Segnalato dalla giuria - Unione Lettori Italiani

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Segnalato dalla giuria - Unione Lettori Italiani
Topolino, Edipo e pere cotte
Vi è davvero dell’ineffabile. Esso mostra sé, è il mistico. (L. Wittgenstein, Tractatus Logico-philosophicus)
Quell’orribile scena. La sognava spesso.
Lei ad aspettarlo in cucina: risotto alla zucca. Lui sul divano.
Poi qualcuno bussava alla porta. Lui, rigorosamente in mutande (quelle di Topolino, non quelle da
pornoattore che aveva comprato ai saldi), apriva.
La morte lo fissava. Sì, proprio la morte, cappuccio e falce, alias la-triste-mietitrice. Aveva sempre
avuto un’immaginazione tutt’altro che fervida (lui, non la morte). La bellezza la tratteneva, come
una spugna, ma non riusciva a produrre niente di originale. Un’intera vita passata a leggere, a
camminare nel verde per interpretare i sussurri del vento e i sorrisi delle foglie, a riempire i polmoni
della mente respirando avidamente arte e poesia – un’intera vita così e non riusciva a sognare latriste-mietitrice meglio di come l’avrebbe potuta sognare uno di quei bifolchi americani che si
vedono nei documentari sulla pena di morte: stivale rosso, cappello, camicia a quadri e una panza
che fa provincia.
Non ci hanno appiattito l’esistenza: ci hanno appiattito l’inconscio, ’sti stronzi, pensava. A chi si
riferisse, non lo sapeva nemmeno lui.
Nonostante la visione fosse spaventosa (la-triste-mietitrice non era minimamente intenzionata a
giocare a scacchi), lui il sogno se lo godeva. Non sapeva cosa sarebbe successo e al contempo lo
sapeva.
Narratore onnisciente e prima persona formavano, in quella dimensione onirica, una miscela
instabile in cui i due soluti vorticavano incessantemente senza che l’uno annullasse l’altro. Miscela
senza reazione. In parole meno chimiche, c’erano un se-stesso-medesimo che vedeva la scena
dall’esterno e un se-stesso-medesimo che stava di fronte alla morte. Il primo non poteva non
pensare che stare con le mutande di Topolino davanti a la-triste-mietitrice fosse la classica figura da
peracottaro1 che si meritavano sia lui-se-stesso-medesimo-che-stava-davanti-alla-morte che lui-sestesso-medesimo-che-osservava-la-scena-dall’esterno.
Erano mutande pulite, cara mamma (che mi hai fatto il lavaggio del cervello con la storia
dell’incidente e dell’ospedale), ma non erano quelle adatte: potevi dirmi di presentarmi all’estrema
ora con le mutande da pornoattore comprate ai saldi, pensava ad un tratto lui-se-stesso-medesimoche-stava-davanti-alla-morte (lui-se-stesso-medesimo-che-osservava-la-scena-dall’esterno
ovviamente lo sapeva già).
Mutande serie o semi-serie a parte, la scena proseguiva come segue.
LA-TRISTE-MIETITRICE
(sollevando solennemente il dito scarnificato e puntandolo verso il giovane in mutande)
È giunta la tua ora. Seguimi.
LUI-SE-STESSO-MEDESIMO-CHE-STA-DAVANTI-ALLA-MORTE
(alzando le braccia, con sguardo rassegnato e spaventato al contempo)
1
Figura protovangoghiana ritratta in un quadro appeso tra i suoi neuroni. Un monito, un ricordo, consapevolezza di sé?
Non avrebbe saputo dire. Fatto è che stava lì a fissarlo. Ogni giorno.
1
Ma…
La-triste-mietitrice non gli lascia il tempo di completare la frase e, con un colpo deciso di falce,
miete la di lui anima. Il corpo esanime si accascia sul pianerottolo, in mutande. La-triste-mietitrice
si gira e se ne va, prendendo l’ascensore.
‘Sto fatto dell’ascensore gli pareva sempre strano, una volta che si svegliava. Toglieva pathos alla
vicenda. Dico io, arrivi con mantello e falce, solennemente alzi il dito scarnificato, mi indichi, mi
dici che è arrivata la mia ora, falci la mia anima e alla fine te ne vai in ascensore?
Così pensava. Poi si focalizzava sul mangiatore di pere cotte del quadro appeso nella sua testa e
capiva. Pera cotta es et in pera cotta reverteris.
L’unica cosa del proprio sogno ricorrente di cui andava fiero era la scena finale. La prendeva come
il riscatto della propria creatività.
