionate da estranei (es. visitatori). Particolare attenzione deve essere riservata alle modalità di accesso alle riprese video da parte di familiari di ricoverati in reparti dove non sia consentito agli stessi di recarsi personalmente (es. rianimazione), ai quali può
essere consentita, con gli adeguati accorgimenti tecnici, la visione dell’immagine solo del proprio congiunto.
Le immagini idonee a rivelare lo stato di salute non devono essere comunque diffuse, a pena di sanzione penale
(artt. 22, comma 8, e 167 del codice). Va assolutamente evitato il rischio di diffusione delle immagini di persone
malate su monitor collocati in locali liberamente accessibili al pubblico.
Nei casi in cui l’impiego di un sistema di videosorveglianza all’interno di una struttura sanitaria non sia finalizzato alla cura del paziente, bensı̀ solo a finalità amministrative o di sicurezza (quali, ad esempio, il controllo
dell’edificio o di alcuni locali), e sia possibile che attraverso lo stesso siano raccolte immagini idonee a rivelare
lo stato di salute, il soggetto pubblico titolare deve menzionare tale trattamento nell’atto regolamentare sui
dati sensibili da adottare in base al codice (art. 20).
4.3. Istituti scolastici
L’eventuale installazione di sistemi di videosorveglianza presso istituti scolastici deve garantire «il diritto dello
studente alla riservatezza» (art. 2, comma 2, D.P.R. n. 249/1998) e tenere conto della delicatezza dell’eventuale
trattamento di dati relativi a minori.
A tal fine, se può risultare ammissibile il loro utilizzo in casi di stretta indispensabilità (ad esempio, a causa del
protrarsi di atti vandalici), gli stessi devono essere circoscritti alle sole aree interessate ed attivati negli orari di
chiusura degli istituti, regolando rigorosamente l’eventuale accesso ai dati.
Restano di competenza dell’autorità giudiziaria o di polizia le iniziative intraprese a fini di tutela dell’ordine pubblico o di individuazione di autori di atti criminali (per es. spacciatori di stupefacenti, adescatori ecc.).
4.4. Luoghi di culto e di sepoltura
L’installazione di sistemi di videosorveglianza presso chiese o altri luoghi di culto o di ritrovo di fedeli deve
essere oggetto di elevate cautele, in funzione dei rischi di un utilizzo discriminatorio delle immagini raccolte
e del carattere sensibile delle informazioni relative all’appartenenza ad una determinata confessione religiosa.
Al fine di garantire il rispetto dei luoghi di sepoltura, l’installazione di sistemi di videosorveglianza deve ritenersi
ammissibile all’interno di tali aree solo quando si intenda tutelarle dal concreto rischio di atti vandalici.
5. Soggetti pubblici
5.1. Svolgimento di funzioni istituzionali
Un soggetto pubblico può effettuare attività di videosorveglianza solo ed esclusivamente per svolgere funzioni
istituzionali che deve individuare ed esplicitare con esattezza e di cui sia realmente titolare in base all’ordinamento di riferimento (art. 18, comma 2, del codice). Diversamente, il trattamento dei dati non è lecito, anche
se l’ente designa esponenti delle forze dell’ordine in qualità di responsabili del trattamento, oppure utilizza un
collegamento telematico in violazione del Codice (art. 19, comma 2, del codice).
Tale circostanza si è ad esempio verificata presso alcuni enti locali che dichiarano di perseguire direttamente, in
via amministrativa, finalità di prevenzione e accertamento dei reati che competono alle autorità giudiziarie e
alle forze di polizia. Vanno richiamate quindi in questa sede le riflessioni già suggerite in passato a proposito
di talune ordinanze comunali in tema di prostituzione in luoghi pubblici (v. provvedimento 26 ottobre
1998, in Bollettino del Garante n. 6/1998, p. 131).
(segue)
14
ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005
Benché effettuata per la cura di un interesse pubblico, la videosorveglianza deve rispettare i principi già richiamati.
Quando il soggetto è realmente titolare di un compito attribuito dalla legge in materia di sicurezza pubblica o
di accertamento, prevenzione e repressione di reati, per procedere ad una videosorveglianza di soggetti identificabili deve ricorrere un’esigenza effettiva e proporzionata di prevenzione o repressione di pericoli concreti
e specifici di lesione di un bene (ad esempio, in luoghi esposti a reale rischio o in caso di manifestazioni che
siano ragionevolmente fonte di eventi pregiudizievoli).
Non risulta quindi lecito procedere, senza le corrette valutazioni richiamate in premessa, ad una videosorveglianza capillare di intere aree cittadine «cablate», riprese integralmente e costantemente e senza adeguate esigenze. Del pari è vietato il collegamento telematico tra più soggetti, a volte raccordati ad un «centro» elettronico, che possa registrare un numero elevato di dati personali e ricostruire interi percorsi effettuati in un determinato arco di tempo.
Risulta parimenti priva di giustificazione l’installazione di impianti di videosorveglianza al solo fine (come risulta
da casi sottoposti al Garante), di controllare il rispetto del divieto di fumare o gettare mozziconi, di calpestare
aiuole, di affiggere o di fotografare, o di altri divieti relativi alle modalità nel depositare i sacchetti di immondizia
entro gli appositi contenitori.
Le specifiche norme di legge o di regolamento e le funzioni legittimamente individuate dall’ente costituiscono
l’ambito operativo entro il quale il trattamento dei dati si intende consentito. Come prescritto dal Codice,
l’eventuale comunicazione a terzi è lecita solo se espressamente prevista da una norma di legge o di regolamento (art. 19, comma 3, del codice).
Il codice individua poi specifiche regole volte invece a consentire, in un quadro di garanzie, riprese audio-video
a fini di documentazione dell’attività istituzionale di organi pubblici (artt. 20-22 e 65 del codice).
Salvo i casi previsti per le professioni sanitarie e gli organismi sanitari, il soggetto pubblico non deve richiedere
la manifestazione del consenso degli interessati (art. 18, comma 4, del codice).
5.2. Informativa
Contrariamente a quanto prospettato da alcuni enti locali, l’informativa agli interessati deve essere fornita nei
termini illustrati nel paragrafo 3.1. e non solo mediante pubblicazione sull’albo dell’ente, oppure attraverso una
temporanea affissione di manifesti. Tali soluzioni possono concorrere ad assicurare trasparenza in materia, ma
non sono di per sé sufficienti per l’informativa che deve aver luogo nei punti e nelle aree in cui si svolge la
videosorveglianza.
5.3. Accessi a centri storici
Qualora introducano sistemi di rilevazione degli accessi dei veicoli ai centri storici e alle zone a traffico limitato,
i comuni dovranno rispettare quanto dettato dal D.P.R. 22 giugno 1999, n. 250. Tale normativa impone ai comuni di richiedere una specifica autorizzazione amministrativa, nonché di limitare la raccolta dei dati sugli accessi rilevando le immagini solo in caso di infrazione (art. 3, D.P.R. n. 250/1999).
I dati trattati possono essere conservati solo per il periodo necessario per contestare le infrazioni e definire il
relativo contenzioso e si può accedere ad essi solo a fini di polizia giudiziaria o di indagine penale.
5.4. Sicurezza nel trasporto urbano
Alcune situazioni di particolare rischio fanno ritenere lecita l’installazione su mezzi di trasporto pubblici di sistemi di videosorveglianza. Tali sistemi di rilevazione sono leciti anche presso talune fermate di mezzi urbani
specie in aree periferiche che spesso sono interessate da episodi di criminalità (aggressioni, borseggi ecc.).
Valgono, anche in questi casi, le considerazioni già espresse a proposito della titolarità in capo alle sole forze di
polizia dei compiti di accertamento, prevenzione ed accertamento di reati, nonché del diritto di accesso alle
immagini conservate per alcune ore, cui si dovrebbe accedere solo in caso di illeciti compiuti.
Negli stessi casi, deve osservarsi particolare cura anche per ciò che riguarda l’angolo visuale delle apparecchiature di ripresa, nella collocazione di idonee informative a bordo dei veicoli pubblici e nelle aree di fermata presso cui possono transitare anche soggetti estranei - e per quanto attiene alla ripresa sistematica di dettagli o
di particolari non rilevanti riguardanti i passeggeri.
5.5. Deposito dei rifiuti
In applicazione dei principi richiamati, il controllo video di aree abusivamente impiegate come discariche di
materiali e di sostanze pericolose è lecito se risultano inefficaci o inattuabili altre misure. Come già osservato,
il medesimo controllo non è invece lecito - e va effettuato in altra forma - se è volto ad accertare solo infrazioni amministrative rispetto a disposizioni concernenti modalità e orario di deposito dei rifiuti urbani.
6. Privati ed enti pubblici economici
6.1. Consenso
A differenza dei soggetti pubblici, i privati e gli enti pubblici economici possono trattare dati personali solo se vi
è il consenso preventivo espresso dall’interessato, oppure uno dei presupposti di liceità previsti in alternativa al
consenso (artt. 23 e 24 del codice).
In caso di impiego di strumenti di videosorveglianza da parte di privati ed enti pubblici economici, la possibilità
di raccogliere lecitamente il consenso può risultare, in concreto, fortemente limitata dalle caratteristiche e dalle modalità di funzionamento dei sistemi di rilevazione, i quali riguardano spesso una cerchia non circoscritta di
persone che non è agevole o non è possibile contattare prima del trattamento. Ciò anche in relazione a finalità
(ad es. di sicurezza o di deterrenza) che non si conciliano con richieste di esplicita accettazione da chi intende
accedere a determinati luoghi o usufruire di taluni servizi.
Il consenso, oltre alla presenza di un’informativa preventiva e idonea, è valido solo se espresso e documentato
per iscritto. Non è pertanto valido un consenso presunto o tacito, oppure manifestato solo per atti o comportamenti concludenti, consistenti ad esempio nell’implicita accettazione delle riprese in conseguenza dell’avvenuto accesso a determinati luoghi.
Approfondimenti
(continua)
(segue)
ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005
15
(continua)
Approfondimenti
Nel settore privato, fuori dei casi in cui sia possibile ottenere un esplicito consenso libero, espresso e documentato, vi può essere la necessità di verificare se esista un altro presupposto di liceità utilizzabile in alternativa
al consenso, come indicato nel paragrafo successivo.
6.2. Bilanciamento degli interessi
6.2.1. Profili generali
Un’idonea alternativa all’esplicito consenso va ravvisata nell’istituto del bilanciamento di interessi (art. 24, comma 1, lett. g), del codice). Il presente provvedimento dà attuazione a tale istituto, individuando i casi in cui la
rilevazione delle immagini può avvenire senza consenso, qualora, con le modalità stabilite in questo stesso
provvedimento, sia effettuata nell’intento di perseguire un legittimo interesse del titolare o di un terzo attraverso mezzi di prova o perseguendo fini di tutela di persone e beni rispetto a possibili aggressioni, furti, rapine,
danneggiamenti, atti di vandalismo, o finalità di prevenzione di incendi o di sicurezza del lavoro.
Considerata l’ampia serie di garanzie e condizioni sopra indicate, non appare necessario che il Garante, per
alcuni trattamenti in ambito privato di seguito indicati, prescriva ulteriori condizioni e limiti oltre quelli già richiamati in premessa.
6.2.2. Registrazione delle immagini
I trattamenti di dati possono essere più invasivi rispetto alla semplice rilevazione, qualora siano registrati su
supporti oppure abbinati ad altre fonti o conservati in banche di dati, talora solo per effetto di un dispositivo
di allarme programmato. E ciò in considerazione delle molteplici attività di elaborazione cui i dati, possono
essere sottoposti anche ad altri fini.
In presenza di concrete ed effettive situazioni di rischio tali registrazioni sono consentite a protezione delle
persone, della proprietà o del patrimonio aziendale (ad esempio, rispetto a beni già oggetto di ripetuti e gravi
illeciti), relativamente all’erogazione di particolari servizi pubblici (si pensi alle varie forme di trasporto) o a
specifiche attività (che si svolgono ad esempio in luoghi pubblici o aperti al pubblico, o che comportano la presenza di denaro o beni di valore, o la salvaguardia del segreto aziendale od industriale in relazione a particolari
tipi di attività).
6.2.3. Videosorveglianza senza registrazione
Nei casi in cui le immagini sono unicamente visionate in tempo reale, oppure conservate solo per poche ore
mediante impianti a circuito chiuso (Cctv), possono essere tutelati legittimi interessi rispetto a concrete ed
effettive situazioni di pericolo per la sicurezza di persone e beni, anche quando si tratta di esercizi commerciali
esposti ai rischi di attività criminali in ragione della detenzione di denaro, valori o altri beni (es., gioiellerie,
supermercati, filiali di banche, uffici postali). La videosorveglianza può risultare eccedente e sproporzionata
quando sono già adottati altri efficaci dispositivi di controllo o di vigilanza oppure quando vi è la presenza
di personale addetto alla protezione.
Nell’uso delle apparecchiature volte a riprendere, per i legittimi interessi indicati, aree esterne ad edifici e immobili (perimetrali, adibite a parcheggi o a carico/scarico merci, accessi, uscite di emergenza), il trattamento deve
essere effettuato con modalità tali da limitare l’angolo visuale all’area effettivamente da proteggere, evitando la
ripresa di luoghi circostanti e di particolari non rilevanti (vie, edifici, esercizi commerciali, istituzioni ecc.).
6.2.4. Videocitofoni
Sono ammissibili per identificare coloro che si accingono ad entrare in luoghi privati videocitofoni o altre apparecchiature che rilevano immagini o suoni senza registrazione. Tali apparecchiature sono dislocate abitualmente all’ingresso di edifici o immobili in corrispondenza di campanelli o citofoni, appunto per finalità di controllo dei visitatori che si accingono ad entrare. La loro esistenza deve essere conosciuta attraverso una informativa agevolmente rilevabile, quando non sono utilizzati per fini esclusivamente personali (art. 5, comma 3 del
codice).
Altri dispositivi di rilevazione e controllo, invece, spesso non sono facilmente individuabili anche per mancanza
di informativa, né la loro collocazione è altrimenti segnalata. In alcuni casi, poi, più telecamere collocate anche
all’interno di un edificio (pianerottoli, corridoi, scale) si attivano contemporaneamente e, sia pure per un tempo limitato, riprendono le persone fino all’ingresso negli appartamenti. Anche in questi casi è necessaria una
adeguata informativa.
6.2.5. Riprese nelle aree comuni
L’installazione degli strumenti descritti nel paragrafo precedente, se effettuata nei pressi di immobili privati e
all’interno di condominii e loro pertinenze (es. posti auto, box), benché non sia soggetta al Codice quando i
dati non sono comunicati sistematicamente o diffusi, richiede comunque l’adozione di cautele a tutela dei terzi
(art. 5, comma 3, del codice). Al fine di evitare di incorrere nel reato di interferenze illecite nella vita privata
(art. 615 bis cod. pen.), l’angolo visuale delle riprese deve essere limitato ai soli spazi di propria esclusiva pertinenza, ad esempio antistanti l’accesso alla propria abitazione, escludendo ogni forma di ripresa anche senza
registrazione di immagini relative ad aree comuni (cortili, pianerottoli, scale, garage comuni) o antistanti l’abitazione di altri condomini.
Il Codice trova invece applicazione in caso di utilizzazione di un sistema di ripresa di aree condominiali da parte
di più proprietari o condomini, oppure da un condominio, dalla relativa amministrazione (comprese le amministrazioni di residence o multiproprietà), da studi professionali, società o da enti no-profit.
L’installazione di questi impianti è ammissibile esclusivamente in relazione all’esigenza di preservare la sicurezza
di persone e la tutela di beni da concrete situazioni di pericolo, di regola costituite da illeciti già verificatisi,
oppure nel caso di attività che comportano, ad esempio, la custodia di denaro, valori o altri beni (recupero
crediti, commercio di preziosi o di monete aventi valore numismatico).
La valutazione di proporzionalità va effettuata anche nei casi di utilizzazione di sistemi di videosorveglianza che
non prevedano la registrazione dei dati, in rapporto ad altre misure già adottate o da adottare (es. sistemi comuni di allarme, blindatura o protezione rinforzata di porte e portoni, cancelli automatici, abilitazione degli
accessi).
(segue)
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ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005
7. Prescrizioni e sanzioni
Il Garante invita tutti gli operatori interessati ad attenersi alle prescrizioni illustrate e a quelle definite opportune parimenti indicate nel presente provvedimento, in attesa dei più specifici interventi che potranno derivare
in materia da un c.d. provvedimento di verifica preliminare di questa Autorità (art. 17 del codice), oppure dal
codice deontologico che il Garante ha promosso per disciplinare in dettaglio altri aspetti del trattamento dei
dati personali effettuato «con strumenti elettronici di rilevamento di immagini» (art. 134 del codice).
Le misure necessarie prescritte con il presente provvedimento devono essere osservate da tutti i titolari di
trattamento. In caso contrario il trattamento dei dati è, a seconda dei casi, illecito oppure non corretto, ed
espone:
all’inutilizzabilità dei dati personali trattati in violazione della relativa disciplina (art. 11, comma 2, del codice);
all’adozione di provvedimenti di blocco o di divieto del trattamento disposti dal Garante (art. 143, comma 1,
lett. c), del codice), e di analoghe decisioni adottate dall’autorità giudiziaria civile e penale;
all’applicazione delle pertinenti sanzioni amministrative o penali (artt. 161 e seguenti del codice).
Tutto ciò premesso il garante:
1) prescrive ai titolari del trattamento nei settori interessati, ai sensi dell’art. 154, comma 1, lett. c), del codice,
le misure necessarie ed opportune indicate nel presente provvedimento al fine di rendere il trattamento conforme alle disposizioni vigenti;
2) individua, nei termini di cui in motivazione, ai sensi dell’art. 24, comma 1, lett. f) del codice, i casi nei quali il
trattamento dei dati personali mediante videosorveglianza può essere effettuato da soggetti privati ed enti pubblici economici, nei limiti e alle condizioni indicate, per perseguire legittimi interessi e senza richiedere il consenso degli interessati;
3) individua in allegato un modello semplificato di informativa utilizzabile alle condizioni indicate in motivazione.
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ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005
Approfondimenti
(continua)
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Sicurezza nei cantieri
Proposte operative
per la stima dei costi
nei cantieri
Premessa
Nell’ambito della sicurezza
nei cantieri temporanei e mobili la stima dei costi si è rivelata un argomento ostile per i
soggetti coinvolti. Si sono registrati interventi di vario
orientamento nel corso degli
anni dall’entrata in vigore del
D.Lgs. n. 494/1996 (marzo
1997), la cosiddetta «direttiva
cantieri» per le sue origini europee, di cui alcuni drasticamente lontani dalla realtà fattuale perché slegati dal contesto in cui va ad inserirsi l’argomento, ossia la preventivazione e la contabilità dei lavori; altri, invece, di recente pubblicazione,
sostanzialmente
accettabili (1).
Anche dopo gli ultimi interventi legislativi, la stima dei
costi inerenti la sicurezza sui
cantieri temporanei e mobili
resta affetta da un alone di incertezza.
Ci si propone, con questo lavoro, di fare un riepilogo sia normativo che procedurale e di
lanciare proposte operative a
vantaggio dei soggetti coinvolti, principalmente del coordinatore per la progettazione (CP),
del coordinatore per l’esecuzione dei lavori (CEL) e delle
imprese appaltatrici.
Il quadro
normativo
Si delinea brevemente il quadro normativo sull’argomento,
a partire dal D.Lgs. n. 494/
1996.
L’esordio sulle modalità di
conduzione della stima dei costi è dovuto al D.P.R. n. 554/
1999 (Regolamento di attua-
zione sulla legge dei lavori
pubblici), il quale all’art. 34
fornisce indicazioni per la
«Stima sommaria dell’intervento e delle espropriazioni
del progetto definitivo»: «La
stima sommaria dell’intervento consiste nel computo metrico-estimativo ... b) aggiungendo all’importo cosı̀ determinato una percentuale per le spese
relative alla sicurezza; ...» (2).
Ancora in ambito LL.PP. il
successivo D.M. (Lavori Pubblici) 19 aprile 2000, n. 145
(Regolamento recante il Capitolato generale d’appalto) all’art. 5, trattando di «cantieri,
attrezzi, spese ed obblighi generali a carico dell’appaltatore», afferma che sono «... a carico dell’appaltatore: a) le spese per l’impianto, la manutenzione e l’illuminazione dei
cantieri, con esclusione di
quelle relative alla sicurezza
nei cantieri stessi; ... c) le spese per attrezzi e opere provvisionali e per quanto altro occorre alla esecuzione piena e
perfetta dei lavori; ... i) le spese di adeguamento del cantiere
in osservanza del D.Lgs. n.
626/1994, e successive modificazioni. ...» (3).
Il D.Lgs. 15 novembre 1999,
n. 528, apportatore di modifiche ed integrazioni al precedente D.Lgs. n. 494/1996, all’art. 12 «Piano di sicurezza e
coordinamento» aggiunge che
i «... costi ...» (della sicurezza)
«non sono soggetti a ribasso
nelle offerte delle imprese esecutrici ...» (4).
La successiva legge 7 novembre 2000, n. 327 «Valutazione
di costi del lavoro e della sicurezza nelle gare di appalto»,
pur non introducendo dettami
tecnici nuovi, conferma la linea guida già tracciata in tema
di costi, valida anche negli
ambiti di esclusione della legge n. 109/1994 sui lavori pubblici, ossia: «... gli enti aggiudicatori sono tenuti ... a considerare i costi relativi alla sicurezza, che devono essere specificamente indicati e risultare
congrui rispetto all’entità e alle caratteristiche dei servizi o
delle forniture ...» (5).
Il quadro normativo attuale è
completato dal D.P.R. 3 luglio
2003, n. 222 (Regolamento di
attuazione sui contenuti minimi dei PSC): all’art. 7 tratta
in modo assai esteso (se rapportato ai precedenti pronunciamenti normativi) della stima dei costi, e tra l’altro:
riporta un elenco, sia pure
indicativo e non esaustivo,
dei fattori di costo;
nell’ambito dei LL.PP. ribadisce la necessità della loro stima anche per appalti «sotto
soglia», ossia senza obbligo
da parte della committenza
della nomina dei coordinatori;
precisa, pur se in modo descrittivo, che la stima deve essere congrua e analitica;
indica in modo perentorio
che l’importo relativo alla sicurezza non è aggiuntivo al
prezzo totale ma costituisce
parte di esso.
Il quadro normativo evocato
appare delineare l’argomento
in esame, ma senza sufficiente
precisione e, sostanzialmente,
senza contorni operativi chiari.
Infatti, da un lato è completa-
Nota:
Approfondimenti
Michele Giovannetti Ingegnere civile
3 Le note da 1 a 12 rinviano alla bibliografia alla
fine del testo.
ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005
19
Approfondimenti
20
mente da abbandonare l’asserto introdotto dal D.P.R. n.
554/1999 che vede il calcolo
della sicurezza in percentuale
aggiuntiva sull’importo totale
del computo estimativo; grave
errore, sia di principio che di
fatto. Errore di principio, perché non si fa alcuna distinzione in tema di costi, oltre ad introdurre il concetto fuorviante
dei «costi aggiuntivi», lasciando trasparire il dubbio che prima dell’emanazione di questo
decreto non si attuasse alcuna
misura di prevenzione e protezione; errore di fatto, perché è
concretamente impossibile stabilire a priori l’importo della
sicurezza mediante una percentuale globale, in assenza
di valutazioni specifiche.
Dall’altro lato, tuttavia, le norme successive sono intervenute apportando integrazioni e
miglioramenti, quali:
il D.M. n. 145/2000 afferma
che le spese della sicurezza
non gravano sull’appaltatore
ponendosi quindi sulla falsariga tracciata dal D.Lgs. n. 494/
1996: la committenza ha il
compito di gestire la «progettazione e realizzazione della sicurezza» cosı̀ come altri settori
dell’appalto
(architettonico,
strutturale, ecc.), per cui deve
sopportarne i relativi oneri. Viceversa l’appaltatore deve farsi
carico degli oneri derivanti
dall’applicazione del D.Lgs.
n. 626/1994, non specificati
ma identificabili in compiti ed
obblighi di carattere generale,
tipo la redazione del POS, l’organizzazione dei presidi sanitari e del Pronto Soccorso aziendale, l’attività di formazione ed
informazione delle maestranze,
ecc. Ciò è altresı̀ confermato
dall’ordinamento giuridico generale con l’art. 2087 del cod.
civ. secondo il quale «l’imprenditore è tenuto ad adottare,
nell’esercizio dell’impresa, le
misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e
la tecnica, sono necessarie a
tutelare l’integrità fisica e la
personalità morale dei prestatori di lavoro»;
dalla legge n. 327/2000 si
desume la necessità di una valutazione attenta e specifica
dei costi per l’appalto in og-
getto, il loro inserimento in sede di bando di gara e di conseguenza l’esclusione dal prezzo
dell’appalto offerto;
in ultimo, il D.P.R. n. 222/
2003 ha il merito di aver riportato nel giusto alveo la stima in
esame, affermando che deve
essere congrua ed analitica
(quindi sono escluse stime a
corpo o in percentuale globale,
verosimilmente superficiali ed
imprecise); colloca altresı̀ tale
importo di stima all’interno
del prezzo dell’appalto, smentendo in modo definitivo le
proiezioni sull’andamento dei
costi fatte all’indomani dell’emanazione del D.Lgs. n. 494/
1996 che vedevano in tale norma la causa di un repentino
quanto improvvido aumento
dei costi di costruzione. In
realtà, l’unico onere aggiuntivo
reale per l’impresa è costituito
dalla redazione del POS, per
la verità non nuovo in assoluto
perché già introdotto con la
legge n. 55/1990, la quale, all’art. 18, pone a carico dell’appaltatore la predisposizione del
PSC nell’ambito dei LL.PP.,
quindi l’antesignano dell’odierno POS. Gli unici costi aggiuntivi conseguenti alla direttiva cantieri derivano dalle prestazioni professionali dei coordinatori, posti a carico della
committenza perché di sua nomina, visto che ad essa spetta
la gestione generale della sicurezza, non più delegata di fatto,
come nel passato, in modo
esclusivo all’appaltatore.
Tuttavia ad oggi rimangono
incertezze e lacune riguardo
alla stima dei costi, in particolare sulla loro natura e origine
(ad esempio costi diretti e/o
speciali?), alla loro connessione con le modalità di preventivazione dell’appalto e con la
contabilità dei lavori. Aspetti
non secondari visto che stiamo
definendo la faccia monetaria
della sicurezza, legata da un
lato all’importo dell’appalto aspetto prioritario per la committenza - da un altro lato al
costo di costruzione, ossia ai
costi di produzione dell’industria delle costruzioni, evidentemente impegnata alla riduzione dei costi come qualsiasi
altra impresa industriale.
ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005
I costi diretti
e i costi speciali
Acquisito il concetto secondo
cui la sicurezza in ambito professionale richiede misure prevenzionali di tipo attivo e passivo, misure ed interventi organizzativi, ad essa sono associati dei costi che necessariamente dobbiamo definire prima della loro stima. Sostanzialmente a partire dall’anno
2000 si sono affermati due
orientamenti nella definizione
dei costi sul cantiere temporaneo e mobile.
Il primo vede tali costi come la
somma di due componenti:
una legata al costo del lavoro,
quindi posta in relazione alle
tipologie e quantità di lavoro
prodotto (costo diretto); la seconda dettata dalle specifiche
misure richieste dal CP nel
PSC (costi speciali o indiretti).
Il secondo orientamento, sposato di fatto dal D.P.R. n.
222/2003, estende la stima
dei costi solo ai costi speciali,
quindi: apprestamenti previsti
nel PSC; misure preventive,
protettive e DPI eventualmente previsti nel PSC per lavorazioni interferenti; impianti di
terra e di protezione contro le
scariche atmosferiche; ecc.
L’approccio esatto, anche se
più laborioso, tra i due richiamati è il primo, fondato sulla
stima diversificata tra costi diretti e speciali; purtroppo è stato ignorato dal regolamento attuativo emanato con il D.P.R.
n. 222/2003. Il suo iter legislativo, ben evocato in (1), spiega
le origini di tale lacuna, anche
se esse non possono essere invocate a giustificazione validante visto che stiamo trattando di norme tecniche, le quali,
per definizione, devono essere
chiare, semplici e soprattutto
facilmente applicabili, sia a
vantaggio dei soggetti coinvolti chiamati ad osservarle,
sia per gli organi di vigilanza
chiamati a verificarne la concreta attuazione e quindi a fornire giudizi di merito (vedi i
Dipartimenti di prevenzione
delle AUSL).
Gli assertori dell’approccio
dettato dal D.P.R. n. 222/
La composizione
dei prezzi
e dei costi unitari
Il prezzo unitario Pi nell’ambito dell’impresa in genere, sia
appartenente al settore industriale o al comparto dei servizi, è notoriamente il risultato
di tre componenti:
Pi ¼ Ci þ (Sg)i þ Ui
al costo di produzione Ci si
sommano le spese generali
(Sg)i e gli utili dell’impresa Ui.
Nell’industria delle costruzioni il costo unitario Ci è a sua
volta composto da vari fattori:
Ci ¼ Cforn þ Cman þ Cnoli þ Csic
alle forniture dei materiali
(Cforn) si somma la mano d’opera (Cman), comprensiva sia
della quota fiscale che degli
oneri sociali, quindi i costi
per noli, per l’impiego di macchine o attrezzature proprie
(Cnoli), e infine il costo della
sicurezza (Csic). Tale costo si
definisce «diretto» perché legato direttamente al costo di
produzione e quindi al prezzo
unitario della lavorazione.
Appare chiaro che il costo diretto è costituito ordinariamente dall’onere dettato dalle misure prevenzionali riguardo la
salute e la sicurezza delle maestranze, quindi l’eliminazione
o la riduzione del rischio,
identificabili sostanzialmente
in tutto quanto prescritto dal
corpus normativo che dalla
metà degli anni 1950 sino ad
oggi è andato formandosi. In
altri termini, è l’onere che
l’appaltatore avrebbe comunque sostenuto prima dell’emanazione del D.Lgs. n. 494/
1996; su tale base si afferma
che lo stesso decreto non ha
apportato al settore costi aggiuntivi.
Vediamo un esempio: nel
montaggio del ponteggio metallico fisso la norma prescrive
un adeguato impalcato per la
prevenzione della caduta dall’alto di persone e materiali;
anche in assenza di tale prescrizione l’impresa metterebbe
in opera il componente «impalcato», perché in primo luogo ha la funzione di camminamento alla quota richiesta per
l’esecuzione delle lavorazioni.
La norma prevenzionale aggiunge e specifica alcuni
aspetti del componente: le dimensioni del camminamento,
l’accostamento perfetto delle
tavole, ecc.
Viceversa il costo diretto non
comprende l’evocato adeguamento dell’impresa agli obbli-
ghi imposti dal D.Lgs. n. 626/
1994 perché tali oneri fanno
parte delle spese generali trattandosi di incombenze di carattere generale, non specifiche del singolo cantiere (la
sorveglianza sanitaria, l’onorario del medico competente,
ecc.).
Il ribasso di gara
e il prezzo offerto
Investendo anche l’aspetto
monetario, la sicurezza nel
cantiere temporaneo ha inevitabilmente relazione con la
preventivazione dell’importo
dei lavori, con l’offerta dell’appaltatore e con la contabilità dei lavori.
In primo luogo, l’offerta dell’appaltatore si definisce al netto dei costi della sicurezza (vedi art. 12, D.Lgs. n. 494/1996
modificato dal D.Lgs. n. 528/
1999) perché la salute e sicurezza delle maestranze non
può essere oggetto di sconti
e/o risparmi da parte dell’appaltatore, trattandosi di un diritto fondamentale garantito
dalla Costituzione (art. 32).
D’altro canto uno degli obiettivi della microeconomia è
proprio quello di rispondere
al quesito della formazione
dei prezzi, unito al principio
generale dell’impresa in regime di libero mercato: la massimizzazione dei profitti. Infatti
«... Cos’è un’impresa? In breve, possiamo definirla come
un’unità che produce beni e
servizi per venderli. A differenza delle istituzioni senza fini di lucro ... le imprese cercano di realizzare un profitto ...»
(6), e si ipotizza che cerchino
di massimizzarlo. Nell’industria delle costruzioni ciò avviene, per consolidata esperienza, nell’ambito del singolo
cantiere a causa della particolarità aziendale; ogni cantiere
è visto come una parte dell’azienda dislocata fuori sede, la
cui vita coincide con l’appalto.
Viceversa «... la definizione di
profitto adottata dalla letteratura economica non coincide
con quella contabile ... l’esperto di contabilità ... suppone infatti che l’impresa cerchi di
ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005
Approfondimenti
2003 adducono a loro favore
motivazioni varie, tra cui:
l’esiguità dell’importo totale
dei costi diretti e quindi l’ininfluenza in termini di ribasso.
Fatto smentito categoricamente
dalle entità monetarie in giuoco, visto che trattando di percentuali globali aventi l’ordine
di grandezza del 4-5%, la somma dedicata alla sicurezza risulta dell’ordine di 5.000 euro
per un importo lavori di «soli»
100.000 euro, relativo per
esempio ad una ristrutturazione edile di medie dimensioni;
il costo diretto è valutato in
percentuale sul prezzo a cui
segue che, a parità di tipologia
di lavoro, l’entità della sicurezza è variabile in funzione
della classe del prezzo: conseguenza inaccettabile. Premesso che la valutazione in percentuale è solo una modalità
di stima, certamente la più rapida, di fatto il costo diretto
dovrebbe essere estrapolato
dall’analisi del prezzo unitario,
operazione spesso elusa perché non richiesta espressamente (in particolare negli appalti
privati), ma che consente la
corretta individuazione del costo diretto. In ogni caso pur
nell’ambito della stima in percentuale, questa può essere variata in ragione del lavoro e
delle sue condizioni.
Si conclude che la stima dei
costi relativi alla sicurezza sul
cantiere temporaneo e mobile
non può prescindere dalle due
componenti richiamate; esse
sono reputate complementari,
integrandosi altresı̀ con i costi
di costruzione e i prezzi unitari.
Appare necessario analizzare la
relazione con quest’ultimi.
Si esaminano le ragioni di
principio e di fatto che concorrono alla formazione dei prezzi unitari e dei costi.
21
Approfondimenti
22
massimizzare la somma dei
profitti relativi ad un lungo arco di tempo, attualizzati in
modo opportuno...» (7). Tale
principio base è connesso ad
altri fattori quali il contenimento dei costi e le barriere alle imprese entranti in regime
di libera concorrenza, aspetti
forse non adeguatamente studiati nell’industria delle costruzioni ma sicuramente presenti nell’attuale congiuntura
che vede la stragrande maggioranza delle imprese avere
dimensioni piccole (fino a 10
addetti), e come tali destinate
alla maggiore volubilità, quindi ingresso-uscita dal mercato.
Si pone pertanto il problema
della riduzione dei costi e, in
genere, in tale ambito «... le
economie di scala possono influenzare il margine del prezzo
sui costi ...» (8). D’altro canto
è altresı̀ accertato che «... la
misura della redditività che appare appropriata per il modello
di massimizzazione del profitto è il margine prezzo-costo,
...» (9). In tale relazione uno
degli aspetti su cui l’imprenditore può agire in modo disinvolto sono le misure prevenzionali, perché paradossalmente possiamo vederle come
misure di tipo virtuale, ossia
se ben attuate sono destinate
ad impedire un evento (il danno); quindi di fatto appaiono
improduttive perché invisibili.
Per altro verso la riduzione dei
costi e le economie di scala richiamano pure la teoria della
«struttura-condotta-risultati»,
ossia il concetto secondo il
quale i risultati sia qualitativi,
ma soprattutto di profitto, sono
legati in modo diretto alle dimensioni aziendali. La relazione è valida anche nel settore
delle costruzioni, ma è influenzata altresı̀ da scelte strategiche aziendali, quali la volontà o meno di estendere il
bacino geografico di lavoro,
l’entità del parco macchine
ed attrezzature; pertanto è degno di altre valutazioni che
esulano da questa sede.
Alla luce di quanto sopra, appare estremamente opportuna
l’indicazione del D.Lgs. n.
528/1999 riguardo all’esclusione tassativa dei costi della
sicurezza dal ribasso di gara,
siano essi diretti o speciali; viceversa sono soggetti a ribasso
gli oneri posti a carico dell’appaltatore dal D.M. 19 aprile
2000, n. 145 relativi alle «...
spese di adeguamento del cantiere in osservanza del D.Lgs.
n. 626/1994, e successive modificazioni. ...» (3). Tali spese
si identificano verosimilmente
negli oneri per:
la redazione del POS;
la predisposizione del servizio di pronto soccorso aziendale sul cantiere;
la sorveglianza sanitaria e in
generale le incombenze del
medico competente;
gli obblighi di carattere formativo e informativo verso i
lavoratori; ecc.
In definitiva il «prezzo dei lavori» richiamato dallo stesso
D.M. n. 145/2000 all’art. 5 si
identifica con l’offerta economica prodotta dall’appaltatore
in fase di gara al netto dei costi
sopra descritti, a cui si sommano i costi diretti e indiretti oggetto di stima da parte del CP.
La stima del costo
diretto e del costo
speciale
In modo prudenziale si usa il
termine «stima» e non «calcolo» visto che la quantificazione dei costi, quali che essi siano, è oggetto di studio e analisi con valutazioni specifiche
per il singolo cantiere, a discrezione del CP.
I costi diretti
La loro stima può essere affrontata in modo analitico o
semplificato, sempre sulla base del computo metrico-estimativo redatto dal progettista.
Nel metodo analitico si esegue
l’analisi dei prezzi unitari, ciascuno di essi relativo ad un articolo di lavoro, nell’ambito
della quale si inserisce il costo
diretto della sicurezza. Un ausilio in merito è offerto da alcune pubblicazioni specifiche
offerte dall’editoria tecnica
(10 e 11).
