LA NARRAZIONE GUIDATA

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LA NARRAZIONE GUIDATA
LA NARRAZIONE GUIDATA
Un approccio integrativo alla facilitazione con le persone in lutto
“Il programma di recupero deve essere guidato
da criteri di pertinenza, da una specie di ‘teoria’ sui
modi in cui i fatti isolati di una vita riescono a trovare
la propria coerenza. Questa teoria (o trama narrativa)
non tanto seleziona i cosiddetti fatti, ma piuttosto li
crea ed in seguito li organizza. I ‘fatti’ si potrebbe dire
sono in parte creati, in parte trovati”.1
Jerome Bruner
La narrazione guidata è una modalità di facilitazione della relazione d’aiuto con persone in
situazione di lutto naturale o traumatico. È un’attività che si può realizzare nei gruppi di auto
mutuo-aiuto, nei colloqui individuali non clinici vis à vis o telefonici, nella comunicazione epistolare
tramite mail/lettere postali, nelle modalità di rapporto tipiche della Rete (blog, chat, forum, gruppi
online) che prevedono un’interazione tra i partecipanti.
L’approccio nasce da una duplice, pluridecennale esperienza della nostra Associazione
Maria Bianchi2:
1
‘Teorie moderne dell’autobiografia’, a cura di Bartolo Anglani, 1996, Edizioni Graphis, pag. 161.
Supporto alle persone in lutto, formazione del personale professionale e volontario, ricerche e pubblicazioni sul tema
della perdita. Per approfondimenti: www.mariabianchi.it. E-mail: [email protected]. Sede: viale libertà
32, Suzzara (MN), tel.: 348-3623379
2
1
1. il contatto con i vissuti di perdita di numerose persone che chiedono aiuto utilizzando
differenti canali comunicativi (il rapporto diretto, Internet, i contatti telefonici).
2. la conoscenza, per attività di formazione e condivisione, di molti altri gruppi di auto
mutuo-aiuto, singoli professionisti che svolgono colloqui individuali, enti ed associazioni sparse per
l’Italia che offrono supporto ai dolenti.
Questa lunga serie di esperienze in 25 anni di lavoro, ha provocato nell’associazione delle
riflessioni sulla modalità complessiva di gestione e conduzione dei rapporti tra
operatore/volontario e persona in lutto: nel testo ‘Misery details – l’autobiografia
nell’elaborazione del lutto: racconto terapeutico o esercizi narrativi?’ 3 sono presenti in dettaglio
queste riflessioni. In sintesi: l’approccio narrativo, cioè la metodologia relazionale caratterizzata
dal racconto dettagliato della propria esperienza di sofferenza da condividere con una o altre
persone, è il contesto di base entro il quale si vivono i rapporti diretti e indiretti, individuali e
collettivi, tra chi chiede aiuto dopo la morte di un proprio caro e chi dà supporto. Questa modalità
di rapporto genera indubbi benefici per tutti i soggetti coinvolti, operatori/volontari e utenti, ma
allo stesso tempo possiede notevoli limiti:
- manca il punto di vista ‘altro’ che non si può certo identificare solo con i riscontri di chi ascolta
- i racconti sono in realtà fiction, non vita vera perché pieni di omissioni, censure, scelte su ciò che
si può comunicare o nascondere…
- le esperienze altrui non servono per imparare perché ogni vissuto di perdita, ogni ambiente nel
quale si è vissuto, ogni relazione avuta con il deceduto è assolutamente unica e non trasferibile
- non viene stimolata la ricerca di collegamento tra vissuto interiore e parole usate per
esprimerlo, presupposto di fondo ‘per creare una separazione tra l’io e l’esperienza di perdita che
permette un inizio di differenziazione interiore tra quello che mi sta accadendo e la possibilità di
affrontarlo’4.
