Il Web 2.0: per connettersi, comunicare, condividere

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Il Web 2.0: per connettersi, comunicare, condividere
Capitolo 1
Il Web 2.0: per connettersi,
comunicare, condividere, collaborare
1.1
Tutto è 2.0, tutti siamo 2.0, niente è 2.0!
L’etichetta “2.0” è ormai entrata nel gergo comune per indicare qualcosa
di “nuovo” o, meglio, pensando all’origine informatica di tale accezione,
a qualcosa di “migliore” rispetto a una versione o release precedente. Nel
mondo dell’informatica un programma software nasce in versione “1.0” e
tutte le sue successive evoluzioni vengono tracciate con una numerazione
progressiva: le release 1.1, 1.2, 1.3 ecc. segnano il miglioramento delle funzionalità esistenti, le release 2.0, 3.0 ecc. segnano novità e miglioramenti
radicali, come la presenza di nuove funzionalità, la revisione dell’interfaccia
utente o delle logiche di usabilità.
Perché, dunque, l’etichetta “2.0” è uscita dal mondo dell’informatica e
si trova sempre più spesso in associazione a qualsiasi campo dell’attività
umana? Perché tutto è diventato “2.0”?
Il motivo è da ricollegare a una serie di recenti evoluzioni del Web, sintetizzate proprio nel concetto di “Web 2.0”, che stanno avendo un impatto
pervasivo sulle dinamiche sociali fra le persone e che estendono il loro effetto a ogni ambito della vita di un individuo: dallo studio al tempo libero, dal
lavoro all’intrattenimento, dai rapporti professionali ai legami sentimentali.
In virtù dei cambiamenti che descriveremo fra poco, il Web si sta configurando come una rete su cui si possono tessere nuove relazioni o rafforzare
quelle esistenti, come una piattaforma per creare e diffondere nuovi contenuti, come un ambiente grazie al quale persone fisicamente molto distanti tra loro possono interagire, condividendo qualsiasi forma di contenuto,
come uno strumento per cercare e mettere a fattor comune competenze disperse, che possono contribuire a costruire nuova conoscenza. L’utilizzo del
Web, delle sue nuove funzionalità e dei suoi nuovi strumenti sta diventando
così connaturato al modo di comunicare e interagire fra le persone che le
differenze rispetto al passato sono sempre più evidenti, in tutto ciò che si
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fa: la scelta di un ristorante è subordinata a una rapida raccolta di pareri
di amici e conoscenti online; l’organizzazione di una riunione è supportata
dall’organizzazione di un istant poll che consente di verificare in tempo reale le disponibilità di agenda degli invitati; la lettura del curriculum di un
candidato può essere integrata con una veloce occhiata al suo profilo su un
social network professionale, alla ricerca delle raccomandazioni espresse
da chi lo conosce e ci ha già lavorato; le notizie sono comunicate in diretta
dalle persone che sono sul posto, grazie a un messaggio lanciato via SMS,
ripubblicato online e visibile a tutta la comunità collegata.
Siamo tutti “2.0”?
Leggendo gli esempi proposti, coloro che sono nati e cresciuti con il
Web – i cosiddetti nativi digitali – non avranno probabilmente la medesima
sensazione di novità rispetto a coloro che si sono gradualmente “spostati”
su Internet, ossia gli immigrati digitali che hanno vissuto le varie evoluzioni
di Internet, dalla sua nascita fino a oggi. In verità siamo sempre gli stessi,
solo abbiamo molti più strumenti per connetterci, comunicare, condividere, collaborare. A prescindere da ciò, il fenomeno “2.0” ha davvero una
portata straordinaria, testimoniata sia dai tassi di crescita degli iscritti a siti
come Facebook, Twitter o YouTube, sia dai crescenti livelli di utilizzo da
parte di aziende e istituzioni. Il fenomeno riguarda tutti, senza distinzioni
di sesso, età, razza: uomini d’azienda, personaggi famosi, politici e perfetti
sconosciuti. Chiunque abbia un accesso al Web sta sperimentando sensazioni e opportunità nuove, sempre più coinvolgenti a livello individuale e
di gruppo.
A questo punto nel lettore più diffidente verso le nuove etichette può
sorgere un dubbio: “ma se tutto è 2.0 e tutti siamo 2.0, allora il 2.0 non esiste! È solo il mondo che progredisce, anche grazie alla tecnologia!”.
