Marzo 2017,Febbraio 2017,Gennaio 2017,Dicembre

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Marzo 2017,Febbraio 2017,Gennaio 2017,Dicembre
Marzo 2017
ESPERIENZE PAROLA DI VITA
“ … lasciatevi riconciliare con Dio” (2 Cor 5,20)
In tante parti del pianeta, ci sono guerre sanguinose e che
sembrano interminabili, e che coinvolgono le famiglie, le
tribù e i popoli. Gloria, vent’anni, racconta: “Abbiamo avuto
notizia che un villaggio era stato bruciato e molti erano
rimasti senza più nulla. Con i miei amici ho iniziato una
raccolta di cose utili: materassi, vestiti, alimenti; partiamo
e dopo otto ore di viaggio incontriamo le persone nella
desolazione. Ascoltiamo i loro racconti, asciughiamo lacrime,
abbracciamo, confortiamo… Una famiglia ci confida: “La nostra
bambina era nella casa che ci hanno bruciato e ci è sembrato
di morire con lei. Ora nel vostro amore troviamo la forza di
perdonare gli uomini che ne sono stati la causa!”.
Anche l’apostolo Paolo ha fatto un’esperienza: proprio lui, il
persecutore dei cristiani (1), ha incontrato sul suo cammino,
in modo totalmente inaspettato, l’amore gratuito di Dio, che
poi lo ha inviato come ambasciatore di riconciliazione in suo
nome. (2)
E’ diventato così testimone appassionato e credibile del
mistero di Gesù morto e risorto, che ha riconciliato a sé il
mondo perché tutti potessero conoscere e sperimentare la vita
di comunione con Lui e con i fratelli.(3) E, attraverso Paolo,
il messaggio evangelico ha raggiunto e affascinato persino i
pagani, considerati i più lontani dalla salvezza: lasciatevi
riconciliare con Dio!
Anche noi, nonostante gli errori che ci scoraggiano o le false
certezze che ci illudono di non averne bisogno, possiamo
lasciare che la misericordia di Dio – un amore esagerato! –
guarisca il nostro cuore e ci renda finalmente liberi di
condividere questo tesoro con gli altri. Daremo così il nostro
contributo al progetto di pace che Dio ha su tutta l’umanità e
sull’intera creazione e che supera le contraddizioni della
storia, come suggerisce Chiara Lubich in un suo scritto:
“(…) Sulla croce,
la prova suprema
Cristo, Egli ci
fondamentale della
nella morte del suo Figlio, Dio ci ha dato
del suo amore. Per mezzo della croce di
ha riconciliati con sé. Questa verità
nostra fede ha oggi tutta la sua attualità.
E’ la rivelazione che tutta l’umanità attende: sì, Dio è
vicino con il suo amore a tutti e ama appassionatamente
ciascuno. Il nostro mondo ha bisogno di questo annuncio, ma lo
possiamo fare se prima lo annunciamo e lo riannunciamo a noi
stessi, sì da sentirci circondati da questo amore, anche
quando tutto farebbe pensare il contrario (…) Tutto il nostro
comportamento dovrebbe rendere credibile questa verità che
annunciamo. Gesù ha detto chiaramente che prima di portare
l’offerta all’altare dovremmo riconciliarci con un nostro
fratello o sorella se essi avessero qualcosa contro di noi (cf
Mt 5,23-24) … amiamoci come lui ci ha amati, senza chiusure e
pregiudizi, ma aperti a cogliere e apprezzare i valori
positivi del nostro prossimo, pronti a dare la vita gli uni
per gli altri. Questo è il comando per eccellenza di Gesù, il
distintivo dei cristiani, valido ancora oggi come ai tempi dei
primi seguaci di Cristo. Vivere questa parola significa
divenire dei riconciliatori”. (4)
Vivendo così, arricchiremo le nostre giornate con gesti di
amicizia e riconciliazione nella nostra famiglia e tra le
famiglie, nella nostra Chiesa e tra le Chiese, in ogni
comunità civile e religiosa a cui apparteniamo.
Letizia Magri
Cfr. At 22,4
Cfr. 2 Cor 5,20.
Cfr. Ef 2,13ss.
versione integrale in Città Nuova 1996/24, 37.
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Febbraio 2017
ESPERIENZE PAROLA DI VITA
“Vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito
nuovo” (Ez 36,26)
Il cuore fa pensare agli affetti, ai sentimenti, alle
passioni. Per l’autore biblico però è molto di più: assieme
allo spirito è il centro della vita e della persona, il luogo
delle decisioni, dell’interiorità, della vita spirituale. Il
cuore di carne è docile alla parola di Dio, si lascia guidare
da essa e formula “pensieri di pace” verso i fratelli. Il
cuore di pietra è chiuso in se stesso, incapace di ascolto e
di misericordia.
Abbiamo bisogno di un cuore nuovo e di uno spirito nuovo?
Basta guardarci attorno. Le violenze, le corruzioni, le guerre
nascono da cuori di pietra che si sono chiusi al progetto di
Dio sulla sua creazione. Anche se ci guardiamo dentro con
sincerità, non ci sentiamo mossi tante volte da desideri
egoistici? È proprio l’amore a guidare le nostre decisioni, è
il bene dell’altro?
Osservando questa nostra povera umanità Dio si muove a
compassione. Egli che ci conosce meglio di noi stessi, sa che
abbiamo bisogno di un cuore nuovo. Lo promette al profeta
Ezechiele, pensando non soltanto a singole persone, ma a tutto
il suo popolo. Il sogno di Dio è ricreare una grande famiglia
di popoli, come l’ha pensata dalle origini, informata dalla
legge dell’amore reciproco. La nostra storia ha più volte
mostrato che da un lato, da soli, siamo incapaci di adempiere
il suo progetto, dall’altro Dio non si è mai stancato di
rimettersi in gioco, fino a prometterci di darci egli stesso
un cuore e uno spirito nuovi.
