Marilyn, o l`amore negato

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Marilyn, o l`amore negato
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Domenica 16 Gennaio 2011 Gazzetta del Sud
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Cultura
La sfortunata vita sentimentale di una donna-icona, una donna-mito che con la sua bellezza segnò un’epoca
Marilyn, o l’amore negato
Il drammatico bisogno d’affetto e la costante spinta dell’ambizione
Maria Gabriella Scuderi
La bellezza, costantemente cercata, perseguita, desiderata, talvolta recuperata attraverso dolorosi
interventi estetici, può talvolta
rappresentare un ingombro scomodo, un pesante fardello che offusca qualità altrettanto importanti per il benessere del soggetto
e la sua sicurezza nel mondo. Tutto ciò che è “troppo” può costituire un problema. Chi un tale bene
possiede, non del tutto consapevole dell’enorme valore che porta, chiede di essere amato per le
sue “qualità invisibili”, quelle che
appartengono alla sua interiorità
e che possono essere scoperte e
apprezzate solo da chi guarda oltre l’aspetto fisico, spinto da un interesse che è soprattutto affettivo,
e che ingloba stima, ammirazione, considerazione. Perché è vero
che il bello è perseguito a qualsiasi prezzo, ma è altrettanto vero
che senza l’amore qualsiasi bellezza rimane incompleta. È probabilmente una tale sensazione di
incompiutezza che ha reso mitiche icone di perfezione tristi o depresse, nonostante il bene prezioso accordato loro dalla natura.
Il giornalista Alfonso Signorini
ha narrato la vita di una di queste
icone, una donna-mito dalla
sconvolgente bellezza e universalmente ammirata, nonostante il
suo costante, inappagato bisogno
d’affetto. “Marilyn. Vivere e morire d’amore” (Mondadori, pp. 249,
euro 18,50) rappresenta infatti,
nell’intenzione dell’autore, il contributo dovuto ad una creatura-simbolo passata alla storia per
la peculiarità della sua umana vicenda, centrata non tanto su ciò
che tutti sapevano di lei, quanto
su quel tratto “invisibile” e funesto che ha segnato la sua vita e l’ha
resa vittima delle conseguenze
dell’amore cercato e negato, scoperto e perduto, concesso e abusato. In stridente contraddizione
con l’aura di perfezione della sua
figura.
Marilyn Monroe, al secolo Norma Jeane Baker, viene al mondo e
trascorre già i primi anni di vita
all’insegna dell’abbandono e della violenza psicologica. Sia la
nonna che la madre, malate di follia, scorgevano nella bellezza della piccola Norma e nei suoi puerili
entusiasmi quel tratto d’amore
per la vita che tanto inquieta chi la
stessa vita decide di odiare per
non aver ricevuto ciò di cui si ritiene meritevole. La bimba cresce
così alimentando in sé la volontà
di recupero tipica di chi dell’affettività assapora soltanto le briciole, mentre il suo cuore è affamato
di baci, carezze e abbracci. Che
non tardano a venire, ma da parte
delle persone sbagliate, di uomini
che violano la sua innocenza e frenano i suoi slanci vitali, imprimendole nella psiche una fondamentale incapacità d’amare che
Marilyn Monroe ritratta da Cecil Beaton nel 1956 a New York: era la foto che la star amava di più
per tutta la vita rappresenterà per
lei un problema ed una risorsa ad
un tempo. Norma, infatti, divenuta presto consapevole dell’enorme fascino che esercita sugli uomini, impara a servirsene, per affrancarsi dalla povertà, raggiungere traguardi ambiziosi, e realizzare i suoi sogni. L’amore ed il sesso, in una tale ottica, divengono
“mezzi di scambio”, ed i suoi diversi matrimoni una sorta di
stampella tra una tappa e l’altra
della sua scalata al successo.