Con il metodo semplificato il
ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005
costo è individuato in percentuale sul prezzo dell’articolo;
anche in questo caso la letteratura viene in soccorso proponendo tabelle riepilogative di
tali percentuali; tra le più diffuse si ricorda il Bollettino Ingegneri della Toscana, Organo Ufficiale del Collegio Ingegneri della Toscana, con una
sezione dedicata allo scopo.
L’entità numerica delle percentuali fornite deve sempre
intendersi con valore indicativo, da specializzare a cura
del CP per il singolo cantiere.
I costi speciali
A seguito delle prescrizioni
operative predisposte dal CP
nel PSC, si può stendere la loro quantificazione e quindi anche la stima monetaria; un
elenco non esaustivo è riportato nello stesso D.P.R. n. 222/
2003 all’art. 7, comma 1. Merita qualche considerazione
particolare la lett. e) dello stesso articolo indicante i costi relativi a «... procedure contenute nel PSC e previste per specifici motivi di sicurezza»; è
una descrizione generica che
può essere tradotta in termini
di opere e prescrizioni quali:
particolari opere provvisionali per l’incolumità delle
maestranze e/o dei passanti
(ad esempio vie di transito
protette, mantovane parasassi,
ponteggi aventi configurazioni
particolari nei centri storici);
ausilio di persone a terra per
la regolamentazione del traffico sia pedonale che veicolare;
protezione e schermatura di
linee elettriche aeree o loro disattivazione temporanea;
misure particolari negli scavi in presenza di condotte interrate quali metanodotto, elettrodotto (eventuale disattivazione temporanea);
misure di sostegno delle pareti di scavo, sia in trincea che
a larga sezione;
opere di puntellamento e sostegno per demolizioni parziali;
progetto della demolizione
ed eventuali opere di sostegno
per demolizioni complete.
Tuttavia frequentemente le
turazione edile, dove al più è
necessario l’installazione di
un WC chimico, il costo generale delle misure igienico-sanitarie si riflette solo in minima
parte sui «costi speciali di sicurezza».
L’impianto elettrico
di cantiere
Viene ormai realizzata per
l’ordinaria delimitazione dell’area di cantiere, specialmente
in ambiente urbano; essa allo
stesso tempo ha il ruolo di barriera anti-intrusione per i non
addetti.
Nel caso di un cantiere edile
oppure stradale collocato in
centro storico la funzione prevalente è la protezione dei pedoni e/o delle maestranze,
quindi si identifica completamente nei costi speciali; viceversa per un cantiere posto in
zona periferica, a basso traffico o in zona poco urbanizzata,
la situazione è duale: il suo costo è prevalentemente di ordine generale e solo in parte attribuibile ai «costi speciali di
sicurezza».
È l’impianto più ricorrente sul
cantiere edile, comunque realizzato per l’alimentazione
delle ordinarie apparecchiature. Tuttavia se il CP avanza richieste o prescrizioni riguardo
alla costituzione del cavo (ad
esempio per i flessibili), al tipo
di alimentazione (ad esempio
per locali cosiddetti «bagnati»), ecc., tutto ciò comporta
oneri aggiuntivi. In presenza
di un cantiere senza particolari
prescrizioni, l’onere dell’impianto elettrico è in larga parte
un costo ordinario non afferente la sicurezza (salvo la parte della linea di terra per la
protezione contro i contatti indiretti); al contrario in presenza di particolari prescrizioni
può essere assimilato completamente ai «costi speciali di sicurezza».
Questi semplici esempi mostrano che la corretta stima
dei «costi speciali di sicurezza» si basa sull’analisi delle
singole opere o prescrizioni
originanti detti costi, sulla falsariga di un computo metricoestimativo, con articoli preferibilmente a corpo anziché a misura, trattandosi di una stima.
Le misure
igienico-sanitarie
Esempio di stima
dei costi diretti
Rese obbligatorie sino dagli
anni 1950, la necessità degli
apprestamenti igienico-sanitari
è stata ribadita dalle misure
generali di tutela richiamate
dal D.Lgs. n. 494/1996.
Nel caso in cui non sia reperibile alcun locale in sito da adibire a spogliatoio, locale refezione, WC, e il cantiere è posto in zona di aperta campagna, il loro costo può essere
identificato in larga parte come «costo speciale di sicurezza». Viceversa, in una ristrut-
Nelle tabelle 1 e 2 si riporta un
esempio di stima del costo diretto della sicurezza con riferimento ad una categoria di lavoro ricorrente, la costruzione
di tramezzi con mattoni forati.
Nella tabella 1 è riportato l’esempio numerico con il metodo dell’analisi del prezzo unitario: si osservi che il costo
della sicurezza è aggiuntivo rispetto alle spese generali e agli
utili di impresa; trattandosi di
costo diretto, quindi afferente
l’organizzazione
aziendale,
La recinzione di cantiere
potrebbe anche essere assoggettato alle Spese generali.
Nella tabella 2 si trova l’applicazione del metodo semplificato con la stima in percentuale, valutabile per tale lavoro
nell’1-2%; il prezzo di riferimento è estrapolato dai prezziari di corrente impiego.
Esempio di stima
dei costi speciali
Nella tabella 3 si riporta un
esempio di stima dei costi speciali, con riferimento ad un appalto edile di ristrutturazione
per un fabbricato destinato ad
abitazione, posto in zona urbana periferica; il valore di riferimento dell’importo lavori
(escluso gli oneri di sicurezza)
ammonta a circa 130.000,00
euro . La stima si basa su considerazioni procedurali, quali:
una parte dell’area di cantiere è già delimitata dalla recinzione fissa, quindi funzionale
allo scopo del cantiere;
i locali di tipo igienico-sanitario ad eccezione del WC sono reperibili all’interno del
fabbricato;
non si pongono problematiche particolari per la protezione di passanti e/o delle maestranze accertata la notevole
estensione dell’area di pertinenza del fabbricato.
Preventivazione
e contabilità
dei lavori
Sotto l’aspetto operativo la stima dei costi è direttamente
correlata alla fase di preventivazione dell’appalto, ossia alla
predisposizione della documentazione di progetto (computo metrico-estimativo preventivo) e della gara di appalto, oltre che alla fase di contabilità dei lavori.
Operando con i costi diretti e
speciali la procedura è più
complessa, ma mitigata dall’ausilio degli strumenti informatici, ormai diffusi. Il metodo di automazione di tale procedura è indicato dalla determinazione Autorità Vigilanza
ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005
Approfondimenti
opere che creano i presupposti
per i costi speciali spesso rivestono anche il ruolo di opere
di servizio, ossia opere che comunque sarebbero realizzate
anche se per ipotesi l’appaltatore volesse eludere qualsiasi
misura di prevenzione, e in tale intenzione non facenti parte
dei costi speciali. Spetta dunque al CP valutare l’aliquota
di costo afferente all’area funzionale della sicurezza, specificarlo chiaramente nell’ambito della stima in modo che in
sede di gara non sorgano dubbi interpretativi e tutte le imprese partecipanti siano poste
sullo stesso piano. Vediamo
qualche esempio.
23
Lavori Pubblici 10 gennaio
2001, n. 2 (12).
mente al calcolo dell’incidenza del costo della mano d’opera per ognuna delle categorie
generali e specializzate di cui
si compone l’intervento ...»
(12). Essa precisa altresı̀ che
«... La stima complessiva delle
spese di sicurezza si compone
di due parti, una parte compresa nel prezzo unitario delle
singole lavorazioni (D.M. 19
aprile 2000, n. 145, art. 5,
Determinazione A.V.LL.PP.
10 gennaio 2001, n. 2
La determinazione è stata
emanata a seguito di quesiti
posti all’Autorità per chiarimenti in merito agli oneri di
sicurezza originati dalla precedente determinazione n. 37/
2000, «... finalizzata principal-
comma 1, lett. i) ed una parte
di spese cosiddette speciali
non incluse nei prezzi (D.M.
19 aprile 2000, n. 145, art. 5,
comma 1, lett. a). La loro somma rappresenta il costo della
sicurezza non soggetto a ribasso ... porta alla determinazione
delle spese complessive della
sicurezza SCS e, di conseguenza, anche di IS (incidenza
media della sicurezza)...» (12).
Approfondimenti
Tabella 1 - Costo direttiva della sicurezza di muratura per tramezzi: analisi
del prezzo unitario
24
Lavori di:
esecuzione di muratura in mattoni forati 8 x 13 x 26 cm posti «a coltello»
unità di riferimento = mq
Nº
descrizione
UM
nº
quant.
prezzo unit.
importo
30
0,26
7,80
1
fornitura mattoni forati
2
fornitura e posa di malta bastarda
mc/mq
0,020
92,00
1,84
3
mano d’opera: operaio qualificato
h/mq
0,45
19,30
8,69
4
mano d’opera: operaio comune
h/mq
0,40
17,80
7,12
totale costo (Euro/mq) =
25,45
spese generali impresa (Euro) =
12%
3,05
utili impresa (Euro) =
10%
2,85
prezzo unitario netto (Euro/mq) =
31,35
COSTI DIRETTI DI SICUREZZA
5
mano d’opera aggiuntiva (circa 0,5 h/giornata)
h/mq
0,015
17,80
0,27
6
incidenza attrezzature e DPI (guanti, scarpe,
ecc.)
corpo
1,00
0,30
0,30
totale costo diretto sicurezza (Euro/mq) =
0,57
PREZZO UNITARIO DI APPLICAZIONE (Euro/mq) =
31,92
Tabella 2 - Costo direttiva della sicurezza di muratura per tramezzi: stima
in percentuale
Lavori di:
esecuzione di muratura in mattoni forati 8x13x26 cm posti «a coltello»
unità di riferimento = mq
Nº
descrizione
ARTICOLO DI LAVORO
1
esecuzione di muratura in mattoni forati 8x13x26 cm, compreso spese generali e utili
di impresa
prezzo unitario di riferimento (Euro/mq) =
34,00
COSTI DIRETTI DI SICUREZZA
2
mano d’opera aggiuntiva, mezzi e attrezzature
2,00%
totale costo diretto sicurezza (Euro/mq) =
ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005
0,68
Nº art.
1
2
3
4
5
6
7
Codice articolo
SI5.040.01.50.a
SI5.060.01.01.b
SI5.080.01.01.a
SI2.030.50.01.a
SI5.100.01.01.a
SI5.500.01.01.a
SI5.510.01.01.a
quantità
prezzo
unitario
importo
ml
40
18,00
720,00
corpo
1
55,00
55,00
mq
12
80,00
960,00
corpo
1
220,00
220,00
corpo
1
40,00
40,00
corpo
1
450,00
450,00
corpo
1
200,00
200,00
Descrizione articolo
U.M.
RECINZIONE PROVVISIONALE costituita da rete metallica zincata su pali sostenuti
da ancoraggi in blocchetti di
cls, compreso oneri per ...
altezza della rete 180 cm
lati sud e ovest del fabbricato
SEGNALETICA DI CANTIERE di tipo generale su pannelli prefabbricati collocati su
supporto esistente, conformi
al D.Lgs. 493/96, ...
visibilità minima segnaletica
10 m
posta all’ingresso del cantiere
su via _______
TETTOIA DI PROTEZIONE
per posti fissi di lavoro, struttura in acciaio e copertura in
legno, ...
altezza tettoia fino a 3,0 m
protezione per betoniera a
bicchiere
BOX PER BAGNO, monoblocco prefabbricato in plastica dotato di serbatoio per
raccolta reflui, ...
dimensioni WC 100x100 cm
noleggio per la durata del
cantiere
Servizio di PRONTO SOCCORSO di tipo aziendale
(DM 388/2003) con pacchetto di medicazione, ...
compreso mezzo di comunicazione per l’attivazione dell’emergenza sanitaria (telefono fisso o mobile)
noleggio per la durata del
cantiere e consumi
IMPIANTO ELETTRICO di
cantiere, potenza impegnata
fino a 10 kW, fornitura 220
V, con linea completamente
aerea su supporti esistenti,
quadri min IP44, completo
di ...
quadro generale ASC e sotto-quadri ASC per prese a
spina
noleggio per la durata del
cantiere e consumi
IMPIANTO DI TERRA composto da dispersori metallici
e conduttori di terra, con 1
nodo di terra, ...
completo di collegamento alle «masse» (nº max 3)
noleggio per la durata del
cantiere e consumi
Approfondimenti
Tabella 3 - Ristrutturazione fabbricato per abitazione - Stima oneri speciali di sicurezza
(segue)
ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005
25
(continua)
Nº art.
8
9
10
Approfondimenti
11
26
12
13
Codice articolo
SI5.970.01.01.b
SI5.970.01.10.b
SI5.970.01.20.a
SI5.970.01.30.b
SI5.970.50.01.a
SI5.970.60.01.a
quantità
prezzo
unitario
importo
corpo
1
55,00
55,00
corpo
1
85,00
85,00
corpo
1
10,00
10,00
corpo
1
80,00
80,00
corpo
1
100,00
100,00
corpo
1
50,00
50,00
importo totale oneri speciali Euro
3.025,00
SMOBILIZZO DEL CANTIERE ...
rete metallica su supporti in
cls
SMOBILIZZO DEL CANTIERE ...
box di tipo chimico
SMOBILIZZO DEL CANTIERE ...
segnaletica di tipo generale su
pannello
SMOBILIZZO DEL CANTIERE ...
tettoia con struttura a tubi e
copertura in legno
SMOBILIZZO DEL CANTIERE, rimozione di impianto
elettrico ...
compreso quadri e componentistica
SMOBILIZZO DEL CANTIERE, rimozione di impianto di
terra ...
collegamento alle masse, Nº
max 3
Si riepiloga brevemente il
meccanismo di calcolo proposto dalla determinazione indicato con:
Si = spese della sicurezza
per la lavorazione i-esima
SSS = spese speciali della
sicurezza
SRPi = spese unitarie per la
sicurezza incluse nel prezzo della lavorazione/articolo i-esimo
SCS = spese complessive
della sicurezza
IS = incidenza media della
sicurezza
Pi = prezzo unitario indicato nell’Elenco Prezzi Unitari (EPU) per la lavorazione/
articolo i-esimo
Qi = quantità della lavorazione/articolo i-esimo che
concorre alla definizione
dell’intervento
C = costo di produzione
totale
Ui = utile unitario per la lavorazione/articolo i-esimo
SGi = spese unitarie generali per la lavorazione/articolo i-esimo
U.M.
Descrizione articolo
SRPi si individua mediante
l’analisi del prezzo unitario o
in percentuale sul prezzo come indicato sopra, mentre
SSS sta ad indicare i costi
speciali stimati mediante specifico computo metrico-estimativo.
Il costo totale dell’opera è fornito da
P
C ¼ i ðPi QiÞ
e il costo complessivo della sicurezza da
P
SCS ¼ i ðSRPi QiÞ þ SSS
segue l’incidenza generale meSCS
dia della sicurezza IS ¼
C
per cui in conclusione si calcola il costo reale complessivo
«Si» afferente all’articolo iesimo di lavoro mediante:
Si ¼ ðPi Ui SGiÞ
ðPi Ui SGiÞ
1 þ IS
Si coglie immediatamente la
completezza del metodo fornito, perché mira ad individuare l’entità con cui il costo
ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005
complessivo della sicurezza,
sia esso diretto che speciale,
si riflette sul generico articolo
di computo metrico posto a
base di gara. Si osservi altresı̀
come «Si» risulti depurato degli utili e spese generali che,
per definizione, sono soggette
a ribasso, variando, anche in
misura notevole, da un’impresa all’altra essendo legate alle
strategie aziendali.
Esempi numerici
per modalità di gara
In tabella 4 si riporta un esempio numerico di applicazione
della determinazione n. 2/
2001 con riferimento alla modalità di gara usuale per i lavori pubblici, il ribasso d’asta
sull’Elenco prezzi unitari predisposto dalla stazione appaltante.
L’esempio, volutamente semplicistico per ovvie esigenze
di brevità, è suddiviso in due
parti: la prima dedicata al progetto e alla gara, la seconda alla contabilità dei lavori.
In tabella 5 si riporta un esem-
Tabella 4 - Esempio calcolo oneri di sicurezza secondo la determinazione n. 2/2001:
gara con ribasso d’asta
FASE DI PROGETTO E GARA DI APPALTO
importo lordo lavori di progetto
art.
descrizione
UM
quantità
Qi
prezzo
Pi
(Euro)
costi diretti sicurezza
importo
lavoro
(Qi*Pi)
spese unit. Sic. SRPi
SRPi*Qi
1
scavo
mc
10,00
9,00
90,00
0,90
9,00
2
cls fondazione
mc
15,00
145,00
2.175,00
7,50
112,50
3
acciaio armatura
kg
1200,00
1,10
1.320,00
0,10
120,00
4
esecuzione muratura
mq
58,00
22,00
1.276,00
1,50
87,00
C = Euro
4.861,00 somma (SRPi*Qi) = Euro
328,50
costi speciali sicurezza
importo
recinzione
10,00
impianto elettrico
25,00
protezione scavi
10,00
SSS = Euro
45,00
incidenza generale della sicurezza IS
somma (SRPi*Qi) = Euro
328,50
costi speciali = SSS = Euro
45,00
SCS = somma (Qi*SRPi) + SSS = Euro
373,50
IS = SCS/C =
0,077
calcolo Oneri di Sicurezza non soggetti a ribasso nel progetto
U (utili) = 10,00%
art.
descrizione
Sg = 12,00%
UM
quantità
Qi
prezzo
Pi
Ui
Sgi
costo unitario finale
della sic. (Si)
importo
O.S.
(Qi*Si)
1
scavo
mc
10,00
9,00
0,90
1,08
0,50
5,01
2
cls fondazione
mc
15,00
145,00
14,50
17,40
8,07
121,05
3
acciaio armatura
kg
1200,00
1,10
0,11
0,13
0,06
73,47
4
esecuzione muratura
mq
58,00
22,00
2,20
2,64
1,22
71,02
O.S. = somma (Qi*Si) = Euro
270,54
importo lavori soggetto a ribasso = (C - O.S.) = Euro
4.590,46
percentuale di riferimento (O.S./C) =
(non serve)
0,056
CONTABILITÀ DEI LAVORI
SAL 1
ribasso d’asta =
10,00%
Libretto delle misure
art.
descrizione
UM
quant. Qi
1
scavo
mc
8,00
2
cls fondazione
mc
20,00
3
acciaio armatura
kg
1000,00
4
esecuzione muratura
mq
50,00
Approfondimenti
descrizione
(segue)
ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005
27
(continua)
somma al lordo
del ribasso
e di O.S.
Registro di Contabilità
Approfondimenti
art.
28
descrizione
UM
Pi
Pi*Qi
somma soggetta
a ribasso
(Pi-Si)
(Pi-Si)
Qi
Oneri di Sicurezza
Si
Si*Qi
1
scavo
mc
9,00
72,00
8,50
67,99
0,50
4,01
2
cls fondazione
mc
145,00
2.900,00
136,93
2738,60
8,07
161,40
3
acciaio armatura
kg
1,10
1.100,00
1,04
1038,78
0,06
61,22
4
esecuzione muratura
mq
22,00
1.100,00
20,78
1038,78
1,22
61,22
somma (Pi*Qi) =
5.172,00
totale lordo
(Euro)
4.884,15
O.S. (Euro)
287,85
ribasso (Euro)
517,20
ribasso
(Euro)
488,41
Euro
4.654,80
Euro
4.395,73
totale al netto del ribasso
(calcolo errato)
totale al netto
del ribasso
(calcolo corretto)
RIEPILOGO SAL 1
pio numerico di applicazione
della determinazione n. 2/
2001 con riferimento alla modalità di gara con offerta a
prezzi unitari, usuale per gli
appalti privati ma entrato a
far parte pure dei lavori pubblici con il regolamento di attuazione D.P.R. n. 554/1999.
In fase di progetto le stime del
costo diretto (SRPi) sono condotte con riferimento a prezzi
di listino correnti, supposti
idonei dal progettista per l’appalto in preparazione; in fase
di gara l’impresa ha disposizione una tabella simile a
quella riportata, in cui rileva
l’incidenza generale della sicurezza sull’articolo i-esimo.
Il PSC nella parte dedicata alla
stima dei costi deve specificare in modo esteso ed esauriente le opere che hanno prodotto
i costi speciali (SSS).
Nella modalità di gara con offerta a prezzi unitari, in alternativa alla determinazione n.
2/2001, sempre nell’ambito
dei costi diretti e speciali, la
procedura può essere semplificata fornendo direttamente
all’impresa l’entità unitaria di
ciascuno di essi, eliminando
totale al netto del ribasso = Euro
4.395,73
totale O.S.= Euro
287,85
TOTALE SAL 1 = Euro
4.683,59
il calcolo di «Si». Evidentemente l’approssimazione si
coglie nell’elusione delle spese generali e utili di impresa.
La procedura mantiene comunque inalterata la sua validità concettuale.
In tabella 6 è riportato il consueto esempio numerico.
Conclusioni
Il metodo indicato dalla determinazione n. 2/2001 appare
laborioso
nell’applicazione
professionale, in particolare
se riferito ad appalti di modesta taglia, ma di fatto la complicazione viene meno grazie
all’impiego di software dedicato, di cui ormai ogni studio
tecnico è provvisto, capace di
rendere immediata la risoluzione del calcolo di «Si» a seguito dell’introduzione di
«SRPi» e di «SSS» (sono autentici «superstiti» coloro che
si ostinano a compilare manualmente il Libretto delle misure e il registro di contabilità,
come è stato fatto in decenni
di applicazione della legge
sui lavori pubblici del 1865).
ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005
Ovviamente ciò richiede una
stretta collaborazione tra progettista e CP nella fase di progettazione, e tra CEL e direttore dei lavori nella gestione dell’appalto e quindi in contabilità dei lavori; del resto tale collaborazione è richiesta dall’intero impianto della direttiva
cantieri, perché il CP non
può esimersi dal «conoscere»
nei dettagli le scelte e le soluzioni del progettista, e viceversa.
Infine si rammenta che il
D.P.R. n. 222/2003 indica solo
«contenuti minimi», come recita il suo titolo, perciò i coordinatori sono liberi di adottare
miglioramenti a tali contenuti,
anche se non supportati da
prescrizioni normative cogenti, in considerazione del fatto
che l’aspetto economico e monetario della sicurezza riveste
un ruolo fondamentale nella
gestione operativa del cantiere. L’esperienza maturata in
questi anni di applicazione
della direttiva cantieri mostra
che una «buona» stima dei costi della sicurezza elimina, o
almeno riduce, le «sofferenze»
e le «resistenze» poste dalle
Tabella 5 - Esempio calcolo oneri di sicurezza secondo la determinazione n. 2/2001:
gara con offerta a prezzi unitari
FASE DI PROGETTO E GARA DI APPALTO
calcolo Oneri di Sicurezza non soggetti a ribasso
art.
descrizione
UM
quantità
Qi
prezzo Pi
(Euro)
costi sicurezza Det.2/2001
importo
lavoro
(Qi*Pi)
costo unit. fin.sic. Si
Si*Qi
1
scavo
mc
10,00
0,50
5,01
2
cls fondazione
mc
15,00
8,07
121,05
3
acciaio armatura
kg
1200,00
0,06
73,47
4
esecuzione muratura
mq
58,00
1,22
71,02
somma (Qi*Si) = Euro
270,55
C = somma (Qi*Pi) = Euro
CONTABILITÀ DEI LAVORI
SAL 1
Registro di Contabilità prezzi di offerta
Libretto delle misure
art.
descrizione
UM
quantità
Qi
Pi
Pi*Qi
Registro di Contabilità
- Oneri di Sicurezza
Si
Si*Qi
1
scavo
mc
8,00
8,00
64,00
0,50
4,00
2
cls fondazione
mc
20,00
138,00
2.760,00
8,07
161,40
3
acciaio armatura
kg
1000,00
1,20
1.200,00
0,06
60,00
4
esecuzione muratura
mq
50,00
23,00
1.150,00
1,22
61,00
somma (Pi*Qi) =
5.174,00
totale O.S. =
286,40
RIEPILOGO SAL 1
imprese, garantendo i presupposti di un proficuo lavoro al
CEL. Allo stesso tempo, secondo i canoni della teoria
dei sistemi, la corretta gestione
della sicurezza implica il miglioramento della cultura della
sicurezza in azienda, creando
una forma mentis nei soggetti
coinvolti, che a sua volta si
traduce in ulteriore avanzamento nell’ambito gestionale.
Meccanismo opportuno ed auspicabile per l’industria delle
costruzioni, spesso resistente
ai cambiamenti evolutivi più
di altri settori.
Bibliografia
(1) G. Semeraro, Il regolamento sui PSC: la stima dei
totale prezzi di offerta = Euro
5.174,00
totale O.S.= Euro
286,40
TOTALE SAL 1 = Euro
5.460,40
costi della sicurezza, ISL
2004, 5, pag. 273.
(2) D.P.R. 21 dicembre 1999,
n. 554 (G.U. 28 aprile 200,
n. 98, s.o.).
(3) D.M. 19 aprile 2000, n.
145 (G.U. 7 giugno 2000, n.
131).
(4) D.Lgs. 19 novembre 1999,
n. 528 (G.U. 18 gennaio 2000,
n. 13).
(5) Legge 7 novembre 2000,
n. 327 (G.U. 13 novembre
2000, n. 265).
(6) E. Mansfield, Microeconomia, Il Mulino, Bologna 1975,
pag. 115.
(7) Ibidem, pag. 115.
(8) M.C. Sawyer, Introduzione
all’economia industriale e dell’impresa, Il Mulino, Bologna
1985, pag. 87.
(9) Ibidem, pag. 104.
(10) G. Semeraro e S. Mengarelli, La stima degli oneri della
sicurezza nei cantieri, EPC Libri, Roma 2001.
(11) DEI-STR, Elenco e analisi prezzi in edilizia, DEI Tipografia del Genio Civile, Roma
2003.
(12) A.V.LL.PP., Determinazione 10 gennaio 2001, n. 2
(G.U. 1 febbraio 2001, n. 26).
ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005
Approfondimenti
importo lavori: offerta impresa
29
Tabella 6 - Esempio calcolo oneri di sicurezza metodo semplificato: gara con offerta a
prezzi unitari
FASE DI PROGETTO E GARA DI APPALTO
calcolo Oneri di Sicurezza non soggetti a ribasso
importo lavori: offerta impresa
art.
descrizione
UM
quantità
Qi
Approfondimenti
importo
lavoro
(Qi*Pi)
costo unit. SRPi
SRPi*Qi
1
scavo
mc
10,00
0,50
5,01
2
cls fondazione
mc
15,00
8,07
121,05
3
acciaio armatura
kg
1200,00
0,06
73,47
4
esecuzione muratura
mq
58,00
1,22
71,02
somma (Qi*SRPi) = Euro
270,55
oneri speciali (SSS) = Euro
45,00
totale O.S. di progetto = Euro
315,55
C = somma (Qi*Pi) =
30
prezzo Pi
(Euro)
costi sicurezza
Euro
CONTABILITÀ DEI LAVORI
SAL 1
Registro di Contabilita
- prezzi di offerta
Libretto delle misure
art.
descrizione
UM
quantità
Qi
Pi
Pi*Qi
Registro di Contabilita
- Oneri di Sicurezza
SRPi
Si*Qi
1
scavo
mc
8,00
8,00
64,00
0,90
7,20
2
cls fondazione
mc
20,00
138,00
2.760,00
7,50
150,00
3
acciaio armatura
kg
1000,00
1,20
1.200,00
0,10
100,00
4
esecuzione muratura
mq
50,00
23,00
1.150,00
1,50
75,00
somma (Pi*Qi) =
5.174,00
totale =
332,20
Oneri Speciali (SSS) =
45,00
totale O.S. =
377,20
RIEPILOGO SAL 1
ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005
totale prezzi di offerta = Euro
5.174,00
totale O.S.= Euro
377,20
TOTALE SAL 1 = Euro
5.551,20
Spunti critici dal mondo accademico
a cura di Francesco Bacchini
La responsabilità sociale
delle imprese e il dovere
di salute e sicurezza
Premessa
«L’accelerazione della liberalizzazione economica, in assenza di una governance globale efficace e in presenza di
procedure imperfette di governance delle imprese, ha fatto sı̀
che l’attenzione dell’opinione
pubblica si concentrasse sull’integrità delle imprese e sui
loro atteggiamenti non solo
nei confronti degli azionisti
ma anche della società nel
suo complesso. Attualmente,
mentre ci si aspetta che l’impresa sia responsabile del suo
impatto sulla società, in tutta
Europa si va facendo sempre
più ampio il dibattito sulla responsabilità sociale delle imprese» (1).
Sebbene per il sentire comune
la funzione delle imprese consista nel produrre e scambiare
beni e servizi e, nel far ciò, essere competitive e redditizie,
al fine di creare la ricchezza
necessaria per ripagare gli investimenti (shareholder value), da qualche tempo il mondo imprenditoriale ha dovuto
confrontarsi, giocoforza, con
la «sostenibilità etica», oltreché con quella economico-finanziaria e industriale dei processi produttivi.
Analisi e scelte di natura etica,
solidaristica e ambientale diventano parte integrante della
strategia e della gestione quotidiana di un’impresa, giacché,
oggi più che in passato, questa
è chiamata a rispondere a
complesse aspettative e a specifiche richieste che non assumono più valenza esclusiva-
mente economico-finanziaria,
bensı̀ anche etico-sociale. Per
rispondere a queste richieste,
attraverso il rinnovamento dei
modelli e delle strategie organizzative e produttive o soltanto attraverso una nuova comunicazione, molte imprese, sia
attraverso il dialogo con i loro
principali interlocutori, sia attraverso il ricorso a modelli o
schemi contenenti criteri e regole volontaristicamente predisposti, hanno sviluppato risposte standard oppure «su
misura» e, in modo più o meno formale, hanno definito
una serie di valori e principi
fondamentali che si impegnano a rispettare nello svolgimento della propria attività e
dei propri affari.
L’evoluzione delle teorie di
governance d’impresa è, pertanto, il riflesso, il precipitato,
principalmente delle richieste
e delle conseguenti attese della
collettività per una trasformazione dell’impatto, ma anche,
più profondamente, del ruolo
delle imprese all’interno di
una società sempre più complessa e articolata. Tale aspettativa risulta pienamente in linea con il principio fondamentale della strategia di sviluppo
sostenibile adottata dal Consiglio Europeo di Göteborg (2),
secondo il quale nel lungo termine la crescita economica, la
coesione totale e la tutela dell’ambiente andranno (o dovranno andare) di pari passo
e, in questo senso, l’obiettivo
strategico, fissato dal Consiglio Europeo di Lisbona (3),
è quello di fare dell’Europa
«l’economia della conoscenza
più competitiva e più dinamica
del mondo, capace di crescita
economica sostenibile accompagnata da un miglioramento
quantitativo e qualitativo dell’occupazione e da una maggiore coesione sociale».
La strategia comunitaria è fissata nel «Libro Verde della
commissione sulla responsabilità sociale delle imprese»,
pubblicato nel 2001 e nella
successiva comunicazione del
luglio 2002, con la quale, in
particolare, la Commissione
Europea ha adottato un sistema volto a creare una partnership per lo sviluppo di un
quadro europeo mirato alla
promozione della responsabilità sociale delle imprese, ovvero della CSR.
La commissione definisce
la CSR come «un concetto
secondo il quale le imprese
inseriscono, su base volontaria, le preoccupazioni sociali e ambientali nelle loro
operazioni commerciali e
nei loro rapporti con le
parti interessate», ovvero
un contributo delle impre-
Note:
(1) Cosı̀ si esprime «Il Progetto CSR-SC. Il contributo italiano alla campagna di diffusione della
CSR in Europa» redatto a cura del Ministero
del lavoro e delle politiche sociali e presentato alla terza Conferenza europea sulla CSR, Il ruolo
delle politiche pubbliche nella promozione della
CSR (Venezia, 14 novembre 2003).
(2) Consiglio Europeo di Göteborg del giugno
2001.
Dalle Università
Francesco Bacchini Facoltà di economia e commercio, Università di Milano-Bicocca,
Diritto del lavoro
(3) Conferenza di Lisbona del 2001.
ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005
31
Dalle Università
se allo sviluppo sostenibile,
un approccio di gestione
aziendale che rafforza la
competitività, la coesione
sociale e la protezione dell’ambiente.
32
Lo sviluppo della CSR andrà
di pari passo con l’evoluzione
della governance aziendale,
in quanto la gestione delle
questioni sociali e ambientali
da parte delle imprese costituisce un elemento importante
della gestione aziendale a patto, tuttavia, che le imprese includano in questo dialogo tutti
gli stakeholder, comprese le
associazioni sindacali e le organizzazioni non governative.
Infatti, attraverso la promozione di best practices di CSR si
intende diffondere fra le imprese l’adozione di pratiche
socialmente responsabili nella
gestione quotidiana dei problemi sociali e ambientali in
ogni ambito dell’impresa; non
si auspica, però, che le aziende
adottino pratiche di CSR né
per motivi filantropici, né di
marketing, ma perché utili alla
loro stessa competitività. La
CSR non dovrebbe affatto costituire un esercizio di comunicazione e pubbliche relazioni,
ma dovrebbe portare le imprese a rivalutare e riorganizzare
le attività aziendali e dovrebbe
garantire che il rischio e il mutamento vengano gestiti in
modo socialmente responsabile; ciò in quanto la CSR rappresenta uno strumento per
migliorare la gestione dei rischi sociali e ambientali, un
mezzo per gestire la qualità
dando alle imprese un quadro
chiaro del loro impatto sociale
e ambientale, aiutandole a gestirlo correttamente.
«Poiché la trasparenza è diventata un elemento chiave
del dibattito sulla CSR, nello
scorso decennio si è verificato
il proliferare di codici di condotta, di bilanci, di etichette,
di premi, di indici e di fondi.
La CSR è diventata una questione di mercato per i consumatori e per gli investitori. Come tutte le informazioni relative al mercato, le dichiarazioni
in tema di CSR devono essere
dimostrate. Quando i singoli
consumatori e gli investitori
non sono in grado di verificare
le informazioni che vengono
loro fornite, le autorità pubbliche devono fissare una parità
di condizioni per proteggerli
da comportamenti non corretti.
Inoltre, la CSR sta diventando
importante per le autorità pubbliche ad ogni livello, le quali
inseriscono, sempre più spesso, i criteri CSR nelle normative di mercato, nelle disposizioni relative alla concessione
di prestiti o di incentivi fiscali,
e alle forniture pubbliche. Nonostante le buone intenzioni
degli attori coinvolti, questo
sviluppo comporta il rischio
di introdurre nuove barriere
commerciali nel mercato interno della Unione Europea.
Questi sviluppi sono stati oggetto di discussione nella Conferenza sulla CSR, promossa
dalla Presidenza Italiana della
UE a Venezia il 14 novembre
2003.
La crescente importanza della
CSR nel mercato e nelle politiche pubbliche solleva una questione chiave: il riconoscimento ufficiale degli strumenti di
CSR, cioè etichette, marchi,
certificati, rating, ecc., e la loro progressiva convergenza
nel mercato interno. Questo richiede lo sviluppo di un consenso sulle finalità e sul contenuto degli strumenti di CSR
(quali aree sono coperte da tali
strumenti), riguardo i processi
di valutazione (il modo in cui
le prestazioni vengono misurate) e riguardo le procedure di
certificazione (quali tecniche
e quali capacità sono necessarie per misurare correttamente
le prestazioni in ambito di
CSR).
Stanno emergendo diverse iniziative che lavorano alla convergenza degli strumenti di
CSR e che forniscono un utile
punto di partenza per sviluppare soluzioni che rispondono
a tali sfide. È per questo motivo che la commissione ha
creato un Forum europeo multistakeholder sulla CSR. Il Forum intende facilitare lo scambio di esperienze e di best
practices al fine di stabilire linee guida comuni per gli stru-
ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005
menti di CSR, ad esempio: codici di condotta, bilancio, etichettatura e investimenti socialmente responsabili. Il Forum riunisce imprese, organizzazioni sindacali e società civile. La commissione ritiene
che il successo della CSR in
Europa dipenderà, in ultima
analisi, dall’ampiezza della
sua condivisione, poiché tutti
gli stakeholder dovranno sentirsi coinvolti nella definizione
delle modalità di sviluppo e
applicazione della CSR. In
quanto strumento per lo sviluppo sostenibile, la CSR può
essere utilizzata più ampiamente in tutte le politiche, tra
cui l’occupazione e gli affari
sociali, le imprese, l’ambiente,
lo sviluppo e il commercio,
ecc. I governi nazionali stanno
mettendo in atto differenti iniziative per promuovere la CSR
nelle loro politiche e la commissione sta facilitando lo
scambio di informazioni sulle
politiche nazionali a sostegno
della CSR. La commissione,
inoltre, si è impegnata ad inserire i principi della CSR in tutte le sue politiche, e all’inizio
del 2005 pubblicherà un rapporto sui progressi realizzati.
La CSR, uno strumento di gestione per le imprese, è anche
un potente strumento politico
dell’Unione Europea per cercare di raggiungere gli obiettivi fissati dal Vertice Europeo
di Lisbona nel marzo 2000
per avere migliori posti di lavoro, una migliore società e
un mondo migliore» (4).
La responsabilità
sociale d’impresa
nell’ordinamento
giuridico italiano
Nonostante l’inquadramento
proposto a livello comunitario,
ad avviso di chi scrive, non è
possibile affrontare il tema
della responsabilità sociale
delle imprese senza collocare
Nota:
(4) Cosı̀ si esprime «Il Progetto CSR-SC. Il contributo italiano alla campagna di diffusione della
CSR in Europa», cit.