Adempie in pienezza la sua promessa quando manda il suo Figlio
sulla terra e infonde il suo Spirito nel giorno di Pentecoste.
Ne nasce una comunità – quella dei primi cristiani di
Gerusalemme – icona di un’umanità caratterizzata da “un cuore
solo e un’anima sola”(1).
Anch’io che scrivo questo breve commento, anche tu che lo
leggi o lo ascolti, siamo chiamati a far parte di questa nuova
umanità. Più ancora, siamo chiamati a costruirla attorno a
noi, a renderla presente nel nostro ambiente di vita e di
lavoro. Pensa quale missione grande ci viene affidata e quanta
fiducia Dio ripone in noi. Invece di deprimerci davanti a una
società che tante volte ci appare corrotta, invece di
rassegnarci davanti a mali più grandi di noi e chiuderci
nell’indifferenza, dilatiamo il cuore «sulla misura del Cuore
di Gesù. Quanto lavoro! Ma è l’unico necessario. Fatto questo,
tutto è fatto». Era un invito di Chiara Lubich, che
continuava: «Si tratta di amare ognuno che ci viene accanto
come Dio lo ama. E dato che siamo nel tempo, amiamo il
prossimo uno alla volta, senza tener nel cuore rimasugli
d’affetto per il fratello incontrato un minuto prima» (2).
Non confidiamo nelle nostre forze e capacità, inadeguate, ma
nel dono che Dio ci fa: “Vi darò un cuore nuovo, metterò
dentro di voi uno spirito nuovo”.
Se rimaniamo docili all’invito ad amare ognuno, se ci lasciamo
guidare dalla voce dello Spirito in noi, diventiamo cellule di
una umanità nuova, artigiani di un mondo nuovo, nella grande
varietà di popoli e culture.
Fabio Ciardi
1 – Cf. Atti 4,
2 – C. Lubich, La dottrina spirituale, Città nuova 2002, 135.
Vivremo questa parola – scelta da un gruppo ecumenico in
Germania – assieme a tanti fratelli e sorelle di varie Chiese,
per lasciarci accompagnare da questa promessa di Dio, lungo
tutto l’anno in cui si ricordano i 500 anni della Riforma.
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Gennaio 2017
ESPERIENZE PAROLA DI VITA
“Infatti, l’amore di Cristo ci spinge” (cfr 2 Cor 5, 14-20).
“Ieri sera sono andata a cena fuori con un’amica di mia mamma.
Ho ordinato come contorno un piatto di piselli, per poi
mangiarmi il dolce che mi piaceva di più. Ma mamma ha detto di
no. Stavo per tirare fuori il broncio, ma mi sono ricordata
che Gesù era proprio accanto a mamma e così mi sono messa a
sorridere”. “Oggi, dopo una giornata faticosa, sono tornato a
casa. Mentre guardavo la TV, mio fratello mi ha preso il
telecomando dalle mani. Mi sono arrabbiato molto, ma poi mi
sono calmato e ho lasciato che vedesse la televisione”. “Oggi
mio padre mi ha detto una cosa ed io gli ho risposto male.
L’ho guardato ed ho visto che non era felice. Allora gli ho
chiesto scusa e lui mi ha perdonato”.
Sono esperienze sulla Parola di vita raccontate da bambini di
quinta elementare di una scuola di Roma. Forse non vi è un
legame immediato tra tali esperienze e la Parola che vivevano
in quel momento, ma è proprio questo il frutto del Vangelo
vissuto: lo sprone ad amare. Qualsiasi Parola ci proponiamo di
vivere, gli effetti sono sempre gli stessi: essa ci cambia la
vita, ci mette in cuore la spinta ad essere attenti ai bisogni
dell’altro, fa sì che ci poniamo a servizio dei fratelli e
delle sorelle. Non può essere diversamente: accogliere e
vivere la Parola fa nascere in noi Gesù e ci porta ad agire
come lui. È ciò che lascia intendere Paolo quando scrive qui
ai Corinti.
Ciò che spingeva l’apostolo ad annunciare il Vangelo e ad
adoperarsi per l’unità delle sue comunità, era la profonda
esperienza che aveva fatto di Gesù. Si era da lui sentito
amato, salvato; era penetrato nella sua vita al punto che
niente e nessuno avrebbe mai potuto separarlo da lui: non era
più Paolo a vivere, perché Gesù viveva in lui. Il pensiero che
il Signore l’avesse amato al punto da dare la vita lo faceva
impazzire, non gli dava pace e lo spingeva con forza
irresistibile a fare altrettanto con altrettanto amore.
L’amore di Cristo spinge anche noi con la medesima veemenza?
Se davvero abbiamo sperimentato il suo amore, non possiamo non
amare a nostra volta ed entrare, con coraggio, là dove c’è
divisione, conflitto, odio, per portarvi concordia, pace,
unità. L’amore ci permette di gettare il cuore al di là
dell’ostacolo, per giungere a un contatto diretto con le
persone, nella comprensione, nella condivisione, per cercare
insieme la soluzione. Non si tratta di un’azione opzionale.
L’unità va perseguita ad ogni costo, senza lasciarci bloccare
da false prudenze, da difficoltà o possibili scontri.
Ciò appare urgente soprattutto nel campo ecumenico. Questa
parola è stata scelta in questo mese, nel quale si celebra la
Settimana di preghiera per l’unità, proprio per essere vissuta
insieme dai cristiani delle diverse Chiese e comunità, perché
ci si senta tutti spinti, dall’amore di Cristo, ad andare gli
uni verso gli altri, così da ricomporre l’unità.