Tutto diventava nero. Assenza di luce, di movimento, di vita. Poi compariva una macchia bianca, in
alto a destra. Questa macchia iniziava a rimpicciolirsi e a ruotare lentamente, spostandosi
progressivamente verso il centro. Intanto comparivano dei margini, che delimitavano un cerchio
nero. Tutto intorno era bianco. La figura ruotava ancora. E ruotava e ruotava. Fino a che non si
palesavano l’occhio, il naso, il volto sorridente e rassicurante e le orecchie di Topolino. Quello
stampato sulle mutande. E così la scena si allargava ancora. Il sedere, le gambe, la schiena, il corpo,
lo zerbino, il pianerottolo. Tutto ripreso dall’alto. L’immagine ruotava ancora. Ora si vedeva il tetto
del palazzo, poi il quartiere, la città. Alla fine nuvole, tante nuvole. Tutto diventava bianco. La
spirale creata dall’inquadratura creava un percorso che partiva dall’abisso oscuro della corporeità,
della caducità biologica dell’esistenza, e terminava nell’eterea calma luminosa e candida della volta
celeste.
Insomma, un trip alla 2001: Odissea nello spazio. Questo il panzone americano pro-iniezione letale
non lo avrebbe mai immaginato, pensava.
Si svegliava sempre tachicardico. Quella tachicardia, ovviamente, non era una tachicardia normale.
Non era in accelerazione, per intenderci. Era una tachicardia in frenata. Lo spavento, l’orrore,
l’oblio de la-triste-mietitrice erano mitigati da una serie di elementi del sogno, che funzionavano
come un ABS dell’inconscio.
Intendiamoci, morire non fa piacere a nessuno. Dormire piace a tutti. Sognare di morire, c’erano pro
e contro, secondo lui.
Sognare di morire
PRO
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È sempre meglio di che morire per davvero
Tutta la faccenda della catarsi etc. etc.
Almeno sono consapevole che è un incubo sogno
Ho finalmente buttato le mutande di t Topolino
Mi sveglio da questo sogno sempre alle 6.00 sei di
mattina, non riesco a riaddormentarmi, mi vesto allora
per andare a correre, poi cambio idea e guardo un
porno mi dedico a me stesso.
CONTRO
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•
•
Si potrebbe avere un sogno ricorrente più decente,
tipo quello in cui fai dei salti progressivamente
sempre più lunghi e alla fine sei in grado di volare.
Basterebbe anche sognare la Casta Ferilli
Faccio la figura del coglione peracottaro anche in
sogno
Non riesco mai a capire chi sia la ragazza che mi
aspetta in cucina.
Non riesco mai a dire la mia alla triste mietitrice
Morte, come quando qualcuno mi passa avanti in una
fila
Mi mancano le mutande di Topolino.
2
Quando ebbe finito di stilare questa tabella, decise che era arrivato il momento di prendere le redini
della situazione. Poi pensò che “prendere le redini” fa parte di quell’italiano di plastica che tanto
odiava e allora decise di prendere il toro per le corna. Poi penso che “prendere il toro per le corna”
era ancora più di plastica dell’espressione precedente ed optò per fare qualcosa. “Fare qualcosa”
faceva schifo, ma almeno era farina del suo sacco. “Farina del suo sacco”, maledizione. Ci hanno
rubato ogni espressione, ‘sti stronzi, pensò. A chi si riferisse, continuava a non saperlo.
Era certo che la chiave di tutto fossero le mutande di Topolino. Morte e mutande si annullavano a
vicenda. L’esperienza del trapasso diventava neutra. L’unica esperienza terrificante che rimaneva
era l’Ineffabile. Quel sogno, infatti, oscillava tra due ignoti.
Lei.
Le nuvole.
La-triste-mietitrice non aveva voce in capitolo. La densità del silenzio che avvolgeva il defunto era
rotta dal rumore dell’ascensore. La morte era incidentale. La tachicardia in frenata era questo: un
retrogusto di infinità mancata. La vera profondità del dramma stava agli estremi. L’infinita bellezza
del quotidiano, stemperato negli occhi di un’innamorata, e l’infinita bellezza di un’anima che
pioveva in petto all’eterno, come un’onda che consegna il proprio destino alla riva. Piccolo e grande
si intrecciavano. La zucca, la terra, le nuvole abbracciavano il corpo esanime. Il cielo si apriva e le
stelle e i pianeti e gli infiniti mondi inglobavano l’infinitamente piccolo e incessante tribolare
quotidiano degli uomini e delle cose. Tutto iniziava con quegli occhi fissi sulla zucca, con le labbra
spiegate come ali di un gabbiano in un sorriso sognante. Tutto iniziava tra i chicchi di riso mantecati
e tutto finiva nella polvere luminosa del firmamento.