Sia il primo matrimonio con
Jim Dougherty che la successiva
relazione con Johnny Hyde, il più
famoso agente di Hollywood,
rappresentano infatti esperienze
che con il vero amore hanno poco
a che fare, sebbene contengano
sentimenti di affetto autentico e
disinteressato. Ma soprattutto
nutrono un cuore infantile che ha
bisogno costantemente di qualcuno cui aggrapparsi, per riuscire a
dare il meglio di sé. Nonostante
ciò, l’incontro ed il secondo matrimonio col campione di baseball
Joe DiMaggio sembrano assumere nella vita della giovane attrice
un significato diverso, rappresentando una sorta di amore adulto,
frutto di autentica passione. Ma
un amore che si consuma nel giro
di pochi anni, avvelenato dai sempre più frequenti litigi causati dalla gelosia di lui. Marilyn rappresentava il sogno erotico di tutti gli
americani, e questo DiMaggio
non riusciva a tollerarlo. Si narra,
a tale proposito, che le avesse imposto di indossare due paia di mutandine per girare la famigerata
scena della gonna al vento durante le riprese del film “Quando la
moglie è in vacanza” di Billy Wilder. Neanche Joe quindi riesce a
dare all’inquieta Marilyn la felicità tanto desiderata: i loro mondi
sono troppo distanti e le loro anime profondamente diverse, nonostante la grande passione.
Consumato il rapporto con DiMaggio, un uomo diverso, dall’indole riflessiva e razionale, il
drammaturgo Arthur Miller entra
in scena nella vita di una sempre
più famosa e contesa Marilyn, offrendole un’ulteriore speranza
d’amore vero. Miller sembra l’unica persona capace di leggere nella
sua anima, per scorgervi il misto
di allegria e tragedia che traspare
dai suoi occhi, e si concretizza negli umori cangevoli e nell’onnipresente tratto depressivo. Psicofarmaci e alcool diventano infatti,
a mano a mano, assidui compagni
delle notti insonni della diva, che
tuttavia, anche nei momenti di
peggior disorientamento, non accantona la sua ambizione di andare in alto, sempre più in alto, come
per fare giustizia della miseria e
l’infelicità sempre aleggianti nella sua famiglia d’origine.
Il rapporto con Miller sembra
portare nella vita di Marilyn una
maturità a tutto tondo, personale
e professionale. Miller la mette a
contatto col mondo del teatro, incoraggiandola a prendere lezioni
da Lee Strasberg, il fondatore
dell’Actors Studio. Sono anni intensi di impegno e di progetti, cui
il famoso scrittore partecipa in
prima persona, e in cui prende vita il primo film interamente prodotto dalla casa di produzione di
Marilyn, la MM Production, “Il
principe e la ballerina”, diretto da
Laurence Oliver.
Il film, girato interamente in
Inghilterra, fu per la psiche già
fragile di Marilyn un duro colpo.
Essere per la prima volta lontana
da casa le procurò una tale ansia
da prestazione da compromettere i rapporti con il regista e gli attori, stressati dai suoi continui ritardi e dalla sua insistenza nel
mettere in atto le “regole recitative” apprese dalle lezioni con gli
Strasberg. Al ritorno l’attendeva
una nuova sofferenza: la perdita
del figlio che aspettava da Miller,
il suo tredicesimo aborto, ulteriore esperienza di perdita che segna
un percorso in discesa. In questo
clima di conflitto con se stessa e
con gli altri, Marilyn accetta di girare “A qualcuno piace caldo”, il
film che la mostra bella e sensuale, matura attrice dell’Actors Studio, ma troppo fragile nel suo
equilibrio di persona: i suoi ritardi
sul set si facevano sempre più imbarazzanti, le prestazioni sempre
più discutibili, si percepiva anche
dall’esterno una condizione di totale disorientamento. Gli unici
momenti di relax nella vita di Marilyn erano ormai quelli vissuti
durante gli incontri furtivi con colui che sarebbe diventato l’ultimo
importante amore della sua vita:
l’allora senatore John Fitzgerald
Kennedy.
