reputazione: case studies in teoria dei giochi

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reputazione: case studies in teoria dei giochi
REPUTAZIONE: CASE STUDIES IN TEORIA DEI GIOCHI
Sommario: Introduzione – 1. L’ingresso dell’Italia nell’Unione Monetaria Europea e il gioco fra
Governo e mercati – 2. Le liste name and shame: un’analisi intertemporale dei costi-benefici della
reputation-(re)building – Conclusioni.
INTRODUZIONE
Nella teoria dei giochi, il meccanismo di costruzione della reputazione viene messo in atto
unilateralmente da un agente per segnalare la propria posizione.
Con questo, si intende sottolineare come, nel caso vengano assunti degli impegni non vincolabili
da accordi espliciti, si debba costruire un meccanismo di signalling per risultare credibili.
In particolare, il concetto di reputation building può assumere due differenti valenze: viene
generalmente associato all’esigenza da parte di un agente di costruirsi una reputazione per risultare
credibile, ma anche alla necessità di trasmettere un segnale per confermare il proprio status e risultare
inattaccabile da eventuali minacce perpetrate da altri agenti.
Il caso più semplice del meccanismo di costruzione di una reputazione si ha quando un
giocatore altera la sua funzione dei payoffs ricorrendo appunto al metodo della reputazione: l’agente
mette in gioco la propria reputazione, vincolandosi a “perdere la faccia” nel caso in cui non riesca a
rispettare l’impegno preso.
Nel primo dei due case studies presentato, il giocatore “Italia” si vincola a perdere la propria
credibilità nel caso in cui non riesca effettivamente ad entrare nella UEM applicando delle riforme; nel
secondo, le giurisdizioni che fanno parte delle liste name and shame hanno l’incentivo a segnalare la
propria “cattiva reputazione” per attrarre fondi illeciti o illecitamente impiegati.
In quest’ultimo caso, il processo di costruzione della reputazione da parte delle giurisdizioni
incluse nelle liste può essere visto come una mancanza di barriere all’entrata nei settori del crimine e del
terrorismo.
In entrambi i due casi qui presentati, pertanto, risulta evidente come il metodo della
“reputazione” possa essere essenziale per risolvere casi di moral hazard o di hidden information: in giochi
con informazione incompleta, il signalling può essere interpretato dall’agente che non dispone di
informazioni sufficienti come un’informazione aggiuntiva.
Dato che per l’altro agente risulterebbe vantaggioso manipolare a proprio vantaggio le
informazioni trasmesse, occorre che l’equilibrio del gioco soddisfi il requisito di razionalità sequenziale1.
Tale concetto è applicabile, ad esempio, al caso del gioco svolto fra l’Italia ed i mercati. In
questo caso, l’incentivo del Governo italiano a non implementare le politiche era inferiore rispetto a
quello di implementarle, riuscendo ad entrare nell’Unione Monetaria Europea ed evitare i costi di
esclusione dal processo di unificazione.
Pertanto, per l’Italia risultava razionalmente più conveniente costruirsi una solida reputazione ed
entrare nell’UME piuttosto che ingannare i mercati e non implementare le politiche economiche una
volta ottenuta la loro fiducia.
In generale, bisogna tuttavia considerare anche il principale limite del metodo della reputazione,
dato dalla circostanza che il danno subito da chi “perde la faccia” si manifesta di fatto solo alla fine del
gioco. Infatti, il danno può essere quantificato con la perdita di credibilità del giocatore; di conseguenza
è effettivamente percepito come fattore negativo solo dai giocatori per i quali l’ombra dei futuri
svantaggi strategici connessi alla perdita della propria reputazione è vincolante. Per questo motivo,
sebbene i due casi presentati giustifichino tale approccio, in altri contesti (si pensi, ad esempio, agli
ultimatum game e agli incentivi avversi dettati dalla fairness nel mantenere o meno la parola data) tale
strategia può non essere agevolmente applicabile.