«Sarà autentico cristiano della riconciliazione – affermava
Chiara Lubich all’apertura della IIa Assemblea Ecumenica
Europea a Graz, Austria, il 23 giugno 1997 – solo chi sa amare
gli altri con la carità stessa di Dio, quella carità che fa
vedere Cristo in ognuno, che è destinata a tutti – Gesù è
morto per tutto il genere umano -, che prende sempre
l’iniziativa, che ama per prima; quella carità che fa amare
ognuno come sé, che ci fa uno con i fratelli e le sorelle: nei
dolori e nelle gioie. E occorre che anche le Chiese amino con
questo amore».
Viviamo anche noi la radicalità dell’amore con la semplicità e
la serietà dei bambini della scuola di Roma.
Fabio Ciardi
Parola di Vita Gennaio 2017 272.21 KB
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Audio Parola di Vita gennaio 2017 con esperienza
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Dicembre 2016
“Egli viene a salvarvi” (Is 35, 4).
Il verbo è al presente: egli viene. È certezza di adesso. Non
dobbiamo aspettare domani, o la fine dei tempi, o l’altra
vita. Dio agisce subito, l’amore non consente dilazioni o
ritardi. Il profeta Isaia si rivolgeva a un popolo che
attendeva con ansia la fine dell’esilio e il ritorno in
patria. In questi giorni d’attesa del Natale non possiamo non
ricordare che una simile promessa di salvezza fu rivolta a
Maria: “Il Signore è con te” (Lc 1,28); l’angelo le annunciava
la nascita del Salvatore.
Non viene per una visita qualsiasi. Il suo è un intervento
decisivo, della massima importanza: viene a salvarci! Da cosa?
Siamo in grave pericolo? Sì. A volte ne siamo consapevoli, a
volte non ce ne rendiamo conto. Interviene perché vede gli
egoismi, l’indifferenza verso chi soffre ed è nel bisogno, gli
odi, le divisioni. Il cuore dell’umanità è malato. Egli viene
mosso a pietà verso la sua creatura, non vuole che si perda.
La sua è come la mano tesa verso un naufrago che sta
annegando. Purtroppo in questo periodo questa immagine, che si
rinnova di giorno in giorno con i profughi che tentano di
attraversare i nostri mari, ci è sempre sotto gli occhi, e
vediamo con quanta prontezza afferrano quella mano tesa, quel
giubbotto salvavita. Anche noi, in ogni momento, possiamo
afferrare la mano tesa di Dio e seguirlo con fiducia. Egli non
soltanto guarisce il nostro cuore da quel ripiegamento su noi
stessi, che ci chiude verso gli altri, ma ci rende, a nostra
volta, capaci di aiutare quanti sono nella necessità, nella
tristezza, nella prova.
«Non è certo il Gesù storico o Lui in quanto Capo del Corpo
mistico – scriveva Chiara Lubich – che risolve i problemi. Lo
fa Gesù-noi, Gesù-io, Gesù-tu, … È Gesù nell’uomo, in quel
dato uomo – quando la sua grazia è in lui –, che costruisce un
ponte, fa una strada, … […] È come altro Cristo, come membro
del suo Corpo mistico, che ogni uomo porta un contributo suo
tipico in tutti i campi: nella scienza, nell’arte, nella
politica, nella comunicazione e così via». L’uomo è con ciò
collaboratore con Cristo. «È l’incarnazione che continua,
incarnazione completa che riguarda tutti i Gesù del Corpo
mistico di Cristo» (1).
È proprio quanto è accaduto a Roberto, un ex-carcerato che ha
trovato chi l’ha “salvato” e che si è trasformato a sua volta
in uno che “salva”. Ha raccontato la sua esperienza, il 24
aprile, alla Mariapoli di Villa Borghese a Roma. «Finita una
lunga detenzione pensavo di ricominciare una vita, ma come si
sa, anche se hai pagato la tua pena, per la gente rimani
sempre un poco di buono. Cercando lavoro ho trovato tutte le
porte chiuse. Ho dovuto elemosinare per strada, per sette mesi
ho fatto il barbone. Finché non ho incontrato Alfonso che,
mediante l’associazione da lui creata, aiuta le famiglie dei
carcerati. “Se vuoi ricominciare, mi ha detto, vieni con me”.
Adesso da un anno lo aiuto a preparare le buste della spesa
per le famiglie dei carcerati che andiamo a visitare. Per me è
una grazia immensa perché in queste famiglie rivedo me stesso.
Vedo la dignità di queste donne sole con bambini piccoli, che
vivono in situazioni disperate, che aspettano qualcuno che
vada a portare loro un po’ di conforto, un po’ di amore.
Donandomi ho ritrovato la mia dignità di essere umano, la mia
vita ha un senso. Ho una forza in più perché ho Dio nel cuore,
mi sento amato…».
Fabio Ciardi
1 Chiara Lubich, Gesù Abbandonato e la notte collettiva e
culturale, al congresso delle gen Castel Gandolfo, 7 gennaio
2007 (letto da Silvana Veronesi).