Queste carenze, che viviamo in prima persona, insieme ai nostri inevitabili errori, si sono
rivelate decisamente utili perché hanno suscitato in noi il desiderio di rimuoverle (o almeno
ottenere una riduzione), evitando il rischio della sottovalutazione o di considerarle come
connaturate all’approccio utilizzato, e quindi ineliminabili.
Che cosa è quindi la narrazione guidata? Come si scriveva non a caso nella primissima riga, si
tratta di una modalità di facilitazione della relazione d’aiuto cioè un procedimento per sviluppare i
contatti con la persona in lutto che chiede di essere sostenuta in un momento così difficile della
propria vita, indipendentemente dallo strumento e dalla modalità che si utilizzano .
Non a caso si adopera la parola ‘facilitazione’ proprio per indicare che si tratta né di un nuovo
né di un alternativo sistema comunicativo rispetto a quello che, ad esempio, è vissuto dentro il
gruppo ama. Si resta perciò nel solco della lunga, positiva, collaudata tradizione della facilitazione
intesa in senso classico, dove questa funzione, di un singolo, di più persone e/o di tutto il gruppo,
implica l’assenza di analisi cliniche, interpretazioni psicologiche, conduzioni psicoterapiche a
favore di condivisioni di storie personali dove i partecipanti co-costruiscono insieme aree di senso.
La metodologia della narrazione richiede però, rispetto alla facilitazione e conduzione dei
colloqui individuali5 solitamente utilizzati, un’integrazione (non sostituzione) che si caratterizza
per:
3
Il testo si trova nel sito www.mariabianchi.it alla pagina ‘novità’ e nel primo numero del 2011 della rivista Janus.
Op. cit. alla nota 3.
5
La narrazione guidata, come verrà più avanti sottolineato, si applica nella relazione d’aiuto con persone in lutto
indipendentemente dalla modalità di contatto utilizzata (gruppo, colloqui individuali, rapporti telefonici, scrittura…).
4
2
a. analisi epistemologica
b. organizzazione del setting
c. strategia relazionale.
Si tratta innanzitutto di partire da un modello interpretativo sull’esperienza di lutto e la
relazione d’aiuto. In altri termini: quale idea di lutto abbiamo? Cosa significa essere in lutto?
Quando è elaborato? Quando finisce un lutto? E ancora: come si differenzia una relazione d’aiuto
rispetto ad altre che non lo sono? Che obiettivi ha quando si attua con persone che stanno
vivendo una perdita? Come si decidono/valutano/misurano gli eventuali obiettivi da raggiungere o
la direzione entro la quale agire?
Bisogna oltrepassare il modello (spesso non esplicitato ai destinatari e poco consapevole
agli stessi operatori) che prevede tout-court la condivisione dei racconti autobiografici di chi
soffre, integrate dalle reazioni degli altri presenti, come se questo fosse, più o meno, il massimo
possibile da vivere durante queste ‘relazioni d’aiuto’.
In un precedente testo6, relativo ai gruppi di auto mutuo-aiuto, cercavo di esplicitare
questa problematica:
“Serve un salto di qualità: facilitare (secondo l’approccio della narrazione guidata7)
significa mettere in pratica un progetto.
E il progetto, nel suo nucleo centrale, è una modalità di lettura di un evento, nel nostro
caso il lutto. La capacità di leggere cioè di decodificare una delle esperienze umane secondo una
condivisa e approfondita interpretazione del fenomeno. Si tratta, in altri termini, di costruire un
servizio che sia la conseguenza di una decodificazione, dove ogni aspetto metodologico,
organizzativo e relazionale, è in logico rapporto con l‘analisi di partenza. Il primo passaggio è
quindi la chiave interpretativa. Si tratta di un’operazione che viene confusa con la teoria o che è
considerata come già assodata e condivisa da tutti i membri; in realtà (…) raramente si realizza.
Bisognerebbe invece metterla al nastro di partenza di qualunque gruppo (o servizio): (ri)trovarsi
intorno ad un tavolo e insieme analizzare quel vissuto che sarà oggetto di ogni incontro futuro.
