Ambra Nanni - andreazucchini.eu
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NANNI AMBRA ESOBIOLOGIA NEL SISTEMA SOLARE Alla ricerca della vita La ricerca esobiologica si è rivolta in primo luogo a scoprire la presenza d’acqua (elemento considerato fondamentale per la vita) su pianeti e satelliti del nostro sistema solare. Le prime attenzioni sono state rivolte a Marte fin dal 1878, anno in cui l’astronomo Giovanni Schiapparelli osservò la presenza di canali attribuiti inizialmente a costruzioni artificiali a opera di extraterrestri. Nel 1976 le due sonde Viking effettuarono delle analisi chimiche e batteriologiche su alcuni campioni di materiale prelevato dal suolo marziano che non rivelarono la presenza di batteri. Nonostante questo, la ricerca di prove dell’esistenza di vita su Marte passata o presente continua: c’è, infatti chi, come Thomas Gold, professore di astronomia alla Cornell University, ritiene che la vita su Marte possa essersi sviluppata nelle profondità del pianeta, dove i microbi si sarebbero potuti sostentare ossidando idrocarburi con l’ossigeno di rocce locali. I campioni analizzati dalle due sonde furono, invece, estratti non in profondità, ma a pochi centimetri sotto la superficie in una zona equatoriale probabilmente sterile in quanto esposta per milioni di anni alla radiazione ultravioletta. Anche Derek Lovley, capo del dipartimento di microbiologia dell’Università del Massachusetts, ritiene che la vita su Marte possa essere nata solo sotto la sua superficie. Partendo dal presupposto che soltanto nel sottosuolo si può ipotizzare la presenza d’acqua, egli ritiene che possano sopravvivere microrganismi in grado di prosperare in assenza di luce solare, sfruttando fonti energetiche alternative. Una simile ipotesi è rinforzata dalla scoperta di microbi che vivono nella roccia 200 metri sotto la superficie delle montagne dell’Idaho, ambiente completamente isolato dall’ecosistema terrestre, grazie alla loro capacità di metabolizzare gas d’idrogeno e anidride carbonica dissolti nell’acqua producendo metano. Analisi si svolsero anche su un piccolo meteorite di origine marziana denominato ALH84001 rinvenuto nel 1996 in Antartide: Colin Pillinger, ricercatore inglese della Open University (i cui scienziati furono i primi a scoprire nel 1989 inclusioni di composti di carbonio in un’altra meteorite marziana chiamata EETA 79001) presentò nel meeting di Londra tenutosi nel Novembre del 1996, misure che rivelarono nel meteorite un bassissimo rapporto tra gli isotopi del carbonio 13 e quelli del carbonio 12 che implicava la loro origine biologica come derivati del metano metabolizzato da microbatteri. I risultati delle analisi sui meteoriti non costituirono, però, la prova dell’esistenza di microrganismi sul pianeta in base alle obiezioni di ricercatori come Jeffrey Bada, geochimico di un istituto oceanografo di San Diego, che dopo aver esaminato attentamente campioni dell’EETA 79001, concluse che esso era stato probabilmente contaminato da composti derivati dall’attività di organismi terrestri. L’ipotesi della contaminazione fu ritenuta probabile anche per l’ALH84001dato che il meteorite, analogamente all’altro, aveva trascorso un lungo periodo nei ghiacci antartici prima di essere ritrovato. Sono state elaborate ipotesi anche per quanto riguarda Venere: il pianeta è sicuramente privo d’acqua in superficie dove raggiunge temperature di quasi 227 K ed è improbabile che vi siano riserve sotterranee. Potrebbe essere presente sotto forma di vapore nell’atmosfera che un piccolo gruppo di planetologi come David Grinspoon, del Southwest Research Institute di Boulder (Colorado), reputano favorevole allo sviluppo di alcuni tipi di microbi e batteri. Il vapor d'acqua potrebbe condensare in goccioline di dimensioni anche maggiori rispetto a quelle dell’atmosfera terrestre e restare in sospensione per più tempo dato la densità dell'ambiente atmosferico e il regime dinamico più attivo. 