Istituto MEME: La violenza sessuale sui minori. Valutazione clinica e

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Istituto MEME: La violenza sessuale sui minori. Valutazione clinica e
Istituto MEME
associato a
Université Européenne
Jean Monnet A.I.S.B.L. Bruxelles
LA VIOLENZA SESSUALE SUI MINORI:
VALUTAZIONE CLINICA E MEDICO-LEGALE
Scuola di Specializzazione: Scienze Criminologiche
Relatore: Dott.ssa Martina Focardi
Tesista Specializzando: Dott. Giusto Chiaracane
Anno di corso: Secondo
Modena: 7 settembre 2013
Anno Accademico: 2012 - 2013
ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES
Giusto Chiaracane - SST in Scienze Criminologiche (2° anno) A.A. 2012/2013
Indice dei Contenuti
1. INTRODUZIONE........................................................................................... 3
2. ASPETTI NORMATIVI................................................................................. 6
2.1. Richiami normativi……………………………………………….…….. 6
2.2. La procedibilità dei reati sessuali……………………………………… 15
2.3. Il referto e la denuncia di reato……………………...………………… 16
3. ASPETTI EPIDEMIOLOGICI.................................................................... 20
3.1. Dati epidemiologici………………………….………………………… 20
3.2. La realtà del fenomeno nell’area fiorentina…………………………… 24
4. L’INDAGINE CLINICA………………………………...………………… 30
4.1. Approccio al minore…………………………………………………… 30
4.2. Anamnesi…………………………………………………………….… 31
4.3. Esame obiettivo generale……………………………………………… 34
4.4. Esame obiettivo locale………………………………………………… 38
4.5. Le indagini di laboratorio……………………………………………… 43
4.6. Le MTS nei sospetti di violenza sessuale………………………...…… 49
5. LA VALUTAZIONE MEDICO-LEGALE.................................................. 54
6. BIBLIOGRAFIA…………………………………………………………... 65
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1. INTRODUZIONE
L’abuso sessuale comprende tutte le pratiche manifeste o mascherate a cui vengono
sottoposti i bambini. A seconda del rapporto esistente tra il bambino e l’abusante, se
questi è un familiare si parla di abuso sessuale intrafamiliare, se invece si tratta di una
figura estranea al nucleo familiare si parla di abuso extrafamiliare.
La definizione di violenza trova nelle differenti culture e nelle diverse parti del mondo
accezioni specifiche. Con la Dichiarazione del 1993 le Nazioni Unite s’impegnano a
combattere il fenomeno ed enunciano come violenza sulle donne “ogni atto di violenza
in base al sesso che produca o possa produrre danni o sofferenze fisiche, sessuali,
psicologiche, coercizione o privazione arbitraria della libera, sia nella vita pubblica che
privata”. Questa definizione include ogni forma di violenza, per cui la valutazione del
fenomeno nelle varie realtà sociali e culturali non è compito facile.
Si parla di abuso sessuale “quando un bambino è coinvolto in attività sessuali che non
può comprendere, per le quali è psicologicamente impreparato e per le quali non può
dare il proprio consenso e/o che violano le leggi o i tabù sociali. Le attività sessuali
possono includere tutte le forme di contatto oro-genitale, genitale o anale con il
bambino, oppure abusi senza contatto diretto quali l’esibizionismo, il voyeurismo o
usando il bambino per la produzione di materiale pornografico. L’abuso sessuale
include uno spettro di attività che va dallo stupro all’abuso meno intrusivo” (American
Academy Pediatrics, 1999).
Accertare un caso di abuso sessuale sul minore, significa operare un intervento delicato
e complesso che presuppone un alto grado di competenza e professionalità in ciascuno
degli operatori che, pur con compiti e modalità diverse, ne prendono parte. Presuppone
inoltre un buon livello di coordinamento e collaborazione tra le diverse aree di
pertinenza e la capaciti di operare con un’ottica allargata che tenga in considerazione
contemporaneamente aspetti fisici e psicologici, aspetti individuali e relazionali e valuti
insieme la vittima potenziale ed il suo potenziale abusante.
Sarebbe auspicabile, in tal senso, che il singolo professionista che si occupa di un caso
di minore abusato, abbia conoscenza generale del problema sotto le diverse prospettive
(fisica, legale, psicologica, ecc.) pur contribuendo in modo specifico. Occorre,
innanzitutto, garantire al minore l’esperienza di ascolto ed accoglimento durante tutta la
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fase della rivelazione cercando di esplorare approfonditamente i fatti, cercando di
rendere al bambino una esperienza in cui ricevere comprensione e aiuto e non solo
l’occasione di una dolorosa rievocazione dei fatti.
Di fondamentale importanza, a fini medico-legali, è la verifica e l’accertamento della
realtà dell’abuso sessuale sul minore, tramite la raccolta di “evidenze oggettive” in base
alle quali sari possibile intraprendere il processo
di tutela del minore, nonché, soprattutto, il perseguimento penale dell’abusante.
Lungi dalla presente trattazione soffermarsi o comprendere l’iter giuridico-sociologico
che ha portato alla trasformazione delle norme giuridiche od offrire un commento
interpretativo di natura prettamente forense sul significato della riforma della Legge
66/96 ormai decennale - già ampiamente ed autorevolmente analizzata da ampia
letteratura di merito, in questa sede, rimanendo nell’ottica di comprendere il fenomeno
della violenza sessuale piuttosto che di individuarne spiegazioni eziologiche, si è
preferito focalizzare l’attenzione sugli specifici punti di interesse squisitamente
specialistici offerti dalla “nuova” legge, cogliendo l’occasione per riflettere sulla
complessità metodologica medico-legale la quale, come vedremo, pur rientrando tra le
proprie competenze, già di per sé assai variegate e complementari ad altre discipline,
richiede, forse in quest’ambito più che in ogni altro della medicina-legale, un approccio
di tipo multidisciplinare.
Di assoluta rilevanza medico-legale è poi il realizzarsi di tutte le conseguenze sulla
donna vittima di violenza sessuale anche tentata, ancora più rilevante se di minore età. A
questo proposito occorre garantire la tutela della salute della donna ricordando un
recente impegno del mondo della sanità su questa tematica da parte dell’Organizzazione
Mondiale della Sanità la quale ha individuato la violenza contro le donne, latamente
intesa, un problema di sanità pubblica che deve coinvolgere tutti gli operatori sanitari
nella prevenzione del fenomeno e nel trattamento delle conseguenze in termine di danni
alla salute. Segnaliamo per questo due iniziative molto importanti per documentare
come si stia dando rilevanza ad esigenza formativa rispetto alla tematica della violenza
all’interno dell’organizzazione sanitaria: l’iniziativa dell’A.M.A. (American Medical
Association) che nel Giugno 2002 ha pubblicato una linea guida per i medici finalizzata
alla prevenzione, all’individuazione precoce ed al trattamento dei casi di violenza tra la
popolazione femminile dei servizi sanitari “Connecting the Dots to Prevent Youth
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Violence. A Training and Outreach Guide for Physicians and Other Health
Professionals” e l’iniziativa delle Nazioni Unite che ha sviluppato una linea guida rivolta alle istituzioni sanitarie pubbliche e private - finalizzata a contrastare il
fenomeno della violenza con suoi effetti sulla salute e ad adeguare i servizi sanitari a
questa nuova emergenza.
Un segno nella direzione del mutamento culturale è venuto anche dalla comunità
europea che nel 2002 ha emanato una “Raccomandazione sulla protezione della donne
vittime di violenze”. La CE ha affermato che la violenza contro le donne è la
conseguenza di uno sbilanciamento di potere fra uomini e donne che comporta una
grave discriminazione delle donne, sia all’interno della società sia nella famiglia. Gli
stati membri sono stati invitati a rivedere legislazioni e politiche in materia di violenze
contro le donne, ad attuare interventi atti a prevenire, investigare e porre fine ad ogni
atto di violenza, nonché a fornire protezione alle vittime. La Raccomandazione
incoraggia azioni per combattere la violenza contro le donne e promuove presso ogni
istituzione che ha a che fare con la violenza contra le donne (polizia, medici, assistenti
sociali) l’attuazione di piani per la prevenzione e la protezione delle vittime; promuove
ricerche, raccolta di dati e costruzione di networks a livello nazionale e internazionale;
promuove programmi di alta formazione e l’istituzione di centri di ricerca e universitari
che si occupano di pari opportunità, e in particolare della violenza contro le donne.
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2. ASPETTI NORMATIVI
2.1. Richiami normativi
Due sono le normative cardinali che nell’ambito della violenza sessuale sui minori
vengono ad essere richiamate: la Legge. n. 66 del 15 febbraio 1996 “Norme contro la
violenza sessuale”, la Legge n. 269 del 03 agosto 1998 “Norme contro lo sfruttamento
della prostituzione, della pornografia, del turismo sessuale in danno dei minori, quali
nuove forme di riduzione di schiavitù” e la Legge n. 154 del 05 Aprile 2001 “Misure
contro la violenza nelle relazioni familiari”.
Di fronte alla gravità sociale e al costante aumento degli episodi di violenza nei decenni
passati, la discussione sulla riforma in materia di reati sessuali è durata circa un
ventennio, dal momento che l’impostazione giuridica del Codice Rocco (1930)
collocava i reati sessuali tra delitti contro la moralità pubblica ed il buon costume,
qualificazione antinomica e anacronistica alla luce di una concezione personalistica
della tutela propria della Costituzione Repubblicana. La donna non era tutelata
direttamente in quanto tale, anche quando fosse lesa nella sua incolumità fisica e
psichica, ma solo indirettamente come elemento costitutivo della famiglia ed in quanto
portatrice di determinati valori ritenuti tipici della sua natura e del suo ruolo nella
società.
Il concetto di “libertà sessuale”, dunque, seppure affermato dal Codice Rocco, era
interpretato non come valore intrinsecamente connesso alla persona, bensì come una
sorta di “interesse legittimo” che è protetto sin tanto corrisponda ad un “ordine
superiore” di regole e precetti.
Assai brevemente si ricorda coma le riforma del 1996 abbia determinato un radicale
cambiamento delle norme in materia di reati contro la libertà sessuale, schematizzabile
nei seguenti punti:
1. Il bene d’interesse tutelato non è più la moralità pubblica ed il buon costume, ma
diventa la libertà personale individuale, divenendo pertanto un tipo di reato contro la
persona e sotto questo aspetto la “libertà sessuale” va interpretata come Facoltà di
autodeterminarsi e disporre liberamente del proprio corpo, ma anche come diritto
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dell’individuo a non divenire oggetto dell’attività sessuale di altri. Per violenza deve
intendersi una condotta che limita la libera autodeterminazione della persona offesa, la
quale è messa in condizioni di non potersi sottrarre alla volontà del soggetto agente.
Non è necessario che la coartazione fisica o morale posta in essere dall’agente sia tale
da annullare del tutto la volontà della vittima, essendo sufficiente che detta condotta
abbia limitato la libera autodeterminazione della persona offesa. II semplice dissenso
inerte, non è violenza, ma tuttavia per il realizzarsi di tale condizione non occorre
neppure che la violenza dell’agente sia tale da non poter ad essa resistere o comunque
sottrarsi, né che da parte dell’offeso venga opposta una resistenza fino allo stremo delle
sue forze fisiche, con conseguenti ed inevitabili segni esteriori. Per violenza deve
intendersi anche quella che a seconda delle circostanze, pone il soggetto passivo in
condizione di non poter opporre tutta la resistenza che avrebbe voluto e tale costrizione
può aversi anche se la vittima non ha invocato aiuto, dato allarme, riportato lacerazione
di indumenti o lesioni sul corpo.
2. Oltre all’abrogazione dell’intero Capo I (Dei delitti contro la libertà sessuale) del
titolo IX del libro II del c.p. e degli art. 530 (Corruzione di minorenni), 539 (Età della
persona offesa), 541 (Pene accessorie ed altri effetti penali), 542 (Querela dell’offeso) e
543 (Diritto di querela) del codice penale, la legge attuale ha costituito un’unica
fattispecie criminosa, la violenza sessuale, nella quale sono state unificate le distinte
ipotesi delittuose di violenza carnale, congiunzione carnale con abuso delle qualità di
pubblico ufficiale e gli atti di libidine violenta, precedentemente previste agli art. 519
(Congiunzione carnale), 520 (Congiunzione carnale con abuso della qualità di pubblico
ufficiale) e 521 c.p. (Atti di libidine violenti); analogo destino hanno subito gli articoli
relativi al ratto nelle sue diverse forme (522-525 c.p.), sebbene i comportamenti che
caratterizzavano questo tipo di delitto, riguardando un’offesa arrecata alla libertà
personale, siano stati ricondotti sotto la generale previsione del sequestro di persona
(art. 605 c.p.) oppure, nel caso di persona minore degli anni quattordici o inferma di
mente (art. 524), all’art. 574 c.p. inerente alla sottrazione di persone incapaci. Entrambi
questi reati inoltre possono comunque concorrere con í delitti contro la libertà sessuale
laddove la privazione della liberta personale si protragga oltre il tempo necessario per il
compimento dell’atto sessuale e quindi della violenza sessuale. I delitti contro la
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moralità pubblica ed il buon costume vengono in tal modo ridotti agli “atti osceni” (art.
527), a “pubblicazioni e spettacoli osceni” (art. 528) ed agli “atti e oggetti osceni:
nozione” (art. 529) ed al “rapporto di parentela” (art.540).
Ciò ha comportato, come visto poc’anzi, il passaggio dell’oggetto giuridico dall’ambito
della moralità pubblica e del buon costume a quello della persona, rappresentando
certamente la più importante innovazione apportata dalla legge del `96, rispetto alla
quale vi è sempre stata un’ampia concordanza di vedute (Cadoppi, 1996). Un altro
importante motivo, che ha spinto il legislatore ad unificare le suddette fattispecie
criminose, è stato certamente quello di tutelare la vittima evitandole domande troppo
imbarazzanti ed invadenti la sua sfera intima (Padovani, 1999). Infatti, per verificare se
si trattasse di violenza carnale o di atti di libidine, il giudice doveva necessariamente
accertare la qualità dell’atto e, in caso di congiunzione carnale, il quantum di
penetrazione. In dottrina si è sostenuto che, per effetto della nuova disciplina, assume
rilevanza il grado di violenza subita e non più la qualità dell’atto sessuale per cui “...
l’accento si sposta dalla natura sessuale alla natura violenta dell’atto... Pertanto, oggetto
dell’accertamento processuale deve essere soltanto la mancanza di assenso, senza
necessità di scendere in dettagli più minuti e degradanti, senza bisogno di perizie
ginecologiche e interrogatori avvilenti” (Beltrani, 1996). Ciò corrisponde ad una più
moderna concezione della violenza sessuale, in cui la criminosità della stessa si incentra
nell’offesa, comunque arrecata, all’autodeterminazione nella sfera sessuale, risultando
indifferenti o secondarie le modalità concrete di estrinsecazione della violenza
(Bertolino, 1993). Diversi giuristi ritengono pera che tale lodevole scopo difficilmente
nella realtà possa essere raggiunto, poiché il giudice non può esimersi dall’accertamento
delle concrete modalità del fatto, ai fini della commisurazione della pena e, come
vedremo, è assai complesso l’esame clinico del sospetto abusato. Un ulteriore elemento
problematico che si è creato con la nuova legge è la definizione di “atti sessuali”, dal
momento che con l’unificazione dei delitti, il legislatore ha dovuto ridefinire il
comportamento alcuni giuristi, soddisfatto il principio di “tassatività” o di “tipicità” del
diritto penale che rientrerebbe, secondo la dottrina prevalente, tra i corollari del
principio di legalità sancito dall’art. 25 della Costituzione.
La legge 66/96 ha ricorso infatti alla generica locuzione “atti sessuali”, che la vittima è
“costretta a compiere o subire” che si presta ad interpretazioni semantiche soggettive e
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che hanno offerto ed offrono tuttora ampio dibattimento giurisprudenziale dal momento
che lasciano eccessivo spazio alla discrezionalità del potere giudiziario (Ricci, 1996;
Musacchio, 1996; Pagliei, 1996). Negli atti sessuali rientra qualsiasi condotta che non si
esplica necessariamente in un contatto fisico con il soggetto passivo, ma é comunque
finalizzata ed idonea a ledere il bene primario della liberta individuale, attraverso
l’eccitazione od il soddisfacimento dell’istinto sessuale dell’agente, valutati comunque
“in relazione al contesto in cui vengono posti in essere” (Ambrosini, 1997).
3. L’introduzione dell’abuso di autorità tra le modalità esecutive della costrizione e la
sua equiparazione alle altre ipotesi di violenza sessuale per costrizione, previste dal
primo comma dell’articolo 609-bis, il quale ripropone in maniera praticamente invariata
l’ex articolo 519 c.p., individuando la condotta penalmente rilevante nella “costrizione”,
fisica o psichica, parziale o assoluta, attuata dal soggetto attivo sulla vittima mediante
l’uso della violenza o della minaccia, dimostrando che il fatto deve avvenire contro la
volontà del soggetto passivo cosicché, ove vi fosse il consenso di quest’ultimo, verrebbe
meno la tipicità del fatto stesso. L’abuso di autorità si concretizza per la dottrina
giuridica prevalente, in una forma di “costrizione psichica” ed pertanto una modalità
costrittiva diversa dalla semplice induzione prevista invece dal comma 2° dello stesso
articolo 609-bis, distinguendosi al tempo stesso dalla violenza e minaccia; nella legge il
concetto di autorità assume una duplice valenza di autorità sia pubblica sia privata
(Vessichelli, 1996), ossia parentale, tutoria, educativa, curativa e nel rapporto tra datore
di lavoro e lavoratore (Romano B., 1989) ed occorre quindi una strumentalizzazione
della medesima per uno scopo diverso da quello cha la giustifica, al fine di coartare, in
modo assoluto o parziale, la volontà del soggetto passivo (Pettenati, 1996).
4. L’introduzione della violenza sessuale per “induzione”, come esplicitato dal 2°
comma. dell’art. 609-bis1 che ha di fatto eliminato rispetto alla precedente disciplina il
“malato di mente” come soggetto passivo dei reati sessuali ed ha inserito l’abuso e
l’induzione come requisiti essenziali della condotta penalmente rilevante. Il riferimento
1
“Alla stessa pena soggiace chi induce taluno a compiere o subire atti sessuali: 1) abusando delle
condizioni di inferiorità fisica o psichica delle persona offesa al momento del fatto; 2) traendo in
inganno la persona offesa per essersi il colpevole sostituito ad atra persona”.
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al “malato di mente” dell’ex articolo 519 c.p. s’inseriva perfettamente nel contesto
moralistico della sessualità del Codice Rocco, che nella sua dizione letterale, non
prevedendo alcuna graduazione dell’entità della malattia, di fatto inibiva in toto ogni
attività sessuale da parte di questi soggetti (Gallina Fiorentini, 1982; Giannetti, 1987;
Fiandaca, 1993). La malattia di mente rientra con la L. 66/96 nell’ampia categoria dello
stato d’inferiorità fisica o psichica che si ricollega ad “un’evidente situazione di
menomazione, ... da comportare l’assenza del consenso o un evidente vizio assoluto
nella formazione dello stesso”2. La nuova ipotesi, dunque, concilierebbe le esigenze di
tutela delle persone in condizioni d’inferiorità fisica o psichica con il loro diritto alla
sessualità, in grado anch’essi di acconsentire validamente ad un atto sessuale. Come
conseguenza di tale modifica si è avuto anche uno spostamento dell’attenzione in sede
di accertamento processuale dall’esclusiva valutazione delle condizioni di minorata
resistenza del soggetto passivo alla considerazione anche della volontà e del
comportamento del soggetto attivo del reato nel caso in cui, consapevole delle
conduzioni di inferiorità della vittima, utilizzi queste per indurla ad atti sessuali ai quali,
altrimenti non avrebbe acconsentito. Per Cadoppi (1996), dalla riforma emerge “una
nuova dimensione di tutela, che dall’intangibilità sessuale di certi soggetti si sposta
decisamente verso la libertà sessuale, non perdendo di vista la dimensione del rapporto
