Rischio di confusione A. Considerazioni generali

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Rischio di confusione A. Considerazioni generali
Identità e rischio di confusione: considerazioni generali
DIRETTIVE SULL’OPPOSIZIONE
Parte 2
Capitolo 2:
Rischio di confusione
A. Considerazioni generali
Direttive sull’opposizione - Parte 2, Capitolo 2A – Situazione: maggio 2004
1
Identità e rischio di confusione: considerazioni generali
CAPITOLO 2 – RISCHIO DI CONFUSIONE
A.
I.
CONSIDERAZIONI GENERALI
NORME PERTINENTI
I presupposti giuridici essenziali per la determinazione del rischio di
confusione in forza del regolamento sul marchio comunitario sono enunciati
all’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), nonché nel settimo ‘considerando’ dello
stesso regolamento.
L’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), RMC così dispone:
“In seguito all’opposizione del titolare di un marchio anteriore, il
marchio richiesto è escluso dalla registrazione (…)
se a causa dell’identità o della somiglianza di detto marchio col
marchio anteriore e dell’identità o somiglianza dei prodotti o servizi
per i quali i due marchi sono stati richiesti, sussiste un rischio di
confusione per il pubblico del territorio nel quale il marchio
anteriore è tutelato; il rischio di confusione comprende il rischio di
associazione con il marchio anteriore”.
Il rischio di confusione costituisce la condizione specifica della tutela conferita
da un marchio comunitario. Tale principio viene espresso nel settimo
‘considerando’ RMC, il quale menziona una serie di fattori rilevanti ai fini della
valutazione del rischio di confusione e precisa che la nozione di somiglianza
va interpretata in relazione al rischio di confusione.
Il settimo ‘considerando’ RMC recita:
“considerando che la tutela conferita dal marchio comunitario, che
mira in particolare a garantire la funzione d’origine del marchio
d’impresa, è assoluta in caso di identità tra il marchio d’impresa e il
segno e tra i prodotti o servizi; che la tutela è accordata anche in
caso di somiglianza tra il marchio d’impresa e il segno e tra i
prodotti o servizi; che è opportuno interpretare la nozione di
somiglianza in relazione al rischio di confusione, la cui valutazione
dipende da numerosi fattori, e segnatamente dalla notorietà del
marchio d’impresa sul mercato, dall’associazione che può essere
fatta tra il marchio d’impresa e il segno usato o registrato, dal
grado di somiglianza tra il marchio d’impresa e il segno e tra i
prodotti o servizi designati, costituisce la condizione specifica della
tutela (…)” (corsivo aggiunto).
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Identità e rischio di confusione: considerazioni generali
II.
INTERPRETAZIONE DELLE NORME PERTINENTI DA PARTE DELLA
CORTE DI GIUSTIZIA
La Corte di giustizia ha interpretato la nozione di rischio di confusione in una
serie di occasioni, pronunciandosi nel contesto dell’identica disposizione di cui
all’articolo 4, paragrafo 1, lettera b), della Prima direttiva del Consiglio
89/104/CEE del 21 dicembre 1988, sul ravvicinamento delle legislazioni degli
Stati membri in materia di marchi d’impresa (in prosieguo: “DMC”) (GU CE
1989 L 40, pag. 1; GU UAMI n. 4/95, pag. 511). La divisione Opposizione e le
Commissioni di ricorso considerano questi principi altrettanto validi ai fini
dell’interpretazione dell’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), RMC.
I principi enunciati nelle quattro sentenze
riassunti, sentenza per sentenza. Si tratta
applicati nel decidere la questione del rischio
se del caso, espressamente richiamare nei
caso concreto sottoposto al suo esame.
1.
pertinenti sono qui di seguito
di principi che devono essere
di confusione e che la DO deve,
limiti in cui siano pertinenti nel
Sentenza 11 novembre 1997, causa C-251/95, Sabèl BV / Puma
AG, Rudolf Dassler Sport (GU UAMI n. 1/98, pag. 79)
-
Il rischio di confusione deve essere oggetto di una valutazione
globale, tenendo in considerazione tutti i fattori pertinenti del caso di
specie (punto 22).
-
La valutazione del rischio di confusione dipende da numerosi fattori,
segnatamente dalla notorietà del marchio d’impresa sul mercato,
dall’associazione che può essere fatta tra i due marchi e dal grado di
somiglianza tra i segni e tra i prodotti (punto 22).
-
La valutazione globale della somiglianza visiva, auditiva o concettuale
dei marchi di cui trattasi deve fondarsi sull’impressione complessiva
prodotta dai marchi, in considerazione, in particolare, dei loro
elementi distintivi e dominanti (punto 23).
-
Il consumatore medio percepisce normalmente un marchio come un
tutt’uno e non effettua un esame dei suoi singoli elementi (punto 23).
-
Il rischio di confusione è tanto più elevato quanto più rilevante è il
carattere distintivo del marchio anteriore (punto 24).
-
Non può escludersi che la somiglianza concettuale derivante dal fatto
che due marchi utilizzino immagini concordanti nel loro contenuto
semantico possa creare un rischio di confusione, nel caso in cui il
marchio anteriore possieda un carattere distintivo particolare, vuoi
intrinsecamente, vuoi grazie alla notorietà di cui goda presso il
pubblico (punto 24).
-
Tuttavia, allorché il marchio anteriore non gode di una particolare
notorietà e consiste in una figura che presenta pochi elementi di
fantasia, la semplice somiglianza concettuale tra i due marchi non è
sufficiente per generare un rischio di confusione (punto 25).
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Identità e rischio di confusione: considerazioni generali
-
La nozione di rischio di associazione non costituisce un’alternativa
alla nozione di rischio di confusione, bensì serve a precisarne
l’estensione (punto 18).
-
La mera associazione tra due marchi che possa essere operata dal
pubblico per effetto della concordanza del loro contenuto semantico
non è di per sé sufficiente per ritenere che sussista un rischio di
confusione (punto 26).
2.
Sentenza 29 settembre 1998, causa C-39/97, Canon Kabushiki
Kaisha / Metro-Goldwyn-Mayer Inc (GU UAMI n. 12/98, pag.
1407)
-
La possibilità che il pubblico possa credere che i prodotti o servizi in
questione provengano dalla stessa impresa o eventualmente da
imprese economicamente legate tra loro costituisce un rischio di
confusione (punto 29).
-
Per contro, l’esistenza di un tale rischio è esclusa se non risulta che il
pubblico possa credere che i prodotti o i servizi provengano dalla
stessa impresa o, eventualmente, da imprese economicamente
legate tra loro (punti 29 e 30).
