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Notiziario settimanale n. 605 del 23/09/2016 versione stampa Questa versione stampabile del notiziario settimanale contiene, in forma integrale, gli articoli più significativi pubblicati nella versione on-line, che è consultabile sul sito dell'Accademia Apuana della Pace "Se voi però avete il diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri allora vi dirò che, nel vostro senso, io non ho Patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall'altro. Gli uni sono la mia Patria, gli altri i miei stranieri" don Lorenzo Milani, "L'obbedienza non è più una virtù" 26/09/2016: Giornata Internazionale per la Totale Eliminazione delle Armi Nucleari Indice generale Editoriale......................................................... 2 Ogni volta che si dice “se l’è andata a cercare”, la storia di noi tutte e tutti fa un passo indietro (di ComboniFem - Redazione Newsletter Suore Comboniane)............................................................................................. 2 Evidenza...........................................................2 Libia - Rete Disarmo e Rete Pace: non serve invio di forze militari ma visione ampia e ricostruzione democratica (di Rete Italiana per il Disarmo, Rete della Pace)......................................................................................... 2 Gli argomenti della settimana........................2 Senza odio, senza violenza, senza paura. Al referendum voterò no (di Peppe Sini)................................................................................................. 2 Approfondimenti.............................................3 BASTA! Questa cosa del "ma in fondo se l'era cercata" deve finire: é un modo di sminuire le colpe dei veri responsabili, allontana l'individuazione di ciò che effettivamente é all'origine delle problematiche, non aiuta a far sì che gli eventi drammatici a cui ci si riferisce abbiano meno occasione di ripetersi. Bisogna smetterla di cercare colpe nei comportamenti delle vittime! Concentriamoci sulle colpe degli aguzzini, dei predatori, dei violenti, degli odiatori, dei misogini e cerchiamo di capire come fare perché ciò non si ripeta: intervenire su cultura, educazione e quant'altro. Michele Borgia 1 Possiamo abbandonare il Pil (di Paolo Cacciari)....................................... 3 Chi produce armi è un assassino (di Giovanni Sarubbi)............................. 3 Pensioni: il furto di stato ai pensionati (di Umberto Franchi).....................4 Il disagio nella città (di Laura Tussi).......................................................... 5 Un altro mattone nel muro (di Maria G. Di Rienzo)................................... 5 Gruppo di redazione: Antonella Cappè, Chiara Bontempi, Maria Luisa Sacchelli, Maria Stella Buratti, Marina Amadei, Daniele Terzoni, Federico Bonni, Giancarlo Albori, Gino Buratti, Massimo Pretazzini, Michele Borgia, Oriele Bassani, Paolo Puntoni, Roberto Faina, Severino Filippi, Studio 8 Elisa Figoli & Marco Buratti (photo) Ogni volta che una violenza sulle donne viene accompagnata dal commento “se l’è andata a cercare” veniamo colte da un improvviso gelo dentro. Chi mai può “cercare” violenza sul proprio corpo? Sollecitarla, chiederla? Come si può ancora pensare di accusare una donna o una ragazzina che è stata oggetto di violenza? Che società siamo, ancora, se vi è tra noi chi presta il fianco e giustifica il violentatore, perché di “buona famiglia”, perché è stato provocato dall’abbigliamento di lei, dalle sue movenze, dalla sua troppa libertà (…aveva bevuto; tornava a casa da sola, di notte, per una via poco frequentata, ballava in un certo modo…). “Se l’è andata a cercare”, nel senso che, diciamolo, ha meritato che avvenisse, perché lei per prima lo voleva. Lei, donna tentatrice di violenza sul proprio corpo, che provoca sapendo di provocare per un’unica e sola ragione di fondo: è femmina. ad un intervento di natura militare in Libia, e ribadiscono la propria contrarietà a qualsiasi tipo di intervento armato. La soluzione per la grave situazione conflittuale in corso da anni in Libia potrà derivare solo da una visione politica ampia che metta al primo posto la ricostruzione di un tessuto democratico a partire dal rafforzamento della società civile, cosa impossibile da effettuarsi con le armi. A maggior ragione nel momento in cui all'imminente sconfitta di Daesh in Libia rischia di riaccendersi una guerra civile tra Tripoli e Tobruk come già evidente negli ultimi recentissimi sviluppi relativi alla avanzata delle milizie del generale Heftar, nella cosiddetta Mezzaluna petrolifera. La Rete Disarmo e La Rete per la Pace considerano inoltre fuorviante e problematico definire l'intervento di circa 300 effettivi dell'Esercito italiano, di cui solo