interpersonale...”.
5. L’aumento del minimo della pena edittale, con la finalità di escludere quasi del tutto il
reato dalla possibilità del patteggiamento, passando da un intervallo tra i 3 ed i 10 anni
ad una condanna tra i 5 e i 10 anni. Tale inasprimento ha comportato, tenuto conto della
mancanza di una precisa delineazione del concetto di “atti sessuali”, secondo alcuni
autori, un ingiustificabile livellamento sanzionatorio di comportamenti estremamente
diversi fra loro per qualità e gravità. Viene ad essere ridotto, pertanto, lo spazio riservato
al giudice nella commisurazione della pena, impedendogli di infliggere una sanzione
che sia veramente personale, cioè proporzionata alla gravita del reato ed alla
colpevolezza del suo autore (Bertolino, 1996; Musacchio, 1996).
6. Le circostanze attenuanti sono adesso previste solo per la violenza sessuale
2
Cass. Penale, sez. III, 28.09.1994, Masi, Riv. It. Med. Leg., 1995, 950.
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individuale, prevedendo una riduzione fino a due terzi della pena base per i “casi di
minore gravità”, mentre in precedenza in riferimento agli atti di libidine violenti era
prevista una riduzione di un terzo della pena base. Tale condizione riveste particolare
interesse perché l’eventuale applicazione dell’attenuante può consentire il ricorso a riti
speciali come il “patteggiamento” ed il giudizio abbreviato così da vanificare lo scopo
dissuasivo della commissione dei reati sessuali che il legislatore aveva inteso perseguire
con l’aggravamento delle pene (Ambrosini, 1997; Cadoppi, 1996). Poiché il legislatore
non ha tipizzato le modalità del fatto da cui dipende l’applicazione di tale attenuante, si
è parlato di circostanza “indefinita” o “discrezionale”, rispetto alla quale sarebbe
pertanto importante individuare i criteri sulla base dei quali stabilire ove ricorra la
minore gravità, causando notevoli difficoltà interpretative e concedendo al giudice ampi
spazi discrezionali (Mulliri, 1996; Musacchio 1996; Pagliei, 1996). Quest’attenuante,
dunque, se da un lato consente di mitigare sanzioni francamente elevate nel caso di
condotte illecite di più lieve entità, dall’altro rischia di vanificare l’obiettivo che si
erano preposte le varie iniziative parlamentari.
7. L’individuazione di circostanze aggravanti, non previste dalla vecchia disciplina
penale tali da comportare l’aumento della pena massima edittale da sei a dodici anni
(art. 609-ter). In base al suddetto articolo, i fatti di cui all’art. 609-bis (violenza fisica,
minaccia, abuso di autorità, induzione) risultano aggravati da alcune circostanze che
possono anche concorrere tra loro. Tali ipotesi, delineando interessi medico-legali e
coinvolgendo particolarmente i minori, meritevoli quindi di una più dettagliata
descrizione, si verificano quando:
a. Il fatto (art. 609-bis) è commesso su persona che non ha compiuto gli anni
quattordici, o gli anni sedici (n. 5 comma 1), se il colpevole ne è l’ascendente, il
genitore anche adottivo od il tutore. La pena è ulteriormente aumentata (da sette a
quattordici anni) se “il fatto è commesso nei confronti di persona che non ha compiuto
gli anni dieci” (2° comma), evidente tentativo di arginare il fenomeno tristemente noto
della pedofilia. La nuova normativa, se ha eliminato in determinati casi la presunzione
di violenza su minore (art. 609-quater — atti sessuali con minorenne), ha tuttavia voluto
inasprire la pena, anche prescindendo dalla querela (art. 609-septia procedibilità
d’ufficio) per i casi di violenza sessuale perpetrata sui minori di anni 14 e sui minori di
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anni 10. A tale riguardo inoltre l’art. 609-sexies (art. 7 della L. 66/96) ripropone
l’abrogato art. 539 c.p. ribadendo che l’errore sull’età non giustifica l’autore del reato.
b. Il fatto è commesso con l’uso di anini o di sostanze alcoliche, narcotiche o
stupefacenti, o comunque di strumenti o sostanze lesive della salute della persona offesa
(n. 2 comma 1), per cui appare evidente l’importanza che assumono gli accertamenti di
natura chimico-tossicologica.
c. Il soggetto attivo è travisato o simula la qualità di pubblico ufficiale o di incaricato
di pubblico servizio (1° comma, n.3).
d. Il soggetto passivo è una persona sottoposta a limitazione della libertà personale (1°
comma, n.4).
e. Tra le circostanze aggravanti può essere annoverata anche la disposizione prevista
dall’art. 17 della L. 66/96 che ricorre nel caso in cui l’offeso sia una persona
handicappata (cioè “colui che presenta minorazione fisica, psichica o sensoriale,
stabilizzata o progressiva, che è causa di difficoltà di apprendimento, di relazione e di
integrazione e tale da determinare una situazione di svantaggio sociale ed
emarginazione”), modificando l’art. 36 della L. 104/92 (legge quadro sull’handicap)
stabilisce un aumento della pena da un terzo alla meta per i reati di cui agli articoli 527
c.p. (atti osceni) e 628 c.p. (rapina) nonché per tutti i delitti non colposi contro la
persona di cui al Titolo MI del II libro del Codice penale.
8. Una maggiore attenzione ai casi di violenza sui minori, con previsione di una
fattispecie autonoma.
9. L’introduzione di una nuova figura di reato, costituita dal delitto di violenza sessuale
di gruppo3 (art. 609-octies), volutamente inserita dal legislatore per porre rimedio ad un
grave e pericoloso fenomeno sociale, che sempre più di frequente è descritto dalla
cronaca, mediante — almeno sul piano edittale — severe sanzioni4, non sembrando
adeguato il meccanismo previgente dell’art. 112 c.p.5 primo comma n. 1, soprattutto per
3
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5
“La violenza sessuale di gruppo consiste nella partecipazione, da parte di più persone riunite, ad atti
sessuali di violenza sessuale di cui all'art. 609-bis”.
“Chiunque commette atti di violenza sessuale di gruppo è punito con la reclusione da sei a dodici anni.
La pena è aumentata se concorre taluna delle circostanze aggravanti previste dall'art. 609-bis”.
“Art. 112 c.p. primo comma: "La pena da infliggere per il reato commesso è aumentata se il numero
delle persone che sono concorse nel reato, è di cinque o più, salvo che la legge disponga altrimenti”.
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il fatto che tale figura di reato si concretizza necessariamente con la partecipazione di
almeno due persone purché, riunite ovvero presenti, abbiano realizzato materialmente
l’azione delittuosa, anche se questa è realizzata da uno solo di essi. La legge sancisce
l’illiceità della partecipazione morale dell’istigatore o di colui che, palesemente
consenziente alla condotta dell’autore della violenza, sia presente sui luogo del reato
svolgendo funzioni di mero “palo” (Romano B., 1996). Pertanto, quando l’azione non è
compiuta congiuntamente da più persone, si giustifica la previsione della circostanza
attenuante speciale dell’ultimo comma dello stesso art. 609-octies che comporta una
diminuzione della pena per il “partecipante la cui opera abbia avuto minima importanza
nella preparazione o nella esecuzione del reato” oppure “per chi sia stato determinato a
commette il reato dalle condizioni stabilite dai numeri 3 e 4 del primo comma e dal
terzo comma dell’art. 112, ossia si tratti di una persona soggetta ad autorità, minorenne
oppure in stato d’inferiorità psichica”.
10. La disciplina degli atti sessuali con minorenni compiuti al di fuori delle ipotesi
previste dall’art. 609-bis cioè senza violenza, minaccia, abuso di autorità o di condizioni
di inferiorità psichica o fisica o senza inganno, circostanza non prevista dalla vecchia
disciplina (art. 609-quater6). In questa fattispecie di reato rientra l’ipotesi della
“violenza presunta” che in realtà è ormai da tempo considerata una locuzione impropria
perché se vi fosse “violenza” l’ipotesi di reato rientrerebbe sotto la disciplina dell’art.
609-bis. Ciò che invece è presunta è 1”’incapacità di una consapevole prestazione del
consenso
al
compimento
di
atti
sessuali
delle
persone”
(Beltrani,
1996)
infraquattordicenni oppure infrasedicenni quando il soggetto attivo è l’ascendente, il
tutore ecc. È rimasta dunque invariata rispetto all’art. 519 del codice Rocco, l’età del
6
“Art. 609-quater (Atti sessuali con minorenne). Soggiace alla pena stabilita dall'art. 609-bis chiunque,
al di fuori delle ipotesi previste in detto articolo, compie atti sessuali con persona che, al momento del
fatto:
1) non ha compiuto gli anni quattordici;
2) non ha compiuto gli anni sedici, quando il colpevole sia l'ascendente, il genitore anche adottivo,
il tutore, ovvero altra persona cui, per ragioni di cura, di educazione, di istruzione, di istruzione,
di vigilanza o di custodia, il minore è affidato o che abbia, con quest'ultimo, una relazione di
convivenza.
Non è punibile il minorenne che, al di fuori delle ipotesi previste nell'articolo 609-bis, compie atti
sessuali con un minorenne che abbia compiuto gli anni tredici, se la differenza di età tra i soggetti
non è superiore a tre anni.
Nei casi di minore gravità la pena è diminuita fino a due terzi.
Si applica la pena di cui all'articolo 609-te r, secondo comma, se la persona offesa non ha compiuto
gli anni dieci”.
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minorenne con cui si compiono gli atti sessuali, intesa come limite al di sotto del quale
gli atti stessi acquistano carattere di illiceità, in base al primo comma dell’art. 609quater. Tuttavia, il legislatore ha di fatto preferito confermare la disciplina previgente,
che determinava preventivamente l’età sotto la quale il minore era considerato
immaturo in correlazione all’art. 97 c.p.7 relativo all’imputabilità, con l’eccezione della
innovativa introduzione al secondo comma dell’art. 609-quater della non punibilità
degli atti sessuali compiuti con persona ultratredicenne quando tra questa ed il soggetto
agente vi sia una differenza di età non superiore ai tre anni. Il dato nuovo rispetto al
passato risiede nel fatto che la legge prevede esplicitamente anche qualsiasi
“convivente” del minore, ipotesi questa evidentemente suggerita dall’estendersi delle
famiglie di fatto, ossia di unità di convivenza formate da coppie stabili e da figli
dell’uno o dell’altro partner (Pettenati, 1996).
L’attuale normativa introduce inoltre nuove disposizioni in merito al reato di
“corruzione di minorenne”, oggi previsto solo per l’età inferiore ai quattordici anni (art.
609-quinquies c.p.8, ex art. 530 c.p.). È stata eliminata come causa di non punibilità
dell’agente, lo stato di corruzione morale del minore ed è stato introdotto un nuovo
elemento, il dolo specifico, consistente nella consapevolezza del soggetto agente di
compiere atti sessuali in presenza del minore di quattordici anni, con il fine specifico di
farlo assistere.
11. Una più attenta tutela sostanziale della persona offesa, in particolare se minorenne,
in riferimento
soprattutto alla tutela della riservatezza della vittima, che se non
rispettata prevede la reclusione da 3 a 6 mesi.
12. La nuova disposizione dell’obbligo per l’imputato di reato, di sottoporsi, con le
forme della perizia, ad accertamenti clinici per l’individuazione di patologie
sessualmente trasmissibili, qualora le modalità del fatto possano far prospettare un
rischio di trasmissione delle stesse. In tal modo, oltre che per la violenza sessuale,
l’aggressore pota essere incriminato, ove sia dimostrato, anche per altri titoli di reato,
7
Art. 97 c.p. (Minore degli anni quattordici): “Non è imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il
fatto, non aveva compiuto i quattordici anni”.
8
“Art. 609-quinquies (Corruzione di minorenne). Chiunque compie atti sessuali in presenza di persona
minore di anni quattordici, al fine di farla assistere, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni”.
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che possono andare dalla lesione personale al tentato omicidio. Occorre sottolineare che
la legittimità di questa disposizione, in contrasto con il diritto costituzionale alla
riservatezza sullo stato di salute è assicurata dall’intervento della Corte Costituzionale
che garantisce la legittimità di tali analisi quando sia necessario tutelare la salute di
terze persone.
2.2. La procedibilità dei reati sessuali
La disciplina relativa alla procedibilità dei reati sessuali, merita un trattamento a sé, sia
per le ovvie rilevanze medico-legali, sia perché ha rappresentato uno dei punti nodali e
più controversi dei lavori parlamentari dai quali è derivata la legge 66/96, dovendo
accordare da un alto l’esigenza di estendere la procedibilità d’ufficio a tutte la
fattispecie, dall’altro quella del diritto alla riservatezza della persona offesa per evitare
che questa sia costretta a subire l’ulteriore forma di coercizione di un processo non
voluto.. La attuale normativa, coerente con tale principio, conferma sostanzialmente la
scelta già adottata dal Codice Rocco secondo cui la procedibilità a querela è la regola, la
procedibilità d’ufficio l’eccezione. La disciplina attuale ha preferito quindi mantenere la
posizione tradizionale, ritenendo che la persona offesa debba essere lasciata arbitra della
decisione di portare o meno il fatto a conoscenza della Autorità Giudiziaria, pur
allargando sensibilmente le ipotesi della procedibilità d’ufficio, tenuto conto l’abrogato
articolo 542 c.p. che prevedeva unicamente due ipotesi di procedibilità d’ufficio: che
l’autore del fatto fosse un genitore o tutore oppure un pubblico ufficiale o un incaricato
di pubblico servizio.
Con l’art. 609-septies si procede a querela, che, come stabilito dall’art. 542 c.p. è
irrevocabile ed in deroga al principio generale il termine per presentarla è stato
aumentato da tre mesi a sei mesi, nei casi di violenza sessuale (art. 609-bis) anche se
aggravata (art. 609-ter) e per gli atti sessuali con minorenne (art. 609-quater), mentre si
procede d’ufficio non solo nel caso di corruzione di minorenne (art. 609-quinquies) e
per il delitto di violenza sessuale di gruppo (art. 609-ocities), ma anche rispetto ad
alcune fattispecie ritagliate tra quelle dichiarate procedibili a querela (commi 1-5
dell’art. 609-septies). Si procede dunque d’ufficio in caso di:
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a. Corruzione di minorenne.
b. Violenza sessuale di gruppo.
c. Violenza sessuale compiuta nei confronti di un soggetto che al momento del fatto
era infraquattordicenne. La formulazione di questo comma esclude dalla procedibilità
d’ufficio la fattispecie degli atti sessuali con persona infraquattordicenne consenziente
anche se la stessa deve aver compiuto gli anni 10, altrimenti scatta l’ipotesi prevista al
punto successivo.
d. Atti sessuali compiuti con minore di anni 10; l’età è, come visto, una circostanza
aggravante e trattasi ovviamente di atti sessuali avvenuti con il consenso del minore
altrimenti rientrerebbero nell’ipotesi di cui al n. 1 dell’art. 609-septies.
e. Violenza sessuale se compiuta da particolari soggetti ovvero dal genitore — anche
adottivo -, dal suo convivente, dal tutore.
f. Per il delitto di violenza sessuale e di atti sessuali, pur al di fuori delle ipotesi
previste con i minorenni, se compiuti da pubblici ufficiali o incaricati di pubblico
servizio nell’esercizio delle loro funzioni.
g. Per il delitto di violenza sessuale e di atti sessuali, pur al di fuori delle ipotesi
previste con i minorenni, se sono connessi ad altro delitto per il quale si deve procedere
d’ufficio.
h. La divulgazione delle generalità o dell’immagine di persona offesa da atti di
violenza sessuale.
L’art. 120, II e III comma, c.p., dispone infine che “per i minori degli anni 14 e per gli
interdetti a cagione di infermità di mente, il diritto di querela é esercitato dal genitore o
dal tutore. I minori che hanno compiuto gli anni 14 e gli inabilitati possono invece
esercitare il diritto di querela e possono altresì in loro vece esercitarlo il genitore ovvero
il tutore o il curatore, nonostante ogni contraria dichiarazione di volontà, espressa o
tacita, del minore o dell’inabilitato”.
2.3. Il referto e la denuncia di reato
Generalmente un professionista che operi nel settore sanitario, sociale, psicologico,
educativo, giudiziario, ecc. viene a contatto con un caso di abuso su un minore
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principalmente in due modi, o mediante una rivelazione esplicita da parte della vittima o
venendo a conoscenza diretta dell’abuso oppure tramite una informazione indiretta o
mascherata dell’abuso medesimo. Nel primo caso sarà il minore stesso a rivelare ai
familiari, all’insegnante, o ad un adulto di fiducia l’avvenuto abuso; oppure sarà un
adulto a richiedere un accertamento per un sospetto di abuso o a denunciare l’accaduto.
Nel secondo caso, il sospetto di abuso nasce in seguito all’intervento di un operatore
(del settore sociale, educativo, sanitario, ecc.) che s’imbatte, nella sua attività ordinaria
in una situazione con caratteristiche compatibili ad un caso di abuso; ad esempio una
insegnante che osserva comportamenti e segni sospetti in una propria alunna, come
frequenti assenze da scuola, racconti con espliciti riferimenti sessuali, difficoltà a
giocare con i propri coetanei, ecc.
Oppure all’operatore viene fatta richiesta di intervento di altro tipo, dalla quale però
emergono informazioni di sospetto abuso; per esempio la richiesta di un test di
gravidanza da parte di una giovane adolescente con indicazioni vaghe sulla paternità;
oppure la richiesta di una visita medica in seguito a malesseri fisici estesi all’area
genitale, ecc. Solo in apparenza i casi d’informazione esplicita di abuso, si presentano
come meno problematici in termini di accertamento dei fatti (Malacrea, 1990).
Se nel caso di abuso mascherato infatti il problema principale è quello della rilevazione
e quindi della capacità degli operatori di saper riconoscere e cogliere i segnali di disagio
espressi pila o meno consapevolmente dal minore, nel caso di rivelazione esplicita
dell’abuso, il problema che si pone è quello della credibilità di chi denuncia. Sorgono in
questo caso i legittimi sospetti sulla veridicità delle sue affermazioni, sia nel caso che si
tratti della vittima (suggestione, confusione sul significato de reale degli avvenimenti,
ecc.), sia che si tratti dell’adulto denunciante, che potrebbe avere interessi strumentali a
“creare “ un caso di incesto (ad esempio accusare un coniuge con cui si é in conflitto) .
Prima di affrontare gli oneri dei sanitari in occasione dei reati sessuali, per completezza
di analisi, oltre a quanto previsto dall’art. 609-septies, si riportano altri delitti di
frequente riscontro nell’esercizio delle professioni sanitarie nell’ambito dei reati contro
la famiglia, per i quali è prevista la procedibilità d’ufficio e quindi sussiste l’obbligo del
referto:
1. i delitti contro la vita di cui al titolo XII del libro II del Capo I del Codice Penale
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negli arti. 575-577 (omicidio doloso, colposo e preterintenzionale), 579
(omicidio del consenziente), 580 (istigazione o aiuto al suicidio) e 586 (morte
conseguente ad altro delitto);
2. i delitti di interruzione dolosa, colposa o preterintenzionale della gravidanza (L.
194/1978);
3. i delitti contro la libertà individuale di cui agli art. 605, 610, 613 e 630 c.p.
(sequestro di persona, violenza privata, minaccia aggravata d’incapacità
procurata mediante violenza);
4. abbandono di minori o incapaci (salvo l’esimente prevista per l’infanticidio);
5. i delitti contro la famiglia, abuso dei mezzi di correzione o di disciplina (art. 571
c.p.) e maltrattamenti in famiglia o verso i fanciulli (art. 572 c.p.); a tale
proposito, a differenza dell’art. 571, per concretare il reato di maltrattamenti,
non è sufficiente un solo episodio, ma ne occorrono una serie collegata da un
nesso di abitualità e da un unico intento, quindi, nel caso l’episodio lesivo sia
unico, non si può considerarlo maltrattamento, ma delitto di lesione dolosa; se
poi non si determina uno stato di malattia, si può definire delitto di percosse.
In primo luogo, sulla base degli artt. 365 c.p. e 334 c.p.p., c’è l’obbligo di referto da
parte degli operatori sanitari che, nell’esercizio della propria professione, abbiano
prestato la propria opera o assistenza in casi che possono presentare i caratteri di un
delitto procedibile d’ufficio9. Il referto rappresenta una relazione tecnica “di natura
diagnostica e prognostica” circa le lesioni, le cause, i mezzi e le conseguenze che ne
