Natura e criteri di determinazione dell`assegno di divorzio . NOTA a

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Natura e criteri di determinazione dell`assegno di divorzio . NOTA a
Natura e criteri di determinazione dell’assegno di divorzio
Dott.ssa Annarita Manzo -praticante avvocato.
Massima:
“IL tenore di vita coniugale, ai fini della determinazione dell’assegno divorzile. Deve
essere desunto dalle potenzialità economiche dei coniugi ossia dall’ammontare
complessivo dei loro redditi e dalle loro disponibilità patrimoniali: tale valutazione deve
essere operata con riguardo al momento della pronuncia di divorzio”.
Corte di Cassazione, sez. I Civile - sentenza 11 ottobre 2013 n. 23198
L’oggetto della controversia è il diritto di Ma. Ma. a percepire o meno assegno divorzile dall’ex
coniuge M.A.
il Tribunale di Roma, dopo aver pronunciato la cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto da M.A. e
Ma.Ma., con sentenza definitiva n. 19547/2005, ha affidato alla Ma. Ma. il figlio A., ha assegnato, altresì, la casa
coniugale condotta in locazione alla Ma. e ha disposto che il M. versasse un assegno mensile di mantenimento di
1.200 Euro in favore della Ma. e un assegno mensile di mantenimento in favore dei figli, A. e M.F., di 2.000 Euro.
Avverso la decisione ha proposto appello M.A. censurando la decisione relativa all'imposizione di un assegno di
mantenimento in favore della Ma..
La Corte di appello di Roma ha disposto la riduzione dell'importo dell'assegno a 1.000 Euro mensili.
Ricorre per cassazione M. affidandosi ad un unico motivo di impugnazione con il quale deduce violazione dell'art.
5, sesto comma, della legge n. 898/1970 e successive modificazioni.
Si difende con controricorso Ma.Ma..
Motivi della decisione
Il ricorrente chiede alla Corte di enunciare i seguenti principi di diritto:
1) in caso di separazione consensuale la rinuncia da parte di un coniuge a fruire di un assegno separatizio spiega
una propria specifica valenza probatoria che, peraltro, - in caso di richiesta di assegno divorzile - va contrastata
con altre comprovate argomentazioni, ma che non può essere ignorata;
2) il tenore di vita nel corso del matrimonio rappresenta un criterio di riferimento per l'erogazione di un assegno
divorzile ma ciò non oltre la sentenza di cessazione degli effetti civili conseguenti al matrimonio stesso, specie al
di fuori di una carriera di routine;
3) le diseconomie nascenti dalla dissoluzione del vincolo vanno comunque suddivise tra tutti i componenti della
famiglia, ove non sia colpa a carico di uno dei due coniugi.
La pretesa violazione della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, è insussistente. Il primo e terzo quesito di diritto,
che il ricorrente sottopone alla Corte sotto forma di principi di diritto da enunciare, appaiono manifestamente
privi di contenuto giuridico e come tali inammissibili. Vale peraltro ricordare la giurisprudenza di legittimità
secondo cui, data la diversità della disciplina sostanziale e della natura, struttura e finalità dell'assegno di
divorzio rispetto all'assegno di mantenimento, l'assetto economico concordato dai coniugi in regime di
separazione non spiega alcuna efficacia ai fini della determinazione dell'assegno di divorzio potendo
rappresentare un mero indice di riferimento nella misura in cui appaia idoneo a fornire utili elementi di
valutazione (Cass. civ. n. 15728/2005). Nella specie peraltro è lo stesso ricorrente a menzionare la disponibilità in
favore della Ma. di un fondo, ammontante a 65.000.000 di lire, costituito con denaro del M..
8. Quanto al secondo quesito va invece ribadita la giurisprudenza di questa Corte (Cass. civ. 6541/2002) secondo
la quale il tenore di vita coniugale, ai fini della determinazione dell'assegno divorzile, deve essere desunto dalle
potenzialità economiche dei coniugi ossia dall'ammontare complessivo dei loro redditi e dalle loro disponibilità
patrimoniali e tale valutazione deve essere operata con riguardo al momento della pronuncia di divorzio ivi
compresi gli incrementi economici intervenuti dopo la cessazione della convivenza che costituiscano tuttavia il
naturale e prevedibile sviluppo dell'attività svolta durante la stessa. Principio a cui la Corte di appello si è
incontestabilmente attenuta.
9. Il ricorso va pertanto respinto con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione.
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P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione liquidate
in complessivi Euro 2.200 di cui 200 per spese.
