3. Cultura popolare, tempo libero, manifestazioni sportive

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3. Cultura popolare, tempo libero, manifestazioni sportive
IV.
Mentalità, cultura e tempo libero
3.
Cultura popolare, tempo libero,
manifestazioni sportive
3.1.
Passatempi e divertimenti nel primo Ottocento
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Nella sua Statistica della Svizzera, pubblicato nel 1828 presso la Tipografia Ruggia di Lugano per fare conoscere ai Ticinesi la patria comune, Stefano Franscini riservò alcune pagine alle abitudini dei confederati. In rapida sintesi presentò alcuni passatempo diffusi oltre Gottardo (doc. A); Franscini apprezzava particolarmente
il tiro al bersaglio per il suo valore educativo e patriottico. Dieci anni più tardi, nella
Svizzera italiana, scritto per fare conoscere agli Svizzeri il nuovo Ticino della Rigenerazione, nel capitolo sulle abitudini e usanze, Franscini si dilungò maggiormente sui
passatempi dei ticinesi (doc. B), che non erano particolarmente variati e nemmeno di
alto livello culturale. L’autore criticava aspramente la neghittosità dei campagnoli che
non si curavano di svolgere qualche attività accessoria nel loro tempo libero.
Documento A
Gli spassi della popolazione svizzera sono per lo più la ginnastica sulle
Alpi nelle buone stagioni, il tiro colla carabina ne’ dì festivi, la danza, il giuoco, il pipare, il tracannar vino durante il cattivo tempo, e per ultimo la visita notturna alle belle
per la gioventù del nostro sesso.
La lotta, il salto, e simili esercizi ginnastici hanno i loro seguaci la più
parte fra gli uomini della Svizzera tedesca. Sono celebri specialmente i lottatori dell’Oberland, dell’Unterwald, dell’Entlibuch e dell’Appenzello. Sui pascoli alpini si radunano in determinati giorni dell’anno lottatori di più comuni, e quivi al cospetto di giudici
e di infiniti testimoni d’ogni sesso, età e condizione, combattono le loro battaglie, e i
vincitori son festeggiati dai loro, e sono preferiti dalle fanciulle.
Il trarre a un segno si è fra gli Svizzeri e passatempo ed esercizio militare e patriottico. I governi più premurosi del pubblico bene incoraggiano la gioventù a
scostarsi ne’ dì festivi dalle bettole e da’ giuochi alle carte e simili per esercitarsi a trarre
colla carabina. Vi ha più parti di Svizzera, dove non fa quasi più mestieri dell’opera governativa, essendo oramai un tale esercizio divenuto fortissima abitudine pe’ giovani,
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per gli uomini maturi, pe’ vecchi ed anco pe’ fanciulli. Sonosi formate società le quali
propongono premi pe’migliori feritori, e di queste n’ha quasi ogni Cantone. Nella Svizzera italiana questo utilissimo esercizio non ha ancora messo radici. Nella Svizzera
francese era poco diffuso avanti l’era di nostra liberazione, ma dopo, mercé le cure de’
filantropi e quelle de’ governi, s’è molto avvantaggiato. Nella tedesca è quasi universale. Sogliono i governi aggiungere del loro alcune somme per rendere più cospicui i premi e più desiderati e combattuti. Verso la metà di giugno di quest’anno vi ebbe a Basilea
un gran tiro federale, a cui i carabinieri di questo Cantone avevano invitato que’ degli
altri. Una somma di 12’000 franchi era destinata per le spese. Più di 50 deputazioni di
carabinieri giunsero da quasi tutt’i Cantoni e sino da Vaud e da Ginevra che sono de’
più lontani. Al suo arrivare ciascuna deputazione era salutata con salva d’artiglieria. Si
trovarono congregati circa 1’200 bersaglieri, e furono fatti più di 50’000 colpi di carabina. Il primo premio era una gran coppa d’argento, il cui coperchio rappresentava Guglielmo Tell stringente il figlio tra le braccia subito dopo abbattuto il pomo. Nel 1828
ci avrà simile tiro a Ginevra.
S. Franscini, Statistica della Svizzera, Locarno 1991, p. 325
Documento B
Passatempi. La caccia è divertimento ed esercizio per non poca gioventù. Il giuoco delle carte per i giovani e per i maturi. A Bedreto in Val Leventina e in
qualche altro Comune dove lunghissimo è il verno, si vedono le paesane giuocar a
tarocchi e a tresette per molte ore. Anche ne’ nostri collegi e seminari nelle ore libere
del giovedì e della domenica e delle altre feste è permesso e praticato un tal divertimento, che non può non riuscir tendente a formare una delle pessime abitudini: quanto non
istarebbero meglio lunghi passeggi ed esercizi ginnastici! Il giuoco della mora è usitatissimo nelle bettole e nelle taverne ne’ dì di festa. Si dica lo stesso del giuocare alle
pallottole (volg. alle bocce). A Lugano e in altre grosse terre d’oltra-ceneri era molto
in voga in sullo scorcio delle belle giornate estive il giuoco al pallone sulle pubbliche
piazze. Non sono ancora passati molti anni che v’ebbe sfide clamorose e partite di
grande impegno tra giuocatori di diverso paese. Siffatta guisa di divertimento vien perdendo gran parte de’ suoi amatori. Il divertimento che a Lugano non soffre discapito
si è quello del passare molta parte del giorno e della sera all’aere libero ed aperto; veggonvisi bene spesso a notte inoltrata per le contrade, sulle piazze, in riva al lago, crocchi
d’uomini, ed anche di sole donne e zitelle. In Lugano città di meno di cinque mila persone, vedi in piazza ne’ dì feriali molto più gente che non a Zurigo che n’ha quattro
volte tanto.
Serate del verno. Nelle lunghe sere iemali le donne che tanto lavoro hanno sempre alle braccia, sono quasi le sole occupate. Filano canape, lino, lana, fanno tela
od altro per la famiglia. L’uomo o ciarla o sonnecchia, di rado lavora. Anche il giorno
quando il suolo è coperto di molta neve, gli uomini scarseggiano di occupazioni. Aver
cura delle bestie, spaccar un po’ di legna, condurre ne’ terreni un po’ di litami, sono le
più comuni occupazioni in tale stagione, che nelle parti montuose suol essere così lunga. Scarsissimo è il novero di coloro che sanno procacciarsi del guadagno con lavori di
vasellame di legno e simili. Un paesano ticinese poi si recherebbe a vergogna di impiegare utilmente le ore vacue del verno filando colle femmine, come si fila e si tesse dal
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85. Da una guida turistica svizzera di fine Ottocento: una serata in Val Onsernone.
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Zurigano e dall’Appenzellese. Il Ticinese passa le sere o in casa propria o in quella di
qualche parente od amico. Serve di lume ai più poveri o il fuoco che arde sul focolare
o la fiamma del legno resinoso: la lucerna, accesa coll’olio di noce, è d’uso assai comune nella contrada meridionale, e la candela di sego nella settentrionale. A quel chiarore
si raccontano le filastrocche superstiziose. Si prega altresì, e talvolta si fa qualche divota lettura. Pel popolo di più d’un paese ci ha molti libri istruttivi insieme e dilettevoli a
tal’uso accomodati e particolarmente ottimi almanacchi di economia, agricoltura, storia
ecc.; pel nostro, finora niente.