una minima parte sarà personale medico, come un’azione di natura “umanitaria". Gli interventi umanitari seri e lungimiranti si compiono con le strutture ed organizzazioni formate in tal senso, non con unità militari. Consideriamo inoltre inaccettabile paragonare il dispiegamento di effettivi armati a Misurata, nel pieno del conflitto interno libico per il possesso delle aree di produzione petrolifere, all'intervento di aiuto alle popolazioni colpite dal terremoto che le nostre Forze Armate hanno condotto nelle regioni centrali dell'Italia. Ed è per questo che la violenza sul suo corpo, sul nostro corpo, non conosce confine geografico, avviene a ogni latitudine. E poco importa se sia davvero lei, se siamo davvero noi, a provocare, mentre torniamo a casa da sole per le strade di Milano o dal prendere l’acqua in un villaggio sperduto in chissà quale paese africano. Il suo/nostro corpo è di per sé provocazione. Riteniamo pertanto ancora una volta sbagliato il ricorso allo strumento militare per cercare di risolvere una situazione che, ricordiamolo, è degenerata proprio a seguito di decisioni di intervento armato. Questa escalation inoltre finirebbe per pregiudicare ogni sforzo di mediazione del conflitto libico da parte del nostro Paese, al fine di prevenire una nuova guerra civile. E non conosce limiti di età che lo proteggano da questo e non conosce relazione sentimentale che lo salvaguardi dalla violenza, perché spesso è proprio il suo essere poco più che bambino e intatto a renderlo provocante, perché spesso è proprio l’alcova intima del sentimento a diventare luogo violento. Da cui magari un giorno tenti di scappare e allora… e allora “te la sei andata a cercare”. In tal senso Rete Disarmo e Rete per la Pace ribadiscono la propria proposta di una Conferenza internazionale con tutti i soggetti politici, sociali e civili della Libia nell’ottica di una strategia di costruzione della Pace “dal basso” che assicuri nel contempo l'incolumità delle popolazioni civili e la costruzione della stato di diritto. Editoriale Ogni volta che si dice “se l’è andata a cercare”, la storia di noi tutte e tutti fa un passo indietro (di ComboniFem - Redazione Newsletter Suore Comboniane) Tu, io, noi, donne tutte, da tempo infinito, sappiamo che “il problema siamo noi”. Da ancor prima che lo stupro passasse dall’essere reato contro la morale a reato contro la persona (nel 1996, sì avete letto bene solo vent’anni fa…), da quando abbiamo ascoltato le arringhe della avvocata Tina Lagostena Bassi, che rivendicava il nostro diritto a essere sentite nei processi di stupro (correva l’anno 1979, quando la Rai trasmise Processo per stupro, con 9milioni di telespettatori). Ogni volta che la donna viene trasformata in imputata, ogni volta che si trova a doversi difendere, a dover dimostrare di non essere lei “una poco di buono”, ogni volta che si cerca di ribaltare quel che accade, di attribuire o sottrarre morale, ogni volta che si dice “se l’è andata a cercare”, la storia di noi tutte e tutti fa un passo indietro. E quando la storia dei diritti delle donne fa un passo indietro, indietreggia la società intera. (fonte: ComboniFem - Newsletter Suore Comboniane) link: http://www.aadp.it/index.php?option=com_content&view=article&id=2616 Evidenza Libia - Rete Disarmo e Rete Pace: non serve invio di forze militari ma visione ampia e ricostruzione democratica (di Rete Italiana per il Disarmo, Rete della Pace) La Rete Italiana per il Disarmo e la Rete della Pace esprimono forte preoccupazione sulla decisione da parte del Governo Italiano di procedere 2 Chiediamo a tal fine al Governo italiano di farsi portavoce di un impegno attivo per la soluzione negoziale che - per essere efficace e credibile presuppone una neutralità tra le parti in causa in Libia e la capacità di convocare tutti i soggetti politici e sociali in uno sforzo di mediazione e “peacebuilding” volto ad evitare la destabilizzazione della Libia sia ad opera di forze interne che di potenze esterne. Rete della Pace: [email protected] www.retedellapace.it link: http://www.aadp.it/index.php?option=com_content&view=article&id=2614 Gli argomenti della settimana... La riforma della costituzione Senza odio, senza violenza, senza paura. Al referendum voterò no (di Peppe Sini) Senza odio, senza violenza, senza paura. Al referendum voterò NO. Voterò NO al referendum sulla riforma costituzionale decisa dal governo. Voterò NO perché quella riforma porta a compimento un golpe che fa strame della democrazia e dello stato di diritto nel nostro paese. Voterò NO perché quella riforma finisce di ridurre il parlamento, detentore della funzione legislativa, a marionetta nelle mani del governo, che dovrebbe avere il solo potere esecutivo. Voterò NO perché il parlamento deve essere eletto dai cittadini, e deve essere una