Una strategia si definisce sequenzialmente razionale se, in corrispondenza di ogni insieme di informazioni, le mosse che
costituiscono la strategia sono ottime, data la credenza del giocatore in questione e date le strategie di tutti gli altri giocatori.
1
1
1. L’INGRESSO DELL’ITALIA
GOVERNO E MERCATI
NELL ’UNIONE
MONETARIA EUROPEA
E IL GIOCO FRA
LA STORIA
La decisione di adottare la moneta unica da parte dei paesi appartenenti all’Unione Economica
Europea (UE) e di creare l’Unione Economica e Monetaria Europea (UEM), venne sicuramente
accelerata dalla crisi dello SME2, ma era già nei progetti dei paesi europei e si concretizzò con la firma
del Trattato di Maastricht del febbraio 1992.
Il Trattato prevedeva la nascita della Banca Centrale Europea (BCE), preposta alla conduzione
della politica monetaria europea, nonché all’emissione della moneta comune.
I Paesi europei aderenti al Trattato erano caratterizzati da un’eterogeneità di caratteristiche
macroeconomiche; pertanto si rese necessario stabilire dei criteri di convergenza, al fine di stabilizzare il
disavanzo pubblico ed il debito in percentuale del PIL a dei livelli comuni a tutti i paesi membri.
La convergenza delle variabili era tanto più necessaria in quanto con l’entrata in vigore della
nuova moneta sarebbe risultato impossibile utilizzare la leva del cambio per conseguire il riallineamento
fra gli Stati dell’Unione.
I parametri fissati dal Trattato3 riguardavano, pertanto, il tasso d’inflazione, il rapporto deficit e
debito sul PIL, il tasso di interesse di lungo periodo e il tasso di cambio. Non si vuole qui entrare in
merito alla fissazione dei parametri numerici previsti dall’accordo siglato a Maastricht per quanto
concerne le variabili determinate dalla politica fiscale (Pasinetti, 1998); basti solo notare che la loro
implementazione venne resa più stringente dal successivo Patto di Stabilità e Crescita, recentemente
riformato come messo in luce dalla Commissione Europea (2004).
Il Trattato di Maastricht fissava comunque il 1^ gennaio 1999 come termine inderogabile per
l’inizio dell’Unione Monetaria. Il passaggio conclusivo verso l’UEM venne però deciso nella primavera
del 1998, quando il consiglio dei capi di Stato e governo della UE stabilì il numero di paesi appartenenti
all’Unione Europea che avrebbero partecipato al progetto.
I paesi designati furono: Austria, Belgio, Francia, Finlandia, Germania, Italia, Irlanda,
Lussemburgo, Paesi bassi, Portogallo e Spagna, anche se, per quanto riguarda l’Italia, la decisione fu
particolarmente travagliata, dato che paese presentava degli indicatori macroeconomici molto lontani
dalle regole previste dal Trattato.
Già nel 1991 in Italia era iniziato il processo di risanamento della finanza pubblica, ma ancora
nel biennio 1995-1996 i criteri di convergenza sembrava non potessero essere rispettati nelle scadenze
prefissate. Il disavanzo delle pubbliche amministrazioni era oltre il doppio della soglia del 3% fissata dal
Trattato. L’elevato servizio del debito, ovvero l’alto livello del tasso d’interesse, non consentiva
all’avanzo primario di compensare l’ammontare che lo Stato doveva pagare ai creditori in termini di
interessi sui titoli pubblici in circolazione4.
Il Sistema Monetario Europeo venne creato nel 1978 ed era un accordo di cambio fra i paesi europei, grazie al quale i tassi
di cambio dei paesi aderenti erano vincolati al rispetto di un limite superiore ed un limite inferiore. Nel caso in cui una
moneta raggiungeva il margine superiore di fluttuazione (misurata in termini di svalutazione rispetto al marco tedesco), la
ban ca centrale di quel paese aveva due opzioni: o aumentare i tassi d’interesse per mantenere costante il cambio oppure
chiedere un riallineamento, ovvero una svalutazione della parità centrale, che avrebbe implicato uno slittamento di tutta la
banda d’oscillazione verso l’alto.