L’obiettivo è arrivare ad avere una lettura approvata, una modalità di porre lo sguardo sul
lutto e i processi elaborativi che sarà il punto di riferimento per ogni scelta conseguente sul modo
di organizzare il servizio, le modalità relazionali da attivare, i traguardi da raggiungere e tutto il
resto.
Un esempio per capirci: si può interpretare l’esperienza della perdita come un evento ‘da
curare’, patologico, perché si pone al di fuori della naturalità del nostro vivere; oppure
considerarla come situazione esistenziale naturale, spesso drammatica, ma totalmente inserita nel
nostro essere quaggiù. Una condizione cioè della quale prendersi cura.
Sono chiare, pur nell’estrema semplificazione precedente, le diverse tipologie di gruppo
ama (o di altri servizi di supporto) che si possono attivare se si aderisce ad una o all’altra delle
interpretazioni: da una parte un facilitatore che ad esempio deve comunque analizzare, fornire
spiegazioni, cercare di stimolare risposte efficaci e percorribili, dall’altra la necessità di favorire la
libera espressione dell’angoscia interiore, la centralità del racconto da condividere, la narrazione
del vissuto di perdita da integrare con il resoconto quotidiano della vita”.
6
‘Lucidità relazione e progettazione condivisa – un percorso di perfezionamento per la seconda generazione di
facilitatori’: contributo inserito per la III edizione – anno 2009 della Scuola nazionale di formazione a distanza per
facilitatori di gruppi di auto mutuo-aiuto a sostegno delle persone in lutto (dal titolo: ‘Trasformare le assenze”).
7
Tutte le parti in corsivo sono aggiunte rispetto al testo originale per chiarire meglio come le riflessioni siano
applicabili a vari servizi relazionali e non solo al gruppo ama.
3
La modalità di lettura dell’evento lutto è quindi assolutamente imprescindibile perché
costituisce l’a-priori da cui partire per la gestione del setting e delle relazioni. È da fare, da
condividere, da spaccare in quattro, prima di tutto da parte dell’intero gruppo/ente che offre il
servizio di sostegno al lutto (e non solo dall’operatore o i due - tre coinvolti) o dal singolo
professionista che dovrebbe, a nostro avviso, trovare colleghi/dirigenti per confrontarsi su questo
specifico aspetto; in caso contrario, il rischio di procedere ‘di pancia’, basandosi su intuizioni
personali e poco altro, esperienze certo significative ma mai del tutto affidabili, aumenta
vertiginosamente. E con esso le possibilità d’insuccesso.
“Si tratta cioè di oltrepassare la logica del gruppo/servizio di supporto come consequenziale
espressione della determinazione e della sensibilità di un facilitatore, quasi fosse la diretta
emanazione di un vissuto personale spesso doloroso, di un interesse maturato negli anni o
presente sin da piccoli, di una diversa modalità per mettere in campo competenze, studi, ricerche
personali e/o percorsi professionali. Non è raro, dalla mia visuale, incontrare interessanti e
preparati facilitatori che vivono la loro esperienza costruendola tutta intorno ad un tragico
momento di perdita di un caro o ai percorsi di studio e di lavoro intrapresi. Ma, e sta proprio qui il
limite, un conto è identificare l’origine della scelta e/o lo sfondo sul quale si è progressivamente
costruita, un altro è far coincidere questa sorgente con le funzioni e compiti del gruppo/servizio di
supporto. I rischi, infatti, sono molto alti:




gruppi/servizio di supporto. – e quindi dinamiche – che si strutturano sulla base
delle caratteristiche personali/professionali del facilitatore;
gruppi/servizio di supporto. totalmente autogestiti dall’interno, senza
un’associazione/ente di riferimento al quale fare riferimento per confrontarsi;
gruppi/servizio di supporto. scollegati dal territorio e dalla comunità di
appartenenza, senza possibilità di costruire reti di collaborazioni locali;
gruppi scarsamente considerati o mal sopportati dalla stessa organizzazione della