possono derivare (pericolo di vita, durata di malattia superiore ai 40 giorni, postumi
permanenti).
Se il medico o l’esercente una professione sanitaria riveste il ruolo di un pubblico
ufficiale10 oppure 1 incaricato di un pubblico servizio11, ha invece l’obbligo della
denuncia di qualunque reato (sia delitto sia contravvenzione) perseguibile d’ufficio,
qualora ne sia venuto a conoscenza nell’esercizio o a causa della propria attività
9
“Chiunque, avendo nell'esercizio di una professione sanitaria prestato la propria assistenza od opera in
casi che possono presentare i caratteri di un delitto perseguibile d'ufficio omette o ritarda di riferirne
all'Autorità. indicata all'art. 361 è punito ... omissis. Questa disposizione non si applica quando il
referto esporrebbe la persona assistita a procedimento penale”.
10
Ai sensi della nozione introdotta dall'art. 357 c.p., notificato dalla L. 26.04.1990 n. 86 e
successivamente modificata dalla L. 7.02.1992 n. 181.
11
La nozione di incaricato di pubblico servizio è disciplinata dall'art. 358 c.p..
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d’ufficio. Il contenuto della denuncia di reato si differenzia tuttavia da quello del referto
in quanto, trattandosi di segnalazione inerente a “ciò di cui si è avuto notizia” sarà
caratterizzato non tanto da un giudizio tecnico quanto piuttosto dagli elementi essenziali
del fatto, quali il giorno dell’acquisizione dell’informazione, le fonti di prova già note,
ogni dato utile ad identificare la persona responsabile, quella offesa ed anche altre
persone in grado di riferire (art. 332 c.p.p.).
É importante ricordare che l’obbligo di riferire alle Autorità sussiste anche solo sulla
base di un sospetto (il codice parla di casi che “possono” anche solo presentare i
caratteri di un delitto procedibile d’ufficio) in quanto sta solo alla funzione giudiziaria
stabilire la veridicità del fatto e la natura dolosa o accidentale del caso.
Al di là dei problemi deontologici insiti nella obbligatorietà della segnalazione, appare
difficile operare quando, di fronte al solo sospetto, non si hanno sufficienti elementi
obiettivi clinici per cui in questi cassi potrebbe ravvisarsi l’opportunità di ricoverare il
piccolo paziente al fine di approfondire tecnicamente il caso clinico mediante approccio
multidisciplinare oltreché eventualmente allontanare temporaneamente il minore e
rendere più sicura l’eventuale refertazione.
Esistono due circostanze in cui il non aver redatto il referto non costituisce reato e cioè
se esso espone la persona assistita a procedimento penale (comma 2 art. 365 c.p.) e in
ragione della necessità del sanitario di salvare se medesimo o un prossimo congiunto da
un “grave ed inevitabile nocumento nella libertà o nell’onore” (art. 384 c.p.12) mentre
per la denuncia di reato è valida solo la seconda.
In entrambi questi casi però, occorre precisare che il paziente di cui si deve tutelare la
salute ed ignorare la eventuale criminosità, è esclusivamente il minore (vittima) e non il
potenziale autore di reato che lo accompagna: il genitore in questi casi non può
nemmeno rivendicare il diritto al segreto professionale (art. 622 c.p.) dato che si pone
un grave conflitto di interessi fra il vero titolare (il paziente minore) e chi lo vorrebbe o
dovrebbe rappresentare (il genitore) (Lunardi, 1997).
12
Art. 361 c.p. (Omessa denuncia di reato da parte del pubblico ufficiale): “Il pubblico ufficiale, il quale
omette o ritarda di denunciare all'Autorità Giudiziaria ... (omissis) un reato di cui ha avuto notizia
nell'esercizio o a causa delle sue funzioni, è punito ... (omissis). Le disposizioni precedenti non si
applicano se si tratta di delitto punibile a querela della persona offesa”.
Art. 362 c.p. (Omessa denuncia di reato da parte di incaricato di pubblico servizio): “L'incaricato di
pubblico servizio che omette o ritarda di denunciare all'Autorità Giudiziaria ... (omissis) un reato di
cui ha avuto notizia nell'esercizio o causa delle sue funzioni, è punito ... (omissis). Le disposizioni
precedenti non si applicano se si tratta di delitto perseguibile a querela della persona offesa”.
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3. ASPETTI EPIDEMIOLOGICI
3.1. Dati epidemiologici
La portata del fenomeno della violenza sessuale in genere ed in particolare sui minori,
risulta difficile da stimare, sia per la mancanza di appositi registri nazionali, sia per
l’alto numero oscuro che caratterizza tali fattispecie criminose sia, infine, a causa dei
possibili errori di classificazione, non potendone in ultima analisi accertare con
precisione la reale dimensione quantitativa. Dalle indagini nazionali ed internazionali
emerge che ]la violenza contro le donne è dunque un fenomeno complesso, poiché si fa
riferimento a più tipi di violenza: dalla violenza sessuale (stupro, tentato stupro,
molestie), alla violenza fisica, (percosse, lesioni personali, omicidio), a quella
economica (privazione di fondi e risorse), alla violenza psicologica e verbale (minacce,
ricatti, denigrazioni, svalutazioni).
Le prime indicazioni statistiche dell’abuso sessuale sui minori risalgono agli anni `50,
risultando, secondo a rapporto Kinsey (1953) che a 24% delle donne riferiva di avere
avuto in età prepubere rapporti con uomini postpuberi; Landis (1956) in uno studio
condotto su studenti universitari americani, riscontrò che il 30% dei ragazzi ed il 35%
delle ragazze avevano avuto esperienze di questo tipo nella fanciullezza; più tardi
Finkelhor (1979) ottenne, in un campione non rappresentativo di universitari americani,
percentuali rispettivamente del 9% e 19%, che in un suo studio del 1984, condotto su di
un campione più rappresentativo, furono rispettivamente del 6% e del 15%. In una
ricerca successiva Finkelhor, (1990) condusse un’indagine telefonica a livello nazionale
statunitense e riscontrò che il 27% delle donne adulte ed 1 16% dei maschi adulti
avevano sofferto una vittimizzazione sessuale con contatto, entro i 18 anni.
Uno studio molto rigoroso fu condotto dalla Russell (1983) su 930 donne sposate; di
queste il 48% riferì di essere stata vittima di abuso sessuale (inteso in senso ampio,
comprendente il cosiddetto “abuso senza contatto”, come l’esposizione dei genitali e
frasi o richieste oscene) entro i 14 anni, e il 54% entri i 18 anni. Per l’abuso
intrafamiliare con contatto, il 12% di loro riferì di averlo subito entro i 14 anni ed il
16% entro i 18 anni; per l’abuso extrafamiliare con contatto, il 28% ammise di esserne
stata vittima entro i 14 anni ed il 38% entro i 18 anni. Solo il 2% degli abusi
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intrafamiliari ed il 6% di quelli extrafamiliari fu denunciato alle autorità di polizia.
In una ricerca su studenti universitari olandesi, Brongersma (1979) rilevò che il 13% dei
maschi ed il 18% delle femmine aveva subito abusi sessuali infantili; tali percentuali
furono rispettivamente dell’8% e del 12%, in una ricerca condotta nel 1984 su 2019
adulti inglesi dalla Market and Opinion Research International (dati non pubblicati).
Secondo il National Commitee for the Prevention of Child Abuse (1992) ogni anno
sarebbero riferiti da 150.000 a 200.000 casi di abuso sessuale su minori; si stima che
una ogni 3-4 ragazze sarà abusata sessualmente emiro i 18 anni ed uno ogni 7-8 ragazzi
subirà la stessa sorte.
Le ricerche svolte negli ultimi anni mostrano che la violenza contra le donne é
frequente. Nei paesi industrializzati, tra il 25 e il 30% delle donne subiscono, nel corso
della loro vita adulta, violenze fisiche e/o sessuali da un partner o ex-partner; tra i15%
ed il 15% subiscono queste violenze nei 12 mesi precedenti la ricerca; la prevalenza
delle violenze psicologiche è ancora più elevata (Gillioz et al., 1997; Ramito e Crisma,
2000). La violenza domestica sembra essere altrettanto frequente in gravidanza (Ballard
e Spinelli, 2000). Negli Stati Uniti, tra il 13% e il 20% delle donne subiscono uno stupro
almeno una volta nella vita (Kilpatrick et al., 1997); questa proporzione, sia pure meno
elevata, è alta anche in Italia (Sabbadini, 1998; Romito e Crisma, 2000). Tra il 20 e il
30% delle bambine e adolescenti subisce violenza sessuale, il più delle volte da parte di
un uomo o di un ragazzo che conosce bene (WHO, 1997; Romito e Crisma, 2000).
Queste violenze sembrano essere ancora più frequenti in paesi meno industrializzati
(WHO, 1997).
Da alcuni anni quindi l’Organizzazione Mondiale della Sanità. (OMS) ha cominciato a
lanciare l’allarme sulla violenza come fattore eziologico e di rischio in una serie di
patologie di rilevanza per la popolazione femminile. In particolare sono stati condotti
studi oltre che sulle patologie ginecologiche anche sulle patologie gastroenterologiche,
sulle patologie mentali ed in particolare sulla depressione, sui disturbi alimentari
(anoressia, bulimia), sui disturbi d’ansia. Molti di questi studi hanno evidenziato in
donne con eventi di violenza, subiti sia nel corso della vita che negli ultimi anni, una
connessione con una o più delle patologie menzionate.
In Italia, su 90 casi di reati sessuali trattati dalla stampa quotidiana, Ventimiglia (1989)
ha rilevato che il 94% delle vittime è di sesso femminile e l’autore dell’incesto è nel
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63% dei casi il padre. Di Blasio (1991) riferisce che il 10% della casistica del Centro
per il bambino maltrattato e la cura della crisi familiare di Milano è rappresentato da
casi di abuso sessuale e per l’89% di questi si tratta di incesto padre-figlia.
Dai dati relativi alle “denunce di violenza carnale ed atti di libidine per le quali
l’autorità giudiziaria ha iniziato l’azione penale” (Annuari Statistiche giudiziarie penali
ISTAT) emerge che tra il 1985 ed il 1995 queste sono pii che raddoppiate passando da
1795 (nel 1985) a 3729 (nel 1995), probabilmente per l’influenza che la politica ed i
mass-media hanno avuto nel far emergere una parte del fenomeno prima nascosto.
Parimenti si è riscontrato un incremento della percentuale dei reati commessi da autori
“ignoti” che passa dal 30% nel quinquennio 1985-1990 al periodo 1991-1995.
Riflessioni analoghe, sebbene di contenuto opposto, derivano dall’analisi dei dati
pubblicati a partire dal 1996, anno in cui è entrata in vigore la legge n. 66/96.
Sembrerebbe infatti che l’innovazione normativa che ha comportato, come visto, da un
lato l’accorpamento dei reati di violenza carnale ed atti di libidine violenta nell’unica
fattispecie della violenza sessuale e dall’altro una diversa e assai dibattuta
interpretazione della nozione di “atti sessuali”, abbia prodotto in termini quantitativi un
decremento dei casi di “violenza sessuale” denunciati sia nel 1996 che nel 1997 rispetto
alla normativa previgente, pur a fronte di rilevazioni relative al periodo 1990-2000 che
hanno evidenziato un aumento delle denunce di reati sessuali superiore al 30%.
L’Indagine multiscopo dell’ISTAT “Sicurezza dei cittadini” raccoglie dati sul fenomeno
della criminalità, attraverso informazioni riferite alle molestie e violenze sessuali subite
dalle donne nel corso della vita e nei tre anni precedenti l’intervista. L’indagine è stata
effettuata nel 2002 tramite indagine telefonica, selezionando un campione di 60 mila
famiglie per un totale di 22 mila 759 donne di età compresa tra i 14 e i 59 anni. Pur
trattandosi di dati provvisori, in attesa della ricostruzione della popolazione effettuata a
partire dal 14° Censimento generale della popolazione, è emerso però che sono più di
mezzo milione (520 mila), le donne dai 14 ai 59 anni che nel corso della loro vita hanno
subito almeno una violenza tentata o consumata; si tratta del 2,9% del totale delle donne
di 14-59 anni. Sono 118 mila (0,7%) le donne della stessa età che hanno subito almeno
una violenza nei tre anni precedenti l’intervista e tra queste hanno tra i 25 e i 44 anni
quelle che più frequentemente hanno subito stupro o tentato stupro nel corso della vita
(3,6% della stessa classe di età), mentre le giovani di età inferiore ai 24 armi hanno un
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tasso di vittimizzazione più basso (1,9%). Focalizzando l’analisi sugli ultimi tre anni
d’indagine le donne più giovani risultano invece le più vittimizzate, essendo le uniche
che presentano tassi superiori a quello complessivo (1,4% negli ultimi tre anni contro
una media dello 0,7%).
Gli autori delle violenze (tentate o consumate), contrariamente a quelli delle molestie,
sono soprattutto persone conosciute, se non addirittura intime, delle vittime, poiché nel
corso della vita, solo il 18,3% delle vittime è stata violentata da un estraneo e il 14,2%
da un conoscente di vista. Nel caso poi delle sole violenze consumate, l’autore é un
amico delle vittime addirittura nel 23,8% dei casi, il coniuge o il convivente (o l’ex
coniuge/convivente) per il 20,2% e i1 fidanzato o l’ex fidanzato per i1 17,4%, mentre le
violenze da parte di estranei riguardano appena il 3,5% delle donne che hanno subito
violenza sessuale. Negli ultimi tre anni, invece, è osservabile nella tipologia degli autori
delle violenze sessuali tentate o consumate una maggiore presenza degli amici (29%),
dei fidanzati (11,1%) e dei coniugi/ex coniugi o dei conviventi/ex conviventi.
Come deriva facilmente dalla tipologia degli autori della violenza, i luoghi più a rischio
sono quelli pii familiari per le donne (casa propria o negli spazi attinenti, al lavoro o
negli spazi circostanti, a casa di amici, di parenti o di conoscenti o a casa dello stesso
aggressore). Nel corso della vita, dunque, complessivamente, oltre il 43,8% delle donne
che ha subito uno stupro o un tentativo di stupro lo ha subito appunto in luoghi
familiari. Negli ultimi tre anni il 25,8% delle violenze subite si è verificato a casa della
vittima o di amici e parenti, 1’11,8% in automobile, il 9,9% a lavoro o negli spazi
attinenti. Il 28,8%, invece, è avvenuto in strada, il 4,3% in un parco pubblico, o in un
giardino o al mare e il 5,9% in un locale pubblico.
Soltanto il 7,4% delle donne che ha subito una violenza tentata o consumata nel corso
della vita ha denunciato il fatto (9,3% negli ultimi tre anni), confermando pertanto,
come la quota di sommerso sia altissima.
I dati emersi dall’indagine sulla sicurezza dei cittadini condotta nel 2002 propongono un
quadro del fenomeno della violenza in parte differente rispetto a quello derivante dalla
prima indagine condotta nel 1997-1998. Diminuiscono le molestie fisiche sessuali, Ie
telefonate oscene, il tentato stupro e i ricatti sessuali verificatisi al momento della
ricerca del lavoro, mentre restano invariati i dati inerenti il numero delle vittime di
stupro e dei ricatti sessuali per avanzamento di carriera o per il mantenimento del posto
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di lavoro.
Ad ulteriore conferma di questi dati, recentemente, nell’ultimo bollettino pubblicato
dalla Direzione Centrale Anticrimine della Polizia di Stato riguardante i dati operativi
tratti dalle segnalazioni giunte alla Direzione Centrale dagli Uffici Periferici in Italia,
relativi alle fattispecie di reati di violenza sessuale in pregiudizio ai minori, in relazione
al numero delle segnalazioni ed alle persone denunciate negli anni 2003 e 2004, emerge
chiaramente un aumento del 22,4% del totale di tutti i reati segnalati, con tasso massimo
del 93,8% relativo alla “corruzione di minorenne” (art. 609-quinquies c.p.) e minimo
del 17,5% relativo alla “violenza sessuale” (art. 609- s e ter c.p.); a tale incremento é
parallelamente corrisposta anche un crescita del numero delle persone denunciate con
valori del tutto sovrapponibili, rispettivamente un incremento totale del 22,4% con
picco massimo del 100,0% e minimo del 22,8%.
3.2. La realtà del fenomeno nell’area fiorentina
Al fine di valutare e comprendere più a fondo il fenomeno della violenza sessuale sui
minori, è stata condotta una ricerca sui dati forniti dal Centro Anti-Violenza, istituito
dall’Azienda Ospedaliera-Universitaria di Careggi presso la Clinica di Ginecologia ed
Ostetricia, relativa ad un periodo di 14 anni di attività, precisamente dall’Agosto 1992
all’Agosto 2005.
A questo Centro sono compiute sia visite di urgenza (entro 72 ore dal presunto episodio
di violenza sessuale) spesso inviate dal Pronto Soccorso, sia consulenze per la
Magistratura, sia, infine, visite di controllo esterne nelle quali rientrano quelle richieste
dai genitori, da operatori sanitari e/o sociali ed anche da ginecologi e pediatri di
famiglia i quali, avendo avuto notizia di episodi di abuso, inviano la bambina per una
consulenza specialistica.
In particolare i casi di bambine sottoposte a visita medica perché a conoscenza di
familiari “violenti”, quasi sempre si verificavano in seguito alla confessione di
atteggiamenti “ambigui” tra il padre, separato dalla moglie, e la figlia in occasione dei
loro incontri durante il fine settimana; è pur vero che risulta trattarsi di mariti e di padri
violenti, già segnalati all’Autorità Giudiziaria.
Dei 121 casi di presunta violenza sessuale su minori di cui si compone la ricerca, tutti
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hanno riguardato soggetti di sesso femminile; di questi, 45 erano visite urgenti, cioè
effettuate entro 72 ore dal riferito episodio di sospetto abuso sessuale e 76 erano invece
visite programmate.
Sono stati presi in esame i parametri desunti dalle cartelle cliniche 13, inerenti, oltre alle
caratteristiche anagrafiche (età, nazionalità, residenza), quelle del sospetto abusante, il
tipo di violenza riferita, la modalità di accesso al Centro Anti-Violenza, ma soprattutto
la distribuzione della lesioni obiettivate in rapporto alla classificazione adottata (Adams,
2004).
Quest’ultima non è stata di facile esecuzione dal momento che è stato necessario
compiere ex novo uno studio metanalitico retrospettivo di ogni caso dal momento che la
diagnosi posta dai medici era basata sulle precedenti classificazioni (Adams 1994, 1996
e 2001) adottate dalla comunità scientifica all’epoca dell’accertamento clinico e che
sono state aggiornate negli anni anche in modo significativo, come sarà precisato più.
avanti nella sezione apposita, apportando ogni volta attribuzioni diverse al valore
probabilistico sull’avvenuta violenza sessuale.
Le fasce di età sono equamente distribuite, con due picchi tra i 4 ed i 6 anni e tra i 13 e
15 anni, senza significative prevalenze tra esse, d’accordo con quanto presente in
Letteratura.
13
Si precisa che fino al 1998 non era stato attivato il protocollo interaziendale di cui si dirà pii avanti,
quindi le cartelle cliniche relative al periodo 1992-2000 contenevano assai meno dati, sia
circostanziali, sia clinici, rispetto a quelle più recenti limitando indubbiamente una maggiore
combinazione di parametri.
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Dal punto di vista anagrafico, le vittime di nazionalità straniera costituiscono il 27%, in
parte ricollegabile alla natura cosmopolita dell’ambiente sociale fiorentino; tale valore
si discosta in maniera sostanziale da quello rilevato per le adulte, (circa il 45%), forse
perché imputato proprio alla minore età delle pazienti.
Per quanto riguarda la provenienza delle bambine visitate presso la Struttura monitorata,
se da un lato più dell’80% proviene dalla Toscana (con nettissima prevalenza dell’area
metropolitana Firenze-Prato-Pistoia), la rimanente, comprendeva anche altre regioni
italiane del Centro-Nord: questo dato è dovuto sia per la presenza di ragazze che si
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trovavano di passaggio nel capoluogo toscano come turiste o come studentesse, sia
perché il Centro Anti-Violenza di Firenze è di riferimento regionale.
A conferma di questo dato si portano i dati riferiti al motivo della visita presso la
Struttura ed emerge che circa il 43% dei casi si tratta di consulenze richieste da altre
strutture (Ginecologi del territorio, Servizi Sociali e Consultori) o per autoriferimento.
É confermata la natura preponderante intrafamiliare dell’abuso sessuale sui minori,
perché l’autore della violenza nel 65% dei casi è rappresentato da un membro della
famiglia o da un conoscente della minore. Spesso si tratta di una situazione di violenza
protratta nel tempo, soprattutto in ambito di genitori separati o divorziati: in questi casi
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sovente la bambina è inviata a visita dalla madre perché la figlia le ha raccontato che nel