3 Il tasso d’inflazione nell’anno precedente l’ammissione non poteva superare di oltre l’1,5% la media di quelli dei tre paesi
membri con l’inflazione piu bassa, il tasso di interesse nominale a lungo termine (osservato nella media dell’anno precedente
l’ammissione) non poteva superare di oltre il 2% la media dei tassi d’interesse a lunga dei tre paesi membri con il più basso
tasso d’inflazione, il tasso di cambio doveva essersi mantenuto (nel corso dei due anni precedenti l’ammissione) all’interno
delle normali bande di oscillazione dello SME ed il Paese non avrebbe dovuto svalutare la propria parità centrale, infine il
deficit pubblico (annuale o programmato) non avrebbe dovuto eccedere il 3% del PIL, mentre il debito pubblico non
avrebbe potuto essere superiore al 60% del PIL.
4 La dinamica del debito pubblico può essere spiegata dalla seguente equazione:
2
b& = ( i − γ )b + g − τ
(1)
2
Il rapporto fra debito e PIL si era stabilizzato, ma era anch’esso ad un valore pari al più del
doppio del limite del 60% previsto.
Dato che il rispetto dei criteri dell’ammissione era fissato per il 1997, sia i mercati che i ministri
delle Finanze europei ritenevano altamente improbabile un’ammissione dell’Italia all’interno della UEM.
Il Governo Dini del 1995 si era proposto un obiettivo di disavanzo pari al 4,4% per il 1996 e
pari al 3% nel 1998, quindi in ritardo per consentire l’ammissione del nostro Paese fra i primi 11
fondatori dell’Unione Monetaria.
Nella primavera del 1996, Prodi divenne Presidente del Consiglio e Carlo Azeglio Ciampi fu
nominato Ministro del Tesoro: poco dopo l’insediamento, nella presentazione del DPEF si rinunciava
ancora alla convergenza al valore del 3% del deficit per il 1997. Tuttavia, sempre nello stesso
documento, si indicava la volontà dell’esecutivo a raggiungere gli obiettivi secondo il calendario previsto
dal Consiglio Europeo e, pertanto, a impegnarsi per accelerare i tempi del processo di convergenza.
Ovviamente tali propositi erano ritenuti scarsamente praticabili dai mercati, che vedevano la
lontananza dei valori italiani dai valori-soglia determinati dal Trattato.
IL GIOCO
Come osservato da Blanchard (2003), il Governo italiano nel 1996 si trovava in una situazione
di equilibri multipli: se avesse deciso di entrare in Europa, il mercato avrebbe potuto non credere alle
sue intenzioni, dato lo spread esistente fra i tassi di interesse italiani e tedeschi. Le attese di una
svalutazione della lira rispetto all’euro, avrebbero portato ad un ulteriore aumento dei tassi di interesse e
avrebbero determinato l’effettiva impossibilità di adesione alla UEM da parte del nostro Paese.
Al contrario, se il mercato avesse creduto alle possibilità italiane, non si sarebbe aspettato il
deprezzamento della lira, ma una riduzione degli spread fra i tassi italiani e quelli tedeschi. Di
conseguenza l’Italia avrebbe potuto ridurre la spesa per interessi, il deficit e quindi sarebbe
effettivamente entrata in Europa.
In ognuno dei due casi (fiducia o non fiducia da parte del mercato), l’Italia avrebbe comunque
potuto decidere di perseguire o meno delle politiche restrittive per conseguire effettivamente l’entrata in
Europa.
Il gioco reputazionale affrontato dall’Italia può essere schematizzato dal seguente gioco in
forma , di cui in Appendice si dà la versione estesa.