-
Per valutare la somiglianza tra i prodotti o i servizi in questione, si
deve tener conto di tutti i fattori pertinenti che caratterizzano il
rapporto tra i prodotti o i servizi (punti 23).
-
Questi fattori includono, in particolare, la loro natura, la loro
destinazione, il loro impiego nonché la loro concorrenzialità o
complementarità (punto 23).
-
La valutazione globale del rischio di confusione implica una certa
interdipendenza tra i fattori che entrano in considerazione, in
particolare la somiglianza dei marchi e quella dei prodotti o dei servizi
designati. Così, un tenue grado di somiglianza tra i prodotti o i servizi
designati può essere compensato da un elevato grado di somiglianza
tra i marchi e viceversa (punto 17).
-
I marchi che hanno un elevato carattere distintivo, o intrinsecamente
o a motivo della loro notorietà sul mercato, godono di una tutela più
ampia rispetto ai marchi il cui carattere distintivo è inferiore (punto
18).
-
Può esservi motivo di negare la registrazione di un marchio,
nonostante il minor grado di somiglianza tra i prodotti o servizi
designati, allorché la somiglianza dei marchi è grande e grande è il
carattere distintivo del marchio anteriore, in particolare la sua
notorietà (punto 19).
-
Il carattere distintivo del marchio anteriore, in particolare la sua
notorietà, va preso in considerazione per valutare se la somiglianza
tra i prodotti o i servizi contraddistinti sia sufficiente per provocare un
rischio di confusione (punto 24).
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Identità e rischio di confusione: considerazioni generali
-
Può sussistere un rischio di confusione anche qualora, per il pubblico,
i prodotti e i servizi di cui trattasi abbiano luoghi di produzione diversi
(punto 30).
Sentenza 22 giugno 1999, causa C-342/97, Lloyd Schuhfabrik
Meyer / Klijsen Handel BV (GU UAMI n. 12/99, pag. 1569)
3.
-
Il livello di attenzione del consumatore medio, che si presume
normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto, può
variare in funzione della categoria di prodotti o di servizi di cui trattasi
(punto 26).
-
Tuttavia occorre tener conto del fatto che il consumatore medio solo
raramente ha la possibilità di procedere a un confronto diretto dei vari
marchi, ma deve fare affidamento sull’immagine non perfetta che ne
ha mantenuto nella memoria (punto 26).
-
Al fine di valutare il grado di somiglianza visiva, fonetica e
concettuale, occorre valutare la rilevanza che occorre attribuire a
questi diversi elementi tenendo conto della categoria dei prodotti e
delle condizioni in cui sono messi in commercio (punto 27).
-
Non si può escludere che la mera somiglianza fonetica possa creare
un rischio di confusione (punto 28).
-
Per valutare il carattere distintivo di un marchio e quindi valutare se
esso abbia un carattere distintivo elevato, è necessario valutare
globalmente i fattori che possono dimostrare che il marchio è divenuto
atto ad identificare i prodotti o servizi per i quali è stato registrato
come proveniente da un’impresa determinata (punto 22).
-
Nell’effettuare tale valutazione, occorre prendere in considerazione in
particolare le qualità intrinseche del marchio, ivi compreso il fatto che
esso sia o meno privo di qualsiasi elemento descrittivo dei prodotti o
servizi per i quali è stato registrato, la quota di mercato detenuta dal
marchio, l’intensità, l’estensione geografica e la durata dell’uso di tale
marchio, l’entità degli investimenti effettuati dall’impresa per
promuoverlo, la percentuale degli ambienti interessati che identifica il
prodotto come proveniente da un’impresa determinata grazie al
marchio, nonché le dichiarazioni delle camere di commercio e
industria o di altre associazioni professionali (punto 23).
-
Non si può indicare in generale, ad esempio facendo ricorso a
determinate percentuali relative al grado di notorietà del marchio negli
ambienti interessati, quando un marchio abbia un forte carattere
distintivo (punto 24).
4.
Sentenza 22 giugno 2000, causa C-425/98, Marca Mode CV /
Adidas AG e Adidas Benelux BV (GU UAMI n. 9/00, pag. 1291)
Massima :
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Identità e rischio di confusione: considerazioni generali
Anche nel caso in cui ricorrano una identità dei prodotti, un elevato grado di
notorietà e un rischio di associazione, la confusione non può essere presunta.
Deve sempre esservi un accertamento positivo del rischio di confusione. Un
rischio di associazione in senso stretto non implica in nessun modo una
presunzione di rischio di confusione.
-
La notorietà di un marchio non permette di presumere l’esistenza di
un rischio di confusione in senso stretto (punto 41)
-
l'articolo 5, paragrafo 1, lettera b), della direttiva non può essere
interpretato nel senso che,
•
•
quando un marchio possiede un carattere distintivo particolare,
intrinsecamente oppure grazie alla notorietà di cui gode presso il
pubblico, e
quando un terzo, senza il consenso del titolare del marchio, usa nel
commercio, per prodotti o servizi identici o simili a quelli per i quali il
marchio è registrato, un segno che assomiglia a tal punto al
marchio da far sorgere la possibilità di associarlo a quest'ultimo,
il diritto esclusivo del titolare del marchio consente a questi di vietare al terzo
tale uso del segno qualora il carattere distintivo del marchio sia tale da non
escludere che la detta associazione possa creare confusione (corsivo
aggiunto) (punto 42).
III.
L’ELABORAZIONE DI UNA DEFINIZIONE DI RISCHIO
CONFUSIONE DA PARTE DELLA CORTE DI GIUSTIZIA
1.
DI
La funzione essenziale del marchio comunitario: la garanzia
dell’identità di origine
In forza del settimo ‘considerando’ RMC (v. sopra, sub 1.), la funzione del
marchio comunitario è “in particolare” di garantire che il marchio costituisca un
indicatore dell’origine. La Corte considera tale funzione come la funzione
essenziale di un marchio:
“… come la Corte ha più volte dichiarato (…), la funzione
essenziale del marchio (consiste) nel garantire al consumatore o
all'utilizzatore finale l'identità di origine del prodotto
contrassegnato, consentendogli di distinguere, senza possibile
confusione, questo prodotto da quelli aventi diversa origine.
Affinché il marchio possa svolgere questa funzione (in un sistema
di concorrenza non falsato) esso deve garantire che tutti i prodotti
che ne sono contrassegnati sono stati fabbricati sotto il controllo di
un'unica impresa cui possa attribuirsi la responsabilità della loro
qualità: (v., in particolare, sentenze 17 ottobre 1990, causa C10/89, HAG GF (HAG II), Racc. pag. I-3711, punti 14 e 13; e
Canon, citata, punto 28; v. anche sentenza 18 giugno 2002, causa
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Identità e rischio di confusione: considerazioni generali
C-299/99, Koninklijke Philips Electronics NV / Remington
Consumer Products Ltd, Racc. pag. I-5475, punto 30)”.
