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Giacomo Casanova e la formula della Pietra filosofale
Karl Ernst Biron
Peter Biron
Ernst Johann Biron
Il primo giorno dell’anno 1798, Giacomo Casanova, intento a registrare le sue memorie è
giunto al punto in cui, trent’anni prima1, aveva deciso di rivelare un suo importante segreto al
principe Carlo di Curlandia. Il segreto era, niente di meno, che la ricetta della pietra filosofale.
Ricetta che ebbe l’avventatezza di inviare per lettera; lettera che invece di andare distrutta, venne
requisita e conservata nell’archivio della Bastiglia, dove, dopo la rivoluzione, fu rinvenuta e resa
pubblica. Ora, nonostante le malelingue dei suoi nemici si sforzino per far credere il contrario, è
sicuro che proprio per quella lettera egli sarà ammirato e riceverà “onore immortale” e per questo,
essendo ormai pubblica, decide di inserirla integralmente nel racconto delle sue memorie.
Mettendocela a disposizione ci lascia quindi liberi di decidere se schierarci a suo favore o contro.
Per decidere però, dovremo prima provare a far luce sul suo contenuto, non accessibile
immediatamente.
È il 1767, Giacomo è ad Augusta2 desideroso di recarsi alle terme di Spa in Belgio e come gli
succede spesso, è a corto di denaro. Decide allora di rivolgersi al principe Carlo di Curlandia3, per
un prestito. Aveva conosciuto il giovane principe qualche anno prima, a Riga, Venendo da Mittau4,
la capitale del ducato5, dove aveva servito suo padre6 e molto probabilmente, fu in quell’occasione
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Trentuno per la precisione, trattandosi del 1767.
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Giacomo, nella sua vita si recò ad Augusta tre volte, nel 1756, poco dopo la sua fuga da Piombi, nel 1761 e nel 1767.. La nota 2 di p. 359 della
Storia della mia vita, ci informa che egli, spesso, tende a confondere avvenimenti del suo terzo soggiorno con altri del secondo. In questo caso però la
data è sicuramente esatta. Poiché Casanova si recò a Mittau nel 1764, solo dopo il suo secondo soggiorno ad Augusta. Lì conobbe il duca, Ernst
Johann Biron, divenuto duca di Curlandia solo l’anno precedente, per volontà dell’imperatrice Caterina II di Russia, che l’aveva sostituito a Carlo di
Sassonia.
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Karl Ernst Biron di Curlandia (11 ottobre 1728-16 ottobre 1801), general maggiore al servizio della Russia, ciambellano e cavaliere di Alessandro
Newskij. Figlio di Ernst Johann Biron e fratello minore di Peter Biron.
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Oggi (Jelgava), in Lettonia.
Ducato di Curlandia e di Semigallia.
Ernst Johann Biron (3 dicembre 1690 – 28 dicembre 1772), nominato duca di Curlandia nel 1737 dall’Imperatrice Anna I di Russia di cui era
l’amante. Alla morte dell’imperatrice (1740) fu designato reggente del futuro zar, il piccolo Ivan VI di Russia e nello stesso anno, sorpreso mentre
tentava di uccidere un suo vecchio rivale, condannato a morte. Condanna commutata in confino a vita a Pelym in Siberia. Il re Augusto III di Polonia,
colse l’occasione per nominare duca Carlo di Sassonia, che poté mantenere il ducato solamente grazie alle lotte di potere che, in Russia, precedettero
l’ascesa di Caterina II (1762), che, salita al trono, non tardò a sostituire Biron (già fatto rientrare dall’esilio dal marito e predecessore Pietro III), a
Carlo di Sassonia.
“…il celebre Biron o Birhen, il quale era stato il favorito dell’imperatrice Anna Ivanovna e reggente di Russia dopo la sua morte e poi era stato
condannato a vivere in Siberia per vent’anni: era un omone alto sei piedi, e si vedeva che era stato bello, ma la vecchiaia distrugge tutto.” (Vol. 3,
cap. VII, p.181).