Governo
italiano
Mercato
FP
NFP
C
5,3
-2,-3
NC
1,-2
0,0
Osservando la forma normale del gioco, si nota come i due equilibri di Nash siano,
rispettivamente, dati dalla fiducia del mercato (crede) e dall’implementazione delle politiche restrittive
in cui:
b& = tasso di crescita del rapporto debito/PIL
i = tasso di interesse nominale sul debito
γ = tasso di crescita nominale dell’economia
b = quota di debito sul PIL
g = quota della spesa pubblica primaria sul PIL
τ = pressione fiscale
Considerando nullo il tasso di crescita del debito (cioè, supponendo di essere in stato stazionario), si nota che con un
disavanzo del 3% e un tasso di crescita pari al 5%, si ottiene un rapporto debito/PIL pari al 60%.
3
(fa politiche) e la non fiducia del mercato (non crede) e la mancata implementazione delle politiche da
parte del Governo italiano (non fa politiche).
Applicando il principio di backward induction nella forma estesa riportata in All. 1, tuttavia, si nota
come il primo dei due equilibri (quello di fatto perseguito) sia perfetto rispetto ai sottogiochi. Quanto
qui preme notare è che i payoffs sono stati scelti valutando come sia per l’Italia che per il mercato vi fosse
un guadagno al miglioramento dei conti pubblici italiani.
Se il mercato crede all’intenzione dell’Italia di entrare in Europa e l’Italia effettivamente
persegue le politiche restrittive per entrare nella UEM entrambi i giocatori hanno un guadagno;
supponendo che il Governo italiano sostenga dei costi elettorali pari a 2 per varare le manovre e ricavi
un beneficio pari a 5 dall’entrata in Europa, il guadagno netto finale dell’Italia è pari a 3. I mercati
finanziari guadagnano in quanto hanno un paese stabile in cui investire.
Se il mercato non crede al governo, ma comunque l’Italia attua le riforme necessarie all’ingresso
in Europa, il mercato ha un guadagno in quanto può fare affidamento sulla stabilità italiana. Al
contrario, l’Italia sostiene il costo per implementare le riforme senza averne alcun beneficio.
Se il mercato invece crede all’Italia, ma questa non attua le politiche, il mercato ha una perdita
poiché gli investitori devono scontare il loro errore di previsione, mentre l’Italia ha un guadagno in
quanto non deve sostenere i costi politici delle riforme a cui però si deve sottrarre una perdita di
maggiore entità dovuta al mancato ingresso nell’Unione Europea, da imputare esclusivamente al
Governo italiano.
Infine se il mercato non crede all’Italia, e questa non implementa le politiche, per il mercato non
si hanno benefici né costi, l’Italia invece ha una perdita (minore dell’altro caso) dovuta in generale al
mancato ingresso nella UEM, ma per cui non avrebbe avuto alcuna possibilità.
Pertanto, è immediato notare come al mercato convenga credere all’Italia, in quanto al Governo
di tale paese conviene attuare le politiche, poiché se gli investitori credessero alla volontà di attuare le
riforme e lo stato italiano non le attuasse avrebbe una perdita pari a -3 invece che un guadagno di 3.
CONCLUSIONI
Come semplificato dal gioco presentato, la scommessa di Ciampi e di Prodi si rivelò vincente:
tra il 1996 e il 1997 vennero attuate una serie di manovre per alimentare la credibilità presso i mercati. Il
Governo impose un nuovo tributo (la “tassa per l’Europa”) con la promessa di restituirla una volta
entrati nella UEM; inoltre, grazie ad una serie di artifici contabili, venne ridotto il disavanzo – sebbene
non in modo definitivo, ma semplicemente procrastinando nel tempo il pagamento di alcuni oneri sul
debito.
Tuttavia questa serie di manovre, accompagnate dalla richiesta avanzata dall’Italia di rientrare
nello SME, dall’inflazione in calo e dalle dichiarazioni congiunte del Ministro delle Finanze e del
Presidente del Consiglio, portarono ad un aumento della fiducia dei mercati.
Il differenziale dei tassi italiani con quelli tedeschi (cioè, fra BTP e Bund) si abbassò in pochi
giorni di 130 punti base. Questo favorì la riduzione del debito fruttifero anche se il disavanzo alla fine
del 1996 continuava a mantenersi su livelli troppo elevati (6,3% del PIL).