Per la Corte, la funzione essenziale del marchio si evince altresì chiaramente
dalla lettera e dall’economia delle varie disposizioni della direttiva concernenti
i motivi di esclusione dalla registrazione, sostanzialmente ripresi nel
regolamento sul marchio comunitario. Una di queste disposizioni, l’articolo 4
RMC, stabilisce che il marchio deve essere adatto a distinguere i prodotti o i
servizi di un’impresa da quelli di altre imprese (v. sentenza Philips /
Remington, punti 31 e segg.).
La parte delle presenti direttive che tratta del rischio di confusione è incentrata
sulla funzione di origine. Le altre funzioni del marchio sono il valore di
avviamento (goodwill), la promozione (pubblicitaria) e la garanzia della
qualità.
2.
Definizione del rischio di confusione
2.1
L’attribuzione, da parte del pubblico, della stessa origine
ai prodotti o servizi
Secondo la Corte, discende dalla funzione “essenziale” del marchio
comunitario, quella di indicatore dell’origine, che il rischio di confusione deve
essere definito facendo riferimento al rischio che il pubblico possa attribuire la
medesima origine ai prodotti o servizi:
“(...) la possibilità che il pubblico possa credere che i prodotti o servizi
in questione provengano dalla stessa impresa o eventualmente da
imprese economicamente legate tra loro (…) l’esistenza di un tale
rischio è esclusa se non risulta che il pubblico possa credere che i
prodotti o i servizi provengano dalla stessa impresa o,
eventualmente, da imprese economicamente legate tra loro”
(sentenza Canon, punti 29 e 30).
Nelle presenti direttive, conformemente alla giurisprudenza della Corte di
giustizia, i termini “possibilità di confusione”, “rischio di confusione”, “pericolo
di confusione” saranno usati come sinonimi, anche se da un punto di vista
semantico non sono esattamente la stessa cosa. Tutte le suddette definizioni
vanno intese nel senso di probabilità di confusione. Non è sufficiente la mera
possibilità di confusione, ossia il fatto che essa non possa essere esclusa (v.
sentenza Marca Mode, citata sub II.4.)
2.2
L’origine: imprese economicamente legate tra loro
Sussiste un rischio di confusione anche quando il pubblico di riferimento, pur
ritenendo che i prodotti o servizi non siano provenienti dalla stessa entità,
suppone che si tratti di imprese economicamente legate tra loro. Ciò che
assume rilevanza è la possibilità che il pubblico creda che il controllo dei
prodotti o servizi di cui trattasi sia nelle mani di un’unica impresa. La Corte
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Identità e rischio di confusione: considerazioni generali
non ha ancora avuto modo di interpretare il concetto di imprese
economicamente legate tra loro nel contesto del rischio di confusione.
La Corte ha chiarito il concetto di “imprese economicamente legate tra loro” in
un diverso contesto, quello della libera circolazione dei beni e servizi
all’interno del mercato unico.
Nella sentenza Ideal Standard del 22 giugno 1994, causa C-9/93, IHT
Internationale Heiztechnik GmbH e Uwe Danzinger / Ideal Standard GmbH e
Wabco Standard (GU UAMI n. 4/97, pag. 314), la Corte ha statuito:
“(…) Vi rientrano diverse situazioni: prodotti distribuiti dalla stessa
impresa o su licenza della stessa ovvero da una società capogruppo
o da una sua controllata ovvero ancora da un concessionario
esclusivo (punto 34).
(…) Nelle situazioni sopra descritte (…) vi è un controllo effettuato
dalla stessa entità: il gruppo di società, nel caso di prodotti distribuiti
da una consociata; il fabbricante, nel caso di prodotti posti in
commercio dal concessionario; il licenziante se si tratta di prodotti
smerciati da un licenziatario. Nell'ipotesi della licenza, il concedente
ha la possibilità di controllare la qualità dei prodotti del licenziatario
inserendo nel contratto clausole che impongano il rispetto delle sue
istruzioni e gli conferiscano la facoltà di sincerarsene. La provenienza
che il marchio è volto a garantire è la medesima: essa non è definita
dal fabbricante, bensì dal centro di gestione della produzione” (punto
37).
Alla luce di quanto dichiarato dalla Corte, si suppone l’esistenza di legami
economici allorquando il pubblico ritenga che i prodotti o servizi rispettivi
siano messi in commercio sotto il controllo del titolare del marchio. Tale
controllo può presumersi esistere quando le imprese appartengano allo
stesso gruppo societario (“concern”), in caso di accordi di licenza,
concessione o distribuzione, come pure in ogni altra situazione nella quale il
pubblico sia indotto a ritenere che l’uso del marchio sia di norma possibile
solo con il consenso del titolare del marchio.
3.
Valutazione globale necessaria del rischio di confusione
3.1
Rilevanza variabile dei fattori pertinenti
Conformemente alla sentenza Sabèl, il rischio di confusione deve essere
oggetto di valutazione globale, tenendo in considerazione tutti i fattori
pertinenti del caso di specie.
Ciascun caso concreto deve essere valutato nella sua specificità e deve
essere compiuta una valutazione globale di tutti i fattori pertinenti, ivi compresi
quelli che si riferiscono al singolo caso di specie.
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Identità e rischio di confusione: considerazioni generali
La valutazione dei fattori che comportano il rischio di confusione, quali la
somiglianza dei prodotti o servizi e dei segni, o il grado di carattere distintivo
del marchio anteriore, saranno presi in esame di seguito, ciascuno in un
apposito paragrafo. Va tuttavia rilevato come i vari fattori pertinenti rispetto ad
un caso determinato non abbiano un valore fisso e predeterminato.
Quest’ultimo può invece variare in funzione del caso concreto. Ciò che rileva
è il grado di somiglianza tra i prodotti o servizi e tra i segni, il grado di
carattere distintivo del marchio anteriore e l’incidenza di ogni eventuale altro
fattore. Il risultato finale dipenderà dalla ponderazione del valore da attribuire
a ciascuno di questi fattori pertinenti.
Nelle presenti direttive si trova enumerata una serie di principi desunti dalla
prassi decisionale, segnatamente quella della divisione Opposizione e delle
Commissioni di ricorso. Questi principi, pur essendo di applicazione generale,
sono suscettibili di eccezioni in funzione del singolo caso di specie. Nel caso
in cui simili eccezioni vengano invocate ed applicate, il caso va sottoposto ai
dirigenti dei gruppi preliminarmente a qualsiasi decisione.
