La «bèchdor» tra possibile e impossibile

Transcript

La «bèchdor» tra possibile e impossibile
ALLA RIBALTA
Pagina 44 — Domenica 25 Giugno 2006 - N. 172
Il Sole-24 Ore
CANNES
TELESPONDA
Iperrealismo e un maschilismo festante hanno caratterizzato il 53˚ festival della pubblicità
Provaci ancora, macho
di Giulia Ceriani
Un’edizione non strepitosa. Il premio
della stampa è andato a Lego:
campagna che con un’idea creativa
semplice e fulminante riesce a catturare
la distaccata attenzione del pubblico
N
el cielo azzurrissimo e
svaporato di Cannes ronzano seggioline elicamunite, dotate di una piccola vela a
permettere all’improvvido atleta
di schiantarsi solo un poco più in
là. Nessuno alza la testa. Il 53º
Festival internazionale della pubblicità, chiuso dentro il ben noto
Palais sulla Croisette, mette in
scena a sua volta con grande dispiego di mezzi — quest’anno,
oltre a tv, stampa, radio, affissioni, media, cyber, direct, anche le
promozioni — uno spettacolo che
cerca faticosamente un aggancio
per strappare al suo spettatore
uno sguardo. Ma è come se tutto
fosse già stato, già visto, già sperimentato. La categoria dei Titanium, pensata per premiare l’unicità espressiva, ha solo tre campagne papabili, e verrà assegnata
all’esercizio più meta-creativo
che si possa immaginare, l’idea
di ridisegnare il codice a barre
(Design barcode, Giappone). La
realtà è più folle e barocca
dell’esercizio fantastico, e la creatività ha deciso di inseguire il
reale.
Quel che ne viene è una rassegna non strepitosa, che denuncia
il faticoso arrancare davanti a uno
spettatore distratto da ben altri
spettacoli. «So what?», come nella campagna Vodafone (JWT Londra) paghi tre e compri sessanta
(minuti d’ascolto), rapidissime attestazioni di indifferenza anche davanti a massimi drammi del quotidiano (morte del gatto, paternità
disconosciuta, maternità inaspettata, e via così). Tra il paradosso di
campagne alla Combos Pretzels
— se la mamma fosse un uomo, ti
nutrirebbe così —, dove una genitrice nerboruta e manesca incentiva alle chips, e la surrealtà della
fabbrica di bambole erotiche di
Sony Playstation (TBWA, Parigi),
dilaga l’iperrealismo di mamme
pedofile (Oslo bus pass, Shnel &
Melnychuck, Oslo) o francamente
disgustate della loro affliggente
maternità (Marmite), e ancora l’assurdo di cagnolini travolti da camion (birra Bavaria, «Happiness
doesn’t last forever»), e naturalmente di videotelefonini dallo straripante potere nel governare ogni
cosa (Amp’d mobile). Certo si ca-
Qui sopra, Design barcode (Giappone), vincitore della sezione Titanium.
A sinistra: in alto, «Periscope», campagna vincitrice del Grand Prix
della stampa, realizzata dall’agenzia Fcb di Johannesburg per Lego;
sotto, «Scout» dell’agenzia Lowe Bull (Johannesburg) per Unilever
pisce perché sia «Jump in» il pay
off di XBox — in una città che ha
la forma delle banlieues in rivolta
(McCann Erckson/72Andsunny,
San Francisco) —, e perché Nike
lanci la sua nuova firma in odore
di connotazione New Age: «Reincarnate now» (Publicis Mojo Australia, Sydney).
In questo scenario senza stupore, si erge impunita e festante una
tendenza sicura, quella del maschio tout court. «Respect», dice
giustamente Harley Davidson
(Ogilvy, Johannesburg), e un deo-
«Fatti una ragazza»,
suggerisce
un deodorante
a un boy-scout.
«Respect», rilancia
Harley Davidson
dorante come Lynx (Lowe hunt,
Sydney) lancia per aria un aereo
di pupe poppute e acquiescenti; la
birra ci marcia, fin tanto che può,
e punisce violenta chi si preoccupa della fidanzata o della pizza
bisunta, insomma chi di comportarsi da uomo non vuol proprio
saperne (Milwaukee’s Best Light,
Mother, New York). «Get a girlfriend», fatti una ragazza, suggerisce ancora un deodorante (Axe,
Lowe Bull, Johannesburg) — di
questi tempi evidentemente tra gli
arbitri indiscussi del comporta-
mento sessuale —, invece di perdere il tempo in giochini da fessi.
Fin qui niente di nuovo. La pubblicità assorbe il costume come
carta assorbente, e le sue piccole
storie compongono anche — che
lo si apprezzi o meno — una storia più grande. L’efficacia, crediamo, è un’altra faccenda, e in tempi di fantastico così devastato/saccheggiato dal vero che torna come
un gremlin incattivito, è andata a
infilarsi dalle parti di piccoli esercizi creativi: claim inattesi ,
«Rock is hard», a silloge del libe-
ro sesso multiplo e felice con cui
la bimba dalle bionde treccine ha
dal papà la risposta fatidica su
come è nata (MTV, Y&R Buenos
Ayres); o ancora il sequel «Impossibile is nothing» per Adidas (180
Amsterdam): ma in scena questa
volta è un guittarello che compone la sua squadra impossibile; o,
infine, la bella campagna cartoon
di Volkswagen per la nuova Fox,
«Short but fun» (DDB Düsseldorf), e perfino le inalazioni mentolate di cui beneficia l’utente delle Halls (JWT Italia, premiato con
un Leone di bronzo).