Era padre di due figli: Peter e Karl Ernst. Quest’ultimo, al momento, comandava la guarnigione di Riga e sapendo che Casanova sarebbe passato per
quella città, il duca lo fornì di una lettera di presentazione indirizzata al suo nome.
che, per far colpo, egli diede prova delle sue profonde conoscenze alchemiche, trasformando un
semplice pezzo di ferro in rame, sotto gli occhi stupefatti del principe.
Operazione molto semplice e nota da tempo fra gli alchimisti7, ma sufficiente a suscitare l’interesse
di Carlo, che, quando si lasciarono, lo pregò di svelargliene il segreto.
Conoscerlo gli avrebbe permesso di rimpinguare le scarse finanze del suo povero stato e le sue.
Allora Giacomo, poiché i grandi iniziati sono tenuti al segreto, si era rifiutato. Si sa, non tutti i
segreti si possono svelare o comunque, svelare a chiunque senza le debite garanzie; neppure ad un
principe. Ma ora, spinto dalla necessità (di andare a passare le acque a Spa!), in cambio di poca cosa
(un centinaio di ducati), egli era disposto a farlo. Anzi gli avrebbe svelato un segreto mille volte più
grande. Il più grande. L’ultimo segreto per gli alchimisti. La ricetta “per la preparazione della
pietra filosofale”!
Unica raccomandazione, quella di non tentare la difficile opera da solo, poiché egli stesso, qualora il
principe avesse voluto sfruttare adeguatamente la formula, si metteva sin da quel momento a sua
disposizione, quale direttore dei lavori e per pagamento, non avrebbe accettato altro se non “il
materiale che a V. A. piacerà destinarmi, dopo averlo fatto coniare nel modo che le indicherò.”.
Per sottolineare la propria buona fede, Giacomo non esitava ad inviargli in anteprima, per iscritto, il
procedimento dell’operazione capace di trasformare l’argento in oro, con la sola raccomandazione
di bruciare la lettera dopo averla letta8.
Ma, facendogli questa proposta, che cosa intendeva in realtà?
Quando sottolineava che “ …il suo oro sarà eguale a quello di cui sono fatti gli attuali zecchini
veneziani9”, ciò che prometteva non era tanto la trasformazione di un elemento (argento) in un altro
(oro), ma la creazione di una lega argento/oro (“il suo oro”), che una volta raggiunta la giusta
colorazione (“quando sarà graduato”) sarebbe stata indistinguibile (alla vista) dall’oro puro. Da qui
la necessità di un principe con la facoltà di battere moneta (come, appunto, il principe Carlo quando
avrebbe preso il posto del padre). Una volta uscito dalla zecca di stato, chi avrebbe messo in dubbio
la composizione di quell’oro?
“A indurmi a fare quanto sto per fare non è soltanto l’affetto che le porto. Le confesso, anzi, che
l’interesse vi ha altrettanta parte. (…) Attualmente il mio benessere sarebbe al massimo, per
quanto si riferisce alle ricchezze, se avessi potuto affidarmi a un principe che battesse moneta.”
In realtà Giacomo ha bisogno di un complice e spera nel principe, che più volte gli si è dimostrato
amico e che sa essere a corto di denaro quanto lui.
Non sappiamo se Carlo abbia mai inviato i cento ducati richiesti. Il testo non è chiaro su questo
fatto. Sappiamo di una lettera di risposta che raggiunse Giacomo ad Ulm, ma anche in questo caso
non si fa cenno ai cento ducati.
Comunque, che fossero arrivati o meno, cento ducati erano solo spiccioli di fronte all’opportunità di
arricchirsi battendo moneta per proprio conto. Una speranza però che andò ben presto delusa.
Giacomo aveva scommesso su Carlo, che per quanto figlio cadetto, sapeva essere il prediletto. Ma il
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Si tratta di far depositare sul ferro un sottile strato di rame, inferiore al centesimo di millimetro, per immersioni, via via sempre più concentrate, in
soluzioni di un sale di rame, di solito solfato di rame. Ad ogni passaggio si spazzolano via i depositi di rame che non si fissano al ferro sino ad
ottenere il risultato desiderato. Si trovano notizie su operazioni di questo tipo anche in testi molto antecedenti il XVIII sec. Sembra che il primo a
parlarne sia stato lo storico bizantino Zosimo (vissuto nel V secolo d.C.).
