Termodiffusione al Berillio
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Termodiffusione al Berillio
Termodiffusione al Berillio. Le origini. Un trattamento insidioso perchè di difficile identificazione dietro i bei toni gialli ed arancio dei corindoni. scritto da Alberto Scarani, Paolo Minieri | 21 giugno 2011 La fornace aveva impiegato l’intera notte a raffreddarsi. Con un preciso colpo di machete Wimon aveva fatto saltare il cemento che sigillava il coperchio del crogiolo esterno, quella partita di zaffiri giallognoli non era un granché anche se in effetti sembrava che il primo breve ciclo di riscaldamento del giorno prima ne avesse migliorati diversi. Il crogiolo interno si aprì con uno scricchiolio, Wimon non credeva ai suoi occhi; quasi tutte le pietre avevano assunto delle vivide tonalità giallo arancio, paragonabili in molti casi a padparadsha della migliore qualità. A questo punto le versioni sono discordi, taluni sostengono che la partita di grezzo Sri Lanka di bassa qualità contenesse alcuni cristalli di crisoberillo, altri che il crogiolo fosse in realtà stato preventivamente utilizzato per trattare crisoberillo e che piccole quantità di cristallo fossero rimaste intrappolate nel crogiolo miste al fondente. La questione è poco importante visto che tutti sembrano d’accordo sul fatto che uno dei metodi di trattamento dei corindoni più insidioso e di difficile identificazione sia nato per puro caso ad opera di uno dei migliaia di “burner” tailandesi in quel di Chanthaburi, nel 1995. Devono passare altri 4 anni prima che la feconda miniera malgascia di Ilakaka venga scoperta e divenga la principale sorgente di materiale adatto al nuovo trattamento, nel frattempo gli instancabili tailandesi, dopo aver scoperto che aggiungendo crisoberillo ridotto in polvere ai grezzi da riscaldare si ottenevano gemme di straordinari colori, avevano moltiplicato gli esperimenti utilizzando un’enorme varietà di zaffiri di diverse provenienze (Garbatula in Kenia, Songea, Tunduru e vecchi stock di Umba Valley, Tanzania etc) e miscele crisoberillo-fondente alla ricerca della formula definitiva. Il 2001 fu probabilmente l’anno in cui più febbrile fu la corsa al raggiungimento del miglior prodotto. La quantità di zaffiri di colori spettacolari e talvolta inusuali che invase il mercato in così breve tempo non poteva che suscitare legittimi dubbi nella comunità gemmologica internazionale. Ai primi di gennaio del 2002, il laboratorio gemmologico dell’AGTA (American Gem Trade Association) dirama un’allarmante circolare che dichiara gli zaffiri ottenuti tramite il nuovo procedimento (Be-Treated): “trattati per diffusione superficiale”. Probabilmente in un primo momento si era pensato ad una riedizione del vecchio trattamento di termodiffusione superficiale adottato per gli zaffiri anni prima, ottenuta semplicemente sostituendo il berillio agli ossidi di ferro e titanio. Prontamente la “Chanthaburi Gems & Jewelers Association” replicò che nessun ingrediente chimico, tantomento il berillio veniva aggiunto alla miscela di fondente (in realtà era vero, il berillio responsabile della diffusione era contenuto nel crisoberillo). La questione tuttavia stava assumendo un’importanza troppo rilevante e in un paio di mesi, a seguito di nuove analisi da parte del GIA, questa volta utilizzando lo spettrometro di massa, la presenza del berillio venne confermata non solo sulla superficie ma, ed è questa la fondamentale differenza rispetto al precedente trattamento per termodiffusione, anche in profondità nella pietra. La questione non poteva più essere trascurata anche perché, come presto si scoprì, il trattamento non poteva essere facilmente identificato usando le consuete metodologie gemmologiche precedentemente utilizzate. Il motivo di questa profonda termodiffusione (denominata “Bulk Diffusion”) é dovuto sostanzialmente alle ridotte dimensioni atomiche del berillio e ad imperfezioni nella struttura atomica del corindone. In più, la sua “leggerezza” come elemento chimico ne fa risultare praticamente impossibile l’individuazione da parte dei tradizionali spettrometri rendendo indispensabile l’utilizzo di sensibilissimi (e costosissimi) spettrometri LIBS ed LA-ICP-MS. Le risultanze dei test, via via più accurati portarono ad un crollo verticale nel mercato tailandese degli zaffiri con conseguenti perdite ingenti di posti di lavoro nell’area di Chanthaburi e, verso la fine del 2002, a causa di una notevole perdita di fiducia, soprattutto da parte del mercato statunitense, la quasi totalità della produzione venne reindirizzata verso l’estremo oriente. Allo stato attuale il trattamento risulta ancora di difficile identificazione. Alcuni elementi possono portare ad una ragionevole probabilità, (osservazione di inclusioni profondamente modificate dal riscaldamento ad altissime temperature, ricristallizazioni etc) tuttavia la certezza si può ottenere esclusivamente mediante l’uso di sofisticatissime (e costose) apparecchiature. Da ultimo, la presenza di tracce di berillio in zaffiri non trattati (cosa ritenuta improbabile all’inizio) è stata successivamente confermata come possibile (Pardieu-Hughes, 2005). Inclusioni completamente fuse a causa dell’alta temperatura. 35X Cristallo circondato da alone bluastro. Sebbene rarmente presente è indicativo del trattamento ed osservabile anche a 10 ingrandimenti. 30X Inclusione dendritizzata dovuta a ricristallizzazione. 50X Alone di tensione e ricristalliazzazione. 60X