3.2
Interdipendenza dei fattori pertinenti
La Corte ha statuito che “la valutazione globale del rischio di confusione
implica una certa interdipendenza tra i fattori che entrano in considerazione
(…). Così, un tenue grado di somiglianza tra i prodotti o i servizi designati può
essere compensato da un elevato grado di somiglianza tra i marchi e
viceversa” (sentenza Canon, punto 17). Il rischio di confusione è tanto più
elevato quanto più rilevante è il carattere distintivo del marchio anteriore
(sentenza Sabèl, punto 24).
Le conseguenze pratiche sono:
La mera circostanza che sia accertata la somiglianza sia tra i prodotti o servizi
sia tra i segni non implica automaticamente l’esistenza di un rischio di
confusione. Di conseguenza, ha scarso valore limitarsi a constatare in una
decisione che i prodotti o servizi sono simili e che i segni sono simili. Occorre
invece che l'esaminatore precisi quale sia il grado di somiglianza rispettiva.
•
Un rischio di confusione può venire accertato quando, pur essendovi un
limitato grado di somiglianza tra i prodotti o servizi (o tra i segni) in
conflitto, vi sia un elevato grado di somiglianza tra i segni (o tra i prodotti o
servizi) e/o quando il marchio anteriore possieda un elevato grado di
carattere distintivo.
•
Per contro, un rischio di confusione non può essere accertato nell’ipotesi
in cui vi sia un grado basso di somiglianza tra i prodotti o servizi (o tra i
segni), anche se i segni (o i prodotti o servizi) siano identici e/o nell’ipotesi
in cui il marchio anteriore abbia un grado di carattere distintivo medio o
basso.
Esempio:
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Identità e rischio di confusione: considerazioni generali
R 18/2001-3 Nicole / Nicole (EN): Il grado di somiglianza tra dentifrici e
taluni deodoranti profumati è basso. Pertanto, nonostante l’identità dei
segni, il rischio di confusione è stato escluso sotto questo profilo.
Ulteriori esempi:
R 924/2000-3 (EN) ECOLEX / COLEX (fig.),
R 1022/2000-2 (DE) CHIO PITTA / CHIPITA (fig.),
R 201/2001-3 CARRIBEAN TWIST / CARRIBEAN CLUB.
•
Un rischio di confusione può essere ravvisato o meno qualora il marchio
anteriore goda di un elevato grado di carattere distintivo, in funzione del
grado di somiglianza sia dei prodotti o servizi sia dei segni.
4.
Valutazione del rischio di confusione: panoramica dei criteri
Il rischio di confusione dipende, in particolare, dai criteri di seguito enumerati.
Essi saranno illustrati in modo più dettagliato nel prosieguo, nelle sezioni
relative alla somiglianza tra i prodotti o servizi e alla somiglianza tra i segni,
nonché nella parte finale del capitolo sul rischio di confusione, relativa alla
“valutazione globale – interdipendenza”.
•
Grado di somiglianza tra i prodotti e servizi in conflitto: se il richiedente ha
chiesto all’opponente di fornire prove dell’uso, i prodotti e servizi da porre
a confronto sono quelli di cui l’opponente ha provato l’uso;
•
Grado di somiglianza tra i segni;
•
Grado di carattere distintivo (intrinseco o acquisito), forza o notorietà del
marchio anteriore;
•
Grado di avvedutezza e di attenzione del pubblico di riferimento, ossia dei
clienti reali o potenziali della categoria di prodotti o servizi di cui trattasi;
•
Coesistenza dei marchi in conflitto sul mercato nel medesimo territorio;
•
Conseguenze dell’effettiva confusione;
•
Decisioni anteriori di autorità comunitarie o nazionali riguardanti
controversie tra gli stessi marchi (o simili).
Il punto se vi sia o no un rischio di confusione va accertato alla luce dei fattori
di cui sopra e di ogni altro eventuale fattore pertinente nel singolo caso di
specie.
Soltanto nel caso in cui vi sia identità sia dei prodotti e servizi sia dei segni in
conflitto la valutazione diviene superflua. In questo caso, si applica la tutela
“assoluta” di cui all’articolo 8, paragrafo 1, lettera a), RMC e la domanda di
MC va respinta per tutti i prodotti e servizi identici (v. sopra, capitolo 1).
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Identità e rischio di confusione: considerazioni generali
Dato il vasto numero di fattori che possono entrare in considerazione nella
determinazione del rischio di confusione, l’esaminatore deve sempre evitare
di far riferimento ai marchi con espressioni del tipo “talmente simili da
ingenerare confusione”, “confusingly similar”, ecc.. I marchi possono essere
simili, tuttavia il rischio di confusione deve ancora essere accertato in esito ad
una valutazione globale. L’uso di tali definizioni riferite ai marchi suscita
l’impressione inesatta che la constatazione della somiglianza dei segni motivi
già di per sé l’esistenza di un rischio di confusione.
5.
Rischio di confusione: questioni di fatto e di diritto
Il rischio di confusione è un concetto giuridico; nondimeno, la sua valutazione
soggiace a criteri tanto giuridici quanto fattuali.
La questione di quali siano i fattori pertinenti per la determinazione del rischio
di confusione, e se essi siano soddisfatti, costituisce una questione di diritto. I
fattori che entrano in considerazione per la DO sono stati illustrati al
precedente paragrafo 3.4. Tra essi rientra, a titolo di esempio, la somiglianza
tra i prodotti e servizi. Inoltre, la questione della scelta dei criteri (o subfattori)
pertinenti per la determinazione di ciascun fattore di rischio di confusione e se
tali criteri siano soddisfatti, costituisce anch’essa una questione di diritto. La
DO ha individuato i seguenti fattori pertinenti per quanto riguarda la
somiglianza dei prodotti e servizi:
-
natura,
destinazione,
modalità di uso,
carattere complementare,
carattere concorrenziale,
canali di distribuzione,
pubblico di riferimento,
origine abituale dei prodotti/servizi.
Infine, costituisce altresì una questione di diritto l’accertamento dei criteri per
definire i fattori di rischio di confusione, come la natura. Tali criteri sono, in
particolare, la composizione, il principio di funzionamento, la condizione fisica,
l’apparenza e il valore.
D’altro lato, costituisce una questione di fatto il punto se i criteri giuridici per la
determinazione della “natura” siano o no soddisfatti e, in caso affermativo, in
quale grado.
Nel procedimento di opposizione le parti hanno l’onere di far valere, ed
eventualmente di provare, i fatti inerenti alla somiglianza tra i prodotti e
servizi. Tale principio discende dall’articolo 74, paragrafo 1, RMC, ai cui
termini l’Ufficio, nei procedimenti concernenti impedimenti relativi alla
registrazione, si limita all’esame dei fatti, prove ed argomenti addotti e alle
richieste presentate dalle parti.