Il limite del dovuto nell’esercizio dell’impresa è tutto racchiuso, in termini sia
programmatici che precettivi, nell’art. 41 della Costituzione, che recita: «L’iniziativa economica privata è
libera. Non può svolgersi
in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare
danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.
La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e
coordinata a fini sociali».
Questo è il concetto giuridico
di responsabilità sociale dell’impresa.
Non si può esercitare un’impresa senza essere, secondo il
diritto, socialmente responsabili delle situazioni giuridiche
attive e passive che tale esercizio genera sugli individui che
ne sono coinvolti: l’insieme
di quelli esterni, ovvero la collettività, l’insieme di quelli interni, ovvero i lavoratori. L’esercizio dell’impresa dovrà
quindi avvenire nel rispetto
delle regole cogenti previste
dalla legge e, conseguentemente, la responsabilità nei
confronti della società sarà,
nel minimo, discendente dalla
violazione delle stesse.
Si dovrà, pertanto, parlare in
senso stretto di responsabilità
sociale dell’impresa (civile,
amministrativa e penale), sia
quando, ad esempio, nei confronti della collettività non vengono rispettate le norme di tutela ambientale, contro l’inquinamento (emissioni nell’aria,
nell’acqua, nel suolo) e la gestione dei rifiuti o, ancora,
quelle di tutela del consumatore contro i vizi occulti delle cose, oppure, oggi, quella di tutela del risparmiatore; sia quando, ad esempio, nei confronti
dei lavoratori, non vengono rispettate le norme di tutela della
personalità, della salute, del posto di lavoro, ecc.
Ne consegue che la responsabilità sociale delle imprese, intesa in senso ampio, ovvero
nell’accezione di cui sopra,
quale responsabilità per il perseguimento di un risultato etico-sociale-ambientale nell’esercizio dell’impresa, dovrà,
quindi, essere qualcosa di diverso ed ulteriore rispetto alla
conformità normativa.
La CSR in Italia
Per sincerarci di questo, è necessario reperire un sistema
di fonti pseudonormative, di
tipo volontaristico, che siano
in grado di definire e fissare
gli incerti confini della responsabilità per il perseguimento di
un risultato etico-sociale-ambientale nell’esercizio dell’impresa. Merita, nell’ottica di cui
sopra, innanzitutto di essere
analizzata la documentazione
di derivazione comunitaria.
Nel «Libro Verde - promuovere un quadro europeo per la responsabilità sociale delle imprese», presentato dalla commissione nel luglio 2001 e nel-
la comunicazione della commissione emanata il 2 luglio
2002, entrambi già citati ed
analizzati, la definizione di
CSR, ovvero l’essere socialmente responsabile «significa
non solo soddisfare pienamente gli obblighi giuridici applicabili, ma anche andare al di
là investendo maggiormente
nel capitale umano, nell’ambiente e nei rapporti con le altre parti interessate».
Anche l’Italia, per il tramite
del Governo, condivide il contenuto del Libro Verde della
commissione europea, al punto che nel recente Libro Bianco sul mercato del lavoro
(punto di partenza per una rilevante riforma normativa del
lavoro nel nostro paese la c.d.
Riforma «Biagi»), viene dedicata una parte alla responsabilità sociale di impresa, «intesa
come investimento in capitale
umano che può rappresentare
una scelta strategica vincente
per l’impresa, nell’ottica di
migliorare il rendimento dei
dipendenti generando maggiori profitti e nello stesso tempo
destando una crescente attenzione nei consumatori e negli
investitori; ... al fine di attrarre
e trattenere il capitale umano
di migliore qualità non è sufficiente attenersi agli obblighi di
legge od a quanto previsto dai
contratti collettivi; è altresı̀ importante realizzare condizioni
di formazione permanente,
sviluppo di carriera, meccanismi di partecipazione ai profitti, puntando in definitiva alla
realizzazione di risorse umane
di qualità» (5).
Questa adesione alla politica
comunitaria da parte del nostro esecutivo e, in particolare,
del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, si è tradotta nella creazione di un forum
italiano sulla CSR e del primo
sportello CSR-SC.
Il 15 marzo 2004 ha aperto, infatti, a Milano il primo degli
sportelli CSR-SC (Corporate
Social Responsability - Social
Nota:
(5) Cosı̀ si esprime «Il Progetto CSR-SC. Il contributo italiano alla campagna di diffusione della
CSR in Europa», cit.
ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005
Dalle Università
correttamente questa locuzione o, meglio, il concetto che
essa rappresenta, nel sistema
di regole che proprio l’esercizio dell’impresa governa nel
nostro ordinamento giuridico.
Occorre, cioè, ricontestualizzare l’argomento, depurandolo
dalla patina «retorica» di novità etica, di evoluzione moralizzatrice, di investimento sociale, di nuovo modo «volontario» di fare impresa «buona»
e ricondurlo al sistema di regole che, lungi dal definire
l’impresa «buona», certamente
impongono i requisiti per l’esercizio lecito della stessa. È
l’individuazione oggettiva del
limite del dovuto nell’esercizio dell’impresa e della relativa responsabilità giuridica alla
quale si è chiamati dalla società a rispondere nel caso in cui
tale limite non sia raggiunto, a
darci l’unico parametro per attribuire al concetto di responsabilità sociale dell’impresa
una dimensione autonoma ed
un valore ulteriore ai quali riconoscere, con pieno merito,
in quanto decisione assolutamente volontaria, libera e non
imposta, il perseguimento di
un risultato etico-sociale.
33
Dalle Università
34
Commitment). Avrà la funzione di fornire un servizio di
consulenza alle imprese sulla
responsabilità sociale e di supportare le imprese stesse nell’attività di autovalutazione
delle prestazioni di CSR e nella realizzazione del social statement. È il primo risultato
dell’attuazione del protocollo
di intesa siglato dal Ministero
del lavoro e delle politiche sociali con Unioncamere nel dicembre 2003. I passi successivi previsti dal Ministero sono
l’apertura di altri sportelli
CSR-SC per un totale di almeno 20 nel 2004 e la costituzione del Forum Italiano MultiStakeholder sulla CSR.
Il progetto ha, infatti, come
quadro di riferimento il Libro
Verde della commissione europea e pone le proprie radici
nella nozione di CSR che in
esso è formalizzata; ciò implica considerare la CSR non come uno sforzo addizionale, ma
come un comportamento legato alla normale gestione dell’impresa.
Il progetto del Ministero introduce un nuovo, semplice strumento, il social statement, nato per soddisfare le esigenze
delle PMI e facilmente fruibile
anche dalle grandi imprese e
dalle multinazionali, che si pone, tra i vari obiettivi, quello di
garantire maggior chiarezza e
trasparenza sulle prestazioni
in ambito CSR; esso rappresenta il documento con cui
l’impresa comunica agli stakeholder le proprie prestazioni
ambientali e sociali.
Parte centrale del SS è il set di
indicatori che può essere usato
come linea guida da quelle imprese che per la prima volta si
avvicinano a questa tematica
e come strumento di autovalutazione, monitoraggio e reporting per quelle che invece hanno già sviluppato al loro interno strategie CSR. Nel set di indicatori comuni, spiccano le risorse umane, seguite da: soci,
azionisti e comunità finanziaria; clienti, fornitori, partner finanziari, Stato, enti locali e
pubblica amministrazione, comunità, ambiente. Gli indicatori che fanno riferimento, in par-
ticolare, alle risorse umane in
azienda sono, fra le altre (6):
politica verso disabili e minoranze;
ore di formazione per categoria (7);
contributi e agevolazioni per
dipendenti;
infortuni e malattie;
tutela dei diritti dei lavoratori.
La categoria di stakeholder
«risorse umane», che abbiamo
deciso di prendere in considerazione, tralasciando le altre
per evidenti ragioni di interesse scientifico, è caratterizzata
sia da indicatori qualitativi
(ad esempio, laddove si richieda la descrizione di un progetto o di un’iniziativa realizzata
dall’azienda) sia da indicatori
quantitativi (nei casi in cui
l’informazione richiesta debba
essere espressa sotto forma numerica percentuale, rapporto,
quoziente, dati economici o finanziari, ecc.).
Il set di indicatori è stato suddiviso in due tipologie principali:
indicatori comuni (C): utilizzati da tutte le imprese per la
realizzazione del SS;
indicatori addizionali (A):
che si possono applicare alle
imprese di maggior dimensione (a partire da 50 dipendenti)
in base a specifici criteri, integrando i criteri comuni.
Sicurezza e salute
sul luogo di lavoro
Come si può vedere nelle voci
dell’indicatore risorse umane
(Tabella 1), al punto 1.11 viene presa in considerazione la
tematica, ovvero l’ambito obbligatorio, della sicurezza e salute sul luogo di lavoro. Il
punto 1.11.1 è dedicato agli
infortuni e malattie, il punto
1.11.2 ai progetti.
Il commento esplicativo dell’indicatore di cui al punto
1.11.1 informa che «L’indicatore punta a verificare l’impegno dell’azienda nel minimizzare il rischio per la sicurezza
e la salute dei lavoratori».
Per quel che riguarda le modalità di misurazione dell’indicatore, di natura quantitativa, il
riferimento è al calcolo dell’indice di frequenza e di gravità
ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005
cosı̀ come determinato dall’INAIL (benchmarking di settore
fondato su statistiche INAIL
opportunamente considerate).
Relativamente, invece, all’indicatore qualitativo dei progetti
realizzati, lo schema riporta i seguenti esempi: introduzione di
un vero e proprio sistema di gestione della salute e della sicurezza sul lavoro (SGSL) (8),
che, oltre a garantire il rispetto
della normativa, consente all’intera organizzazione di migliorare le proprie prestazioni nel
tempo.
La sua documentazione di supporto consiste nella «Descrizione dei progetti avviati al fine di
ridurre gli infortuni, oltre a
quanto realizzato per garantire
la conformità rispetto alla normativa cogente (D.Lgs. n.
626/1994 e D.Lgs. n. 242/
1996 e successive integrazioni/
modifiche su igiene e sicurezza
del lavoro, D.Lgs. n. 494/1996,
successivamente modificato dal
D.Lgs. n. 528/1999, riguardante la sicurezza nei cantieri temporanei o mobili).
L’indicatore di cui al punto
1.11.2, denominato progetti,
riporta questo commento
esplicativo: «L’indicatore punta a descrivere l’impegno dell’azienda nel minimizzare il rischio per la sicurezza e la salute dei lavoratori».
Pur nella somiglianza con la
descrizione del precedente indicatore, si può sottolineare
che, mentre il primo è finaliz-
Note:
(6) Fonte: rivista «Economia e management»,
settembre-ottobre 2003; articolo «La responsabilità sociale delle imprese. Intervista a Roberto
Maroni, ministro del Welfare».
(7) Al netto di quella prevista per legge o per
contratto.
(8) La definizione di sistema di gestione, o management system, contenuta nel Glossario allegato
al documento governativo è la seguente: concetto che comprende la struttura organizzativa, le attività di pianificazione, programmazione e controllo, le responsabilità, le prassi, le procedure, i
processi, le risorse per sviluppare, attuare, conseguire, riesaminare e mantenere attiva una specifica politica aziendale (riguardante, ad esempio, la
qualità, la gestione ambientale, la sicurezza sul lavoro, la tutela dei diritti dei lavoratori, la gestione
dell’impatto sociale o della sostenibilità dell’impresa, ecc.).
Tabella 1 - Indicatori per le risorse umane ^
1.4.3
1.5
1.6.
1.6.1
1.6.2
1.6.3
1.7
1.7.1
1.7.2
1.8
1.9.
1.9.1
1.9.2
1.9.3
1.10
1.11
1.11.1
1.11.2
1.12
1.12.1
1.12.2
1.13
1.13.1
1.13.2
1.14
Categorie, aspetti, indicatori
Risorse umane
Composizione del personale
Categorie
Età
Anzianità
Provenienza territoriale
Nazionalità
Tipologia contrattuale
Titolo studio
Turnover
Politiche occupazionali
Dipendenti e non dipendenti
Cessazioni (per tipologia)
Pari opportunità
Personale maschile e femminile (a livello di quadri e dirigenti)
Relazione tra salario maschile e femminile (per categoria e anzianità)
Politica verso le persone con disabilità e le minoranze in genere
Formazione
Progetti di formazione (tipologia)
Ore di formazione per categoria
(al netto della formazione obbligatoria per legge o da contratto)
Stage
Orari di lavoro per categoria
Modalità retributive
Retribuzioni medie lorde
Percorsi di carriera
Sistemi di incentivazione
Assenze
Giornate di assenza
Causale
Agevolazione per i dipendenti
Relazioni industriali
Rispetto dei diritti di associazione e contrattazione collettiva
Percentuale di dipendenti iscritti al sindacato
Altro (ore sciopero, partecipazione dei lavoratori al governo aziendale ecc.)
Comunicazione interna
Sicurezza e salute sul luogo di lavoro
Infortuni e malattie
Progetti
Soddisfazione del personale
Ricerche di customer satisfaction rivolte all’interno
Progetti
Tutela dei lavoratori
Lavoro minorile
Lavoro forzato
Provvedimenti disciplinari e contenziosi
C/A
X
A
A
A
A
A
A
A
A
A
A
A
A
C
A
C
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
A
A
C
*
*
*
*
*
A
A
A
A
A
Y
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
A
A
A
A
*
*
*
*
*
*
C
A
*
*
*
A
A
C
A
A
A
*
*
*
*
*
*
*
*
^ Vedi «Relazione sulla RSI in Europa, in Italia e nel Veneto» a cura di Mantoan R. e Nicolai D.
Legenda:
C = indicatori comuni;
A = indicatori addizionali;
X = indicatori qualitativi;
Y = indicatori quantitativi
ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005
Dalle Università
1
1.1
1.1.1
1.1.2
1.1.3
1.1.4
1.1.5
1.1.6
1.1.7
1.2
1.2.1
1.2.2
1.2.3
1.3
1.3.1
1.3.2
1.3.3
1.4.
1.4.1
1.4.2
35
Dalle Università
36
zato a verificare e quindi a misurare l’impegno dell’azienda
nel minimizzare il rischio per
la sicurezza e la salute dei lavoratori, vedasi il riferimento al
calcolo dell’indice INAIL di
frequenza e gravità degli infortuni e delle malattie professionali, il secondo risulta essere
di natura meramente descrittiva, anche se l’impegno dovrà
intendersi quello ulteriore rispetto all’adempimento dell’obbligo di legge, cosı̀ come,
peraltro, vale anche per la richiesta di documentazione di
cui all’indicatore precedente.
Infatti, anche le modalità di
misurazione
dell’indicatore
sono prive di riferimenti quantitativi e si limitano alla «Descrizione dei progetti avviati
al fine di ridurre gli infortuni,
oltre a quanto realizzato per
garantire la conformità rispetto
alla normativa cogente».
Per quel che riguarda la documentazione di supporto il richiamo è, semplicisticamente,
ad «eventuali certificazioni allegate».
Come risulta evidente dall’analisi appena svolta, non è certo
possibile ritenere che il SS della CSR possa andare oltre una
mera descrizione delle situazioni relative ad ogni indicatore e,
massimamente, costituire uno
strumento di adempimento delle obbligazioni espresse dagli
stessi indicatori. Anche il riferimento ad eventuali certificazioni allegate la dice lunga sull’effettiva qualità dell’approccio,
di natura, pare chiaro, esclusivamente formale piuttosto che
sostanziale.
Tale funzione descrittiva di tipo formale, seppur verificabile, potrebbe, tuttavia, risultare
spesso inesistente se gli indici,
in particolare quelli qualitativi,
fossero stati varati, ma realizzati solo in parte, oppure fossero rimasti, semplicemente,
o creati appositamente, «sulla
carta» all’esclusivo fine di ottenere il riconoscimento.
Iscrizione al CSR
Una volta realizzato il social
statement, le imprese trasmettono il documento e il materia-
le di supporto previsto ad un
organismo specifico denominato CSR Forum. Ha cosı̀ avvio la procedura di esame/valutazione del documento, che
porta all’iscrizione dell’impresa, nel caso di validazione del
SS, in un apposito data base.
Questa fase corrisponde al livello CSR del progetto. Per
quanto riguarda il processo di
verifica, la prima fase dell’iter
di validazione si basa su una
valutazione interna, effettuata
dal CSR Forum e sulla raccolta di commenti, pareri ed,
eventualmente, reclami delle
parti sociali o, più in generale,
degli stakeholder, che dovranno essere esaminati sempre dal
CSR Forum. Dopo questa attività si procede alla comunicazione della valutazione e, nel
caso di parere positivo, si procede all’iscrizione nel già
menzionato data base.
L’impresa socialmente responsabile può decidere di andare
oltre il livello CSR e partecipare in maniera attiva alle
priorità di intervento sociale
finanziando un apposito fondo
SC, costituito nell’ambito del
bilancio di Stato; quest’ultimo
supporta i progetti nelle priorità contenute nel Piano di azione nazionale ed individuate
dalla Conferenza unificata e
dalle organizzazioni non governative. Questa seconda fase
corrisponde al successivo livello SC del progetto, con
possibilità di accedere a finanziamenti e sgravi fiscali per investimenti in CSR.
Conclusioni
sulla CSR
Dal profilo precedentemente
esaminato, si può concludere
che, principalmente per gli indicatori aventi ad oggetto obblighi a forte valenza pubblicistica, come quello riguardante
la sicurezza e la salute sul lavoro, la validazione CSR complessivamente ottenuta sull’intero percorso o su parte di esso
non avrebbe certamente alcun
valore adempitivo, ma nemmeno alcun valore di presunzione di correttezza o adeguatezza normativa.
ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005
L’ottenimento dell’iscrizione
nel data base, ovvero la validazione del SS non ha, pertanto, alcun valore legale e non
prova nulla di tutto ciò che è
oggetto della stessa, posto
che la documentazione degli
adempimenti in essa richiamati dai vari indicatori risulta tutt’altro che sostanzialmente
provata e provabile; essa costituisce, pertanto, uno strumento
per sensibilizzare il mondo
economico e il mercato dei beni e dei servizi all’importanza
dei temi etici, sociali, ambientali anche al di là, o meglio,
proprio al di là dell’adempimento normativo.
In conclusione, è possibile sottolineare come il progetto
CSR-SC, indubbiamente ispirato alla struttura del Forum
multi-stakeholder operante in
sede europea, con rappresentanza delle parti sociali (imprese e sindacati), del Governo
(Ministero del lavoro e delle
politiche sociali) e delle
ONG, non possa, di per se
stesso, costituire prova di effettiva pratica socialmente responsabile d’impresa.
SA 8000
L’approccio pubblicistico sopra
descritto non è, tuttavia, l’unico
a porsi come elemento discriminante e documentale per la
dimostrazione della effettiva
vocazione sociale dell’impresa.
Di un qualche rilievo nel panorama delle fonti normative
volontaristiche, questa volta
di natura privata, deve essere
annoverata la certificazione
SA 8000 (9).
La norma nasce nel 1997 dal
Nota:
(9) In Italia sono 52 le imprese certificate Social
Accountability 8000 (SA 8000), su un totale di
285 certificazioni a livello globale. Questo rende
l’Italia il primo Paese al mondo per numero di organizzazioni certificate; negli ultimi anni sono aumentate in maniera significativa certificazioni
ISO 14001 (oltre 2.400), OHSAS 18001, registrazioni EMAS (146), marchi di qualità ecologica
di prodotto - Ecolabel (rilasciati per oltre 60 tipologie di prodotto), certificazioni biologiche
(+23% di vendite nel 2002 nella moderna distribuzione), social label (TransFair), altri marchi ambientali (Forest Stewardship Council - FSC), ecc.
Un altro aspetto interessante
riguarda la partecipazione allargata dei cittadini e delle loro
organizzazioni; infatti la SA
8000 prevede il coinvolgimento di tutta la società civile nel
processo di monitoraggio dei
comportamenti tenuti dall’azienda.
In particolare, il processo di
monitoraggio avviene mediante interviste alle ONG locali e
ai rappresentanti sindacali nel
corso dell’auditing per la certificazione e impegnando l’azienda a comunicare pubblicamente la politica, gli impegni
assunti e i risultati del riesame
periodico della direzione.
Ciononostante, i parametri di
valutazione della catena produttiva, in termini di responsabilità sociale da certificare, sono ancora una volta elementi
di natura normativa cogente,
ovvero doveri inderogabili di
tutela del lavoratore, imposti
per l’esercizio lecito dell’impresa: lavoro infantile, lavoro
obbligato, salute e sicurezza,
libertà di associazione e di
contrattazione collettiva, discriminazione, pratiche disciplinari, orario di lavoro, retribuzione.
Salute e sicurezza
Al punto 3 dello schema di
certificazione SA 8000 ci si
occupa di salute e sicurezza.
I criteri che descrivono la prova dell’eticità dell’impresa sull’argomento sono:
«3.1 L’azienda, tenendo presente lo stato delle conoscenze
prevalenti riguardo all’industria
e a tutti i relativi rischi, deve
garantire un luogo di lavoro sicuro e salubre e deve adottare
le misure adeguate per prevenire incidenti e danni alla salute
che possono verificarsi durante
lo svolgimento del lavoro o in
conseguenza di esso, minimizzando, per quanto sia ragionevolmente praticabile, le cause
di pericolo ascrivibili all’ambiente di lavoro;
3.2 L’azienda deve nominare
un rappresentante della direzione che sia responsabile della salute e della sicurezza di
tutto il personale e dell’imple-
mentazione dei fattori di sicurezza e salute previsti nella
presente norma;
3.3 L’azienda deve assicurare
che il personale riceva una regolare e documentata formazione in materia di sicurezza
e salute, e che tale formazione
sia ripetuta per il personale
nuovo e riassegnato;
3.4 L’azienda deve stabilire sistemi per individuare, evitare
o fronteggiare potenziali rischi
alla salute e alla sicurezza di
tutto il personale;
3.5 L’azienda deve garantire,
per l’utilizzo di tutto il personale, bagni puliti, accesso ad
acqua potabile e, se appropriate, strutture igieniche per la
conservazione degli alimenti;
3.6 L’azienda deve garantire
che i dormitori, se eventualmente forniti al personale, siano puliti, sicuri e rispondano
ai bisogni essenziali del personale».
La genericità delle prescrizioni
da documentare è più che evidente, come si conviene ad
una norma volontaristica statunitense. Tuttavia, la materia e,
conseguentemente, ogni sua
documentazione adempitiva,
deve, nel nostro ordinamento
giuridico, essere conforme alle
previsioni della vasta legislazione, caratterizzata, come tutti sanno, da una non marginale
rilevanza penale che impone
specifiche misure di prevenzione degli infortuni e delle
malattie professionali di natura
tecnica, organizzativa e procedurale.
L’incolmabile distanza fra
l’approccio volontaristico di
cui sopra e la disciplina cogente propria del nostro sistema
giuridico si può, immediatamente, ricondurre a due passaggi dell’articolato di cui alla
SA 8000.
Il primo è relativo alla minimizzazione delle cause di pericolo ascrivibili all’ambiente di
lavoro «per quanto sia ragionevolmente praticabile» (punto 3.1); il secondo alla nomina
di un «rappresentante della direzione che sia responsabile
della salute e della sicurezza
di tutto il personale e dell’implementazione dei fattori di si-
ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005
Dalle Università
CEPAA, Council of Economical Priorities Accreditation
Agency, istituto statunitense
fondato nel 1969 per fornire
agli investitori ed ai consumatori strumenti informativi per
analizzare le performance sociali delle aziende. La SA
8000, abbreviazione di Social
Accountability 8000, prima
certificazione sociale limitata
al controllo del rispetto delle
condizioni di lavoro minime
lungo tutta la catena della fornitura, è stata aggiornata nel
2001 ed è stata pensata per essere adottata in ogni tipo di
azienda.
Com’è noto, il tema della gestione della catena della fornitura sta assumendo sempre più
rilevanza nella struttura produttiva moderna; i fenomeni
di disgregazione del processo
produttivo e la tendenza alla
specializzazione (subfornitura)
e all’esternalizzazione (outsourcing) stanno provocando
un allungamento della catena
del valore. Le implicazioni in
termini di responsabilità sociale sono ben visibili quando
questi processi comportano
cambiamenti di garanzie per i
lavoratori, oppure la possibilità che il committente non sia
in grado di individuare in maniera chiara la presenza di una
catena più o meno lunga di
sub-fornitori e sub-appaltatori.
Una gestione accurata della catena della fornitura, incentrata
su specifiche di qualità ambientale e sociale, si ritiene
possa superare le problematiche sopra richiamate, permettendo alle grandi imprese acquirenti di influenzare, attraverso la forza contrattuale che
esercitano, tutto il sistema produttivo attraverso un positivo
«effetto domino». Questo principio dell’influenza del cliente
sul fornitore è uno dei cardini
della normativa SA 8000: in
particolare ogni anello della
catena produttiva deve impegnarsi per la tutela dei diritti
dei lavoratori informando e stimolando l’adeguamento allo
standard dei propri fornitori,
sub-fornitori, sub-appaltatori;
in sostanza, tutta la filiera deve
garantire il rispetto dei requisiti
stabiliti nelle norme.
37
Dalle Università
38
curezza e salute previsti nella
presente norma» (3.2).
Non vi è dubbio che il limite
della tutela della salute e della
sicurezza nella legislazione
antinfortunistica italiana non
sia la «ragionevole praticabilità» bensı̀ la «tecnologica
praticabilità». Il principio più
volte sancito dalla Corte costituzionale è, com’è noto
quello della «massima sicurezza tecnologicamente possibile o fattibile» e non quello
della «sicurezza ragionevolmente praticabile». Allo stesso modo il dovere, l’obbligo
di salute e sicurezza non si rivolge ad un non meglio identificato «rappresentante della
direzione che sia responsabile
della salute e della sicurezza
di tutto il personale e dell’implementazione dei fattori di
sicurezza e salute previsti nella presente norma» bensı̀ pro
quota a tutti i protagonisti
dell’organizzazione di lavoro,
datore di lavoro, dirigenti,
preposti, lavoratori, in ragione delle proprie attribuzioni
e competenze.
Pertanto, chi dimostrasse di
aver minimizzato le cause di
pericolo ascrivibili all’ambiente di lavoro «per quanto sia ragionevolmente praticabile» e
di aver nominato un «rappresentante della direzione che
sia responsabile della salute e
della sicurezza di tutto il personale e dell’implementazione
dei fattori di sicurezza e salute
previsti nella presente norma»,
magari il responsabile del servizio di prevenzione e protezione, potrebbe certamente ottenere la certificazione SA
8000, ma di certo sarebbe
ben lungi dall’aver adempiuto
all’obbligo derivante dall’art.
2087 cod. civ. e dall’art. 4,
comma 4, lett. a) e comma 5,
lett. b), del D.Lgs. n. 626/
1994.
Ma la stessa genericità prescrittiva si riscontra relativamente ai punti 3.3, 3.4, 3.5,
3.6, nei quali si richiede, rispettivamente, che l’azienda
assicuri «che il personale riceva una regolare e documentata formazione in materia di sicurezza e salute, e che tale
formazione sia ripetuta per il
personale nuovo e rassegnato» (laddove il combinato disposto degli artt. 21 e 22 del
D.Lgs. n. 626/1994 impone
un ben più ampio e penetrante
obbligo di informazione e formazione da realizzarsi, il secondo, in occasione: dell’assunzione; del trasferimento o
cambiamento di mansioni;
dell’introduzione di nuove sostanze e preparati pericolosi;
nonché, periodicamente ripetuta in relazione all’evoluzione dei rischi o all’insorgenza
di rischi nuovi); che l’azienda
stabilisca i «sistemi per individuare, evitare o fronteggiare
potenziali rischi alla salute e
alla sicurezza di tutto il personale» (laddove l’art. 4, commi
1 e 2 del D.Lgs. n. 626/1994,
impone l’obbligo di valutazione di tutti i rischi per la salute e la sicurezza, la redazione di un documento, l’individuazione delle misure per eliminarli o ridurli, il programma di miglioramento nel tempo delle misure adottate); che
l’azienda garantisca, «per l’utilizzo di tutto il personale,
bagni puliti, accesso ad acqua
potabile e, se appropriate,
strutture igieniche per la conservazione degli alimenti»,
nonché che «i dormitori, se
eventualmente forniti al personale, siano puliti, sicuri e rispondano ai bisogni essenziali del personale» (laddove la
normativa di igiene del lavoro
impone ben altri obblighi che
le indicazioni qui impartite).
A parere di chi scrive, non
questo deve essere documentato da parte di chi vuole risultare in regola ed ottenere la
certificazione SA 8000, ovviamente non solo per quel che riguarda la voce salute e sicurezza, giacché lo stesso discorso può farsi per tutte le altre
voci dello schema di certificazione, ma l’adempimento di
tutti gli obblighi previsti dalla
legislazione vigente nel nostro
paese.
Diversamente la certificazione
non avrà alcun valore giuridico, nemmeno privatistico e volontario, in termini etico-sociali; sarà una forma, uno strumento, una trovata di marketing.
ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005
Conclusioni
Come si è potuto notare, tanto
nello schema del forum CSRSC del Ministero del lavoro,
che nella SA 8000, gli elementi, principali, di ammissione o
certificazione, risorse umane
su tutti, ma lo stesso potrebbe
dirsi anche per l’ambiente, sono, comunque, nient’altro che
obblighi di legge, posti a presidio, a limite, dell’esercizio
lecito dell’impresa.
In questo senso il concetto di
responsabilità sociale dell’impresa in senso ampio, finisce
per coincidere con quello in
senso stretto o giuridico.
Ci si domanda dov’è l’oltre,
dov’è quel risultato etico-sociale ulteriore perseguito nell’esercizio dell’impresa, che
solo può giustificare una responsabilità sociale nuova, seria, utile e legittimo strumento
(anche di marketing) per le imprese effettivamente «buone»
e non solo abili, ossia capaci
di trasformare nient’altro che
il loro dovere giuridico, nulla
di più (spesso, purtroppo, molto di meno), ciò che consente
loro il lecito esercizio dell’attività, in una livrea nuova, in
una bella medaglia, in una rappresentazione colorata a festa,
migliore e meno costosa del
miglior spot del miglior testimonial.
In collaborazione con INAIL
WorkCongress 2004:
prevenzione, riabilitazione
ed indennizzo infortuni
e malattie professionali
Roma Palazzo
dei Congressi,
1-3 dicembre
Il WorkCongress è una manifestazione che si svolge ogni
due anni in Paesi diversi ed è
da quindici anni uno dei più
accreditati eventi internazionali ed un momento di riflessione e di confronto per tutti coloro che nel mondo si occupano di salute e sicurezza sul lavoro. L’obiettivo del VI Congresso Internazionale, infatti,
è quello di accrescere la sensibilità generale e stimolare possibili soluzioni concrete per
rendere effettivo in tutto il
mondo il miglioramento delle
condizioni di vita e di lavoro.
L’obiettivo è quello di rilanciare a livello internazionale
la cultura della sicurezza sui
luoghi di lavoro in termini di
rapporto salute/lavoro nell’ottica di attuare la tutela globale
ed integrata del lavoratore infortunato o tecnopatico.
Uno degli scopi del WorkCongress - VI Congresso Internazionale su prevenzione,
riabilitazione ed indennizzo
degli infortuni sul lavoro e
delle malattie professionali è proprio quello di accrescere
la sensibilità a livello internazionale sulle problematiche di
interesse globale, attraverso
una discussione sulla prevenzione e sul risarcimento degli
infortuni sul lavoro, nonché
sulla riabilitazione dei lavoratori infortunati. Secondo le ultime stime dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro,
in media 5.000 persone ogni
giorno muoiono nel mondo a
seguito di incidenti o malattie
legate al lavoro. Ogni anno
270 milioni di persone sono
coinvolte in incidenti e circa
160 milioni sono affette da
malattie correlate all’attività
lavorativa.
La prevenzione è lo strumento
fondamentale per battere la
piaga degli infortuni. Nel corso degli anni i paesi industrializzati hanno registrato una
forte diminuzione degli infortuni gravi, dovuta proprio ai
progressi compiuti nel rendere
il luogo di lavoro più sano e
sicuro. La progressiva globalizzazione dell’economia e lo
sviluppo
dell’information
technology hanno creato grandi opportunità per migliorare
in tutto il mondo non solo la
salute e la sicurezza sul lavoro,
ma anche la sicurezza sociale,
al fine di ridurre le differenze
tra coloro che hanno tutti i diritti e coloro che non ne hanno
affatto.
Significativi i numeri di questo WorkCongress, che ha visto la partecipazione di oltre
700 delegati di cui 300 provenienti dall’estero, in rappresentanza di tutti e cinque i
Continenti, compresa una significativa rappresentanza sia
dall’Africa che dal Sud America, Paesi che non avevano partecipanti all’ultimo WorkCongress tenutosi in Australia nel
2001. Nelle tre sessioni plenarie del Congresso sono stati
impegnati circa 220 esperti,
tra i quali: Hans-Horst Konkolewsky (Agenzia europea di
Bilbao), Stephen Adler (Corte
del Lavoro Israeliana), Jukka
Takala e Alberto Lòpez Valcarcèl (Programma SafeWork
ILO), Bernard Jansen (Commissione Europea), Peter
Barth (Università del Connecticut). Sono inoltre gestiti più
di 40 workshop coordinati dall’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro,
dallo IALI (Associazione Internazionale
dell’Ispezione
del Lavoro), dalle Regioni,
dall’ISPESL, dall’ INAIL.
«I lavori del WorkCongress
6», ha affermato nella manifestazione di apertura dei lavori
Vincenzo Mungari, Presidente
dell’INAIL e Presidente di turno dell’International Steering
Committee (Comitato organizzatore del WorkCongress),
«devono dare risposta a molte
richieste che giungono da paesi nei quali stenta ad affermarsi una vera cultura della sicurezza. La sfida nella lotta contro gli infortuni sul lavoro è
quella di costruire un modello
vincente di prevenzione valido
per qualsiasi realtà lavorativa,
all’interno di ogni Paese del
mondo. Ogni Nazione, anche
quella economicamente e tecnologicamente più sviluppata,
ha la necessità del confronto
continuo, perché il lavoro si
globalizza e si trasforma continuamente. Mutano pertanto le
esigenze di tutela dei lavoratori ed è di conseguenza necessario essere pronti a fronteggiare con ogni mezzo rischi
sempre diversi».
«Che effetto ci fa - ha dichiarato Mungari nell’intervento di
apertura - o ci dovrebbe fare,
ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005
Notizie INAIL
a cura di Francesco Facello e Alessandro Baldacconi
39
Notizie INAIL
40
la constatazione che ogni giorno, ripeto, ogni giorno almeno
3.000 persone muoiono nel
mondo per cause collegate al
lavoro? E oltre alla perdita di
vite umane, o comunque, di
danni alle persone c’è la dimensione economica del problema. In Italia il costo degli
infortuni sul lavoro rappresenta
il 3% del PIL, pari a 170 milioni di giornate lavorative perse.
La stessa cosa avviene, in media, in Europa come ci ricorda
l’Agenzia Europea di Bilbao.
Come dire che se riuscissimo
ad abbattere o quantomeno a ridurre il numero degli infortuni,
ogni anno potremmo avere leggi finanziarie meno severe riducendo la spesa corrente a favore degli investimenti segnatamente in infrastrutture, ricerca ed innovazioni».
Il Presidente Mungari, muovendo dal comune interesse
di tutti i partecipanti del WorkCongress alla ricerca ed attuazione delle politiche più efficaci per la sicurezza del lavoro
e per la tutela della salute, ha
auspicato che il dibattito da
svolgersi nei giorni successivi
possa registrare un notevole
passo avanti lungo queste direttrici di fondo. Questo avrà
come suo effetto finale la progressiva riduzione dell’incidentalità da lavoro, che oggi
registra livelli insopportabili,
anche se in Italia meno che negli altri Paesi partner dell’Europa, ottenendosi con ciò una
migliore tutela dei diritti fondamentali della persona e dei
valori di solidarietà umana
che sono alla base anche della
Costituzione europea.
Stephen Adler - Presidente
della Corte Nazionale del Lavoro Israeliana - ha coordinato
i lavori che hanno riguardato i
«Modelli di tutela dei rischi
professionali».
Il Direttore del Programma SafeWork-ILO - Jukka Takala ha ricordato le parole di Kofi
Annan, Segretario Generale
dell’ONU, che di recente ha
dichiarato che la salute e sicurezza sul lavoro non è solo una
politica economicamente vantaggiosa ma anche un diritto
umano. Bisogna potenziare
un’alleanza globale tra i Paesi
sviluppati e quelli in via di sviluppo e l’ILO è in prima fila
per promuovere la politica della sicurezza e del lavoro «decente». Takala ha poi ringraziato il Governo italiano, l’INAIL e gli organizzatori per
aver ospitato questo convegno.
Timothy Walker - Direttore
Generale HSE Gran Bretagna
- ha evidenziato l’importanza
degli immigrati nel mondo
del lavoro e la necessità di
una stretta cooperazione tra
tutti gli attori sociali - enti,
parti sociali e datori di lavoro
- affinché sia abbattuto il numero degli infortuni e delle
malattie professionali che
colpiscono in maniera rilevante questa categoria di lavoratori.
Ximena Cecilia Rincòn Gonzàlez - Direttrice Generale dell’Istituto di sicurezza sociale
del Cile - ha presentato un’analisi comparata delle differenti legislazioni vigenti in
America Latina in materia di
sicurezza, salute sul lavoro e
copertura dei rischi lavorativi,
con particolare riferimento all’esperienza del Cile, dell’Argentina, del Messico, della
Colombia e del Costa Rica.
Antonio Moccaldi - Presidente dell’ISPESL - nel suo intervento ha sottolineato l’importanza del ruolo dei network,
sia a livello internazionale
che all’interno dell’Unione
Europea, per attuare nuove
strategie di prevenzione degli
infortuni. Infatti lo scorso anno, nel bacino del Mediterraneo, l’importanza dei network
è stata confermata dalla creazione di una rete che unisce e
mette in contatto tra di loro
gli istituti che si occupano di
salute e sicurezza nei luoghi
di lavoro in Francia, Spagna,
Portogallo e Italia.
