qui

Transcript

qui
Kirikù e la strega Karabà
di Michel Ocelot
Presentazione critica
Introduzione al film
Un film d’animazione per bambini e adulti
La storia del cinema di animazione scorre, da sempre, su due grandi binari paralleli, che non si
incrociano – o non si scontrano – mai: il primato, da un punto di vista figurativo e contenutistico,
dell’industria creata da Walt Disney, e tutta quella serie di esperienze eterogenee che, ad essa, si sono
contrapposte, spesso nella ricerca di un pubblico diverso: in questa direzione l’esempio più macroscopico
è quello delle serie animate giapponesi, destinate, in Italia, alla fine degli anni Settanta, a un pubblico
infantile, ma “pensate e realizzate in patria per tipologie di spettatori molto diverse” (Piergiorgio Pardo,
Le video generation – I ragazzi degli anni ’80 e i loro miti, Milano 2000, p. 108). Kirikù e la strega Karabà
è un prodotto molto particolare, poiché per alcuni aspetti è rivolto ad un pubblico infantile, per altri a
spettatori adulti. Il progetto figurativo ha poco da spartire con i prodotti per bambini: fin da subito, il
bellissimo contrasto tra il rosso carminio degli alberi-corallo e l’azzurro del cielo, lungo la strada in cui
Kirikù raggiunge lo zio, offrendosi di aiutarlo nella missione di quest’ultimo contro la strega, mostra
chiaramente la volontà di creare un paesaggio lontano dai canoni realistici ed armoniosi di certi film
Disney (si veda, in questo senso, l’inizio di Alice nel paese delle meraviglie [Alice in Wonderland, USA,
1951] di Clyde Geronimi, Hamilton Luske e Wilfred Jackson): un paesaggio, al contrario, dominato da
intensi accostamenti di colori, o da inconsuete campiture monocrome, come il grigio blu che sembra
incorporare la capanna di Karabà all’arido terreno circostante e al cielo plumbeo (“La presenza della
strega impedisce alle piante di crescere” dice la mamma a Kirikù). Sempre riguardo agli accostamenti
cromatici, colpisce anche il rosso intenso degli occhi del feticcio di guardia in cima alla capanna, o
quell'eguale rosso che, dall’entrata, vediamo dominare all’interno della capanna stessa che richiama le
fiamme dell’inferno. Più tenui, invece, sono i colori del villaggio: l’arancio, steso ampiamente sulle pareti
interne e negli arredamenti delle semplici capanne; il marrone, usato, invece, nelle pareti esterne delle
abitazioni; i tetti giallo crema; ancora l’arancio e il marrone, che si mischiano nel cielo e nel terreno.
Pochi colori, che generano un universo dolcemente malinconico e molto espressivo nella sua stilizzazione:
i corpi dei personaggi, i rami scheletriti degli alberi, le essenziali capanne, paiono vergati con pochi tratti,
rapidamente, e ricordano certe espressioni dell’arte tribale africana, a cavallo tra naturalismo e
schematizzazione. Tendenza che, nel film, compare sorprendentemente, in particolare, nella curatissima
raffigurazione della flora, quando Kirikù, nella foresta, salva due volte i bambini del villaggio dagli
inghippi di Karabà: le grandi piante dai fusti opulenti, le foglie variegate, dai nitidi disegni interni,
osservano parametri più espressionistici che realistici. Invece, la filologica raffigurazione degli animali
(volutamente non umanizzati, precisa Ocelot) è più tendente al realismo: i piccoli scoiattoli con cui Kirikù
fa amicizia nelle tane sotterranee che conducono alla montagna e, in particolare, sempre all’interno delle
tane, la famelica zorilla che, al contrario, minaccia il coraggioso bambino.