Nei primi mesi del 1997 venne pertanto varata una manovra aggiuntiva; date le scadenze e
l’impellenza, tale disposizione avrebbe ancora avuto carattere congiunturale e, infatti, suscitò aspre
critiche da parte di diversi economisti (tra gli altri, da parte di Modigliani).
La manovra, però, servì a convincere effettivamente i mercati dell’intenzione, da parte del
Governo, di implementare effettivamente le politiche necessarie al rispetto del Trattato, una volta
ottenuta la fiducia del mercato e la conseguente riduzione dei tassi d’interesse.
Il disavanzo si ridusse al 3%, l’inflazione arrivò all’1,7% e lo spread fra il tasso italiano e quello
tedesco arrivò a 30-40 punti nella primavera del 1997.
La riduzione del tasso d’interesse consentì un ulteriore abbassamento del disavanzo; in
particolare il disavanzo delle pubbliche amministrazioni toccò il picco minimo del 2,7%, ovvero arrivò
ad un livello inferiore rispetto a quanto richiesto dai requisiti per l’ammissione.
4
Con l’eccezione del valore del debito pubblico (nel 1997 il rapporto debito PIL era quasi il
doppio di quanto richiesto per l’ammissione), l’Italia potè però rientrare fin dal primo turno nella UEM.
Facendo riferimento al gioco mostrato nel paragrafo precedente, risulta evidente come il
mercato si sia reso conto che per il Governo italiano fosse ottimale implementare le politiche
economiche per garantirsi l’entrata in Europa, quindi abbia giocato la strategia di “credere”alle
promesse del Ministro delle Finanze italiano, d’altra parte anche per il Governo la strategia vincente è
stata effettivamente quella di perseguire le politiche di stabilizzazione così come annunciato per potere
entrare nella UEM.
2. LE
LISTE NAME AND SHAME: UN’ANALISI INTERTEMPORALE DEI COSTI-BENEFICI
DELLA REPUTATION-( RE) BUILDING
Intendiamo contestualizzare nell’ambito della teoria dei giochi la scelta da parte delle
giurisdizioni incluse nella lista della FATF (Non-Cooperative Countries and Territories – NCCTs, All. 2) di
adottare o meno il livello di regolamentazione richiesto dagli standard internazionali. A tale scopo ci
serviamo del folk theorem, rappresentando la giurisdizione non cooperativa e la comunità internazionale
(nella specie, la FATF) rispettivamente con i due giocatori stilizzati A e B. In altri termini, l’interazione
strategica avviene vis-à-vis tra la FATF e una delle giurisdizioni comprese nella lista.
Le strategie a disposizione di ciascun agente sono due. Per la FATF, a) strategia cooperativa:
disponibilità all’assistenza tecnica alla giurisdizione per adeguare la propria regolamentazione e
concederle i vantaggi previsti per i membri del club dei “virtuosi”, qualora questa decida di adottare gli
standard richiesti dalla comunità internazionale; b) strategia non cooperativa: continuare ad applicare le
contro-misure previste per le giurisdizioni incluse nella lista qualora esse non si adeguino.
Corrispondentemente, per la giurisdizione, le strategie sono: a) cooperare: adottare gli standard di
regolamentazione; b) non cooperare, scegliendo di rimanere nella lista, continuando in una
deregolamentazione competitiva.
Rispetto al set informativo, si ipotizza informazione perfetta e completa.
Il folk theorem mostra che anche i giochi di natura non cooperativa, se ripetuti in un orizzonte
temporale infinito – come qui viene assunto – possono dar luogo alla cooperazione implicita tra
giocatori (supergame). Esso ipotizza che il first mover – nel nostra caso, la comunità internazionale
(giocatore B) – adotti una strategia cooperativa. Quest’ultima può assumere valore segnaletico ed è,
quindi, interpretabile come un investimento iniziale in reputazione, che si trasforma in un sunk cost
qualora l’altro giocatore scelga comunque di non cooperare.