Parola di Vita Dicembre 2016 272.21 KB
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Audio con Parola di Vita di dicembre 2016 ed esperienza
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Novembre 2016
“Tutto posso in colui che mi dà la forza” (Fil 4,13)
Ci sono momenti nei quali ci sentiamo contenti, pieni di forze
e tutto sembra facile e leggero. Altre volte siamo assaliti da
difficoltà che amareggiano le nostre giornate. Possono essere
i piccoli fallimenti nell’amare le persone che ci sono
accanto, l’incapacità di condividere con altri il nostro
ideale di vita. Oppure sopraggiungono malattie, ristrettezze
economiche, delusioni familiari, dubbi e tribolazioni
interiori, perdita di lavoro, situazioni di guerra, che ci
schiacciano e appaiono senza via di uscita. Ciò che pesa
maggiormente in queste circostanze è sentirci costretti ad
affrontare da soli le prove della vita, senza il sostegno di
qualcuno capace di darci un aiuto decisivo.
Poche persone come l’apostolo Paolo hanno vissuto con tanta
intensità gioie e dolori, successi e incomprensioni. Eppure
egli ha saputo perseguire con coraggio la sua missione, senza
cedere allo scoraggiamento. Era un supereroe? No, si sentiva
debole, fragile, inadeguato, ma possedeva un segreto, che
confida ai suoi amici di Filippi: “Tutto posso in colui che mi
dà la forza”. Aveva scoperto nella propria vita la presenza
costante di Gesù. Anche quando tutti lo avevano abbandonato,
Paolo non si è mai sentito solo: Gesù gli è rimasto vicino.
Era lui che gli dava sicurezza e lo spingeva ad andare avanti,
ad affrontare ogni avversità. Era entrato pienamente nella sua
vita divenendo la sua forza.
Quello di Paolo può essere anche il nostro segreto. Tutto
posso quando anche in un dolore riconosco e accolgo la
vicinanza misteriosa di Gesù che quasi si identifica e prende
su di sé quel dolore. Tutto posso quando vivo in comunione
d’amore con altri, perché allora Egli viene in mezzo a noi,
come ha promesso (cf Mt 18,20), e sono sostenuto dalla forza
dell’unità. Tutto posso quando accolgo e metto in pratica le
parole del Vangelo: mi fanno scorgere la strada che sono
chiamato a percorrere giorno dopo giorno, mi insegnano come
vivere, mi danno fiducia.
Avrò la forza per affrontare non soltanto le mie prove
personali, o della mia famiglia, ma anche quelle del mondo
attorno a me. Può sembrare un’ingenuità, un’utopia, tanto
immani sono i problemi della società e delle nazioni. Eppure
“tutto” possiamo con la presenza dell’Onnipotente; “tutto” e
solo il bene che Egli, nel suo amore misericordioso, ha
pensato per me e per gli altri attraverso di me. E se non si
attualizza subito, possiamo continuare a credere e sperare nel
progetto d’amore di Dio che abbraccia l’eternità e si compirà
comunque.
Basterà lavorare “a due”, come insegnava Chiara Lubich: «Io
non posso far nulla in quel caso, per quella persona cara in
pericolo o ammalata, per quella circostanza intricata… Ebbene
io farò ciò che Dio vuole da me in quest’attimo: studiare
bene, spazzare bene, pregare bene, accudire bene i miei
bambini… E Dio penserà a sbrogliare quella matassa, a
confortare chi soffre, a risolvere quell’imprevisto. È un
lavoro a due in perfetta comunione, che richiede a noi grande
fede nell’amore di Dio per i suoi figli e mette Dio stesso,
per il nostro agire, nella possibilità d’aver fiducia in noi.
Questa reciproca confidenza opera miracoli. Si vedrà che, dove
noi non siamo arrivati, è veramente arrivato un Altro, che ha
fatto immensamente meglio di noi» (1)
Fabio Ciardi
1.Chiara Lubich, Scritti Spirituali/2, Città Nuova, Roma
19972, pp.194-195.
Parola di Vita Novembre 2016 284.45 KB
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Trasmissioni radiofoniche con esperienze
Audio Parola di Vita – Novembre 2016
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Ottobre 2016
“Perdona l’offesa al tuo prossimo e allora per la tua
preghiera ti saranno rimessi i peccati” (Sir 28, 2).
In una società violenta come quella nella quale viviamo, il
perdono è un argomento difficile da affrontare. Come si può
perdonare chi ha distrutto una famiglia, chi ha commesso
crimini inenarrabili o chi, più semplicemente, ci ha toccato
sul vivo in questioni personali, rovinando la nostra carriera,
tradendo la nostra fiducia?
Il primo moto istintivo è la vendetta, rendere male per male,
scatenando una spirale di odio e aggressività che imbarbarisce
la società. Oppure interrompere ogni relazione, serbare
rancore e astio, in un atteggiamento che amareggia la vita e
avvelena i rapporti.
La Parola di Dio irrompe con forza nelle più varie situazioni
di conflitto e propone, senza mezzi termini, la soluzione più
difficile e coraggiosa: perdonare.
L’invito, questa volta, ci giunge da un saggio dell’antico
popolo di Israele, Ben Sira, che mostra l’assurdità della
domanda di perdono rivolta a Dio da una persona che a sua
volta non sa perdonare. «A chi [Dio] perdona i peccati? –
leggiamo in un antico testo della tradizione ebraica – A chi
sa perdonare a sua volta» (1)
È quanto Gesù stesso ci ha insegnato nella preghiera che
rivolgiamo al Padre: «Padre… rimetti a noi i nostri debiti
come noi li rimettiamo ai nostri debitori?» (2)
Anche noi sbagliamo, e ogni volta vorremmo essere perdonati!
Supplichiamo e speriamo che ci sia data nuovamente la
possibilità di ricominciare, che si abbia ancora fiducia nei
nostri confronti. Se è così per noi, non lo sarà anche per gli
altri? Non dobbiamo amare il prossimo come noi stessi?