Con un interessante excursus
dall’economia industriale all’economia della conoscenza,
la giornata conclusiva del
WorkCongress ha affrontato
il tema della globalizzazione
e delocalizzazione dei rischi
in relazione all’innovazione,
all’organizzazione del lavoro
e all’esportazione della produzione.
ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005
Al riguardo il Direttore Generale dell’INAIL, Maurizio
Castro, ha affermato che «la
delocalizzazione, per essere
virtuosa, deve comportare
una omologazione degli standard di sicurezza ‘‘verso l’alto’’, al fine di favorire lo sviluppo armonico dei Paesi
emergenti con quelli già industrializzati».
Per Alberto Lòpez Valcarcel
dell’ILO, lo sviluppo della salute e sicurezza sul lavoro riveste un ruolo centrale anche
per la globalizzazione ed è ferma intenzione dell’ILO dare
un contributo significativo, anche tramite la risoluzione sulla
salute e sicurezza sul lavoro
nei vari Paesi del mondo, già
adottata lo scorso anno.
Joachim Breuer, Direttore
Generale dell’HVBG e Presidente della Commissione Tecnica infortuni dell’AISS (Associazione Internazionale di
Sicurezza Sociale di cui l’INAIL, nella persona del suo
Presidente Vincenzo Mungari,
ha la vicepresidenza), ha messo in rilievo il ruolo svolto dalla Commissione stessa per ridurre il divario tra i Paesi sviluppati e quelli in via di sviluppo.
Secondo Michael Quinlan,
dell’Università del New South
Wales, Australia, alcuni studi
dimostrano l’esistenza di un
nesso tra lavoro precario ed
aumento dei tassi infortunistici; questa situazione pone una
sfida agli istituti di assicurazione infortuni, «abituati» a
gestire forme di assicurazione
che tutelano i lavori tradizionali.
Anche Jean-Luc Marié, Direttore Generale dell’INRSFrancia e Presidente della
Commissione
Prevenzione
dell’AISS, è un convinto assertore della necessità di un
monitoraggio delle condizioni
di salute e di lavoro a livello
europeo, poiché la vera unificazione europea passa anche
per la diffusione di una cultura
comune della prevenzione ed
il miglioramento della qualità
del lavoro.
Per Luise Vassie, ricercatrice
dell’Università di Leicester,
Gran Bretagna, gli effetti ne-
sul lavoro di Bilbao, nel suo
intervento «Diversità della forza lavoro: nuove sfide per la
prevenzione», dopo aver rilevato che il mondo del lavoro
sta cambiando rapidamente e che con esso cambia l’organizzazione del tempo e cresce
la percentuale della forza lavoro impiegata nel terziario - ha
sottolineato che con l’aumento
dell’immigrazione aumenta la
diversità. A tutti questi mutamenti sono legati nuovi rischi
professionali e la necessità di
diversificare e adattare le azioni di prevenzione, la valutazione del rischio, il supporto ai
lavoratori e alle imprese in tema di salute e sicurezza sul lavoro.
Wolfang Zimmermann, Direttore esecutivo dell’Istituto
nazionale di ricerca e management della disabilità del
Canada, ha sottolineato come
una strategia di gestione dei
costi economici legati ai lavoratori disabili, se sviluppata
adeguatamente, consenta di
diminuire i costi e di mantenere l’impiegabilità. In Canada, ha detto Zimmermann, è
stata realizzata al riguardo
un’esperienza che ha prodotto
un Codice delle pratiche e una
serie di standard occupazionali, che possono essere facilmente trasferiti in ambito internazionale e la cui adozione
ha generato consistenti miglioramenti.
Il Presidente del CIV INAIL,
Giovanni Guerisoli ha chiuso
i lavori del WorkCongress evidenziando la necessità che si
realizzi una tutela integrale
del lavoratore. Secondo Guerisoli, «il processo di globalizzazione in atto rischia di sacrificare la tutela del lavoratore
sull’altare della competitività,
trasformandosi in forme di lavoro sempre più precarie, con
le inevitabili conseguenze in
termini di aumento degli infortuni sul lavoro, con particolare
riferimento a quelli mortali.
Per questo motivo il WorkCongress rappresenta e rappresenterà sempre un’opportunità
di governo del contesto, al fine
di evitare che la sicurezza costituisca il differenziale su cui
i Paesi emergenti basano la loro competitività».
L’appuntamento per il VII
WorkCongress è stato fissato
ad Hong Kong nel giugno
2006.
Sottoscritto
il contratto per
il Polo pediatrico
di Acerra
Il Presidente della Giunta Regionale Antonio Bassolino e
il Presidente dell’INAIL Vincenzo Mungari hanno sottoscritto il 10 novembre 2004 il
contratto preliminare di locazione tra INAIL e Regione
Campania che di fatto dà via
libera all’acquisto dei terreni
individuati, e già resi liberi
dal proprietario, per la realizzazione del Polo pediatrico
mediterraneo di Acerra.
Dopo l’approvazione dell’Accordo di programma - sottoscritto nel 1998 tra il Ministero della Salute, la Regione
Campania, la Provincia di Napoli, il Comune di Acerra, l’INAIL e la Fondazione S. Alfonso - con questo atto si avvia concretamente la realizzazione dell’opera.
«Grazie all’impegno profuso
dalla Regione - dichiara il Presidente della Giunta Regionale
Antonio Bassolino - siamo riusciti a ricomporre le diverse
posizioni fra gli Enti interessati, giungendo al perfezionamento del primo atto concreto
che apre alla fattiva realizzazione del Polo pediatrico e ad
una reale qualificazione del
territorio acerrano».
«Tale sottoscrizione è una tappa fondamentale - dichiara
l’Assessore alla Sanità Rosalba Tufano - perché si dà avvio
alla costruzione di un centro di
riferimento sanitario importantissimo per l’alta specialità e
non solo per la Campania ma
per l’intero Mezzogiorno».
«Con tale accordo - afferma il
Presidente dell’INAIL Vincenzo Mungari - si è sbloccata una situazione che si trascinava ormai da tempo, superando cosı̀ le difficoltà di ordine burocratico che si erano
ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005
Notizie INAIL
gativi sulla salute e sicurezza
sul lavoro sono stati provocati
dalla deregulation e dalla
competizione degli ultimi anni; gli organismi multinazionali possono svolgere un ruolo
strategico dando vita a partnership e accordi per il miglioramento delle condizioni di lavoro.
Tra i workshop più significativi della giornata un’attenzione
particolare hanno meritato
quelli dedicati a «Globalizzazione e lavoro precario», «La
comunicazione per la salute e
sicurezza sul lavoro», «Focus
sulle PMI», «Rischi psico-sociali», «Ergonomia», con puntuale attenzione ai principi ergonomici che devono accompagnare la progettazione o riprogettazione dei posti e degli
ambienti di lavoro e di vita extralavorativa.
«Rispondere ai bisogni specifici delle categorie vulnerabili di lavoratori» ha rappresentato uno dei temi che hanno
interessato la platea dei delegati nella seconda giornata
della manifestazione.
John F. Burton, Preside della
Scuola di Management e Relazioni Industriali presso la Rutgers University del New Jersey, ha coordinato in plenaria
gli interventi dei vari relatori
che si sono susseguiti.
Alfredo Violante, Direttore
Centrale Riabilitazione e Protesi dell’INAIL, ha evidenziato come negli ultimi anni la
missione dell’INAIL si sia
evoluta, aggiungendo alla
compensazione economica iniziative volte a facilitare il reinserimento lavorativo, familiare
e sociale. In questo quadro va
letta l’esperienza di SuperAbile, contact center integrato
(call center e web portal) che
è diventato un network di supporto, informazione e condivisione di esperienze e soluzioni
per il mondo della disabilità. Il
call center gratuito ha fornito
dall’apertura, nel marzo 2001,
più di 200.000 risposte personalizzate. Il portale è interamente accessibile, e riceve circa 5.000 contatti al giorno.
Hans-Horst Konkolewsky,
Direttore dell’Agenzia Europea per la salute e la sicurezza
41
frapposte alla realizzazione di
una iniziativa importante per
tutti i paesi che si affacciano
sulla Riva sud del Mediterraneo».
Notizie INAIL
Secondo bando
INAIL-MIUR
per borse di studio
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«Stai avanti», «stai giusto ... ».
È questo lo slogan che accompagnerà la campagna promozionale 2004 INAIL-MIUR
presentata oggi presso il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, nel corso della conferenza stampa
che ha illustrato il secondo
bando di concorso per borse
di studio destinate agli studenti delle scuole secondarie superiori e universitari.
L’iniziativa è inserita nell’ambito di un programma di collaborazione per la realizzazione
di un progetto triennale destinato a promuovere forme di
incentivazione allo sviluppo
di professionalità in materia
di sicurezza e salute negli ambienti di vita e di lavoro.
Per quest’anno l’importo complessivo destinato all’iniziativa è di 942.000 euro, con un
incremento di 250.000 euro rispetto a quanto stanziato lo
scorso anno.
In particolare, 696.000 euro
sono destinati alle scuole secondarie superiori (465.000
euro di premi agli studenti e
231.000 per le scuole) e
246.000 agli studenti universitari.
Infatti, a seguito del grande interesse dimostrato nella prima
edizione da parte delle scuole
e delle università, la sfera dei
destinatari per questo secondo
bando è stata ampliata, con la
partecipazione non solo degli
Istituti tecnici e professionali,
ma di tutte le scuole secondarie superiori e di tutti i corsi
di laurea.
«I giovani, cittadini e lavoratori di domani», ha evidenziato
il Sottosegretario Stefano Caldoro, «sono i destinatari privilegiati di un’attività educativa
e preventiva sulla sicurezza,
per dare origine ad un collegamento sempre più stretto tra la
scuola e il mondo del lavoro,
al fine non solo di acquisire
conoscenze tecniche e specialistiche, ma anche di orientare
e sostenere scelte professionali
adeguate alle specifiche esigenze provenienti dal mercato
del lavoro».
«I punti di forza dell’iniziativa congiunta MIUR/INAIL»,
ha dichiarato il Presidente
Mungari, «sono identificabili
in un potenziamento della fase di «avvicinamento» dei
giovani al mondo del lavoro
e in una ampia e capillare
campagna promozionale e divulgativa. Il tutto avendo
sempre di mira le finalità che
si intendono perseguire: far
acquisire un bagaglio di conoscenza e di coscienza che porti i giovani a privilegiare la sicurezza e la salute negli ambienti di vita e di lavoro come
valori «sociale» ed «etico»
prioritari».
Le borse di studio previste per
la scuole secondarie superiori
sono 300, individuali o collettive, del valore di 1.550 euro
ciascuna. Il termine ultimo
per la presentazione dei lavori
è il 30 giugno 2005.
Le borse di studio previste per
l’Università sono 75, di cui:
20 riservate a studenti iscritti
(3.000 euro ciascuna); 40 a laureandi (3.300 euro); 15 a laureati (3.600 euro). La domanda
di partecipazione deve essere
inviata, esclusivamente a mezzo di raccomandata a.r., entro
il 20 dicembre 2004 e il termine ultimo per la presentazione
dei lavori è il 30 giugno 2005.
Tutto il materiale è disponibile
presso le Segreterie degli istituti scolastici e presso le Facoltà interessate, nonché sul
sito internet del MIUR
www.miur.it, e sul sito dell’INAIL.
COM-PA:
workshop INAIL
per l’e-government
«20 milioni di lavoratori e 4
milioni di imprese (è questo
il bacino d’utenza dell’INAIL)
non possono più essere adeguatamente serviti soltanto attraverso i tradizionali canali
ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005
di contatto», ha di recente dichiarato il Presidente Mungari.
L’Istituto sta spingendo sull’acceleratore dell’e-government per ridurre l’uso della
carta nelle relazioni con il cittadino, esaltando la gestione
elettronica del rapporto. Anche se non dimentica, peraltro,
che è necessario un mix di comunicazione calda (face to face) e comunicazione tecnologica per assicurare davvero la
qualità del servizio.
L’INAIL è stata presente con
lo stand istituzionale al tradizionale appuntamento del
COM-PA (Salone europeo
della comunicazione pubblica
dei servizi al cittadino e alle
imprese) nei giorni 3-5 novembre 2004 presso il padiglione 19 - Area B5, dove è
stato allestito uno «spazio
workshop», allo scopo di presentare ai datori di lavoro, Associazioni di categoria, consulenti e a tutti gli interlocutori
istituzionali, sia la nuova versione dei servizi on line già
in produzione (denuncia nominativa assicurati, denuncia di
infortunio, sportello unico previdenziale), sia i servizi on line in sperimentazione, che andranno in produzione da gennaio 2005 (denuncia di esercizio, consultazione stato pratica, Documento unico di regolarità contributiva - DURC).
Proprio a questi temi sono state dedicate la Tavola Rotonda
del giorno 4 novembre, dal titolo «L’innovazione tecnologica al servizio dei cittadini»,
e quella del giorno 5, che si
terrà alle ore 12.00, dal titolo
«E-government:
strumento
per accelerare l’innovazione
nella PA».
Nella seconda tavola rotonda,
in particolare, si è presentata
l’esperienza dei servizi on line
dell’INAIL e ci si è soffermati
sul difficile equilibrio tra innovazione tecnologica e puntualità della relativa comunicazione ai pubblici di riferimento.
Nuove alleanze
per costruire
il nuovo welfare
Nella seconda e conclusiva
consapevole che il tema della
salute e della sicurezza è un
bene troppo importante per essere sacrificato sull’altare delle
ambizioni personali».
INAIL, Lions Club
e Asphi insieme
per i disabili
L’INAIL, il Lions Clubs International e la Fondazione Asphi Onlus il 26 novembre
2004 hanno firmato un protocollo di intesa per favorire, attraverso azioni comuni, il reinserimento delle persone disabili nel mondo del lavoro.
Con questa intesa viene instaurato un rapporto di collaborazione per sviluppare, da
un lato, le attività progettuali
finalizzate alla riqualificazione
professionale dei disabili e per
facilitare, dall’altro, l’incontro
fra domanda e offerta di lavoro per i disabili del lavoro non
occupati.
L’INAIL mette a disposizione
la propria professionalità acquisita nel campo della riabilitazione e si impegna a collaborare, anche attraverso il Centro
Protesi di Vigorso di Budrio,
alla individuazione degli interventi specifici più adatti per la
persona disabile in relazione
alle sue potenzialità. Il Lions
Clubs International, da parte
sua, si impegna a promuovere
ogni forma di pubblicizzazione per favorire l’occupazione
dei disabili nelle piccole e medie imprese, anche attraverso
indicazioni sulle specifiche
competenze richieste dalle
aziende da comunicare a
INAIL e Asphi per la progettazione e realizzazione di percorsi formativi calibrati sulle
esigenze del mercato del lavoro.
«Questa sinergia tra pubblico
e privato», ha affermato il Presidente dell’INAIL Vincenzo
Mungari, «intende incentivare
forme di collaborazione volte
a migliorare la qualità della vita delle persone disabili attraverso lo sviluppo di attività
progettuali per la loro riqualificazione professionale e il
reinserimento nel mondo del
lavoro. Ciò in linea con la mis-
sion dell’Istituto, tesa a sviluppare i valori della persona anche nell’interesse della collettività».
Malattie da stress:
Convegno
di medicina legale
previdenziale
Il 20 ottobre 2004 sono stati
presentati presso il Centro
Congressi Forte Village di S.
Margherita di Pula i lavori
del V Convegno nazionale di
medicina legale previdenziale,
con l’obiettivo di fare il punto
sui progressi nel campo della
medicina legata al lavoro e alla
tutela della salute dei lavoratori con particolare attenzione a
quello che sta accadendo in
Europa. L’argomento centrale,
le patologie stress-correlate, è
di grande attualità: esamina
anche il danno da mobbing e,
più in generale, da costrizioni
organizzative per mettere a
fuoco le prospettive di tutela
da parte dell’INAIL. Gli altri
temi:
a) le patologie da sovraccarico bio-meccanico;
b) i tumori correlati al lavoro;
c) l’esperienza dell’INAIL
nella riabilitazione e nel
reinserimento sociale del
disabile;
d) le novità introdotte dalla legge in tema di prevenzione degli infortuni sui
luoghi di lavoro e il ruolo
svolto dall’Istituto.
In apertura il prof. P.A. Bertazzi ha tenuto una lezione
magistrale sul tema «L’esperienza europea nella definizione della associazione con il lavoro delle patologie stresscorrelate». Nei giorni seguenti
il programma ha visto, con il
coordinamento del Sovrintendente medico generale dell’INAIL Prof. G. Cimaglia, l’intervento di circa 40 esponenti
del mondo accademico, scientifico e delle istituzioni; sono
pervenuti oltre 80 contributi
scientifici sui temi congressuali.
ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005
Notizie INAIL
giornata del Seminario di Studio «l’INAIL e il nuovo welfare» organizzato dal Consiglio
di indirizzo e di vigilanza nei
giorni 25 e 26 novembre
2004 si è affrontato ed approfondito il tema «Nuove tutele
per nuovi lavori: la legge n.
30/2003 e il ruolo dell’INAIL».
Alla tavola rotonda, i cui lavori sono stati coordinati da
Alessandro Vecchietti, Vice
Presidente CIV, hanno partecipato: Maurizio Castro, Direttore Generale INAIL, Massimo Marchetti, Responsabile
dei problemi giuridici del lavoro della Confindustria, Tiziano Treu, Componente la
Commissione Parlamentare di
Controllo Enti Previdenziali,
Giovanni Battafarano, Commissione Lavoro del Senato,
Domenico Benedetti Valentini, Presidente Commissione
Lavoro della Camera, Fabio
Canapa, Segretario Confederale UIL e Alessandro Brignone,
Direttore Associazione Italiana Lavoro Temporaneo.
Le conclusioni della «Tavola
Rotonda», dopo gli interventi
di numerosi presidenti dei comitati provinciali e regionali,
sono state tratte dal Presidente
del Consiglio di indirizzo e di
Vigilanza, Giovanni Guerisoli,
il quale ha tracciato l’itinerario
da seguire nei prossimi mesi,
sia a livello centrale che periferico, sottolineando in particolare «la necessità che tutte
le strutture dell’Istituto condividano il progetto di valorizzazione dell’INAIL, partendo
dall’affermazione del contributo fondamentale delle parti
sociali che rappresentano i veri
azionisti del tessuto produttivo
della società e cioè le aziende
e i lavoratori. Per realizzare
questo obiettivo i prossimi appuntamenti normativi (Testo
Unico sugli infortuni, Testo
Unico sulla salute e sicurezza
e riforma previdenziale) - ha
aggiunto Guerisoli - costituiscono tappe fondamentali a
condizione che l’INAIL arrivi
unito alle scadenze legislative.
A tal fine il Presidente del CIV
ha proposto un patto tra tutti i
soggetti, a vario titolo coinvolti, nel disegno riformatore
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Notizie INAIL
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Il Presidente dell’INAIL, Vincenzo Mungari, ha commentato: «Il Convegno è un appuntamento biennale che consente
ai medici INAIL di confrontarsi con il mondo della Ricerca e
della Sanità sui temi della prevenzione, della diagnosi medico-legale, delle malattie professionali, della riabilitazione
e del reinserimento lavorativo.
Temi che sono gli obiettivi
stessi della mission istituzionale. Il ruolo dei medici è di fondamentale importanza perché
coniugato con l’azione di tutte
le professionalità dell’Istituto
garantisce il raggiungimento
dello scopo prioritario: la garanzia della qualità e della
equità delle prestazioni».
Il Presidente del CIV, Giovanni Guerisoli, ha dichiarato:
«Le linee di indirizzo per l’anno 2005 approvate dal CIV ribadiscono l’obiettivo di una
tutela integrata del lavoratore,
che parte dalla prevenzione e
si concretizza con il rafforzamento delle attribuzioni dell’Istituto in tema di riabilitazione
e reinserimento sociale». In
questo senso, ha poi affermato Guerisoli
«il ruolo dei medici dell’INAIL è fondamentale anche allo scopo di favorire
la necessaria evoluzione
della normativa in materia
di malattie professionali
che, attualmente, vede
prevalere le malattie non
tabellate, a testimonianza
della necessità, non ulteriormente procrastinabile,
di adeguare le patologie alle trasformazioni del mercato del lavoro».
Il Direttore Generale Maurizio
Castro ha sottolineato che «il
compito cui è chiamata la
‘‘scuola’’ di medicina legale
dell’Istituto è di essere presidio avanzato contro i ‘‘nuovi
rischi’’ collegati all’evoluzione tecnologica e organizzativa
del lavoro; e che i medici dell’Istituto devono concentrarsi
su un’azione concreta e integrata di prevenzione sui luoghi
di lavoro insieme con i medici
aziendali, dando corpo a quel-
la ‘‘alleanza per la sicurezza’’
tanto più efficace quanto più
modulata in prassi locali, comunitarie, flessibili».
Incentivi
alle imprese: 800
milioni di euro
investiti
nella prevenzione
Sono circa 7.000 le piccole e
medie imprese e le imprese
dei settori agricolo e artigianale che hanno presentato all’INAIL la richiesta di finanziamento per adeguare le proprie
strutture alle norme sulla sicurezza nei luoghi di lavoro, sulla base del bando 2004 scaduto nel mese di luglio. Le domande contengono uno o più
progetti finalizzati alla ristrutturazione o modifica strutturale degli ambienti di lavoro,
l’implementazione di sistemi
di gestione della sicurezza, la
sostituzione di macchine prive
di marcatura CE e l’acquisto e
ristrutturazione di impianti.
«Da una prima analisi delle
domande pervenute» ha sottolineato il Presidente dell’INAIL Vincenzo Mungari «si
stima che l’importo complessivo degli interventi di prevenzione ammonterà a circa 800
milioni di euro. Le aziende
che hanno deciso di investire
in sicurezza saranno sostenute
dall’INAIL con finanziamenti
in conto interessi pari a circa
107 milioni di euro, mentre saranno oltre 130.000 i lavoratori che beneficeranno di tali interventi nei luoghi di lavoro.
L’Istituto, con precedenti analoghe iniziative, ha già finanziato 4588 programmi di adeguamento, con un contributo
di circa 74 milioni di euro,
dando luogo ad un investimento complessivo in prevenzione pari a circa 400 milioni
di euro».
Più di un milione fra lavoratori, rappresentanti dei lavoratori
per la sicurezza, datori di lavoro e responsabili dei servizi di
prevenzione sono stati inoltre
destinatari di progetti di formazione e informazione in
materia di prevenzione degli
ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005
infortuni sui luoghi di lavoro,
finanziati con altri precedenti
bandi pubblicati dall’INAIL.
Il Presidente Mungari ha infine rimarcato la valenza ed il
successo dell’intera iniziativa,
che contribuisce fortemente alla diffusione della cultura della
prevenzione promossa dall’INAIL, che opera in linea con
le azioni che Governo ed enti
coinvolti mettono in campo
per combattere la piaga degli
infortuni sul posto di lavoro.
31 gennaio-28 febbraio 2005
Finanziamenti
per la sicurezza
a cura di Bruno Pagamici Studio Pagamici, Macerata
Dalle Regioni
Incentivi per il miglioramento delle condizioni
di sicurezza delle infrastrutture produttive
La misura A. 1 della L.R. n. 35/1996, articolo 2, comma 1, lettera a), disciplina la concessione di incentivi a favore di iniziative volte al miglioramento delle condizioni di sicurezza del sistema produttivo della Regione Lombardia. Le agevolazioni previste potranno essere fruite da consorzi, cooperative di imprese esercenti attività manifatturiera, purché ubicate in aree industriali esistenti. Il consorzio o la cooperativa dovranno essere composti da
almeno 10 PMI del settore manifatturiero. Le imprese di altri settori, unitamente ad altre attività comprese nell’area industriale, non potranno superare
il 20% delle PMI manifatturiere e la superficie lorda di pavimento non può
essere maggiore di quella complessiva delle PMI del settore manifatturiero.
Gli interventi agevolabili consistono nella realizzazione di studi di fattibilità
e/o progetti relativi alla realizzazione di impianti tecnologici comuni, finalizzati a migliorare le condizioni di sicurezza degli impianti. In particolare
la misura si propone di garantire al sistema produttivo la messa a disposizione di nuove aree per insediamenti con le connesse opere di diretta accessibilità, atte a realizzare un’articolazione delle reti di trasporto ed una mobilità di merci più sicura e sostenibile. Per le aree PIP (Piani per insediamenti produttivi) esistenti, cioè di contesti industriali appositamente individuati e delimitati con una presenza di almeno 10 PMI del settore manifatturiero, tale linea di intervento si applica ai soli casi di manifestato interesse,
da parte delle imprese, alla realizzazione di uno o più progetti di intervento
negli ambiti in questione. L’agevolazione consiste in un contributo in conto
capitale non superiore al 50% delle spese ammissibili e comunque fino ad
un massimo di 100.000 euro. Le domande devono essere presentate alla regione entro il 31 gennaio 2005.
(L.R. 16 dicembre 1996, n. 35, articolo 2, comma 1, lettera a, Misura A.1;
D.G.R. 9 maggio 2003, n. 7/12928, B.U.R. n. 22 del 26 maggio 2003: approvazione modalità attuative; D.G.R. 11 settembre 2003, n. 14481,
B.U.R. n. 39 del 22 settembre 2003: approvazione linee guida)
PIEMONTE
31 gennaio 2005
Incentivi per l’adeguamento delle strutture produttive
piemontesi
Le neoimprese del Piemonte potranno ottenere i finanziamenti per la sicurezza aziendale. Attraverso la L.R. 14 giugno 1993, n. 28, la regione sostiene, nell’ambito di interventi volti alla costituzione di nuove imprese, le
iniziative finalizzate all’adeguamento delle strutture e degli impianti alla
normativa in materia di igiene e sicurezza dei luoghi di lavoro. Le agevolazioni saranno concesse a favore di imprese individuali, società di persone e società di capitali costituite da:
a) giovani di età compresa tra i 18 ed i 35 anni di età;
b) lavoratori posti in mobilità;
Nota:
Finanziamenti
LOMBARDIA
31 gennaio 2005
3 Bruno Pagamici è Dottore commercialista, Revisore contabile e Pubblicista.
ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005
45
Finanziamenti
46
c) lavoratori provenienti da aziende in liquidazione o sottoposte a procedure concorsuali o da stabilimenti dimessi;
d) soggetti in stato di disoccupazione da almeno sei mesi ai sensi del
D.Lgs. n. 297/2002;
e) donne;
f) emigrati piemontesi compreso i lavoratori frontalieri.
Le società di persone e di capitali dovranno essere costituite per il 60% da
soci appartenenti alle categorie dei soggetti sopra indicate. In particolare
tali soggetti dovranno sottoscrivere almeno il 60% del capitale sociale nelle società di persone ed almeno l’80% nelle società di capitali. Per le società di persone inoltre le donne dovranno costituire almeno l’80% dei soci e per le società di capitali queste devono aver sottoscritto l’80% del capitale da donne e dovranno essere in maggioranza nell’organo dirigente
per avere diritto alla priorità nell’esame delle domande. Gli interventi
per i quali è ammesso il finanziamento riguardano la costituzione e l’avvio di nuove imprese. In tale ambito saranno ammessi, oltre alle spese sostenute per l’adeguamento degli impianti tecnici e dei locali alla norme
vigenti in materia di igiene e sicurezza dei luoghi di lavoro, i seguenti costi:
1) le spese di costituzione dell’impresa: parcella professionale inerente la
predisposizione del progetto d’impresa; consulenza e assistenza alla costituzione dell’impresa o della società; parcella notarile riguardante la costituzione della società e l’eventuale atto di acquisizione d’azienda (per l’impresa individuale solo l’eventuale atto di acquisizione di azienda); contratti per gli allacciamenti e i collegamenti necessari per l’avvio dell’impresa
o società (per esempio i contratti per gli allacciamenti del telefono, dell’energia elettrica ecc., esclusi i canoni); spese di pubblicità e promozione
(compresa la realizzazione del logo);
2) le spese per i servizi di assistenza tecnica e gestionale: studi di fattibilità e ricerche di mercato, corsi di formazione; - assistenza tecnica e gestionale (per esempio la tenuta della contabilità, ecc.);
3) le spese per l’acquisizione di macchine, attrezzature ed automezzi; sistemi informatici e i relativi programmi; licenze, marchi e brevetti; - attivazione o adeguamento degli impianti tecnici e dei locali. Sono previste
tre tipologie di agevolazione:
a) per gli investimenti di cui al punto 1): contributi a fondo perduto fino al
50% delle spese ammissibili. L’agevolazione non potrà comunque superare i 12.911,42 euro;
b) per gli investimenti di cui al punto 2): contributi a fondo perduto, fino
al 50% delle spese ammissibili. Il contributo massimo è di 5.164,57 euro;
c) per gli investimenti di cui al punto 3) e per i costi di adeguamento delle
strutture e dei locali: finanziamento a tasso agevolato di importo pari al
100% delle spese ammissibili, fino ad un massimo di 103.291,38 euro.
Il finanziamento verrà erogato per il 50% con fondi regionali a tasso zero
e per il restante 50% con fondi bancari alle migliori condizioni di mercato,
tramite gli istituti di credito convenzionati con Finpiemente. Le domande
di ammissione alle agevolazioni dovranno essere presentate alla regione
entro il 31 gennaio 2005 e comunque entro 180 giorni dalla data di costituzione dell’impresa e della società.
(L.R. 14 giugno 1993, n. 28; D.G.R. 23 marzo 2004, n. 54-12082, suppl.
ord. n. 1 al B.U.R. n. 12 del 25 marzo 2004: approvazione criteri attuativi; Determinazione 21 luglio 2004, n. 538, B.U.R. n. 43 del 28 ottobre
2004: modifica criteri attuativi)
UMBRIA
16 febbraio 2005
Contributi per l’acquisizione di servizi reali
La Regione Umbria sostiene gli investimenti per la sicurezza degli ambienti di lavoro. L’obiettivo è di promuove l’acquisizione di servizi per
il miglioramento e l’adeguamento delle strutture produttive. È quanto
prevede il bando relativo alla misura 2.2, azione 2.2.1, tipologia b),
del DOCUP 2000/2006, in scadenza il prossimo 16 febbraio 2005. Potranno accedere agli aiuti le piccole e medie imprese operanti nei settori
dell’industria, dell’artigianato, del commercio e del turismo, ubicate nelle aree Obiettivo 2 e phasing out della Regione Umbria. Potranno inoltre
beneficiare delle agevolazioni le imprese di servizi operanti in ambito
ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005
UMBRIA
16 febbraio 2005
Aiuti per la sicurezza dell’ambiente di lavoro
La Regione Umbria incentiva l’acquisizione di consulenze finalizzate a
tutelare la sicurezza negli ambienti di lavoro. Con determinazione 21 ottobre 2004, n. 9089, l’amministrazione regionale ha reso operativo il bando per la presentazione delle domande di contributo a favore di piccole e
medie imprese, artigiane ed industriali, di produzione e servizi alla produzione, e loro forme associate, con unità locali ubicate nelle aree obiettivo
2 e Phasing out dei fondi strutturali. Saranno ammessi alle agevolazioni i
programmi di investimento in immobilizzazioni integrati con l’acquisizione di consulenze specialistiche finalizzate alla tutela delle condizioni di
lavoro. In relazione agli investimenti materiali ed immateriali saranno finanziabili le spese relative all’acquisto, all’acquisizione mediante locazione finanziaria e alla costruzione di immobili ed immobilizzazioni. Relativamente alle consulenze specialistiche le spese dovranno riferirsi a studi e
consulenze in materia di sicurezza dell’ambiente di lavoro, degli impianti
e delle lavorazioni, solo nel caso in cui si producano effetti migliorativi
rispetto ai parametri minimali previsti dalla vigente normativa. Le consulenze dovranno essere rese da strutture specializzate organizzate in forma
societaria o consortile, ovvero da professionisti singoli iscritti ad idonei
albi professionali, la cui attività risulti compatibile con la consulenza offerta, dimostrando inoltre di possedere precedenti esperienze nella materia
specifica oggetto dell’incarico, ovvero da strutture universitarie. Ai sensi
della normativa saranno concedibili le seguenti agevolazioni:
1) per gli investimenti l’entità del contributo sarà pari al 15% in ESL
(equivalente sovvenzione lorda) per le piccole imprese e del 7,5% ESL
per le medie imprese. Per le imprese localizzate nelle aree 87.3.c. del Trattato, l’entità del contributo concesso sarà pari al 20% ESL per le piccole
imprese ed al 15% ESL per le medie imprese. Su specifica richiesta del
beneficiario gli investimenti ammessi alle agevolazioni possono fruire
di un contributo a fondo perduto in regime de minimis pari al 30% della
spesa ammissibile documentata, al netto dell’IVA e di qualsiasi altro onere accessorio;
2) per le spese sostenute per l’acquisizione di consulenze specialistiche
sarà concesso un contributo pari al 50%. Le domande di contributo dovranno essere presentate entro e non oltre il 16 febbraio 2005 alla Regione
ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005
Finanziamenti
socio-assistenziale, le cooperative sociali, gli organismi di volontariato,
gli enti e le associazioni di promozione sociale, le fondazioni non bancarie, le ONLUS, i patronati e enti riconosciuti delle confessioni religiose con le quali lo Stato ha stipulato patti, accordi o intese. Saranno ammesse agli incentivi le spese, sostenute successivamente alla data di presentazione della domanda, per studi e consulenze in materia di sicurezza
dell’ambiente di lavoro, degli impianti e delle lavorazioni (solo nel caso
in cui si producano effetti migliorativi rispetto ai parametri minimali
previsti dalla vigente normativa). Le consulenze dovranno essere rese
da istituti universitari e/o strutture specializzate organizzate in forma societaria o consortile, ovvero da professionisti singoli iscritti ad idonei albi professionali, la cui attività risulti compatibile con la consulenza offerta, dimostrando inoltre di possedere precedenti esperienze nella materia specifica oggetto dell’incarico. L’ammontare degli investimenti ammissibili non potranno essere inferiore a 8.000 euro, oppure a 5.000 euro
per i progetti presentati da soggetti operanti nell’economia sociale. L’agevolazione consiste in un contributo concesso in misura pari al 50% del
costo totale del servizio (al netto di IVA) ritenuto ammissibile, e comunque per un importo non superiore ad 30.000 euro per singola impresa
beneficiaria. Le domande dovranno essere inviate, complete della documentazione richiesta, esclusivamente a mezzo posta, tramite raccomandata A.R. indirizzata a: Regione Umbria, Centro Direzionale Fontivegge, Via Mario Angeloni, n. 61, 06124 Perugia - Servizio X - Sezione I,
entro e non oltre il 16 febbraio 2005.
(DOCUP 2000/2006; Misura 2.2.1 - Tipologia b); D.G.R. 21 ottobre
2004, n. 9092, suppl. ord. n. 2 al B.U.R. n. 46 del 4 novembre 2004: approvazione bando)
47
Umbria - Giunta Regionale Servizio Politiche di Sostegno alle Imprese
Via Mario Angeloni, n. 61, 06124 Perugia.
(Bando PIA Industria; D.G.R. 21 ottobre 2004, n. 9089, suppl. ord. n. 2
al B.U.R. n. 46 del 4 novembre 2004: approvazione bando)
Finanziamenti
VENETO
28 febbraio 2005
48
Premi per la salute in azienda
La Regione Veneto in collaborazione con l’INAIL concede premi per le
imprese che investono in salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. L’obiettivo dell’iniziativa è quello di mettere in atto misure di prevenzione degli
incidenti sul lavoro, come previsto nel bando «Azienda sana - La salute in
azienda 2004». L’Assessorato regionale alla sanità, l’INAIL, Unindustria
di Venezia e l’ULSS 12 Veneziana intendono favorire ed accrescere la più
ampia diffusione della cultura e delle buone pratiche per la sicurezza sul
lavoro, di accrescere la tutela della salute e del benessere della comunità
lavorativa e di sensibilizzare le organizzazioni d’impresa a migliorare i sistemi di gestione secondo criteri di qualità e di eticità. Sono autorizzate a
presentare le domande per l’accesso al bando, tutte le imprese private e
pubbliche ubicate nella Regione del Veneto. Gli aiuti possono essere assegnati per la realizzazione di progetti o iniziative di qualità in tema di:
a) informazione e formazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro;
b) sistemi di gestione della salute e sicurezza sul lavoro;
c) promozione della salute sul lavoro per la prevenzione delle malattie, il
miglioramento degli stili di vita, l’accrescimento del benessere del lavoratore;
d) responsabilità sociale e certificazione etica d’impresa.
Il progetto dovrà essere conforme ai seguenti documenti di riferimento in
materia di salute e sicurezza sul lavoro: «Quale formazione per la sicurezza» redatto dal Comitato Fondatore; «Linee guida UNI per un sistema di
gestione della salute e sicurezza sul lavoro (SGSL)»; «Criteri di qualità
per la promozione della salute nei luoghi di lavoro» elaborato dall’European Network for Workplace Health Promotion; sistema SA 8000. I progetti inoltre devono: essere stati realizzati, con requisiti di qualità, nel corso dei 2 anni precedenti; avere un programma di realizzazione secondo
tempi definiti; non devono essere già stati oggetto di presentazione al precedente concorso «Azienda sana - La salute in azienda 2002». Il sostegno
consiste in premi, ciascuno di valore unitario pari a 6.000 euro, da assegnare uno alle grandi aziende con più di 250 dipendenti uno alle PMI e
studi professionali ed infine uno alle aziende pubbliche. Il premio verrà
erogato secondo le seguenti modalità:
1) erogazione in un’unica soluzione o mediante acconto iniziale pari al
50% del premio per iniziative già concluse;
2) erogazione del restante 50% del premio a conclusione su presentazione
di un rapporto conclusivo dell’iniziativa per progetti in corso.