Il teorema sottende un confronto intertemporale, operato dal giocatore/giurisdizione, fra le due
strategie disponibili (regolamentare/non regolamentare).
Passiamo alla formulazione matematica del problema considerando il gioco dalla prospettiva del
soggetto-giurisdizione (A), e supponiamo che esso si trovi a dover decidere come rispondere alla mossa
- cooperativa - del giocatore-comunità internazionale (B). Esprimiamo i payoff di A in termini di utilità
(V). La funzione di utilità permette, infatti, di catturare la particolare struttura delle sue preferenze in
termini di reputazione e attitudine al free-riding. Ovviamente, non deve trattarsi di preferenze “genuine”
verso una buona reputazione e a favore della cooperazione in un mondo in cui gli altri cooperano: più
realisticamente, maggiori sono i costi di una cattiva immagine e dell’esclusione dai circuiti internazionali
della finanza, minore è la tendenza al free-riding e più forte l’“impazienza” della giurisdizione a costruirsi
una reputazione sui mercati finanziari.
Coop
Def
Se coopera/regolamenta, A ottiene un’utilità pari a V
; se defeziona, consegue V ; quando
Nash
entrambi i giocatori non collaborano, la sua utilità è pari a V
. Possiamo quindi ordinare le
Def
> V Coop > V Nash
preferenze di A secondo la seguente sequenza di disuguaglianze: V
Tale sequenza mette in evidenza il trade-off con cui si confronta la giurisdizione. In particolare, in
un contesto di diffusa cooperazione internazionale,
5
Def
− V Coop ) indica il valore aggiunto della defezione derivante: (i) dalla deregolamentazione
(V
competitiva e (ii) dai conseguenti vantaggi originati dall’arbitraggio da regolamentazione;
Coop
− V Nash ) indica il vantaggio di cooperare per evitare: (i) gli elevati costi dell’esclusione dai
(V
circuiti finanziari internazionali, e (ii) la maggiore rischiosità percepita dagli operatori nell’effettuare
transazioni con la giurisdizione. I risultati (i) e (ii) rappresentano quindi il payoff della giurisdizione in
corrispondenza dell’equilibrio di Nash.
Pertanto, al tempo t, se il giocatore A non adegua la propria regolamentazione, ottiene un
Def
− V Coop ).
vantaggio incrementale (rispetto all’adozione di un comportamento cooperativo) pari a (V
Tuttavia, in ogni periodo successivo, egli subirà una perdita (derivante dal fatto che l’avversario lo
Coop
− V Nash ). In sintesi, il giocatore A non coopera quando
costringerà all’equilibrio di Nash) pari a (V
Def
− V Coop ) è maggiore delle perdite future (V Coop − V Nash ): infatti, egli è consapevole che se non
(V
coopererà, neppure l’altro lo farà in futuro, ritrovandosi entrambi intrappolati nella situazione di Nash.
Quindi, A dovrà attualizzare le perdite future derivanti dal persistere in una regolamentazione
“lassista” utilizzando un tasso di sconto intertemporale r; ipotizzando 0 < r < 1, il fattore di sconto
1
α=
(1 + r ) , è minore di 1.
intertemporale,
Ne deriva che il valore attuale delle perdite future originate dal free-riding (VAP), per t = 1,…..,
1
VAP = ∑t
(V Coop − V Nash )
t
(1 + r )
∞ , è pari a:
(1)
(2)
Si osservi che:
t
∞
 1 
∑ t=1  1 + r  (V Coop − V Nash ) = (V Coop − V Nash )
∑
∞
t =1
 1 


1 + r 
t
1
∞
1
1+ r
=
∑ t= 0  1 + r  = ∑t = 0
1
r
1−
1+ r
Dalle proprietà delle serie geometriche sappiamo:
Tuttavia, la sommatoria che ci interessa parte da t = 1; quindi:
0
1+r
1
∞
 1  1+ r  1 
∑ t=1  1 + r  = r −  1 + r  = r − 1 = r
∞
t
(3)
(4)
Di conseguenza, al giocatore-giurisdizione conviene “defezionare” - cioè rimanere nella lista
“name and shame” - quando:
(V Def − V Coop ) > 1 (V Coop − V Nash )
r
(5)
dove la seconda parte delle disuguaglianza rappresenta le perdite future attualizzate al tasso di
sconto r.