Chiara Lubich, che continua a ispirare la nostra comprensione
della Parola, così commenta l’invito al perdono: esso «non è
dimenticanza che spesso significa non voler guardare in faccia
la realtà. Il perdono non è debolezza, e cioè non tener conto
di un torto per paura del più forte che l’ha commesso. Il
perdono non consiste nell’affermare senza importanza ciò che è
grave, o bene ciò che è male. Il perdono non è indifferenza.
Il perdono è un atto di volontà e di lucidità, quindi di
libertà, che consiste nell’accogliere il fratello così com’è,
nonostante il male che ci ha fatto, come Dio accoglie noi
peccatori, nonostante i nostri difetti. Il perdono consiste
nel non rispondere all’offesa con l’offesa, ma nel fare quanto
Paolo dice: “Non lasciarti vincere dal male, ma vinci con il
bene il male”(3)
Il perdono consiste nell’aprire a chi ti fa del torto la
possibilità d’un nuovo rapporto con te, la possibilità quindi
per lui e per te di ricominciare la vita, d’aver un avvenire
in cui il male non abbia l’ultima parola».
La Parola di vita ci aiuterà a resistere alla tentazione di
rispondere a tono, di ricambiare il male subìto. Ci aiuterà a
vedere chi ci è “nemico” con occhi nuovi, riconoscendo in lui
un fratello, anche se cattivo, che ha bisogno di qualcuno che
lo ami e lo aiuti a cambiare. Sarà la nostra “vendetta
d’amore”.
«Dirai: “Ma ciò è difficile” – continua Chiara nel suo
commento –. Si capisce. Ma qui è il bello del cristianesimo.
Non per nulla sei alla sequela di un Dio che, spegnendosi in
croce, ha chiesto il perdono a suo Padre per chi gli aveva
dato la morte. Coraggio. Inizia una vita così. Ti assicuro una
pace mai provata e tanta gioia sconosciuta» (4)
Fabio Ciardi
1 Cf. Talmud babilonese, Megillah 28a.
2 Mt 6, 12.
3 Rom 12, 21.
4 Costruire sulla roccia, Città Nuova, Roma 1983, p. 46-58.
Parola di Vita Ottobre 2016 293.02 KB
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Vedi la Parola di vita in video:
https://youtu.be/Mmt13oNuxjw
Trasmissioni radiofoniche con esperienze
Settembre 2016
“Tutto è vostro! Ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio” (1 Cor 3,
22-23)
Siamo nella comunità dei cristiani di Corinto, vivacissima,
piena di iniziative, animata al suo interno da gruppi legati a
differenti guide carismatiche. Da qui anche tensioni tra
persone e gruppi, divisioni, culto della personalità,
desiderio di primeggiare.
Paolo interviene con decisione ricordando a tutti che, nella
ricchezza e varietà di doni e leader che la comunità possiede,
qualcosa di molto più profondo li lega in unità:
l’appartenenza a Dio.
Risuona, ancora una volta, il grande annuncio cristiano: Dio è
con noi, e noi non siamo spaesati, orfani, abbandonati a noi
stessi, ma, figli suoi, siamo suoi. Come un vero padre egli ha
cura di ciascuno, senza farci mancare niente di quanto occorre
per il nostro bene. Anzi è sovrabbondante nell’amore e nel
dono: “Tutto vi appartiene – come afferma Paolo – il mondo, la
vita, la morte, le cose presenti, le cose future, tutto è
vostro!”. Ci ha donato addirittura suo Figlio, Gesù. Che
fiducia immensa da parte di Dio nel porre ogni cosa nelle
nostre mani!
Quante volte abbiamo invece abusato dei suoi doni: ci siamo
creduti padroni del creato fino a saccheggiarlo e deturparlo,
padroni dei nostri fratelli e sorelle fino a schiavizzarli e
massacrarli, padroni delle nostre vite fino a sciuparle nel
narcisismo e nel degrado.
Il dono immenso di Dio – “Tutto è vostro” – domanda
gratitudine. Spesso ci lamentiamo per quanto non abbiamo o ci
rivolgiamo a Dio soltanto per chiedere. Perché non guardarci
attorno e scoprire il bene e il bello da cui siamo circondati?
Perché non dire grazie a Dio per quanto ci dona ogni giorno?
Il “tutto è vostro” è anche una responsabilità. Essa richiede
da noi premura, tenerezza, cura per quanto ci è affidato: il
mondo intero e ogni essere umano; la stessa cura che Gesù ha
per noi (“voi siete di Cristo”), la stessa che il Padre ha per
Gesù (“Cristo è di Dio”).
Dovremmo saper gioire con chi è nella gioia e piangere con chi
è nel pianto, pronti a raccogliere ogni gemito, divisione,
dolore, violenza, come qualcosa che ci appartiene,
condividerla, fino a trasformarla in amore. Tutto ci è donato
perché lo portiamo a Cristo, ossia alla pienezza di vita, e a
Dio, ossia alla sua meta finale, ridando ad ogni cosa e ad
ogni persona la sua dignità e il suo significato più profondo.
Un giorno, nell’estate 1949, Chiara Lubich avvertì un’unità
tale con Cristo da sentirsi legata a lui come sposa allo
Sposo. Le venne allora da pensare alla dote che avrebbe dovuto
portare in dono e comprese che doveva essere tutta la
creazione! Da parte sua egli avrebbe portato a lei in eredità
tutto il Paradiso. Ricordò allora le parole del Salmo:
“Chiedimi e ti darò per tua eredità tutte le genti, per tuoi
possessi fino agli ultimi confini della terra…” (cf Sal 2,8).
«Credemmo e chiedemmo e ci diede tutto da portar a Lui ed Egli
ci darà il Cielo: noi il creato, Egli l’Increato».