Un amore ambizioso, illustre,
in linea con quella scalata che per
Marilyn non aveva mai cessato
d’essere obiettivo primario della
vita. Ma il prezzo di questo amore
fu alto, quanto l’ambizione che lo
aveva determinato. La storica
performance canora di “Happy
Birthday Mister President” al Madison Square Garden di New
York, in occasione dei quarantacinque anni di John Kennedy, fu
una vera e propria dichiarazione
d’amore di fronte a quindicimila
persone, ma rappresentò anche
per la diva il canto del cigno, il più
bello prima della tragica fine.
Marilyn col drammaturgo Arthur Miller, suo terzo marito
Il testo biblico “irriverente” firmato dal genio dei comics underground esce in Israele ed è già polemica
Arriva la Genesi a fumetti di Robert Crumb
Aldo Baquis
Il testo sacro per eccellenza interpretato dalla matita più irriverente del fumetto di protesta
americano degli anni Settanta:
quella di Robert Crumb. La versione ebraica della sua “Genesi” a
fumetti è uscita questa settimana
in Israele, dove rischia di scatenare reazioni molto emotive.
Il nome di Crumb è uno di
quelli che mozzano il fiato: è il genio dei comics underground che
spopolavano nel campus di Berkeley negli anni della rivolta studentesca, inesauribile autore di
pagine esplicite e allegramente
celebrative della triade liberatoria “Sesso-Droga-Rock and roll”.
Trasferitosi da vent’anni in
Francia, Crumb ha polarizzato in
età matura la sua attenzione e
l’indiscussa capacità illustrativa
sui Patriarchi del popolo ebraico.
L’approccio – è stato notato – è
molto cauto, totalmente ossequioso del testo e delle sensibilità
del lettore potenziale. Ma la miscela “Bibbia+Crumb” resta
esplosiva. Non a caso la versione
anglosassone della “Genesi” –
che ha presto guidato le vendite
negli Stati Uniti nella categorie
dei “Graphic Novel” – è stata accompagnata dalla dicitura: «Si
consiglia l’assistenza di adulti
qualora il libro sia destinato a un
minorenne».
Già nella prime pagine ci si imbatte in una “Eva” molto procace,
che non sfigurerebbe in un locale
notturno di Las Vegas. La matita
di Crumb (autore del celebre
film-sexy di animazione “Fritz il
gatto”) sembra talora animata di
volontà propria. Un lettore religioso, timorato, potrebbe dunque non apprezzare le illustrazioni che mostrano Lot, dopo la distruzione di Sodoma, mentre
stordito dal vino si accoppia con
le figlie. Crumb ha dedicato cinque anni a questo libro, ha compiuto anche un metodico lavoro
di ricerca, sforzandosi di ricreare
ambienti, costumi e abiti dei protagonisti della “Genesi”.
Nella direzione di Xargol si attendono con grande curiosità le
reazioni del ministero dell’Istruzione (nella speranza che la Bibbia a fumetti sia ammessa nelle
aule) e dei frastagliati ambienti
religiosi israeliani, dove non
mancano zeloti ed integralisti. La
possibilità che sia oggetto di anatemi non viene esclusa.
Marilyn legge l’ “Ulisse” di Joyce nel 1955 sulla spiaggia di Long Island
“Fragments”: appunti e lettere della diva
Quando leggeva Joyce
e scriveva poesie
Marianna Argentina
Marilyn mentre legge l’ “Ulisse”
di Joyce sulla spiaggia di Long
Island. Marilyn che contempla
una scultura della Ballerina di
Degas. Marilyn con Karen Blixen e Marilyn poetessa. La spumeggiante oca bionda, la diva
più sexy di tutti i tempi, mostra
oltre alla sua rara bellezza anche
una grande passione per la letteratura e la scrittura in cui lei stessa esprime un incontenibile desiderio di scoprire la vita. Lo dimostrano gli inediti scritti tra il
1943 e il 1962: poesie, appunti,
lettere, frammenti dei diari e foto raccolte in “Fragments”, uscito per Feltrinelli (pp. 269, euro
25) con la prefazione di Antonio
Tabucchi, in contemporanea
con altri paesi fra cui la Francia
(Seuil), la Germania (Fischer
Verlag), la Spagna (Seix Barral)
e gli Stati Uniti (Farrar,
Straus&Giroux).