Premi speciali verranno consegnati ai progetti di particolare pregio con riferimento ai temi oggetto del concorso, ai comparti produttivi e alle popolazioni lavorative a maggior rischio. Le aziende che intendono partecipare
al concorso dovranno presentare la domanda, esclusivamente a mezzo di
raccomandata a/r, entro il 28 febbraio 2005, alla segreteria organizzativa
del concorso, «Azienda Sana - la salute in azienda 2004», c/o Un industria
Venezia, via delle Industrie 19, 30175 Venezia Marghera.
(Bando «Azienda sana - La salute in azienda 2004»)
ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005
Sicurezza antincendio
Dispositivi per l’apertura
manuale delle porte
3
Con il D.M. 3 novembre 2004 il Ministero dell’interno ha fissato i criteri da seguire per la scelta
dei dispositivi di apertura manuale delle porte installate lungo le vie di esodo, nelle attività
soggette al controllo dei Vigili del fuoco ai fini del rilascio del certificato di prevenzione incendi,
stabilendo che dovranno essere conformi alle norme UNI EN 179 o UNI EN 1125 o ad altre a
queste equivalenti.
D.M. (Interno) 3 novembre 2004
(G.U. 18 novembre 2004, n. 271)
Legislazione
Disposizioni relative all’installazione ed alla
manutenzione dei dispositivi per l’apertura
delle porte installate lungo le vie di esodo, relativamente alla sicurezza in caso d’incendio
50
IL MINISTRO DELL’INTERNO
Visto il decreto del Presidente della Repubblica
27 aprile 1955, n. 547, recante «Norme per la
prevenzione degli infortuni sul lavoro»;
Visto il decreto del Presidente della Repubblica
29 luglio 1982, n. 577, recante «Approvazione
del regolamento concernente l’espletamento dei
servizi di prevenzione e vigilanza antincendio»;
Visto il decreto del Presidente della Repubblica
21 aprile 1993, n. 246, recante «Regolamento
di attuazione della direttiva 89/106/CEE relativa ai prodotti da costruzione»;
Visto il decreto legislativo del 19 settembre
1994, n. 626, recante «Attuazione delle direttive 89/391/CEE, 89/654/CEE, 89/655/CEE, 89/
656/CEE, 90/269/CEE, 90/270/CEE, 90/394/
CEE, 90/679/CEE riguardanti il miglioramento
della sicurezza e della salute dei lavoratori sul
luogo di lavoro»;
Visto il decreto legislativo del 19 marzo 1996,
n. 242, recante «Modifiche ed integrazioni al
decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626,
recante attuazione di direttive comunitarie riguardanti il miglioramento della sicurezza e
della salute dei lavoratori sul luogo di lavoro»;
Visto il decreto del Presidente della Repubblica
12 gennaio 1998, n. 37, recante «Regolamento
per la disciplina dei procedimenti relativi alla
prevenzione incendi, a norma dell’art. 20, comma 8, della legge 15 marzo 1997, n. 59»;
Visto il decreto interministeriale 10 marzo 1998,
recante «Criteri generali di sicurezza antincendio
e per la gestione dell’emergenza nei luoghi di lavoro»;
Visto il proprio decreto 4 maggio 1998, recante
«Disposizioni relative alle modalità di presentazione ed al contenuto delle domande per l’avvio
ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005
dei procedimenti di prevenzione incendi, nonché all’uniformità dei connessi servizi resi dai
Comandi provinciali dei Vigili del fuoco»;
Visto il parere favorevole espresso dal Comitato centrale tecnico scientifico per la prevenzione incendi di cui all’art. 10 del decreto del Presidente della Repubblica 29 luglio 1982, n. 577,
nella riunione n. 261 del 9 aprile 2003;
Considerato che i dispositivi di apertura manuale posti sulle porte installate lungo le vie di esodo delle opere soggette al rispetto del requisito
essenziale n. 2 «Sicurezza in caso di incendio»
devono essere conformi a quanto previsto dal
decreto del Presidente della Repubblica 21 aprile 1993, n. 246;
Ritenuta la necessità di provvedere all’emanazione di norme e criteri per l’installazione e la
manutenzione dei dispositivi antipanico e dei
dispositivi per le uscite di emergenza;
Espletata, con notifica 2003/186/I la procedura
di informazione di cui alla direttiva 98/34/CE,
modificata dalla direttiva 98/48/CE;
Decreta:
Art. 1
(Oggetto - Campo di applicazione)
Il presente decreto stabilisce i criteri da seguire
per la scelta dei dispositivi di apertura manuale,
di seguito denominati «dispositivi», delle porte
installate lungo le vie di esodo nelle attività
soggette al controllo dei Vigili del fuoco ai fini
del rilascio del certificato di prevenzione incendi, quando ne sia prevista l’installazione.
I dispositivi di cui al comma precedente devono
essere conformi alle norme UNI EN 179 o UNI
EN 1125 o ad altre a queste equivalenti, secondo quanto disposto nel successivo art. 3.
Art. 2
(Definizioni)
Ai fini del presente decreto si riportano le defi-
manutenzione dei dispositivi deve essere realizzata attraverso l’osservanza dei seguenti adempimenti:
a) per il produttore:
a.1) fornire le istruzioni per la scelta in relazione all’impiego per l’installazione e la manutenzione;
b) per l’installatore:
b.1) eseguire l’installazione osservando tutte le
indicazioni per il montaggio fornite dal produttore del dispositivo;
b.2) redigere, sottoscrivere e consegnare all’utilizzatore una dichiarazione di corretta installazione con esplicito riferimento alle indicazioni
di cui al precedente punto b.1);
c) per il titolare dell’attività:
c.1) conservare la dichiarazione di corretta installazione;
c.2) effettuare la corretta manutenzione del dispositivo osservando tutte le istruzioni per la
manutenzione fornite dal produttore del dispositivo stesso;
c.3) annotare le operazioni di manutenzione e
controllo sul registro di cui all’art. 5, comma
2, del decreto del Presidente della Repubblica
12 gennaio 1998, n. 37.
Art. 3
(Criteri di installazione)
Ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 21 aprile 1993, n. 246, i dispositivi di cui
all’art. 1 devono essere muniti di marcatura CE.
In particolare, fatti salvi gli adempimenti previsti da specifiche regole tecniche di prevenzione
incendi, l’installazione dei dispositivi di cui all’art. 1 è prevista nei seguenti casi:
a) sulle porte delle vie di esodo, qualora sia prevista l’installazione di dispositivi e fatto salvo il
disposto di cui all’art. 5, devono essere installati dispositivi almeno conformi alla norma UNI
EN 179 o ad altra a questa equivalente, qualora
si verifichi una delle seguenti condizioni:
a.1) l’attività è aperta al pubblico e la porta è
utilizzabile da meno di 10 persone;
a.2) l’attività non è aperta al pubblico e la porta
è utilizzabile da un numero di persone superiore
a 9 ed inferiore a 26;
b) sulle porte delle vie di esodo, qualora sia prevista l’installazione di dispositivi e fatto salvo il
disposto di cui all’art. 5, devono essere installati dispositivi conformi alla norma UNI EN 1125
o ad altra a questa equivalente, qualora si verifichi almeno una delle seguenti condizioni:
b.1) l’attività è aperta al pubblico e la porta è
utilizzabile da più di 9 persone;
b.2) l’attività non è aperta al pubblico e la porta
è utilizzabile da più di 25 persone;
b.3) i locali con lavorazioni e materiali che
comportino pericoli di esplosione e specifici rischi d’incendio con più di 5 lavoratori addetti.
Art. 5
(Termini attuativi e disposizioni transitorie)
I dispositivi non muniti di marcatura CE, già installati nelle attività di cui all’art. 3 del presente
decreto, sono sostituiti a cura del titolare in caso
di rottura del dispositivo o sostituzione della
porta o modifiche dell’attività che comportino
un’alterazione peggiorativa delle vie di esodo
o entro sei anni dalla data di entrata in vigore
del presente decreto.
La manutenzione dei dispositivi di cui al comma precedente dovrà comunque garantire il
mantenimento della loro funzionalità originaria
e dovrà essere effettuato quanto prescritto al
punto c. 3 dell’art. 4.
Art. 4
(Commercializzazione, installazione
e manutenzione dei dispositivi)
La commercializzazione, l’installazione e la
ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005
Legislazione
nizioni di cui ai riferimenti in premessa, come
segue:
a) via di emergenza (o via di esodo, o di uscita, o
di fuga): percorso senza ostacoli al deflusso che
consente alle persone che occupano un edificio o
un locale di raggiungere un luogo sicuro;
b) uscita di emergenza: passaggio che immette
in un luogo sicuro;
c) uscita di piano: uscita che consente alle persone di non essere ulteriormente esposte al rischio diretto degli effetti di un incendio e che
può configurarsi come segue:
c.1) uscita che immette direttamente in un luogo sicuro;
c.2) uscita che immette in un percorso protetto
attraverso il quale può essere raggiunta l’uscita
che immette in un luogo sicuro;
c.3) uscita che immette su di una scala esterna;
d) luogo sicuro: luogo dove le persone possono
ritenersi al sicuro dagli effetti di un incendio;
e) percorso protetto: percorso caratterizzato da
una adeguata protezione contro gli effetti di
un incendio che può svilupparsi nella restante
parte dell’edificio. Esso può essere costituito
da un corridoio protetto, da una scala protetta
o da una scala esterna.
51
Prevenzione incendi
Stabilimenti costieri
di lavorazione e depositi
di oli minerali e sostanze
esplosive
3
Con la lettera circolare 11 novembre 2004, n. 2600 il Ministero dell’interno ha fornito
chiarimenti in merito alle procedure di prevenzione incendi relative:
a) agli stabilimenti costieri di lavorazione e deposito di oli minerali soggetti alla presentazione del
rapporto di sicurezza;
b) agli stabilimenti costieri di lavorazione e deposito di oli minerali diversi da quelli di cui alla
lettera a);
c) agli stabilimenti e depositi costieri di sostanze esplosive.
Prassi
Ministero Interno - Lettera circolare 11 novembre 2004, n. 2600
52
Il Consiglio di Stato, con parere n. 4097/2003,
formulato nella adunanza della Sezione prima
del 10 dicembre 2003, ha espresso l’avviso
che, ai fini del rilascio della concessione per
l’impianto ed esercizio di stabilimenti e depositi costieri di sostanze infiammabili, il Ministero dell’interno esprima il proprio parere ai
competenti organi del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, ai sensi dell’art. 47
del regolamento della navigazione marittima,
tramite il Comitato tecnico regionale o interregionale per la prevenzione incendi, integrato
da un funzionario del Dipartimento della pubblica sicurezza.
L’integrazione del Comitato dovrà avvenire
con un funzionario della Polizia di Stato in servizio presso le divisioni di polizia amministrativa e sociale, designato dalla Questura della provincia ove ha sede lo stabilimento costiero di
lavorazione e deposito di oli minerali.
Relativamente agli stabilimenti e depositi costieri di sostanze esplosive, il Consiglio di Stato, argomentando dal disposto dell’art. 26 del
D.Lgs. n. 334/1999, chiarisce che permane
l’obbligo del Ministero delle infrastrutture e
dei trasporti di acquisire il parere della Commissione consultiva centrale controllo armi, ai
sensi dell’art. 47 del regolamento della navigazione marittima.
L’intervenuto parere del Consiglio di Stato
comporta l’individuazione di procedure semplificate ai fini dell’espressione del parere del Ministero dell’interno ai sensi dell’art. 47 del regolamento della navigazione marittima, le cui
linee vengono di seguito illustrate.
ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005
A) Stabilimenti costieri di lavorazione
e deposito di oli minerali soggetti
alla presentazione del rapporto di sicurezza
ai sensi dell’art. 8 del D.Lgs. n. 334/1999
Il competente organo del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (Autorità marittima o
Autorità portuale) indirizza la richiesta di parere
di cui all’art. 47 reg. nav. mar. alla Direzione
regionale dei Vigili del fuoco, per l’avvio dell’istruttoria nell’ambito del procedimento di
cui all’art. 21 del D.Lgs. n. 334/1999, informando per conoscenza il Comando provinciale
dei Vigili del fuoco.
Per opportuna conoscenza e per l’attività di monitoraggio, contestuale comunicazione viene
fatta al Ministero dell’interno: Dipartimento
dei Vigili del fuoco, Soccorso pubblico e Difesa civile - Direzione centrale per la prevenzione
e la sicurezza tecnica - Area rischi industriali e
al Dipartimento della pubblica sicurezza - Ufficio per gli Affari della Polizia amministrativa e
sociale.
Per quel che concerne la composizione del
C.T.R. di cui all’art. 19 del D.Lgs. n. 334/
1999, sempre integrato dal funzionario del Dipartimento della pubblica sicurezza designato
dalla Questura competente per territorio, si rimanda alle disposizioni impartite con nota prot.
NS 4962 del 17 luglio 2001.
Al termine dell’istruttoria, il C.T.R. comunica
l’esisto al Ministero delle infrastrutture e dei
trasporti - Direzione generale per le infrastrutture della navigazione marittima e interna - e con
tale adempimento si intende espresso il parere
del Ministero dell’interno, ai sensi e per gli effetti dell’art. 47, reg. nav. mar.
B) Stabilimenti costieri di lavorazione
e deposito di oli minerali diversi da quelli
di cui alla lettera A)
Per tali stabilimenti, ai fini dell’espressione del
parere ex art. 47, reg. nav. mar., viene seguita la
procedura sopra descritta per l’acquisizione del
parere del Comitato tecnico regionale di prevenzione incendi di cui all’art. 20 del D.P.R.
n. 577/1982.
In seno al Comitato, sempre integrato dal funzionario della Questura competente per territorio, potrà essere prevista la presenza dei rappresentanti delle istituzioni e degli enti locali indicati nell’art. 19 del D.Lgs. n. 334/1999 e dei
rappresentanti dell’Autorità marittima e dell’Autorità portuale territorialmente competenti.
Con l’occasione si rammenta che, ai fini del rilascio del Certificato di prevenzione incendi,
prima dell’inizio delle opere, il titolare dell’attività deve richiedere il parere di conformità sul
progetto al Comando provinciale del Vigili
del fuoco, con istanza redatta nei modi e con i
contenuti di cui al decreto del Ministero dell’interno 4 maggio 1998; tale parere di conformità
dovrà essere rilasciato dal Comando provinciale
dei Vigili del fuoco anche sulla base delle valu-
tazioni espresse dal C.T.R. nella composizione
sopra indicata.
Nel caso di attività soggetta agli artt. 6 e 7 del
D.Lgs. n. 334/1999, si precisa che il titolare dovrà inoltre presentare, alla Direzione regionale e
al Comando provinciale dei Vigili del fuoco, la
notifica e la scheda di informazione di cui all’allegato V del D.Lgs. n. 334/1999 nei modi
e nei tempi previsti dall’art. 6 dello stesso decreto legislativo, come già indicato nella nota
prot. DCPST/A4/429 del 18 febbraio 2004.
C) Stabilimenti e depositi costieri di sostanze
esplosive
Per gli stabilimenti e/o depositi costieri di sostanze esplosive, il parere ai sensi dell’art. 47
del regolamento della navigazione marittima
continuerà ad essere reso dal Ministero dell’interno al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, sentita la Commissione consultiva centrale controllo armi.
La presente lettera circolare apporta modifiche
alla circolare n. 12 MI.SA. del 5 luglio 2000
e fa salve le disposizioni di cui alle note
DCPST/A4/RS/3409 del 3 dicembre 2003,
DCPST/A4/RS/3558 del 30 dicembre 2003,
DCPST/A4/RS/209 del 23 gennaio 2004 e
DCPST/A4/RS/429 del 18 febbraio 2004.
Le prefetture - Uffici territoriali del Governo
dei capoluoghi di regione sono pregate di volere trasmettere copia della presente circolare ai
competenti uffici di ciascuna regione.
Attesa l’importanza della materia, si confida
nella consueta, fattiva collaborazione.
Nota:
(1) «Attuazione della direttiva 96/82/CE relativa al controllo dei pericoli di
incidenti rilevanti connessi con determinate sostanze pericolose» in G.U. 5
aprile 2001, n. 80.
Prassi
Il parere del Comitato va altresı̀ comunicato al
Comando provinciale dei Vigili del fuoco e,
per conoscenza, al Ministero dell’interno: Dipartimento dei Vigili del fuoco, Soccorso pubblico e Difesa civile - Direzione centrale per
la prevenzione e la sicurezza tecnica - Area rischi industriali e al Dipartimento della Pubblica
sicurezza - Ufficio per gli Affari della Polizia
amministrativa e sociale.
Per le procedure di prevenzione incendi ai fini
del rilascio del Certificato di prevenzione incendi, si fa riferimento al decreto del Ministro
dell’interno 19 marzo 2001, emanato ai sensi
dell’art. 26 del D.Lgs. n. 334/1999 (1).
ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005
53
Trasporto merci pericolose
Attrezzature a pressione
trasportabili:
quadro normativo
3
Con la circolare 26 ottobre 2004, n. 3982, il Ministero dei trasporti ha fornito il quadro sintetico
delle norme e procedure applicabili alle bombole, incastellature di bombole, tubi, recipienti
criogenici per gas, fusti a pressione, cisterne e batterie di recipienti, in seguito al recepimento
delle direttive comunitarie materia di trasporto di merci pericolose e di attrezzature a pressione
trasportabili.
Prassi
Ministero Trasporti - Circolare 26 ottobre 2004, n. 3982
54
L’emanazione di alcuni provvedimenti legislativi, che hanno recepito direttive comunitarie
in materia di trasporto di merci pericolose e di
attrezzature a pressione trasportabili, ha innovato il quadro normativo che regola la progettazione e la fabbricazione, le verifiche per l’approvazione e la fabbricazione, l’utilizzo e le
ispezioni periodiche di tali attrezzature.
In particolare:
il decreto del Ministero delle infrastrutture
dei trasporti del 21 dicembre 2001, ha recepito
la direttiva 2001/7/CE, che adegua al progresso
tecnico la direttiva 94/55/CE, ed ha disposto
che dal 1º luglio 2001 debbono essere applicate
le disposizioni degli allegati A e B dell’accordo
europeo sul trasporto internazionale di merci
pericolose su strada (ADR);
il D.Lgs. 2 febbraio 2002, n. 23, in attuazione
della direttiva 1999/36/CE, ha stabilito nuovi
requisiti per l’immissione in commercio, la
messa in servizio, l’ispezione periodica e l’utilizzazione ripetuta delle attrezzature a pressione
trasportabili ed ha introdotto delle nuove entità
operative di ispezione denominate «organismi
notificati ed autorizzati»;
il decreto del Ministero delle infrastrutture
dei trasporti 20 giugno 2003, ha recepito la direttiva 2003/28/CE che adegua ulteriormente la
direttiva 94/55/CE.
Allo scopo di evitare difformità di interpretazione, si ritiene opportuno diramare la presente
circolare che fornisce il quadro sintetico delle
norme e procedure applicabili alle bombole, alle incastellature di bombole, ai tubi, ai recipienti criogenici per gas, ai fusti a pressione, alle cisterne ed alle batterie di recipienti.
1) Definizioni
«Bombola», un recipiente trasportabile a pressione, di capacità in acqua non superiore a 150 litri;
«Tubo» (classe 2), una grande bombola a pres-
ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005
sione trasportabile, senza saldatura, di capacità
in acqua superiore a 150 litri e non superiore
a 5.000 litri;
«Fusto a pressione», un recipiente a pressione,
saldato e trasportabile, di capacità superiore a
150 litri e non superiore a 1000 litri (per esempio recipiente cilindrico munito di cerchi di rotolamento, sfere su pattini);
«Recipiente criogenico», un recipiente trasportabile a pressione, isolato termicamente per i
gas liquefatti refrigerati, di capacità in acqua
non superiore a 1.000 litri;
«Contenitore per gas ad elementi multipli
(CGEM)», un mezzo di trasporto comprendente
elementi collegati tra loro da un tubo collettore e
montati in un telaio. I seguenti elementi sono
considerati come elementi di un CGEM: le bombole, i tubi, i fusti a pressione e i pacchi di bombole, come pure le cisterne per i gas della classe
2 aventi una capacità superiore a 0,45 m3;
«Cisterna», un serbatoio, munito dei suoi equipaggiamenti di servizio e di struttura. Quando il
termine è impiegato da solo, comprende i contenitori-cisterna, le cisterne mobili, le cisterne
smontabili e le cisterne fisse come definite nella
presente sezione come pure le cisterne che costituiscono elementi di un veicolo batteria o di
un CGEM;
«Cisterna smontabile», una cisterna di capacità
superiore a 0,45 m3, diversa da una cisterna fissa, una cisterna mobile, un contenitore-cisterna
o un elemento di un veicolo-batteria o di un
CGEM; che non è progettata per il trasporto delle merci senza rottura di carico e che, normalmente, può essere movimentata solo se vuota;
«Contenitore-cisterna», un mezzo di trasporto
rispondente alla definizione di contenitore e
comprendente un serbatoio e degli equipaggiamenti, compresi quelli atti a consentire gli spostamenti del contenitore cisterna senza cambiamento d’assetto, utilizzato per il trasporto di
2) Normativa previgente alla entrata
in vigore del D.Lgs. 2 febbraio 2002, n. 23
Antecedentemente alla data di entrata in vigore
del D.Lgs. 2 febbraio 2002, n. 23, le norme applicabili per la progettazione, la costruzione, le
prove e l’uso dei recipienti trasportabili per gas
(classe 2) erano contenute:
nel D.M. 12 settembre 1925 e successive serie di norme integrative e di aggiornamento;
nel D.M. 7 aprile 1985 di recepimento delle
direttive comunitarie 84/525/CEE, 84/526/
CEE è 84/527/CEE;
negli allegati A e B all’ADR. (periodicamente aggiornato).
3) Nuovo quadro normativo
Le direttive 1999/36/CE e 2001/2/CE e la decisione 2001/107/CE, recepite in Italia con
D.Lgs. 2 febbraio 2002, n. 23, prescrivono che:
le bombole, i tubi, i recipienti criogenici e i loro rubinetti ed accessori di nuova fabbricazione,
immessi sul mercato a partire dal 1º luglio 2001;
i fusti a pressione, le incastellature di bombole, le cisterne e i loro rubinetti ed accessori di
nuova fabbricazione, immessi sul mercato a
partire dal 10 luglio 2005;
debbono rispettare le pertinenti disposizioni
degli allegati alla direttiva 94/55CE (ADR).
Per l’immissione sul mercato comunitario delle
bombole, dei tubi, dei recipienti criogenici, dei
fusti a pressione, delle incastellature di bombole, delle cisterne (e dei veicoli batteria) e dei loro rubinetti e accessori è previsto che la valutazione della conformità sia effettuata da un organismo, notificato.
Il D.Lgs. 2 febbraio 2002, n. 23, inoltre:
ha consentito fino al 30 giugno 2003 l’immissione sul mercato e la messa in servizio delle attrezzature a pressione trasportabili conformi alla normativa previgente alla data di entrata in
vigore del decreto medesimo;
consente fino al 1º luglio 2007 l’immissione
sul mercato e la messa in servizio dei fusti a
pressione delle incastellature di bombole e delle
cisterne, conformi alla normativa previgente alla data del 1º luglio 2005 (secondo la modifica
apportata dalla decisione 2003/525/CE).
3.1 Le attrezzature per trasporto di gas già immesse sul mercato, inclusi i loro rubinetti ed accessori, possono essere sottoposti ad una procedura di rivalutazione della conformità da parte
di un organismo notificato.
3.2 L’ispezione periodica dei recipienti, compresi i loro rubinetti ad altri accessori può essere effettuata da un organismo notificato o da un
organismo autorizzato con la procedura di cui
al modulo I dell’allegato IV parte III della direttiva 1999/36/CE o, in alternativa, può essere effettuata dal fabbricante, dal suo mandatario stabilito nel territorio comunitario, o dal detentore
che applichi per le ispezioni periodiche un sistema di qualità approvato e operi sotto la sor-
veglianza di un organismo notificato, (nel rispetto della procedura di cui al modulo 2 dell’allegato IV parte III della direttiva 99/36/CE).
3.3 Per uniformare l’interpretazione della direttiva 1999/36/CE, l’Unione Europea mediante
un apposito gruppo di esperti, ha diffuso 38 linee guida che sono consultabili al seguente indirizzo internet: http://europa.eu.int/comm/transport/tpe/index_en.html
4) Valutazione della conformità
dei recipienti alle disposizioni della direttiva
94/55/CE
Le prescrizioni inerenti la progettazione, la costruzione e le prove dei recipienti trasportabili
per gas (classe 2), sono riportate nei pertinenti
capitoli degli allegati alla direttiva 94/55/CE,
a cui si rimanda.
Si ritiene comunque opportuno evidenziare i seguenti punti:
4.1 per le bombole, i tubi, le incastellature di
bombole e i recipienti criogenici: i capitoli 4.1
e 6.2 con particolare riferimento a:
paragrafo 6.2.1 che riporta i requisiti generali
per la progettazione, la costruzione e l’approvazione del recipienti nonché i tipi di materiali e
gli accessori di servizio degli stessi;
paragrafo 6.2.2 che definisce un elenco di
norme che soddisfano i requisiti del precitato
paragrafo 6.2.1.
4.2 per le cisterne, i veicoli batteria e i CGEM:
capitoli 6.7 e 6.8 con particolare riferimento a:
paragrafo 6.7.3 che riporta i requisiti generali
per la progettazione, la costruzione e l’approvazione delle cisterne per gas liquefatti non refrigerati marcati UN;
paragrafo 6.7.4 che indica i requisiti generali
per la progettazione, la costruzione e l’approvazione delle cisterne per gas liquefatti refrigerati
marcati UN;
paragrafo 6.7.5 che riporta i requisiti generali
per la progettazione, la costruzione e l’approvazione dei CGEM per gas non refrigerati marcati
UN;
paragrafo 6.8.2 che specifica i requisiti generali per la progettazione, la costruzione e l’approvazione;
paragrafo 6.8.3 che indica i requisiti particolari applicabili alle cisterne, veicoli batteria e
CGEM specificatamente idonei per il trasporto
di gas;
paragrafo 6.8.4 che elenca le disposizioni
speciali applicabili;
paragrafo 6.8.5 che specifica le prescrizioni
concernenti i materiali per le cisterne saldate,
aventi pressione di progetto maggiore di 10
bar e per le cisterne criogeniche.
5) Rivalutazione della conformità
dei recipienti esistenti alle disposizioni
della direttiva 94/55/CE
5.1 Disposizioni di carattere generale
La rivalutazione di conformità è la procedura
volta a valutare a posteriori, a richiesta del pro-
ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005
Prassi
materie gassose, liquide, polverulente o granulari, e avente una capacità superiore a 0,45 m3.
55
Prassi
56
prietario, del suo mandatario o del detentore, la
conformità delle attrezzature a pressione trasportabili già esistenti e messe in funzione anteriormente alla data di entrata in vigore del
D.Lgs. 2 febbraio 2002, n. 23, alle relative disposizioni degli allegati alle direttiva 94/55/CE.
È inoltre possibile trasformare, come previsto
dalla linea guida n. 8 del comitato di esperti
TPED, un’omologazione ottenuta secondo la
normativa precedentemente in vigore (direttive
84/525/CEE, 84/526/CEE e 84/527/CEE) senza
procedere ad ulteriori prove, quando l’organismo notificato verifica sotto la propria responsabilità che la normativa in questione offre lo
stesso livello di sicurezza delle disposizioni
ADR e delle norme ivi menzionale.
Per la rivalutazione della conformità alle pertinenti disposizioni della direttiva 94/55/CE delle
attrezzature per trasporto di gas, collaudati in
base alle norme previgenti all’interno di uno
Stato firmatario dell’accordo ADR, il proprietario o l’utilizzatore o, nel caso di rivalutazione
della conformità di tipo, il fabbricante può presentare la richiesta ad un organismo notificato,
allegando alla stessa la prescritta documentazione e seguire l’iter procedurale previsto per
le varie categorie di apparecchiature a pressione
trasportabili.
la specifica originaria) o di collaudo di produzione relativi ad almeno due lotti di fabbricazione.
L’organismo ispettivo, valuta i materiali, i processi di fabbricazione, la progettazione, le modalità di realizzazione, i limiti di lunghezza e
di capacità, e le prove eseguite, per verificare
che i recipienti del tipo previsto assicurino caratteristiche di sicurezza almeno equivalenti a
quelle richieste della direttiva a riferimento.
Qualora i dati forniti risultino incompleti, l’organismo ispettivo può richiedere delle integrazioni e può eseguire o fare eseguire prove integrative necessarie per completare il quadro di
riferimento.
Sulla base delle verifiche e delle eventuali prove di cui sopra, l’organismo ispettivo può emettere un rapporto di rivalutazione della conformità del tipo che deve riportare il nome e il numero di individuazione dello stesso organismo,
il nome e la firma del responsabile della rivalutazione, l’identificazione del tipo di recipiente
rivalutato e i riferimenti ai relativi disegni e
specifiche. Al rapporto devono essere inoltre allegati copia dei certificati da cui sono stati ricavati i dati utilizzati per la rivalutazione, nonché
le certificazioni delle eventuali prove integrative effettuate.
5.2 Rivalutazione della conformità di bombole,
tubi, incastellature di bombole,
fusti a pressione e recipienti criogenici
A titolo esemplificativo si evidenziano alcune
procedure che gli enti notificati debbono mettere in atto per procedere alla rivalutazione di
conformità.
5.2.2 Rivalutazione di conformità del singolo
recipiente
Per la valutazione di conformità dei singoli recipienti, devono essere fornite, in aggiunta a
quanto specificato al punto 5.2.1, le copie dei
certificati di collaudo di fabbricazione, o una
documentazione equivalente, che identifichi i
singoli recipienti e le loro caratteristiche o le caratteristiche del lotto di cui fanno parte.
Il proprietario o l’utilizzatore dei recipienti deve
anche dichiarare se i recipienti sono stati impiegati in servizio per gas particolari (quali ossido
di carbonio o sue miscele) e indicare le eventuale limitazioni all’uso e le notizie concernenti
eventuali danni o riparazioni effettuate.
L’organismo ispettivo deve anche verificare
che:
i recipienti non siano inclusi in alcuna lista di
richiamo o prescrizione per ragioni di sicurezza;
le eventuali bombole o tubi destinati a contenere idrogeno o gas fragilizzanti soddisfino le
prescrizioni della norma EN 11114-1;
Se la documentazione prodotta è incompleta o
non vi è prova che siano soddisfatti tutti i requisiti prescritti, l’organismo ispettivo deve far
eseguire le prove integrative ritenute necessarie.
Tutte le bombole per cui è richiesta la rivalutazione di conformità devono essere sottoposte
alla verifica periodica.
Sulla base delle verifiche, delle eventuali prove
integrative e dell’ispezione periodica, l’organismo notificato può emettere un attestato di rivalutazione della conformità dei recipienti, che
deve riportare il nome e il numero di individuazione dell’organismo, il luogo e la data dell’i-
5.2.1 Rivalutazione di conformità del tipo
Per la rivalutazione di conformità del tipo di recipiente devono essere fornite informazioni che
consentano un’identificazione univoca delle caratteristiche del tipo oggetto della richiesta,
quali:
norme e indirizzo del fabbricante;
norme di progettazione e costruzione;
processo di fabbricazione e modalità di giunzione (ove applicabile);
pressione di prova;
pressione di esercizio;
materiale utilizzato;
valori minimi del carico di snervamento e
della resistenza a trazione, e della resilienza;
diametro nominale esterno e relativa tolleranza;
lunghezza totale minima e massima;
capacità in acqua minima e massima;
spessore minimo della parete e dei fondi;
disegno della sezione longitudinale;
ammissione all’uso con idrogeno o altri gas
fragilizzanti;
per le bombole di acetilene, informazioni sul
tipo ed eventuale approvazione della massa porosa;
altri eventuali dati significativi;
certificati di approvazione del tipo (secondo
ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005
Documento di prova periodica successiva
alla prima
Ad ogni prova periodica successiva, il documento di prova precedente viene sostituito e allegato al documento di rivalutazione della conformità.
Le certificazioni di cui sopra devono essere
conservate presso il proprietario e, in copia,
dall’organismo che li ha rilasciati.
5.3 Rivalutazione della conformità
delle cisterne, cisterne smontabili,
contenitori cisterna
Rivalutazione di conformità del tipo
Per la rivalutazione di conformità del tipo di cisterna devono essere fornite informazioni che
consentano un’identificazione precisa delle caratteristiche del tipo oggetto della richiesta,
quali:
norme e indirizzo del fabbricante;
norme di progettazione e costruzione;
processo di fabbricazione e modalità di giunzione;
pressione di prova;
pressione di esercizio;
materiale utilizzato;
caratteristiche tecnologiche del materiale di
costruzione con particolare riferimento ai valori
minimi del carico di snervamento, della resistenza a trazione e della resilienza;
diametro nominale esterno e relativa tolleranza;
dimensioni esterne e interne (nel caso di recipienti criogenici isolati sotto vuoto le dimensio-
ni interna ed esterne devono essere relative sia
all’involucro esterno che al recipiente interno);
elementi costruttivi dei frangiflutti;
elementi di rinforzo contro il vuoto (se ricorre
il caso);
sostegni tra involucro interno ed esterno (se
ricorre il caso);
capacità in acqua minima e massima;
spessore minimo della parete e dei fondi;
calcoli di verifica strutturale secondo la norma di costruzione originaria (approvata presso
uno Stato firmatario dell’ADR);
calcoli di verifica strutturale secondo l’ADR;
altri eventuali dati significativi.
L’organismo ispettivo, valuta i materiali, i processi di fabbricazione, la progettazione, le modalità di saldatura, i limiti di lunghezza e di capacità, e le prove eseguite, per verificare che i
recipienti del tipo previsto assicurino caratteristiche di sicurezza almeno equivalenti a quelle
richieste della direttiva a riferimento.
Qualora i dati forniti risultino incompleti, l’organismo ispettivo può richiedere delle integrazioni e può eseguire o fare eseguire prove integrative necessarie per completare il quadro di
riferimento.
Sulla base delle verifiche e delle eventuali prove di cui sopra, l’organismo ispettivo nel rapporto di rivalutazione della conformità del tipo
che deve riportare il nome e il numero di individuazione dello stesso organismo, il nome e la
firma del responsabile della rivalutazione, l’identificazione del tipo di recipiente rivalutato
e i riferimenti ai relativi disegni e specifiche.
Al rapporto devono essere inoltre allegati copia
dei certificati da cui sono stati ricavati i dati utilizzati per la rivalutazione, nonché le certificazioni delle eventuali prove integrative effettuate.
5.3.2 Rivalutazione di conformità
della singola cisterna
Per la valutazione di conformità della singola
cisterna, devono essere fornite, in aggiunta a
quanto specificato al punto precedente le copie
dei certificati di collaudo di fabbricazione, o
una documentazione equivalente, che identifichi la singola cisterna e le sue caratteristiche.
Il proprietario o l’utilizzatore dei recipienti deve
anche indicare le eventuali limitazioni all’uso e
le notizie concernenti eventuali danni subiti e
riparazioni effettuate.
Se la documentazione prodotta è incompleta o
non vi è prova che siano soddisfatti tutti i requisiti prescritti, l’organismo ispettivo deve far
eseguire le prove integrative ritenute necessarie.
Sulla base delle verifiche, delle eventuali prove
integrative e dell’ispezione periodica, l’organismo ispettivo può emettere un attestato di rivalutazione della conformità della cisterna che deve riportare il nome e il numero di individuazione dell’organismo, il luogo e la data dell’ispezione, il nome e la firma dell’ispettore, l’identificazione e le caratteristiche della cisterna,
ricavate dalle certificazioni prodotte o dalle
prove integrative eseguite.
ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005
Prassi
spezione, il nome e la firma dell’ispettore, l’identificazione e le caratteristiche dei recipienti,
ricavate dalle certificazioni prodotte o dalle
prove integrative eseguite.
Inoltre deve essere rilasciato il certificato della
ispezione periodica.
Nel caso in cui la rivalutazione di conformità
dei recipienti venga effettuata da un organismo
autorizzato, al sopraccitato attestato devono essere allegati anche copia del certificato di rivalutazione del tipo (effettuata da un organismo
notificato) e del certificato di collaudo della
produzione, nonché copia dei verbali delle
eventuali prove integrative effettuate per la rivalutazione del tipo.
Si rammenta che per le bombole fabbricate in
conformità delle direttive 84/525/CEE, 84/
526/CEE e 84/527/CEE ed immesse in commercio antecedentemente o entro due anni dalla
data del 1º luglio 2001 il marchio garantisce la
libera commercializzazione nell’Unione Europea, ma non la libera circolazione (riempimento, uso, ricarica e ispezione).
Per tale circostanza le bombole soggette alle
predette direttive sono espressamente menzionate nell’articolo 16 del decreto legislativo 2
febbraio 2002, n. 23, che prevede l’apposizione
del marchio da parte di un organismo notificato
o autorizzato unicamente a seguito di un’ispezione periodica (e non di una rivalutazione).
57
Inoltre deve essere rilasciato il certificato della
ispezione periodica in cui vengono indicate le
prove effettuate sulla cisterna e sui dispostivi
di sicurezza.
Documento di prova periodica successiva
alla prima
Ad ogni prova periodica successiva, il documento di prova precedente viene sostituito ed
allegato al documento di rivalutazione della
conformità. Le certificazioni di cui sopra devono essere conservate presso il proprietario e, in
copia, dall’organismo che li ha rilasciate.
6) Elenco degli organismi notificati
e autorizzati non dipendenti dallo Stato
con sede sul territorio italiano
Si fornisce di seguito l’elenco degli organismi
notificati ed autorizzati dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti alla data della presente circolare.