1 I batteri potrebbero essere autoctoni se si suppone che in passato il pianeta abbia conosciuto temperature più favorevoli allo sviluppo della vita, o essere migrati sul pianeta dalla Terra o da Marte con impatti meteoritici. E’ inoltre appurato che alcuni batteri sono in grado di sopravvivere in ambienti fortemente acidi (pH=0), simile a quello dell’atmosfera di Venere ricco di acido solforico. Esperimenti condotti sulle nubi sopra le alpi, e altri gestiti da un team di ricercatori inglesi diretto da J. Narlikar e da C. Wickramasinghe su campioni d’aria raccolti in volo in pallone stratosferico a 41 Km di quota in cui erano stati isolati funghi e batteri viventi, hanno poi dimostrato la normale attività metabolica dei batteri situati nel vapor d'acqua. I batteri venusiani potrebbero derivare l'energia per la propria sopravvivenza dalla radiazione solare e dai composti rilasciati nell'atmosfera dai vulcani: la grande variazione di diossido di solfuro nell’atmosfera del pianeta, infatti, ha portato alcuni scienziati a ipotizzare che ce ne siano ancora d’attivi. Figura 1: immagine radar tridimensionale della superficie di Venere ripresa dalla sonda Magellano: a destra si può vedere il vulcano Gala Mons, a sinistra il Sif Mons. (tratta dal sito www.jpl.nasa.gov) Sono state formulate ipotesi anche sui satelliti gioviani. Per quanto riguarda Europa si ritiene che al suo interno possa essere presente l’acqua: la densità media del satellite è, infatti, di 2,97 g/cm³, fatto che porta a pensare che esso sia costituito in buona parte da questo elemento. La sonda spaziale Galileo ha rivelato, inoltre, che le correnti elettriche indotte dal campo magnetico di Giove, causano una variazione nel campo magnetico di Europa, fatto che porterebbe a postulare la presenza di un oceano salato all’interno del satellite in grado di funzionare come conduttore d’elettricità. L’acqua sarebbe, quindi, presente in superficie allo stato solido a causa della rigida temperatura superficiale, e forse in forma liquida sotto lo strato di ghiaccio, mantenuta in questo stato dall’energia mareale di Giove, a cui il satellite è molto prossimo, o da attività vulcanica dei suoi fondali. Osservazioni spettroscopiche in ultravioletto hanno rilevato, infatti, una debole atmosfera di ossigeno, sodio e possibili bande d’assorbimento dell’anidride solforosa, attorno al satellite. Secondo K. Noll della Space Telescope Science Institute, queste sostanze sarebbero emesse da geyser situati sui fondali del satellite e riuscirebbero a risalire in superficie attraverso fessure del ghiaccio. L’ipotesi di una attività vulcanica dei fondali dell’oceano di Europa, è stata rafforzata dall’osservazione morfologica del pianeta grazie alle immagini ottenute con la sonda Galileo: la superficie presenta delle striature scure, spesso disposte in due bande laterali, aventi bordi esterni irregolari, separate da una 2 fessura più chiara (vedi figura 2). Questa morfologia fa pensare che il materiale che forma le striature sia emesso dalla fessura centrale secondo un meccanismo di natura idrotermale. Sono inoltre presenti delle formazioni circolari scure con cuore interno chiaro e in rilievo di 1-2 Km rispetto alla superficie media che fanno pensare a un analogo su Europa dei soffioni d’aria surriscaldati presenti negli oceani terrestri. Se in queste condizioni si fossero sviluppate delle forme di vita sui fondali del satellite, sarebbero forse simili ad alcuni invertebrati che vivono nelle profondità marine terrestri proprio vicino a zone vulcaniche e tettonicamente attive che sfruttando il calore geotermico e la simbiosi con particolari batteri, ricavano l’energia per sopravvivere dai gas sulfurei. Se poi la vita fosse appena sotto lo strato di ghiaccio, troveremmo forse