«Vita – Ho in me entrambe le
tue direzioni» scrive l'attrice. E
ancora: «Solo parti di noi potranno mai toccare parti di altri», «Mi sa che ho sempre avuto
un profondo terrore di essere
davvero la moglie di qualcuno
dato che nella vita ho imparato
che non si può amare un’altra
persona, mai, veramente». Rimasti finora inediti questi testi
erano conservati in due scatole
lasciate a Lee Strasberg nel
1962, alla morte della Monroe.
Ritrovate nel 2007 da Anna, la
vedova di Strasberg, sono state
ora pubblicate a cura del vecchio
amico di famiglia Stanley Buchthal e di Bernard Comment,
editor delle Editions du Seuil.
Rivelano un aspetto inedito e
per molti versi sorprendente di
Marilyn che appare come «una
giovane donna inappagata da
superficiali questioni d’apparenza e tesa a cercare la verità,
nelle cose come nelle persone»
sottolineano i curatori, che spiegano anche come «tre o quattro
di questi documenti possono essere stati pubblicati altrove, integralmente o in parte, senza
autorizzazione. Qui acquistano
un nuovo senso».
La stessa Norma Jean, vero
nome di Marilyn Monroe, si descriveva come «due persone in
una», un po’ come vuole il suo
segno zodiacale, i gemelli. «Penso di avere dentro di me un lato
gioioso e uno triste» disse in
un’intervista, ricordano i curatori.
Nella bellissima prefazione
Tabucchi spiega che «dentro
quel corpo, che in certi momenti
della sua vita Marilyn portò come si porta una valigia, viveva
l’anima di un’intellettuale e di
un poeta che nessuno sospettava» e vede nel desiderio di Marilyn di essere nella prossima vita
una farfalla un commiato inconsapevole dell’attrice.
La preziosità di questo libro,
diverso dai tanti usciti finora
sulla diva di tutti i tempi, è che a
parlare è solo e soltanto lei con
parole scritte a mano, cancellate, che sulla pagina in alcuni casi
sembrano dei puzzle, che esprimono la sua depressione, il rapporto con la psicanalisi, la spinta
ad amare, il bisogno di una disciplina, la paura della follia che
aveva segnato la madre e la nonna, l’amore per il suo lavoro che
voleva fare sempre meglio e uno
sguardo alla fine sempre più disincantato. Il suo bisogno di ordine si vede anche negli “Appunti di cucina” in cui ogni cosa è
prevista nei dettagli quando deve organizzare una cena di compleanno per Helen Schneider.
Mentre , dopo un anno di analisi «Aiuto aiuto Aiuto Sento la
vita farsi più vicina quando voglio solo morire» dice Marilyn, e
riflettendo sulla vita: «Ci vuole
solo decisione per non farsi travolgere». Nel dicembre del '61 in
una lettera a Lee Strasberg scrive: «Come sai, da anni lotto per
trovare una certa sicurezza
emotiva ma senza grande successo, per numerosi motivi diversi».
In appendice la sua foto preferita, quella con il fiore scattata
da Cecil Beaton il 22 febbraio
1956, l’elogio funebre di Lee
Strasberg e alcuni libri dalla sua
biblioteca personale fra i quali
figurano “Madame Bovary” di
Flaubert e “Sulla Strada” di Kerouac. Restano fuori da “Fragments” gli appunti sul mestiere
di attore che, spiegano i curatori, potrebbero comporre un’altra raccolta.