cosa seria, non la meta per la frettolosa gita di fine settimana di qualche sindaco o consigliere regionale che di sabato farebbe il senatore per passatempo. Voterò NO perché sono favorevole alla separazione dei poteri: legislativo, esecutivo, giudiziario; senza separazione dei poteri la democrazia è morta. Voterò NO perché sono favorevole al bicameralismo perfetto: quando si fanno le leggi non si discute mai abbastanza. Voterò NO perché sono favorevole a un sistema elettorale rigorosamente proporzionale in cui tutti possano essere rappresentati: è il cuore della democrazia rappresentativa. Voterò NO perché sono favorevole alla lentezza e alla pazienza quando si decidono cose che riguardano la vita di tutti: la retorica della velocità e della semplificazione è già l'inizio della dittatura. Voterò NO perché non posso accettare che sia devastata a colpi di scure la Costituzione repubblicana scritta col sangue dei martiri della Resistenza, presidio primo ed ultima difesa della libertà mia e di chiunque nel mio paese vive. Senza odio, senza violenza, senza paura. Al referendum voterò NO (fonte: Centro di ricerca per la pace e i diritti umani) link: http://www.aadp.it/index.php?option=com_content&view=article&id=2601 Approfondimenti Economia Possiamo abbandonare il Pil (di Paolo Cacciari) Dal 18 marzo 1968 sappiamo che il Pil “misura tutto eccetto ciò che rende la vita degna di essere vissuta”. Da quando, cioè, Robert Kennedy lo affermò nel celebre discorso alla Kansas University, pochi mesi prima di essere ammazzato. Ma la successiva, lunga restaurazione liberista aveva chiuso l’argomento. Il Prodotto interno lordo, la sua crescita, è stato l’incontrastato totem della religione economica attorno a cui hanno danzato fino allo sfinimento moderni sciamani: economisti, opinionisti, politici. A rimettere in discussione il Pil c’è voluta la crisi. Da qualche tempo alcuni studiosi e premi Nobel (Joseph Stiglitz, Amartya Sen, La misura sbagliata delle nostre vite. Perché il Pil non basta più per valutare benessere e progresso sociale, Etas 2010) consigliano gli istituti di statistica di trovare il modo di “disaccoppiare” la ricchezza misurata in termini monetari (sempre più difficile da perseguire) dal “benessere qualitativo” delle persone. Può ridursi ad essere un gioco di prestigio statistico, oppure l’inizio di un cambio di paradigma epocale. Di questa seconda opinione è Giulio Marcon, deputato indipendente di Sel, tra i fondatori del think tank Sbilanciamoci, attivo nel mondo dell’economia solidale che è riuscito a far inserire nella riforma della legge di Bilancio (la vecchia legge di Stabilità, in dirittura d’arrivo al Senato) l’obbligo del governo di usare la metodologia del Bes (l’indice di Benessere Equo e Sostenibile, elaborato da alcuni anni dall’Istat e dal Cnel, leggi anche La nuova stagione degli indicatori di benessere) come strumento di valutazione degli esiti attesi delle politiche di bilancio dello Stato. Concretamente significa che già a febbraio, allegata al Documento di economia e finanza, il governo dovrà presentare una relazione indicante quali progressi sono stati raggiunti in termini di benessere sociale e ambientale. Un comitato di cinque esperti nominati dall’Istat, dal ministero dell’economia, dalla Banca d’Italia e dalle università selezionerà alcuni tra i centoventi indicatori che l’Istat già monitora. Sicuramente ci saranno quelli sull’occupazione, sulla condizione della donna (bilancio di genere), sull’accesso ai servizi sociali individuali e collettivi, sulla scolarizzazione e la salute, sulle emissioni di inquinanti, sulla sicurezza del territorio, sul consumo di materie prime e molti altri. Poiché gli indicatori che le politiche di sviluppo economico scelgono di prendere in considerazione non sono mai neutri, ma orientano le azioni, è evidente che la decisione di affiancare al Pil altre misure non monetarie potrebbe far cambiare molte cose. Per dirla con l’economista inglese Tim Jackson, si è aperta anche istituzionalmente la sperimentazione per una Prosperità senza crescita, (Edizioni Ambiente 2011). Giulio Marcon spera che: “la vita reale delle 3 persone possa contare di più del rapporto deficit-pil”. (fonte: Comune-info - facciamo Comune insieme) link: http://comune-info.net/2016/09/possiamo-abbandonare-pil/ Industria - commercio di armi, spese militari Chi produce armi è un assassino (di Giovanni Sarubbi) Si è aperto oggi ad Assisi l’incontro interreligioso “Sete di pace”, voluto dalla Comunità di Sant’Egidio, per celebrare i 30 anni dello storico incontro mondiale delle religioni del 27 ottobre 1986, promosso allora da Giovanni Paolo II. Il programma è vasto, gli argomenti che saranno trattati sono estremamente importanti e, soprattutto, parteciperanno rappresentanti di tutte le religioni