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Cosa che Carlo non farà. La conserverà e l’avrà ancora con sé quando, a Parigi, l’anno successivo, sarà arrestato per aver emesso cambiali false e
rinchiuso nella Bastiglia (9 gennaio 1768) e la lettera sequestrata insieme alle sue carte.
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Gli zecchini veneziani erano d’oro praticamente puro (al 997%), da cui l’espressione di “Oro zecchino” per indicare l’oro con un altissimo grado di
purezza.
duca, due anni più tardi, probabilmente proprio a causa della sua cattiva condotta10 abdicherà a
favore del primogenito Pietro11, che sarà l’ultimo duca di Curlandia.
Che il procedimento proposto si risolvesse in un semplice imbroglio lo si può meglio comprendere
se lo si spoglia della fantastica veste alchemico/cabalistica di cui è rivestito.
La parte più laboriosa dell’operazione è quella destinata a dare all’argento una colorazione dorata.
Si parte da 4 once12 d’argento (Ag) (luna), poco più di un etto, che si sciolgono in acido nitrico (HNO3) (acqua forte), ottenendo una
soluzione incolore di nitrato d’argento (AgNO3). Intingendo nel liquido una foglia di rame, avremo una reazione (AgNo3 + Cu = Ag
+ Cu(NO3)2) da cui otterremo nitrato di rame ed argento metallico, che precipiterà sul fondo del recipiente sotto forma di una polvere
grigiastra. Filtrando e sciacquando il tutto, potremo recuperare l’argento e rimuovere il nitrato di rame (lavare il tutto in acqua
tiepida per rimuovere gli acidi).
Ridotto l’argento in polvere lo si mescola con mezza oncia di cloruro di ammonio13 (NH4Cl) (sale ammoniaco) e lo si ripone dentro
un alambicco.
A parte si prendono una libbra14 di allume di piuma (Allume di potassio - KAl(SO4)2), una di cristallo ungarico15, quattro once di
verderame (un ossido di rame quale il Carbonato rameico - CuCO3 oppure Cloruro rameico - CuCl2), o un insieme variabile di
entrambi), quattro once di cinabro (Solfuro di mercurio - HgS)16 due once di zolfo (S) (zolfo vivo)17.
Una volta ridotto tutto in polvere lo si mette tutto in un recipiente (pieno a metà) capace di tenere il fuoco. Il fuoco prima deve essere
lento, quindi va forzato e quando dal recipiente si cominciano a sollevare dei vapori, lo si deve collegare all’alambicco contenente
l’argento ed il cloruro di ammonio, in modo che i vapori passino nell’alambicco ma facendo attenzione che quando il prodotto del
primo recipiente incomincia a sublimare il sublimato non filtri nell’alambicco. Lasciare raffreddare. Scollegare e chiudere il
10
Karl Ernst era ricercato per debiti in quasi tutte le principali città d’Europa e nel 1768 fu incarcerato alla Bastiglia, per aver emesso cambiali
fasulle.
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Peter Biron (15 febbraio 1724 –13 gennaio 1800) fu l'ultimo duca di Curlandia e Semigallia, dal 1769 al 1795 e duca di Sagan dal 1786. Alla terza
divisione della Polonia, nel 1795, il regno di Stanislao II Augusto e la Curlandia passarono alla Russia. Pietro Biron fu sollevato dall'incarico, pur
continuando, per ordine di Caterina II a percepire una rendita annuale di 25.000 ducati e con la famiglia si trasferì nel Ducato di Sagan, che gli era
stato lasciato come indennizzo.