Il ruolo del minore e la sua rappresentazione
Contro le influenze nefaste di chi vuole dividere gli uomini
La natura e gli atteggiamenti del piccolo protagonista sono modellati, invece, con l’obiettivo di
coinvolgere un pubblico di bambini ed adolescenti, e dar loro qualche insegnamento non scontato. Il tema
centrale del film è la superstizione e le sue catastrofiche conseguenze: il popolo del villaggio, infatti,
crede che la strega abbia, con qualche maleficio, prosciugato la preziosa fonte, e che si sia nutrita degli
uomini del villaggio stesso. Karabà possiede – è vero – poteri soprannaturali, in virtù della spina che le è
stata conficcata nella colonna vertebrale, ma, riguardo alle due situazioni sopradette, si è solo limitata a
non smentire gli abitanti del villaggio: è cattiva e invidiosa a causa del dolore che la spina le procura, ma
la soggezione del popolo è causata da una fandonia. Quando Kirikù viene al mondo, il villaggio è
1
Kirikù e la strega Karabà – scheda critica
paralizzato da una forte stasi: tra le donne impaurite, sono rimasti solo due maschi: il giovane zio di
Kirikù, che all’inizio del film tenta un’improbabile missione contro Karabà, e un vecchio brontolone. Kirikù
esce dalla pancia della mamma senza bisogno di assistenza esterna; immediatamente parla e prende
coscienza della drammatica situazione in cui versa il villaggio; non perde tempo e corre in aiuto dello zio,
salvandolo dalla strega e dai suoi squinternati ma minacciosi feticci. Inoltre, Kirikù è piccolissimo: “È
veramente minuscolo…”; “Sì, non l’avevo neanche visto!” commentano due donne al passaggio del
bambino. La rapidità con cui Kirikù conquista autonomia, l’iperbolica esiguità della sua statura –
caratteristiche plausibili, poiché, ovviamente, la vicenda è calata in un ambito fiabesco – sono tratti che
lo differenziano, dai suoi concittadini, anche, e soprattutto, da un punto di vista etico e morale. Kirikù,
infatti, lavora con caparbietà e coraggio per smuovere le acque e cambiare radicalmente la situazione:
sconfiggere i poteri della strega e consentire agli abitanti del villaggio di riprendere le redini della loro
vita e riconquistare il benessere e la felicità perduti. La superstizione può essere sconfitta opponendole
l’intelligenza, la curiosità, la volontà di spiegare, a se stessi e agli altri, il funzionamento delle cose
sempre in termini razionali: “La tua forza – spiega il nonno a Kirikù – è nell’assenza di amuleti;” e
aggiunge che la strega “non sa cosa fare davanti all’innocenza nuda e cruda, e a un’intelligenza sempre
vigile e libera.” Parte dalla sottolineatura di questi ultimi due attributi l’insegnamento più significativo
che il film indirizza ad una platea di bambini e adolescenti: è, infatti, grazie alla sua intelligenza libera e
coraggiosa che Kirikù salva il suo villaggio ed afferma, sopra ogni cosa, il grande valore del suo “senso
della comunità”: con la sua determinazione, il bambino è d’esempio ai suoi concittadini, poiché,
implicitamente, li invita a seguirlo per costruire una società migliore, zittendo le parole di chi, al
contrario, vorrebbe influenzare negativamente gli uomini, e dividerli. Al termine del film, dopo il
rinsavimento di Karabà, Kirikù, baciato da essa, cresce in pochi secondi, e diventa un giovane uomo
atletico: è un finale che coglie di sorpresa, in cui l’introduzione di un elemento fortemente sensuale (la
nudità dell’uomo di fronte alla donna) dirotta, ancora, il film verso un pubblico adulto: infatti, l’ellissi
posta tra le due battute di Karabà, rivolte a Kirikù, “Non andiamo subito al villaggio” e la successiva “Ora
che sei un uomo, non penserai di tornare al villaggio tutto nudo?” allude chiaramente al rapporto sessuale,
appena avvenuto, tra i due. Meno forte, tale sensualità percorre comunque l’intero film, nei seni sodi,
sempre nudi, della mamma di Kirikù; la stessa nudità, invece, acquisisce una connotazione più
antropologica nei corpi maturi delle altre donne del villaggio, e negli adolescenti, in particolare quando
danzano insieme, per omaggiare Kirikù, al suono dei felici ritmi di Youssou N’Dour: sicuramente gli episodi
più suggestivi e delicati del film.
Riferimenti ad altre pellicole e spunti didattici
“Senso della comunità”, intelligenza libera e autonoma, che fa procedere per la propria strada senza
farsi influenzare da parole false, ipocrite: sono questi gli importanti insegnamenti del film di Ocelot: e,
per i bambini, il coraggio di Kirikù è descritto in maniera particolarmente gradita nella divertente, ampia
sezione in cui il bambino percorre le tane sotterranee. Quando fuoriesce, il tenero abbraccio con lo
scoiattolo introduce un altro tema significativo, l’amore e il rispetto degli animali (tema, comunque, qui
legato al “senso della comunità”). Si può riflettere anche sul significato del rapporto tra nonno e nipote:
infatti, prima di congedarsi dal Saggio della Montagna, Kirikù riposa sulle sue ginocchia, ed è al vegliardo
che comunica il suo naturale bisogno di tenerezza: “A volte sono un po’ stanco di essere sempre solo a
battermi: e mi sento un po’ piccolo, e ho un po’ di paura…”, parole a cui la voce del grande Aroldo Tieri
risponde con un “No…” affettuoso e rassicurante. In conclusione, un film che permette un interessante
confronto con il nostro film, riguardo al tema della superstizione, è Yaaba (id., Burkina
Faso/Svizzera/Francia, 1989) di Idrissa Ouedraogo, storia dell’amicizia tra un ragazzino e un’anziana
cacciata da un villaggio poiché temuta una strega.
Nell’utilizzo di Kirikù e la strega Karabà con una platea di bambini, si deve tener conto dell’aspetto
sensuale a cui abbiamo accennato, e che, in ogni modo, caratterizza quasi esclusivamente le sequenze
conclusive del film.
Costantino Maiani
2