In effetti non è la prima volta che l’evoluzione di Internet ha un effetto così dirompente da proiettare i suoi effetti sulle dinamiche sociali ed
economiche a livello globale. Tra la metà degli anni Novanta e gli inizi del
Duemila bastava una “e” posta davanti a parole come “commercio” (eCommerce), “affari” (eBusiness), “apprendimento” (eLearning) o “governo”
(eGovernment) per catturare il trend emergente di utilizzo degli ambienti
elettronici online nelle varie attività della nostra vita. L’effetto moda si è
poi progressivamente sgonfiato, la “e” è scomparsa, il business è rimasto
business, il commercio è rimasto commercio, e così via. Che cosa è cambiato? Semplicemente, in modo graduale, le novità portate da Internet si
sono consolidate in prassi e sono diventate una parte del fare affari, del
fare impresa, del fare formazione, del fare governo. Internet è diventato
un nuovo canale di comunicazione, di vendita, di relazione con i cittadini,
integrato con i canali già esistenti. A un certo punto, o si metteva la “e”
davanti a tutto, oppure la si toglieva. La si è tolta, giustamente, ma il mondo
in qualche modo è cambiato. Con l’etichetta “2.0” probabilmente accadrà
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la stessa cosa, ma per ora continuiamo a tenerla e a utilizzarla, perché è
molto diffusa, perché è comoda da scrivere e soprattutto perché ci aiuta a
identificare tutto quello che sta accadendo nel mondo del Web e che ha un
impatto sulle nostre attività.
L’unica accortezza che dobbiamo avere consiste nel fare un po’ di ordine
nelle varie definizioni e nei concetti che si sono diffusi accanto a quello di
Web 2.0, in modo da offrire un quadro di riferimento chiaro per chi vuole
iniziare a orientarsi in questo mondo.
1.2
Web 2.0: concetti di base
Ma che cos’è il “Web 2.0”? Se lo chiedessimo a un esperto di tecnologia, a
un sociologo, a un economista, avremmo risposte diverse: ognuno risponderebbe privilegiando il proprio punto di vista. Le definizioni che troviamo
in letteratura o sui media enfatizzano infatti diverse prospettive secondo
cui può essere osservato il fenomeno, che riprenderemo più avanti nel dettaglio:
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la prospettiva tecnologica, che privilegia l’analisi degli aspetti tecnici e
informatici legati all’evoluzione del Web;
la prospettiva sociologica, che si concentra sulle trasformazioni delle dinamiche relazionali a seguito dell’utilizzo dei nuovi strumenti di Internet;
la prospettiva economica, che enfatizza l’impatto di tale evoluzione sui
modelli di business delle aziende.
Tenendo conto di queste prospettive, ai nostri fini il modo più semplice
per definire il Web 2.0 è il seguente:
Il Web 2.0 è una piattaforma di applicazioni accessibili via Web, basate su tecnologie interattive che abilitano la partecipazione attiva degli
utenti e che consentono un elevato livello di interazione fra gli utenti
stessi per connettersi, comunicare, condividere e collaborare online. Su
questa piattaforma tecnologica nascono nuove dinamiche relazionali,
nuovi modelli di business e nuove opportunità per le aziende.
La definizione proposta porta a convergenza tutta la discussione che nel
corso degli ultimi anni ha animato studiosi, ricercatori, giornalisti, accademici e appassionati di Internet, a partire dalla prima volta in cui il concetto
di Web 2.0 è stato utilizzato, nel 2004. In quel periodo la bolla speculativa
di Internet – il cosiddetto dot.com crash – era appena scoppiata e aveva
lasciato vittime illustri come America On Line (AOL) o WorldCom. Nonostante la crisi di molte delle start-up che avevano segnato la prima diffusione di Internet, il Web era più forte che mai, con realtà in netta ripresa come
Amazon o eBay e operatori di grande successo come Google. Durante una
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sessione di brainstorming organizzata dalla casa editrice O’Reilly Media per
ragionare sullo stato del Web dopo la crisi di inizio anni Duemila, il Vice
President Dale Dougherty utilizzò per primo il concetto di Web 2.0. Dougherty voleva indicare con questo termine la nuova fase del Web, nella quale erano sopravvissute e stavano nascendo aziende Internet guidate da una
filosofia e da un modello di business completamente diversi rispetto a quelli
delle aziende che avevano dichiarato bancarotta. Osservando queste realtà
si potevano desumere i principi ispiratori del nuovo Web. Tim O’Reilly1,
socio di Dougherty, tentò di svolgere l’esercizio insieme ai suoi collaboratori e formalizzò i risultati in uno dei più citati blog post sul Web 2.02. Negli
esempi proposti da O’Reilly il concetto di Web 2.0 nasce in contrapposizione al cosiddetto “Web 1.0”, caratterizzato da siti “consultabili” ma con
limitate possibilità di interazione per gli utenti, oltre che da applicazioni
online messe a disposizione dei navigatori secondo gli approcci tradizionali
di gestione del software. Il Web 2.0 si caratterizza invece per la presenza
di siti “diversi”, messi online da operatori che hanno abbracciato il principio del Web come piattaforma (Web as platform). Questi siti si configurano
come vere e proprie applicazioni web – ossia servizi accessibili tramite un
qualunque browser per la navigazione – che non sottostanno ai canoni tradizionali di sviluppo e gestione del software, non hanno licenze di utilizzo
né cicli programmati di rilascio o di manutenzione: sono semplicemente
disponibili, online e gratuitamente, e sono migliorati in modo continuativo.