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Identità e rischio di confusione: considerazioni generali
Si veda l’esempio seguente [ripetuto nel prosieguo, v. sub B.II. 5.2.2.b) i)]:
Il grasso per cucinare non ha la stessa natura di oli e grassi lubrificanti
derivati dal petrolio, anche se entrambi contengono una base di grassi. Il
grasso per cucinare è usato nella preparazione dei pasti per il consumo
umano, gli oli e i grassi per l’ingrassaggio delle macchine.
Considerare la “natura” alla stregua di un fattore pertinente nell’ambito
dell’esame della somiglianza è una questione di diritto. D’altro lato, affermare
che il grasso per cucinare è usato nella preparazione dei pasti e i grassi
nell’ingrassaggio delle macchine costituisce una constatazione di fatto.
Esempio:
Dall’articolo 74, paragrafo 1, RMC discende che incombe all’opponente
addurre i fatti su cui basa la propria pretesa. Poiché il richiedente ha
contestato tali fatti, incombe all’opponente altresì di provare che i fatti
addotti sono corretti. Esso ha omesso di produrre tali prove a sostegno
dell’asserito uso della ghisa da rivestimento come materiale di base
per talune parti aggiuntive di protesi mediche.
Non spetta all’Ufficio, nei procedimenti inter partes, acclarare la
questione se la ghisa da rivestimento sia effettivamente usata nelle
protesi mediche o nelle relative parti aggiuntive. Tale uso è sembrato
improbabile alla Commissione di ricorso. In base ai fatti allegati dinanzi
alla Commissione, non potrebbe in nessun caso presumersi che la
ghisa da rivestimento sia utilizzata nelle protesi o nelle relative parti
aggiuntive, talché la Commissione non può accertare alcuna
somiglianza tra le due serie di prodotti.
R 0684/2000-4 TINOX/TINOX (DE)
L’ammissione, da parte del richiedente, di concetti giuridici quali ad esempio
l’esistenza di un rischio di confusione o la somiglianza dei prodotti e servizi è
irrilevante. Essa non esime la DO dall’esaminare tale concetto e statuire al
riguardo. Ciò non è in contrasto con l’articolo 74, paragrafo 1, RMC, ai cui
termini nei procedimenti inter partes l’Ufficio si limita all’esame dei fatti, prove
ed argomenti addotti e alle richieste presentate dalle parti. Tale disposizione
vincola l’Ufficio solo per quanto riguarda i fatti, le prove e gli argomenti che
costituiscono il fondamento della sua decisione, senza estendersi alla
valutazione giuridica degli stessi. Pertanto, le parti possono mettersi
d’accordo su quali fatti siano stati provati o no, ma non stabilire se tali fatti
siano sufficienti ad avvalorare i rispettivi concetti giuridici, come la
somiglianza tra i prodotti e servizi, la somiglianza tra i segni e il rischio di
confusione.
Ulteriori ragguagli in ordine alla questione di quali fatti debbano essere addotti
e provati ove contestati, nonché all’onere della prova, sono forniti nel
prosieguo, nella parte relativa alla somiglianza tra i prodotti e servizi (v. parte
Direttive sull’opposizione - Parte 2, Capitolo 2A – Situazione: maggio 2004
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Identità e rischio di confusione: considerazioni generali
B IV 2.2.1.) e, in termini più generali, nelle direttive relative all’ammissibilità e
alle questioni procedurali (v. parte C II).
Poiché la somiglianza è un concetto giuridico, per evitare la confusione tra
questioni di fatto e di diritto è opportuno non utilizzare i termini “somiglianza” e
“dissimiglianza” nel contesto dell’accertamento dei fatti. L’uso di frasi come “i
prodotti in conflitto presentano somiglianze e dissimiglianze” va pertanto
evitato e al suo posto vanno preferite espressioni del tipo “vi sono talune
correlazioni (o collegamenti, sovrapposizioni) tra i prodotti in conflitto”.
6.
Pubblico di riferimento
6.1
Analisi terminologica
6.1.1. Necessità di una definizione di pubblico di riferimento
Ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), RMC, occorre determinare se
un rischio di confusione sussiste “per il pubblico”. Secondo la giurisprudenza
della Corte di giustizia, da tale formulazione emerge che la percezione dei
marchi operata dal consumatore medio del tipo di prodotto o servizio di cui
trattasi svolge un ruolo determinante nella valutazione globale del rischio di
confusione (v. sentenze Sabèl, punto 23, e Lloyd, punto 25).
Occorre pertanto definire il pubblico di riferimento in ciascuna decisione di
opposizione.
6.1.2. “Pubblico” e “consumatori”; confusione prima e dopo la
vendita
Il rischio di confusione da parte del pubblico abbraccia tutte le occasioni nelle
quali il pubblico può entrare in contatto con il marchio anteriore, con quello
successivo o con entrambi. Ciò si evince altresì dal fatto che le azioni di
contraffazione sono ammissibili contro l’uso di un segno nella pubblicità.
Occorre quindi prendere in considerazione:
•
la confusione prima della vendita, ossia la confusione ingenerata dalla
pubblicità dei prodotti o servizi;
•
la confusione al momento dell’acquisto o nel contesto dell’acquisto dei
prodotti o servizi, ad esempio negli acquisti effettuati nei supermercati, per
telefono, per ordine postale o via Internet;
•
la confusione dopo la vendita, cioè la confusione che sorge dopo
l’acquisto dei prodotti o servizi; ciò si verifica, ad esempio, nell’acquisto di
prodotti confezionati e la confusione sorge solo al momento in cui i prodotti
sono privati della confezione; oppure quando i prodotti o servizi siano
acquistati da acquirenti “in grado di discernere”, ma siano di fatto usati da
una categoria più ampia di persone (familiari, ecc.).
Direttive sull’opposizione - Parte 2, Capitolo 2A – Situazione: maggio 2004
13
Identità e rischio di confusione: considerazioni generali
6.1.3. I termini “cliente” e “consumatore”
Nel pronunciarsi sui casi di rischio di confusione, la Corte ha finora per lo più
equiparato le nozioni di pubblico di riferimento e di “consumatore” medio1. Il
termine “consumatore” andrebbe usato per intendere il consumatore “finale”, il
quale può “consumare” i prodotti o servizi nella sua attività privata o anche
nella sua attività professionale.
Sennonché, vi sono anche prodotti e servizi, venduti nell’ambito della catena
produttiva o distributiva (da grossisti o dettaglianti), che normalmente non
sono indirizzati a “consumatori”. Il termine più ampio “cliente” medio sembra
più idoneo a ricomprendere questa categoria di persone nella catena
produttiva e distributiva.