fine settimana il padre l’ha palpeggiata o le ha chiesto di togliersi i vestiti simulando un
gioco; in alcuni casi la madre ha proprio rilevato un arrossamento delle regioni genitali
della figlia dopo aver trascorso il fine settimana col padre; è stato anche osservato in
circa la meta dei casi di sospetto abusante conosciuto, in particolare del nuovo
convivente della madre.
Decisamente controtendenza è invece il luogo della riferita violenza all’aperto, al
contrario di quanto invece era da attendersi visti la prevalenza di episodi di
maltrattamento intrafamiliari e avvenuti con persone conosciute.
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Analogamente in quasi la metà delle minori era riferita una localizzazione genitale delle
attenzioni dell’abusante, com’era prevedibile; significativi sono però i dati del rilievo di
quasi un terzo delle minori delle quali non erano note le circostanze, dovuto sia alla
carenza documentale delle cartelle cliniche, sia alle difficoltà linguistiche delle vittime,
sia, infine, perché talvolta l’accesso al Centro Anti-Violenza era richiesto dalla madre
che era a conoscenza di pregressi abusi di un familiare (spesso il marito/ex marito, ma
anche i nonni).
Per quanta concerne la percentuale delle denunce, i dati in questo caso sono piuttosto
incompleti, sia per carenza documentale, sia per il sovrapporsi di due normative
differenti, sia perché specificamente per le bambine più piccole (fino ai 12 anni), non vi
è alle spalle un episodio riferito di violenza sessuale, ma trattasi esclusivamente di visita
“preventiva” richiesta da un familiare coniugato o convivente con un soggetto con una
storia di violenza intrafamiliare alle spalle; nelle minori più mature, trovandosi invece,
quasi sempre, di fronte ad un episodio avvenuto di violenza sessuale o tentata, la visita
rappresentava il primo atto accertativo della Autorità Giudiziaria, del tutto
comprensibile visto che si trattava di soggetti di una certa maturità psichica, consapevoli
della esperienza vissuta e della ingiustizia subita, quindi più motivate alla denuncia.
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4. L’INDAGINE CLINICA
4.1. L’approccio al minore
L’indagine medico-legale in materia di violenza sessuale si muove entro le coordinate
ben definite della ricerca e delle indagini di laboratorio e, nonostante le importanti
innovazioni apportate dalla legge 66/96, di fatto non ha subito sensibili trasformazioni
rispetto a quando gli obiettivi erano indicati dal contenuto degli articoli del Codice
Rocco. Questo perché compete al magistrato indagare sulla fondatezza giuridica
dell’evento e non al sanitario, che deve limitarsi a raccogliere e a documentare tutti gli
elementi che ritiene utili dal punto di vista diagnostico-terapeutico, il quale deve anche
provvedere alla ricerca e alla dettagliata documentazione dei sintomi ma soprattutto dei
segni che mostrino che il/la paziente ha subito “atti sessuali”, contro la propria volontà
oppure in ragione del fatto che fosse in condizioni di ‘`inferiorità psico-fisica”, nonché
la verifica, ed eventualmente la quantificazione, di un qualsiasi altro tipo di lesione o di
danno, siano essi fisici o psichici, compresa la morte.
Occorre subito premettere che l’assenza di segni obiettivabili all’indagine clinica, non
può, e non deve negare l’avvenuta violenza sessuale.
Spesso la vittima giunge all’osservazione di un medico, non necessariamente
qualificato, molto tardi o comunque ad una distanza di tempo tale da compromettere il
rilievo di segni fisici significativi; questi, inoltre, possono mancare del tutto qualora la
vittima non abbia opposto resistenza, per paura di conseguenze ben piú gravi. E quando
la vittima si presenta all’osservazione del medico, è necessario disporre di un omogeneo
strumento di analisi, pertanto sarebbe utile l’impiego di protocolli allo scopo di arginare
il rischio di raccogliere informazioni contraddittorie che potrebbero derivare dalla
mancanza di esperienza medico-legale, dalla paura dell’esaminatore di dover
testimoniare in tribunale, da un bagaglio di nozioni tecniche confuse, dall’influenza che
lo stato psicologico della paziente può esercitare sul sanitario, nonché dal tempo a
disposizione per l’indagine. Il punto nodale della situazione è proprio quello di ottenere
elementi per un giudizio clinico e medico-legale il più uniforme possibile che non si
diversifichi da quanto la consolidata letteratura scientifica suggerisce.
Un’altra importante variabile che può incidere sensibilmente sulla valutazione del
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sanitario esaminatore è quella della modalità, intesa come ambiente in cui si espleta
l’indagine e disposizione psicologica dell’esaminatore, con cui si procede alla
valutazione della presunta vittima.
Analogamente, si segnala l’importanza dell’acquisizione di un valido consenso
all’accertamento medico, dal momento che un esame espletato in condizioni di
tranquillità ed in ambiente accogliente consente indubbiamente una più aperta
collaborazione tra sanitario e paziente, ancor più valide quando si tratta di esaminare un
bambino nei confronti del quale è necessario adottare un linguaggio oltremodo
comprensibile che consenta di conquistarne la fiducia.
Risulta dunque evidente la necessità e l’utilità dell’istituzione dei presidi “antiviolenza” strutturati presso i locali di Pronto Soccorso ove accogliere in urgenza le
vittime dell’aggressione. Tali centri si avvalgono di diverse competenze specialistiche
medico-legale, ginecologo, pediatra, odontostomatologo, psichiatra, psicologo),
adeguatamente preparate ad affrontare il problema dell’abuso sessuale ed in grado di
assistere la vittima.
4.2. Anamnesi
È importante acquisire le informazioni emerse dal racconto della minore o dalle
testimonianze relative all’accaduto, se possibile preliminarmente, senza interrogare la
presunta vittima nella sede della visita. Nei casi in cui la storia non è stata ancora
raccolta è utile fare delle domande, preferibilmente indirette per stimolare un racconto
spontaneo, sulle modalità dell’abuso, le sedi anatomiche interessate, l’eventuale
comparsa di sanguinamenti o sintomi di tipo infiammatorio; il racconto deve essere
trascritto utilizzando le parole della bambina. Nell’anamnesi devono essere rilevate
anche le variazioni comportamentali della bambina nell’ultimo periodo e i precedenti
patologici che coinvolgono la regione ano-genitale (flogosi, traumi, disturbi della
funzionalità intestinale). È fondamentale una fase iniziale di breve colloquio con cui
rassicurare e spiegare alla bambina le modalità della visita, precisando che si tratta
prevalentemente di un’osservazione con ingrandimento, senza nessuna introduzione di
strumenti all’interno del corpo, ma con l’unico ausilio di un cotton-fioc per la
valutazione batteriologica. È utile comunque che, durante la visita, un’ostetrica o
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un’infermiera continui ad interagire con la bambina per distrarla e ridurre l’ansia.
Devono inoltre essere registrati per minori più grandi di età, tutte le informazioni
relative alla anamnesi clinica remota e prossima sia generale sia ginecologica, incluse
eventuali infezioni, l’uso di contraccettivi, la data dell’ultima mestruazione e
dell’ultimo rapporto sessuale consensuale, anche allo scopo di fornire informazioni
tecniche sulla attendibilità delle accuse, sul comportamento complessivo del minore
nella vicenda; impresa molto difficile, tenuto conto del trascorso del paziente e, nel caso
di bambini vittime di ripetute aggressioni, della presenza di una sindrome di
adattamento.
La letteratura del resto evidenzia la possibilità, sempre presente, di false accuse, che
possono trovare la loro origine nelle più svariate motivazioni, anche di origine
psichiatrica, da parte d’individui adulti come di bambini. Potrebbe essere per questo
utile ricercare i cosiddetti indicatori psicologici di abuso sessuale (Picciolla, 1999) e
valutare gli indumenti, i movimenti della paziente, anche allo scopo di ipotizzare
un’eventuale influenza di alcool, di farmaci, di sostanze stupefacenti non solo sullo
stato della paziente, ma anche in riferimento alle sue abitudini. Secondo Sgroi (1982), il
riconoscimento dell’abuso sessuale sui bambini dipende totalmente dalla disponibilità
interiore delle persone a prenderne in considerazione l’esistenza. Effettivamente il
bambino vittima di abuso è spesso l’unico testimone dell’accaduto e se, superate paure e
reticenze, ne parla all’adulto, questo deve essere disponibile ad “ascoltare” ciò che il
minore gli dice. In alcuni casi sono solo le parole del minore a “raccontare” la violenza
subita, dato che, a differenza del maltrattamento fisico, l’abuso sessuale può lasciare
segni meno evidenti; in altri casi le vittime sono così piccole che il disagio difficilmente
viene espresso con la comunicazione verbale.
Una diagnosi di abuso sessuale su di un minore quindi può essere attuata solo attraverso
l’analisi attenta del bambino a 360°, che comprenda una valutazione degli aspetti
psicologici, fisici e comportamentali della sua esperienza. Pur tenendo conto che in una
buona percentuale di casi può manifestarsi come asintomatico, il bambino vittima di
abuso di solito manifesta certi comportamenti o sintomi che possono essere considerati
come indicatori di una possibile violenza sessuale subita.
Si propone di seguito una griglia di analisi per la localizzazione di questi indicatori:
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INDICATORI FISICI (Cesa Bianchi, 1993):
Generali:
- Segni cutanei (contusioni, graffi, morsi, segni di afferramento) se l’abuso è stato
compiuto con l’ausilio della violenza fisica.
- Sintomatologia fisica o prurito nell’area genitale.
- Difficoltà di deambulazione.
- Difficoltà nel mantenimento della posizione seduta.
- Biancheria intima macchiata, strappata.
- Tracce di sangue o di liquido seminale sugli indumenti o sulla cute.
- Gravidanza nella primissima adolescenza in assenza di partner noto.
- Pubertá precoce.
Individuabili con esame clinico:
- Presenza di tracce di sperma nella vagina o nel retto.
- Presenza di corpi estranei uretrali, vaginali e/o rettali.
- Lesioni genitali e/o anorettali. - Dilatazione vaginale o uretrale ingiustificata.
- Infiammazioni, emorragie senza cause organiche evidenti.
- Manifestazione di malattie infettive a trasmissione sessuale (gonorrea, clamidia,
conditomi acuminati, sifilide, HIV, ecc.) (Montecchi, 1998).
INDICATORI COMPORTAMENTALI (Cesa Bianchi, 1993):
- Passività, paura, sfiducia verso gli adulti.
- Conoscenze e comportamenti sessuali inadeguati per l’età.
- Difficoltà a stare in relazione con i coetanei (atteggiamenti aggressivi, disinteresse
verso attività ludiche).
- Calo del rendimento scolastico,
- Difficoltà di linguaggio e dell’attenzione.
SINTOMATOLOGIA ASPECIFICA
- Disturbi del sonno (insonnia, incubi anche a sfondo sessuale; pavor nocturnus)
- Disturbi dell’alimentazione.
- Disturbi del controllo degli sfinteri (enuresi, encopresi).
- Ansia.
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- Depressione.
- Fobie.
- Sintomi ipocondriaci.
- Rituali ossessivi (legati soprattutto alla pulizia personale).
- Disturbi psicosomatici del tratto gastroenterico.
- PTSD (Disturbo post-traumatico da stress).
INDICATORI PREVALENTI IN ADOLESCENZA
- Fughe.
- Condotte devianti.
- Abusi di sostanze.
- Condotte autolesionistiche, tentati suicidi.
- Sessualità precoce e promiscua.
- Inibizione sessuale.
- Rifiuto sessuale.
La raccolta anamnestica deve inoltre tenere conto, oltre che del tempo intercorso tra la
violenza e la visita, o eventuali altre visite, della avvenuta pulizia delle zone lesionate o
penetrate, del cambio degli indumenti e della biancheria, di una eventuale minzione o
defecazione, dell’assunzione di farmaci e di rapporti sessuali avvenuti prima o dopo
l’aggressione.
4.3. Esame obiettivo generale
Acquisiti tutti i dati preliminari precedentemente descritti, si passa alla fase della visita
medica che è di fondamentale importanza perché permette di rilevare eventuali segni
fisici significativi ai fini della ricostruzione della violenza sessuale; l’esame ricalca lo
schema classico offerto dalla metodologia clinica e quindi dovrà accertare lo stato di
nutrizione e sanguificazione, nonché l’adeguatezza dei movimenti e l’orientamento
temporo-spaziale; si procederà poi con la registrazione dei principali sintomi soggettivi
(cefalea, dolori, algie pelviche, disturbi genitali o perianali ecc.), il rilievo dei parametri
vitali di base, la conformazione somatica del paziente, del grado di differenziazione
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sessuale con particolare riguardo ai caratteri sessuali secondari (per le bambine,
ricorrendo, ad esempio alla stadiazione di Tanner).
Come accennato più sopra, particolare importanza assume anche l’esame degli
indumenti che, secondo le linee guida dell’AMA (1998), dovrebbero essere raccolti su
dei fogli di carta per non perdere l’eventuale materiale adeso, ricercando lacerazioni,
strappi, mancanza di bottoni, macchie, verificandone la compatibilità tra la sede e quella
delle lesioni traumatiche riscontrate sulla vittima, così da suggerire elementi suggestivi
di lotta.
A questo punto il medico dovrà esaminare il minore allo scopo di individuare la
presenza di lesioni extragenitali, ma soprattutto provvedere alla loro registrazione
descrittiva, indicandone la sede, le dimensioni, la tipologia lesiva, e, ove possibile,
fotografica; quest’ultima deve essere eseguita in modo tale da poter ricostruire senza
difficoltá la sede anatomica, perciò é bene procedere prima con una immagine a campo
ampio, quindi scendere nel dettaglio. In questa fase é assolutamente importante
differenziare lesioni e reperti traumatici riconducibili cronologicamente al momento
della presunta aggressione, distinguendole non solo da lesioni traumatiche di vecchia
data, ma soprattutto da quelle dovute ad un diverso meccanismo sia esso patologico che
di altra natura.
Tipicamente, in caso di violenza sessuale con maltrattamento, le lesioni extragenitali
sono generalmente multiple e possono essere localizzate in sedi diverse. Le più
frequenti sono le lesioni cutanee, che sono facilmente identificabili e rappresentate da
compressioni ed irritazioni cutanee14, ecchimosi15 cutanee (digitali rappresentate da aree
di forma ovale per compressione dei polpastrelli delle dita, a farfalla
per
pizzicottamento, vibici, di forma allungata, prodotti da colpi di verga o di frusta),
escoriazioni16, lacerazioni17 e morsicature18 (il morso umano è ben distinguibile da
14
Le compressioni ed irritazioni cutanee sono caratterizzate inizialmente da una reazione vasomotoria
con ischemia e pallore e successivamente da una vaso dilatazione reattiva che si manifesta con un
lieve edema ed arrossamento cutaneo.
15
Le ecchimosi sono rappresentate da uno stravaso di sangue che si accoglie negli strati superficiali del
derma e nel tessuto sottocutaneo o sottomucoso dovuto alla rottura di capillari o di vasi di piccolo
calibro. Alcuni tipi di ecchimosi sono rappresentate da petecchie, suggellazioni, soffusioni, vibici. In
caso di raccolte ematiche in cui vengono coinvolte strutture più profonde si parla di ematoma.
16
Si intende per escoriazione la discontinuazione degli strati superficiali cutanei o mucosi ad opera di un
mezzo contundente che agisce tangenzialmente rispetto alla superficie corporea con prevalente azione
di strisciamento. L'escoriazione presenta pertanto irregolarità del fondo ed in base alla sua profondità
si distingue in escoriazione di I grado (strado epidermico), di II grado (derma con gemizio di sangue),
di III grado (derma con franca emorragia). L'azione tangenziale del mezzo lesivo permette la
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quello animale e può fornire indicazioni sulla persona che lo ha materialmente effettuato
in caso di alterazioni morfologiche19), abrasioni (lesione da arma da taglio che a
differenza della escoriazione presenta il fondo regolare), ustioni, aree di alopecia
traumatica, cicatrici. É di estrema utilità e rilevanza effettuare una documentazione
fotografica della lesione, in quanto la semplice descrizione può rilevarsi insufficiente.
Nel caso di foto è più opportuno scattare diapositive in quanto si ha una migliore
riproducibilità dei colori. T diversi tempi di esposizione della carta fotografica, infatti,
possono evidenziare i colori rossi con conseguente zone iperemiche, là dove il reperto
era di normalità. Questa raccomandazione è di maggior rilevanza in caso di violenza
sessuale. Al fine di verificare la possibile attribuzione ad episodi lesivi plurimi è molto
importante identificare l’epoca di produzione delle lesioni che può essere desunta dalla
variazione cromatica della lesione20. Poiché le modificazioni cromatiche hanno un
andamento centripeto, in ragione della periferica azione disgregatrice dell’emoglobina
ad opera della reazione cellulare reattiva, è soprattutto sui caratteri colorativi periferici
che dovrà essere espresso il relativo giudizio cronologico medico-legale tenendo conto,
per una valutazione più precisa, che nei periodi intervallari potranno riscontrarsi
colorazioni intermedie rispetto a quelle precedentemente descritte. Possiamo trovare
sparse un po’ su tutto il corpo impronte di corpi contundenti, impronte o cicatrici di
corde. Può essere di rilievo riscontrare la presenza di unghiature21 o di graffiature22. In
queste ultime il verso del graffio è determinato dalla base di inserimento dei lembetti
formazione di lembetti, sollevati dalla superficie corporea e disposti a formare con il fondo della
lesione un caratteristico angolo acuto aperto verso la direzione di provenienza del corpo contundente.
17
La lacerazione si determina a causa del meccanismo di trazione e di schiacciamento che vincendo la
resistenza dei tessuti ne provoca la discontinuazione a livello superficiale e profondo. Quando la
lacerazione presenta una prevalente azione compressiva con una più marcata irregolarità dei margini
si parla di ferite lacero-contuse.
18
La lesività da morso riproduce la forma tipica delle superfici occlusali dei denti umani: rettangolare
quella degli incisivi, grossolanamente triangolare quella dei canini con apice rivolto verso le labbra e
la base della lingua, a forma di diamante (con due triangoli che si fronteggiano) quella dei premolari
19
Linee guida per l'analisi dei segni di morso sulla cute sono state proposte anche dall'American Board of
Forensic Odontology: Descrizione dei segni di morso: a) demografia; b) localizzazione del morso; c)
forma; d) colore; e) dimensione; f) tipo di lesione.
20
Eccezioni alla trasformazione cromatica dell'ecchimosi sono rappresentate da quelle congiuntiviti il cui
colorito si mantiene a lungo rossastro per riossigenazione dell'emoglobina e dalle ecchimosi scrotali e
delle grandi labbra che presentano color bruno-violaceo immediato per la pigmentazione locale della
cute, dalle ecchimosi sotto-ungueali che hanno iniziale colore nerastro che conservano fino alla loro
eliminazione.
21
Sono impresse con un meccanismo di compressione che dà luogo ad una escoriazione a forma di
semiluna.
22
Sono prodotte dall'azione di strisciamento delle unghie, sono multiple, ravvicinate, lineari, parallele,
piò o meno lunghe ed ininterrotte.
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epidermici sollevati nell’azione di graffiamento.
Le ustioni sono un’altra lesione che si evidenzia frequentemente nei maltrattamenti
fisici dei bambini, esse possono essere dovute al contatto con corpi solidi (stufe, ferri da
stiro), sigarette, ed acqua calda; queste ultime sono senz’altro le più frequenti. Le
ustioni di sigarette sono circolari, puntiformi e la loro sede caratteristica è generalmente
alle mani e/o piedi.
Anche le fratture ossee sono frequenti nel caso di maltrattamento, per lo più tipiche dei
bambini sotto i 5 anni, ed interessano in modo preferenziale, coste ed ossa lunghe.
Anche per le fratture è importante determinarne l’epoca di produzione, stimabile
radiologicamente23.
Frequenti sono anche le lesioni oculari: emorragie retiniche, ecchimosi periorbitali,
distacchi di retina, emorragie sottocongiuntivali o per trauma diretto o espressione di
altra lesività come ad esempio le emorragie sottocongiuntivali in corso di asfissia24.
Per quanto concerne le lesioni orali, sono piuttosto rare, nonostante l’alta prevalenza