I divertimenti musicali sono una rarità; in Lugano un po’ meno che altrove mercè particolarmente di alcuni valorosi dilettanti del novero degli emigrati italiani.
Per le sceniche rappresentazioni vi è un bel teatro in Lugano fino dal 1805. Esso è stato
lunga pezza il solo nel Cantone; ma ora (cioè dal 1835) anche il borgo di Mendrisio ha
il suo teatrino. Però a quando a quando compaiono e si arrestano anche in Bellinzona
e Locarno delle compagnie comiche ambulanti. In Massagno, in Arogno e in alcune altre terre avanzate sino ad un certo grado di incivilimento si sono fatte a quando in quando compagnie di dilettanti per recitare in pubblico drammi e commedie. La danza è o
permessa o tollerata non solo nel tempo di carnovale, ma anche nel resto dell’anno fuorché di Avvento e di Quaresima e nei giorni di venerdì. In Lugano in tempo della Fiera
si dà per quindici giorni l’opera in musica con balletto; ma il comune non consente a
fare alcun sacrifizio, e sì non si ottiene mai o quasi mai un buon spettacolo. Sono molti
anni che i liberali declamano contro l’insidioso divertimento de’ giuochi d’azzardo che
in quel tempo è offerto agl’incauti e malarrivati; ma si declama indarno. Giuochi atletici e di corsa, la gioventù orese41 pratica ben di rado. Il tiro al bersaglio colla carabina è
ne’ suoi primordi. Non pochi Ticinesi cercano d’ordinario il loro solazzo all’osteria, e
d’estate a’ grotti e ad altre cantine.
S. Franscini, La Svizzera italiana, Lugano 1837, vol. I, p. 443-45
3.2.
Il carnevale a Bellinzona alla fine dell’Ottocento
Nell’Ottocento il carnevale era una festa popolare diffusa in tutto il Cantone; sebbene il periodo carnevalesco iniziasse subito dopo Natale, i divertimenti si
concentravano durante la settimana precedente l’inizio della quaresima. Maschere e
burle, musica e balli, il palo della cuccagna, pubblicazioni a carattere satirico, banchetti
a base di risotto (arrivato in Ticino a fine secolo) con luganighe e altri prodotti della
mazza, si incontravano un po’ ovunque, mentre i cortei mascherati erano caratteristica
dei centri. Non servivano a molto le proteste delle autorità religiose o le misure repressive delle autorità comunali, che giungevano fino alla chiusura di osterie o alla presenza
di guardie notturne per tutelare l’ordine pubblico e la morale. Il 28 gennaio 1874 venne
fondata la società del Rabadan a Bellinzona, dove già da anni si organizzavano le tipiche manifestazioni carnevalesche nei ritrovi pubblici e nel Teatro sociale. In dialetto milanese, Rabadan equivale a chiassata, baccano. Il testo che segue è il proclama di re Rabadan I, emanato proprio in occasione della prima edizione del carnevale bellinzonese.
41. [F]orese (?) = chi abita, vive in campagna.
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Carnevale 1875 in Bellinzona
Noi Rabadan I. re della baldoria
Ai popoli della Turrita, dal Dragonato al Riale di Daro, dalla Colombaia
alla Cascina dei Pomi, e provincie annesse del Ticino, della Morobbia, della Moesa, e
Stati alleati, dei Fieri Leponzi, dei nomadi Brenni, agli estremi confini del globo terracqueo; dall’uno all’altro polo.
Notifichiamo a tutti ed a ciascuno, qualmente da oggi Giovedì grasso abbiamo salito il Trono e perciò abbiamo stabilito che a datare da questo giorno e durante
la nostra fermata in questi felicissimi Stati, fino alla Mezzanotte del Martedì grasso,
nella quale epoca ci trasferiremo a visitare le provincie ambrosiane, la somma dei poteri viene assunta da Noi governo impersonale (uso di Francia) ed in nome nostro dal Ministero munito dei più ampi poteri e che non risponde di nulla (vedi Spagna).
Cessa quindi di diritto e di fatto ogni altra autorità, ogni legge civile e penale, e consideriamo irrito nullo e non avvenuto qualunque esercizio della stessa, fatto
all’infuori del nostro nome.
Gli attuali Moderatori della Cosa Pubblica (vedi tabelle di imposta) alti
e bassi impiegati sono posti a riposo, e visto la loro costante devozione alla nostra reale
persona, in attestato di soddisfazione e benemerenza verranno insigniti dei nostri ordini cavallereschi dei Buontemponi e Sozi ed ammessi alla pensione.
Le imposte, sotto qualsiasi forma e denominazione saranno raccolte dai
nostri agenti, e versate nelle nostre casse a fondo cieco, da servire a quelli fra i nostri
sudditi che non potendo servire domino in laetitia a causa di guasti al meccanismo gastro-pneumatico del proprio individuo, saranno mandati ai bagni di mare perché si mettano in grado di subire lodevolmente in seguito la visita degli scarti, ed aumentare la
falange dei ben-pensanti per il prossimo anno.
Fedeli sudditi mascolini e femminili! – E voi specialmente provocanti zitelle della Chiodopoli! Mostrate nel costante sorriso i vostri 32 denti alabastrini, e pel
caso li aveste lasciati dal Pancaldi, mostrate almeno lo molli ed umide gengive! – E voi
scioperati figli del Rabadan che avete permesso che quelle figlie dell’Aria vi fossero
rapite fra i vorticosi giri della danza dai teutonici Saltafossi, che non sono Zefiri, rinnovando a vostro danno e scorno il ratto delle Sabine, custodite gelosamente quelle che
vi restano, – e tutti insieme colla ghirlanda di Bacco o Cerere, venite tutti a me, O voi
che avete sete, e vi ristorerò concedendovi piena amnistia per le bestialità, ed i delitti
politici verso la mia Real persona commessi, purché vi mostriate in questi giorni degni
seguaci dei vostri Grandi Avi Crapuloni di felice memoria. – E perché del faustissimo
avvenimento di cui sopra resti perenne memoria, abbiamo stabilito che sia celebrato
nella merlata Capitale con straordinarie pubbliche solennità, cui parteciperanno tutti i
nostri sudditi ed alleati del Globo sullodato. – Perciò, visto le suppliche ai Noi innalzate, abbiamo abbassato gli ordini ai Nostri Ministri perché l’Allegria, la Spensieratezza
e la noncuranza dell’incerto domani sia generale in tutto il Regno della Baldoria, ed il
riso spinto fino alle lagrime (avviso al sesso debole perché resista da forte ai possibili
inconvenienti), si chiudano le Farmacie e gli Spedali, e si aprano le Osterie e le Cantine, assolti i debitori, condannati alla pena di Tantalo gli uscieri che attentassero di contravvenire agli Ordini Nostri.
Perciò alle Mascherate fatte in nome Nostro dai Cavalieri del Rabadan,
ai carri dei sullodati Saltafossi alle Fanfare rotanti, alle Carrozze di mascherate buffe,
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allegoriche o senza sugo, coi relativi coriandoli da versarsi a torrenti, cogli aranci,
esclusi i tuberi d’ogni sorta, – faranno seguito:
1. Una lotteria monstre sulla Piazza Maggiore, il cui introito in parte sarà
devoluto a beneficenza.