Verso la fine della vita, parlando del Movimento a cui aveva
dato vita e nel quale rivedeva se stessa, Chiara Lubich così
scrisse: «E quale il mio ultimo desiderio ora e per ora?
Vorrei che l’Opera di Maria [il Movimento dei Focolari], alla
fine dei tempi, quando, compatta, sarà in attesa di apparire
davanti a Gesù abbandonato-risorto, possa ripetergli – facendo
sue le parole che sempre mi commuovono del teologo francese
Jacques Leclercq: “… il tuo giorno, mio Dio, io verrò verso di
Te… Verrò verso di Te, mio Dio (…) e con il mio sogno più
folle: portarti il mondo fra le braccia”». (1)
Fabio Ciardi
(1 ) Chiara Lubich, Il grido, Città Nuova, Roma 2000, p.
129-130
Parola di Vita Settembre 2016 248.07 KB
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https://youtu.be/cQZ6qgd9Ie8
https://vimeo.com/181031335
Agosto 2016
Agosto 2016
“Uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli” (Mt
23, 8)
È ormai da più di 70 anni che si vive la Parola di vita.
Questo foglietto arriva tra le nostre mani. Ne leggiamo il
commento, ma ciò che vorremmo rimanesse è la frase proposta,
una parola della Scrittura, spesso di Gesù. La “Parola di
vita” non è una semplice meditazione, ma in essa è Gesù che ci
parla, ci invita a vivere, portandoci sempre ad amare, a fare
della nostra vita un dono.
È una “invenzione” di Chiara Lubich, che così ne ha raccontato
l’origine: «Avevo fame di verità, di qui lo studio della
filosofia. Anzi di più: come molti altri giovani cercavo la
verità e credevo di trovarla nello studio. Ma ecco una delle
grandi idee dei primi giorni dell’inizio del Movimento, subito
comunicata alle mie compagne: “A che cercare la verità
quand’essa vive incarnata in Gesù, uomo-Dio? Se la verità ci
attrae, lasciamo tutto, cerchiamo Lui e seguiamo Lui”. Così
abbiamo fatto».
Presero in mano il Vangelo e iniziarono a leggerlo parola per
parola. Lo trovarono tutto nuovo. «Ogni parola di Gesù era un
fascio di luce incandescente: tutto divino! (…) Le sue parole
sono uniche, eterne (…), affascinanti, scritte con divina
scultoreità, (…) erano parole di vita, da tradursi in vita,
parole universali nello spazio e nel tempo». Le scoprirono non
ferme al passato, non un semplice ricordo, ma parole che Egli
continuava a rivolgere a noi, come a ciascun uomo di ogni
tempo e latitudine[1].
Gesù però è veramente il nostro Maestro?
Siamo attorniati da tante proposte di vita, da tanti maestri
di pensiero, alcuni aberranti, che inducono addirittura alla
violenza; altri invece sono retti e illuminati. Eppure le
parole di Gesù possiedono una profondità e una capacità
coinvolgerci che altre parole, siano esse di filosofi,
politici, di poeti, non hanno. Sono “parole di vita”,
possono vivere e danno la pienezza della vita, comunicano
vita stessa di Dio.
di
di
si
la
Ogni mese ne prendiamo una in rilievo, così, lentamente il
Vangelo penetra nel nostro animo, ci trasforma, ci fa
acquistare il pensiero stesso di Gesù, rendendoci capaci di
rispondere alle situazioni più diverse. Gesù si fa nostro
Maestro.
A volte possiamo leggerla insieme. Vorremmo che fosse Gesù
stesso, il Risorto, vivo in mezzo a quanti sono riuniti nel
suo nome, a spiegarcela, attualizzarla, suggerirci come
metterla in pratica.
Ma la grande novità della “Parola di vita” sta nel fatto che
possiamo condividere le esperienze, le grazie nate dal
viverla, così come Chiara spiega riferendosi a quanto accadeva
agli inizi, che dura tuttora: «Si sentiva il dovere di
comunicare agli altri quanto si sperimentava, anche perché si
era consci che donando l’esperienza rimaneva, ad edificazione
della nostra vita interiore, mentre non donando lentamente
l’anima si impoveriva. La parola era dunque vissuta con
intensità durante tutto il giorno e i risultati venivano
comunicati non solo fra noi, ma con le persone che si
aggiungevano al primo gruppo. (…) Quando la si viveva, non era
più l’io o il noi che viveva, ma la parola in me, la parola
nel gruppo. E questa era rivoluzione cristiana con tutte le
sue conseguenze»[2].
Così può essere oggi anche per noi.
Fabio Ciardi
[1] Scritti spirituali / 3, Città Nuova, Roma 1979, p. 124.
[2] Ibid., p. 128, 130.
Ascolta l’audio: Parola di vita agosto 2016
Guarda il video
https://youtu.be/fUZAVUv0mjM
Luglio 2016
Luglio 2016
“Siate benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi,
perdonandovi a vicenda come Dio ha perdonato voi in Cristo”
(Ef 4, 32).
Non c’è cosa più bella che sentirsi dire: “Ti voglio bene”.
Quando qualcuno ci vuol bene non ci sentiamo soli, camminiamo
sicuri, possiamo affrontare anche difficoltà e situazioni
critiche. Se poi il volersi bene diventa reciproco la speranza
e la fiducia si rafforzano, ci sentiamo protetti. Tutti
sappiamo che i bambini, per crescere bene, hanno bisogno di
essere circondati da un ambiente pieno d’amore, di qualcuno
che voglia loro bene. Ma ciò è vero in ogni età. Per questo la
Parola di vita ci invita ad essere “benevoli” gli uni verso
gli altri, ossia a volerci bene e ci dà come modello Dio
stesso.