CD-ROM
Allegato
Elenco degli organismi notificati ed autorizzati
non dipendenti dallo Stato,
con sede sul territorio italiano
A. Organismi notificati
1) Istituto Superiore per la Prevenzione e la Sicurezza del Lavoro - Dipartimento Omologazione e Certificazione (I.S.P.E.S.L.) - Via Urbana, 167 - Roma
2) Consorzio Europeo Certificazione (C.E.C.) Via Pisacane, 46 - Legnano (MI)
3) Certification of Safety Institute S.p.A.
(C.S.I.) - Viale Lombardia, 20 - Bollate (MI)
4) European Certifying Organization S.p.A.
(E.C.O.) - Via Mengolina, 31 - Faenza (RA)
5) Consorzio IITALCERT - Viale Sarca, 336 Milano
B. Organismi autorizzati
Isl - Igiene & Sicurezza
del Lavoro
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Prassi
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58
La banca dati ISL Igiene e Sicurezza del Lavoro - Raccolta delle Annate raccoglie tutto quanto è stato pubblicato sulla rivista dal primo anno di pubblicazione. Il CD-ROM riproduce struttura e contenuti della rivista, con articoli di commento, aspetti tecnici e giuridici,
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(tel. 02.82476794 - fax 02.82476403)
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ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005
6 ottobre 2004 - 22 novembre 2004
Rassegna della Cassazione
penale
Leptospirosi del dipendente
comunale, soggetti
responsabili e carenza
di fondi
Cassazione penale, Sez. IV - Sentenza n. 39052
del 6 ottobre 2004 (u.p. 15 aprile 2004) - Pres.
Olivieri - Est. Perna La Torre - P.M. (Conf.)
Veneziani - Ric. De Lucia e altri
Di grande interesse è il caso di patologia professionale affrontato da questa sentenza: un dipendente comunale addetto a mansioni di fognatore, durante lo spurgo di un tratto fognario
pubblico, entrò in contatto attraverso la cute e le
mucose con acqua contaminata da urine di animali infetti in quanto sprovvisto di mezzi di
protezione personali adeguati ai rischi specifici
per il capo, gli occhi, le mani e le vie respiratorie in violazione degli artt. 377, 381, 382, 383,
387, D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547; e, quindi,
contrasse la leptospirosi con esito mortale. Tre
i soggetti dichiarati colpevoli del delitto di omicidio colposo: l’assessore alla vivibilità, il capo
settore del servizio fognatura e il preposto ai lavori di spurgo presso il comune.
La Sez. IV conferma le condanne. Con riguardo
al capo settore del servizio fognatura (assolto in
primo grado dal tribunale, ma condannato dalla
Corte d’Appello), osserva che due note a sua
firma indirizzate alla segreteria generale del comune a all’assessore alla vivibilità mettono in
luce che egli «era perfettamente a conoscenza
della concreta esposizione a rischi dei fognatori
costretti a svolgere il loro servizio in condizioni
di estremo pericolo per la salute, operando in
ambienti malsani ed infetti senza l’ausilio dei
più elementari mezzi di protezione», e aggiunge
che «gli erano ben note le modalità di esecuzione dei lavori, avendoli disposti ed essendosi recato presso il cantiere per sollecitarne la veloce
esecuzione». E ne desume che «il giudicabile,
per le funzioni svolte, era destinatario delle norme antinfortunistiche ex D.P.R. n. 547/1955,
onde su di lui gravava l’obbligo - che non ammette deroghe - di predisporre tutte le misure di
sicurezza stabilite dalle norme a tutela dei lavoratori, con conseguente responsabilità in caso di
inadempienza».
Quanto al preposto, la Sez. IV ne ritiene la colpevolezza, avuto riguardo alla sua «funzione di
preposto», alla «conoscenza da parte dello stesso dei lavori di fognatura da eseguirsi usando le
mani», alla «carenza di idonei presidi antinfortunistici», alla «funzione di garanzia ricoperta
dal prevenuto», alla «riferibilità del decesso alla
leptospirosi contratta nel corso delle operazioni
di espurgo della fogna».
Nell’occuparsi infine dell’assessore (cui era demandata, tra l’altro, la cura del servizio fognatura della città), la Sez. IV sottolinea che egli
«era stato informato delle carenze de quo dal
dirigente del servizio fognatura». Afferma
che, «in tema di norme per la prevenzione degli
infortuni, non si può ascrivere al dirigente ogni
violazione di specifiche norme antinfortunistiche, atteso che, sebbene l’art. 2, comma 1, lettera b), seconda parte, D.Lgs. n. 626/1994 individui la nozione di datore di lavoro pubblico
nel dirigente al quale spettano i poteri di gestione, l’art. 4, comma 12, D.Lgs. citato ribadisce il
principio fondamentale in materia di delega di
funzioni secondo cui, attesa la funzione di garanzia assunta dal sindaco e dagli assessori in
materia di prevenzione, la delega in favore del
dirigente assume valore solo ove gli organi elettivi e politici siano incolpevolmente estranei alle inadempienze del delegato e non siano stati
informati, assumendo un atteggiamento di inerzia e di colpevole tolleranza» (per questa impostazione v., avanti, Cass. 7 ottobre 2004, Beltrami e altri, alla cui nota si rinvia per un quadro
della giurisprudenza in materia). Ne ricava
che «tanto basta per poter affermare la penale
responsabilità dell’assessore in quanto lo stesso, sebbene puntualmente informato delle carenze in tema di misure di prevenzione infortuni dei fognatori, omise di provvedere tempestivamente alla acquisizione dei necessari ed idonei presidi antinfortunistici». Quanto poi all’assunto difensivo «secondo cui il comune era privo di fondi e, quindi, non era in grado di provvedere all’acquisto di guanti, tra l’altro dal costo del tutto modesto», chiarisce che un tale assunto «non esonera il prevenuto da
responsabilità, atteso che in caso di violazione
di norme antinfortunistiche le difficoltà economiche in cui versi l’impresa o la mancanza di
fondi sufficienti per adottare le misure previste
dalla legge non integrano alcuna ipotesi di caso
fortuito o forza maggiore, essendo prevedibili
ed in qualche modo riparabili». Tanto è vero
che «successivamente al decesso del fognatore
vennero garantite le condizioni di sicurezza mi-
ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005
Giurisprudenza
a cura di Raffaele Guariniello
59
Giurisprudenza
60
nime per i lavoratori addetti al servizio delle fogne, anche con l’acquisto dei guanti di cui si discute». Analogamente, su quest’ultimo punto,
Cass. 6 ottobre 1997, Chiappa, in ISL, 1997,
12, 675 - nell’esaminare un caso in cui il sindaco aveva sostenuto che «il comune non aveva
provveduto ai relativi incombenti per mancanza
di fondi» - anzitutto, osservò che «il caso fortuito consiste in un avvenimento non previsto
e non prevedibile, che si inserisca all’improvviso nell’azione del soggetto, soverchiandone
ogni possibilità di resistenza o contrasto, mentre per forza maggiore si intende la vis maior
cui resisti non potest, cioé quell’evento che scaturisca dalla natura o dal fatto dell’uomo e che,
pur se preveduto non può essere in alcun modo
impedito»; aggiunse che «il principio di non
esigibilità di una condotta diversa non può trovare collocazione e spazio al di fuori delle cause di giustificazione e di esclusione della colpevolezza codificate espressamente», e che «l’accadimento fortuito deve risultare totalmente
svincolato sia dalla condotta dello stesso, sia
dalla di lui colpa»; sottolineò che «la prova
del caso fortuito o della forza maggiore deve
essere fornita dall’imputato in modo rigoroso,
allegando i fatti e le circostanze in cui si concretizzano»; e concluse che, «in caso di violazione
di norme antinfortunistiche le difficoltà economiche in cui versi l’impresa o la mancanza di
fondi sufficienti per adottare le misure previste
dalla legge, non integrano alcuna ipotesi di caso
fortuito o forza maggiore, essendo prevedibili
ed in qualche modo riparabili». In precedenza,
la Cassazione aveva sostenuto che, «in caso
di violazioni delle norme di prevenzione infortuni e igiene del lavoro in locali di proprietà comunale, ove non ricorra una specifica causa di
non punibilità (come la forza maggiore ex art.
45 c.p. per mancanza assoluta di risorse di bilancio), incorre in responsabilità penale il sindaco che, per destinare le risorse a fini ritenuti
prioritari, trascura di ottemperare agli obblighi
inderogabili stabiliti dalla legge penale quali
quelli relativi alla sicurezza del lavoro»: cosı̀,
testualmente, Cass. 8 aprile 1993, Russo, in
Guariniello, op. cit., 188; v., altresı̀, Cass. 27
settembre 1995, Aiello e altri, in Dir. prat.
lav., 1995, 45, 2817; Cass. 4 maggio 1984, Barni e altri, in Giust. pen., 1985, II, 356.
Datore di lavoro pubblico
e prova della delega
Cassazione penale, Sez. III - Sentenza n.
39268 del 7 ottobre 2004 (u.p. 13 luglio
2004) - Pres. Postiglione - Est. Novarese P.M. (Diff.) Febbraro - Ric. Beltrami e altro
Questa sentenza in tema di identificazione del datore di lavoro nell’ambito delle pubbliche amministrazioni fa spicco per la molteplicità degli
spunti offerti (sul tema v., tra le ultime, Cass.
ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005
28 aprile 2003, Fortunato, in Dir. prat. lav.,
2003, 23, 1542; Cass. 21 febbraio 2003, Giuliani,
ibid., 2003, 11, 744; Cass. 9 gennaio 2003, Di
Lena, ibid., 2003, 7, 508; Cass. 26 settembre
2002, Borreca, ibid., 2002, 45, 2954; Cass. 20
febbraio 2002, Mazzei, ibid., 2002, 12, 858;
Cass. 15 gennaio 2001, Bonghi e altro, ibid.,
2001, 32, 2188; Cass. 28 luglio 2000, Daverio,
ibid., 2001, 32, 2191, alle cui note si rinvia per
un panorama della giurisprudenza in argomento).
Magistrale resta, a cinque anni di distanza, l’analisi condotta da Cass. 14 aprile 1999, Vannini, ibid., 1999, 42, 2994, ove si affermò che «la
‘‘individuazione del datore di lavoro’’, ai sensi
dell’art. 2, lettera b), D.Lgs. n. 626/1994, deve
comportare che al medesimo - avente funzioni
dirigenziali, ovvero che risulti essere preposto
ad un ufficio avente autonomia gestionale spettino ‘‘poteri (effettivi) di gestione’’ e, dunque, poteri autonomi di spesa» e che «la posizione del soggetto, quale ‘‘datore di lavoro’’,
comporta in primo luogo una capacità gestionale di natura patrimoniale». Di non minore rilievo fu, successivamente, Cass. 28 aprile 2003,
Fortunato, cit., la quale sottolineò che «in forza
dell’art. 2, comma 1, lettera b), D.Lgs. n. 626/
1994, nelle pubbliche amministrazioni - nel
cui novero rientrano gli enti locali, secondo la
precisazione contenuta nell’art. 1, comma 2,
D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, attualmente sostituito dall’art. 1, comma 2, D.Lgs. 30 marzo
2001, n. 165, che ha abrogato il precedente testo normativo in materia - la qualifica di datore
di lavoro può essere attribuita esclusivamente ai
dirigenti, ai quali siano attribuiti poteri di ‘‘gestione’’, dovendosi intendere con tale termine,
in analogia con quanto previsto dalla disposizione citata per il settore privato, la esistenza
di autonomi poteri decisionali anche in materia
di spesa».
Nel riprendere alcuni concetti espressi dalle citate sentenze Mazzei, Bonghi, e Daverio per
mano del medesimo estensore, la Sez. III torna
ora sull’argomento (per un’applicazione concreta v., retro, Cass. 6 ottobre 2004, De Lucia
e altri). Premette che, «secondo giurisprudenza
costante di questa Corte (cfr. Cass. sez. un. 14
ottobre 1992 n. 9874, Giuliani rv. 191185), la
individuazione dei destinatari degli obblighi
posti dalle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro e sull’igiene del lavoro deve fondarsi non già sulla qualifica rivestita, bensı̀ sulle
funzioni in concreto esercitate, che prevalgono,
quindi, rispetto alla carica attribuita al soggetto
(ossia alla sua funzione formale)», e che, «peraltro, sotto il profilo normativo, assume rilevanza la nozione, fornita dal D.Lgs. n. 626/
1994, modificata dal D.Lgs. n. 242/1996, di datore di lavoro pubblico, individuato nel dirigente del settore». Subito precisa che «l’introduzione delle norme richiamate non comporta l’esclusione di ogni responsabilità dell’organo
apicale, giacché questi precetti devono essere
coordinati con il principio generale, non derogato in tema di responsabilità penale per l’ap-
spesa, non consentite all’organo tecnico o al dirigente del settore».
A questo punto, previa una ricognizione degli
orientamenti non del tutto convergenti in materia, la Sez. III si preoccupa di fornire ulteriori
chiarimenti in merito alla prova della delega.
Pone in luce, anzitutto, «la necessità di una forma scritta nel settore pubblico, giacché nel diritto amministrativo vige l’esigenza di una formalizzazione dei rapporti organizzativi al fine
di predicare all’esterno la posizione assunta all’interno della struttura»; e ritiene in generale
che, «attesa la formula generica della forma
‘‘espressa’’ e del contenuto chiaro e considerato l’onere probatorio incombente sul soggetto
titolare dell’obbligo di garanzia, ritenuto rigoroso dalla giurisprudenza prevalente, la predisposizione di ordini di servizio per iscritto, di norme interne, di organigrammi e di deleghe scritte
facilitano la dimostrazione della sua esistenza
prima della commissione del fatto criminoso e
servono a semplificare la prova degli altri requisiti oggettivi, che si risolvono nell’individuazione delle condizioni che esprimono l’adempimento diligente dell’obbligo di protezione mediante l’apprestamento di una struttura e di
un’organizzazione». (Sulla necessità della delega scritta, tra le più recenti, Cass. 17 ottobre
2003, D’Agostin, in ISL, 2003, 12, 720; quanto
all’onere della prova circa il conferimento, i
contenuti e i requisiti della delega, nello stesso
senso, da ultimo, Cass. 11 giugno 2004, Deut e
altro, ibid., 2004, 12, 753; Cass. 24 marzo
2003, Di Martino e altro, ibid., 2003, 8, 469).
Impossibilità tecnica
di mezzi protettivi
e divieto assoluto
di macchine insicure
Cassazione penale, Sez. III - Sentenza n.
39852 del 12 ottobre 2004 (u.p. 13 luglio
2004) - Pres. Postiglione - Est. Piccialli L. P.M. (Parz. conf.) febbraio - Ric. Greco
Condannato per il delitto di lesione personale
colposa in rapporto a un infortunio occorso a
un dipendente per «la mancata installazione
su una macchina perforatrice deputata alla foratura di profili di alluminio di ripari o dispositivi
atti ad evitare che le mani o altre parti del corpo
dei lavoratori siano offese dal punzone o da altri organi mobili lavoratori» in violazione dell’art. 115, D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, il datore di lavoro lamenta che «i dispositivi di sicurezza sulla macchina (erano) del tutto incompatibili con le modalità di funzionamento della
stessa e non necessari, in caso di corretto impiego della medesima, non sussistendo alcuna situazione di intrinseca pericolosità del relativo
funzionamento».
La Sez. III replica che «le censure, con le quali
ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005
Giurisprudenza
plicazione e l’osservanza della normativa di
prevenzione degli infortuni e sull’igiene del lavoro, dell’effettività della gestione del potere in
considerazione della protezione accordata dalla
Costituzione ai fondamentali diritti inerenti alla
legislazione antinfortunistica». Assume come
norma chiave l’art. 4, comma 12, D.Lgs. n.
626/1994, in forza del quale «gli obblighi relativi agli interventi strutturali e di manutenzione
necessari per assicurare ... la sicurezza dei locali
e degli edifici assegnati in uso a pubbliche amministrazioni ... ivi comprese le istituzioni scolastiche ed educative ... restano a carico dell’amministrazione tenuta, per effetto di norme
o convenzioni, alla loro fornitura o manutenzione» e «gli obblighi previsti ... relativamente ai
predetti interventi, si intendono assolti, da parte
dei dirigenti o funzionari preposti agli uffici interessati, con la richiesta del loro adempimento
all’amministrazione competente o al soggetto
che ne ha l’obbligo giuridico». Ricava da tale
norma «il principio fondamentale in materia
di delega di funzioni, secondo cui, attesa la posizione di garanzia assunta dai vertici dell’ente
pubblico, la delega in favore di un soggetto che
non può neppure rifiutarla, qual è il dirigente o
il funzionario preposto, assume valore solo ove
detti organi siano incolpevolmente estranei alle
inadempienze del delegato e non siano stati informati, assumendo un atteggiamento di inerzia
e di colpevole tolleranza». Precisa, inoltre, che
«occorre distinguere, riguardo ad ogni ente,
pubblico o privato, in piena armonia con i principi espressi dalle normative organizzatorie ed
istituzionali, fra difetti strutturali e ordinario
buon funzionamento delle strutture stesse, ulteriormente suddividendosi in questo caso fra
quelle di carattere occasionale, in ogni caso
non riferibili al soggetto apicale, e permanenti,
giacché in detta ultima ipotesi si richiede la comunicazione espressa o, comunque, la conoscenza delle stesse da parte degli organi di vertice». Afferma che «tale impostazione, con riferimento ad ogni ente, lega indissolubilmente
l’esercizio dei poteri gestionali, affidati ai dirigenti, all’attribuzione di ‘‘autonomi poteri di
spesa’’, senza i quali non può esserci alcun
esercizio di facoltà gestionali, e comporta la responsabilità del datore di lavoro pubblico nell’individuare dirigenti in possesso di attitudini
e capacità adeguate, prospettando, indi, una responsabilità per culpa in eligendo oltre che in
vigilando». Chiarisce, altresı̀ - qui evocando
la sentenza Vannini - che «la posizione del dirigente quale datore di lavoro comporta una capacità gestionale di natura patrimoniale, poteri
effettivi di gestione e l’esercizio di poteri non
esauriti in attività riconducibili esclusivamente
alla categoria degli obblighi e, quindi, anche a
quello della sospensione del servizio, mentre
l’organo apicale è sempre responsabile, alternativamente o cumulativamente, ove venga informato delle deficienze e non vi adempia ovvero
nel caso in cui siano necessarie impegnative di
61
Giurisprudenza
62
si sostiene l’impossibilità tecnica, nella specie,
di adozione dei dispositivi protettivi, oltre a
contrastare con le risultanze di segno diverso
evidenziate dal giudicante (che ha ritenuto compatibile con la manovra di punzonatura a pedale
l’apposizione di uno schermo sulla parte superiore, atto ad impedire l’introduzione delle mani
durante il movimento del punzone), partono da
una premessa implicita palesemente infondata,
secondo la quale l’incompatibilità con le modalità di funzionamento della macchina sarebbe di
per sé scriminante, laddove, invece, situazioni
del genere comporterebbero il divieto assoluto
di impiego di siffatti macchinari, oggettivamente ed intrinsecamente pericolosi».
Proprio con riguardo a un’ipotesi di applicazione dell’art. 115, D.P.R. n. 547/1995, in passato,
Cass. 5 giugno 2002, Latini, in ISL, 2002, 9,
504, affermò che «il datore di lavoro che utilizzi una macchina che presenti all’inizio della lavorazione rischi per l’incolumità del lavoratore
non può invocare a propria discolpa l’impossibilità pratica di applicazione del necessario presidio, poiché, nell’alternativa, è tenuto a mettere fuori servizio la macchina incompleta di sistema protettivo»; e, in particolare, rilevò che
«l’art. 115, D.P.R. n. 547/1955 pone l’assoluto
principio che durante la lavorazione le mani o
le altre parti del corpo del lavoratore possano
entrare in contatto diretto ed accidentale con organi mobili in moto della macchina presso cui
egli opera»; e, «al fine di assicurare l’incolumità del lavoratore, ha portata generale e i dispositivi di sicurezza indicati specificatamente dalle norme successive hanno la strumentale funzione di evitare in assoluto il contatto fra l’addetto alle macchine e gli organi in movimento,
il che vale per tutte le fasi della lavorazione».
In termini parimente significativi, Cass. 9 luglio
2002, Baruffi e altri, ibid., 2002, 9, 504, attinente
all’art. 72, D.P.R. n. 547/1955, sottolineò che, «in
tema di sicurezza sul lavoro e, in particolare, di
utilizzazione di macchine che presentino organi
lavoratori, sia a movimento circolare che a percussione, o altrimenti, l’esigenza di protezione
di tali organi in modo e misura tale da impedire
che, durante il funzionamento, l’addetto possa comunque venire a contatto con una qualche parte
del corpo (e ad uguale ragione con gli indumenti)
con l’organo lavoratore in movimento, deve ritenersi assoluta». Osservò a supporto che «tale interpretazione si ricava dalla lettura dell’art. 72,
D.P.R. n. 547/1955, il quale prevede che gli apparecchi di protezione amovibili degli organi lavoratori ... debbono essere provvisti di dispositivo di
blocco collegati con gli organi di messa in moto
e d movimento della macchina, in modo da realizzare almeno una delle condizioni di sicurezza
come prescritte alle lettere a) e b) dello stesso articolo». Soggiunse che «dalla coordinata e costituzionalmente orientata lettura (in considerazione
del valore primario ed elettivo della vita dell’uomo e della sua integrità e dignità) della disposizione si deduce che, di regola, i presidi di protezione degli organi lavoratori in movimento delle
ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005
macchine devono essere fissi e non amovibili»,
e che, «tuttavia, la norma prevede che, quando
siano amovibili, debbano rispondere a requisiti
di tutela specificamente indicati». Pertanto, criticò
«la lettura fornita dai ricorrenti, secondo cui l’inciso ‘‘quando sia tecnicamente possibile’’ conduca alla conclusione che, ove tecnicamente non
possibile, la macchina pericolosa per la incolumità fisica dell’addetto possa essere ugualmente utilizzata e tenuta in produzione, seppure a rischio»,
in quanto «l’inciso appena riportato va, invece,
inteso nel senso che la protezione amovibile è
consentita purché sia tecnicamente possibile realizzare la condizione di sicurezza descritta alle richiamate lettere a) e b) applicando il presidio ipotizzato dalla legge o altro, in ogni caso idoneo ad
assicurare quella condizione». E ancora: «non
può essere evidentemente accettata una interpretazione, che, nel privilegiare l’esigenza della produzione, consenta l’introduzione nel luogo di lavoro
o il mantenimento in funzione di una macchina
pericolosa per gli addetti, quando il rischio non
sia eliminabile (ed eliminato) mediante apparecchi di protezione fissi o amovibili che rispondano
ai requisiti tutori prescritti dalla legge». E concluse che, «in una, eventuale, simile situazione, appare evidente come l’introduzione e l’uso di
una siffatta macchina debba ritenersi vietata, quale che possano essere le esigenze produttive, le
quali mai potrebbero sopravanzare quelle della tutela della vita e dell’incolumità dell’addetto». Una
conclusione scolpita con particolare efficacia: «si
può produrre di più o di meno, non si può riprodurre la vita e l’integrità dell’uomo». (Sulla alternativa tra sicurezza assoluta e divieto d’uso delle
macchine v. i precedenti richiamati in Guariniello,
Sicurezza del lavoro e Corte di Cassazione, Milano, 1994, 37 s.).
È da ricordare, infine, Cass. 5 novembre 2003,
P.M. e Morra, ibid., 2004, 1, 57, che affrontò il
problema dall’angolo visuale dell’imprenditore-costruttore, per giunta di macchine direttamente utilizzate dallo stesso acquirente. Il caso
è quello dei legali rappresentanti di una s.n.c.
accusati di omicidio colposo, per avere, in violazione degli artt. 7, 68, 69, 70, 71, 52, comma
3, D.P.R 27 aprile 1955, n. 547, «costruito e
venduto al deceduto una macchina rotoimballatrice priva dei requisiti di sicurezza previsti dagli articoli di legge dianzi citati e, quindi, non
dotata di adeguate protezioni a copertura degli
organi lavoratori - della zona d’accesso alla
bocca di alimentazione e della zona di raccolta
del prodotto - e, comunque, priva di dispositivi
supplementari per l’arresto di emergenza degli
organi lavoratori - art. 69 - ovvero della macchina - art. 52, comma 3» e per «non avere
provveduto ad informare adeguatamente l’acquirente, in sede di collaudo, dei rischi già
ben noti connessi all’ingolfamento parziale della macchina».
A propria discolpa, gli imputati affermarono
«l’impossibilità tecnica» «almeno all’epoca
dei fatti, di commercializzare macchine rotoimballatrici più sicure di quella in questione, im-
Il coordinatore
per la progettazione
e per l’esecuzione
dei lavori nei cantieri
Cassazione penale, Sez. III - Sentenza n.
45054 del 22 novembre 2004 (u.p. 8 ottobre
2004) - Pres. Dell’Anno - Est. Onorato P.M. (Conf.) Fraticelli - Ric. Visentini
Si susseguono con crescente frequenza le sentenze della Corte Suprema in merito a una figura basilare nel quadro della disciplina dettata
dal D.Lgs. 14 agosto 1994, n. 494 in tema di sicurezza e salute nei cantieri temporanei o mobili: il coordinatore per la progettazione e/o per
l’esecuzione dei lavori.
Già Cass. 7 luglio 2003, Szulin (in ISL, 2003, 9,
547), nel richiamare l’attenzione su un obbligo
centrale del committente o del responsabile dei
lavori quale quello di designare i coordinatori
per la progettazione e per la esecuzione dei lavori, ne delimitò il campo di applicabilità ai cantieri
in cui «sono presenti più imprese, se la forza lavoro è pari o superiore a duecento uomini giorno
e se vi siano rischi specifici, precisati nell’allegato II», e, dunque, esattamente pose in luce la necessità della presenza di più imprese (con ciò implicitamente escludendo la sussistenza dell’obbligo nell’ipotesi di mera presenza di più lavoratori
autonomi). Inoltre, con riguardo agli obblighi
elencati dagli artt. 4 e 5, D.Lgs. n. 494/1996 rispettivamente a carico del coordinatore per la
progettazione e del coordinatore per l’esecuzione,
utilmente precisò che, fra tali obblighi, «non è
annoverato il controllo e la manutenzione degli
impianti e dei dispositivi di sicurezza; tale obbligo, unito a quello di eliminare i difetti riscontrati,
è di competenza del datore di lavoro delle imprese esecutrici a norma dell’art. 8 sub d)». Con
l’avvertenza, beninteso, che spetta comunque al
coordinatore per l’esecuzione dei lavori - tra il resto - «verificare, con opportune azioni di coordinamento e controllo, l’applicazione, da parte delle imprese esecutrici e dei lavoratori autonomi,
delle disposizioni loro pertinenti contenute nel
piano di sicurezza e di coordinamento di cui all’articolo 12 e la corretta applicazione delle relative procedure di lavoro» (secondo quanto recita
l’art. 5, comma 1, lettera a), D.Lgs. n. 494/1996).
Successivamente, Cass. 26 maggio 2004, Cunial
e P.C. (in Dir. prat. lav., 2004, 28, 1932) esaminò
il caso del contitolare di una ditta appaltatrice dei
lavori di ristrutturazione di un edificio intento ad
eseguire lavori di scanalatura e deceduto per le lesioni riportate nel crollo parziale di un muro perimetrale dell’edificio. I lavori erano stati svolti
senza il rispetto del piano di sicurezza del cantiere, e, in particolare, con la rimozione, pochi giorni
prima dell’infortunio mortale, dei puntelli precedentemente collocati sulla parete crollata. Il coordinatore per l’esecuzione dei lavori fu dichiarato
colpevole dei reati di omicidio colposo e di violazione dell’art. 5, comma 1, D.Lgs. n. 494/1996,
per «essere venuto meno all’obbligo di modificare il piano di sicurezza in conseguenza della modifica dell’iter dei lavori e di sospendere, stante la
gravità e l’imminenza del pericolo di crollo, l’operazione di scanalatura che il deceduto stava effettuando sul muro privo di qualsiasi puntellatura
o ancoraggio». Nel confermare la condanna, la
Sez. IV rilevò che il D.Lgs. n. 494/1996 «ha introdotto la figura del coordinatore per l’esecuzione dei lavori al fine di assicurare, nel corso della
effettuazione dei lavori stessi, un collegamento
fra impresa appaltatrice e committente al fine di
consentire al meglio l’organizzazione della sicurezza in cantiere», e che, in particolare, «l’art. 5
affida espressamente al coordinatore il compito
di adeguare il piano di sicurezza in relazione all’evoluzione dei lavori e alle eventuali modifiche intervenute, vigilare sul rispetto del piano stesso e
sospendere, in caso di pericolo grave e imminente, le singole lavorazioni». Prese atto che «l’ordine di esecuzione delle opere, previsto dal piano di
sicurezza, era stato modificato mediante la decisione (e le successive attività operative) di demolire il tetto e il vecchio solaio prima di completare
i lavori interessanti i muri perimetrali», e che «tale
demolizione aveva fatto venir meno i sostegni
materiali dei riferiti muri, privati fra l’altro degli
originari puntelli». Ne ricavò che «in tale situazione l’imputato, presente quotidianamente in
cantiere, avrebbe dovuto introdurre, prima della
demolizione, le necessarie modifiche al piano di
sicurezza e comunque, in caso di assenza di tali
necessarie modifiche, disporre la sospensione
dei lavori». Infine, negò che «possano essere in-
ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005
Giurisprudenza
possibilità di cui darebbero ampia testimonianza la mancanza di prescrizioni normative al riguardo e la conformità della macchina a tutte
quelle presenti sul mercato nazionale e internazionale», «impossibilità che vuol dire che l’apprestamento di protezioni più efficaci degli organi lavoratori della macchina non era compatibile con la funzionalità della stessa, sia nel senso che non era possibile, pena appunto la non
funzionalità della rotoimballatrice, progettare
un aspo raccoglitore idoneo ad impedire in
via assoluta la categoria di incidenti cui è riconducibile quello per cui è giudizio, sia nel senso
che non era neppure possibile dotare la macchina di un dispositivo che ne consentisse in modo
immediatamente sicuro l’arresto in ogni caso in
cui il lavoratore si fosse avvicinato all’imbocco
dell’infaldatore».
La Sez. IV non fu d’accordo: «nel caso in esame, o era possibile dotare la macchina di quel
dispositivo e, in questo caso, il costruttore
avrebbe dovuto vendere la macchina solo dopo
averla munita dello stesso, o non era assolutamente possibile fornirne la rotoimballatrice, e,
in questo, diverso, caso, il costruttore si sarebbe
dovuto astenere dal costruire e dal vendere la
macchina nel doveroso rispetto della norma
dell’art. 7 del citato D.P.R.».
63
Giurisprudenza
64
vocate le nuove disposizioni introdotte successivamente al fatto dal D.Lgs. n. 528/1999 e che, secondo l’imputato, avendo modificato la distribuzione delle competenze in tema di sicurezza dei
cantieri di lavoro, imporrebbero l’applicazione
dell’art. 2 c.p.», in quanto «quest’ultima disposizione, che regola la successione nel tempo della
legge penale, riguarda le norme che definiscono
la natura sostanziale e circostanziale del reato e
quelle extrapenali richiamate espressamente dal
precetto, ma non anche, in materia di cautela, le
altre che modifichino le posizioni di garanzia trasferendo (totalmente o parzialmente) ad altri il dovere di porre in essere comportamenti diretti a salvaguardare l’incolumità delle persone». E concluse che «non può non rispondere delle riscontrate
omissioni e delle conseguenze da queste determinate chi aveva l’obbligo, in base alla normativa
vigente al momento del fatto, di porre in essere
le prescritte cautele».
Nell’ipotesi considerata da Cass. 12 ottobre
2004, Mirci (in ISL, 2004, 12, 756) il coordinatore in fase di esecuzione dei lavori fu condannato per il reato di cui all’art. 5, comma 1, lettera a), D.Lgs. n. 494/1996, «perché non assicurava tramite opportune azioni di coordinamento
l’applicazione di quanto previsto nel piano di
sicurezza, in quanto a carico della ditta esecutrice dei lavori sono state riscontrate violazioni alla normativa di cui al D.P.R. n. 164/1956». A
sua discolpa, l’imputato sostenne che l’art. 5,
comma 1, lettera a), D.Lgs. n. 494/1996 «stabilisce che il coordinatore del piano di sicurezza
provvede a verificare l’applicazione, da parte
delle imprese esecutrici ..., delle disposizioni
loro pertinenti contenute nel piano di sicurezza
e giammai, quindi, ad assicurare le stesse, che è
compito precipuo delle imprese». La Sez. III
non condivise l’argomentazione addotta dall’imputato. Affermò, infatti, che «la differenza
tra i compiti normativamente imposti al coordinatore (verificare ... l’applicazione da parte delle imprese) e il mancato adempimento di cui alla contestazione (non assicurava ... l’applicazione di quanto previsto nel piano di sicurezza)
concretizza una variazione puramente terminologica, in quanto il significato dell’addebito risulta chiarissimo e coincidente con il dato normativo (oltre che con il fatto ritenuto in sentenza); è stato cioè, per l’appunto, addebitato che il
mancato assolvimento da parte del coordinatore
del compito primario su di lui incombente di
garantire la sicurezza del cantiere ha determinato le violazioni riscontrate a carico della ditta
esecutrice (dal momento che l’espletamento
delle opportune azioni di coordinamento avrebbero, per l’appunto, assicurato l’applicazione
delle previsioni del piano di sicurezza)».
Significativa, in questo quadro, è la fattispecie
considerata dalla sentenza qui presentata. In primo grado, il Tribunale di Castiglione delle Stiviere (24 maggio 2002, est. Ardenghi) condannò il
coordinatore per la sicurezza in fase di progettazione e in fase di esecuzione per il reato di cui all’art. 5, comma 1, lettera a), D.Lgs. n. 494/1996.
ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005
Durante un sopralluogo presso un cantiere edile
per la costruzione di alcune palazzine di civile
abitazione, ispettori dell’ASL avevano accertato
che «le rampe delle scale interne erano prive di
parapetti, cosı̀ come i balconi o lastrici solari, e
sorpreso un dipendente di una ditta edile, che aveva in subappalto alcuni lavori, intento a lavorare
sul tetto del garage, ad un’altezza superiore ai
due metri, in assenza di adeguate opere provvisionali atte ad evitare la caduta dall’alto. In particolare, il Tribunale prese atto che l’imputato, nominato dalla ditta committente coordinatore per la
sicurezza in fase di progettazione e in fase di esecuzione ai sensi del D.Lgs. n. 494/1996, aveva regolarmente redatto il piano di sicurezza e di coordinamento del cantiere, che prevedeva tra l’altro
la corretta predisposizione delle misure di sicurezza di cui si era accertata la mancanza». Prese atto,
altresı̀, che l’imputato aveva ammesso che «frequentava il cantiere, con una certa assiduità (almeno tre volte la settimana) e sapeva perfettamente che una parte dei lavori era stata affidata
in sub-appalto ad altre imprese con lavoratori extracomunitari». Osservò che «il fatto che non
avesse l’obbligo di una presenza continuativa, com’è certo, non significa che i doveri di controllo e
coordinamento imposti per legge fossero da considerarsi meno pregnanti e puntuali». Rilevò che
«la necessità di redigere un piano per la sicurezza
trova il proprio completamento e la sua stessa ragion d’essere nella conseguente necessità di un rigoroso e continuo controllo in fase di esecuzione
dei lavori in ordine all’esatto adempimento delle
prescrizioni ivi contenute, il cui onere compete
proprio al coordinatore della sicurezza». Ne ricavò che «il mancato rispetto di alcune prescrizioni
inserite nel piano, accertato dagli ufficiali della
ASL, non può che attribuirsi ad una condotta
omissiva negligente dell’imputato, che integra a
suo carico un addebito di colpa specifica (art.
21, comma 2, lettera a), del D.Lgs. n. 494/
1996), norma finalizzata appunto a prevenire pericolose omissioni di controllo del tipo di quella
accertata».
Nel confermare la condanna, la Sez. III sottolinea tre punti: «a) l’imputato aveva redatto il
piano di sicurezza del cantiere, che prevedeva
tra l’altro alcune misure di sicurezza imposte
dagli artt. 68 e 69 (parapetti e tavole fermapiede
lungo le rampe delle scale in costruzione) e dall’art. 16, D.P.R. 7 gennaio 1956, n. 164 (idonee
opere provvisionali atte ad evitare cadute nei lavori eseguiti a un’altezza superiore ai due metri
dal suolo); b) tutte queste misure non erano state rispettate dagli operai che lavoravano nel
cantiere (uno dei quali, dipendente da una ditta
subappaltatrice, fu sorpreso a lavorare sul tetto
di un garage a più di due metri da terra, senza
alcuna opera provvisionale anticaduta); c) l’imputato, pur frequentando il cantiere almeno tre
volte la settimana, aveva tollerato queste infrazioni, sicché, come coordinatore per l’esecuzione dei lavori, si era reso responsabile, quanto
meno per culpa in vigilando, del contestato reato p. e p. dagli artt. 5 e 21 D.Lgs. n. 494/1996».
Casi e Questioni
ISL risponde
P
Casi e Questioni
er effettuare corsi di formazione, oggi, bisogna essere accreditati dalla regione oppure una qualsiasi struttura di medicina del lavoro può tranquillamente organizzare corsi
per RSPP?
66
Il problema degli enti legittimati ad erogare formazione rilevante ai fini della dimostrazione del
possesso dei requisiti previsti dal D.Lgs. n. 195/
2003 per poter svolgere il compito di responsabili
o addetto del servizio prevenzione e protezione,
va affrontato in relazione alla disciplina transitoria (art. 3) ed alla disciplina definitiva (art. 2).