2. Una Cuccagna ricca di doni culinari. Aperta al colto pubblico senza riserva, sotto le opportune discipline che saranno stabilite da chi ne avrà la Direzione.
3. Giuoco d’equilibrio, esercizio indispensabile ai nostri seguaci, col Triangolo e relativi premi ai migliori in Piazza St. Rocco.
4. Giuoco come sopra della Padella in Piazza Nosetto.
5. Gran Corsa dei Sacchi in Piazza Giardino.
6. A sera, illuminazione generale con spirito di vino di tutte le teste portate
con mirabile equilibrio e disinvoltura sulle spalle. (Ognuno la sua).
7. Gran Veglione e Babilonia generale in Teatro. – Mezzanotte – Baccano
generale – Apoteosi del Carnevale!
Quaresima all’aurora Recipe: due goccie d’ammoniaca in mezzo bicchiere d’acqua per far passare la sbornia.
I nostri Ministri, sono incaricati ognuno per ciò che li riguarda di curare
l’esatto adempimento di quanto sopra con facoltà di stabilire norme e regolamenti d’esecuzione, e stabilire pene contro i contravventori – mandando a chiunque spetta di eseguirli o farli eseguire.
In virtù dei pieni poteri – e di apposito Rescritto e delegazione della
chiassosa del Rabadan – La Direzione generale delle feste carnovalesche che avranno
luogo il martedì 9 corrente fa noto che Essa siede da oggi innanzi in permanenza al
Caffé della Città – al qual Ufficio potranno dirigersi coloro che vogliono prender parte
al baccano, e dove si trovano deposti i biglietti della Lotteria di Beneficenza o la lista
di sottoscrizione.
Le condizioni per aspirare ai premi e l’effettivo degli stessi verranno pubblicati il giorno stesso.
Bellinzona, Fatto all’Osteria questo dì 5 del mese di Carnevale dell’anno
1875 e I. del nostro Regno.
Il Gottardo, 8 febbraio 1875
3.3.
Festa patronale a Fusio alla fine dell’Ottocento
Le feste patronali e le sagre paesane erano importanti manifestazioni del
sentimento religioso; esse costituivano anche un importante momento di aggregazione e
permettevano ai membri della comunità di rinsaldare i legami con i rituali del pasto in comune accompagnato da abbondanti libagioni, musica, canti e danze. L’inglese Samuel
Butler (1835-1902) compì alcuni viaggi in Italia e percorse anche le valli alpine. Seguendo le tracce dell’arte popolare e del folklore, visitò numerosi luoghi di culto e pubblicò
Alps and Sanctuaries of Piedmont and the Canton Ticino nel 1881. Nella parte del libro
dedicata al Ticino, prestò grande attenzione alla Leventina, mentre si interessò poco o per
niente agli altri distretti. Dedicò due capitoli alla presentazione di Fusio, dove era particolarmente interessato alla festa di San Rocco e alle manifestazioni di pietà popolare.
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Il giorno dopo il nostro arrivo era l’Assunta, il giorno di poi San Rocco,
patrono di Fusio; sicché le campane suonavano senza posa. Non ci sono che tre campane, ma buone; le han portate su da Peccia un quarant’anni fa, un pezzo prima che il
Signor Dazio costruisse la strada attuale; lui era un ragazzo allora, e assistette all’ardua
impresa di tirarle su. Come di solito nell’alta Italia, le campane sporgono per metà dalle
finestre del campanile, non sono del tutto dentro nella torre come le nostre campane inglesi. Ecco perché un campanile italiano è cosa tanto più snella di uno inglese; ha meno
da coprire. Quando suonan le campane facendole oscillare dentro e fuori la finestra, c’è
un uomo per campana. […]
San Rocco è quel santo che sempre addita l’orrenda ferita della sua povera gamba; perciò lo invocano coloro che han perduta la salute, e lo ringrazia chi l’ha
riacquistata. Accanto alle prime stalle d’una valle qui vicino c’è una cappella davanti
alla quale vedemmo pregare tre donne. Era gentilmente ornata di stelle alpine, sambuchi, cardi e tutte le più liete cose possibili. Dentro non c’era nulla di interessante, salvo
l’ex-voto d’un ometto in coda di rondine che s’era conciata la gamba come San Rocco,
e se ne lagnava con la Madonna. Di rado ho visto qualche affresco appena tollerabile
in queste cappellette di strada; di solito son dipinte da qualche uomo del paese che ha
coltivato il «tocco-Madonna», per così dire, come certi dilettanti inglesi coltivano il
«tocco-albero»: e con risultati altrettanto felici. Le tre donne venivano da Nante per il
Sassello Grande, eran partite sul far del giorno. Pare che una di loro avesse perduta la
ragione, sua sorella aveva pregato a questa cappella perché la riacquistasse, e la preghiera era stata esaudita; perciò le due sorelle e un’altra donna ci venivano ogni anno, verso
San Rocco, a rinnovare i loro ringraziamenti sul posto.
A Fusio celebrano con gran solennità la festa di San Rocco. Dopo le funzioni Jones42 s’era trovato sul sacrato e aveva potuto baciare una reliquia che la gente
si passava di mano in mano. Mi spiace di non esserci stato anch’io, però mi unii alla
processione e aiutai a portar San Rocco fuori di chiesa e giù per la valle verso Peccia.
C’era in mezzo alla strada un tavolino coperto da una bella tovaglia, lì i portatori posarono la statua argentata. Il prete celebrante si avvicinò, pronunciò alcune parole appropriate davanti alla statua (in latino, credo; ma non potei afferrarle), poi tutti ci riavviammo indietro. Mentre la processione voltata, potemmo veder la gente in faccia a
mano a mano che passava. Prima venivano le donne, una portava un crocefisso voltato
in modo che la gente dietro potesse vedere la figura sulla croce. Poi venivano gli uomini col camice bianco: alcuni recavano candele, tra questi vedemmo il Guglielmoni43,
altri portavano la statua del Santo. Seguivano gli uomini del paese nel loro vestito
usuale. Noi venivamo in coda a tutti. Le vecchie portavamo il costume di Fusio, che ora
scompare rapidamente; parecchie avevano un lino bianco in testa, non riuscimmo a capire perché alcune sì altre no. Immediatamente davanti alla statua venivano due suore
italiane che giravano raccogliendo offerte per non so che intenzione della Chiesa.
S. Butler, Alpi e santuari del Cantone Ticino, Locarno 1984, p. 137-141
42. Henry Festings Jones, amico e collaboratore di Butler; lo accompagnò nei suoi viaggi
e curò la pubblicazione dei suoi diari.
43. Famiglia patrizia di Fusio.
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3.4.