Proprio il suo esempio ci ricorda che volersi bene non è un
mero sentimento; è un concretissimo ed esigente “volere il
bene dell’altro”. In Gesù egli si è reso vicino agli ammalati
e ai poveri, ha provato compassione per le folle, ha usato
misericordia verso i peccatori, ha perdonato quelli che lo
avevano crocifisso.
Anche per noi volere il bene dell’altro significa ascoltarlo,
mostrargli una attenzione sincera, condividerne le gioie e le
prove, prendersi cura di lui, accompagnarlo nel suo cammino.
L’altro non è mai un estraneo, ma un fratello, una sorella che
mi appartiene, di cui voglio mettermi a servizio. Tutto il
contrario di quanto accade quando si percepisce l’altro come
un rivale, un concorrente, un nemico, fino a volere il suo
male, fino a schiacciarlo, addirittura a eliminarlo, come
purtroppo ci raccontano le cronache di ogni giorno. Pur non
arrivando a tanto non capita anche a noi di accumulare
rancori, diffidenze, ostilità o semplicemente indifferenza o
disinteresse verso persone che ci hanno fatto del male o
antipatiche o che non appartengono alla nostra cerchia
sociale?
Volere il bene gli uni degli gli altri, ci insegna la Parola
di vita, significa prendere la strada della misericordia,
pronti a perdonarci ogni volta che sbagliamo. Chiara Lubich
racconta, al riguardo, che agli inizi dell’esperienza della
sua nuova comunità cristiana, per attuare il comando di Gesù,
aveva fatto un patto di amore reciproco con le prime compagne.
Eppure, nonostante questo, «specie in un primo tempo non era
sempre facile per un gruppo di ragazze vivere la radicalità
dell’amore. Eravamo persone come le altre, anche se sostenute
da un dono speciale di Dio, e anche fra noi, sui nostri
rapporti, poteva posarsi della polvere, e l’unità poteva
illanguidire. Ciò accadeva, ad esempio, quando ci si accorgeva
dei difetti, delle imperfezioni degli altri e li si giudicava,
per cui la corrente d’amore scambievole si raffreddava.
Per reagire a questa situazione abbiamo pensato un giorno di
stringere fra di noi un patto che abbiamo chiamato “patto di
misericordia”. Si decise di vedere ogni mattina il prossimo
che incontravamo – in focolare, a scuola, al lavoro, ecc. –,
di vederlo nuovo, nuovissimo, non ricordandoci affatto dei
suoi nei, dei suoi difetti, ma tutto coprendo con l’amore. Era
avvicinare tutti con questa amnistia completa del nostro
cuore, con questo perdono universale. Era un impegno forte,
preso da tutte noi insieme, che aiutava ad essere sempre primi
nell’amare a imitazione di Dio misericordioso, il quale
perdona e dimentica»[1].
Un patto di misericordia! Non potrebbe essere questo un modo
per crescere nella benevolenza?
Fabio Ciardi
[1]
L’amore
al
prossimo,
Conversazione
con
gli
amici
musulmani, Castel Gandolfo, 1 novembre 2002.
Video Parola di Vita luglio 2016
Giugno 2016
Giugno 2016
«Siate in pace gli uni con gli altri» (Mc 9, 50)
Come cade bene, in mezzo ai conflitti che feriscono l’umanità
in tante parti del mondo, l’invito di Gesù alla pace. Tiene
viva la speranza, sapendo che è Lui la pace e ha promesso di
darci la sua pace.
Il Vangelo di Marco riporta questa parola di Gesù al termine
di una serie di detti rivolti ai discepoli, riuniti in casa a
Cafarnao, nei quali spiega come avrebbe dovuto vivere la sua
comunità. La conclusione è chiara: tutto deve condurre alla
pace, nella quale è racchiuso ogni bene.
Una pace che siamo chiamati a sperimentare nella vita
quotidiana: in famiglia, al lavoro, con chi pensa diversamente
in politica. Una pace che non ha paura di affrontare le
opinioni discordanti, di cui occorre parlare apertamente, se
vogliamo un’unità sempre più vera e profonda. Una pace che,
nello stesso tempo, domanda di essere attenti a che il
rapporto d’amore non venga mai meno, perché l’altro vale più
delle diversità che possono esserci tra noi.
«Dovunque arriva l’unità e l’amore reciproco – affermava
Chiara Lubich –, arriva la pace, anzi, la pace vera. Perché
dove c’è l’amore reciproco, c’è una certa presenza di Gesù in
mezzo a noi, e lui è proprio la pace, la pace per
eccellenza»[1].
Il suo ideale di unità era nato durante la Seconda Guerra
mondiale e subito apparve come l’antidoto a odi e
lacerazioni. Da allora, davanti a ogni nuovo conflitto,
Chiara ha continuato a proporre con tenacia la logica
evangelica dell’amore. Quando, ad esempio, esplose la guerra
in Iraq nel 1990, espresse l’amara sorpresa di sentire «parole
che pensavamo sepolte, come: “il nemico”, “i nemici”,
“cominciano le ostilità”, e poi i bollettini di guerra, i
prigionieri, le sconfitte (…). Ci siamo resi conto con
sgomento che veniva ferito nel cuore il principio fondamentale
del cristianesimo, il “comando” per eccellenza di Gesù, quello
“nuovo”. (…) Invece di amarsi a vicenda, invece di essere
pronti a morire l’uno per l’altro», ecco l’umanità di nuovo
«nel baratro dell’odio»: disprezzo, torture, uccisioni[2].