oggi esistenti. Verranno affrontati temi quali “Religioni e violenza”, “La misericordia trasforma il mondo”, “Unità dei cristiani e pace”, “Chi guarda dio vede l’uomo”, “Musulmani e cristiani: insieme per la pace”, ma anche “Sviluppo sostenibile e lotta alla povertà”, “Economia e finanza a servizio della pace”, “Solidarietà: parola chiave del nostro tempo”, “Emigrazioni e accoglienza” e “Come fermare le guerre”, che è sicuramente il tema più attuale e drammatico. L’iniziativa sarà conclusa alla presenza di Papa Francesco che arriverà ad Assisi il giorno 20. Quando i rappresentanti delle religioni parlano fra loro e poi pregano e poi mangiano insieme, è un ottimo segno, soprattutto se il tema è la pace. Significa che la strumentalizzazione delle singole religioni a fini bellici è stata, almeno per il momento, messa se non alla porta definitivamente, per lo meno all’angolo. La strumentalizzazione delle religioni a fini bellici, di questo dobbiamo prendere coscienza, non è mai sconfitta del tutto perché gli interessi che muovono la guerra sono enormi. Del resto nessun aspetto della vita sociale viene lasciato indenne dalla guerra che mobilita attorno a se giornalisti, poeti, cantanti, sportivi, cineasti, attori, cioè tutti coloro che possono sostenere ideologicamente e culturalmente la guerra. Non ci sono guerre senza bugie e senza bugiardi che a pagamento le dicano, ingannando la grande massa della popolazione. Non ci sono, purtroppo, solo le religioni coinvolte nel sostegno alla guerra, e sono molte le categorie di persone che sostengono con il loro prestigio e la loro “arte” ciò che è invece mostruoso, perché consiste di distruzioni e uccisioni su larga scala, e da bandire dalla storia dell’umanità. È per questo che bisogna continuamente promuovere iniziative di dialogo e sostenere tutti gli sforzi possibili affinché si affermi in ogni religione una vera e propria “teologia del dialogo”, che divenga pratica quotidiana di qualsiasi persona, qualsiasi sia la religione professata. E lo stesso sforzo va fatto anche a livello culturale, artistico, sportivo. Tutta la società deve essere impregnata della idea del dialogo. E molti sono gli studiosi che si impegnano a produrre testi di studio sul dialogo interreligioso, che però vengono di solito relegati ad un dibattito specialistico e non diffusi nella grande massa dei cittadini. Segnaliamo, fra questi lavori, quello di Marco dal Corso e Brunetto Salvarani, che hanno pubblicato recentemente, per la Cittadella Editrice, un Manuale di dialogo interreligioso dal titolo «Molte volte e in diversi modi». Un utile strumento per cominciare a muoversi nella direzione giusta. Ma i grandi mass-media sono schierati a sostegno della guerra. Lo si vede dall’enfasi che viene dato ad ogni notizia che parli di possibili attentati, non importa se poi essi si verifichino oppure no. E lo si vedrà anche da come verrà raccontato questo incontro di Assisi . Continueranno a raccontare la pace come una utopia impossibile e la guerra come l'unica realtà della specie umana. Ed è per questo che salutiamo con gioia questo incontro di Assisi. Salutiamo con gratitudine le parole con le quali nei giorni scorsi Papa Francesco ha parlato di questo incontro e la sua denuncia della guerra che, ha detto, “è dappertutto”. Bisogna fermare la guerra, e bisogna farlo ora. Ogni minuto che si perde è un favore che si fa alle industrie belliche che della guerra sono i primi beneficiari. Bisogna dire con chiarezza che chi produce armi è un assassino e ha la stessa responsabilità di chi quell’arma usa per uccidere altri esseri viventi e distruggere la Madre Terra. E dopo Assisi è necessario che incontri simili vengano fatti a tutti i livelli. Le forze della pace, e sono tante, debbono ritrovare la forza di rimettersi insieme e ricominciare a gridare forte la propria voglia di pace. Su ogni comune dobbiamo far sventolare la bandiera della pace. Dobbiamo far capire a tutti i sindaci e consiglieri comunale che se si spendono centinai di miliardi per le armi, non ci saranno poi soldi per gli ospedali, le scuole, i trasporti, la messa in sicurezza del territorio e quant’altro serve ad una società per essere vivibile. E dobbiamo impegnarci affinché tutte le iniziative culturali che vanno nel segno della pace trovino il massimo sostegno. Occorre organizzarsi per la pace e l’incontro di Assisi può essere un buon punto di partenza. Giovanni Sarubbi (fonte: Il dialogo - Periodico di Monteforte Irpino) link: http://www.ildialogo.org/cEv.php? f=http://www.ildialogo.org/editoriali/direttore_1474213501.htm 10 miliardi, ma con l'unificazione dell'INPS con Inpdap e Anpas, l'Inps ha iniziato ad andare in deficit, non perchè le pensioni dei lavoratori erano troppo alte... ma a causa dei mancati pagamenti dei contriuti pensionistici a carico