La scalata del Pizzo Basodino
Nel corso dell’Ottocento la pratica dell’alpinismo, introdotta dai viaggiatori inglesi, si diffuse anche tra i membri delle classi agiate svizzere. Federico Balli
(1854-1889), attivo politicamente nel partito conservatore di Gioacchino Respini, promosse iniziative turistiche in Vallemaggia, facendo costruire l’Hôtel du Glacier a Bignasco, punto di partenza per escursioni in Valle Bavona e in Lavizzara. Appassionato
alpinista e membro del Club Alpino Italiano, salì sulla cima del Basodino il 20 agosto
1884. Il brano che descrive le sue impressioni è ricavato dal volumetto Valle Bavona
impressioni e schizzi dal vero, pubblicato a Torino nel 1885.
Ripreso così il cammino, ci troviamo ad un tratto quasi seppelliti in una
specie di catacomba. Sopra il suolo melmoso cessa ogni traccia di sentiero, e due squallide pareti rizzansi a precipizio sul nostro capo. Ma ben resto sbuchiamo in una larga
valle, dove scorre un ruscelletto fra erbosi prati. Siamo al Corte di Randinascia, dove
le mucche dell’alpe di Robiei passano una diecina di giorni. Ma dov’è la consueta cascina? Impossibile scovarla: ne tiene le veci un grosso macigno sotto il quale trovano comodo asilo parecchie famiglie. Altissime morene (in alcuni punti pressoché inaccessibili) ne separano qui dal ghiacciaio; ma spira una brezza che intirizzisce le membra,
sicché piegando a sinistra e senza posa affaticandoci or fra i ciottoloni or sopra ripide
lavine, quello toccammo in breve, non senza un sussulto di gioia.
Ma il ghiacciaio di Cavergno, benché in continuo decrescimento, misura
ancora oggidì circa dieci chilometri di circonferenza; e per giungere alla base del Pizzo
Basodino occorre attraversarlo diagonalmente. Eravamo al punto difficile, o a meglio
dire faticoso, dell’escursione, e la stessa guida ne consigliò di sostare alquanto. «Il
ghiacciaio, ci disse, vuol essere fatto tutto d’un fiato: chi è stanco qui dunque si riposi:
più tardi… sarebbe troppo tardi!». Stappammo perciò la prima bottiglia di Barolo, e
sbocconcellato alcunché a guisa di viatico, ci preparammo alla grande prova. […]
Toccavano dunque alfine la base del Pizzo Basodino, e la nostra guida con
benigno sorriso ci permise di riprender fiato. Oh! quanto è stupenda la vista che vi si gode! e come è caro il rivedere di lassù buon tratto della via percorsa! La Valle Bavona quasi per intiero (rimpicciolita però come a chi guardi a rovescio per entro un canocchiale),
coi suoi paeselli, co’suoi pascoli, con quel nastro d’argento che sinuosamente la percorre: il campanile e la chiesa di Cavergno colla attigua campagna (lassù per ottica illusione
ingrandita a segno da parere un’immensa pianura): l’Hôtel du Glacier colla sua Dépendance dal tetto rosseggiante in mezzo alle cupe tinte della retrostante valle…
Valle Bavona, Cavergno, Bignasco, tutte cose carissime al nostro cuore!
ma che viste di lassù, ci fanno spuntare un sorriso di compassione sul labbro e spontaneo erompere dal petto questo grido: O perché rimanere laggiù in quell’imbuto un’intiera stagione? E perché qui dove ora noi sediamo, non potrebbero sorgere tre tende
capaci di qui offrirne valido asilo?…
Il perché ce lo viene ruvidamente susurrando all’orecchio il bravo Zanini, il quale ha gettato un rapido sguardo a settentrione, e v’ha scorti certi segni poco
rassicuranti sull’esito della spedizione secondo lui già compromessa dai concessi ritardi e minacciata di un pessimo ritorno.
Lesti ci alzammo a quel pronostico, e con una lena che non avremmo cre-
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86. Da una guida turistica svizzera di fine Ottocento: Bignasco con l’Hôtel du Glacier e il
ghiacciaio del Basodino sullo sfondo.
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duto di ritrovare, prendemmo ad arrampicarci sul pizzo. Esso ha la forma di una piramide triangolare le di cui faccie si compongono di massi inegualmente sovrapposti l’uno all’altro. Impossibile tener parola qui di sentiero: si cammina a casaccio, a seconda della
lunghezza o della agilità delle proprie gambe: avendo cura di ben posare il piede e di non
occuparsi d’altro che dei pochi metri di terreno che circonda la persona, ché se l’occhio
appena da quelli si discosta, improvviso spalancarsi l’orrore del precipizio. Guai a coloro che soffrono di vertigini! un metro a sinistra e s’avranno a 300 metri di perpendicolo
il ghiacciaio di Antabbia; un metro o poco più a diritta, e ad una minore, ma non meno
spaventosa profondità, s’aprirà loro dinanzi quello di Cavergno. Deo adjuvante, io nulla
soffersi in quegli ardui momenti nei quali
«E piedi e man volea il suol di sotto»44.
E per vero anche il più valido alpenstock riuscirebbe qui piuttosto d’impaccio che d’aiuto. Le pietre ora ti sbarrano il cammino, e ti conviene a quelle aggrapparti per girarle; ora ti serrano così da obbligarti ad usare perfino della schiena – a mo’
degli spazzacamini – onde trovare un punto di leva pel trasporto della metà inferiore
del corpo; o ti trovi dinanzi un masso angoloso sul quale è giuocoforza trascinarti alcuni minuti come fossi a cavallo: o infine sei costretto, per iscansare l’abisso, a così
allargare le gambe da darti – bon gré, mal gré – tutto l’aspetto di un acrobato esperimentato. Tutti i muscoli del corpo, tutte le diverse membra vengono a questo punto successivamente chiamate a prestare il loro ufficio. […]
Eppure, ripeto, questa ginnastica (alla quale d’altronde io ero già preparato) non mi diè noia, né fastidio, né dolore: a tal segno che quando il fido Alessandro
mi disse con uno sguardo espressivo: «ancora due passi, ma proprio solamente due passi
contati, e tu sei sulla vetta» io, accerchiato com’ero d’ogni intorno dalle pietre, non gli
prestai fede. Eppure, fatti quei due passi, un immenso orizzonte che si aperse inaspettatamente sul mio capo
«Sì, che miei occhi pria n’ebber tenzone»45
mi avvertì che avea toccato l’estrema guglia, che il Basodino si era dato
per vinto, e che il mio piede posava alfine sul gigante delle Alpi ticinesi!
F. Balli - G. Martini, Valle Bavona. Il passato che rivive, Locarno 1996, p. 51-54
3.5.
Le società di ginnastica in Svizzera nel 1895
Le prime società di ginnastica vennero create all’inizio del XIX secolo e
conobbero un grande successo, grazie alle Feste federali, organizzate a partire dal 1832.
Nella seconda metà del secolo la pratica della ginnastica si estese, anche se in modo irregolare, come risulta dalla cartina seguente. Nel 1900 vi erano 528 sezioni affiliate alla
Società federale di ginnastica, con circa 10’000 membri. L’insegnamento obbligatorio
della ginnastica nelle scuole venne introdotto per preparare i giovani maschi al servizio
militare, dopo la riforma costituzionale del 1874. All’inizio del Novecento, alle esigenze
della difesa nazionale si aggiunsero le preoccupazioni di carattere igienico-sanitario
per la salute di tutta la popolazione e l’obbligatorietà della frequenza alle lezioni fu estesa anche alle ragazze.