Nel primo caso i corsi di formazione, «provvisori», laddove siano erogati da soggetti privati
necessiteranno di un giudizio di idoneità rilasciato dalle regioni, laddove, invece, siano erogati da enti od organizzazioni pubbliche non c’è
la necessità di alcuna idoneità regionale.
Nel secondo caso, invece, i soggetti legittimati
sono tassativamente individuati dal legislatore
all’art. 2, comma 3, del D.Lgs. n. 195/2003, quale afferma che «I corsi di formazione di cui al
comma 2 sono organizzati dalle regioni e province autonome, dalle università, dall’ISPESL, dall’INAIL, dall’Istituto italiano di medicina sociale, dal Dipartimento dei vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile, dall’amministrazione della Difesa, dalla Scuola superiore
della pubblica amministrazione, dalle associazioni sindacali dei datori di lavoro o dei lavoratori o
dagli organismi paritetici». Tale elencazione è
tassativa e non ammette deroghe, anche se, in
prospettiva «altri formatori possono essere individuati in sede di Conferenza permanente per i
rapporti tra lo Stato, le regioni e le provincie
autonome di Trento e Bolzano».
Francesco Bacchini (Docente universitario)
L’
art. 7 del D.Lgs. n. 626/1994 sottolinea, tra le altre cose, l’obbligatorietà
per il committente che intende affidare lavori
in appalto all’interno della propria azienda,
di verificare l’idoneità tecnico-professionale dell’impresa appaltatrice anche attraverso l’iscrizione alla CCIAA. Ora, sia dia il caso - frequente nella prassi - che l’appalto sia affidato ad
un’impresa (ad esempio di costruzioni edili)
non in possesso dell’abilitazione tecnico-professionale per la progettazione, realizzazione e
certificazione dell’impianto elettrico, richiesta
dalla legge n. 46/1990: quid iuris per la successiva necessità di ricorrere al subappalto? Il
committente può essere ritenuto responsabile
per non avere imposto, nel contratto d’appalto, all’impresa appaltatrice non abilitata di
sub-appaltare a ditta abilitata?
ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005
In linea generale, anche prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 626/1994, la Giurisprudenza
di legittimità ha sempre ritenuto sussistere un
profilo di culpa in eligendo in capo al committente, nel caso di affidamento dell’appalto ad impresa tecnicamente inidonea a svolgerlo. In tema
di subappalto è stato affermato, ad esempio, che
«qualora il committente, accertandosi della capacità tecnica e professionale dell’appaltatore, apprenda che questi è tecnicamente affidabile, è
senz’altro autorizzato a ritenere che l’adeguatezza tecnica sia anche adeguatezza dei presidi tecnici antinfortunistici richiesti dalla legge»; cosicché, ove l’appaltatore abbia agito in totale autonomia, il committente non risponde per la violazione delle norme antinfortunistiche (Cass. Pen.,
Sez. IV, 20 giugno 1997, La Maestra).
Con l’avvento del D.Lgs. n. 626/1994, all’interno del meccanismo procedurale interattivo degli
appalti interni, delineato dall’art. 7 del decreto, il
principio dell’assenza di culpa in eligendo da
parte del datore di lavoro committente, è divenuto parametro legale di carattere generale. Questo
non significa che l’impresa appaltatrice dei lavori debba possedere in proprio tutte le competenze
tecnico-professionali richieste per la fase esecutiva; è tuttavia imprescindibile, in tal caso, che il
committente proceda alla selezione e verifica,
in ingresso, di ciascuno dei subappaltatori. Ciò
egli potrà fare o direttamente, ovvero affidando
tale compito all’appaltatore principale, addossandogli in tal caso anche l’onere di assolvere
ad una completa e tempestiva informazione nei
suoi riguardi. Resta in ogni caso fermo il principio che, della violazione dell’obbligo di verifica
previsto dall’art. 7, comma 1, lett. a) del D.Lgs.
n. 626/1994 il committente risponderà in ogni
caso, in ragione del criterio di imputazione soggettiva dell’obbligo e del correlato profilo di responsabilità. Eventuali clausole di trasferimento
del rischio e della responsabilità tra committente
e appaltatore non avranno dunque alcuna operatività agli effetti dell’osservanza delle norme di
prevenzione antinfortunistica, giacché tali norme
sono di diritto pubblico e non possono essere derogate da patti privati quando attengano ad obblighi di natura gestionale (in termini Cass.
Pen., Sez. IV, 5 luglio 1990, Travaglini).
La risposta al quesito proposto è nel senso che
il datore di lavoro committente potrà essere ritenuto responsabile ex art. 7 del D.Lgs. n.
626/1994 per non avere imposto, nel contratto
d’appalto, all’impresa appaltatrice non abilitata
ai sensi della legge n. 46/1990 di sub-appaltare
a ditta abilitata, giacché il requisito dell’abilitazione professionale è una condizione essenziale
per l’esercizio delle attività previste dalla legge.
Pierguido Soprani (Avvocato)
Sommario
Premessa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
L’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e le malattie professionali . . . . . . .
Gli anestetici volatili: descrizione, uso, effetti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Inquinamento ambientale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Effetti tossici dei prodotti del metabolismo degli anestetici volatili . . . . . . . . . . . . . . . .
L’esposizione a gas anestetici e i valori limite . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Valutazione dell’esposizione: monitoraggio ambientale e biologico . . . . . . . . . . . . . . . .
Sorveglianza sanitaria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Prevenzione tecnica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Requisiti degli impianti e degli apparecchi di anestesia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
MILANOFIORI ASSAGO, Strada 1, Palazzo F6, Tel. 02.82476.023
III
III
V
IX
X
X
XII
XIII
XIV
XV
XVI
Sicurezza e vivibilità
nella chirurgia umana
e veterinaria: assicurazione
e prevenzione in sala
operatoria
Alessandro Baldacconi, Cristina Baldacconi, Roberto Buzzi, Paola Desiderio
Premessa
Con l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 626/1994 sono
stati meglio razionalizzati gli aspetti igienico-ambientali delle strutture sanitarie ed è stata affrontata la problematica dell’esposizione a gas anestetici del personale
medico e paramedico, che svolge le proprie funzioni
nelle sale operatorie, sia nella sanità pubblica e privata,
sia in campo veterinario.
Anche se la circolare del Ministero della Sanità 14 marzo 1989, n. 5, avente per oggetto l’«identificazione dei
valori limite di inquinamento da gas anestetici nell’aria
nelle sale operatorie», aveva già affrontato una parte
della problematica, il D.Lgs. n. 626/1994 affronta tale
problematica nella sua globalità, con riferimento, soprattutto, ai protocolli diagnostici che il medico competente deve elaborare per una consona gestione del servizio di prevenzione e protezione interno.
Le norme UNI 737-1, 2, 3, 4, e il D.P.R. n. 1401/1997
hanno, per loro conto, stabilito i requisiti minimi dell’impianto centralizzato di pertinenza delle strutture sanitarie e veterinarie preposto alla regolamentazione, lo
stoccaggio e, quindi, l’utilizzo dei gas anestetici.
Poiché l’argomento che qui si affronta riguarda le condizioni ambientali di sicurezza e di vivibilità nelle sale
operatorie e negli ambienti direttamente coniugabili ad
esse, si tralascia qualsiasi riferimento all’uso degli
agenti anestetici somministrati per via endovenosa e,
quindi, avulsi dalla valutazione di inquinamento amInserto di ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005
bientale e/o di esposizione diretta e/o indiretta delle
professionalità che operano nelle sale operatorie.
L’assicurazione obbligatoria
contro gli infortuni e le malattie
professionali
L’inalazione di gas anestetici, con riferimento alla possibilità di interazione con l’apparato respiratorio, può
causare, secondo quanto previsto dal Testo unico sulla
assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e le malattie professionali, un evento dannoso qualificabile stante la natura eziologica del danno - come infortunio
sul lavoro o come malattia professionale, a condizione
che siano soddisfatte le seguenti tre condizioni.
1) Si è in presenza del cosiddetto rischio professionale: il rapporto tra lavoratore, macchina, ambiente e
organizzazione del lavoro nella produzione di un bene
e/o nella erogazione di un servizio per le finalità di impresa qualifica l’ambiente di lavoro che, per quanto or-
Nota:
3 Alessandro Baldacconi: Ergonomist chartered, Safety auditor, Libera Università degli
Studi di Urbino; Cristina Baldacconi: Medico Veterinario - Anestesista - Libero professionista; Roberto Buzzi: Safety Auditor, Responsabile del Processo Laboratorio di Sicurezza ed Igiene del Lavoro - INAIL - Direzione regionale per il Lazio; Paola Desiderio: Tecnico Specialista con funzioni di Chimico INAIL - Direzione regionale per il Lazio.
III
ganizzato, è fonte di pericolo associabile al rischio di
danno, di infortunio e/o di malattia professionale. Siffatto rischio di danno legato ad un ambiente lavorativo
organizzato rientra nella definizione di «rischio professionale», inteso intimamente correlato sia alle mansioni
concretamente svolte per fini produttivi e/o di servizio,
sia alle fonti di pericolo insite nella impiantistica e nella
architettura dell’«involucro edilizio», dove si attua la
finalità produttiva e/o di erogazione del servizio.
Le fonti di pericolo e, quindi, i rischi di danno associabili, cui è eventualmente soggetto la persona assicurata
al di fuori di quella particolare attività coniugabile al citato «rischio professionale» non sono coperti da assicurazione per cui danno diritto a prestazioni assicurative.
2) La fonte di pericolo è correlabile al rischio professionale: in proposito è opportuno precisare che:
l’infortunio sul lavoro è originato da una causa violenta ovvero l’evento dannoso è conseguente ad una
azione violenta generata dalla messa in atto di un’energia abnorme unitamente ad una conseguente abnorme
intensità (ad es. caduta dall’alto, fulmine, investimento,
crollo per incendio, ecc.).
Per una più appropriata comprensione del concetto di causa violenta deve precisarsi che la conseguenza dell’azione
violenta non necessariamente deve produrre il danno all’istante ovvero con repentinità - ad esempio morte o perdita
di un arto - cioè il danno non necessariamente deve avere
connotazioni legate ad istantaneità dell’effetto di causa
ovvero subitaneità (ad esempio il crollo per esplosione
di una galleria in miniera è determinato da una causa violenta, mentre il danno può essere prodotto nel tempo per
una azione lenta, come la morte per asfissia del minatore,
conseguente ai fattori che hanno determinato l’azione violenta, rappresentata dal crollo per esplosione);
nella malattia professionale, invece, la causa lesiva o
fonte di pericolo ha una connotazione energetica diversa dal divenire dell’infortunio, ovvero è a lento agire,
cioè non concentrata nel tempo, ma diluita nel periodo
utile a produrre gli effetti negativi; i momenti patologici non si evidenziano all’istante, ma insiti nella natura
stessa della lavorazione morbigena, richiedono un periodo di attesa per manifestarsi, configurabile in arco
di tempo superiore quantomeno ad un turno di lavoro.
3) L’evento generatore del danno, che costituisce la
vera causa dell’infortunio o della malattia professionale, deve essere futuro, incerto, sia sull’an che sul quando, oppure certo sull’an e incerto sul quando, non dipendente esclusivamente dalla volontà dell’infortunato,
valutabile a priori dal punto di vista statistico attuariale
per quanto riguarda la sua frequenza e la sua gravità.
Quest’ultimo requisito è indispensabile per valutare il
costo della copertura assicurativa.
4) Perché l’evento dannoso venga coperto dall’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali è necessario che lo stesso sia in un
rapporto di causa ed effetto con lo svolgimento delle
mansioni oggetto del rapporto di lavoro tra il prestatore
d’opera e l’imprenditore: che sussista, cioè, il cosiddetto
nesso etiologico tra mansioni concretamente svolte ed
evento dannoso. L’assicurato, secondo i principi di diritto civile (art. 2697 c.c.), deve sempre fornire la prova del
verificarsi della causa lesiva e della sussistenza del nesso
etiologico tra attività lavorativa ed evento dannoso.
IV
Nella malattia professionale, poiché l’azione invalidante è diluita nel tempo ed insita nella natura stessa della
lavorazione, e poiché, per di più, il danno si manifesta
dopo un periodo di attesa, anche assai lungo, diviene
pressoché impossibile per il lavoratore fornire la suddetta prova (cosiddetta probatio diabolica). Ciò anche
perché, mentre nell’infortunio sul lavoro il nesso causale ha rilevanza nei termini di occasione di lavoro, nella
malattia professionale la rilevanza è insita nella «diretta
derivazione etiologica dalla causa patogena». In sostanza, per la tecnopatia, a differenza dell’infortunio, non è
sufficiente un «rapporto di occasionalità» tra lavoro ed
evento ma è necessario un «rapporto di causalità».
Il legislatore, conscio di ciò, ha proceduto ad elencare
una serie di malattie (contenute in tabelle allegate al
D.P.R. n. 1124/65 e sue integrazioni e modificazioni),
disponendo che, se contratte entro un certo lasso di
tempo ed in presenza di determinate lavorazioni, le
stesse sono da considerare, senza possibilità di prova
contraria, prodottesi a causa e nell’esercizio dell’attività
lavorativa (la cosiddetta presunzione legale di origine
ovvero la presunzione juris et de jure).
In conseguenza del suindicato sistema, tutte le malattie
non «tabellate» (essendo, per costante giurisprudenza,
l’elencazione tassativa e non suscettibile di interpretazione estensiva od applicazione analogica) erano, fino
alla sentenza della Corte Costituzionale n. 179/1988,
prive di copertura assicurativa.
In particolare venivano escluse tutte le malattie non tabellate contratte nell’esercizio ed a causa di lavorazioni
che esponevano i lavoratori anche all’azione di fattori
microbiotici e virali.
Con la citata sentenza n. 179/1988, la Corte Costituzionale, tuttavia, ha superato l’illegittimità dell’art. 3, primo
comma, del D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, nella parte
in cui non prevede che l’Assicurazione contro le Malattie
professionali nell’Industria e nell’Agricoltura sia obbligatoria anche per le malattie diverse da quelle comprese nelle tabelle specifiche; in sostanza ha statuito che tali malattie, purché contratte nell’esercizio ed a causa delle mansioni concretamente svolte, sono da considerarsi tutelate
a condizione che l’assicurato fornisca gli elementi relativi
ai fattori di nocività. È stato cosı̀ introdotto il cosiddetto
«sistema misto» per cui, per le malattie tabellate, vige la
presunzione juris et de jure della derivazione delle stesse
dalla lavorazione effettuata ovvero sussiste la presunzione
legale d’origine ex lege, mentre, per le malattie non tabellate, la copertura assicurativa sussiste una volta che è stata
fornita la prova della esistenza del nesso etiologico.
Come già detto ci si trova di fronte ad una probatio
diabolica. Il lavoratore, ad esempio, esposto a contrarre
malattie infettive, anche gravissime - quali l’epatite virale e l’AIDS - in quanto soggetto a rischio biologico,
si trova, dunque, in una situazione di inferiorità assicurativa rispetto ad altri soggetti assicurati.
In assenza ed in attesa di un intervento del legislatore si
è comunque formato un orientamento giurisprudenziale
che, ancora una volta, è venuto in soccorso di tali lavoratori.
La Suprema Corte ha, infatti, affermato che, nei casi di
infortunio sul lavoro derivanti dall’azione di fattori microbiotici e virali i quali, interagendo con l’organismo
umano, ne determinino l’alterazione dell’equilibrio
Inserto di ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005
anatomico-fisiologico, può essere raggiunta la prova
del nesso etiologico una volta che si riesce ad argomentare in via presuntiva, ma sopratutto in termini probabilistici, che il rapporto di causa ed effetto abbia potuto
verificarsi (Cassazione n. 8058/1991).
Il Giudice di legittimità ha altresı̀ affermato il principio
secondo cui, perché si abbia una presunzione giuridicamente valida, non occorre che i fatti su cui essa si fonda
siano tali da far apparire l’esistenza del fatto ignoto come l’unica conseguenza possibile del fatto noto, bastando che il primo possa essere desunto dal secondo
come conseguenza ragionevolmente possibile e verosimile secondo un criterio di normalità (Cassazione n.
552/19982 e n. 8058/1991).
È bene richiamare che la tutela assicurativa contro l’insorgenza di malattie professionali sussiste anche quando la presunta tecnopatia si manifesta entro un determinato periodo di tempo dopo l’abbandono della lavorazione morbigena.
Pertanto in presenza di malattie infettive e parassitarie,
in altre parole, la mancata dimostrazione dell’episodio
specifico di interazione tra l’agente morbigeno e l’organismo umano non può ritenersi preclusiva dell’ ammissione alla tutela assicurativa, essendo sufficiente riuscire a stabilire, anche in via presuntiva, che l’evento infettante si sia verificato in relazione all’attività lavorativa. Di conseguenza, perché si formi la suddetta presunzione semplice, che ammette prova contraria (juris
tantum), non è necessario che il fatto ignoto appaia come l’unica conseguenza possibile del fatto noto, ma è
sufficiente che il primo possa essere desunto dal secondo in base al criterio di semplice normalità.
Valgono, comunque, i principi fissati dall’art. 2729 c.c.
che indica come giuridicamente rilevanti le presunzioni
gravi, precise e concordanti.
Gli anestetici volatili:
descrizione, uso, effetti
Attualmente è disponibile una gran varietà di tecniche
anestesiologiche che vengono applicate dall’anestesista
a seconda delle diverse condizioni cliniche del paziente, sia esso umano che animale.
Tra queste l’anestesia gassosa viene usata frequentemente nelle procedure chirurgiche e talvolta in quelle diagnostiche, a cui pazienti sia umani che veterinari vengono sottoposti. Tale tecnica prevede l’impiego di anestetici volatili da somministrare per via inalatoria endotracheale, previa intubazione, o per via oronasale, mediante
l’impiego di una maschera facciale. Gli anestetici gassosi usati comunemente comprendono un gas inorganico,
il protossido d’azoto e liquidi volatili quali idrocarburi
alogenati, l’alotano principalmente, ed eteri alogenati
quali l’enfluorano, l’isofluorano, il desfluorano, il sevofluorano e il metossifluorano; quest’ultimo, seppure reperibile sul mercato è ormai in disuso.
Tali liquidi volatili vengono somministrati al paziente da
anestetizzare in forma di vapori successivamente alla loro
evaporazione, avente luogo negli appositi dispositivi, i vaporizzatori, presenti nei circuiti dell’anestesia. L’anestetico gassoso inspirato, grazie a un vantaggioso sistema di
gradienti pressori, oltrepassa il sistema respiratorio al liInserto di ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005
vello della membrana alveolo-capillare per distribuirsi,
poi, alla circolazione sistemica più o meno velocemente,
in funzione della propria solubilità nel sangue e dal sangue ai diversi tessuti corporei e al sistema nervoso centrale, dove si esplica la proprietà anestetica del composto impiegato. Al livello cerebrale infine viene mantenuta una
pressione parziale del gas anestetico ottimale e costante
(Pbr), in equilibrio con la rispettiva pressione parziale raggiunta negli alveoli polmonari (PA). L’equilibrio tra le
due biofasi consente di mantenere il piano anestesiologico
desiderato e raggiunto. La pressione parziale alveolare
(PA) dell’anestetico inspirato è in equilibrio con le pressioni parziali dell’anestetico nel sangue arterioso (Pa) e
nel cervello (Pbr):
?
PA?
/ Pa / Pbr
Per quanto riguarda la solubilità nel sangue del gas anestetico prescelto, questa, oltre a essere una caratteristica
peculiare della molecola impiegata, influenza la velocità di incremento della pressione parziale dell’anestetico
nel sangue arterioso (Pa) rispetto alla rispettiva pressione parziale inspirata (PI). Tale solubilità del gas anestetico nel sangue e nei tessuti viene espressa dal coefficiente di ripartizione (Eger, 1993; Yasuda et al.,
1989). Il coefficiente di ripartizione esprime la distribuzione dell’anestetico tra le due biofasi all’equilibrio
(ovvero quando le pressioni parziali del gas rispettivamente nel sangue arterioso e nei tessuti si eguagliano).
In questo modo vengono ricavati i coefficienti di ripartizione sangue:gas, cervello:sangue, muscolo:sangue,
grasso:sangue. In particolare, viene preso in considerazione il coefficiente di ripartizione (CR) sangue:gas
(S:G) per classificare gli anestetici inalatori in solubili,
mediamente solubili e scarsamente solubili (Tabella 1)
(Eger, 1993; Yasuda et al., 1989). In pratica il sangue
può essere considerato una riserva inattiva di gas anestetico, le cui dimensioni dipendono dalla solubilità
dell’anestetico nel sangue. Quando il coefficiente S:G
è elevato una notevole quantità di gas deve disciogliersi
nel sangue prima che la pressione parziale raggiunta
negli alveoli polmonari (PA) eguagli la pressione parziale dell’anestetico nel sangue arterioso (Pa). Ad
esempio, l’elevata solubilità del metossifluorano nel
sangue diminuisce la velocità d’incremento di PA e
Pa a una data pressione parziale inspirata (PI), per cui
l’induzione dell’anestesia risulta essere più lenta che
non se si utilizzassero gas anestetici a solubilità inferiore. Inoltre l’impatto di un gas a elevata solubilità può
portare l’operatore ad aumentare nella fase di induzione
la PI al di sopra di quella necessaria al mantenimento
della anestesia, con conseguente impiego di quantità
maggiori di anestetico. Viceversa quando la solubilità
dell’agente volatile è scarsa, sono necessarie piccole
quantità di anestetico disciolto nel sangue perché sia
raggiunto l’equilibrio delle due biofasi, per cui la velocità d’incremento di PA e Pa, la comparsa dell’effetto
dell’anestetico e l’induzione dell’anestesia sono rapidi.
I coefficienti di ripartizione, in generale, sono influenzati dalla temperatura, dal momento che la solubilità di
un gas in un liquido aumenta quando aumenta la temperatura del liquido. In particolare, il coefficiente di ripartizione S:G subisce modificazioni in base a variazioni individuali del contenuto di acqua, lipidi e proteine
V
nonché dell’ematocrito dell’intero sangue del paziente
(Laasberg e Hedley-White, 1970).
Al termine dell’anestesia, quando, cioè, s’interrompe la
somministrazione del gas anestetico, si assiste a un rapido decremento della Pbr e quindi della PA e passaggio dell’anestetico al fegato per la sua metabolizzazione o ai polmoni perché venga eliminato con la respirazione, con conseguente risveglio del paziente (Yasuda
et al., 1991). Tuttavia, pur avendo caratteristiche simili,
l’induzione e il risveglio presentano notevoli differenze
farmacocinetiche. Al contrario dell’induzione, che può
essere accelerata aumentando la concentrazione di anestetico inalato, durante il risveglio non è possibile con
lo stesso meccanismo diminuire la PA. Al risveglio la
diminuzione della PA è influenzata dalla variazione
della concentrazione dell’anestetico nei tessuti, che dipende a sua volta dalla solubilità dell’anestetico e dalla
durata dell’anestesia e dall’eventuale metabolismo di
quest’ultimo. Ad esempio il risveglio è più lungo in
proporzione alla durata dell’anestesia per gli anestetici
solubili (alotano, isofluorano) rispetto a quanto si può
riscontrare per gas scarsamente solubili (sevofluorano,
desfluorano), in cui anche anestesie di lunga durata
comportano un rapido risveglio (Eger, 1993).
Inoltre se l’incremento della PA a partire dall’induzione
è prevedibile in funzione del coefficiente S:G, la diminuzione della stessa al risveglio non è sempre in rapporto con tale coefficiente (Carpenter et al., 1986): infatti la PA nel caso dell’alotano diminuisce più rapidamente rispetto all’isofluorano e al desfluorano, anche se
la solubilità dell’alotano è maggiore. Analogamente all’alotano si può dire del metossifluorano, la cui PA diminuisce più rapidamente di quella dell’enfluorano, nonostante abbia una solubilità sei volte quella dell’enfluorano. La maggior velocità di decremento della PA
dell’alotano o del metossifluorano in fase di risveglio
è giustificata dal metabolismo dei medesimi, che si verifica nel fegato, mentre in fase di induzione tale metabolismo non influenza minimamente la velocità della
comparsa dell’effetto farmacologico dell’anestetico
(Carpenter et al., 1986).
I moderni anestetici inalatori permettono un rapido e
preciso controllo della profondità della anestesia in virtù
delle proprietà fisiche appena illustrate dei medesimi tali
da minimizzare la solubilità del gas nel sangue e nella
gomma dei dispositivi di somministrazione del principio
e rendere la molecola scarsamente degradabile.
Per quel che qui interessa, e con riferimento al personale delle sale operatorie, vengono di seguito presi in considerazione le diverse fonti di pericolo ed i fattori di rischio riconducibili all’impiego di anestetici volatili più
comunemente in uso.
Oggi giorno vengono utilizzati principalmente i sottoelencati gas anestetici.
Il protossido d’azoto è un gas a basso peso molecolare, inodore, non infiammabile a bassa potenza anestetica e a scarsa solubilità nel sangue. Viene impiegato nell’anestesia generale in miscele gassose insieme ad altri
anestetici inalatori e produce grazie alla sua scarsa solubilità un’induzione rapida. Possiede proprietà analgesiche, pur non producendo contemporaneamente un
adeguato grado di miorilassamento. Tuttavia i potenziali effetti tossici sulle funzioni organiche e la sua capacità di inattivare la vitamina B12 comporterà un progressivo declino dell’impiego del protossido nelle anestesie chirurgiche (Deacon et al., 1980).
L’alotano è stato il primo anestetico alogenato, introdotto negli anni ’50; esso si presenta in forma liquida
trasparente, non infiammabile a temperatura ambiente,
dall’odore dolciastro non pungente. È mediamente solubile nel sangue e presenta un’elevata potenza anestetica che consentono un’induzione e un risveglio rapidi
dall’anestesia con alotano solamente o in combinazione
col protossido d’azoto o altri anestetici iniettabili. Nonostante la sua stabilità chimica, il derivato alogenato
è suscettibile di decomposizione, per cui deve essere
conservato in bottiglie scure e deve essere protetto da
conservanti aggiunti, quali il timololo, che ne impedisca la decomposizione ossidativa. Il timololo che per-
Tabella 1 - Solubilità degli anestetici inalatori a confronto
C.R.
coefficiente
di ripartizione
sangue:gas
C.R.
coefficiente
di ripartizione
cervello:sangue
C.R.
coefficiente
di ripartizione
muscolo:sangue
C.R.
coefficiente
di ripartizione
grasso:sangue
C.R.
coefficiente
di ripartizione
olio:sangue
12
2
1,3
48,8
970
Alotano
2,54
1,9
3,4
51,1
224
Enfluorano
1,90
1,5
1,7
36,2
98
Isofluorano
1,46
1,6
2,9
44,9
98
Protossido d’azoto
0,46
1,1
1,2
2,3
1,4
Desfluorano
0,42
1,3
2
27,2
18,7
Sevofluorano
0,69
1,7
3,1
47,5
55
Anestestici
Solubili
Metossifluorano
Mediamente solubili
Scarsamente solubili
VI
Inserto di ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005
mane nel vaporizzatore dopo la vaporizzazione dell’alotano, tuttavia, può comportare un malfunzionamento
della stessa apparecchiatura per la somministrazione
dell’anestetico, la quale pertanto dovrà essere ispezionata più frequentemente e con maggior attenzione. Oggi, in definitiva, il suo impiego è in declino a favore di
nuovi principi attivi, che hanno un migliore profilo di
sicurezza per il paziente. Gli effetti collaterali legati all’azione aritmogena nonché epatotossica dell’alotano
ne limitano l’utilizzo a favore di composti di più recente sintesi e soprattutto con meno controindicazioni.
L’enfluorano è un etere alogenato, il cui impiego clinico risale al 1973. Esso si presenta in forma di liquido
volatile, non infiammabile a temperatura ambiente, dall’odore pungente. Possedendo caratteristiche di media
solubilità ed elevata potenza anestetica, permette un’induzione e un risveglio veloci dall’anestesia con enfluorano da solo, o in associazione a protossido d’azoto e/o
anestetici iniettabili. Tale composto rispetto all’alotano,
pur non presentando attività aritmogenica, dando luogo
raramente a fenomeni di epatotossicità, non è privo di
effetti collaterali, inclusi la liberazione di fluoruri inorganici, nonché la stimolazione del sistema nervoso centrale cosı̀ come evidenziato da tecniche elettroencefalo-
grafiche in corso di anestesie con enfluorano ad elevate
concentrazioni.
L’isofluorano è il risultato della ricerca di un anestetico gassoso che avesse effetti collaterali ancora meno rilevanti rispetto a quelli dei precedenti anestetici vagliati. L’isofluorano è un isomero dell’enfluorano, introdotto a partire dal 1981; è un ottimo anestetico, correntemente impiegato e risulta resistente al metabolismo,
pertanto previene la comparsa di lesioni da tossicità
d’organo conseguenti. Esiste in forma liquida, chiara,
non infiammabile a temperatura ambiente, dall’odore
pungente. Consente un’induzione e un risveglio veloci
dall’anestesia per via della sua media solubilità nel sangue nonché elevata potenza, da solo, o in associazione
a protossido d’azoto e/o altri anestetici iniettabili. Il
composto si caratterizza per la sua notevole stabilità
chimica, che gli impedisce di deteriorarsi anche dopo
cinque anni dal confezionamento del prodotto, o dopo
la sua esposizione alla calce sodata o alla luce del sole.
Per questi motivi non necessita l’aggiunta di conservanti quali il timololo. La ricerca di un anestetico inalatorio farmacologicamente «perfetto» non si era conclusa con l’introduzione e la diffusione dell’impiego
dell’isofluorano; continuava quindi la ricerca di un liquido non infiammabile scarsamente liposolubile e as-
Tabella 2 - Proprietà chimico-fisiche di alcuni anestetici volatili
Composti inorganici
Derivati alogenati
Protossido di azoto
N2O
Alotano - (fluotano)
2-bromo-2-cloro-1,1,1-trifluoroetano
BrCHClCF3
Cas n. [10024-97-2]
Mr=44,01
Mp=-90,81
Bp760= -88,46
d(gas)=1,53 (aria =1)
S/G=0,47
Cas n. [151-67-7]
Mr=197,38
Bp760= 50,2
d(4) 20= 1,871
S/G=2,3
Derivati eteri alogenati
Metossifluorano - (pentrano)
2,2-dicloro-1,1-difluoro-1-metossietano
CH3OCF2CHCl2
Mr=164,97
Bp100= 51º
Bp = 105º
d(4) 20= 1,42
S/G=10,2
Enfluorano - (etrano)
2-cloro-1-(difluorometossi)
-1,1,2-trifluoroetano
CHF2OCF2CHClF
Mr=184,49
Bp= 56,5º
d(25) 25= 1,52
S/G=1,9
Isofluorano - (forano)
2-cloro -2 (difluorometossi)
-1,1,1-trifluoroetano
CF3CHClOCHF2
Mr=184,49
Bp = 48,5º
d(4) 20= 1,42
S/G=1,48
Desfluorano
2-(difluorometossi)
-1,1,1,2-tetrafluoroetano
CHF2OCHFCF3
Mr=168,04
Bp760= 23,5º
d(4) 20= 1,44
S/G=0,424
Sevofluorano
1,1,1,3,3,3-Hexafluoro
-2-(fluorometossi) propano
(CF3)2CHOCH2F
Mr=200,06
Bp760= 58,5º
d(4) 23= 1,44
S/G=0,69
Inserto di ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005
VII
solutamente resistente al metabolismo. Cosı̀, a partire
dal 1992 col desfluorano e dal 1994 col sevofluorano,
è stato possibile ottenere un controllo sempre più preciso della concentrazione di anestetico, nonché risvegli
rapidi, indipendentemente dalla durata complessiva
dell’anestesia del paziente, grazie a tali composti a bassa solubilità nel sangue.
Il desfluorano, simile chimicamente all’isofluorano dal
quale si diversifica solo per la sostituzione di un atomo
di cloro, con uno di fluoro al livello della componente
alfa etilica, si presenta rispetto al precedente per via di
tale atomo di fluoro con una maggior pressione di vapore, una notevole stabilità molecolare e una potenza
anestetica inferiore. La maggior pressione di vapore
che lo caratterizza comporta che il composto arrivi all’ebollizione alla temperatura ambiente di una sala operatoria per cui si rendono necessari vaporizzatori di
nuova tecnologia, riscaldati e pressurizzati, alimentati
a corrente elettrica, che eroghino una concentrazione
controllata dell’alogenato in forma di gas, miscelato
con un flusso di gas freschi diluenti. Il metabolismo
del desfluorano da parte dell’organismo è minimo se
non irrilevante: infatti, sono riscontrabili concentrazioni sieriche ed urinarie di trifluoracetato pari a un quinto, un decimo di quelle prodotte dal metabolismo dell’isofluorano. Per quanto riguarda la sua potenza anestetica come già premesso in partenza, questa risulta cinque volte inferiore rispetto a quella dell’isofluorano.
Inoltre per il suo odore pungente, diversamente dall’alotano e dal sevofluorano, ne è sconsigliato l’impiego
per una induzione in maschera. Tuttavia la sua scarsa
solubilità nel sangue consente una induzione nonché
un risveglio molto rapidi, diversamente dai primi anestetici gassosi sintetizzati.
Il sevofluorano, quasi inodore, produce broncodilatazione e non irrita le vie respiratorie, per cui è possibile il
suo vantaggioso impiego in induzione in maschera analogamente all’alotano. La sua pressione di vapore, simile
a quella dell’alotano e dell’isofluorano, consente un’agevole somministrazione del gas, mediante un comune vaporizzatore. Il suo coefficiente di ripartizione S:G (0,69),
simile a quello del desfluorano, garantisce un’induzione
e un risveglio veloci. Tuttavia, rispetto al desfluorano risulta di gran lunga più suscettibile alle biodegradazioni
metaboliche, che portano alla formazione di metaboliti,
quali il fluoro inorganico e l’esafluoroisopropanolo. Nonostante ciò, il sevofluorano rispetto ad alotano, enfluorano, isofluorano e desfluorano presenta un notevole
vantaggio: è il solo che non porta alla formazioni di proteine epatiche trifluoroacetilate, responsabili di effetti
epatotossici. Il sevofluorano, poi, è suscettibile a degradazione con formazione di composti tossici per gli animali, in presenza di basi forti, come quelle che si trovano
ad esempio nei comuni sistemi di assorbimento dell’anidride carbonica espirata (calce sodata), presenti nei circuiti dell’anestesia (Smith et al., 1996). Il principale prodotto di degradazione il fluorometile-2,2-difluoro-1-(trifluorometile) vinil-etere (composto A), è nel ratto una
nefrotossina dose-dipendente, responsabile di un danno
renale tubulare prossimale. Nonostante la presenza di tale nefrotossina susciti preoccupazione, nel corso delle
comuni anestesie con sevofluorano, la concentrazione
del composto A resta a livelli di gran lunga inferiori riVIII
spetto a quelli responsabili di un eventuale danno tossico, anche utilizzando flussi di un litro al minuto (Bito et
al., 1997; Kharasch et al., 1997).
In mancanza di un anestetico ideale, le cui principali
proprietà (Jones e Anaesth 1990; 65:527-36) dovrebbero essere quelle riportate in Tabella 3, di solito l’anestesia gassosa inalatoria viene attuata mediante somministrazione dell’alogenato e dell’ossigeno soltanto oppure
miscelando un anestetico alogenato con il protossido di
azoto e l’ossigeno a pressione parziale variabile, secondo il tipo di miscela prescelta.
Tabella 3 - Proprietà di un anestetico inalatorio
«ideale»
Caratteristiche
Requisiti
Stabilità
Non richiede conservanti
Vita media lunga
Non corrosivo nei confronti di metallo
e gomma
Stabile alla luce ed all’ambiente alcalino
Non infiammabile
Bassa solubilità
nel sangue
Rapida azione
Rapido recupero
Rapido aggiustamento del grado di anestesia
Efficacia
Consente l’impiego di un solo agente
Consente elevate concentrazioni di ossigeno
Non irritante per
le vie aeree
Consente l’uso di agente di induzione
Minimi effetti collaterali
Non produce stimolazioni del SNC
Non produce depressione del sistema
cardiovascolare/respiratorio
Non produce danni ad organi specifici
Non produce reazioni contrarie al farmaco
Benefici aggiuntivi
Non suscettibile al metabolismo
Eliminazione per esclusiva via respiratoria
Broncodilatatori
Anticonvulsivo, antiemetico, analgesico
La vaporizzazione dell’anestetico alogenato, che inizialmente è allo stato liquido, avviene in un apparecchio termocompensato, dove i vapori di alogenato vengono miscelati con ossigeno, la cui pressione parziale
può variare dal 30% al 100% e/o con il protossido d’azoto a 50%-66%. La concentrazione dell’alogenato presente nella miscela varia in percentuale, in funzione
della sostanza utilizzata e delle diverse fasi dell’intervento, con percentuali maggiori nel momento iniziale
dell’intervento nella fase dell’induzione rispetto alla fase di mantenimento dell’anestesia.
Inquinamento ambientale
È noto come nel corso di interventi chirurgici in anestesia gassosa possa essere presente negli ambienti delle
sale operatorie un inquinamento più o meno elevato,
Inserto di ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005
e come conseguentemente possano sussistere problemi
di esposizione nei confronti degli operatori.
L’inquinamento ambientale è funzione del tipo dell’apparecchiatura di erogazione, della natura e delle qualità
di gas erogati, delle caratteristiche dell’apparato di
smaltimento dei gas, della cubatura delle sale operatorie, del numero di ricambi d’aria e della durata dell’intervento.