microrganismi anaerobi (cioè in grado di sopravvivere in assenza d’ossigeno) analogamente a quanto avviene nell’ambiente sotto la calotta artica. Alcuni scienziati, come Brad Dalton della NASA Ames Research Center, pensano poi che possano sopravvivere dei microrganismi all’interno della crosta di ghiaccio. Questa ipotesi è stata formulata dopo aver confrontato lo spettro infrarosso del ghiaccio d’Europa e quello emesso da microrganismi che vivono in acque calde nel parco Nazionale di Yellowstone, e aver notato la loro somiglianza. Tuttavia i batteri che vivono nel parco sfruttano il processo fotosintetico per procurarsi l’energia necessaria per la sopravvivenza e non possono, per questo motivo, esseri simili a quelli che potrebbero eventualmente vivere su Europa data la lontananza del pianeta dal sole. Successivamente Dalton osservò anche lo spettro di due tipi di batteri estremofili (il Deinococcus radiodurans e il Solfolobus shibatae) posti in condizioni ambientali simili a quelle d’Europa, mostrando correlazioni tra questo spettro e quello del satellite. Nonostante la loro capacità d’adattamento a condizioni particolarmente inospitali, questi batteri non sarebbero comunque in grado di sopravvivere nell’ambiente d’Europa; sul satellite potrebbero essersi sviluppate forme di vite batteriche simili a queste aventi uno spettro infrarosso analogo. Questo risulta ragionevole se si pensa che gli estremofili emettono uno spettro infrarosso simile a quello del batterio Escherichia coli che vive in condizioni ambientali molto diverse. Inoltre la colorazione rosa e marrone di alcuni batteri estremofili potrebbe giustificare la colorazione delle fratture della superficie del pianeta. Figura 2: Europa con zumata della superficie (immagine tratta dal sito www.jpl.nasa.gov) 3 Anche Callisto si è rivelato simile ad Europa per quanto riguarda la possibilità che esista un oceano di acqua salata sotto la crosta di ghiaccio che lo ricopre: una sostenitrice di questa teoria è la Dottoressa. Margaret Kivelson, professoressa di fisica spaziale all’Università di Los Angeles e principale studiosa delle misure del magnetometro sulla sonda spaziale Galileo. La sonda ha infatti rivelato che, come per Europa, le correnti elettriche indotte dal campo magnetico di Giove che fluttuano nelle vicinanze di Callisto causano una variazione del campo magnetico dello stesso. Dato che non è possibile che il campo magnetico si generi dall’atmosfera estremamente rarefatta o dalla crosta di ghiaccio che è un cattivo conduttore di elettricità, si pensa che ci debba essere uno strato di ghiaccio sciolto e salato all’interno del satellite. Questa scoperta non porta però a formulare ipotesi riguardo un possibile sviluppo di forme di vita all’interno del satellite, in quanto requisiti fondamentali per lo sviluppo della vita sono la presenza di acqua e di fonti d’energia e, sebbene la prima condizione sia forse soddisfatta, non lo è, per ora, la seconda poiché Callisto non risente, come Europa, degli effetti mareali di Giove a causa della grande distanza pianeta-satellite e non vi sono fenomeni di radioattività al suo interno. Ganimede, invece, ha una densità di 1,94 g/cm³ che fa dedurre che la sua composizione sia per il 60% di rocce e per il 40% d’acqua. Le misure di J.Anderson indicano la presenza di un nucleo metallico, di un mantello roccioso e di un guscio esterno formato da ghiaccio. Il pianeta presenta un suo campo magnetico oltre a quello secondario indotto da Giove, che si potrebbe giustificare solo postulando un oceano salato più conduttivo del ghiaccio solido. Questo spiegherebbe anche la presenza di minerali sulla superficie del satellite che farebbe pensare a una passata emersione in superficie di acqua salata. Secondo Dave Stevenson, planetologo della California Istitute of Tecnology, l’oceano sarebbe compreso tra due distese di