44. Dante, Purgatorio.
45. Dante, Purgatorio.
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Insediamento delle società di ginnastica in Svizzera (1895); allestita per l’Esposizione nazionale del 1896 a Ginevra. Riprodotta in allegato nel volume Festschrift zum 75jährigen Jubiläum des Eidgenössischen Turnvereins 1832-1907, Zurigo s.d.
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L’affermazione dello sport all’inizio del Novecento
Alla fine dell’Ottocento fecero la loro comparsa anche in Svizzera nuove
discipline sportive. In pochi anni il ciclismo e il calcio, pratica e spettacolo al tempo
stesso, divennero gli sport più popolari. Anche se a lungo osteggiato da politici ed ecclesiastici, il calcio venne diffuso dai giovani inglesi che studiavano nei collegi svizzeri:
la prima società venne fondata a San Gallo nel 1879 e nel 1895 nacque l’Associazione
svizzera di football con 11 club. La pratica del ciclismo si impose con la possibilità di
comperare biciclette a buon mercato, raccomandata anche dai medici, nonostante l’ostilità di chi paventava danni permanenti alla vista per lo sfilare troppo rapido del paesaggio davanti agli occhi. Già nel 1883 venne fondata l’Unione ciclistica svizzera che
si occupava dell’organizzazione di corse. Il primo brano (doc. A) vanta i successi, mentre il secondo (doc. B) mette in guardia contro le conseguenze negative derivanti dagli
eccessi delle attività sportive.
Documento A
Vivere coi tempi, ecco dunque un buon precetto per riuscire, precetto che
si addice non solo a singoli individui, ma in misura ancora più forte ad intere comunità,
ed agli Stati.
Per effetto di circostanze innumerevoli i gusti, i desideri e le aspirazioni
del pubblico vanno sempre modificandosi – di modo che nel volgere di poche diecine
d’anni vediamo completamente modificato il concetto che detto pubblico si fa di quanto
occorra a rendere la vita lieta e piacevole.
Ma guardiamoci semplicemente attorno a noi e vedremo che persino nel
nostro patriarcale Ticino le abitudini della popolazione hanno subito, nell’ultimo ventennio, una modificazione sensibilissima. Per non citare che un solo particolare, lo Sport
era limitato, vent’anni fa, a ben poca cosa – qualche tiro di carattere politico, qualche
festa di ginnastica non esente essa pure di significato politico, e poche escursioni alpine eseguite da gruppi avventizi.
E adesso? La ginnastica è rimasta quasi stazionaria, ma l’esercizio del
tiro a segno è andato aumentando a proporzioni gigantesche, i tiri liberi, organizzati
proprio per il piacere di tirare, si sono moltiplicati – abbiamo due Club Alpini – escursioni alpine organizzate in ogni regione – sono sorti dei Velo Club, dei Club Audax, abbiamo in vista un Club di Automobilisti e fanno capolino i dilettanti di foot-ball e di
lawn tennis.
Il nostro paese ha dunque subìto la legge generale e più o meno volontieri ha aperto le porte a Sua Maestà lo Sport e ha seguito, come tutti gli altri, l’esempio
che ci è venuto dall’aristocrazia Anglo-Sassone. È difatti alla jeunesse dorée d’Inghilterra e degli Stati Uniti che lo Sport deve le sue origini; là, già da molto tempo si sogliono alternare gli studi con esercizi sportivi; dopo avere lavorato per un paio d’ore a
qualche traduzione di Virgilio, gli studenti inglesi e americani scendono sul campo del
foot-ball o nel recinto del lawn tennis, per riprendere poi qualche lezione di matematica e darsi in seguito ad esercizi ginnastici – e dopo un periodo di studi intensi,
precedenti esami d’impegno, si accordano un’escursione a piedi o in bicicletta. Questo
sistema ha dato ottimi risultati e lo si può constatare ogni anno al concentramento dei
volontari ad Aldershot dove affluiscono diecine di migliaia di giovani robusti, di flori-
3.
Cultura popolare, tempo libero, manifestazioni sportive
263
dissimo aspetto e che dividono il loro tempo fra gravi occupazioni intellettuali ed esercizi sportivi.
Gli ottimi risultato ottenuti dalla gioventùAnglo-Sassone indussero quella di altre nazioni a seguirne l’esempio e poco a poco le abitudini agli esercizi dello
Sport si estesero a tutti i paesi, a tutte le classi.
Questo allagare dello Sport ha avuto una influenza sempre crescente non
solo nel dominio del piacere ed in quello dell’educazione, ma anche in quello economico. Esso ha dato origine a una quantità di industrie, talune delle quali hanno raggiunto
uno sviluppo straordinario e a commerci affatto nuovi – ed in pari tempo ha provocato
anche delle esigenze fin qui sconosciute.
Date le bellezze veramente eccezionali del nostro paese, noi dobbiamo
salutare con piacere questo estendersi dello Sport, tendendo esso colle escursioni podistiche, in bicicletta e in automobile, o mediante l’alpinismo, a sviluppare il gusto per
le escursioni e le ascensioni. L’escursionista avendo una marcata e naturale propensione
per quei paesi dove vi è la massima varietà di paesaggi, dove la natura si presenta più
bella e più imponente, poche sono le regioni che possano rivaleggiare colla nostra sotto
questo rapporto, e forse nessuna la supera. Al nostro paese tenderanno dunque sempre
più a convergere i touristes.
Questa tendenza sarà tanto più marcata quanto noi sapremo facilitarla offrendo un complesso di condizioni favorevoli, di confort che rendono ancor più gradevole la bellezza naturale del paese.
Lo Sport è un movimento che si impone, il volerlo considerare solo come
un passatempo è commettere un errore che toglie la giusta concezione della sua importanza. Bisogna considerarlo nel suo complesso e non perdere di vista anche la sua importanza economica onde non perdere quella corrente di vitalità che esso può portare
al paese.
La Rivista. Organo dello sport nella Svizzera italiana, n. 1, 1902
Documento B
Dunque siamo decisi avversari di tutte le prove sportive che spingono il
corpo umano ad un folle eccesso di lavoro, violando cioè quella legge limite della resistenza organica, che pur consentendo lo sforzo e l’affinamento delle energie di moto
in un beninteso allenamento e dilettevoli gare, deve essere a base d’ogni attività fisica.
E in particolar modo siamo nemici – e per l’estetica e per l’igiene – del
podismo maratonizzato, ma ancor più del ciclismo «eroicamente» pazzesco.
Confessiamo che le prove automobilistiche di velocità, se mettono maggiormente a repentaglio la vita dei corridori, sono però assai meno dannose, a parer nostro, delle spasmodiche lotte dei pedalisti a servizio della réclame industriale.
Per quanto la sferza dell’aria, il surmenage cerebrale dello chauffeur curvo sul volante che ascolta il ritmo del motore, spia la via polverosa, in una ferrea padronanza del mirabile congegno e in una serena limpidità di rapido esame, debbano esaurire molte riserve d’energia della macchina umana che monta la macchina d’acciaio,
pure restano in relativo riposo sistemi di importanza somma nei meccanismi vitali:
l’apparato locomotore – osseo, muscolare e legamentoso – e i sistemi circolatorio e respiratorio. […]
IV.