Come uscirne? si domandava. «Dobbiamo tessere, dove è
possibile, rapporti nuovi, o un approfondimento di quelli già
esistenti, fra noi cristiani ed i fedeli delle religioni
monoteiste: i Musulmani e gli Ebrei»[3], ossia tra quanti
allora erano in conflitto.
Lo stesso vale davanti a ogni tipo di conflitto: tessere tra
persone e popoli rapporti di ascolto, di aiuto reciproco, di
amore, direbbe ancora Chiara, fino ad “essere pronti a morire
l’uno per l’altro”. Occorre spostare le proprie ragioni per
capire quelle dell’altro, pur sapendo che non sempre
arriveremo a comprenderlo fino in fondo. Anche l’altro
probabilmente fa lo stesso con me e neppure lui, forse, a
volte capisce me e le mie ragioni. Vogliamo tuttavia rimanere
aperti all’altro, pur nella diversità e nell’incomprensione,
salvando prima di tutto la relazione con lui.
Il Vangelo lo pone come un imperativo: “Siate in pace”, segno
che richiede un impegno serio ed esigente. È una delle più
essenziali espressioni dell’amore e della misericordia che
siamo chiamati ad avere gli uni verso gli altri.
Fabio Ciardi
[1] Alla TV Bavarese, 16 settembre 1988.
[2] 28 febbraio 1991, cf. Santi insieme, Città Nuova, Roma
1994, p. 63-64.
[3] Ibid., p. 68.
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Maggio 2016
Maggio 2016
«Egli abiterà con loro ed essi saranno suoi popoli ed egli
sarà il “Dio con loro”» (Ap 21, 3)
È sempre stato il desiderio di Dio: abitare con noi, suo
popolo. Già le prime pagine della Bibbia ce lo mostrano
nell’atto di scendere dal cielo, passeggiare in giardino e
conversare con Adamo ed Eva. Non ci ha creati per questo? Che
cosa desidera l’amante se non stare con la persona amata? Il
libro dell’Apocalisse, che scruta il progetto di Dio sulla
storia, ci dà la certezza che il desiderio di Dio si attuerà
in pienezza.
Egli ha già iniziato ad abitare in mezzo a noi da quando è
venuto Gesù, l’Emmanuele, il “Dio con noi”. Ed ora che Gesù è
risorto la sua presenza non è più limitata a un luogo o a un
tempo, si è dilatata sul mondo intero. Con Gesù è iniziata la
costruzione una nuova comunità umana originalissima, un popolo
composto da molti popoli. Dio non vuole abitare soltanto nella
mia anima, nella mia famiglia, nel mio popolo, ma tra tutti i
popoli chiamati a formare un popolo solo. D’altra parte
l’attuale mobilità umana sta cambiando il concetto stesso di
popolo. In molte nazioni il popolo è composto ormai da molti
popoli.
Siamo così diversi per colore della pelle, cultura, religione.
Ci guardiamo spesso con diffidenza, sospetto, paura. Ci
facciamo guerra gli uni gli altri. Eppure Dio è Padre di
tutti, ci ama tutti ed ognuno. Non vuole abitare con un popolo
– “il nostro, naturalmente”, ci verrebbe da pensare – e
lasciare da soli gli altri popoli. Per lui siamo tutti figli e
figlie suoi, un’unica famiglia.
Esercitiamoci dunque, guidati dalla parola di vita di questo
mese, ad apprezzare la diversità, a rispettare l’altro, a
guardarlo come una persona che mi appartiene: io sono l’altro,
l’altro è me; l’altro vive in me, io vivo nell’altro.
Cominciando dalle persone con le quali vivo ogni giorno. In
questo modo possiamo fare spazio alla presenza di Dio tra noi.
Sarà lui a comporre l’unità, a salvaguardare l’identità di
ogni popolo, a creare una nuova socialità.
Lo aveva intuito Chiara Lubich già nel 1959, in una pagina di
estrema attualità e di incredibile profezia: «Se un giorno gli
uomini, ma non come singoli bensì come popoli […] sapranno
posporre loro stessi, l’idea che essi hanno della loro patria,
[…] e questo lo faranno per quell’amore reciproco fra gli
Stati, che Dio domanda, come domanda l’amore reciproco tra i
fratelli, quel giorno sarà l’inizio di una nuova era, perché
quel giorno […] sarà vivo e presente Gesù fra i popoli […].
Sono questi i tempi […] in cui ogni popolo deve oltrepassare
il proprio confine e guardare al di là; è arrivato il momento
in cui la patria altrui va amata come la propria, in cui il
nostro occhio ha da acquistare una nuova purezza. Non basta il
distacco da noi stessi per essere cristiani. Oggi i tempi
domandano al seguace di Cristo qualcosa di più: una coscienza
sociale del cristianesimo […].
[…] noi speriamo che il Signore abbia pietà di questo mondo
diviso e sbandato, di questi popoli rinchiusi nel proprio
guscio, a contemplare la propria bellezza – per loro unica –
limitata ed insoddisfacente, a tenersi coi denti stretti i
propri tesori – anche quei beni che potrebbero servire ad
altri popoli presso i quali si muore di fame –, e faccia
crollare le barriere e correre con flusso ininterrotto la
carità tra terra e terra, torrente di beni spirituali e
materiali.
Speriamo che il Signore componga un ordine nuovo nel mondo,
Egli, il solo capace di fare dell’umanità una famiglia e di
coltivare quelle distinzioni fra i popoli, perché nello
splendore di ciascuno, messo a servizio dell’altro, riluca
l’unica luce di vita che, abbellendo la patria terrena, fa di
essa un’anticamera della Patria eterna.»[1]
[1] Maria, vincolo di unità tra i popoli, in La dottrina
spirituale, Città Nuova, Roma 2006, pp. 327-329.