sia degli Enti Locali che dello Stato. Cioè lo stato commette un furto, perchè anziché fare pagare i contributi (come alle imprese private) o ripianare il deficit degli Enti locali e della macchina statale che non hanno pagato i contributi assicurativi ai propri dipendenti, preferisce (di fatto) farli pagare ai lavoratori riducendo le prestazioni pensionistiche ed aumentando l'età pensionabile ! Nella fusione (2011) tra Inps e Inpdap Enpas c'èrano già 23,7 miliardi di euro di contributi non pagati dallo stato nel fondo Inpdap, che si è accollato l'INPS andando in deficit. Quindi va sottolineato che : lo sato attraverso il governo Monti Fornero e dopo con Renzi, prende a pretesto il deficit fittizio per ridurre le pensioni ed aumentare l'età pensionabile dei lavoratori del settore privato dove le casse INPS erano in attivo divenute passive solo per scelta dello stato . Seconda considerazione: Politica e democrazia Pensioni: il furto di stato ai pensionati (di Umberto Franchi) In Italia negli ultimi 30 anni hanno "riformato" per ben 8 volte le pensioni... non c'è stato governo di destra o di sinistra che non abbia smontato mattone per mattone la struttura portante del sistema pensionistico conquistato con le lotte operaie e studentesche dell'autunno caldo del 1969. Il fine è stato quello di far sparire un diritto sancito dagli articoli 36 e 38 della Costituzione: chiudere il ciclo lavorativo della propria vita con dignità e serenità. Per questo fine si sono inventate bugie clamorose sul costo pensionistico più alto d'Europa, statistiche mistificanti, falsi buchi di bilancio dell'Inps, fondi privati e pubblici aperti o chiusi, false illusioni... Oggi si perpetua l'ultima truffa chiamata APE ( anticipo pensioni) dove il lavoratore che ha pagato tutti i contributi e potrebbe andare in pensione in modo dignitoso, deve invece aspettare fino a 67 anni di età (legge Fornero) oppure andare con 3,7 mesi di anticipo dando alle banche ed assicurazioni per tutta la vita (20 anni) una parte della propria pensione : su una pensione di 1500 euro mensile circa 300 euro al “prestito bancario” Ma perchè si sta perpetrando anche questo misfatto? Prima considerazione: - l'ultima legge anticostuzionale ( quella Fornero), ha preso a pretesto il buco dell'INPS per portare la realtà pensionistica allo sfacello dove le pensioni con il nuovo calcolo contributivo sono di entità inferiori del 60 % rispetto al precedente calcolo retributivo, dove l'allungamento dell'età pensionabile in prospettiva supererà i 70 anni di età.; dove i lavoratori che avevano maturato il diritto di andare in pensione con 40 anni di contributi devono aspettare antri 5/6 anni anche se svolgono attività pesanti ed usuranti. Inoltre la riforma ha creato 480.000 lavoratori “esodati”, per oltre la meta di essi non c’è la possibilità di andare in pensione, non avranno ammortizzatori sociali e nemmeno la possibilità di trovare un altro lavoro, generando casi di disperazione suicida come quello di Giuseppe Bulgarella “un suicidio sulla coscienza di Monti”. Il governo sostiene che la scelta dell' API è abbligata altrimenti sarebbero serviti 10 miliardi che sarebbero andati ad incrementare il buco dell'INPS ? Ma perchè chi governa non dice da cosa dipende oggi il deficit dell'INPS ? Il motivo è questo : La legge n. 201 del 2011 ha stabilito l'unificazione tra gli istituti pensionistici dei lavoratori dei settori privati (INPS) con quelli dei settori statali e pubbliche amministrazioni ( Inpdap ed Enpas); a fine anno anno 2011 le casse dell'INPS che riscuotevano i contributi pensionistici sia dalle imprese private che dai lavoratori, erano attive di 4 anche Nel 2016 l'Inps prevede di chiudere in rosso di 11,2 miliardi , ma perchè? Sempre per la stessa ragione dei mancati riscossione dei crediti che l'INPS vanta nei confronti dello stato a cui va anche aggiunta tutta la questione dell'assistenza. Come sappiamo tutti i lavoratori dipendenti, alimentano le casse dell’INPS con una esosa trattenuta mensile sulla busta paga. Quindi i soldi che gestisce l’Inps per le pensioni sono soldi (nostri) di chi lavora... e non dello Stato, ed il medesimo non dovrebbe metterci le mani. Invece con i soldi che vengono versati dai lavoratori ALL’INPS e che dovrebbero essere utilizzati solo per le pensioni, a causa di una legge dello stato, l'INPS deve pagare anche il TFR del Pubblico Impiego ed il TFR più tre mensilità (all’80%) ai lavoratori delle aziende che fallite senza avere la copertura necessaria alle liquidazioni dei dipendenti; Non è vero che la spesa per le pensioni in Italia è insostenibile perchè è più alta che nei paesi esteri … Chi afferma questo non dice che : la pensione in Italia è calcolata sulla la cifra lorda e che il pensionato restituisce allo stato circa il 27% della propria pensione