Mentalità, cultura e tempo libero
87. Il lido di Lugano verso la fine degli anni Venti.
3.
Cultura popolare, tempo libero, manifestazioni sportive
265
Nel podismo irrazionalmente svolto, ma ancor più nel ciclismo pervertito, è invece la messa in scena completa di tutte le attività fisiche come di molti centri
intellettivi.
Mentre il sole congestiona il cervello, mentre la polvere intonaca i polmoni già cimentati al massimo limite di elasticità, mentre il sussulto della sella sbatte
i visceri addominali e lede funzionalmente il rene con dimostrabili albuminurie – il cuore, quel povero cuore giovanile e forte, si sfianca a poco a poco nelle sue pareti, e nel
lavoro continuo questo muscolo cavo che pompa il sangue, mette a dura prova le valvole arteriose, l’aorta e il circolo polmonare.
Il ginnasta. Organo federale e cantonale, n. 15, 1910
3.7.
Le feste da ballo tra le due guerre mondiali
Anche nel passato, il ballo era uno dei passatempi preferiti dai giovani,
soprattutto nel periodo di carnevale e in occasione di feste popolari. Nel primo brano
(doc. A) si propongono i ricordi di un anziano di Lodrino, classe 1916, intervistato all’inizio degli anni Novanta da due ricercatori, Ezio Galli e Giuseppe Padovani. La legge
del 1926 aveva però limitato l’esercizio del ballo, attribuendo ai municipi la competenza per il rilascio delle autorizzazioni. Infatti la pratica del ballo era da più parti
osteggiata, soprattutto da coloro che, pur tollerando le danze tradizionali, condannavano vigorosamente le nuove mode straniere, considerate indecenti e peccaminose, come
risulta dal secondo testo (doc. B).
Documento A
E quando era più giovanotto cosa faceva? non so, magari c’erano delle
feste da ballo?
Oramai feste da ballo per carnevale, ballavano a Lodrino, in faccia all’Euro Bar nella casa, ma non quella di adesso! Stavamo lì e se non eravamo contenti
prendevamo la bicicletta ed andavamo a Preonzo andavamo a Claro… Poi via da Claro
andavamo ad Osogna: arrivavamo magari alla mattina a casa. Poi andavamo a Biasca
al Suisse. Adesso il Suisse non c’è nemmeno più. Si stava in giro tutta la notte! Io non
sono mai stato un ballerino, non ero capace di ballare, ma andavo in compagnia e così.
I sabati ballavano di solito?
Sì, il sabato, ma ballavano anche alla domenica. Una volta ogni tanto. Ma
allora, non è che ballavano, ballavano per Santo Stefano, l’ultimo dell’anno e dopo per
l’Epifania e dopo non si ballava più.
E appunto e dopo quando non c’erano i balli dove vi incontravate con i
giovani? in piazza, nei ristoranti?
Sì, in piazza a raccontare. Quando c’era la neve ci tiravamo le palle di
neve o facevamo qualche scherzo. Dopo si giocava a nascondersi e a «bara», più o meno
come a nascondersi. Però si dava una punizione, si scappava e chi riusciva a prenderlo
per primo, se si riusciva a prenderne uno che si nascondeva, davamo una punizione da
IV.
Mentalità, cultura e tempo libero
fare. Allora i bambini piccoli non giocavano a questo gioco e noi giocavamo a nasconderci. Ma alla sera, alle 8 al massimo, poi d’inverno, bisognava andare a casa è! D’inverno, ma anche d’estate, non è che stavamo in giro proprio tanto. Già la gente anziana andava a letto presto, perché si alzavano, la maggior parte erano contadini e alla mattina
alla 4 erano fuori alle 3.30 o 4.
E. Galli - G. Padovani, La memoria degli anziani ticinesi alla fine del millennio, Bellinzona 2000, p. 190-193
Documento B
Negli scorsi anni, vedendo il continuo dilagare della nefasta piaga del
ballo, il popolo ticinese, sia a mezzo della stampa, sia con mozioni in Gran Consiglio,
è arrivato alla votazione di una legge, la quale accettata dal popolo, sembra abbia dato
un risultato opposto a quello che si aspettava.
Prima il ballo era libero ovunque, ma era almeno limitato fino alle 11 di
sera. Ora invece si balla quando si vuole e fino a quando si vuole.
Infatti, in quei comuni dove, diremo, non c’è più autorità e pudore, le così
dette notti libere si susseguono l’una all’altra, perfino in due o tre luoghi in una sola
notte, specialmente in un piccolo borgo di 1500 anime.
Si dice che è per divertire i forestieri: menzogna. Abbiamo voluto vedere
con i nostri occhi, ed abbiamo potuto constatare che l’elemento così detto forestiero
non costituiva forse il 10% dei presenti, ma vi abbondava invece l’elemento minorenne
dai 15 ai 18 anni, specie delle ragazze e non fa bisogno di descrivervi cosa succede in
queste notti libere. Piace a tutti divertirsi, ma questo non è più divertimento, è bagordo,
degenerazione della morale, disonore del paese di fronte ai forestieri seri, ed è la culla
dei candidati al sanatorio di Ambrì Piotta.
E il Governo irresponsabile, infischiandosi dell’autorità del popolo sovrano, pur di far quattrini viola qualunque legge.
Vergogna!
E dov’è il popolo sano ticinese?
Giornale del Popolo, 5 novembre 1929
3.8.
Il cinematografo
In Ticino, la prima proiezione di un film ebbe luogo a Lugano nel 1896;
nei primi anni del Novecento, le proiezioni venivano eseguite in padiglioni montati per
l’occasione oppure in teatri o ritrovi pubblici. I primi cinematografi veri e propri vennero aperti, a partire dal 1907, a Chiasso e a Lugano. Nel 1919, il cantone varò la Legge sui cinematografi, che prevedeva anche misure di tipo preventivo affidate però alle
autorità comunali. Il primo lungometraggio sonoro, The Jazz Singer, venne realizzato
dalla Warner Brothers nel 1927. Il cinema Splendide di Lugano fu la prima sala a proiettare un film sonoro il 9 dicembre 1929, per iniziativa dei fratelli Rezzonico. Dopo il
1930 un ruolo importante nella diffusione del cinema nei centri, lo ebbe anche la Chiesa cattolica, con i suoi Oratori. Molto spesso le proiezioni di film destinati ai mino-
3.
Cultura popolare, tempo libero, manifestazioni sportive
267
renni seguivano le funzioni religiose o il catechismo domenicale, quale premio per i
partecipanti. La censura diocesana, valida per tutte le parrocchie, portò alla stesura
di un catalogo di film educativi e morali. A Bellinzona, il 20 novembre 1930 la Società
Esercizio Cinematografico inaugurò il Forum Cinema; l’apertura del nuovo cinema fu
anticipata da un articolo apparso sul Corriere del Ticino.