Il cliente medio può essere:
-
Il cliente consumatore “finale” privato medio, oppure
-
Il cliente professionale medio, sia
•
•
-
in uno stadio intermedio della produzione (ad esempio nella
lavorazione di materie prime) o della distribuzione (ad esempio nel
commercio all’ingrosso) sia
come cliente finale, oppure
in entrambi i casi (esempio: le vernici normali sono vendute sia agli
imbianchini sia ai privati che intendono eseguire lavori in proprio).
Per quanto riguarda la rilevanza del grado di avvedutezza e di attenzione del
cliente medio ai fini dell’esame del rischio di confusione, v. oltre nella sezione
IV.5.
La distinzione tra consumatori e consumatori professionali è, in linea
generale, conforme alla raccomandazione congiunta sui marchi notoriamente
conosciuti, la quale distingue tra consumatori e “ambienti” commerciali.
L’articolo 2, paragrafo 2, della raccomandazione congiunta recita:
[segmento di pubblico di riferimento]
(a) I settori di pubblico di riferimento includono, ma non sono
necessariamente limitati a:
(i) consumatori reali e/o potenziali del tipo di prodotti e/o servizi ai
quali il marchio si applica;
1
Nel contesto dell’articolo 8, paragrafo 5, RMC, la Corte ha tenuto distinte solo in termini molto generali
le nozioni di “pubblico in senso ampio” e “pubblico più specializzato”, in funzione del prodotto o servizio
(sentenza Chevy, punto 24).
Direttive sull’opposizione - Parte 2, Capitolo 2A – Situazione: maggio 2004
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Identità e rischio di confusione: considerazioni generali
(ii) persone coinvolte nei canali distributivi del tipo di prodotti e/o
servizi ai quali il marchio si applica (si riferisce anche ai consumatori;
v. nota 2.13);
(iii) ambienti commerciali (importatori, grossisti, licenziatari,
concessionari di franchising; v. nota 2.14) operanti con il tipo di
prodotti e/o servizi ai quali il marchio si applica.
Raccomandazione congiunta concernente disposizioni in materia di
protezione dei marchi notoriamente conosciuti, adottata dall’Assemblea
dell’Unione di Parigi per la protezione della proprietà industriale e
dall’Assemblea generale dell’Organizzazione mondiale della proprietà
intellettuale (OMPI) alla Terza-Quarta serie di riunioni delle Assemblee degli
Stati membri dell’OMPI, il 10-29 settembre 1999.
I clienti consumatori, nel prosieguo denominati semplicemente “consumatori”,
possono essere
-
il pubblico in senso ampio, ad esempio quello di beni di consumo di massa
quali i prodotti alimentari per il consumo umano, oppure
un solo segmento del pubblico in senso ampio, interessato all’acquisto di
determinati prodotti e servizi specifici, ad esempio il tabacco.
23/1998 SODEXHO (cl. 35, 37, 42) / SODECO (cl. 35, 37, 42) (FR),
532/1999 PROTECTOR (cl. 3) / LIPROTECTOR (cl. 3) (EN),
20/1998 HUMICA (cl. 1) / HUMIC (cl. 1) (EN).
I clienti medi della categoria di prodotti o servizi in questione costituiscono il
pubblico di riferimento. Come si è prima rilevato, nel valutare il rischio di
confusione ha rilevanza la percezione dei marchi da parte del pubblico di
riferimento.
La parola clienti si riferisce sempre a clienti reali e potenziali, ossia a clienti
che acquistano ora oppure in futuro i prodotti o servizi. Sono clienti potenziali
anche coloro i quali, nel normale corso degli eventi, si prevede che acquistino
i prodotti o servizi (ad esempio, un membro di una famiglia acquista prodotti o
servizi di cui non ha bisogno per un altro membro della famiglia).
6.1.4. Uso dell’espressione “utilizzatori finali”
L’espressione “utilizzatori finali”, sempreché usata, va usata con prudenza in
quanto è imprecisa. Essa comprende in ogni caso i consumatori, ma in
aggiunta può considerarsi ricomprendere anche i clienti professionali nella
catena produttiva, i quali sottopongono il prodotto a un’ulteriore lavorazione.
Essa non si applica invece ai clienti professionali nella catena di distribuzione,
cioè ai grossisti e ai dettaglianti. È bensì vero che l’espressione inglese “end
users” (utilizzatori finali) viene menzionata nella versione inglese della
sentenza Canon:
“In assessing the similarity of the goods or services concerned … all the
relevant factors relating to those goods or services themselves should be
Direttive sull’opposizione - Parte 2, Capitolo 2A – Situazione: maggio 2004
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Identità e rischio di confusione: considerazioni generali
taken into account. Those factors include, inter alia, their nature, their
end users and their method of use and whether they are in competition
with each other or are complementary” (versione inglese della sentenza
Canon, punto 23).
Tuttavia, in quel caso l’espressione “end users” costituisce una non corretta
traduzione di “Verwendungszweck” (DE), “destination” (FR), “destino” (ES) e
“destinazione” (IT); la lingua processuale, in quel procedimento, era il tedesco
e solo la versione tedesca della sentenza è quella facente fede.
La corretta versione inglese del punto 23 della sentenza Canon dovrebbe
invece recitare come segue
“Those factors include, inter alia, their nature, their purpose of use
(anziché “end users”) and their method of use, and whether they are
in competition with each other or are complementary”.
Anche se molto tempo è trascorso dalla sentenza Canon (pronunciata il 29
settembre 1998) e la traduzione imperfetta è stata ampiamente usata (persino
dalle Commissioni di ricorso e dal Tribunale di primo grado), la DO utilizzerà
in futuro i termini corretti nell'esame della somiglianza tra i prodotti.
6.2
Pubblico di riferimento: accezione per quanto attiene
all’esame del rischio di confusione
La prassi della divisione Opposizione è di tener conto della percezione dei
marchi da parte del cliente medio del tipo di prodotti o servizi di cui trattasi
unicamente nell’ambito della valutazione finale del rischio di confusione.
Identico principio vale per quanto attiene alla percezione dei prodotti o servizi.
La questione è analizzata più in dettaglio nella parte relativa alla “valutazione
globale” delle presenti direttive (v. oltre, parte IV).
Il pubblico di riferimento ha tuttavia rilevanza anche nell’ambito dell’esame
della somiglianza tra i prodotti o servizi. Tale criterio ha importanza, in
particolare, quando non vi siano, o quasi, coincidenze per quanto attiene al
pubblico di riferimento. Tale accertamento costituisce un forte indizio contrario
alla somiglianza tra i prodotti o servizi (v. oltre, sub B II 5.2.8).