Le mutande di Topolino stracciavano eroicamente la cortina macabra della morte dietro cui si
celava il senso più recondito e profondo del sogno. Di questo lui era intimamente2 convinto. Sul
senso più recondito bla bla ci stava lavorando.
Quel sogno era interessante davvero: non era riconducibile al solito, inquietante complesso di
Edipo, ne era certo.
Intermezzo
Pensò ad Edipo con gli occhiali da sole seduto al piano che suona Hit the road Jack accompagnato
da contrabbasso e batteria. Il complesso di Edipo. Rise tra sé e si vergognò alquanto. “Complesso”
lo diceva suo nonno riferendosi ad un gruppo musicale. Ora “complesso” si usava per descrivere
quelli che la maggioranza delle persone avrebbe definito in un tempo meno politicamente corretto
“stronzi”. ‘sti stronzi, pensò. Come al solito, chi fossero non lo sapeva.
Fine intermezzo
Tralasciando la gente complessa, ormai era deciso a cambiare le sorti del sogno. Doveva sapere.
La lista con le regole per una buona igiene del sonno campeggiava sul frigorifero da ormai tre mesi.
Aveva rinunciato a due cene con i parenti, tre feste di compleanno, quattro cene alcoliche e, escluse
le due cene con i parenti, altrettante possibilità di incontri galanti. Aveva sognato, nell’ordine:
2
Non poté non notare con una certa soddisfazione l’affinità tra l’avverbio e la biancheria disneyana.
3
a) Di andare dal dentista, che si trovava però nel bagno di casa di sua nonna e non era il
dentista, ma il vecchio professore di latino del liceo.
b) Di sostenere l’esame di maturità in un supermercato e, seduto comodamente tra porri e
cavoli, di dover tradurre dal greco all’aramaico quello che, alla fine della prova, si rivelava
essere un volantino delle OFFERTISSIME.
c) Di cadere.
d) Di svegliarsi nel bel mezzo di un’invasione aliena, cercare di salvare la sua famiglia che
però era composta da persone che non aveva mai conosciuto, di uscire di casa e scoprire che
gli alieni erano zombie e che la sua famiglia era diventata improvvisamente formata dai suoi
compagni di pallacanestro delle medie.
e) Di scoprire che gli erano caduti tutti i denti.
f) Altre cose di questo tipo.
Di lei o della Morte o delle mutande di Topolino, così come delle zucche o delle nuvole, nessuna
traccia. Tantomeno della Ferilli.
Quel sogno era diventato una sorta di Graal. I suoi goffi tentativi e altrettanto inutili sacrifici per
sognare a comando quella scena facevano di lui non Lancillotto, ma al massimo uno dei Monty
Python3.
Tutto d’un tratto, eccolo seduto sul divano. L’odore era inconfondibile. Risotto alla zucca.
Campanello.
Non andare verso la porta, non andare verso la porta, non andare verso la porta, pensava il lui-sestesso-medesimo-che-osservava-la-scena-dall’esterno. Il lui-se-stesso-medesimo-che-viveva-ilsogno-in-prima-persona puntò dritto alla cucina.
Cazzo.
La-triste-mietitrice-per-l’occasione-triste-affettatrice-di-zucca-e-mantecatrice-di-riso lo fissava. Le
fiamme dei fornelli illuminavano le orbite vuote nascoste dal cappuccio.
Mi ha fregato.
Stesso copione. Stesse mutande. Stesse pere cotte. Stesso trip alla 2001: Odissea nello spazio.
L’inconscio sa essere infame. Tre mesi in trepidante attesa ed ecco che la-triste-mietitrice-perl’occasione-triste-affettatrice-di-zucca-e-mantecatrice-di-riso si mette di traverso e rovina tutto.
Si scoraggiò. Troppe aspettative, evidentemente. Forse non era altro che l’ennesimo, banale sogno.
Il divano rappresentava il grembo materno. La ragazza che lo aspettava in cucina assomigliava
vagamente alla madre, dopo tutto. Le mutande di Topolino erano certamente connesse alla paura
della castrazione. L’ascensore era un lapalissiano simbolo del coito. La morte, beh, era la morte.