Alla fine del corrente mese si avrà l’apertura del nuovo Casino bellinzonese che è costrutto a fianco della Casa del Popolo. Il nuovo casino sarà gerito com’è
noto dai fratelli signori Rezzonico di Lugano. Vi è non poca aspettativa negli ambienti
bellinzonesi per questo nuovo ritrovo pubblico o meglio tentativo di portare qualche
cosa di nuovo nella nostra città. Comunque questa iniziativa sembra destinata ad avere
miglior fortuna di quelle che ebbero in passato. E sarebbe meritata perché trattasi di un
ritrovo modernissimo.
La sala adibita a cinematografo è una delle più vaste del cantone. Essa
misura una lunghezza di metri 25 e una larghezza di metri 15 ed una altezza di 11 metri.
Sotto questa sala si trova il bar che misura una superficie di oltre duecento metri quadrati e servirà per feste di società.
La capacità della sala di proiezione è la seguente: poltrone 700; barcacce
8 e due palchi di proscenio. Quella del bar può contenere 200 persone. La sala degli
spettacoli potrà essere facilmente trasformata in sala da ballo.
Per l’estate il Casino usufruirà di due ampie terrazze. La prima sul versante che guarda sul Viale della Stazione sarà adibita per il ballo. La seconda (sul versante opposto) per cinema aperto.
Si avranno anche delle rappresentazioni con film sonore. La macchina
per questi spettacoli è fornita dalla Western Electric Sound System di New York e costa la bellezza di 120’000 franchi.
Corriere del Ticino, 8 ottobre 1930
3.9.
Il successo popolare del calcio
La costruzione del nuovo stadio di Cornaredo a Lugano, inaugurato nel
1951 con la partita tra le nazionali della Svizzera e dell’Italia, rappresentò una testimonianza significativa del successo ottenuto da questo sport nella Svizzera italiana e anticipò di pochi anni la grande festa del calcio che si svolse in Svizzera con l’organizzazione dei mondiali nel 1954. Nell’articolo intitolato Folla e colore, lo storico luganese
Mario Agliati evidenzia l’aspetto di festa popolare e di solidarietà tra i tifosi, a pochi
anni dalla fine della seconda guerra mondiale. Non c’è traccia delle violenze o delle
reazioni becere che accompagnarono invece la vittoria della nazionale svizzera su quella italiana a Losanna nel 1954.
Sulla strada che conduce allo Stadio, oltre Piazza Molino Nuovo, lo spettacolo intorno al mezzodì si fece festoso: la gente e le bandiere, c’era vita e colore, speranza e gioia: e tra lo scampanellar dei tram e lo strombettar degli autobus, era tutto un
cantar popolaresco, che faceva piacere: e già del resto queste contrade della periferia
IV.
Mentalità, cultura e tempo libero
son fatte naturalmente per quest’atmosfera di fiera popolana. In Piazza Molino Nuovo
dove s’aprono certe rovine, spiazzi provvisori lasciati dai recenti sventramenti edilizi,
s’erano improvvisati bivacchi cordiali, cari paciosi lombardi ritti a consumar due fette
di salame con la fiaschetta del Chianti tra i piedi, e intanto un’occhiata rapida al tricolore appoggiato al muro, che non cadesse, e fra i bocconi trangugiati una gioviale battuta
in dialetto al vicino, dove tuttavia, dietro al tono scherzoso, c’era come la cura di nascondere una preoccupazione effettiva. In realtà, tra le comitive di Milano, di Gallarate,
di Varese, di Como, di Bergamo, c’era un impegno serioso anche nel modo di venir
avanti, di guardar negli occhi, di portar la bandiera; come se fossero tutti una sorta di
truppa ausiliaria, qui in missione comandata; quei giovanetti e giovanotti soprattutto,
col bavero alzato, i paltorelli brevi sopra i calzoni un po’ attillati: ed era particolarmente
bello veder qua e là giovani sacerdoti sportivi, in testa o in coda alla compagnia, senza
cappello, con la borsa nera gonfia di panini e di mele cotogne, a chiacchierar convinti
di squadre e campionati, e far pronostici, e alimentare, infondere, e magari chiedere,
speranze… C’era come un affratellamento unanime, che ognun di noi guardava con curiosità e rispetto, e insomma ammirava. […]
Quando l’arbitro fischiò quella sua fine che poi non era fine, l’invasione
festosa del campo fu la più bella epopea popolaresca. Era un correr spampanato, senza
ritegno, generosissimo, sull’erba molliccia e infracidita, era un franare e suo srotolarsi
armonioso e possente di folla dalle gradinate, che incupiva un rombo confuso, dove si
smorzavano gli applausi e le individuabili grida. Ebbi appena il tempo di veder davvicino Moro, col suo maglione grigio, e di sentirlo gridare: «Ma non è ancora finito»: che
tutti dovettero tornare indietro, e fu un gran sbracciare di gendarmi con bonari manganelli di gomma, uno svolazzar di cappotti bruni, nell’incombente nebbiolina. Due minuti di attesa ronzante, e poi di nuovo l’invasione allegra e tumultuante; e il vociar indiavolato di mille bocche; e gli svizzeri Riva e Neury passar via ondeggiando sopra le teste,
in improvvisate sedie gestatorie; e l’accalcarsi comune sotto le tribune: e sulle tribune
le Autorità che guardavan sorridenti e paterne, con quel loro inimitabile modo cardinalizio, saputo, furbesco: quel modo che le autorità hanno di considerar con indulgenza
il popolo che tumultua, e discende un po’ dal manzoniano Ferrer, remoto ma sicurissimo progenitore loro… Care Autorità, amatissimi Padri della Patria!
L’Eco dello Sport, 28 novembre 1951
3.10.
Osteria di paese
Per tutto l’Ottocento e gran parte del Novecento, l’osteria è stata luogo
di socializzazione per gli adulti di sesso maschile, sia nel villaggio sia nel quartiere
della città. Il consumo di vino e grappa, il gioco delle carte si accompagnavano sempre
a chiacchiere futili o a grandi discussioni. Nelle osterie i partiti ticinesi sono diventati
vere organizzazioni popolari e nelle osterie si preparavano gli scontri politici alla vigilia delle elezioni comunali o cantonali. Giuseppe Zoppi (1896-1952) fu scrittore e professore di letteratura italiana al ginnasio di Lugano, alla Magistrale di Locarno e infine al Politecnico di Zurigo. Impegnato divulgatore della cultura italiana in Ticino e
soprattutto nella Svizzera tedesca, è conosciuto per Il libro dell’Alpe, pubblicato nel
3.
Cultura popolare, tempo libero, manifestazioni sportive
269
1920. In queste pagine, tratte dal Libro del granito, l’autore coglie l’occasione di una
serata invernale per condurre il lettore a curiosare all’interno dell’osteria del suo paese natale in Lavizzara.