6.4
È sufficiente che il rischio di confusione sussista per una
parte significativa del pubblico di riferimento
Se una parte significativa del pubblico di riferimento può essere indotta in
confusione riguardo all’origine dei prodotti, tale circostanza è sufficiente per
dimostrare l’esistenza di un rischio di confusione. Non è necessario
dimostrare che tutti i clienti reali o potenziali possano essere indotti in
confusione.
Vi possono essere numerosi gruppi distinti di clienti per uno stesso prodotto o
servizio ed avere tutti dimensioni sostanziali, ossia più pubblici di riferimento.
In tal caso, ciascuno di questi distinti pubblici di riferimento può avere
Direttive sull’opposizione - Parte 2, Capitolo 2A – Situazione: maggio 2004
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Identità e rischio di confusione: considerazioni generali
caratteristiche proprie, con la conseguenza che il rischio di confusione può
differire in funzione del relativo gruppo di appartenenza. Se l’esaminatore
ravvisa un rischio di confusione rispetto ad un solo gruppo avente dimensioni
sostanziali, ciò costituirà una base sufficiente per constatare l’esistenza di un
rischio di confusione.
7.
Somiglianza tra i segni
Nell’esame della somiglianza tra i segni, le analogie tra i segni sono
analizzate in base a criteri obiettivi. Ad esempio, per quanto attiene alla
somiglianza concettuale, ELISA è un’abbreviazione per “enzyme linked
immunoassay solvent assay” (un test diagnostico sensibile in grado di rilevare
un’esposizione passata o in corso al virus dell’AIDS).
L’incidenza del grado di avvedutezza e di attenzione del pubblico di
riferimento nella percezione dei segni è presa in considerazione nell’esame
finale del rischio di confusione. Nell’esempio di cui sopra, si terrà conto,
nell’esame finale, del fatto che i clienti dei prodotti in questione sono
specialisti altamente qualificati, in grado di riconoscere il significato di ELISA.
V. 1183-2002 RELISA / VARELISA (EN) e oltre, sub D I 5.2.3.
8.
Somiglianza tra i prodotti o servizi
La somiglianza tra i prodotti o servizi in conflitto dev’essere valutata da un
punto di vista commerciale. L’esaminatore deve tener conto della realtà di
mercato che caratterizza il rapporto tra i prodotti o servizi messi a confronto.
Tale realtà di mercato occuperà spesso uno spazio importante anche in sede
di valutazione globale del rischio di confusione. Ad esempio, le forme dei
prodotti possono avere un impatto sul grado di attenzione del cliente: in caso
di prodotti costosi (come le automobili), il grado di attenzione è normalmente
più elevato che nell’acquisto di prodotti occasionali (ad esempio i dolci) (v.
parte B IV 5.3). Inoltre, il modo in cui una determinata categoria di prodotti o
servizi viene commercializzata può accrescere l’importanza di uno dei
differenti aspetti della somiglianza tra i segni (visiva, fonetica o concettuale)
(v. parte B IV 4).
9.
Il momento rilevante
Il momento rilevante ai fini della valutazione del rischio di confusione è il
momento dell’adozione della decisione.
Se l’opponente fa valere una portata accresciuta della protezione (forza) del
marchio anteriore, i requisiti di tale portata accresciuta devono essere
soddisfatti alla data di deposito della domanda di MC (o alla data eventuale di
priorità) e devono continuare a sussistere al momento della decisione. Nella
Direttive sull’opposizione - Parte 2, Capitolo 2A – Situazione: maggio 2004
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Identità e rischio di confusione: considerazioni generali
prassi della divisione Opposizione, quest’ultima circostanza è presunta, salvo
il caso in cui risultino indicazioni contrarie.
Se il richiedente il MC fa valere una portata ridotta della protezione
(debolezza), ha rilevanza solo la data della decisione. All’atto pratico una
simile circostanza è alquanto eccezionale, dato che presuppone un drastico
cambiamento delle condizioni di mercato lungo un periodo di tempo
relativamente breve. Un esempio può essere costituito dall’industria delle
telecomunicazioni, nella quale, dalla primavera del 2000, la presenza sul
mercato di molti marchi, prima ampiamente usati nella “new economy” è
mutata in maniera significativa (v. la parte delle direttive sull’articolo 8,
paragrafo 5, RMC, sezione III. 1.2.5).
IV.
TIPI DI RISCHIO DI CONFUSIONE
1.
Confusione tra i marchi in quanto tali (confusione diretta)
La confusione è in genere inevitabile laddove le differenze tra i marchi e i
prodotti siano così sottili che vi sia il rischio che il pubblico non le noti o le
dimentichi o non presti loro attenzione, confondendo direttamente i marchi e
scambiando l’uno con l’altro.
2.
Confusione non tra i marchi in quanto tali, bensì riguardo
all’origine (confusione indiretta)
Nella sentenza Sabèl, la Corte ha sottolineato come il concetto di rischio di
associazione non sia alternativo a quello di rischio di confusione, bensì serva
a precisarne l’estensione. Nella sentenza Adidas, la Corte ha aggiunto che,
anche in caso di marchi anteriori che godono di notorietà, l’esistenza di un
rischio di associazione in senso stretto non può far presumere l’esistenza di
un rischio di confusione.
Ne consegue che, se la percezione di un marchio si limita a richiamare alla
memoria l’altro, ma il pubblico rimane consapevole della loro differenza e non
suppone che i prodotti o servizi per i quali il marchio è usato siano
riconducibili alla medesima origine (intesa in senso ampio, comprendendovi le
imprese tra loro economicamente collegate), non può esservi rischio di
confusione.
Come rilevato sopra, la mera associazione che il pubblico possa compiere tra
due marchi, per il fatto che presentino taluni tratti comuni, non è sufficiente ai
fini dell’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), RMC. In molti casi però le
sovrapposizioni tra i marchi possono bastare ad evocare un’origine comune,
anche quando un marchio non venga scambiato con l’altro.
Esempio: 113/1998 SUNRISE / SUNSET (EN)
Direttive sull’opposizione - Parte 2, Capitolo 2A – Situazione: maggio 2004
18
Identità e rischio di confusione: considerazioni generali
Di conseguenza, può esservi rischio di confusione anche quando il pubblico di
riferimento sia in grado di distinguere tra i marchi in quanto tali, ma possa
ugualmente essere indotto a supporre che i prodotti provengano dalla stessa
impresa o da imprese economicamente collegate.