In altri termini, la giurisdizione non attribuisce adeguata importanza al futuro isolamento e alla
V Coop − V Nash
r > Def
V
− V Coop
cattiva reputazione – scegliendo di rimanere “all’indice” - quando:
(6)
(7)
1
V Def − V Coop
= α < Coop
1+ r
V
− V Nash
o,equivalentemente:
6
Il significato economico espresso dalla condizione (6) è che al giocatore-giurisdizione conviene
adottare la strategia di “non regolamentare secondo gli standard internazionali” quando privilegia i
vantaggi attuali del free-riding (la competizione regolativa) senza annettere particolare rilievo alle perdite
future (il costo dell’esclusione): ciò a dire, quando il tasso di sconto intertemporale, r, è “abbastanza
elevato” (eq. (6)) e il fattore di sconto α , conseguentemente, piccolo (eq. (7)); più elevato r, più basso è
l’onere connesso alle perdite future derivanti dalla mancata cooperazione reciproca e dal permanere
nella lista NCCTs (equilibrio di Nash). In tal senso, il tasso di sconto intertemporale è un parametro
cruciale per verificare se i meccanismi reputazionali possono portare a esiti efficienti del gioco nel lungo
periodo.
Secondo tali linee di ragionamento, le giurisdizioni rimaste nella lista della FATF (All. 2)
esibiscono un fattore di sconto piuttosto modesto e, quindi, una vischiosità/inerzia nell’aggiustare il
proprio stock di patrimonio reputazionale.
Com’è noto, il costo sociale che ne deriva è un livello sub-ottimale di stabilità finanziaria
internazionale, intesa come bene pubblico. Allo scopo di far convergere i costi sociali e privati di
un’inadeguata regolamentazione internazionale, il processo di internalizzazione dovrà coinvolgere non
solo la singola giurisdizione non cooperativa, ma l’intero “sistema indotto”, vale a dire la costellazione
che rotea intorno ad essa: terrorismo transnazionale, criminalità organizzata, società multinazionali che
se ne servono. Ciò rinvia all’esigenza sempre più percepita di mettere in campo strategie
multidimensionali, tipiche risposte alle “emergenze complesse”.
Il significato economico espresso dalla condizione (6) è che al giocatore-giurisdizione conviene
adottare la strategia di “non regolamentare secondo gli standard internazionali” quando privilegia i
vantaggi attuali del free-riding (la competizione regolativa) senza annettere particolare rilievo alle perdite
future (il costo dell’esclusione): ciò a dire, quando il tasso di sconto intertemporale, r, è “abbastanza
elevato” (eq. (6)) e il fattore di sconto α , conseguentemente, piccolo (eq. (7)); più elevato r, più basso è
l’onere connesso alle perdite future derivanti dalla mancata cooperazione reciproca e dal permanere
nella lista NCCTs (equilibrio di Nash). In tal senso, il tasso di sconto intertemporale è un parametro
cruciale per verificare se i meccanismi reputazionali possono portare a esiti efficienti del gioco nel lungo
periodo.
Secondo tali linee di ragionamento, le giurisdizioni rimaste nella lista della FATF (All. 2)
esibiscono un fattore di sconto piuttosto modesto e, quindi, una vischiosità/inerzia nell’aggiustare il
proprio stock di patrimonio reputazionale.