Per quanto riguarda il grado di inquinamento delle sale
operatorie, dai dati rinvenuti in letteratura, come anche
dalle numerose indagini effettuate dal Dipartimento
igiene del lavoro dell’ISPESL presso diversi ospedali
italiani, si può affermare che durante gli interventi chirurgici è sempre presente un diffuso inquinamento ambientale, che può anche raggiungere valori superiori alle 1000 ppm di protossido di azoto ed alle 100 ppm di
eteri alogenati in miscela (etrano, isofluorano, pentrano, alotano,ecc.). Le analisi hanno evidenziato inoltre
la presenza di altre sostanze inquinanti, quali alcool etilico, alcool isopropilico e cloroformio, le cui concentrazioni sono risultate generalmente molto inferiori ai relativi valori limite di soglia.
Nei locali adiacenti le sale operatorie (preparazione chirurghi, sterilizzazione, lavaggio strumenti, corridoi,
ecc.) sono risultati presenti gas e vapori di anestetico,
naturalmente in concentrazioni sensibilmente inferiori
a quelle riscontrate nelle sale operatorie. Entrando nel
merito degli aspetti dell’inquinamento ambientale si
può affermare che durante l’intervento chirurgico si
ravvisano tre fasi, cosı̀ specificate, durante le quali gli
operatori risultano esposti al rischio chimico prodotto
dai gas anestetici:
preparazione e anestesia del paziente: in tale fase
viene effettuata l’operazione di apertura del condotto
di adduzione dei gas anestetici (gas alogenato e/o protossido d’azoto), per essere convogliato all’apparato respiratorio del paziente. Tale operazione è ad alta criticità quando l’anestesista non ha prontamente collegato
il tubo dei gas da convogliare al paziente, e pertanto
non si è raggiunta la chiusura del circuito determinando
inquinamento nell’ambiente circostante;
intervento chirurgico: durante l’intervento chirurgico può verificarsi l’esposizione a gas anestetici, con riferimento alla possibilità di perdite di esercizio, quali
perdite delle valvole delle bombole, delle valvole ad alta e a bassa pressione della macchina dell’anestesia, dei
raccordi del circuito respiratorio, tra cui difetti della
gomma o della plastica di tubi, condotti, borse respiratorie, ventilatori automatici e raccordi a Y del circuito e
delle valvole pop-off. Inoltre, in base al tipo di tecnica
di anestesia impiegata, oltre al verificarsi di pratiche
improprie, quali lasciare le valvole di controllo dei flussi dal vaporizzatore aperte, versare dell’anestetico inalatorio inavvertitamente al momento del riempimento
del vaporizzatore, può anche verificarsi inquinamento
ambientale a causa dell’impiego di maschere inadeguatamente aderenti o per insufficiente insufflazione della
cuffia del tubo endotracheale;
risveglio del paziente: in questa fase si può verificare un’inattesa nonché critica esposizione del personale
all’agente anestetico inalatorio: infatti, successivamente
alla chiusura del flusso dei gas quando il paziente è ancora intubato oppure anche successivamente, in seguito
Inserto di ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005
alla rimozione del tracheotubo quando il paziente riprende a svegliarsi, elimina con l’espirato quantità di
anestetico variabili, relative al tipo di anestetico impiegato e alla durata della anestesia. Inoltre, tale fase, da
considerarsi critica per l’esposizione del lavoratore all’agente gassoso, ha luogo in apposite sale per il risveglio, in cui i ricambi d’aria possono essere inadeguati o
comunque inferiori a quelli di una sala operatoria. A
questo proposito, si ribadisce l’importanza di tutte
quelle misure finalizzate al washout del paziente, nonché dei circuiti, prima che quest’ultimo sia scollegato
dalla macchina dell’anestesia: utilizzare flussi di ossigeno elevati appena dopo la chiusura dei gas anestetici,
mantenere il circuito collegato finché il paziente non
venga estubato e svuotare la borsa respiratoria, qualora
il circuito ne sia fornito, prima dell’allontanamento del
tubo di adduzione dei gas.
Diversi studi condotti negli ultimi anni hanno descritto
numerosi effetti negativi sulla salute degli operatori,
derivanti dall’esposizione cronica a gas anestetici, che
però una successiva revisione critica della letteratura
ha ridimensionato.
Pertanto, allo stato attuale il danno atteso da esposizione a gas anestetici valutabile è il seguente:
effetti neuro-comportamentali precoci: è stata ipotizzata un’azione sulle strutture neurologiche centrali
deputate al controllo del ritmo sonno-veglia, sostanza
reticolare tronco-encefalica, che comporta un’abolizione dello stato di vigilanza, effetto anestetico. In recenti
studi, l’esame delle funzioni neurocomportamentali ha
evidenziato una riduzione della performance anche a
basse dosi di esposizione. I contributi di altri fattori
quali lo stress e l’organizzazione del lavoro, non sono
ancora stati chiariti, né è stata documentata l’esistenza
di effetti cumulativi cronici;
effetti sulla funzione riproduttiva: studi epidemiologici, condotti in paesi scandinavi ed in Gran Bretagna, non hanno consentito di affermare, con certezza,
un nesso causale tra esiti sfavorevoli della gravidanza
dovuti ad esposizione professionale ad anestetici per
inalazione;
effetti sulla funzione epatica: sono stati studiati i
possibili danni epatici mediante sperimentazione su
animali ed in particolare è stata studiata l’induzione enzimatica, nel tentativo d’identificare i meccanismi alla
base dell’epatotossicità degli anestetici. Gli studi hanno
evidenziato una relazione dose/dipendente tra concentrazione urinaria di isofluorano e acido D-glucarico.
Sui lavoratori esposti a basse dosi di anestetici gli studi
condotti hanno invece mostrato principalmente alterazioni bioumorali derivanti da agenti biologici o da consumo di alcolici. L’esposizione a metossifluorano ha
prodotto alterazione di indici di nefrotossicità, proteinuria, azotemia;
effetti sulla funzione emopoietica: numerosi studi
concordano sulla capacità del protossido d’azoto di indurre un effetto mielotossico tramite inattivazione della
vitamina B12, anche se queste conclusioni non sono attualmente comprovabili con sicurezza;
effetti citogenetici: alcuni studi segnalano l’esistenza
di aberrazioni cromosomiche. Possono comunque essere presenti fattori esterni, quali la contemporanea esposizione a radiazioni ionizzanti.
IX
Effetti tossici dei prodotti
del metabolismo degli anestetici
volatili
I prodotti del metabolismo dell’alotano, trasformati a
livello epatico, si ritrovano nelle urine, rispettivamente
per il 18-20%, sotto forma di bromuro, e per il 12% sotto forma di acido trifluoroacetico.
L’enfluorano viene eliminato per l’83%, immodificato, per via respiratoria, mentre la rimanente parte viene
escreta per le urine, e solo il 2,4% della parte assorbita
viene biotrasformata in acido metossidifluoroacetico,
acido ossalico, fluoruri e cloruri.
L’isofluorano sembra essere il meno tossico tra gli
anestetici alogenati, viene per lo più eliminato per via
respiratoria. Solo lo 0,2% si ritrova nelle urine come
prodotti metabolici.
Il protossido di azoto viene eliminato per via polmonare alla fine dell’esposizione, solo parzialmente metabolizzato, e solo una piccola parte viene escreta tal quale nelle urine.
Nella Tabella 4 sono riportati alcuni parametri connessi
con il metabolismo degli anestetici, espressi in termini
percentuali, e precisamente le percentuali di metabolizzazione, di eliminazione della sostanza immodificata
per via respiratoria, e l’indice di ritenzione della sostanza, ovvero la quantità di anestetico assorbita per via
inalatoria rapportata alla quantità inalata.
Si può valutare che circa il 10% del personale della sanità, addetto al blocco operatorio, comprendente anestesisti, ferristi, strumentisti, chirurghi, infermieri, siano
esposti ai gas anestetici e che, soprattutto nel passato
fino agli anni ’80, potessero esservi stati esposti anche
ad elevate concentrazioni, fino a 7 volte gli attuali valori di accettabilità ambientale.
L’esposizione a gas anestetici
e i valori limite
In sala operatoria gli operatori (chirurghi, strumentisti,
personale infermieristico) possono essere esposti all’inalazione delle sostanze usate per l’anestesia gassosa, quali:
– protossido di azoto;
– forano (o isofluorano);
– etrano (o enfluorano);
– pentrano (metossifluorano);
– alotano (fluotano).
Il protossido di azoto appartiene alla famiglia chimica
degli ossidi. Il forano, l’etrano, il pentrano e l’alotano
a quella degli anestetici alogenati.
La circolare n. 5/1989 fornisce indicazioni per ognuno
dei gas citati, e precisa che i TLV-TWA e TLC-Ceiling
stabiliti dalla ACGIH (American Conference of Governmental Industrial Hygienists), quali limiti di riferimento, devono avere valore indicativo e non costituiscono una linea di demarcazione fra concentrazione nociva e innocua. Circa il protossido di azoto viene consigliato un TLV-TWA di 100 ppm per le sale operatorie esistenti e di 50 ppm per quelle nuove o ristrutturate.
La circolare fornisce inoltre indicazioni per il monitoraggio di tali gas, per le relative modalità di campionamento e analisi, fornisce anche indirizzi tecnici per la
corretta installazione e gestione delle apparecchiature
di anestesia gassosa.
Secondo numerose ricerche, l’esposizione professionale ai gas anestetici può indurre epatopatie, aborti spontanei, alterazioni ematologiche, modificazioni del sistema nervoso centrale e periferico. Vengono riferiti anche casi di riduzione dei livelli di vigilanza e rallentamento dei processi percettivi e motori.
La diffusione di gas anestetici nell’ambiente di sala
operatoria può essere causata da:
– perdite del sistema di canalizzazione dei gas (raccordi,
collegamenti, circuito ad alta pressione del respiratore);
– diffusione di gas anestetici nella fase di induzione
dell’anestesia;
– diffusione di gas anestetici attraverso le vie respiratorie del paziente.
Il contenimento del rischio da esposizione a gas anestetici in sala operatoria, può avvenire, secondo la circolare ministeriale, nei seguenti modi:
– evitare, se possibile, l’impiego di anestetici per inalazione prima dell’intubazione tracheale;
– garantire la massima aderenza della maschera sul viso, in caso di impiego di gas anestetici in induzione;
– verifica della tenuta dai circuiti ad alta pressione e
bassa pressione;
– adozione di evaporatori con sistema chiuso di caricamento, anziché a vaschetta;
– ossigenazione prolungata del paziente prima dell’estubazione;
– chiusura dei gas a fine anestesia;
– adozione di sistemi di raccolta e di scarico dei gas all’esterno;
– adeguato numero di ricambi d’aria in sala operatoria;
– periodici controlli analitici (monitoraggio del protossido
di azoto, cadenza almeno semestrale per il controllo dell’inquinamento ambientale di tutti i gas anestetici);
Tabella 4 - Parametri del metabolismo degli anestetici
Percentuale
di metabolizzazione
Percentuale di eliminazione
della sostanza immodificata
Indice di ritenzione
-
90%
3%
Alotano
10-20%
60-80%
20-40%
Enfluorano
2-10%
83%
35%
Isofluorano
0,2%
>70%
40%
Anestetico
Protossido di azoto
X
Inserto di ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005
– l’istituzione di procedure operative con verifica mensile.
Si forniscono altre indicazioni per il contenimento dei
gas anestetici ricavate dalla più recente letteratura
scientifica in materia:
– efficace ricambio di aria, con almeno 10 ACH (volumi/ora di aria di rinnovo);
– adozione di un sistema di evacuazione localizzato dei
gas anestetici (gas scavengig);
– manutenzione dell’impianto di climatizzazione e
adozione di procedure di buona tecnica nell’uso del
gruppo anestesiologico.
Il campionamento dei gas anestetici varia in funzione
delle finalità dell’indagine:
– scelta del punto di campionamento: va individuato in
prossimità delle vie respiratorie dell’operatore o dell’area
di lavoro per valutazioni relative all’esposizione del personale; in prossimità del probabile punto di diffusione del gas
nell’ambiente per il controllo delle eventuali perdite;
– scelta della persona su cui effettuare il campionamento: operatore direttamente esposto, personale di sala
operatoria;
– durata del campionamento: l’intero ciclo di lavoro, tipo di intervento operatorio;
– volume di aria ambientale campionato (in funzione della sensibilità del metodo di analisi, della stima di concentrazione del gas nell’ambiente, del TLV di quel gas);
– numero di campionamenti: da stabilirsi in funzione
della variabilità del carico di lavoro;
Il personale esposto a gas anestetici è soggetto a sorveglianza sanitaria e visita medica periodica.
Come già evidenziato in Italia la rischiosità da gas anestetici, in sala operatoria, è regolamentata dalla citata
circolare n. 5/1989, sull’esposizione professionale,
che stabilisce limiti tecnici per il controllo del protossido d’azoto come indice guida delle sale operatorie.
La circolare distingue due situazioni specifiche, quella
relativa alle camere operatorie esistenti antecedentemente al 1989, e quelle costruite o ristrutturate successivamente a questa data, per le quali rispettivamente nel
primo caso il valore massimo di TWA (settimanale) di
protossido accettato è di 100 ppm, con il progetto di ridurre tale livello a 50 ppm attraverso bonifiche, mentre
nel secondo caso il valore massimo di TWA è di 50
ppm.
Il NIOSH (National Institute for Occupational Safety
and Health) ha previsto valori di riferimento più restrittivi rispetto a quelli in vigore nella normativa italiana, e
precisamente per il protossido d’azoto: 25 ppm, nelle
sale di chirurgia generale, 50 ppm nelle sale dentistiche, mentre per gli anestetici alogenati: 2 ppm, se utilizzati da soli, e 0,5 ppm se usati insieme al protossido
d’azoto.
Danimarca e Norvegia hanno fissato per il protossido
d’azoto 100 ppm, come TLV-TWA, e 500 ppm come
TLV-STEL.
L’ACGIH propone invece i seguenti limiti: 50 ppm, come TWA, per il protossido di azoto, 50 ppm per l’ alotano, 75 ppm per l’etrano, nessun limite per isofluorano.
La Svezia ha fissato per l’etrano il limite di 10 ppm.
Per consentire una più agevole comparazione fra i limiti di esposizione riportati, relativi alle diverse normative, questi ultimi sono riepilogati in Tabella 5. L’esame
dei valori riportati nella Tabella 5 conduce a far riferimento ai limiti che tutelano maggiormente la salute degli operatori.
Tabella 5 - Normative a confronto
Protossido di azoto
Anestetici alogenati
Anestetici alogenati
in miscela
con il protossido di azoto
TLV-TWA
TLV-TWA
TLV-TWA
0,5 ppm
Italia
Sale chirurgiche antecedenti al 1989
100 ppm
Sale chirurgiche successive al 1989
50 ppm
NIOSH
Sale chirurgiche
25 ppm
2 ppm
Sale chirurgiche
50 ppm
alotano,
50 ppm
etrano
75 ppm
ACGIH
Svezia
Sale chirurgiche
etrano
10 ppm
Danimarca e Norvegia
Sale chirurgiche
Inserto di ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005
100 ppm
TLV-TWA,
500 ppm
TLV-STEL.
XI
Valutazione dell’esposizione:
monitoraggio ambientale
e biologico
Per valutare l’esposizione degli operatori si ricorre a
due distinti tipi di monitoraggio:
– ambientale, che consente di misurare la concentrazione delle sostanze chimiche, presenti nell’ambiente
di lavoro, e quindi di valutarne l’esposizione, per via
inalatoria, nel turno di lavoro;
– biologico, che consente di valutare l’esposizione globale alle sostanze chimiche presenti nell’ambiente di lavoro, mediante la misura, alla fine del turno di lavoro,
di idonei indicatori biologici, presenti nelle urine e/o
nel sangue, per determinare la quantità di anestetico assorbito.
Quantificare i livelli dell’inquinamento e valutare l’esposizione dei lavoratori ai gas anestetici, in oggetto,
sono azioni preliminari, necessarie per consentire di attuare le iniziative di bonifica degli ambienti di lavoro.
Per la valutazione dell’inquinamento del blocco operatorio, costituito dalla sala di anestesia, dalla sala di risveglio, dalle camere dei chirurghi, dalle stanze degli
infermieri, dalla sala di lavaggio delle mani, dalla sala
di vestizione, dal portello dei materiali sterili e dal relativo deposito, è opportuno effettuare campionamenti:
– nella sala operatoria (zona anestesia, zona operatoria,
zona periferica della sala);
– nei locali adiacenti e direttamente comunicanti (preparazione paziente, sterilizzazione, sala risveglio, ecc.).
Dovrebbero quindi essere eseguiti prelievi, di lunga durata, in corrispondenza, per quanto possibile, della zona
respiratoria del soggetto esposto ovvero dell’anestesista, dello strumentista, del chirurgo, del personale infermieristico e tecnico, ed accertate eventuali fonti di inquinamento, a livello dei sistemi valvolari, degli evaporatori, dei raccordi di bombole, delle prese per il protossido di azoto, della borsa respiratoria, del punto di uscita dei gas espirati, mediante misure istantanee in prossimità delle apparecchiature di anestesia lungo l’intero
circuito respiratorio.
I campionamenti, nelle posizioni fisse, possono essere
eseguiti ponendo l’apparecchiatura a circa 160 cm di
altezza dal pavimento.
Per il campionamento possono essere impiegati, a seconda della finalità del prelievo, campionatori:
passivi a diffusione che consentono una grande semplicità di esecuzione del campionamento senza interferire
con le attività operative, vedi ad esempio la necessità del
monitoraggio di un chirurgo, sul quale ovviamente non si
può posizionare una pompa; la raccolta contemporanea di
vari campioni; di ottenere valori medi ponderati di esposizione individuale. Lo svantaggio del campionatore passivo è di non consentire misure di tipo istantaneo; l’uso di
campionatori passivi, che non consentono di effettuare
misure di tipo istantaneo, è stato proposto da diversi autori sia per il campionamento dei gas anestetici alogenati,
per i quali viene impiegata una fase stazionaria a base
di carbone attivo, che per il protossido per il quale la fase
stazionaria comunemente impiegata è rappresentata da setacci molecolari;
attivi, costituiti da pompe tarate a flusso controllato,
XII
che aspirano volumi di aria noti e collegate con sacche
di tedlar o con fiale, contenenti opportuni adsorbenti.
Ad esempio, alcuni autori riportano, per il campionamento degli anestetici alogenati, le seguenti condizioni:
l’aria viene aspirata con una pompa, tarata in genere tra
i 50 ed i 100 ml/min, su fiale adsorbenti di carbone attivo o di carbone e setacci molecolari, per determinare
il TWA (time weight average), come media temporale
del prelievo espressa in otto ore.
Per determinare i valori di STEL (short term exposure level) come valore di campionamento rapportato ad un elevato volume di aria in un tempo breve, il flusso di aspirazione comunemente impiegato è quello di 200 ml per
15 min. Il valore STEL deve essere rapportato solamente
ad un picco di concentrazione giornaliero e non utilizzato
ripetutamente ricavandone un dato medio.
Per il campionamento, invece, del protossido di azoto l’aria viene immessa, tramite una pompa, in sacche di tedlar,
o in fiale contenenti setacci molecolari, in quest’ultimo
caso con un flusso compreso tra 10 e 20 ml/min.
Dal punto di vista dell’analisi delle sostanze campionate può essere impiegata la seguente catena di strumentazione:
– spettroscopio a infrarosso o fotoacustico che consente misurazioni istantanee, con lettura diretta e contemporanea del risultato, sia del protossido di azoto
che degli alogenati. Mediante lo spettroscopio a infrarosso è possibile eseguire una verifica immediata della
situazione ambientale nonché correlare l’andamento
delle concentrazioni degli anestetici con precise situazioni lavorative e quindi identificare eventuali sorgenti
di inquinamento; è anche possibile mediante un collegamento con un apposito «campionatore multipunto»
riuscire ad avere, contemporaneamente, più dati provenienti da diversi punti di campionamento. I principali
svantaggi di questo tipo di strumentazione sono quelli
di richiedere una taratura periodica, di non eliminare
possibili interferenze fra sostanze con stesse bande di
assorbimento e di non consentire prelievi, nella zona
respiratoria degli operatori, per le mansioni che comportano spostamenti. Un esempio applicativo è il campionamento del protossido d’azoto, mediante spettrofotometro infrarosso portatile, alla lunghezza d’onda di
4,55 m;
– gascromatografo o GC-MS: dopo aver eseguito il
campionamento ambientale, l’adsorbente può essere
desorbito con solfuro di carbonio e l’eluato analizzato
mediante gascromatografia, oppure il materiale adsorbente potrebbe essere introdotto in vials (fialette), contenenti acqua demineralizzata e, dopo un opportuno
condizionamento, introdotto, mediante spazio di testa,
nel gascromatografo. Fase stazionaria della colonna e
rivelatore, dello strumento, andranno scelti in funzione
della natura dei prodotti da analizzare. Ad esempio per
l’analisi dei gas anestetici alogenati potrà essere più
utilmente impiegato come rivelatore un ECD (detector
a cattura di elettroni).
Possibili interferenze di altre sostanze campionate contemporaneamente possono essere eliminate se, durante
l’analisi, si utilizza, come rilevatore del gascromatografo, lo spettrometro di massa (MS).
Per una più puntuale descrizione delle metodiche di
campionamento ed analisi si rimanda alle metodiche
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OSHA (Occupational Safety e Health Administration)
U.S. Department of Labor o ad altre metodiche validate
descritte in letteratura quali quella proposta da Pezzagno et al..
Il monitoraggio biologico degli anestetici volatili viene
eseguito rispettivamente sui compartimenti alveolareespiratorio medio, ematico-venoso, urinario, degli operatori esposti, sui quali le sostanze da ricercare possono
essere sia i componenti tal quali, non metabolizzati, che
alcuni prodotti noti di biotrasformazione.
Il monitoraggio biologico, eseguito sui campioni di aria
espirata e su campioni di sangue venoso, può essere
eseguito in diversi momenti della giornata lavorativa,
più comunemente durante:
– l’esposizione;
– al termine dell’esposizione;
– alla fine della settimana lavorativa.
Se i prelievi vengono eseguiti durante l’esposizione, i
valori individuati sono valori di concentrazione istantanei e pertanto direttamente collegati ai valori di concentrazione esistente in quel momento nell’ambiente di lavoro.
Viceversa se i prelievi vengono eseguiti dopo l’esposizione, i risultati di questi ultimi devono essere correlati
al valor medio della concentrazione dell’inquinante
presente, nell’ambiente di lavoro, nel corso della giornata o delle giornate antecedenti al prelievo.
Per quanto riguarda i risultati dei prelievi eseguiti sul
comparto urinario essi devono essere collegati ad un
valore ponderato della concentrazione dell’anestetico
presente nell’ambiente di lavoro.
La circolare n. 5/1989 riporta i valori biologici di riferimento che devono essere utilizzati per verificare l’esposizione degli operatori agli anestetici inalatori. Questi ultimi sono riassunti nella Tabella 6.
Tabella 6 - Indicatori biologici
Anestetico
Indicatore biologico
Alotano
Acido trifluoroacetico nel sangue
2,5 mg/l sangue prelevato alla fine della
settimana lavorativa ed alla fine dell’esposizione
Alotano
Isofluorano
Alotano alveolare
0,5 ppm misurato in sala operatoria alla fine dell’esposizione
Isofluorano urinario
18 nm/l urina dosato nelle urine prodotte
dopo 4h di esposizione e prelevate alla fine dell’esposizione
Protossido
di azoto
Protossido di azoto urinario
27 g /l dosato nelle urine prodotte dopo 4
h di esposizione e prelevate alla fine dell’esposizione.
Questo valore biologico è equivalente a
50 ppm di concentrazione ambientale media
Protossido
di azoto
Protossido di azoto urinario
55 g/l dosato nelle urine prodotte dopo 4
h di esposizione e prelevate alla fine dell’esposizione.
Questo valore biologico è equivalente a
100 ppm di concentrazione ambientale
media
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Sorveglianza sanitaria
Poiché non esistono indicatori sicuri di effetto precoce
sulla salute del personale esposto agli anestetici inalatori, ma solo una serie di effetti biologici aspecifici, i parametri che la legge propone per un monitoraggio clinico e di laboratorio sono alquanto generici.
Sulla base della normativa italiana, il personale esposto
deve essere sottoposto a controlli sanitari da parte del
medico competente.
Le principali norme a cui si deve far riferimento sono la
circolare n. 5/1989, gli articoli 24 e 92, del D.P.R. n.
384/1990, il D.Lgs. n. 626/1994 e il D.Lgs. n. 242/
1996.
Un apposita commissione, costituita nell’ambito della
Società Italiana di Medicina del Lavoro e Igiene Industriale, ha stabilito i criteri da adottare nell’ambito dei
controlli al fine di:
– valutare lo stato di salute dell’operatore e la sua idoneità alla mansione. Bisogna eseguire un primo controllo sanitario, prima dell’esposizione, evidenziando
l’eventuale presenza di patologie a carico del sistema
emolinfopoietico ed altri sistemi implicati nella patologia professionale da anestetici. A questo scopo durante
la visita andranno raccolti dati anamnestici e valutata la
funzionalità del sistema nervoso centrale e periferico.
Tra gli esami di laboratorio e biologici, condotti sui singoli soggetti esposti, deve essere eseguito un esame
ematologico completo, (Tabella 7), l’elettrocardiogramma, e lo studio della funzionalità epatica;
– individuare ulteriori controlli sanitari per la loro esecuzione con periodicità.
La circolare n. 5/1989 propone una frequenza dei controlli trimestrale, ciò nondimeno si ritiene che una periodicità annuale possa essere più appropriata.
Qualora durante la visita medica emergano eventuali
alterazioni potranno essere prese in considerazione ulteriori procedure diagnostiche.
Tabella 7 - Monitoraggio clinico e biologico
Esami di laboratorio
Emocromo con formula
Monitoraggio biologico
Protossido d’azoto urinario
Creatininemia, azotemia
Transaminasi, GGT
Esame urine completo
D’altro canto, poiché i dati ambientali e quelli biologici
sono direttamente interdipendenti, le periodicità del
monitoraggio biologico e della sorveglianza sanitaria
devono essere fissate in relazione all’entità dell’esposizione, come riportato in Tabella 8.
È da precisare che il superamento dei limiti di esposizione potrebbe essere imputabile a carenze strutturali
o impiantistiche: in tal senso una frequenza di monitoraggio ambientale più ravvicinata acquista significato
solo se conseguente ad interventi di bonifica, per verificarne l’efficacia.
Non è infatti di alcuna utilità eseguire monitoraggi con
una periodicità eccessivamente ravvicinata per verificare l’osservanza di norme e regolamenti; è invece più
opportuno privilegiare l’attività di verifica periodica
XIII
delle apparecchiature, dell’impianto di distribuzione
del protossido, dell’efficienza dell’impianto di ventilazione ed applicare correttamente le procedure operative, secondo standard di qualità.
Quindi, in tal senso, il monitoraggio ambientale riesce
ad assumere anche una funzione di verifica della corretta attuazione delle misure di prevenzione di tipo procedurale, e deve comunque essere sempre eseguito dopo
una qualsiasi modifica tecnologica o ambientale significativa, o a seguito di eventuali evidenze segnalate dal
monitoraggio biologico.
Prevenzione tecnica
La circolare n. 5/1989 riporta una serie di suggerimenti
comportamentali e di interventi tecnici finalizzati al
contenimento della diffusione dei gas anestetici e quindi, in base agli esiti dei campionamenti, per riportare i
valori di concentrazione del protossido di azoto entro il
valore di 100 ppm. In particolare tale circolare pone
l’accento sulla necessità di:
evitare, ove possibile, l’impiego di anestetici per inalazione prima dell’intubazione orotracheale;
garantire la massima aderenza della maschera al viso
del paziente, qualora sia necessaria l’induzione in maschera con l’impiego di anestetici per inalazione;
eseguire un attento ed accurato controllo delle eventuali perdite di anestetico. Per adempiere a questa incombenza bisognerà differenziare le tipologie degli interventi da eseguire in base alla peculiarità del circuito
stesso, e cioè se si ha a che fare con un circuito a bassa
o ad alta pressione. Il controllo della tenuta del circuito
di anestesia impiegato deve essere eseguito prima di
ogni seduta operatoria;
controllare attentamente le eventuali perdite del sistema nel caso dei circuiti a bassa pressione, che collegano i flussimetri con il paziente, e cioè:
– le varie connessioni, connettori ad Y;
– i tubi del circuito non integri o montati in modo sbagliato;
– le cupole delle valvole non a tenuta;
– le valvole di scarico dei gas in eccesso, l’aggancio
degli evaporatori intercambiabili e palloni respiratori;
– i sistemi di assorbimento;
– il cestello della calce sodata. È importante effettuare
la seguente verifica: dopo aver chiuso la valvola di scarico e del raccordo a Y il sistema è funzionante se il
flusso di ossigeno, necessario per mantenere stabilmente, nel sistema, una pressione di 40 cm di H2O, non supera i 100 ml/min. Questo controllo dovrà essere eseguito quotidianamente e comunque ogni qualvolta venga sostituita la calce sodata;
verificare la tenuta delle fascette stringitubo, delle filettature dei tubi e delle chiusure a molla in presenza di
circuiti ad alta pressione, che collegano le prese dell’impianto di distribuzione centralizzato e l’apparecchio di anestesia. I più comuni punti di perdita risultano
essere:
– i tubi di collegamento con l’impianto centralizzato;
– il circuito ad alta pressione del respiratore.
Di non minore importanza è la seguente verifica, che
consiste nel controllare la pressione sul manometro dell’apparecchio di anestesia, dopo l’apertura del collegamento con l’impianto centralizzato di erogazione del
protossido di azoto e dopo un’ora dalla sua chiusura.
Se dopo questo tempo si riscontrerà una caduta della
pressione nel sistema potrebbe esservi una perdita.
Allo scopo di ridurre l’inquinamento dell’ambiente sarà
ancora opportuno adottare le seguenti misure precauzionali:
è preferibile adottare ogni soluzione che riduca la
perdita di anestetico durante il travaso nei vaporizzatori, quindi impiegare evaporatori con sistema di caricamento chiuso (pyn safety) non a vaschetta ed eseguirne
il riempimento sotto cappa, all’esterno della sala operatoria;
chiudere tutti flussometri allorquando sia terminato
l’impiego dei gas per l’anestesia;
eseguire un ossigenazione prolungata del paziente
prima dell’estubazione, in modo da ridurre l’emissione
di gas;
adottare idonei sistemi di raccolta e di scarico, sia dei
gas espirati che di quelli pervenuti dal circuito paziente,
e prevederne la verifica periodica;
utilizzare flussi di gas più bassi possibile;
controllare periodicamente l’impianto di ventilazione
verificandone i ricambi dell’aria e sostituendone i filtri;
prevedere interventi di manutenzione programmata
allo scopo di verificare l’efficienza delle macchine, in
modo da prevenire l’insorgenza di guasti e le fonti di
inquinamento;
avere a disposizione le parti di ricambio del circuito
di anestesia in modo da poterle sostituire rapidamente
in caso di malfunzionamento.
Tabella 8 - Correlazione tra livelli di esposizione e le periodicità dei monitoraggi e della sorveglianza
sanitaria
Livelli di esposizione *
Protossido atmosferico.
(ppm)
Monitoraggi - periodicità
Protossido urinario (g/l)
ambientale
Sorveglianza sanitaria
- periodicità
biologico
<50
<27
triennale
annuale
50 - 100
< 55
biennale
annuale
annuale
100 - 300
55 - 60
(?)
semestrale
semestrale
> 300
> 160
(?)
trimestrale
trimestrale
* (I valori devono essere interpretati come valori di media ponderata per turno di lavoro TLV-TWA)
XIV
Inserto di ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005
Anche alcuni modi di agire dell’anestesista, nella scelta
e nella condotta dell’anestesia e del personale di sala
potrebbero influenzare la dispersione o il contenimento
dei gas anestetici nella sala operatoria.
Infatti laddove possibile, compatibilmente con le condizioni del paziente, e con la tipologia dell’intervento,
l’anestesista potrebbe fare uso di anestesia endovenosa
e loco-regionale, mentre il personale di sala adottando
comportamenti corretti, quali quelli di non ostruire le
riprese dell’aria con attrezzature superflue all’intervento chirurgico, o di tenere chiuse le porte per non ridurre
la ventilazione delle sale, favorirà il normale ricircolo
dell’aria, ostacolando il ristagno dei contaminanti aerodispersi.
Requisiti degli impianti
e degli apparecchi di anestesia
Il D.P.R. 14 gennaio 1997, n. 37 stabilisce i parametri
termoigrometrici, che devono essere presenti in una sala operatoria e che sono realizzabili mediante un idoneo
impianto di climatizzazione.
Una loro più rapida visualizzazione viene presentata
nella Tabella n 9.
Tabella 9 - Parametri termoigrometrici
(D.P.R. n. 37/1997)
Parametro
Limiti di legge
Temperatura dell’aria
20-24ºC
Umidità relativa
40-60%
Ricambi aria/ora (aria esterna
senza ricircolo)
>15 v/h
Filtraggio dell’aria
> 99,97%
Nelle sale operatorie di nuova realizzazione è necessario garantire un ricambio con aria esterna, senza ricircolo, di circa 15 vol/amb/h, con un gradiente pressorio
positivo.
Il provvedimento è necessario e, unitamente alle altre
soluzioni tecniche precedentemente proposte, consente
di ridurre l’inquinamento ambientale dovuto alla diffusione dei gas anestetici.
Nelle sale operatorie già esistenti, nelle quali il numero di ricambi d’aria è inferiore a quello riportato in tabella 9, in attesa di un’adeguata ristrutturazione, dovranno essere potenziate le altre misure di sicurezza
già precedentemente richiamate.
L’impianto di condizionamento oltre a costituire l’elemento di base della progettazione per il controllo della
qualità dell’aria nella sala operatoria contribuisce a garantire le condizioni di benessere termico all’interno
della sala operatoria.
Le condizioni di benessere dipendono, secondo quanto
previsto dalla ISO 7730, da quattro parametri fisici e
due individuali:
– temperatura dell’aria;
– temperatura radiante;
– umidità;
– velocità dell’aria;
– calore derivante dall’attività svolta;
– resistenza termica del vestiario.
Inserto di ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005
L’impianto di condizionamento ne influenza tre:
– velocità dell’aria;
– umidità;
– temperatura dell’aria.
Le condizioni microclimatiche da impiegare in generale
devono soddisfare le esigenze di seguito riportate che
non sempre sono collimanti con:
– benessere termico del personale;
– benessere termico del paziente;
– necessità chirurgiche;
– necessità di sicurezza in riferimento alla presenza di
gas infiammabili.
La letteratura fornisce per le sale operatorie le seguenti
indicazioni:
– la velocità dell’aria all’interno delle sale, all’altezza
delle persone, deve avere un valore di 0,15-0,20 m/
sec e non essere superiore a 0,4 m/sec, per evitare fastidi alle persone;
– l’umidità relativa deve attestarsi intorno al 50-60 %,
influendo anche sulla presenza di gas infiammabili;
– la temperatura dell’aria deve essere compresa tra 21 e
24 ºC.
È possibile controllare le condizioni microclimatiche
installando un termoigrometro e controllare la portata
dell’aria dell’impianto di condizionamento, in funzione
della caduta di pressione a monte e a valle dei filtri, mediante l’installazione di strumenti automatici.
Ove possibile sarà opportuno installare l’apparecchio di
anestesia nel senso del flusso di mandata e sulla via di
espulsione dell’aria.
Come già anticipato, ogni apparecchio di anestesia esistente deve essere revisionato ed adeguato ai requisiti
di sicurezza e di tenuta, mentre gli apparecchi di nuova
fornitura devono essere in possesso della certificazione
della casa costruttrice o di distribuzione che ne garantisca la perfetta tenuta e sia già configurato sulla base
delle nuove normative CEN.
Sarebbe auspicabile che ogni apparecchio di anestesia
fosse provvisto di dispositivo accessorio per il monitoraggio dei gas espirati (% alogenato).
È opportuno adottare opportuni sistemi di evacuazione
del gas del tipo attivo, cosı̀ come dell’espirato del paziente, quando viene utilizzato un sistema del tipo senza respirazione (non rebreathing); in tal modo sussistono le condizioni di essere collegati con tutte le prese di
scarico dei gas in eccesso nei circuiti di anestesia.
Altro accorgimento è quello di convogliare il sistema
dei gas anestetici all’esterno in una posizione opportuna, in modo tale da non creare inquinamento di altri
ambienti.
Relativamente all’esecuzione di controlli periodici su
apparecchiature ed impianti, oltre a quelli già precedentemente richiamati per i circuiti a bassa ed a alta pressione, è opportuno procedere a:
– controllare con periodicità annuale l’impianto di distribuzione del protossido d’azoto;
– sottoporre a controllo periodico l’impianto di evacuazione dei gas anestetici, preferibilmente in concomitanza con i controlli relativi agli apparecchi di anestesia,
relativamente alla portata di aspirazione raccomandata
dalla ditta costruttrice, ed alle connessioni tra circuito
di anestesia e sistema di evacuazione gas;
– verificare con periodicità possibilmente semestrale,
XV
impiegando idonei strumenti di misura, l’effettivo numero di ricambi d’aria orari;
– devono essere periodicamente verificati i parametri
termoigrometrici.
È buona norma istituire un registro di controllo e manutenzione.
Quanto sopra riportato è rappresentativo di interventi
che, senza gravose innovazioni, ed in coerenza con le
indicazioni ministeriali, possono assicurare il miglioramento della tutela della salute del personale in sala operatoria.
Un utile strumento di sorveglianza permanente del rischio anestesiologico da parte dei servizi di prevenzione e protezione è il monitoraggio del consumo dei gas
nonché delle tecniche anestesiologiche impiegate. La
conoscenza di tali dati dà infatti la possibilità di verificare nel tempo l’andamento dell’entità del problema.
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