quale fanno parte (non è raro a questo proposito, soprattutto negli hospices, nelle
Asl e nelle Fondazioni che hanno servizi sanitari, incontrare resistenze interne da
parte di altri operatori o funzionari”.8
Da questa preventiva riflessione epistemologica da condividere derivano inevitabilmente
degli obiettivi da porsi e da raggiungere quando ci saranno gli incontri con i fruitori. La modalità di
scelta e le caratteristiche di questi traguardi sono, è chiaro, responsabilità di chi offre il servizio;
nella mia esperienza ho trovato tre diverse opzioni:
1. obiettivi completamente predeterminati da chi eroga il servizio di supporto (es: aiutare chi
richiede aiuto a recuperare il lascito esistenziale del defunto come modalità rielaborativa);
2. obiettivi in parte predeterminati, in parte da definire congiuntamente agli utenti (es:
diminuzione dell’angoscia e dolore interiore come prima mèta per poter poi scoprire
insieme a chi soffre cosa cercare di ottenere per elevare la qualità di vita);
3. assenza di obiettivi specifici ed espliciti, di processi finalizzati e di una precisa ‘finalità
cosciente’ a favore di una logica differente che prevede l’esplorazione tra tutti i
partecipanti dei vissuti comuni, ricerche di connessioni tra le varie esperienze e le risorse
utilizzate, disponibilità umana ad imparare da altri, a condividere senza imporre e a tutto
ciò che comunemente si evince dai termini co-costruzione, sistema, ecologia della mente,
processi auto-correttivi...
8
Op. cit. alla nota 5.
4
La narrazione guidata è applicabile in qualunque delle scelte precedenti.
E’, dopo questa fase di definizione/co-costruzione degli obiettivi e di come sceglierli9 che si
inserisce la narrazione guidata in senso più specificatamente tecnico: si tratta cioè di organizzare il
l’intero servizio e canalizzare le relazioni con gli utenti in maniera tale che siano coerentemente
correlati a ciò che si vuole ottenere. Le varie scelte operative sono quindi definite in relazione alla
congruenza che hanno con lo scopo finale, alla possibilità più o meno significativa di essere
strumento per il raggiungimento di quello che si è stabilito sia il fine.
A livello di organizzazione del servizio è l’intero setting che va plasmato nei suoi molteplici
aspetti: l’ambiente nel quale si svolgono gli incontri quando c’è rapporto diretto, la visualizzazione
dello spazio virtuale su blog, forum o e-mail, i criteri di partecipazione-esclusione, l’inizio e la fine
della relazione d’aiuto, le regole che determinano i rapporti, la cadenza degli incontri/scambi e la
loro durata…
Tutte queste variabili sono generalmente sempre stabilite a priori o in corso d’opera dal
gruppo, dagli operatori dei servizi, dai singoli professionisti che non utilizzano la narrazione
guidata ma nel nostro caso si tratta di una più precisa e consapevole organizzazione di tutto il
contesto di lavoro in modo che ogni scelta concreta venga fortemente finalizzata all’opzione di
partenza.
A livello invece relazionale, la narrazione guidata offre particolari spunti al facilitatore che
interagisce con una o più persone in lutto: il suo ruolo non è più solo quello di permettere una
comunicazione fluida ed empatica, un libero scambio tra tutti i soggetti coinvolti e una
partecipazione profonda, intensa, serena. Bisogna permettere, è ovvio, tutto questo ma senza
identificarlo, come spesso succede, con il massimo realizzabile e cioè una sorta di intime,
appassionate, coinvolgenti narrazioni di esperienze dolorose e il loro carico di riverberi. Si corre il
rischio di restare fermi ad esercizi narrativi emotivamente coinvolgenti, assai stimolanti ma che
non producono cambiamenti nel singolo e/o nel gruppo. Perché se non accade un cambiamento in
chi sta male e cerca aiuto, se non è possibile identificare un prima e un dopo, se non succede
qualcosa che modifica la situazione interiore, sociale, morale, pratica…di chi è tormentato, che
senso ha offrire un servizio di supporto?