Breve e talora buffa, folgorante
per quanto si può. Una campagna
che funziona è ancora lì, e il premio dato dalla giuria della stampa
a Lego (FCB, Johannesburg) esprime un forte segnale in questa direzione: tante erano le campagne
premiabili di questa sezione di livello sempre altissimo (qui nessuna presenza italiana in short list,
per quest’anno), ma quella che ha
vinto — una distesa di mare blu
Lego su cui svetta un piccolo periscopio bianco — dice chiaro e
forte che un’idea creativa basta a
se stessa, e questo succede quando una piccola visione si apre improvvisa, senza sforzo che sia.
Il Gran Prix della televisione è
andato alla birra Guinness (Abbott
Mead Vickers, BBDO Londra), ma
proprio in questa sezione un Leone
d’oro è invece stato assegnato all’Italia per un film bello e lieve
come quello di Ariston Aqualis,
lavatrice (LeoBurnett, Milano): un
acquario meraviglioso dietro
l’oblò, attraversato da calzini volanti e pesci pigiama, un bell’esercizio di tecnicità e di stupore.
La pubblicità è brava a lanciare
messaggi, è il suo indiscusso mestiere. Quello che ci consegna questa volta è un pensiero traverso
sul livello di realtà rispetto al quale siamo ormai abituati a reagire,
dentro al quale sguazziamo: crudo
e distaccato dal nostro sentire, senza limite di credibilità e tanto meno di ammissibilità, dove ci si
congiunge felici e contenti via camera web, come mostra sereno il
buon dado Knorr (El Hotel, JWT
Buenos Ayres); ma per sognare,
non basta. Allora voltiamo le spalle, ricominciamo da capo. Ignoriamo il pianeta dentro al quale abitiamo. Basta una piccola goccia
piccante per fargli fare bum bum
(Amora TBWA, Paris).
La «bèchdor»
tra possibile
e impossibile
di Als Ob
Q
uesta notte «sarà messa alla prova la
vostra capacità di distinguere il possibile dall’impossibile», ci promette martedì il Rolfo Walter di Arcana. Lo prendiamo in
parola, pronti a reggere il confronto. Siamo o
non siamo critici televisivi? Di illusionisti, gabbamondo, taroccatori e gente svelta di mano
abbiamo una certa esperienza.
Per esempio, non ci fa un baffo la scenografia
messa in piedi da Raidue: un semicerchio con 7
porte. Non sono porte, dice il Rolfo Walter,
«ma bèchdors». In italiano: sono porte sul retro,
utili quando si è colti con le mani nella marmellata. Sono le preferite dai gabbamondo professionali. Nei corridoi di viale Mazzini 14, 00195
Roma, se ne trovano quante se ne vuole. Il loro
uso è sempre lo stesso: offuscare il confine tra
l’impossibile e quel che invece s’è potuto.
D’altra parte, questa notte Arcana non si
interessa di giochi di destrezza aziendali, ma
di più innocue prese per i fondelli: pesci rossi
ingurgitati e rigurgitati, o magari anche chiodi picchiati nel naso a martellate. Roba da
niente, per la media degli svelti di mano che
circolano in Rai.
Più impegnativo dovrebbe essere il taroccamento che annuncia il Mattiolo Gianni, davanti
a un autoblindo militare. In mezzo alla tenebre
della notte, «il carro armato fantasma» è illuminato a giorno. Tutto intorno c’è il vuoto, e
dunque — sostiene il gabbamondo — «sembra
che non ci sia la possibilità di poterlo far
sparire». Il che ci legittima a supporre che ci
sia la volontà di volerlo. Ossia: la lingua e la
logica, queste derelitte.
In ogni caso, il suddetto svelto di mano fa
coprire con un grosso telo l’autoblindo e poi
urla «go». Avesse detto via, non sarebbe successo niente. Ma così, in inglese, il gioco è
fatto. Il telo crolla, l’aria si riempie di fumo,
dietro il fumo ci si accendono in faccia due
fari potenti, e il carro armato non si vede più.
E ci mancherebbe altro, con quella luce che
acceca le telecamere.
Insomma, in fatto di confine tra il possibile e
l’impossibile gli autori di Arcana possono migliorare molto. Infatti ci provano in corpore vili,
cioè con il La Porta Gabriele, uno che se le beve
tutte. È lì che finge di leggersi un libro, il
direttore di Rai notte, e gli arriva addosso tale
Alexander. Il quale Alexander gli chiede di
aprire il libro a una pagina a caso, e poi ne
indovina il numero e gliela fa trovare (strappata) in una busta chiusa che s’è portato dietro.
Alla fine, l’impossibile sembra raggiunto. Solo
che la regìa nel frattempo s’è distratta, e così
una volta inquadra il libro di costa, con il segno
lasciato da un uso energico (una fessura evidente tra le pagine) e poi, nell’immagine seguente,
torna a inquadrarlo di costa, ma ora immacolato. Altro che possibile e impossibile: questo è
taroccamento plurimo, e anche senza vergogna.
In conclusione: se si vuole essere svelti di
mano, occorre essere svelti anche di testa.
Sennò, ci si fa sorprendere nella marmellata
fino ai gomiti. Il che vale, in generale, per
tutte le ormai frequentatissime bèchdors di
viale Mazzini 14, 00195 Roma.
Mozart, l’Egitto, la massoneria. Un crescendo di mistero.
Il ritorno dell’autore di Ramses.
In libreria e nella
grande distribuzione.
Felici di leggere.