delle pratiche sessuali oro-genitali. La lesione tipica della fellatio sono fenomeni
emorragici (petecchie, ecchimosi o porpore) del palato molle che si risolvono
spontaneamente entro 7-10 giorni; sono state anche osservate aree atrofiche di varia
grandezza, singole o numerose„ di colore rossastro al centro del palato maggiormente
verso la parte posteriore che alla biopsia mostravano iperplasia epiteliale ed
infiammazione cronica (van Wyk, 1981). Nella pratica del cunnilictus si possono
obiettivare ulcerazioni a carico del frenulo linguale, che appare come una iperplasia
fibrosa coincidente con i margini incisali dei denti incisivi inferiori. Tutti questi reperti
orali devono essere distinti, con altre lesioni petecchiali del palato (diatesi emorragiche
o vasculiti), con lesioni come il mucocele, il fibroma traumatico, con i papillomi o la
candidosi. Sono di rarissimo riscontro nelle vittime di violenza sessuale dal momento
che sono lesioni tipiche del soggetto “attivo”.
23
Al 3°-4° giorno presenza di callo fibroso (slargamento della rima di frattura con apposizione periostale
che da periferica diviene centrale); 10°-14° giorno: callo osseo soffice; 21-40° giorno: callo osseo
duro.
24
Nella asfissia è importante evidenziare i mezzi che hanno compresso il collo ricordando che l'asfissia
può essere realizzata con la contemporanea occlusione di tutti gli orifici respiratori (soffocazione),
attraverso la compressione delle vie respiratorie con una o due mani per pressione a livello delle
regioni antero-laterali del collo (strozzamento) o attraverso la costrizione delle vie aeree mediante un
laccio posto attorno al collo o mediante un altro mezzo al quale viene comunque applicata una forza
su un piano perpendicolare rispetto all'asse maggiore del collo (strangolamento). In questa ultima
evenienza è possibile evidenziare delle tipiche suggellazioni lasciate dai monili della vittima (collane
formate da maglie più o meno fitte).
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4.4. Esame obiettivo locale
L’esame è compiuto in posizione supina con le gambe sollevate (posizione frog-leg) e,
se la bimba non la rifiuta, in posizione genu-pettorale, per evidenziare meglio il bordo
imenale posteriore e la regione della forchetta25. Dopo una valutazione iniziale ad
occhio nudo, viene utilizzato un colposcopio con un ingrandimento x6 o x10,
effettuando una documentazione fotografica della regione vulvare ed anale, che
consenta un successiva verifica dei dati obiettivi oltre ad una documentazione, che eviti
la ripetizione dell’ esame in caso di controversie26. Con la bambina in posizione
ginecologica l’imene viene visualizzato tramite la tecnica della trazione labiale, cioè le
grandi labbra nella loro porzione inferiore vengono allargate tra il pollice e l’indice e
dolcemente divaricate.
Nelle situazioni in cui la visita interviene subito dopo o al massimo entro 72 ore da un
episodio di abuso (cosiddetta “visita di urgenza”) la presenza di reperti documentabili è
maggiore. Se ci sono stati tentativi di penetrazione i segni più evidenti sono di solito a
livello della regione posteriore della forchetta con lacerazioni, eritema ed edema,
soffusioni emorragiche, oltre ad una frequenza relativamente più elevata di lesioni
extragenitali. In questi casi è importante la raccolta di materiali utili come prove
giudiziarie: secrezioni e corpi estranei presenti sul corpo della vittima, sotto le unghie,
sui suoi capi di vestiario; oltre alla ricerca di liquido seminale sulla cute tramite luce di
Wood o di spermatozoi nell’area genitale.
La valutazione morfologica della regione ano-genitale in bambine con sospetto abuso
sessuale è un tema che è stato ampiamente dibattuto nella letteratura degli ultimi dieci
anni, senza che si sia raggiunto per ora un completo consenso su quali siano i reperti
specifici di questa situazione clinica. Uno dei motivi fondamentali che alimentano la
discussione è il fatto che l’ampia variabilità interindividuale, soprattutto della
25
26
Un'altra posizione è quella delle ginocchia sul torace (knee-chest), oppure quella suggerita da Sims
particolarmente indicata per bambine ansiose e paurose che prevede una pozione allontanata
dall'esaminatore con schiena del paziente rivolta verso l'esaminatore in modo tale da non poterlo
vedere.
È da preferire l'esame colposcopico alla sola visita tradizionale perché è stata dimostrata una maggior
prevalenza di segni genitali anche per lesioni avvenute in rapporti consensuali (Norvell et al 1984,
Slaughter & Brown 1992, Lincoln 2001, Mancino et al 2003).
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conformazione imenale27, e la sua fisiologica variazione durante la crescita della
bambina rendano difficile la definizione degli aspetti normali della regione ano-genitale
in questa fascia di età. La stessa tecnica di ispezione può modificare la morfologia
dell’imene, per cui è buona norma precisare sempre quale delle due posizione è stata
fatta assumere alla bambina. È nozione scientifica ormai consolidata infatti che nei
primi anni di vita la configurazione dell’imene e delle strutture adiacenti sono
dipendenti dai livelli di estrogeni, cosicché, ad esempio, l’imene semilunare non è
presente quasi mai alla nascita mentre lo è a partire dal primo anno di vita (Berenson,
1995). Studi su neonati (Mor al., 1986; Berenson ed altri, 1991) hanno ampiamente
documentato che l’imene è per lo più anulare con il tessuto che circonda a 360°
l’orifizio vaginale oppure può essere fimbriato, mentre la parte superiore subito sotto
l’uretra, si assottiglia acquistando una morfologia semilunare con l’avanzare dell’età per
diventare la tipologia più comune tra i 5 ed i 7 anni (Berenson ed altri, 1992; Pokorny,
1987), come del resto tra la nascita ed i primi tre anni di vita l’imene si trasforma
gradualmente da una struttura spessa e ridondante in una più sottile con margini acuti
(Berenson, 1995). Per lo stesso motivo non è dunque possibile considerare iI diametro
dell’orifizio vaginale un criterio da solo valido per sospettare un trauma sessuale, dal
momento che non vi è concordanza di opinioni sull’argomento in letteratura (Woodling
e Hegar, 1986). Certamente l’uso del colposcopio aiuta notevolmente dal momento che
riduce tale variabilità di ampiezza ma rimane comunque valida l’indicazione che non è
sufficientemente accettabile basare tale delicata diagnosi solo sul grado di apertura
imenale. In uno studio compiuto a Dallas su 451 casi di stupro, fu riscontrato che
soltanto nel 34% dei casi vi erano segni evidenti del trauma e solo nel 18% dei casi
erano presenti lesioni degli organi genitali (Di Maio 1993). Gli studi longitudinali che si
sono occupati di questo tema (Mc Carro et al 1990, Berenson et al 1992, Gardner 1992)
cercando di definire le misure fisiologiche del bordo imenale e del diametro dell’aditus
vaginale, la sede in cui con più probabilità si determinano delle incisure fisiologiche
correlate alla strutturazione delle pliche intra-vaginali non riportano dati univoci. Anche
la fisiologica conformazione della regione anale, in relazione anche a variabili correlate
27
Si rammentano numerose variazioni abnormi e fisiologiche dell'imene considerate dalla letteratura,
alcune delle quali da alcuni Autori definite obsolescenze mediche: imene imperforato, cribriforme,
setto, microperforato, irregolare, festonato, dentellato, fimbriato, irregolarmente inciso sul contorno,
"ad anello" ed altre.
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alla funzione intestinale, dà spazio a alcune incertezze. Di non poco conto, inoltre, la
correlazione esistente tra fissure complete dell’imene e l’impiego di tamponi vaginali
(Good Year-Smith, 1998), che sarebbero anche responsabili di microulcerazioni
(Berkeley ed altri, 1985; Niv ed altri, 1992), sanguinamento (Nordin, 1995), nonché di
possibili infezioni (Colbry, 1992). In uno studio prospettico per 10 anni su 94 bambini
con trauma ano-genitale, fu osservato a distanza di almeno 72 ore dall’abuso sessuale,
che le transezioni persistevano se non suturate, le lacerazioni parziali le lesioni imenali
e gli ematomi erano completamente guariti cori completa resitutio ad integrum, le
lesioni della forchetta, erano evolute con restitutio ad integrum nel 48% dei casi e nel
24% mediante riparazione chirurgica, altrimenti si osservavano segni vascolari o fusioni
labiali; i traumatismi labiali e le lesioni anali in una percentuale di casi superiore al
90%, guariscono con restitutio ad integrum (Heppenstall-Heger et al, 2003).
È stato poi ampiamente dimostrato da studi longitudinali che la mucosa vestibolare e la
cute della regione vulvare e perianale hanno una alta capacità di riepitelizzazione, che
tende nel tempo ad attenuare e a cancellare le tracce di eventi traumatici (Texeira, 1981;
Finkel, 1989). In particolare Mc Cann ed i suoi collaboratori (1992) studiando
longitudinalmente 3 soggetti (dai 14 ai 36 mesi) con lesioni genitali da abuso ha
documentato un’estrema rapidità di scomparsa dei segni di traumatismo acuto, con
negativizzazione dopo 18 giorni di edemi ed eritemi, dopo 27 giorni delle emorragie
sottomucose, con arrotondamento progressivo dei bordi imenali e scarsa formazione di
cicatrici. Questa ha luogo solo in zone in cui la lesione è profonda producendo un
tessuto di granulazione ipervascolarizzato: in questo caso entro 60 giorni si forma una
retrazione cicatriziale. La storia naturale delle situazioni di abuso porta, nella maggior
parte dei casi, ad una rivelazione tardiva e ad una valutazione clinica che avviene spesso
molto tempo dopo l’allontanamento dell’abusante, quindi a distanza dall’ultimo
episodio acuto, comportando una netta scomparsa dei possibili segni obiettivi. Inoltre un
altro fattore capace di modificare in modo drastico l’aspetto dei genitali ed accelerare la
riepitelizzazione delle lesioni rappresentato dalla impregnazione estrogenica correlata
alla maturazione puberale, che promuove l’ispessimento e l’imbibizione dei tessuti
sottocutanei e sottomucosi, la proliferazione epiteliale, la vascolarizzazione,
modificando l’orientamento e la linearità dei margini imenali. Anche a livello anale é
stato dimostrato che la persistenza dell’edema non supera i 10 giorni ed i segni di
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dilatazione anale scompaiono entro 6 settimane; le fissurazioni profonde possono
guarire nell’arco di qualche mese e solo raramente lasciano qualche esito cicatriziale
(Mc Cann e Voris, 1993); in tale sede, trattandosi di strutture elastiche, l’eventuale
penetrazione non lascia segni obiettivi, se non aspecifici, come edema attorno
all’orifizio anale, eritema, arrossamento, iperpigmentazione, per cui una positività
all’esame obiettivo della regione anale senza un’anamnesi positiva in tal senso ha ben
poco valore diagnostico (Muram, 1989) e possono essere dovuti anche ad altre cause,
quali la scarsa igiene locale (McCann, 1990).
Un ulteriore dato che alimenta il dibattito sugli studi che hanno confrontato soggetti
vittime di abuso con soggetti non abusati è l’alta prevalenza di situazioni di abuso che
non vengono alla luce, che possono confondere l’affidabilità dei cosiddetti gruppi di
controllo. Alcuni sondaggi tramite questionari su ampi campioni di adolescenti
americane riportano una percentuale autoriferita di pregresso abuso o di esperienze
sessuali forzate dal 12 al 31% della popolazione studiata (Hibbard, 1990; Nagy, 1994;
Nelson, 1995).
A livello vulvare deve essere valutato: lo spessore delle mucose correlato
all’estrogenizzazione, la vascolarizzazione e l’eritema, l’astio uretrale, la presenza di
sinechie delle piccole labbra, di pigmentazioni e di fragilità soprattutto a livello della
forchetta, l’eventuale linea vestibolare mediana, qualsiasi aspetto cicatriziale.
A livello imenale deve essere descritta: la conformazione imenale complessiva, la
presenza di vascolarizzazione evidente, eventuali irregolarità del suo contorno e la loro
localizzazione riferita ad un ideale quadrante dell’orologio (lacerazioni, fissurazioni
[delfts], protuberanze [bumps], incisure [notches] superficiali e profonde, convessità,
appendici, transezioni, cioè incisure che raggiungono la base di impianto), eventuali
banderelle tissutali che originano dal contorno imenale, il diametro dell’introito
vaginale a livello ore 3 e 9 e lo spessore in mm del margine imenale posteriore; molto
importante anche la valutazione dei processi riparativi della lesioni imenali
(rigenerazioni epiteliali, tessuto di granulazione, cicatrici) influenzati significativamente
dall’assetto ormonale della bambina: è stato osservato infatti nelle adolescenti le
alterazioni dei margini imenali cicatrizzano molto velocemente, mentre rimangono
stabili allo stadio Tanner I (McCann, 1992), ad ulteriore riprova che un adolescente
dovrebbe essere visitata entro 5-7 giorni dal presunto trauma sessuale. L’orifizio
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imenale, (diametro verticale e diametro orizzontale) può variare a seconda della
metodica utilizzata, della esperienza dell’esaminatore, della situazione ormonale della
paziente e del tipo di conformazione imenale, così che da solo non può essere utilizzato
come criterio diagnostico differenziale, poiché molti studi in materia sono stati fatti, ma
tutti riportavano variabilità anche piuttosto ampie; assai indicativamente, come valori di
riferimento del diametro transimenale, misurato con trazione delle grandi labbra, si
considerano fisiologici tra i 2 e i 5 anni un valore di 5.2mm +/- 1.4; tra i 5 e gli 8 anni di
5.6 +/- 1.8; sopra agli 8 anni un valore di 6.9 +/- 2.0 (McCann, 1990), ma è ammessa
un’ampia variabilità individuale.
A livello vaginale va registrata la presenza di pliche sia intravaginali che partenti
dall’esterno dell’ aditus vaginale e di secrezioni vaginali.
A livello del perineo vanno evidenziate: depressioni, discromie cutanee, appendici,
presenza di linea mediana.
A livello uretrale occorre prestare attenzione alla presenza di eventuali dilatazioni
dell’ostio, ma non esistono dati certi in materia che descrivono l’aspetto dell’orifizio
uretrale fisiologico e patologico.
A livello anale28 la valutazione clinica deve evidenziare: presenza di eritemi, di
discromie, di segni di grattamento, di edema, di congestioni venose, di lacerazioni
profonde, di cicatrici, di appendici cutanee, di ragadi anali e la loro localizzazione, lo
stato delle pliche cutanee anali e la loro linearità, nonché la presenza di conditomi,
fistole, ascessi o fissurazioni; il carattere traumatico di queste ultime è generalmente
indicato dalla forma e topografia (multiple e radiate), o dall’aspetto atipico (estensione
della lesione fino in sede soprapettinea o alla base dell’ampolla rettale (ChevrantBreton, 1997). Con una delicata trazione dall’interno all’esterno della regione glutea si
può determinare l’apertura dello sfintere anale per osservare il contorno, il tono, la
reattività sfinteriale e la parete rettale, valutando, oltre alla presenza o meno di feci, la
dilatazione anale, la presenza di lacerazioni o di loro esiti cicatriziali. Le alterazioni che
si possono rilevare a livello anale e/o perianale correlabili a traumatismo da abuso
sessuale, sono abbastanza spesso non sospettate e scambiate per conseguenze di
patologie a carico dell’apparato gastrointestinale (diarrea, morbo di Chron, rettocolite
ulcerosa, morbo di Hirschsprung) (Paul, 1977), così come è possibile che le vittime di
28
Rapporti sessuali violenti per via anale riguardano per lo più bambini o persone di giovane età di sesso
maschile, più raramente le donne.
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abusi sessuali anali soffrano di costipazione (Agnarsson, 1990) che può derivare da uno
spasmo cioè una reazione acuta al dolore conseguente all’abuso sessuale, provocando
un danno allo sfintere anale e di perdita di feci (Leroi, 1995; Stratakis, 1994). In merito
alla dilatazione vengono presi in esame sia il diametro anteroposteriore, sia il tempo di
insorgenza sia quello di persistenza, risultando “insolito” una apertura di 2 cm o oltre
con perdita di feci (McCann, 1989) ma che riscontrata isolatamente, in assenza di
abrasioni, escoriazioni o di sperma, non può essere utilizzato da solo come segno
specifico di un abuso sessuale.
Nel 2003, in uno studio longitudinale, sono stati presi in considerazione e studiati i vari
reperti fisici rilevati su 50 casi di abusi sessuali anali a bambini (44 casi di penetrazione
digitale, 6 di penetrazione peniena), dei quali il colpevole aveva confessato
l’esecuzione, confermando il rilievo, in percentuali variabili, di cicatrici, del riflesso di
dilatazione anale, della congestione venosa e di fenomeni cicatriziali (Bruni, 2003).
In tutta la regione ano-genitale va poi osservata la possibile presenza di condilomi o di
altre manifestazioni infiammatorie, eseguendo in ogni caso prelievi per una valutazione
batteriologica, sia dall’aditus vaginale, che dalle regione rettale.
In caso di ragazze adolescenti, che hanno già avuto il menarca, la documentazione della
situazione imenale può essere ancora più complessa proprio per l’ipertrofia tissutale. In
alcune situazioni può essere utile il ricorso ad un catetere di Foley inserito al di là
dell’ostio vaginale con successivo riempimento del palloncino con soluzione
fisiologica, in modo da distendere in modo indolore i margini dell’aditus vaginale.
Da non trascurare la possibilità che oltre ai traumi accidentali o a condizioni
fisiologiche misconosciute, possono essere interpretati erroneamente come caratteri di
aggressione sessuale alcuni fenomeni infiammatori (sia infettivi, batteriche specifiche o
aspecifiche, protozoarie, da micoplasmi) sia da agenti chimici o allergenici.
4.5. Le indagini di laboratorio
La violenza sessuale comporta, tra le altre cose, un aumento del rischio di trasmissione
di agenti patogeni in grado di determinare gravi conseguenze a media ed a lunga
distanza in termini di morbilità se non di mortalità. Anche per questi motivi, nei casi di
sospetta violenza sessuale la repertazione e la conservazione del materiale biologico
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riveste un ruolo fondamentale che opera su due fronti paralleli: da un lato si riconosce
un fine prettamente giudiziario, teso alla ricerca di tracce biologiche sul corpo della
vittima al fine giungere alla conferma dell’avvenuta violenza consentendo in ultima
analisi di stabilire anche l’identità del soggetto abusane; dall’altro, appunto, si profila
anche un motivo meramente clinico, sia in riferimento alla necessità di accertare uno
stato di gravidanza secondario alla violenza sessuale, sia alla opportunità di
diagnosticare precocemente le infezioni a trasmissione sessuale ed instaurare
prontamente l’opportuno trattamento farmacologico.
I prelievi per l’indagine batteriologica raramente rappresentano un trauma per la
bambina, se il clima della visita è sereno e le viene spiegato preliminarmente come
avverrà l’esame. In alcune situazioni cliniche può essere proprio il riscontro, su un
esame effettuato per una flogosi vulvo-vaginale, di patogeni raramente presenti in età
pediatrica a indirizzare verso un sospetto abuso. I prelievi vanno effettuati mediante
tamponi sterili, nei punti in cui vi sia stata penetrazione (cavo orale, retto e/o vagina).
L’accertamento di un’infezione offre elementi aggiuntivi nella ricostruzione
probabilistica della violenza sessuale perché, come si vedrà in seguito, rilevare una
specifica infezione in una bambina può essere altamente suggestivo per un episodio
abusante, che integrato agli altri reperti emersi dalla visita, svolge un ruolo
indubbiamente importante nel processo decisionale probatorio a fini forensi.
Non ultime sono da segnalare le indagini tossicologico-forensi che permettono di
accertare il dosaggio dell’alcolemia, di farmaci o di altre sostanze psicotrope, ma sui
minori di raro riscontro, ricorrendo invece negli episodi di abuso su individui maturi.
Trattandosi di procedure così delicate dal significato casi importante, emerge la
necessità di provvedere all’adozione di tutti gli accorgimenti tesi alla riduzione al
minimo del rischio di un’eventuale contaminazione biologica del materiale repertato;
particolare diligenza spetta al medico nell’espletamento del prelievo, nella sua
campionatura e nella sua conservazione, questo soprattutto al fine di evitare la
degradazione del DNA.
Schematicamente si riportano le tipologie di indagini di laboratorio eseguite nei casi di
sospetta violenza sessuale:

ricerca spermatozoi (vagina, cervice, altre sedi);
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
batteriologico vaginale + PCR Clamydia cervicale (rapido passaggio in
laboratorio), utile perché testa la situazione preesistente alla violenza;

ricerca DNA (su cute, mucosa vaginale, mucosa orale, scraping subungueale).
Prelievo ematico per:

HIV, HbS Ag, HCV Ab, VDRL, TPHA, IgG ed IgA per Clamydia;

alcolemia, ev. benzodiazepine (entro 24 ore);

ev.campione per test tossicologici successivi.
Prelievo urinario per:

eventuale test di gravidanza;

eventuale screening tossicologico (gascromatografia entro 3 giorni).
INDAGINI CON FINALITÀ FORENSI
In riferimento a questa finalità, i campioni da sottoporre ad indagini di laboratorio sono
costituiti principalmente dal liquido seminale e dai peli, nonché, più rari, da sangue,
saliva e frammenti di cute. Si comprende subito quale importanza rivesta l’epoca del
prelievo rispetto alla presunta violenza ed eventuali manipolazioni che la vittima può
aver eseguito (lavaggio di indumenti, igiene personale, ecc.) in seguito a questa.
Schematicamente, nella consulenza d’urgenza, occorre ricercare la presenza di
spermatozoi nelle sedi di probabile ejaculazione e predisporne il prelievo nelle migliori
condizioni possibili, oltre a valutare l’opportunità di ricerca del DNA abusante nelle
sedi in cui può essere rimasta traccia di qualsiasi materiale biologico (saliva, sangue,
urina, liquido seminale) nella regione vulvare, a livello buccale, morsi, ricorrendo ad
uno scraping subungueale o all’esame degli indumenti, nonché un eventuale test per
DNA della vittima. Nel prelievo per DNA è necessario fare attenzione all’inquinamento
dei preparati, all’etichettatura chiara dei campioni, alla possibile degradazione del DNA
in ambiente caldo-umido (max 24 ore a temperatura ambiente) e alla sua conservazione
a basse temperature (-200C; La presenza del seme deve essere ricercata, in base
all’anamnesi, sia sugli indumenti, sia a livello della vagina, del collo uterino, del canale
ano-rettale e del cavo orale, mediante l’uso di tamponi sterili prelevati in più punti;
questi verranno poi analizzati per giungere all’identificazione microscopica degli
spermatozoi e alla valutazione della loro motilità o, attraverso dosaggio immunoenzimatico, per ricercare i componenti del plasma seminale, costituiti dagli enzimi
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organo-specifici, dalla stermina, dallo zinco e da componenti del liquido prostatico
(fosfatasi acida e antigene prostatico p30); in generale la presenza di spermatozoi può
essere rilevata per un intervallo di circa 24 ore nella vagina (fino a 5-7 giorni nel muco
cervicale) e di alcune ore nel reno, mentre si rapida rapidamente nel cavo orale; per
quanto riguarda la glicoproteina p30, marker prostatico, segni di avvenuta eiaculazione,
può essere ritrovata fino a 48 dal contatto sessuale, risultando specifica, a differenza
della fosfatasi, del sesso maschile e dosabile anche nel liquido seminale di soggetti
vasectomizzati (Graves, 1985; Dupré, 1993).
L’esame dei peli (capelli, peli e peli pubici) offre importanti informazioni ai fini di una
diagnosi individuale; il prelievo deve avvenire con il pettine ed eventualmente anche
mediante strappo, metodica quest’ultima che consente di raccogliere elementi in fase
non solo telogen ma anche anagen e catagen in quantità sufficiente utili per non
incorrere, ad esempio, in errori di confronto all’esame morfologico. T campioni sono
sottoposti ad una prima diagnosi generica e di specie, mediante microscopio ottico o a
scansione, quindi si procede all’analisi del DNA per la diagnosi individuale.
Anche in questi casi, però, la probabilità di un reperto positivo risulta decisamente
bassa, dal momento che un trasferimento significativo di più peli pubici o capelli, dalla
vittima all’assalitore, si verifica solo nel 4% dei casi (Mane, 1990):
In riferimento ai risultati delle indagini di biologia molecolare sul DNA, si precisa che a
fini forensi non forniscono una prova certa della identificazione dell’individuo quale
autore del crimine, ma solo un elemento utilizzabile dal giudice per formulare il proprio
libero convincimento, poiché lo studio del DNA fornisce o una esclusione od una
compatibilità genetica, tanto più significativa, quanto maggiore sari. il numero dei loti
genetici analizzati, proporzionale a sua volta alla quantità ed alla qualità del materiale
biologico di partenza a disposizione.
LE INDAGINI DI LABORATORIO CON FINALITÀ “CLINICHE”.
Rifacendosi a quanto scritto in precedenza, questi provvedimenti hanno soprattutto
finalità cliniche, tese soprattutto all’accertamento di uno stato di gravidanza e alla
precoce diagnosi di infezioni sessualmente correlate.
La quantificazione del rischio di acquisire una malattia a trasmissione sessuale (MTS,
ndr) dopo un episodio di violenza carnale è molto difficile per una serie di fattori che
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possono confonderne la reale portata: primo fra tutti il fatto che molte vittime non si
sottopongono ad uno screening microbiologico in tempi brevi (entro 72 ore) per il
ritardato accesso alla struttura sanitaria; un secondo motivo è rappresentato
dall’eventuale infezione, diagnosticata alla prima visita, che è quasi sempre preesistente
alla violenza, anche se non può essere del tutto escluso il contrario (Jenny 1990);
ancora, la maggior parte delle vittime non si presenta al follow-up per il controllo a
distanza, presentandosi esclusivamente le paziente sintomatiche, più frequente con le
adulte, ma pur sempre esistente anche nelle minori, soprattutto se circondate da scarsa
attenzione familiare; un quarto motivo dell’infezione al follow-up, secondaria
incriminato, di riscontro quasi esclusivo consiste nel possibile riscontro a rapporti
successivi a quello nelle adolescenti; infine, essendo somministrata in molti casi una
chemioprofilassi empirica, di fatto si rende vano ogni accertamento in epoca successiva.
Tutti gli studi concordano sul fatto che la possibilità di acquisizione di una malattia a
trasmissione sessuale in bambine che hanno subito abusi è bassa: intorno al 3.2% in
bambine prepuberi e al 4.6% in soggetti dopo il menarca (Siegel, 1995). Nonostante ciò
la valutazione batteriologica in corso di consulenze per sospetto abuso sessuale può
essere un elemento di estrema importanza, in quanto in alcune situazioni può avere
un’alta significatività clinica. È dibattuto in letteratura se effettuare test batteriologici di
screening in tutti i casi di sospetto abuso o se selezionare situazioni in cui è più utile.
Nelle consulenze d’urgenza, oltre alle indagini “individuali”, da valutare è la
opportunità della profilassi antibiotica per le MTS (Azitrocin 10 mg/Kg x3 o Eritrocina
50 mg/Kg x 10 gg + Rocefin 150 im) e la profilassi per HIV (2 inibitori transcriptasi
inversa + 1 inibitore proteasi) entro 72 ore e continuata per le quattro settimane
successive.
Nella consulenza a distanza, l’indagine di laboratorio è soprattutto rivolta alla
valutazione microbiologica delle MTS, indicata secondo quanto proposto dalla
American Academy of Pediatrics (1997):
o se il sospettato ha una malattia a trasmissione sessuale o è un soggetto a rischio;
o se gli abusanti sono stati multipli;
o se ci sono segni obiettivi di flogosi;
o se il soggetto è un’adolescente sessualmente attiva;
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o se c’è ansia dei familiari rispetto alla possibile acquisizione di un’infezione;
o se si pensa sia improbabile un follow-up.
 Il follow-up, comunque, prevede un controllo a distanza di due settimane
dall’episodio di violenza. In tale circostanza vanno ripetuti tutti i tests, a meno
che non si sia provveduto in prima istanza alla somministrazione di profilassi
antinfettiva. I tests sierologici per HIV e lue, se negativi in prima istanza, vanno
comunque ripetuti a 6, 12 e 24 settimane dopo l’episodio di violenza. Il controllo
sierologico anti HBV va effettuato per verificare l’esito della vaccinazione fatta
all’atto del primo consulto.
 Per quanto concerne la profilassi anti-infettiva nelle bambine, oltre ad una
profilassi antitetanica (in tutti i casi di vittime suscettibili, con lesioni aperte), ad
una vaccinazione antiepatite B29 e ad una sieroprofilassi con immunoglobuline
anti virus B (indicata solamente nelle vittime di violenza da parte di una persona
nota come portatrice di antigeni virali B (HbSAg e/o HBeAg) oppure
genericamente come tossicodipendente, a differenza di quanto raccomandato per
le donne adulte, non si effettua una profilassi antibatterica, ma il trattamento
viene effettuato solo in risposta alle specifiche risposte delle colture. Anche gli
schemi di trattamento in età pediatrica differiscono da quelli degli adulti30
(Centers for Disease Control and Prevention 1998) sia come dosaggi che come
scelta dei preparati. La doxiciclina non si utilizza in bambine sotto gli 8 anni per
la possibilità di alterazioni dello smalto dentario, perciò l’eventuale trattamento
per la clamydia va effettuato con azitrornicina (10 mg/pro Kg al giorno in unica
somministrazione per tre giorni). Per la terapia per il gonococco è consigliato
l’uso di cefalosporine per os; in caso d’infezione da trichomonas, in bambina di
età superiore ai 6 anni, è indicato l’azanidazolo al dosaggio di 100 mg due volte
al di per 5 giorni (Dei, 2000).
 A lato del trattamento antibiotico profilattico, è da ricordare anche la possibilità
di informare la paziente già matura, della possibilità di ricorrere ad una
29
30
La prima dose deve essere somministrata a tutte le pazienti sieronegative in occasione della prima
visita: le due dosi successive saranno ripetute a distanza di 1-2 e di 4-6 mesi.
Ceftriazone 250 mg im, Metronidazolo 1 g per os, Azitromicina 1 g per os oppure: Doxiciclina
(Bassado) 100 mg x 2 per 7 giorni.
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intercezione, nei casi vi sia il rischio di una gravidanza conseguente alla
violenza sessuale, evento non frequente (variabile dal 2 al 4%, in donne che non
utilizzano alcun metodo anticoncezionale), prescrivendo o una contraccezione
immediata31 (post-coitale) se la violenza non risale a non più di 72 ore, oppure
un dispositivo intrauterino qualora siano trascorse più di 72 ore ma meno di sette
giorni.
4.6. Le MTS nei sospetti di violenza sessuale
I fattori cinici maggiormente predittivi del rischio d’infezione sono la presenza di
perdite vaginali al momento dell’esame o pregresse, il contatto con persona affetta da
malattia a trasmissione sessuale, il riscontro di modificazioni dei tessuti ano-genitali e
l’anamnesi di un contatto genitali-genitali o genitali-retto. La diagnosi di una MTS,
deve essere integrata ed esaminata assieme ai reperti obiettivi desunti dalla visita
clinica, come sarà puntualizzato a proposito della valutazione complessiva della
violenza sessuale.
Ingram e collaboratori (2001) hanno rivalutato recentemente il rischio di acquisizione di
Gonococco e di Chlamydia su un’ampia casistica di 3040 bambini valutati per sospetto
abuso sessuale risultando che in soggetti sotto i 13 anni il riscontro di gonococco aveva
una prevalenza del 1.2%, quello di Chlamydia dello 0.8% ed era riferito in prevalenza a
femmine; inoltre da una metanalisi sul rischio di acquisizione di MTS in vittime di
abuso sessuale, risulta secondo Reynolds e collaboratori (2000) una frequenza variabile
per Gonococco: dello 0-26%, per Chlamydia dello 0-17%, per Trichomonas dello 019%, per T. pallidum dello 0-5.6% e dello HPV dello 0.6-2.3 %.
Nelle bambine molto piccole esiste un’altra variabilità che deve essere considerata nella
valutazione dei risultati, cioè la possibilità di trasmissione verticale tra madre e figlia
durante la gravidanza o il parto con persistenza del microrganismo a livello dei genitali
o dell’orofaringe e della persistenza dell’infezione in età perinatale: è noto infatti,
l’acquisizione di un herpes genitale durante il passaggio dal canale del parto, anche da
madre apparentemente asintomatica. La disseminazione virale in assenza di lesioni
evidenti si ha in circa il 55% dei casi d’infezione con HSV-2 e nel 30% dei casi di
31
Levonorgestrel 750 mcg, 2 cpr insieme o I subito 1 dopo 12 ore. Estroprogestinici con 50 mcg EE
(Evanord o Novogyn21) 2 cpr insieme e 2 dopo 12 ore.
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infezione con HSV-1. Dopo i primi mesi di vita sono rare delle manifestazioni erpetiche
genitali senza richiamo anamnestico, soprattutto da tipo 2; per quanto riguarda l’HPV è
provata la possibilità di trasmissione al parto da condilomi cervicali materni non
accompagnati da manifestazioni cliniche vulvari o orofaringee, che possono non essere
visibili al momento della valutazione stimando un’incubazione con latenza fino a 20
mesi. È trasmissione del virus HIV sia prenatale che intrapartum della neonata,
ammessa una oltre che con l’allattamento, con possibilità di persistenza di IgG materne
nei pruni 18 mesi di vita del figlio. In questo periodo, se la madre è sieropositiva la
diagnosi di infezione va posta con la PCR, con le colture virali o con l’identificazione di
determinanti antigenici (p24); oltre i 18 mesi si considera significativo il test ELISA,
seguito dal Western blot come conferma. La possibilità di una trasmissione verticale per
Trichomonas riguarda esclusivamente i primi mesi dopo la nascita. In riferimento alla
Neisseria Gonorrhoeae, nel primo anno di vita, é dimostrata la persistenza del
gonococco a livello soprattutto della congiuntiva, ma anche della regione ano-genitale e
faringea, oltre tale età dubbia. La Chlamydia è documentata fino a due anni dalla nascita
la persistenza della colonizzazione a livello della congiuntiva, del nasofaringe, della
vagina e del retto, mentre è noto che l’isolamento dalla cervice materna è positivo solo
nei primi mesi di acquisizione dell’infezione.
In riferimento al rischio di trasmissione della sifilide e di altri agenti virali, quali
l’Herpes Simplex (HVS), il Cytomegalovirus (CMV) e l’HIV, secondaria ad un rapporto
sessuale, sia esso violento o meno, ]Le evidenze sierologiche e colturali indicano che
esso è trascurabile in Paesi a bassa prevalenza di infezione. Per quanto riguarda
specificatamente il virus dell’immunodeficienza acquisita é noto come il rischio di
acquisizione dopo un unico rapporto sia di 1:500 con persona sieropositiva, e di
1:5.000.000 con persona a basso rischio. Non risulta quantificato il rischio di
trasmissione dei virus epatitici B e C.
In termini più generali si può affermare che il rischio di trasmissione sessuale di un
agente patogeno in caso di violenza carnale è legato a:

Numero degli assalitori.

Entità dell’inoculo.

Infettività dell’agente trasmesso.
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
Modalità dell’atto di violenza (anale, vaginale, orale).

Suscettibilità all’infezione della vittima.

Presenza di lesioni traumatiche aperte nella sede di penetrazione.

Procedure da effettuarsi alla prima visita.
Ne deriva dunque la necessità di operazioni tecniche corrette al fine di individuare la
sede più indicata per il prelievo e di utilizzare le tecniche di prelievo più appropriate,
avendo cura di impiegare metodiche d’indagine specifiche e sensibili.
Gli esami che normalmente sono eseguiti sono quelli che stimano il Ph dell’essudato
vaginale32, il fishy odor test33, l’esame microscopico dell’essudato vaginale34 e gli esami
di sierodiagnosi per le MTS, oltre agli esami colturali dei tamponi (eseguiti in ogni sede
certa o sospetta di penetrazione) che devono essere inviati subito al laboratorio negli
appositi terreni di trasporto.
A tale proposito, di fondamentale importanza ai fini medico-legali è la scelta del tipo di
metodica da eseguire, poiché è basilare impiegare metodiche d’indagine microbiologica
con la più alta specificità e sensibilità possibile, al fine di giungere ad una diagnosi il
più vicina possibile alla certezza. Vi è infatti differenza tra un test diagnostico di
laboratorio a fini terapeutici e a fini medico-legali: nel primo caso l’eventuale falso
positivo esporrebbe il paziente ad una terapia inutile, solitamente però ben tollerata,
comunque poco “dannosa”, mentre il falso negativo impedirebbe il riconoscimento di
una malattia e conseguentemente il mancato trattamento delle eventuali complicazioni
(PID, infertilità tubarica, meningiti, endocardite, ecc.); a fini meramente diagnosticoterapeutici si renderebbe pertanto necessaria la scelta di un iter diagnostico che
garantisca la massima sensibilità ed il possibile inizio della terapia sulla base di una
diagnosi presuntiva.
Le metodiche di laboratorio delle MTS a fini medico-legali, sia che si tratti si un falso
32
Mediante cartine indicatrici o piccametri monouso per contatto sulla parete vaginale laterale (un ph >
4.5 indica presenza di una Vaginosi Batterica o di un Trichomonas Vaginalis).
33
Si aggiunge una goccia di soluzione al 10% di KOH all'essudato vaginale deposto su un vetrino. Il test
è positivo se si produce la liberazione di un caratteristico odore di pesce avariato (indicatore di
Vaginosi Batterica).
34
Si allestiscono due vetrini al momento del prelievo. Uno di essi viene esaminato a fresco (con aggiunta
fisiologica) per la ricerca del Trichomonas Vaginalis (sensibilitá 52-77%) e dei miceti. L'altro, lasciato
essiccare all'aria, viene inviato al laboratorio per la colorazione Gram, che consente una fotografia del
microbiota vaginale.
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positivo, sia di un falso negativo, hanno invece conseguenze sempre disastrose sia dal
punto di vista personale della vittima, sia in riferimento al suo ambito familiare sia sul
piano sociale; per questo motivo il test “ideale” a fini forensi dovrebbe cercare di
garantire sempre sia la massima sensibilità, sia la massima specificità. Ne consegue che
qualora operiamo per finalità esclusivamente terapeutiche si deve optare per un test o
per un iter diagnostico che garantisca massimamente l’individuazione della paziente
infetta, mentre qualora operiamo per finalità medico-legali occorre privilegiare un test o
un iter diagnostico che garantisca sia l’individuazione delle paziente infetta sia
l’esclusione di quella non infetta, al fine della individuazione del colpevole.
È sconsigliato, ad esempio, l’uso di test quali l’immunofluorescenza per la diagnosi di
Chlamydia, che danno una percentuale alta di falsi positivi, oltre che di falsi negativi
(Hammerschlag, 1999).
La presenza di condilomatosi o di herpes può emergere già all’obiettività clinica, anche
se può richiedere una conferma diagnostica con test specifici. In ogni caso il materiale
per la valutazione batteriologica va raccolto tramite piccoli tamponi appena imbevuti di
soluzione fisiologica, passati gentilmente sull’epitelio dell’ingresso vaginale e della
regione anale. L’opportunità di un prelievo dalla regione orale o dalla parete vaginale
oltre l’imene va valutata in base all’anamnesi e alla presenza di modificazioni della
morfologia imenale suggestive di una penetrazione seppure parziale.
Recentemente, con l’introduzione di tecniche col DNA (NAATs)35 che si fondono sulla
selettiva amplificazione di sequenze nucleotidiche ritenute specifiche per il patogeno
ricercato, si sono aperte nuove prospettive dal momento che si sono affiancate al
tradizionale esame diagnostico sulla coltura; il vantaggio di tali metodiche consiste
nell’elevata sensibilità nel fornire risultati positivi anche in presenza di una sola
molecola di DNA o RNA nel campione analizzato, ritenuta così efficace che la positività
ad un singolo test di amplificazione considerata diagnosi presuntiva di infezione. L’uso
e la rilevanza di tali metodiche nella diagnosi dei germi responsabili di alcune MTS
sono materia di numerosi studi internazionali tanto che già molti sono stati approvati dal
35
NUCLEIC ACID AMPLIFTCATION TESTs: Si fondano sulla selettiva amplificazione di sequenze
nucleoacidiche ritenute specifiche per il patogeno ricercato.
- Polymerase Chain Reaction ( PCR) - Roche Amplicor.
- Strand Displacement Amphfication - BD Pobe Tec ET Becton Dikinson.
- Ligase Chain Reaction (LCR) - Abbot LCx test.
- Transcription Mediated Amplification - Gen Probe APTIMA Combo 2, Gen Probe Aptima GC.
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FDA per lo studio di alcune sedi anatomiche e su particolari tipologie di campioni
biologici (endocervicale, uretrale maschile, campioni di urine nella donna e nel
maschio), a fronte di altri non ancora. approvati (materiale da prelievo vaginale e dai
tessuti oculari o da prelievo rettale o orofaringeo). A tale proposito, si segnala che nel
2004 sono state pubblicate le linee guida del CDC che confrontavano l’utilizzo delle
metodiche tradizionali e quelle NAATs finalizzate alla diagnosi della Neisseria
Gonorrhoeae.
In uno studio Kellogg (2004) ha inoltre confrontato le varie tecniche di colture con i test
di amplificazione del DNA sia per Neisseria Gonorrhoeae sia per Chlamydia
trachomatis in giovani vittime di sospetto di abuso sessuale, risultando che mentre la
LCR e la PCR sono comparabili alle tecniche di coltura per la ricerca del gonococco,
nella diagnosi della infezione da Chlamydia sono da preferire alle tecniche di coltura;
analogamente,
risultato che il tampone per LCR rileva più pazienti positive per infezioni da Chlamidya
e gonococco rispetto al campione urinario.
A conferma di quanto suesposto, si riportano di seguito i risultati pubblicati dalla AMA
riferite alle linee guida 2005 in merito alla interpretazione del rilievo delle MTS in casi
di sospetti abusi in bambini. Secondo queste linee guida prioritari risultano essere
l’accertamento della presenza di sintomi manifestati dal bambino e la valutazione dei
dati epidemiologici del rischio di trasmissione di MTS. In generale, anche queste line
guida riconoscono l’inutilità di sottoporre a tecniche di coltura o a test di screening i
presunti bambini vittime di violenza sessuale.
Secondo queste linee guida, la diagnosi accertata di sifilide e gonorrea, una volta
esclusa la trasmissione perinatale, è il solo segno certo di abuso sessuale, mentre altri
microrganismi36 responsabili delle MTS sono considerati come probabili indicatori di
abuso; il virus Herpes 1 è solo possibile, mentre le vaginosi batteriche e la candidosi
sono rispettivamente di significato incerto ed improbabile.
36
Chlamidia tracomatis, Candilomatosi acuminato, Trichomonas vaginalis e virus Herpes 2.
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5. LA VALUTAZIONE MEDICO-LEGALE
Nella pratica clinica, confermato anche dalla casistica esaminata, le vittime di violenza
sessuale che accedono alla visita medica di accertamento lo fanno o perché si sono
recate al Pronto Soccorso (frequente per le adolescenti) o, accompagnate dai genitori,
dal medico curante o dal pediatra di famiglia, oppure dietro richiesta diretta della
Magistratura.
Alla luce delle considerazioni suesposte, si comprende come di fronte ad un sospetto
episodio di violenza sessuale in genere, e specificamente sul minore, ci troviamo di
fronte alla necessità di provare “al di là di ogni ragionevole dubbio” l’avvenuto o meno
reato di violenza sessuale.
Per questi motivi la valutazione dell’abuso sessuale nei bambini indubbiamente un
accertamento delicato e non agevole sul piano tecnico ed interpretativo richiedendo
necessariamente competenze culturali e tecniche specifiche nel campo dell’età
evolutiva, delle dinamiche individuali e familiari e della peculiarità dell’abuso sessuale
medesimo.
Trattandosi di un fenomeno complesso e sommerso deve essere analizzato mediante
un’accurata analisi di tre elementi principali:

Il racconto e le affermazioni del bambino.

La presenza d’indicatori e segni psicologici.

La presenza d’indicatori e segni fisici.
Una diagnosi può essere correttamente compiuta solo dopo una raccolta anamnestica
attenta ed accurata, una opportuna valutazione del racconto della presunta vittima o del
denunciante, l’esame attento del comportamento e una valutazione psicologica del
bambino, quindi una visita medica accurata, senza tralasciare l’esecuzione di esami di
laboratorio.
L’esame fisico del minore è basato essenzialmente sull’esame clinico generale e
sull’esame obiettivo locale delle regioni genitale, perigenitale ed anale. Questi
accertamenti permettono, ove possibile, di acquisire elementi obiettivi a conferma o
meno dell’ipotesi di abuso. Si deve però ricordare che molti bambini non presentano
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segni fisici di violenza dato che, spesso, l’abuso sessuale sui bambini, specie se molto
piccoli, non consiste nella penetrazione ma in una serie di pratiche sessuali (baci,
manipolazioni, carezze, rapporti orali, ecc.) che non danno l’opportunità di essere
dimostrate a posteriori.
Anche quando la violenza comprenda la penetrazione, ad esempio nel caso di vittime
adolescenti, o nei casi in cui la manipolazione lasci comunque i suoi segni, capita che i
minori vengano visitati quando ormai è trascorso molto tempo dall’abuso ed i segni
stessi non sono più riconoscibili. Per questo motivo è importante che la visita medica
venga condotta al più presto, soprattutto se si suppone che la violenza sia stata
perpetrata entro le 72 ore precedenti; oppure quando la vittima accusi sintomi quali
perdite dai genitali, dolori, sanguinamenti.
Se invece la violenza risale a settimane o mesi prima, 1’accertamento medico perde il
suo valore di urgenza, mentre risulta prioritario concedere maggiore attenzione
all’approfondimento del racconto e alla valutazione psicologica della vittima. Secondo
Del Vecchio (1997) esistono maggiori problemi d’identificazione nei casi di abuso
sessuale rispetto al maltrattamento fisico. Infatti, riconoscere fratture, ustioni,
contusioni, ecchimosi e valutare l’attendibilità delle testimonianze di minori e adulti
sull’accaduto è un compito di certo complesso ma che permette di fornire, con maggiore
sicurezza, diagnosi differenziali tra violenza e lesività accidentale. L’abuso sessuale
invece presenterebbe maggiori problematiche sul piano dell’accertamento sanitario,
quando:

Il racconto del minore rischia di essere trascurato se non è comprovato da una
prova fisica dell’accaduto.

In assenza di segni fisici evidenti non significa che il minore non abbia subito
violenza, così come la presenza di diversi sintomi non prova l’avvenuto abuso
poiché aspecifici.

I medici riterrebbero molto rara l’eventualità di incontrare nella pratica
quotidiana casi di abuso sessuali di minori e la formazione universitaria non
formerebbe sufficientemente a tali evenienze.