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Difficile conoscere il peso esatto di un’oncia, perché non sappiamo a quale sistema faccia riferimento Casanova. In Francia un’oncia equivaleva a
30,59 g., a Venezia si distinguevano un’oncia grossa di 39,75 g. ed una sottile di 25 g., nel sistema britannico si faceva riferimento a due sistemi,
ancora oggi in uso, uno in cui l’oncia vale 28,35 g., la cosiddetta oncia «avoirdupois» (dal francese «avere del peso») e l’«oncia troy» o
«apothecaries» che equivale a 31,1035 g. che è l’unità di misura che ancora oggi è utilizzata nel commercio dei metalli preziosi. Possiamo quindi
considerare un’oncia più o meno pari a 30 grammi
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Non so se effettivamente l’aggiunta di cloruro di ammonio all’argento possa essere efficace ad ottenere il risultato sperato. In ogni caso poiché il
sale ammoniaco (per il modo in cui si dissocia in due potenti corrosivi, l'ammoniaca e l'acido cloridrico, che attaccano i metalli) era considerato come
un elemento fondamentale per la trasformazione dei metalli, era sempre bene inserirlo nelle proprie ricette (vere o false che fossero).
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Probabilmente una libbra di Parigi, che valeva 489,5 g.
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Elemento misterioso che potrebbe essere una sostanza a base di resina di pino, nota come Balsamo ungarico, oppure una polvere di cristallo di
Boemia. In ogni caso un materiale, credo, ininfluente rispetto al risultato finale.
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Il cinabro, solfuro di mercurio (HgS), è un elemento fondamentale in alchimia. Da esso, riscaldandolo si ricava il mercurio, il più misterioso fra i
metalli, unico fra ad avere forma liquida, brillante come uno specchio e che, se riscaldato, evapora completamente senza lasciare nulla dietro di sé…
Esempio concreto della possibilità di trasformare una materia in un’altra… Anche il cinabro, era bene fosse comunque presente in una ricetta
alchemica.
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Lo zolfo, come il mercurio, per gli alchimisti era uno dei principi occulti costitutivi della materia e non poteva mancare. Mercurio, zolfo e cloruro
di ammonio, il sale di ammonio dell’acido cloridrico (sale fisso di urina), erano tra le sostanze indispensabili all’opera di trasformazione dei metalli.
recipiente con l’argento e riscaldare a fuoco lento per 24 ore. Poi ravvivare il fuoco fino all’intera essiccazione del prodotto. Quindi
mettere il prodotto in un alambicco di circolazione18 e riscaldare a fuoco lento per 24 ore. Ripetere tre volte quest’ultima operazione
fino a che si vedrà l’argento prendere il colore dell’oro.
Ora, fondendo il materiale ottenuto con 2 once d’oro puro e ripassando il tutto in acido nitrico, si
dovrebbero ottenere 4 once19 “d’oro estremamente resistente, perfetto come peso e eccezionalmente
malleabile, ma pallido20.”
Diagramma rappresentativo delle colorazioni
assunte dalle leghe Ag-Au-Cu. Le scale numeriche
scritte ai lati del triangolo si riferiscono alla
frazione di oro, argento e rame.
A questo punto però, per portare a pieno compimento l’operazione, era indispensabile la
partecipazione di un principe autorizzato a battere moneta, la cui autorità sarebbe stata la garanzia
dell’autenticità di quell’oro.
(almeno fino a quando qualcuno, saggiandolo, non avesse scoperto l’imbroglio).
Se non fosse stato così, una volta a conoscenza del segreto, Giacomo, avrebbe provveduto da solo e
di sicuro, ne avrebbe approfittato abbondantemente.
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Un alambicco il cui tubo d’uscita entra di nuovo nel vaso stesso, detto pellicano.
Mancano 2 once d’argento, dalle 4 iniziali, che probabilmente vanno perdute durante il procedimento.
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Una colorazione simile, credo, a quella dell’ oro detto “verde” che si ottiene fondendo insieme 750 parti d’oro puro con 250 parti di argento puro e
rame. Una lega già nota agli etruschi, composta dal 75% d’oro, il 12,5% d’argento e il 12 % di rame.
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