Inoltre, queste applicazioni sono sempre più basate sulla partecipazione
attiva degli utenti (architecture of participation), in quanto create con tecnologie e funzionalità interattive che consentono di superare il paradigma
di mera pubblicazione/fruizione di contenuti/servizi nella logica “sito →
utente”, verso nuovi paradigmi partecipativi ispirati a logiche “utente ↔
sito” e “utente ↔ utente” (rich user experience). Nel Web 2.0 gli utenti possono quindi diventare contributori e non solo fruitori di contenuti (users
as contributors), come nel caso dell’enciclopedia collaborativa Wikipedia,
del contenitore di video YouTube o del repository di fotografie Flickr. Il
tutto senza necessità di installare programmi particolari, ma semplicemente
utilizzando il browser.
Quello tracciato nel 2004 dal team di O’Reilly può essere considerato un
vero e proprio manifesto della filosofia del nuovo Web. Il lavoro, seppur
basato su semplici esempi di contrapposizione fra ciò che è “1.0” e ciò che
è “2.0”, ha il pregio di aver fotografato un percorso evolutivo di Internet
senza precedenti, che è stato poi approfondito in diverse sedi e secondo
diversi punti di vista. L’etichetta “2.0” è stata ampiamente criticata per tutti
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Tim O’Reilly (Cork, 6 giugno 1954) è un editore di origine irlandese, fondatore della casa editrice O’Reilly
Media e sostenitore attivo dell’innovazione tecnologica.
T. O’Reilly, What Is Web 2.0 Design Patterns and Business Models for the Next Generation of Software,
09/30/2005 - http://oreilly.com/web2/archive/what-is-web-20.html. Il post, pubblicato in otto lingue, ha
oltre 5000 citazioni segnalate da Google Scholar.
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i motivi che abbiamo visto in apertura di capitolo. Sono inoltre nate nuove
definizioni e nuovi concetti, tutti orientati a catturare l’uno o l’altro aspetto
di novità portato dall’evoluzione di Internet.
In particolare, ci sembra opportuno soffermare l’attenzione su due concetti molto simili tra loro, utilizzati per inquadrare meglio il fenomeno di
crescente coinvolgimento degli utenti nel Web 2.0: social media e social software. L’espressione social media è utilizzata per identificare un gruppo di
applicazioni Internet, fondate sui principi ideologici e tecnologici del Web
2.0 e utilizzate dagli utenti per creare e diffondere nuovi contenuti online3.
In questa sua accezione “ristretta”, il concetto di social media coincide con
quello di social software, ossia l’insieme di quelle applicazioni accessibili via
Web che sono utilizzate dagli utenti per connettersi fra loro, comunicare,
condividere contenuti e collaborare alla creazione di qualcosa di nuovo4.
Qualcuno tende tuttavia ad allargare il concetto di social media, includendovi non solo un gruppo di applicazioni (visione strumentale), ma anche
l’insieme delle prassi utilizzabili e delle informazioni che risultano (visione
funzionale) dalla creazione e dalla diffusione di contenuti online da parte
degli utenti. Secondo questa visione, le applicazioni social software sarebbero solo dei “semplici” strumenti su cui poggiano i nuovi media basati sul
Web. In poche parole, i social media funzionano – dando modo di compiere operazioni online che generano informazioni di qualche significato per
un destinatario – perché basati su social software. Alcuni semplici esempi
ci possono aiutare a comprendere meglio la relazione fra social software e
social media:
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YouTube è un social medium, basato su una piattaforma social software
che consente ai suoi utenti di condividere contenuti video;
Wikipedia è un social medium, basato su una piattaforma social software
che consente ai suoi utenti di collaborare alla scrittura di lemmi dell’enciclopedia;
Facebook è un social medium, basato su una piattaforma social software che consente ai suoi utenti di connettersi fra loro, comunicare in vari
modi, condividere contenuti.
Un social medium può dunque avere alla base del suo funzionamento
una o più funzionalità social software, fra le quattro che abbiamo individuato e che sono un elemento portante della nostra definizione di Web 2.0.
Ricapitolando: il Web 2.0 è un contenitore – ideologico e tecnologico
– in cui trovano spazio nuovi media interattivi (social media) basati su applicazioni Web (social software) che permettono agli utenti di connettersi,
comunicare, condividere, collaborare.
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A.M. Kaplan, M. Haenlein, “Users of the world, unite! The challenges and opportunities of Social Media”,
Business Horizon 53, 2010.
N. Cook, Enterprise 2.0: How Social Software Will Change the Future of Work, Gower, 2008
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