Com’è noto, il costo sociale che ne deriva è un livello sub-ottimale di stabilità finanziaria
internazionale, intesa come bene pubblico. Allo scopo di far convergere i costi sociali e privati di
un’inadeguata regolamentazione internazionale, il processo di internalizzazione dovrà coinvolgere non
solo la singola giurisdizione non cooperativa, ma l’intero “sistema indotto”, vale a dire la costellazione
che rotea intorno ad essa: terrorismo transnazionale, criminalità organizzata, società multinazionali che
se ne servono. Ciò rinvia all’esigenza sempre più percepita di mettere in campo strategie
multidimensionali, tipiche risposte alle “emergenze complesse”.
7
CONCLUSIONI
Come notato nei case studies riportati, il metodo della reputazione risulta essenziale sia per
rendere la propria scelta credibile, sia come segnale nei confronti di possibili concorrenti o degli alleati,
riguardo alla propria potenza e alla propria capacità di enforcement.
In generale, può essere utile notare come il meccanismo di reputation building possa essere
applicato anche a contesti differenti e fra loro disparati: si pensi alla correttezza e alla credibilità degli
utenti di internet o ai giochi strategici militari.
Come suggerisce Schelling (1960), “il potere di vincolare un avversario può dipendere dal potere
di vincolare se stessi” e nella teoria, almeno, gli esempi di giochi reputazionali possono spiegare diverse
situazioni.
Valeria Di Cosmo∗
Scuola Superiore dell’Economia e delle Finanze
Dottoranda in Economia presso Roma Tre
Mariateresa Fiocca
Esperto Secit
Ministero dell’Economia e delle Finanze
∗
Benché lo studio sia il risultato di un lavoro congiunto, il par. 1 in particolare è da attribuirsi a Valeria Di Cosmo, il par. 2 a
Mariateresa Fiocca.
8
BIBLIOGRAFIA
Bernardi, L., La finanza pubblica italiana, Il Mulino, Bologna, anni 1996 e 1997.
Blanchard, O., Macroeconomia, Il Mulino, Bologna, 2003.
Commissione Europea, Directorate General for Economic and Financial Affairs, Public
Finances in Emu, 1994.
Pasinetti, P., The Myth (or folly) of the 3% deficit-GDP Maastricht Parameter, in Cambridge
Journal of Economics, 1998, vol. 22, pp. 103-106.
Shelling, T., The Strategy of Conflict , Harvard University Press, Ca mbridge (Mass.), 1960.
9
ALLEGATO 2
Le Liste “Name And Shame”
Box. 2.1 Lista FATF delle giurisdizioni non cooperative (aggiornata al febbraio 2005)
1. Myanmar (Burma). Riciclaggio dai ricavi della droga, traffico d’armi, contrabbando di preziosi
2. Nauru. Riciclaggio per la mafia russa
3. Nigeria. Riciclaggio del denaro della droga e fondi legati al terrorismo
Box 2.2 Lista OCSE dei paesi non cooperativi nel 2000 (35) e al 2005 (primi 5)
1) Andorra
2) I. Marshall
3) Monaco
4) Liechtenstein
5) Liberia
6) Nauru [rimossa dalla lista nel 2003]
7) Vanuatu [rimossa dalla lista nel 2002]
8) Anguilla
9) Antigua e Barbuda
10) Aruba – Kingdom of Netherlands
11) Commonwealth of Bahamas
12) Baharain
13) Barbados
14) Belize
15) Virgin Islands - Overseseas Territory of UK
16) Cook Islands – New Zeland
17) Commonwealth of Dominica
18) Gibraltar - Overseas Territory of UK
19) Grenada
20) Guernsey/Sark/Alderney - Dependency of British Crown
21) Isle of Man - Dependency of British Crown
22) Jersey – Dependency of British Crown
23) Republic of Maldives
24)Montserrat – Overseseas Territory of UK
25) Netherlands Antilles
26) Niue – New Zeland
27) Panama
28) Samoa
29) Republic of Seychelles
30) St. Lucia
31) Federation of St. Christopher & Nevis
32) St. Vincent and Grenadines
33) Tonga
34) Turks & Caicos – Overseseas Territory of UK
35) US Virgin Islands – External Territory of the US
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