tramite una trattenuta IRPF, mentre il calcolo in tutti gli altri Paesi Europei (Francia, Germania, Gran Bretagna) viene effettuato sulla pensione al netto delle trattenute fiscali. Se calcoliamo le entrate per contribuiti all’Inps e le uscite che vengono date ai pensionati al netto, l’INPS avrebbe un utile di circa 27 miliardi l'anno. Anche per le aziende in crisi che licenziano e mettono i lavoratori in mobilità o in prepensionamento (liberandosi di lavoratori ultracinquantenni considerati anziani) , il costo di essi viene addebitato all’INPS. Inoltre l’INPS si fa carico anche delle spese per l’assistenza ai portatori di handicap, non autosufficienti e addirittura della cassa di previdenza dei dirigenti aziendali che a suo tempo fallì. I costi utilizzati per i pagamenti del TFR, dei lavoratori in mobilità, dei prepensionamenti, ed anche gli interventi di assistenza, negli altri Paesi Europei ( sempre citati da chi vuole tagliare le pensioni) fa carico allo Stato, in Italia all’INPS ! Ora lor signori del governo non bastano tutte queste vergogne. Essi evidentemente non ritengono le pensioni come un diritto costituzionale riguardante la retribuzione differita, ed hanno il coraggio di togliere circa il 25% della pensione a chi decidera l'anticipo di 3 anni tramite la restituzione del prestito bancario... non solo , hanno tolto la perequazione semestrale con l'adeguamento al costo della vita, hanno modificato con un decreto una sentenza della Corte Costituzionale che obbligava il governo a rendere il mal tolto ai pensionati (della legge Fornero) che agiva con il blocco delle perequazioni a chi detiene una pensione lorda superiore a tre volte il minimo (1.100 euro netti mensili), rimborsando loro una elemosina... ma la decisione ancora più grave sta ne fatto che il governo Renzi sta pensando di abolire le pensioni di reversibilità concesse ai coniugi dei pensionati deceduti. Pensioni che sono finanziate dai contributi versati e che quindi su questo il governo si appresterebbe ad operare un altro vero furto di Stato ! Ora dobbiamo domandarci, se i conti dell’INPS sono comunque in attivo, se lo Stato spende in assistenza i soldi che i lavoratori hanno dato all’INPS per la propria pensione, se la logica economica ed occupazionale vorrebbe che i lavoratori andassero in pensione prima lasciando i posti ai lavoratori disoccupati e non il contrario… perché i pensionati (che già sono i n pensione) dovrebbero accettare il taglio delle proprie pensioni tramite la non rivalutazione al costo della vita? Perche chi ha matorato 40 anni di contributi per andare in pensione deve accettare il taglio del 25% ? perché i lavoratori Italiani dovrebbero andare in pensione più tardi con pensioni decurtate tramite il contributivo? La risposta è politica: anche il Governo Renzi vuole fare cassa con i soldi della “povera gente”, senza mettere veramente in discussione tagliando le pensioni ed i redditi vitalizi d'oro, ed i grandi patrimoni. Umberto Franchi link: http://www.aadp.it/index.php?option=com_content&view=article&id=2613 Politiche sociali Il disagio nella città (di Laura Tussi) Sembra assurdo trattare del disagio invisibile di fronte a queste manifestazioni visibilissime di malessere: i suicidi, gli omicidi, e la cronaca attuale. Prevenire il disagio è difficile soprattutto nella città degli interessi, come Milano o come altre grandi città. Infatti Milano è al primo posto della produttività della Nazione. Produrre tanto, costa molto caro, non soltanto in termini economici, nel senso che Milano è la città più costosa del mondo e noi donne sappiamo quanto costi il lavoro femminile, ma anche in termini di relazionalità famigliare, difficoltosa anche per quanto concerne la qualità di vita. Sembra una città senza sogno che vive il suo disagio privata di speranza nel cambiamento del futuro, senza capacità di trasformarsi e potenzialità di rinnovamento. Milano paga in termini costosi questo eccesso di produttività oltre il limite della qualità della vita. Il fatto più rilevante è la mancanza di tempo, l’impossibilità di dialogo con i figli; occorre sempre l’occasione giusta, perché la vita di un ragazzo non può essere riassunta a fine settimana. Adesso i ragazzi non sanno più spiegare il tipo di lavoro, l’impiego del proprio genitore, la cosiddetta new economy non è raccontabile e quindi è venuto meno questo filo rosso di passaggio tra le generazioni, di scambio della visione del mondo attraverso il racconto, la narrazione, giorno per giorno, anche della confidenza dei problemi lavorativi. Così compare una famiglia breve, di poche parole e di vacue speranze. Si dice che i giovani non hanno valori come sostiene il giudice del tribunale per i minori Livia Pomodoro, perché questa è una società che non desidera e non protende a valori alti, a ideali