Un’ipotesi del genere si verifica in presenza di una famiglia di marchi. I marchi
della casa o gli identificatori di linee di prodotti sono spesso combinati con altri
elementi secondari in una famiglia di marchi, che mostrano di avere una
comune origine. Tale uso sistematico di un componente di base da parte dello
stesso titolare in varie combinazioni di segni e in diversi contesti può indurre il
pubblico a ignorare le eventuali differenze secondarie, in caso di marchi “terzi”
costruiti attorno al medesimo elemento “centrale”, portandolo a credere che
esso indichi solo un nuovo prodotto di una linea di prodotti appartenente alla
medesima entità commerciale (v. oltre, punto D. I. 10.2).
V.
LA STRUTTURA DELLE DECISIONI DI OPPOSIZIONE
1.
I prodotti o servizi sono manifestamente dissimili
L’esame si inizia in genere con il raffronto tra i prodotti e servizi. Se questi
ultimi non sono manifestamente dissimili, e quindi non può escludersi ab initio
qualsiasi rischio di confusione sotto tale profilo, sono messi a confronto anche
i segni. Altrimenti l’esame è concluso.
353/1999 POLAR / POLAR (EN),
904/1999 BOULEVARD / BOULEVARD PEDRALBES (EN).
L’esame può essere concluso per via della dissimiglianza dei prodotti e servizi
posti a confronto soltanto se la stessa conclusione sarebbe intervenuta nel
caso, teorico, in cui gli altri criteri pertinenti del rischio di confusione fossero
soddisfatti al massimo grado, in particolare se i segni fossero identici e il
marchio anteriore fosse dotato di elevato carattere distintivo. Di ciò deve
esservi espressa menzione nella decisione. A tal fine, si suggerisce il
seguente paragrafo standard:
Alla luce delle considerazioni che precedono, la presente constatazione
della dissimiglianza tra i prodotti/servizi non sarebbe diversa nemmeno se
gli altri criteri pertinenti per il rischio di confusione fossero soddisfatti al
massimo grado, in particolare se i segni fossero identici e il marchio
anteriore fosse dotato di elevato carattere distintivo. Ai sensi dell’articolo 8,
paragrafo 1, RMC, la somiglianza tra i prodotti o servizi costituisce un
presupposto per la constatazione del rischio di confusione. Poiché i
prodotti/servizi sono manifestamente dissimili, non può esservi rischio di
confusione. Di conseguenza, non è necessario proseguire con l’esame, in
particolare con il raffronto tra i segni.
Esempio:
Direttive sull’opposizione - Parte 2, Capitolo 2A – Situazione: maggio 2004
19
Identità e rischio di confusione: considerazioni generali
La birra è stata ritenuta sufficientemente dissimile dall’elettronica, come pure
mostre artistiche da abbigliamento, affinché l’esame fosse concluso senza
passare al raffronto tra i segni.
353/1999 POLAR (cl. 32) / POLAR (cl. 9) (EN)
Altri esempi:
904/1999 BOULEVARD (cl. 25) / Bvd. PEDRALBES (cl. 41) (EN),
1531/2001 Lloyd’s (cl. 18, 25) / Euro Lloyds (cl. 36),
2618/2001 Diane (cl. 5) / Diana (cl. 3, 5).
Per contro, se dalle connessioni constatate tra i prodotti e servizi emerge che
il pubblico potrebbe essere indotto a supporre che essi provengano dalla
stessa impresa, o da imprese economicamente collegate, l’esame prosegue e
deve essere formulata una conclusione circa il grado di somiglianza
constatata tra i prodotti.
1999-2001 Blû (cl. 33) / BLU (cl. 32) (EN).
Per determinare il grado di somiglianza tra i prodotti o servizi, vanno presi in
esame i criteri pertinenti in ciascun caso (v. oltre, parte II).
Esempio riguardo al grado di somiglianza:
A giudizio della Commissione di ricorso, giochi e giocattoli non erano
semplicemente simili, bensì “fortemente simili” [R 0626/2000-3 (EN) IMC (fig.)
/ IMC (fig.)].
In una seconda fase, viene valutato il grado di somiglianza dei segni,
applicando i criteri illustrati nella successiva parte III.
In una terza fase, è compiuta una valutazione globale di tutti i fattori pertinenti,
il grado di somiglianza constatato tra i marchi e tra i prodotti e servizi, il grado
di carattere distintivo del marchio anteriore, il grado di avvedutezza e di
attenzione del cliente medio dei prodotti o servizi in questione e ogni altro
fattore pertinente. La valutazione di tutti i fattori pertinenti è intesa ad
accertare se sussista un rischio di confusione.
2.
I segni sono manifestamente dissimili
Lo schema di cui sopra è ribaltato, per ragioni pratiche, allorché le differenze
tra i segni sono così palesi che una confusione sarebbe con ogni evidenza
impossibile, anche qualora fossero soddisfatti al massimo grado gli altri criteri
pertinenti relativi al rischio di confusione, ossia se i prodotti e servizi fossero
identici e il marchio anteriore fosse altamente distintivo. In siffatta ipotesi,
l’esame comincia con il raffronto tra i segni e si conclude immediatamente
una volta dimostrato che essi sono palesemente dissimili.
374/1999 DANN BEER / DÜKS (EN),
Direttive sull’opposizione - Parte 2, Capitolo 2A – Situazione: maggio 2004
20
Identità e rischio di confusione: considerazioni generali
459/1999 SOFT-IN AD. KRAUTH / SOFTPEN (DE),
1628/1999 ORAL / DR.BEST (DE).
In tal caso, si suggerisce il seguente paragrafo standard:
Alla luce delle considerazioni che precedono, la presente constatazione
della dissimiglianza tra i segni in conflitto non sarebbe diversa nemmeno se
gli altri criteri pertinenti per il rischio di confusione fossero soddisfatti al
massimo grado, in particolare se i prodotti/servizi fossero identici e il
marchio anteriore fosse dotato di elevato carattere distintivo. Ai sensi
dell’articolo 8, paragrafo 1, RMC, la somiglianza tra i segni costituisce un
presupposto per la constatazione del rischio di confusione. Poiché i segni
sono manifestamente dissimili, non può esservi rischio di confusione. Di
conseguenza, non è necessario proseguire con l’esame, in particolare con il
raffronto tra i prodotti/servizi.
Analogamente alla precedente sezione V.1., se un rischio di confusione non
può essere escluso in base alla dissimiglianza tra i segni, si procede a
valutare il grado di somiglianza dei segni. In una seconda fase, si determina il
grado di somiglianza dei prodotti o servizi e, in una terza fase successiva, si
effettua la valutazione globale.
Direttive sull’opposizione - Parte 2, Capitolo 2A – Situazione: maggio 2004
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