Ci sarebbe una scarsa specializzazione degli operatori sanitari sull’anatomia
anale e genitale in età prepuberale.
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Proprio per la molteplicità di competenze in gioco il miglior approccio possibile nei casi
di violenza sessuale è innanzitutto rendere omogenea la valutazione finale della sospetta
violenza, sia a fini clinici, sia, soprattutto, forensi, dovendo dimostrare o escludere
l’accadimento di un reato, dai rilevanti effetti su entrambi i soggetti implicati. Si
comprende allora come operativamente gli addetti ai lavori ricorrano a classificazioni
che considerano tutti questi segni così da giungere ad una valutazione qualitativa
probabilistica nella diagnosi finale del sospetto abuso sui minori. Queste classificazioni
prendono in considerazione i reperti fisici obiettivati nella regione anogenitale dei
bambini, tenuto conto della variabilità fisiologica degli individui anche in funzione
all’età e diventano a tutti gli effetti veri e propri criteri di orientamento; si segnala tra
queste, perché una tra le più accreditate è la classificazione proposta dalla Adams e
accreditata dalla American Academy of Pediatrics, rivista nel 2004, già codificata nel
1992, nel 1996 e successivamente nel 2001, anche perché è stata fin dalla sua istituzione
sempre utilizzata dal Centro Anti-Violenza di Careggi.
CLASSE I: REPERTI DOCUMENTATI IN NEONATE O COMUNEMENTE
OSSERVATI IN BAMBINI/E NON ABUSATI

Categoria I A: Varianti normali
- Banderelle periuretrali o vestibolari.
- Creste o colonne longitudinali intravaginali.
- Convessitá imenali.
- Appendici imenali.
- Linea vestibolare (Linea o banderella chiara sulla linea mediana del vestibolo
posteriore).
- Incisore a U e a V del bordo imenale anteriore (incisore dell’imene nella metà
anteriore (superiore) del bordo, al di sopra della linea 3-9, con la paziente supina).
- Rilievi imenali esterni.
- Imene setto.
- Diastasi dell’ano.
- Appendici cutanee perianali.
- Aumentata pigmentazione perianale e delle piccole labbra.
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- Dilatazione dell’orifizio uretrale mediante applicazione di trazione labiale.
- Ispessimento del bordo imenale.
- Incisore superficiali a U o a V del bordo imenale inferiore.

Categoria I B: Altre condizioni mediche
- Eritema del vestibolo o della zona perianale.
- Ipervascolarizzazione.
- Sinechie delle piccole labbra
- Leucorrea vaginale.
- Friabilità della forchetta.
- Escoriazioni, sanguinamento e lesioni vascolari.
- Ragadi anali.
- Congestione venosa.
- Appiattimento delle pliche anali.
- Dilatazione anale >2 cm con o senza feci presenti.
CLASSE
II:
REPERTI
INDETERMINATI
(DATI
INSUFFICIENTI
E
CONTRADDITTORI ANCORA OGGETTO DI RICERCA)

Categoria II A: Reperti che richiedono ulteriore approfondimento
- Incisore a U o V del margine inferiore dell’imene; anche quelle estese oltre il 50 % del
bordo posteriore dell’imene.
- Rima posteriore dell’imene che appare <1 cm valutata in posizione genupettorale.
- Sospetti condilomi genitali (dd. tra appendici cutanee, condilomi acuminati acquisiti
per trasmissione perinatale o non sessuale).
- Lesioni vescicolari o ulcere nella regione genitale o anale (infettive e non infettive).
- Marcata, immediata dilatazione dell’ano (2 cm in assenza di fattori predisponenti).

Categoria II B: Presenza di lesioni non specifiche per trasmissione sessuale
- Condilomi acuminati in area genitale o anale di prima comparsa in un soggetto di 3-5
anni di età in assenza di altri indicatori di abuso.
- Herpes di tipo 1 o 2 come sopra.
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CLASSE III: REPERTI INDICATIVI O PROBANTI DI TRAUMA O
CONTATTO SESSUALE

Categoria III A: Moderata specificità per abuso sessuale
- Recenti abrasioni, lacerazioni, contusioni a livello di labbra, tessuto peri-imenale o
perineale.
- Cicatrici della forchetta posteriore non coinvolgenti l’imene.
- Recenti lacerazioni della forchetta posteriore, non coinvolgenti Cicatrici perianali.

Categoria III B: Alta specificità per abuso sessuale
- Lacerazione acuta dell’imene.
- Ecchimosi imenale.
- Lacerazioni perianale che si estendono profondamente allo sfintere anale esterno.
- Transezione imenale completa.
- Aree di assenza di tessuto imenale.

Categoria III C Presenza di infezioni confermanti il contatto delle mucose
con secrezioni genitali infette (contatto di probabile origine sessuale)
- Positività colturale per Gonorrea, dall’area genitale, anale, orale in una bambina non
più neonata.
- Diagnosi confermata di sifilide, se è esclusa trasmissione perinatale.
- Infezione vaginale da Trichomonas in una bambina >1 aa di età.
- Positività colturale per Chlamydia dai tessuti anali o genitali, se bambina è >3 aa.
- Positività sierologica per HIV, se è stata esclusa la trasmissione neonatale e da
emocomponenti.

Categoria III D: Certezza di contatto sessuale
- Gravidanza.
- Sperma identificato in campioni presi direttamente dal corpo del bambino/a abusato.
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Le varie edizioni della classificazione della Adams hanno introdotto come novità più
importanti un numero di classi progressivamente inferiori, passando da cinque del 1996
a quattro del 2001 fino alle sole tre del 2004.
Con la nuova classificazione le uniche due condizioni di certezza di avvenuto abuso
sessuale sono costituiti dalla presenza di spenna in una bambina o un bambino in eta
prepuberale ovvero dalla gravidanza nella bambina post-pubere. Accanto a questi segni
definitivi, è possibile riscontrare un’ampia gamma di lesioni e di reperti ano-genitali
che, secondo tale classificazione, possono essere distinte in reperti indeterminati o
indicativi o probanti un trauma sessuale, corrispondenti a tutti i vari reperti esaminati
in precedenza.
Come si può vedere, esistono due tipologie di reperti, una costituita da varianti e da altre
condizioni mediche che sono osservabili normalmente anche in minori non abusati,
quindi, un loro rilievo, anche se associato ad altri della stessa categoria, non assume
importante rilevanza ai fini di un’attribuzione di presunta violenza; l’altra è
rappresentata dai reperti cosiddetti “indeterminati”, perché contraddittori o non ancora
confermati dalla letteratura scientifica, non potendo essere utilizzati presi isolatamente,
come indicatori certi di abuso, in assenza di altri indicatori di abuso.
La terza classe, invece, comprende i reperti “indicativi” o “probanti” un trauma sessuale
o un contatto sessuale; in questo gruppo una categoria autonoma è costituita dalla
presenza di infezioni confermanti il contatto delle mucose, tanto da delineare il contatto
sessuale come probabile; si comprende quindi come assuma importante rilevanza
medico-legale la diagnosi e l’indagine laboratoristica delle MTS. A questo proposito
emerge quindi l’importanza delle indagini di laboratorio che non possono essere affatto
escluse da un corretto processo diagnostico. In questa categoria si ritrovano quindi
l’infezione da HIV, il gonococco, la sifilide (esclusa trasmissione verticale), l’infezione
da Chlamydia e Trichomonas (esclusa trasmissione verticale), mentre l’infezione da
Herpes simplex Tipo 1 e Tipo 2 e da virus dei Conditomi (escluse altre vie di
trasmissione) non hanno questa pregnanza per le motivazioni epidemiologiche descritte
in precedenza.
Riguardo ai reperti della regione vulvo-vaginale, il riscontro di aree eritematose a livello
del vestibolo, la dilatazione dell’ostio uretrale, la presenza di bande periuretrali, di zone
avascolari nella linea mediana della forchetta, di sinechie mediane delle piccole labbra,
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di appendici menali sulla linea mediana, di convessità del contorno imenale, di pliche
vaginali longitudinali e d’incisure incomplete del margine imenale nella sua porzione
anteriore sono segnalati anche in soggetti che non hanno subito alcun tipo di traumi a
livello dei genitali (McCann, 1990; Berenson, 1992). In caso di violenza le lesioni
riscontrate a livello dei genitali esterni mostrano una localizzazione posteriore, con
particolare frequenza a livello della forchetta, in quanta questa è l’area di maggior stress
quando si applica un’energica tensione e rappresenta la zona di contatto iniziale del
pene con la vagina, da cui deriva la sua vulnerabilità nel rapporto sessuale non voluto
(Slaughter 1997).
Le lacerazioni imenali sono reperti di delicata e non univoca interpretazione perché
spesso sono connesse a lesioni accidentali oltre che a violenza sessuale: le prime
generalmente sono unilaterali ed interessano strutture anteriori o laterali non l’interno
della vagina, a motivo della protezione della ossa pelviche e delle labbra che non
consentono la penetrazione; tuttavia è segnalato (Paul, 1977) che una lesione da
stiramento violento, come si osservano accidentalmente nei bambini che cadono
improvvisamente su superfici sdrucciolevoli, possono ritrovarsi nei casi di violenza
sessuale causate da una abduzione forzata e improvvisa delle gambe.
La significatività di un’incisura del margine imenale in relazione all’abuso dipende sia
dalla localizzazione che dalla sua estensione. Riguardo alla localizzazione assumono
particolare rilievo le perdite di sostanza del margine imenale che sono collocate nella
regione inferiore dell’introito vaginale e che assottigliano in modo netto lo spessore del
margine della membrana (Bruni 2000). Quando ci troviamo di fronte alla cosiddetta
“transezione”, cioè un’incisura che raggiunge la base d’impianto imenale, questa deve
essere considerata un esito di abuso o di trauma, qualsiasi sia la sua sede. Unanimità
quasi concorde nel ritenere che la mancanza di tessuto del bordo imenale, oppure la
presenza di incisure e/o protuberanze tra le ore 3 e le ore 9 al bordo inferiore, osservata
con bambina supina, è rara nelle adolescenti senza storia di pregresso trauma e quindi
deve far sospettare una lesione contusiva penetrante (Hobbs et al, 1995, HermanGiddens and Frotingham, 1987; Adams, 1994 e 1996) Anche la misura del margine
imenale inferiore (alle ore 6), che talvolta è meglio evidenziata nella posizione genupettorale, assume valore significativo se inferiore a 1 mm. Anche il riscontro di aree
cicatriziali nella regione della forchetta, in assenza di elementi anamnestici che
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giustifichino questo reperto è un elemento di rilevo clinico. Tali segni sono molto più
significativi dell’ampliamento del diametro imenale, che è un dato estremamente
variabile.
Hobbs e Wynne (1989) hanno esaminato con attenzione i segni fisici associati con
abuso anale, indicando come aspecifici (ma che non negano la possibilità di abuso)
l’eritema perianale, la congestione venosa, le pigmentazioni, la ragade isolata e le
appendici cutanee, soprattutto se sulla linea mediana. Invece possono essere indicativi:
l’edema ad anello o gli erratomi del perineo (come segni reattivi acuti); la perdita di
tono con lassità dello sfintere anale che può portare fino all’eversione del canale o al
cosiddetto “funnelling” cioè un aspetto imbutiforme delle pareti rettali è considerato un
segno di abuso sessuale cronico ma è stato osservato anche in adolescenti senza alcuna
storia pregressa di traumatismo; la presenza di una riflesso di dilatazione anale alla
trazione laterale dei glutei che può persistere anche 30 secondi o più, con un diametro
variabile da 0,5 a 2 centimetri; le fessurazioni se in numero superiore a due ed al di
fuori della linea mediana; l’assottigliamento cronico delle fisiologiche pliche dell’ano,
la presenza di cicatrici e di lesioni triangolari a livello dell’orificio anale con apice
rivolto all’interno; la comparsa di contrazioni e rilasciamenti alternati dello sfintere
anale esterno, in assenza di dilatazione (Berenson, 1998).
Si comprende come esistono reperti che sicuramente hanno una valenza maggiore
rispetto ad altri e questi devono essere tenuti in considerazione dall’esaminatore, che,
giova ripeterlo, non deve prescindere dai dati anamnestici e dalle notizie circostanziali.
Ne deriva dunque che la violenza sessuale su una donna è relativamente più semplice da
accertare rispetto ad una minore, soprattutto se di età giovanissima: infatti, nel primo
caso, quasi sempre, vengono in aiuto alla eventuale scarsezza di reperti ano-genitali,
tutti gli altri elementi esaminati in precedenza, i quali, uniti al colloquio, permettono al
medico di disporre di elementi attendibili da integrare a quanto già in suo possesso; nel
caso delle minori, invece, vi sono sia motivazioni prettamente biologiche, rappresentate,
come visto, dalle rapide modificazioni anatomiche ed ormonali che intercorrono nell’etá
infantile e adolescenziale sia, soprattutto, da un difficoltoso colloquio con la presunta
vittima nonché dalla sua scarsa attendibilità, specie se vittima di un conflitto familiare.
Considerando proprio questi dati, dalla disamina della casistica afferente al Centro AntiViolenza di Firenze, emerge la presenza di casi “borderline” che presentano reperti
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unicamente “compatibili” con l’abuso, vuoi perché trattasi di lesioni rilevabili anche in
soggetti non abusati, vuoi perché l’episodio riferito risaliva a diverso tempo addietro,
vuoi anche perché una buona percentuale di casi si trattava di visite “di controllo”
richieste per verificare la presenza di pregresso abuso in genitori con storia di
maltrattamenti intrafamiliari.
Un altro fattore che limita grandemente la possibilità di discriminazione basata sulla
sola osservazione clinica è quella della tipologia di violenza riferita: con la nuova legge,
prevedendo genericamente la fattispecie di atti sessuali, è veramente complesso
discriminare quelli che coinvolgono la regione ano-genitale, se non recenti.
1l protocollo in uso presso il Centro Anti-Violenza di Firenze
Al riguardo è stato proposto ed adottato un protocollo diagnostico interaziendale
coinvolgente le tre Aziende Sanitarie dell’area fiorentina; esso consiste di due sezioni
distinte dedicate sia alla femmina, questa a sua volta minore od adulta, sia al maschio e
contiene una prima parte anagrafica (nella quale sono registrati la Struttura inviante ed il
nome dell’accompagnatore); la seconda parte riguarda la ricostruzione dell’accaduto
così come riportato dalla vittima, con particolare riferimento agli avvenimenti
successivi all’episodio riferito (accessi presso altre Strutture, pulizia delle regioni
anatomiche, cambio della biancheria, ecc.); la sezione dedicata al minore indaga le
caratteristiche del nucleo familiare, il luogo dove vive il minore ed anche eventuali altre
relazioni significative estranee al nucleo familiare, dedicando ampio spazio al colloquio
con il bambino/a, soprattutto sulla componente psicologica; dopo aver descritto
eventuali altre patologie concomitanti, si passa alla compilazione dell’esame obiettivo
generale, seguendo la metodologia descritta in precedenza; le sezione dedicata
all’esame obiettivo locale è distinta per la femmina e per il maschio; l’ultima parte è
dedicata alle procedure intraprese dall’operatore (indagini di laboratorio, prelievi per
esami colturali e prescrizioni terapeutiche).
Come si intuisce, il protocollo riproduce la medesima metodologia operativa analizzata
nelle pagine precedenti e si propone la doppia finalità di registro e di archiviazione dei
dati e della omogeneità della diagnosi, prerogative queste indispensabili per una corretta
prassi medica.
L’auspicato approccio multidisciplinare, non è tuttavia esente da limiti tecnici
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nell’accertamento del presunto episodio di violenza sessuale: i casi di più difficile
attribuzione sono infatti quelli di pregressi e isolati episodi di abuso, perché in questi
casi, a meno che non vi siano state lesioni di una certa importanza ed estensione, guarite
quindi con esiti visibili anche mediante visita clinica, risultano praticamente impossibili
da accertare; al contrario,. episodi di maltrattamenti o di abusi sessuali continuati nel
tempo, sono relativamente di più facile diagnosi, proprio per gli esiti riparativi che
insulti ripetuti provocano sulle strutture anatomiche interessate.
Ecco allora che per giungere ad un giudizio di “ragionevole probabilità processuale”
sarebbe auspicabile l’istituzione ed il potenziamento di strutture sanitarie pubbliche e
socio-assistenziali che possano garantire quell’approccio interdisciplinare più volte
richiamato e desiderato e che possano al contempo garantire un sostegno efficace alle
vittime della violenza, sia dal punto di vista della diagnosi sia da quello eventualmente
terapeutico.
Per quanto riguarda l’esperienza fiorentina, la creazione del presidio Anti-Violenza
rappresenta la migliore risposta possibile a questa richiesta, adeguata anche per le
esigenze di cura, ascolto e sostegno delle vittime, dal momento che la donna e la minore
entrano in contatto con un personale qualificato, psicologicamente preparato ad
affrontare il problema dell’abuso, in grado di fornire cure mediche adeguate ed eseguire
gli accertamenti medico legali necessari alla formazione della prova, anche al fine di
evitare alla paziente ulteriori ed umilianti indagini.
Queste strutture servono anche per stabilire un rapporto chiaro e stretto con l’Autorità
Giudiziaria così da permettere un’integrazione nella struttura sociale e ridurre il più
possibile la dispersione degli autori della violenza sessuale da un’indagine.
Considerando che l’esame della regione genitale dovrebbe essere espletato da un
ginecologo o da un pediatra con approfondite competenze, il ruolo del medico-legale
nella diagnosi della violenza sessuale, si espleta nell’osservazione e nella descrizione
delle lesioni extragenitali nonché in una forma di coordinamento di tutti gli operatori
chiamati ad agire in tali frangenti.
In conclusione, è possibile affermare che la valutazione clinica di bambine per cui si
sospetta una situazione di abuso pregresso è estremamente complessa e raramente
fornisce degli elementi di assoluta certezza in termini forensi, se non nei casi esaminati
dettagliatamente in precedenza.
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L’indispensabile premessa ad una valutazione corretta è la familiarità con la normale
morfologia della regione anogenitale della bambina nella sua evolutività, un’attenzione
particolare alla sfera psichica della vittima, vista la indiscutibile valenza che la
ricostruzione anamnestica dell’accaduto assume in questi frangenti, ricorrendo inoltre a
multiple e necessarie competenze, così da addivenire ad un giudizio definitivo che
garantisca la tutela sia della vittima sia, anche del presunto assalitore.
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