Nota
Il concetto di assegno divorzile viene introdotto con la legge n. 898 del 1° dicembre 1970,
la quale all’art. 5, 4° co., così dispone: “Con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la
cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale dispone, tenuto conto delle
condizioni economiche dei coniugi e delle ragioni della decisione, l’obbligo per uno dei
coniugi di somministrare a favore dell’altro periodicamente un assegno in proporzione alle
proprie sostanze e ai propri redditi. Nella determinazione di tale assegno il giudice tiene
conto del contributo personale ed economico dato da ciascuno dei coniugi alla conduzione
familiare ed alla formazione del patrimonio di entrambi. Su accordo delle parti la
corresponsione può avvenire in un’unica soluzione”. In riferimento alla
natura
dell’assegno divorzile sono sorti e si sono sviluppati in dottrina e in giurisprudenza diversi
orientamenti. Secondo un risalente orientamento giurisprudenziale , l'assegno previsto
dall'art. 5 L. n. 898 del 1970 non ha natura indennitaria od alimentare, ma composita,
dovendo il giudice tener conto di tre criteri, e cioè delle condizioni economiche dei coniugi,
della ragione della decisione e del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla
conduzione della famiglia ed alla formazione del patrimonio di entrambi. In relazione al
primo di tali criteri - avendo la legge inteso tutelare la posizione del coniuge che a seguito
dello scioglimento dell'unione matrimoniale, viene a trovarsi in difficoltà economiche per
avere perduto il sostegno che si realizzava nell'ambito della convivenza dei coniugi,
sanzionato dall'obbligo di mantenimento - l'assegno acquista un carattere assistenziale in
senso lato. I tre criteri, che sono insieme di attribuzione e di commisurazione dell'assegno,
si presentano come coesistenti e bilaterali (Cass., sez. un., 26 aprile 1974 n. 1194). Circa la
mancanza in capo al richiedente di mezzi adeguati, le Sezioni Unite della Suprema Corte,
ponendo fine ai contrasti giurisprudenziali formatisi proprio in riferimento a tale aspetto,
affermava che il criterio di adeguatezza deve essere ancorato al “pregresso” tenore di vita
matrimoniale (Cassazione, sez. in., sentenza del 29 novembre 1990, n. 11490). La tesi
maggioritaria, sia in dottrina che in giurisprudenza, è quella della principale, o esclusiva,
natura o funzione assistenziale dell’assegno divorzile, ovvero di assicurare almeno in via
tendenziale che sia conservato al suo destinatario uno stato economico e sociale identico o
analogo a quello avuto durante la convivenza coniugale (Cass. 2011/2747). Il Supremo
Organo della nomofilachia ha costantemente affermato il principio di diritto, secondo cui
la L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, nella parte in cui subordina l'imposizione a carico di
un coniuge dell'obbligo di somministrare all'altro un assegno periodico all'inadeguatezza
dei mezzi economici di quest'ultimo ed all'impossibilità di procurarseli per ragioni
obiettive, postula un'indagine in ordine alla sufficienza delle risorse di cui il richiedente
dispone ad assicurargli la conservazione di un tenore di vita analogo a quello goduto in
costanza di matrimonio, e che sarebbe presumibilmente proseguito in caso di continuazione
dello stesso, o che poteva legittimamente e ragionevolmente configurarsi sulla base di
aspettative maturate nel corso del rapporto. (cfr. Cass., Sez. 1, 15 maggio 2013, n. 11686;
12 luglio 2007, n. 15611). La trasposizione di questi principi nella determinazione
dell'assegno di divorzio, non comporta (alla stregua dei principi, ed aderendo alle
disposizioni complessive della norma novellata) la mancanza di ogni autonomia delle
valutazioni da operare in sede di divorzio, rispetto a quelle già effettuate in sede di
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separazione, perchè l'assegno di divorzio non si può ritenere radicato nel vincolo
matrimoniale (allo stesso modo di quello di separazione) e, quindi, la garanzia della pretesa
continuità dello status economico non può essere considerata espressione della persistenza
del rapporto personale di matrimonio, una volta che questo è stato definitivamente sciolto.