e idealità con un minimo d’orizzonte d’attesa, pochissimo respiro utopico, senza un mondo ideale al quale tendere e quindi anche i valori rimangono testimonianza dello stile di numerose famiglie, con una modalità quotidiana di porgersi, di atteggiarsi, priva di grandi valori da trasmettere, perché dopo il crollo delle grandi ideologie che hanno contraddistinto il secolo scorso, rimane ben poco da porgere in termini di idealità. Si tratta dunque di procedere a vista, di parlare dei problemi di breve durata, di dare esempi di buon comportamento, chiedendo poi ai ragazzi di disegnare una propria soggettività, al di fuori degli schemi della tradizione, perché gli stampi tradizionali di formazione della personalità sono andati distrutti. La mancanza di un’identità generazionale e di un’appartenenza al collettivo vengono meno per l’assenza di momenti di aggregazione, quindi occorrerebbe trovare altri percorsi per la produzione della soggettività, diversi da quelli della tradizione che non valgono più. Così i giovani sono chiamati ad un compito creativo, di generazione e creatività di sé che non è da tutti, perché occorre possedere dei talenti, delle passioni, degli interessi, perché attribuiscono identità al soggetto. Il problema di un educatore è scoprire nel ragazzo i suoi punti di forza, i suoi piaceri, le propensioni, le predisposizioni, il talento, i desideri, il piacere e tutto questo è estremamente aggregante, può diventare quell’elemento intorno a cui si coagula l’identità creativa stessa. Tale processo di personalità autogestita, creativa, mitopoietica dove in fondo ogni ragazzo deve forgiare la sua figura, il suo mito personale, si scontra invece con 5 l’investimento totale della famiglia sulle presunte abilità e i molto reconditi talenti giovanili. Chi riceve la proiezione dell’immaginario altrui si sente gravato anche perché proprio nella costruzione di sé, come atteggiamento riflessivo, porta dentro implicitamente il modo con cui gli altri lo percepiscono e le richieste che gli altri gli pongono e impongono. Subentra il pensiero onnipotente in un’oscillazione ossessiva che tende da un polo di impotenza, a un polo di onnipotenza in cui “tutto subito” è possibile ottenere. In tutto questo manca il procedimento riflessivo, l’autoriflessione, quello che Bion chiama il “punto zero” in cui l’oscillazione di potenza si stabilizza, si ferma, aspettando un equilibrio. Ma nella famiglia comune il tutto risulta molto vorticoso, le richieste e le pretese insistenti, in un incalzare ossessivo e continuo di rimproveri, per cui il punto riflessivo, il punto fermo non si incontra mai. Si avverte questa accelerazione continua delle richieste altrui che in fine vengono interiorizzate quali pretese e fatte proprie. La vergogna è una delle più antiche forme di costruzione dell’identità personale collettiva. La morale occidentale si forma sulla vergogna, diversa dalla colpa, perché colui che ha trasmesso una trasgressione anche se compiuta non intenzionalmente, nel mondo arcaico è ugualmente colpevole perché ha danneggiato la collettività portandovi il miasma, il male, la malattia, che è diventato male della collettività. Come Edipo deve abbandonare Tebe per colpa sua infestata dalla peste. La colpa con il cristianesimo diventa interiore, si interiorizza progressivamente nel “senso di colpa” di cui citava Freud. Esiste un processo di progressiva interiorizzazione del mondo (Freud). Quello che una volta era esterno, viene introiettato progressivamente. La colpa è diventata un’istanza psichica di cui si risponde di fronte al super-io. Ai tempi di Freud la colpa si riassume nello schema edipico e il super-io trasmette un divieto a cui il soggetto risponde con la grande induzione, con l’interdizione assoluta dell’etica antica, con il divieto ancestrale del “Io non devo!”. La famiglia contemporanea è invece più permissiva, più morbida, più ammissiva, molto meno conflittuale. Gli ultimi conflitti sono stati quelli intergenerazionali della contestazione studentesca, ma dopo questo, i rapporti si sono come pacificati. Quindi all’ ”Io non devo!” è subentrata un’altra forma di autointerdizione, che è “Io non posso!”, ossia non ce la faccio a rispondere ai desideri, alle aspettative, ai voti dei genitori, con un senso di inadeguatezza, di inanità, di sconforto da parte dei ragazzi che molte volte rinunciano alla contesa, all’affermazione di sé, proprio per mancanza di autostima, per stanchezza, perché sono stati posti di fronte a compiti impossibili, in cui la vergogna si è trasformata in senso di inanità, di malessere, di inadeguatezza, appunto di un disagio spesso invisibile. Occorre rivalutare il senso di vergogna come istanza del limite alle pretese imposte, come un punto fermo del buon senso orientativo verso le scelte, di un saper essere, più