Il facilitatore allora, tramite la narrazione guidata, segue e interviene negli scambi
comunicativi per guidarli appunto verso lo scopo preventivamente fissato, qualunque sia: fare
emergere la verità nel rapporto tra defunto e parente, aiutare il gruppo a scoprire insieme cosa è
importante scoprire, finalizzare o non finalizzare alla comunicazione, cercare ‘verità’ utili fuori o
dentro il processo relazionale che si instaura con le parole scritte o dette a voce, con il telefono o il
computer, in due o in dieci. Superare la comunicazione autobiografica dei propri dolori e i vari echi
che producono negli altri (operatori, partecipanti) senza intervenire al tempo stesso sui contenuti,
evitando giudizi di valore, valutazioni di merito e quant’altro.
È la narrazione che va guidata, non il narrato. E questa guida non è prescrittiva né si pone
come vincolo: è un’offerta di senso, una proposta per aumentare la possibilità che gli incontri tra
le persone producano quei frutti che chi eroga il servizio ha l’obbligo di attendersi.
Come si concretizza la narrazione guidata? La trattazione analitica dei possibili interventi
di chi usa la narrazione guidata sono più oggetto di un percorso di formazione che di un testo
9
Anche utilizzare l’approccio eco-sistemico ispirato più o meno fedelmente a G. Bateson è ovviamente una modalità
di scelta su come organizzare il servizio e le relazioni per raggiungere gli scopi.
5
scritto ma verranno comunque enucleati nel terzo e prossimo articolo10. In breve si può anticipare
che:
1.
2.
3.
4.
5.
6.
rispetto al ruolo non clinico dell’operatore, è necessario un aumento
quantitativo degli interventi in misura comunque non eccessiva (per quello che
possono significare percentuali in questi contesti, e comunque solo per avere un
riferimento, le azioni aumentano circa del 20-25% rispetto alla modalità
convenzionale11);
la narrazione di chi è il lutto va in una prima fase totalmente accolta e si
incoraggia la libera espressione del cordoglio per poi richiedere gradatamente
sottolineature e approfondimenti di determinati passaggi e particolari del
racconto;
gli interventi a voce o scritti del facilitatore hanno lo scopo di produrre nuove e
più specifiche riflessioni: sono quindi solitamente brevi, con inviti specifici,
tendenti più ad ‘aprire’ ad altro che a chiudere l’argomento, comunicati in
maniera affettuosa e partecipe ma al contempo lucida e razionale;
il linguaggio che ognuno utilizza è oggetto di particolarissima attenzione e
riflessione: le parole che si usano per nominare il dolore e quindi per definirlo
sono, o possono diventarlo, lo specchio del vissuto interiore/sociale (e quindi ci
si può soffermare e chiedere di chiarire meglio l’aggettivo usato, le espressioni
ricorrenti, le metafore…);
il clima complessivo dell’incontro, la comunicazione extra-verbale, la corporeità
(chiaramente quando il rapporto è vis à vis) e tutte le dimensioni legate al
linguaggio del corpo, dei riti e dei simboli sono parte connaturate alla
narrazione: si cercano quindi di realizzare incontri che più frequentemente
incoraggiano queste dinamiche a svilupparsi in maniera graduale, calorosa,
condivisa;
particolarissima attenzione va posta sulle azioni (intese come conseguenze delle
verbalizzazioni) che, chi è in lutto, dovrebbe attivare: non sempre, ma di certo
con una percentuale molto significativa, sono i gesti concreti, le scelte
quotidiane della vita che preannunciano/indicano/sostengono/confermano un
cambiamento avvenuto. Perché ad esempio un gruppo ama non si riduca ad
essere solo un ‘gruppo di parole’ bisogna riuscire a mettere in movimento i
partecipanti e far sì che possano intervenire nella concretezza della loro vita.
