Esperienze d`acquisto - Comunicazione Generativa

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Esperienze d`acquisto - Comunicazione Generativa
Capitolo 5
Esperienze d’acquisto
Gianluca Torrini
Augmented Shopping: l’esperienza d’acquisto
Aumentata
L’atto d’acquisto ha mutato profondamente la sua natura nel corso degli ultimi decenni, tanto da arrivare a rappresentare, proprio in quella che viene definita la società dei consumi, un’attività che per essere
compresa deve tenere necessariamente in considerazione non soltanto
l’effettivo valore economico dell’oggetto comprato, il valore d’uso, il
Gebrauchswert per dirla con Marx (1867), ma anche tutte quelle caratteristiche intangibili di tipo simbolico, valoriale, identitario che brand,
luoghi d’acquisto, spazi d’utilizzo, e quindi esperienze, portano con sé.
È superfluo ricordare che il valore simbolico della merce, e quindi
delle marche a cui gli oggetti sono legati, è oggi una delle espressioni più immediate, accessibili e comprensibili per governare l’immagine
che vogliamo comunicare di noi stessi, attività intensamente correlata
a quello che i sociologi intendono per gestione del sé, ovvero di ciò che
crediamo gli altri pensino di noi (Mead, 1934). Un sé che va a insistere
in profondità sulla nostra coscienza e conseguentemente sulla struttura
e sullo sviluppo di ogni rapporto sociale, in dinamiche che, nutrendosi
principalmente di simboli, di valori, sembrano rimanere totalmente indifferenti al fatto che esse avvengano in ambienti digitali o non.
Questo vuole dire che ogni prodotto si porta dietro, vale la pena
ricordarlo a costo di ripetere parole consuete ai più, molto altro dalla
sua fisicità, tanto che ci sentiamo membri di una comunità magari
proprio in base al possesso o meno di un oggetto. Apple, in questo
senso, è un caso di studio eccezionale per i tecnoentusiasti, ma si pensi
anche a tutte quelle icone classiche, dal Rolex o la Ferrari per l’alta
società alle Timberland per gli yuppies degli anni Ottanta, che lega
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la merce a mode e stili di vita. Il possesso, cioè, diventa un elemento
chiave per gestire la propria appartenenza a un gruppo sociale, perché
l’oggetto diventa simbolo di legame, di condivisione e di approvazione di valori propri di una specifica comunità.
Così, l’atto d’acquisto si avvicina all’esser esso stesso un vero e
proprio prodotto da comprare, che quindi sottostà alle logiche di
domanda ed offerta al pari di un bene-merce classicamente inteso,
al tempo stesso portando con sé un valore che spesso oltrepassa e
trascende il prodotto che si sta comprando. Proprio in questo senso, allora, si parla di esperienza di acquisto, ovvero di quell’insieme
di comportamenti, strategie, oggetti comunicativi dotati di un valore
simbolico così importante e centrale che l’esperienza d’acquisto stessa
si trasforma in prodotto, in oggetto vendibile.
In un mercato altamente competitivo e colonizzato, almeno per la
maggior parte dei beni di consumo, si prova a garantire allora al potenziale acquirente non soltanto la qualità dell’oggetto, ma anche una
galassia di meta-prodotti ruotanti intorno all’oggetto stesso, che vanno a delineare e governare il suo specifico universo simbolico rispetto
a quello dei competitor. I prodotti, così, sono portatori di un’identità
da comprare, la cui condivisione è capace di creare legami sociali,
siano questi deboli o forti oppure esperiti in contesti reali o digitali,
tanto da far proprio di questo sistema di valori il punto centrale per
l’ideazione, lo sviluppo, ma anche il governo, di esperienze d’acquisto
sempre più complesse e strutturate.
Ed è su questo nodo che agiscono e insistono, per esempio, dal
lato delle aziende le strategie di comunicazione basate sul desiderio,
sulla riconoscibilità o su tutte quelle dinamiche inconsce che stanno
emergendo incessantemente dalle tecniche di neuromarketing, e dal
lato dei consumatori le sempre più grandi e animate comunità – digitali e non – basate proprio sui prodotti, sul loro utilizzo e possesso:
pratiche, tutte, che accompagnano e sostengono una shopping experience inedita, espandendone la durata molto prima e molto dopo il
momento in cui può effettivamente concretizzarsi un possibile acquisto. Una forza generativa di contenuti sia top-down sia bottom-up,
cioè che procede non solo dall’alto verso il basso come nella classica
comunicazione di massa, ma anche dal pubblico verso l’alto, verso coloro che fino a ora erano gli unici e soli emittenti nei media, in grado
di far ipotizzare, è quanto sostengono i più ottimisti, un riequilibrio
dei rapporti di forza tra chi crea, appunto dall’alto, i valori simbolici
legati ai prodotti, basti pensare alle strategie pubblicitarie, e chi in-
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vece ne fruisce. Il tutto grazie alle caratteristiche di una grammatica
digitale che, almeno in potenza, sembrerebbe in grado di garantire
un’interazione, potremmo osare con la parola “democratizzazione”,
fino a pochi anni fa nemmeno soltanto immaginabile.
Queste comunità hanno fatto dell’user generated content il loro
punto di forza per emergere nel cosiddetto mainstream, ovvero da
quella cultura dominante che vive di una comunicazione di massa
standardizzata ed uguale per tutti, tanto da diventare a volte perfino luoghi di riferimento internazionali, come è successo per esempio
con ambienti digitali sempre più estesi e complessi come TripAdvisor
per i prodotti turistici o Anobii per quelli editoriali. L’informazione
scambiata fra pari, fra persone i cui interessi non coincidono cioè con
i produttori bensì con i consumatori, è diventata la chiave di volta
capace di fare del social media marketing una delle attività che garantiscono un maggiore ritorno sull’investimento, tanto che oggi le
aziende si tuffano nelle reti sociali digitali sull’onda di un entusiasmo
e di un’amatorializzazione che spesso può provocare, qualora il social
networking sia gestito con approssimazione e con deboli sceneggiature, danni economici e d’immagine inimmaginabili.
Proprio tenendo conto di tutte queste considerazioni, spesso dimenticate da amministratori delegati e da uffici comunicazione ancora
legati a paradigmi comunicativi terribilmente trasmissivi e monodirezionali, diventa improrogabile approfondire e sistematizzare una trasformazione nel modo di comunicare un atto d’acquisto strettamente
legato all’utilizzo, al tempo stesso simbolico ed empirico, degli oggetti.
Una trasformazione tale che si è arrivati a parlare di un prossimo salto
di sistema in grado di privilegiare e sostenere una comunicazione nel
prodotto piuttosto di una del prodotto (Toschi 2011), ovvero attività
comunicative capaci di accompagnare ed indirizzare il processo produttivo fin dall’ideazione di un bene materiale destinato alla vendita.
Tali mutamenti hanno fatto sì che l’esperienza di acquisto, quindi
tutta quella serie di azioni che riguardano il rapporto tra consumatore, oggetto-merce e luoghi di vendita digitali o meno, si sia dilatata
nello spazio e nel tempo, prendendo forma non più soltanto durante
l’effettiva transazione, mentre cioè si è dentro il negozio, ma anche
prima e dopo la concreta formalizzazione dell’acquisto. Un effetto
sempre più marcato e riconoscibile, vista la continua nascita e crescita
di ambienti digitali e di mixed reality centrati proprio sui prodotti e
sull’atto d’acquisto, che però anche precedono e seguono le comuni
dinamiche di shopping experience, mettendo al centro una lunga serie
...continua in libreria...
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