Orbene, a parte le differenze fattuali, si deve osservare che l’assegno di mantenimento in
sede di separazione e l’ assegno di divorzio restano entità distinte, ad onta di alcune
ambiguità che si colgono nella formulazione dell'art. 5 sesto comma (nel testo novellato
dalla legge 6 marzo 1987, n. 74) della legge 1 dicembre 1970 n. 898. Invero il primo trova
la sua giustificazione e il suo fondamento normativo nel rilievo che lo stato di separazione
affievolisce ma non scioglie il vincolo matrimoniale; Invece il divorzio comporta il
definitivo venir meno del matrimonio, con la conseguenza che l'assegno divorzile trova
occasione nel precedente vincolo ma non è basato su di esso. Ergo, ne deriva che la
disciplina e le modalità di determinazione dell'assegno di mantenimento non coincidono
con la disciplina e le modalità di determinazione dell'assegno di divorzio. Cfr. (Cassazione
civile sez. I, 11 aprile 2000, n. 4558. Ai fini del riconoscimento dell'assegno, non si
richiede dunque l'accertamento di uno stato di bisogno dell'avente diritto, inteso come
indisponibilità dei mezzi necessari per il suo sostentamento, ma è sufficiente la
configurabilità di un apprezzabile deterioramento della sua situazione economica, in
conseguenza dello scioglimento del matrimonio (cfr. ex plurimis, Cass., Sez. 1, 12 febbraio
2013, n. 3398; 5 dicembre 2002, n. 17246; 17 marzo 2000, n. 3101; Cass., Sez. lav., 23
febbraio 2006, n. 4021). L’orientamento consolidatosi della Cassazione ritiene che la
nozione di adeguatezza presuppone infatti un esame comparativo della situazione reddituale
e patrimoniale attuale del richiedente con lo standard di vita della famiglia all'epoca della
cessazione della convivenza, desunto anche dalle potenzialità economiche dei coniugi,
ossia dall'ammontare complessivo dei loro redditi e delle loro disponibilità patrimoniali,
nonchè una valutazione degli eventuali miglioramenti della condizione finanziaria
dell'onerato, anche se successivi alla cessazione della convivenza, che costituiscano
sviluppi naturali e prevedibili dell'attività svolta durante il matrimonio e trovino radice in
detta attività e/o nel tipo di qualificazione professionale e/o nella collocazione sociale
dell'onerato stesso (cfr. Cass., Sez. 1, 4 ottobre 2010, n. 20582; 12 luglio 2007, n. 15610; 28
febbraio 2007, n. 4764; Cassazione civile sez. I, 02 agosto 2013, n. 18539. Gli Ermellini,
in linea di continuità con quanto con la più recente giurisprudenza , ribadisce che il
momento rispetto al quale dev’essere valutato il diritto all’assegno di divorzio e,
conseguentemente, la sua quantificazione, non è quello della cessazione della convivenza,
ma quello della pronuncia di divorzio. La determinazione dell’ammontare dell’assegno
divorzile dipende anche dalla durata del matrimonio. Il ricorrente, impugnava la sentenza
del giudice ad quem lamentando violazione del comma 6 L. 898 del 1° dicembre 1970. Il
supremo Consesso pronunciatosi sul ricorso proposto, ha statuito espressamente che la
violazione surriferita è insussistente confermando il principio di diritto consolidatosi su
indicato. La Corte di Legittimità, nel valutare l'adeguatezza dei mezzi dell'ex coniuge
richiedente l'assegno, ha correttamente comparato la situazione reddituale e patrimoniale
attuale della stessa con quella della famiglia all'epoca della cessazione della convivenza,
individuando il tenore di vita precedente (e quello che poteva ragionevolmente configurarsi
sulla base delle aspettative maturate nel corso del rapporto) dalle potenzialità economiche
dei coniugi; ne è emerso che i mezzi economici complessivi della ex coniuge, non erano
adeguati a consentirle di conservare un tenore di vita anologo a quello goduto in costanza
di matrimonio. Le pronunce registratesi successivamente alla sentenza in epigrafe, hanno
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sottolineato che l'accertamento del diritto all'assegno di divorzio si articola in due fasi, nella
prima delle quali il giudice è chiamato a verificare l'esistenza del diritto in astratto, in
relazione all'inadeguatezza dei mezzi o all'impossibilità di procurarseli per ragioni
oggettive, raffrontati ad un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di
matrimonio o che poteva legittimamente fondarsi su aspettative maturate nel corso del
matrimonio, fissate al momento del divorzio, e quindi procedere ad una determinazione
quantitativa delle somme sufficienti a superare l'inadeguatezza di detti mezzi, che
costituiscono il tetto massimo della misura dell'assegno. Nella seconda fase, il giudice deve
poi procedere alla determinazione in concreto dell'assegno in base alla valutazione
ponderata e bilaterale dei criteri indicati nello stesso art. 5, che quindi agiscono come fattori
di moderazione e diminuzione della somma considerata in astratto e possono valere anche
ad azzerarla, quando la conservazione del tenore di vita assicurato dal matrimonio finisca
per risultare incompatibile con detti elementi di quantificazione. Cassazione civile sez. I,
28 ottobre 2013, n. 24252.
Spunti bibliografici
(1) Cass., sez. un., 26 aprile 1974 n. 1194;
(2) Cassazione, sez. in., sentenza del 29 novembre 1990, n. 11490);
(3) Cassazione civile sez. I, 11 aprile 2000, n. 4558;
(4) Cassazione 5 dicembre 2002, n. 17246;
(5) Cassazione 17 marzo 2000, n. 3101;
(6) Cassazione 23 febbraio 2006, n. 4021;
(7) Cassazione, 12 luglio 2007, n. 15611;
(8) Cassazione 12 luglio 2007, n. 15610;
(9) Cassazione 28 febbraio 2007, n. 4764
(10)Cass., Sez. 1, 4 ottobre 2010, n. 20582;
(11)Cass. 2011/2747;
(12)Cass., Sez. 1, 15 maggio 2013, n. 11686;
(13)Cass., Sez. 1, 12 febbraio 2013, n. 3398;
(14)Cassazione civile sez. I, 02 agosto 2013, n. 18539;
(15)Cassazione civile sez. I, 28 ottobre 2013, n. 24252.
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