Eros e thanatos, quelle stronzate là.
Per un attimo, aveva pensato che quel sogno fosse davvero interessante. Invece no. Il solito sogno
che fa felice gli psicanalisti. Mai una volta un sogno che facesse felice lui. Il suo inconscio si era
inesorabilmente appiattito. ‘sti stronzi, pensò di nuovo. I destinatari dell’epiteto continuavano ad
essere oscuri.
L’Ineffabile, che conferiva profondità e vertigine a quel sogno, continuava a sfuggirgli.
Questa volta, però, era una tachicardia in accelerazione. Sudore. Freddo. Dappertutto.
3Decise
che quella sera avrebbe rivisto Monty Python e il Sacro Graal (1974).
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Si asciugò il volto con forza, come se volesse scrostare spavento e delusione dalla propria
espressione. Aveva lasciato il rubinetto aperto. Lo chiuse.
Nello specchio l’acqua continuava a scorrere.
Guardò attentamente il rubinetto del mondo-di-qui. L’aveva chiuso bene.
Nel mondo-di-là evidentemente non c’era la crisi dell’acqua potabile. Seguì con lo sguardo la linea
verticale che attraversava il getto d’acqua. Il se-stesso-medesimo-di-là già lo fissava quando i loro
sguardi si incrociarono.
Il se-stesso-medesimo-di-qui trasalì.
–Chi sei?–, chiese quest’ultimo con timida solennità.
–L’Ineffabile.
–Ti immaginavo diverso.
–Sei tu che mi hai creato così.
–Maledetto inconscio. Perché saresti come me?
–Perché conteniamo moltitudini.
–Non ti seguo.
–Non c’è bisogno che tu comprenda. Quello che fa la mia mano sinistra qui, lo fa la tua mando
destra di là.
–Stai vaneggiando?
–Sono l’Ineffabile, che vuoi che faccia? Hai presente l’Oscuro, il Mistico, il
Suciòchenonsicomprendesidevetacere? Dico quello che voglio. Se ti va bene, puoi capire, carpire,
cogliere qualcosa. Ma il nostro linguaggio, i nostri sensi, i nostri gesti sono diversi. Ciò che tu pensi
con l’emisfero sinistro il lo penso col destro. Ciò che vedi con la retina destra io lo vedo con la
retina sinistra. Due torrenti di Essere scorrono da me a te e da te a me, possono lambirsi, mai
intrecciarsi. Il cielo lo vedi riflesso in stracci di acqua di un fiume asciutto. Puoi intuire, sì. Ma la
logica che ci mette in contatto è una logica asimmetrica. La conoscenza può rimanere impressa,
come una bruciatura, ma non può ardere sicura nella tua mente.
Il se-stesso-medesimo-di-qui dallo specchio rimase in silenzio. Pensieri come lampi
piroettavano e rimbalzavano nella sua testa.
–L’Ineffabile lo cerco da sempre. Ma non credevo di trovarlo così. Onestamente mi sembra una
presa per il culo–, disse alla fine, grave.
–E dove lo volevi trovare l’Ineffabile? Tra gli stronzi che ti hanno appiattito l’inconscio? Tra quelli
che hanno reso il linguaggio un deserto emotivo? Tra le persone complesse? Tra quelli che saltano
la fila per cui ti arrabbi ancora? Tra le pere cotte? Stampato sulle mutande? Quello che succede
fuori non conta. Non sai nemmeno chi sono ‘sti tanto vituperati stronzi! Sai solamente chi sei e cosa
vuoi tu. Punto. L’Infinità si riflette dove il tuo sguardo viene annichilito dalla bellezza inerme.
L’acqua smise di scorrere.
Si svegliò. Era sul divano.
–Finalmente ti sei svegliato–, lei gli disse. Si guardarono.
Campanello.
Non sarebbe andato alla porta. Né sarebbe andato in cucina. Sarebbe rimasto lì a guardare lei e il
suo sorriso. Eccola, la bellezza inerme.
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Se quello fosse un sogno, non lo sapeva. Il lui-se-stesso-medesimo-che-vedeva-la-scenadall’esterno non c’era questa volta.
Il campanello continuava a suonare.
Lui la baciò.
Sbirciò il quadro appeso nei meandri delle sue sinapsi. Il mangiatore di pere cotte era girato
dall’altra parte.
Questa volta li ho fregati, ‘sti stronzi, pensò. A chi si riferisse, continuava a non saperlo. Ma, questa
volta, non gliene fregava niente.
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