che di un saper fare onnicomprensivo ed onnipotente, la vergogna quale significato della realtà interiore che permetta ancora di stupirci, anche se non più adolescenti, di cercare, di credere, di idealizzare, di costruire l’identità pur tenendo presente il confine culturale tra noi e l’altro. (fonte: Unimondo) link: http://www.unimondo.org/Notizie/Il-disagio-nella-citta-159360 Prospettiva di genere Un altro mattone nel muro (di Maria G. Di Rienzo) “Roma, video hard di una ragazza diventa virale: in tre rischiano il carcere. La ventenne ha denunciato tutto a febbraio scorso. Fatti riprendere dai. E lei, un po’ per sfida un po’ per amore, aveva detto sì.” Riassunto dell’articolo succitato, pubblicato in data 17 settembre u.s, i virgolettati ne fanno parte: Lei “ha un debole” per un piccolo imprenditore che è anche il suo datore di lavoro. Una sera si trovano, lui le propone di allargare il rapporto ad altri due amici. Lei accetta. I quattro si conoscono: sono colleghi, vengono dallo stesso quartiere; i tre maschi hanno 22, 23 e 24 anni, lei 20. Il piccolo imprenditore ha come seconda proposta il filmare il sesso di gruppo, naturalmente dicendo che resterà una cosa privata fra loro quattro ecc. Dopo qualche tempo “Le immagini di quella serata iniziano a viaggiare su Facebook e Whatsapp, lei è riconoscibile, piovono commenti. Non è più la sfida senza conseguenze, la bravata condivisa con gli amici. Ora la sua reputazione è fatta a pezzi, lei viene giudicata per quelle immagini, oltre le quali è come non esistesse. Livia (nome di fantasia) è un corpo. Per un po’ ne è travolta, poi si lascia convincere. Prende il suo smartphone e va in procura a denunciare ogni cosa.” La giornalista che ha scritto il pezzo ha considerato la vicenda “sesso fra persone consenzienti, nulla di morboso”. Se ciò corrispondesse a verità, questa storia non sarebbe mai finita sui giornali. Nessuna delle persone consenzienti, reciprocamente grate per la bella esperienza condivisa e reciprocamente rispettose, avrebbe mai reso pubblico il filmato all’insaputa delle altre. Notando poi che nessuno dei tre giovanotti ha sporto denuncia o si è lamentato della circolazione di “quelle immagini”, mi sembra ragionevole ipotizzare che se c’è stata una negoziazione – Lo mettiamo o no sui social media – essa ha escluso a priori la quarta partecipante. La quale, nonostante la descrizione che ne fa la giornalista in rapporto alla serata: “lei è adulta, padrona del proprio corpo, si sente desiderata”, non pare avere uno status paritario all’interno del gruppo. Ovviamente, io non ho modo di sapere se tale descrizione corrisponda all’esperienza di “Livia” e cioè se lei l’ha sottoscritta: so invece che corrisponde in modo perfetto al modello che il neoliberismo spaccia per “libertà sessuale femminile”, la libertà di essere desiderata, non di desiderare, e di operare “scelte” limitate da questo copione. Fintanto che la “libertà” è formata dalla soddisfazione dello sguardo maschile e dalla comprensione che tale sguardo ha del valore delle donne e dell’espressione della loro sessualità, mi dispiace, chiamarla tale è mistificatorio. Fintanto che la “scelta” consiste nelle variazioni relative al concentrarsi sull’essere sessualmente attraenti per gli uomini ed è confinata dalle norme culturali e sociali da essi definite e che esaltano il loro dominio, chiamarla tale non è solo mistificatorio, è insultante. Ripeto per “Livia” quanto ho già detto per la povera Tiziana: perché mai solo “la sua reputazione è fatta a pezzi” dalla diffusione pubblica del video? Perché solo “lei viene giudicata per quelle immagini, oltre le quali è come non esistesse”? Perché la manfrina sulla libera scelta non le risparmia oggettificazione, sessismo, misoginia, doppio standard – non può, sono i pilastri su cui è stata costruita. E quindi in tale cornice i compagnoni restano dei “fighi” che scopano, sono maschi e va benissimo, lei resta la “zoccola” che si fa scopare, è femmina e deve vergognarsi. E’ (solo) un corpo, trasecola la giornalista a questo punto. Ma, egregia, siamo tutte/i corpi. Corpi umani, di due differenti sessi e con una miriade di differenze individuali: di gusti, di abilità, di aspirazioni, di sensibilità, di caratteristiche. I nostri corpi siamo noi, non si tratta di dotazioni o beni di consumo separabili dalla nostra persona; i nostri corpi, tutti, meritano rispetto: chi ha diffuso le immagini per glorificarsi e validarsi e sollazzare i suoi pari, da questa comprensione è lontano qualche anno luce. Maria G. Di Rienzo P.S. Volete sapere cosa siamo noi donne per costoro? “Un altro mattone nel muro”. (“Another brick in the wall” – Pink Floyd) (fonte: LunaNuvola's Blog - il blog di Maria G. Di Rienzo) link: https://lunanuvola.wordpress.com/2016/09/18/un-altro-mattone-nel-muro/ 6