Guidare le narrazioni significa tenere sempre in considerazione che non si tratta
solo di interessarsi ed agire sul linguaggio.
10
La narrazione guidata è descritta in 3 testi da leggere sia come riflessioni a sé stanti che in connessione logica uno
con l’altro: ‘Misery details’ (il primo) analizza i limiti della narrazione autobiografica scritta e orale; questo secondo la
presentazione complessiva della proposta; ‘Dettagli’ (il terzo di prossima uscita) sull’applicazione pratica
dell’approccio.
11
Ma anche la parola ‘convenzionale’ è del tutto arbitraria: ho vissuto in prima persona incontri di gruppi ama nei
quali i facilitatori, riconoscendosi pienamente nelle modalità che vengono sostenute ad esempio ogni anno durante il
Convegno nazionale dei gruppi di auto mutuo-aiuto a supporto delle persone in lutto, intervenivano in maniera assai
differente: da due, tre volte in un’ora mezza, a otto - dieci; da interventi di pochi secondi per offrire a tutti la
possibilità di esprimersi, a riflessioni di 4-5 minuti; da generici incoraggiamenti e sottolineature di positività nelle
narrazioni di ognuno, a richieste di dettagliare molto specificatamente eventi particolari per poi chiedere al gruppo
commenti a proposito.
6
La narrazione guidata è quindi una possibilità per vivere il ruolo di facilitatore,
nell’accezione ampia che qui si intende, certamente in maniera attiva, dove non ci si accontenta di
ascoltare e accogliere ma si entra nei dettagli del vissuti senza, è opportuno sottolinearlo ancora,
fornire analisi, dispensare verità, divulgare giudizi di sorta. È possibile, così facendo, ottenere dal
soggetto in lutto una riflessione più profonda, un’osservazione psico-emotiva di ciò che gli sta
accadendo, delle sue reazioni alla perdita, dei bisogni e delle necessità
Si entra nella storia concreta, senza invasioni, senza forzature.
Il setting, il linguaggio verbale o scritto, i contatti corporei quando possibili, il clima relazionale e il
contesto tutto sono plasmati per aiutare chi soffre nel corpo, nella mente e nell’anima: è l’intero
(eco)sistema così organizzato, e non solo il facilitatore, che guida la narrazione e permette molto
spesso l’apparizione di piccole speranze.
“Tutto
questo
dolore,
indicibile,
incomunicabile
rimane
dentro,
però,
di
nuovo sento che mi puoi capire, è questo che mi fa sentire un'altra, è questo che mi dà una forza
che per me sarebbe stata inimmaginabile se qualcuno mi avesse detto che avrei vissuto
un'esperienza come quella che ho vissuto.
Questa montagna la scaleremo, anche insieme a te, e da lassù certo respireremo aria più pura,
forse aria più ricca, forse aria essenziale, vitale.
Attraversare il dolore e riuscire a non farmi sopraffare, ecco dove voglio arrivare.
Ripensare a mio padre (che di nuovo torna nei miei sogni, si nasconde ai miei occhi per ritornare
trasformato?) e pensarlo vivo, pensarlo nella sua quotidianità, pensarlo lontano dalla malattia,
questo è ciò a cui ambisco.
Ripensare a me stessa, e voler fare di tutto questo un'esperienza per crescere, per aggiungere un
piccolo tassello all'incomprensibilità della vita, che pure si manifesta, anche contro il nostro volere,
in tutte le sue sembianze, dalla gioia, alla disperazione, alla noia.
Sì, mettiamoci la forza, mettiamoci la fatica, mettiamoci le lacrime ma viviamo, viviamo. E, forse,
lontano, lontano, in fondo a quella strada così lunga, senza segnali che mi sappiano dire dove sono
arrivata, senza distanze da poter misurare, senza paesi che delimitano il paesaggio, dentro di noi si
aprono piccole speranze.”
Nicola Ferrari
Associazione Maria Bianchi
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