ghiaccio, estendendosi circa da 150 a 200 Km sotto la superficie e potrebbe mantenersi liquido grazie alla radioattività dell’interno roccioso del satellite o a ripetuti fenomeni di riscaldamento mareali dovuti all’interazione con Giove. Scoperte interessanti riguardano anche un satellite di Saturno: Titano. L’atmosfera del pianeta è formata prevalentemente d’azoto e da idrocarburi che costituisco i mattoni per la formazione di aminoacidi che sono alla base della vita. Il materiale organico si formerebbe da derivati del metano che vengono distrutti dai raggi ultravioletti del sole e reagiscono con altre molecole presenti nell’atmosfera, precipitando sulla crosta ghiacciata. Alcuni scienziati ritengono che l’ambiente del pianeta sia simile a quello della Terra prima che iniziasse la vita. Da dove viene la vita? Alcuni studiosi come Joan Orò ipotizzano che siano le comete ad aver portato sulla Terra e magari anche su altri pianeti i precursori delle biomolecole. Tale ipotesi è stata confermata da analisi condotte sulle comete Halley e Hall-Bopp che hanno rivelato la presenza all’interno del loro nucleo di ossido di carbonio, cianuro d’idrogeno, metanolo, formaldeide, e molti altri composti ricchi di carbonio che sembra essere alla base dell’origine della vita. Recenti esperimenti di laboratorio hanno mostrato, inoltre, come gli impatti con comete possano aver fornito alla Terra non solo le molecole organiche iniziali, ma anche l’energia necessaria per l’innesco di reazioni chimiche alla base dello sviluppo della vita. Gli esperimenti di laboratorio sono stati condotti riempendo un contenitore con una miscela di gas in percentuali analoghe a quelle che si pensa fossero presenti nell’atmosfera primordiale terrestre e bombardandola con una serie ripetuta di impulsi laser che hanno fatto raggiungere al gas nella zona colpita dalla radiazione, temperature di poco superiori ai 10.000°C. Dopo questa prova, oltre ai composti originari, sono stati trovati nel contenitore molecole complesse alcune delle quali appartenenti alla classe di composti delle ammine. Ciò fa pensare che in una situazione analoga, in cui una cometa formata da gas allo stato di plasma interagisce con 4 l’atmosfera terrestre, molto più fredda, potrebbero anche essersi formati gli amminoacidi, composti alla base dello sviluppo della vita. Figura 3: immagine della cometa Hall-Bopp (Tratta dal sito www.astrosurf.com/prosperi/immagini.htm) Bibliografia • • • • • • • • • Articolo “Vita Marziana tra pro e contro” di Corrado Lamberti tratto da “L’astronomia” n° 176, Maggio 1997; Articolo “Impatti vitali” di Mario Di Martino tratto da “L’astronomia” n° 181, Novembre 1997; Articolo “Il primo anno attorno a Giove” di Cesare Guaita tratto da “Nuovo Orione” n° 59, Aprile 1997; Articolo “L’oceano nella luna di Giove” di Roberto Vanzetto tratto da “Il Cielo” n° 10, Giugno 1997; Articolo “Da Marte a Europa” di Julian Chela-Flores e Fabio Pagan tratto da “Coelum” n° 1, Settembre 1997; Articolo “I microbi di Venere” di Corrado Lamberti tratto da “Le Stelle” n° 5, Marzo 2003; Articolo “Il gelido destino di Callisto” di Corrado Lamberti tratto da “Le Stelle” n° 5, Marzo 2003; Articolo “La vita su Marte pare sempre più possibile” di Davide De Martini, 17 Gennaio 2002 tratto da www.coelum.com/notizie/200201/vita/vita.htm; Articoli tratti dal sito www.astrobio.net: -“Solar system’s largest moon likely has a hidden ocean” (text base on NASA/JPL Press release); 5 • -“Life down under” (text besed on a SETI Institute press release); -“Evidence of bacteria on Europa?” di Leslie Mullen; -“Titan’s icy bedrock” (based on U. Arizona report); -“Jupiter’s moon Callisto may hide salty ocean” di Douglas Isbell; Articoli tratti dal sito www.jpl.nasa.gov: -“Solar system exploration bodies Saturn moons Titan” di Calvin J. Halmilton; -“Solar system exploration bodie :Venus”. 6