Nella lotta contro la morte, noi protagonisti

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Nella lotta contro la morte, noi protagonisti
Nella lotta contro la morte, noi protagonisti
A
rriva una circolare: giovedì 27 gennaio dalle undici all’una incontro sulla droga e sulle stragi
del sabato sera. Perdere due ore di lezione a gennaio è il sogno di ogni studente anche se il
tema lascia un po’ a desiderare. Sarà la solita conferenza su “droga ed effetti”, ci daranno
dei dati e la spiegazione scientifica e alla fine, dopo grafici e percentuali, ci congederanno con uno
slogan e l’invito a non bere e non drogarci. Due minuti dopo dimenticheremo tutto per poi ricordarlo
solo alla successiva conferenza, dove ci sentiremo ripetere ancora una volta le solite cose.
Ci sediamo in aula magna e la conferenza ha inizio. Ci parlano del Rotari e dell’iniziativa di
quest’anno, dell’interesse per i giovani, (a quanto pare in questa società che invecchia siamo la
“ricchezza principale”) ma anche di come, a causa di un mix mortale di alcol droga e sonno, ogni
settimana decine di giovani perdano la vita.
Interviene a questo punto il neurologo, il professor De Marco ci parla di salute mentale. Cosa
c’entra? Pensiamo noi. Ma capiamo poco dopo. Una persona deve saper stabilire relazioni e
coltivarle e per fare questo deve essere capace di risolvere i conflitti, quelli con gli altri, ma
soprattutto quelli con se stesso e per riuscirci deve avere una buona immagine di sè e riuscire a
inserirsi nella società partecipando ai mutamenti, senza per questo diventare una copia di tutti gli
altri. È importante per noi provare emozioni ed essere capaci di mutarli in sentimenti e non farli
sfumare in qualcosa di effimero.
A questo punto ci guardiamo un po’ perplessi, non tutti ne siamo capaci e questo ci preoccupa,
come anche il fatto che secondo il neurologo una persona è il risultato delle esperienze fatte tra i
diciotto e i vent’anni, quello che succede dopo non è molto incisivo. Abbiamo bisogno degli amici e
persino della scuola, grazie a questi, ci dice il neurologo, riusciremo a sviluppare un metodo critico
che diverrà il metro di misura della nostra realtà. Apparentemente il discorso è un po’ lontano
dall’argomento invece non è così: hanno capito che un video e dei grafici non aiutano, che è
stupido voler iniziare a costruire un grattacielo dall’ultimo piano, che bisogna scavare a fondo e poi
pian piano costruire le fondamenta. A quanto pare hanno scavato e si stanno preparando per i
lavori di costruzione. L’ultimo piano, per ora, è solo un progetto.
Terminata la presentazione power point, cominciano a renderci partecipi: ci fanno qualche
domanda e sorridono mentre parlando tra di noi sembriamo un po’ maleducati, ma ci stiamo solo
scambiando le risposte e commentando.
L’ultimo quarto d’ora il provveditore Capobianco si alza e prende il microfono. Ci racconta delle
esperienze personali. Non parla dei ragazzi che non rispettano le regole stradali, che guidano
ubriachi e a cui non interessa ne di loro stessi ne degli altri. Ci parla di lui, ci racconta della multa
che ha preso perché mentre era alla guida utilizzava il cellulare, di una sua alunna morta in un
incidente stradale e di come lui stesso si renda conto di esagerare con la velocità. Si mette nei
nostri panni, e alla fine non fa nemmeno una grande distinzione tra noi e lui. Perché abbiamo
diciotto anni, ma gli incidenti sulle strade non li causiamo solo noi. Perché siamo giovani, ma non
solo i giovani muoiono in strada. Perché siamo studenti, ma anche lui ogni giorno impara qualcosa.
Impara che la vita è preziosa e che è stupido stroncarla per un comportamento scorretto che si
potrebbe benissimo evitare.
Naomi Greco IID