Chi stasera potesse gettare un’occhiata nell’Osteria delle Alpi, avrebbe
veramente da consolarsi il cuore. Fuori, nel villaggio, un metro almeno di neve e, sui
monti erti sovrastanti, anche tre o quattro; case e stalle, mezzo sepolte nel bianco; sui
tetti di lastre granitiche, come un secondo tetto, alto, candidissimo. Dentro, là in fondo,
un bel fuoco vivo, lievemente sussurrante, e calore gradevole, e benessere sicuro. Fuori,
non più un solo frutticciòlo della terra, nemmeno a pagarlo; dentro, appesi al soffitto,
salametti a ghirlande e a festoni, prosciutti incredibilmente grossi e polputi, mortadelle
tondeggianti, pepatissime. Questo si vede, altro non si vede. Per esempio, non si vede
il vino; in una delle due cantine a volta, profonde, segrete, ne sono piene ben cinque
botti. Nell’altra, tutta a scaffali come la biblioteca del signor dottore, è raccolta una
parte del formaggio dell’alpe: cinquanta forme almeno, solide, sanissime, lisce come
un bel marmo grigio.
Oggi non è giorno di festa, i clienti sono pochi e tutti del paese: tre vecchietti inseparabili, sparuti in faccia come nel borsellino, e Manfredo, un uomo sui quaranta, l’affittuario dell’alpe. Più fortunato di tutti, egli ha già pagato in anticipo quelle
forme che valgono tant’oro. È anzi lui che, alla resa dei conti, dovrà essere pagato e
strapagato. Perciò mangia e beve con meraviglioso gusto. E, avviando il solito gioco di
carte coi tre vecchietti, ride con tutti i denti, bianchi e forti fra le labbra rosee.
Ora l’uscio si spalanca e vi compare Giovanni il Parigino. Lo chiamano
così perché, come tanti altri del paese, ha passato buona parte della vita a Parigi e, solo
un pochettino, ne ha preso anche i modi e il linguaggio. È un bel vecchione, alto, ancora in gamba, pulitissimo: quasi un signore. Proprio molto ricco non dev’essere neppure
lui. Ma quassù, fra i molti poveri o poveretti del paese, più di qualunque altro sembra
in grado, se non di scialare, almeno di cavarsi tutte le voglie che gli germinano nel vasto
petto. Non gioca alle carte, lui; non beve il vino che bevono gli altri. L’ostessa lo sa, col
soffietto ravviva la brace, vi pone dinanzi una sedia, nuova. Salutati gli amici, lui è andato dritto dritto a sedercisi. L’ostessa è scomparsa, a un tratto. È scesa in cantina, ecco
che ricompare, lenta, rotonda, persino a suo modo solenne. Con una mano regge un
piatto, su di questo non è posato altro che una gloriosa fetta del formaggio bianco e
biondo dell’alpe.
Giovanni il Parigino ha soffiato lui pure, due o tre volte, nella brace. Ora,
chino un poco all’innanzi, aspetta paziente. È un uomo felice, gli pare quasi d’accingersi a un rito.
Un tavolinetto basso gli è posto accanto, delicatamente. Su di esso vengono a posarsi il piatto, un coltello e una forchettona a due denti, lunga almeno mezzo
metro.
Tutta questa cerimonia gli ha sciolto a un tratto lo scilinguagnolo.
– A Parigi ci pensavo sempre, ne avevo la nostalgia. Come nei bei negozi
vi si vendono i «marrons glacés», così noi vendevamo i «marrons brûlés». In una botteguccia presso l’Opéra, allo svolto d’una piccola via. Dopo il teatro, verso la mezzanotte
o l’una, ci capitavano a frotte gli artisti e le artiste in pelliccia. L’ultima «scena» della
giornata, non meno interessante delle altre, era di comprarsi a gara i nostri cartoccetti
IV.
Mentalità, cultura e tempo libero
88. Il gioco delle bocce a Minusio nel 1934.
3.
Cultura popolare, tempo libero, manifestazioni sportive
271
tepidi, di scaldarcisi attorno le belle manine, e poi di andare a sgranocchiare le bruciate,
innaffiandole a dovere, sui tavolinetti d’un vicino caffè. Tutto bene, per noi, anzi benissimo… Ma questo mancava (infilata sulla forchettona, accostata alla brace, la gran fetta
sta friggendo), mi mancava maledettamente. Come quei marroni ch’erano per tutti una
delizia, così pensammo d’arrostirvi anche il formaggio. Ma facemmo un bel fiasco.
Ci vuol altro! Ci vuole una brace come la tua, Mariannina. E un formaggio come il tuo,
Manfredo. Un formaggio che si scioglie presto, che fa la lagrima, fila, sgocciola…
E ci vogliono dei buoni e fidati amici attorno, e quest’aria, e questa pace.
Ritira dal fuoco quella spilungona di forchetta, in bel modo fa scivolare
il formaggio sul piatto, con il coltello comincia a levarne via, un pezzetto per volta, lo
straterello arrostitissimo, sobbollente, filante.
G. Zoppi, Il libro del granito, Firenze 1953, p. 19-23
3.11.
I giovani esploratori ticinesi
Lo scoutismo nacque in Inghilterra nel 1908, per iniziativa di Robert Baden-Powell, allo scopo di educare i giovani sul piano fisico, intellettuale e spirituale;
basato sulla vita comunitaria a contatto con la natura e su un codice morale di comportamento, si diffuse rapidamente negli altri paesi europei. In Svizzera i primi gruppi
scout furono creati nel 1912 e nel 1913 venne fondata la Federazione Esploratori Svizzeri. Dopo le prime iniziative alla vigilia della Grande Guerra, nel 1919 venne creato
il Corpo Ticinese degli Esploratori Svizzeri, trasformatosi in seguito nell’Associazione
dei Giovani Esploratori Ticinesi. Nel 1922 venne fondata l’Associazione Esploratori
Cattolici Svizzeri. I contrasti fra le due associazioni ritardarono il riconoscimento a livello nazionale dell’AEC, ammessa nella Federazione degli Esploratori svizzeri solo
nel 1926. Un grande successo dello scoutismo ticinese fu conseguito nel 1948 con il
campo nazionale di Trevano. Il campo era una delle tappe decisive nella formazione
della gioventù: assieme agli amici con cui si condividevano ideali e principi, si mettevano in pratica gli insegnamenti ricevuti durante gli incontri settimanali, lontano dall’influenza della famiglia, a contatto diretto con la natura. Il testo seguente si riferisce al
Campo Basodino organizzato dall’AEC a Cevio nel 1964, con la partecipazione di
circa cinquecento esploratori provenienti da tutto il Cantone.
«L’aria aperta è la chiave del successo; è per mezzo suo che lo scautismo
esiste. [La religione] ... è uno spirito, che quasi inconsciamente prende la vita del ragazzo
e gli dà un cristianesimo per tutti i giorni e non soltanto una religione della domenica».
Su questi due principi di Baden-Powell, fondatore dello scautismo si basa
tutta la formazione spirituale del ragazzo esploratore al campo. Il campo è il regno di
una moltitudine di attività appassionanti, che svegliano le attitudini e modellano il carattere e la personalità.
Non si può campeggiare senza un minimo di disciplina: realizzazione di
un ordine che abbia la sua bellezza e diventi un bisogno per ogni esploratore. Il campo
è il ritorno alla natura allo stato puro. Non solo come difesa contro l’urbanesimo incombente e opprimente l’anima, ma come liberazione.
IV.
Mentalità, cultura e tempo libero
«Al bimbo della città, direbbe Baden-Powell, bisogna far imparare che al
di sopra del tetto del cinema brillano le stelle». A contatto con la natura il ragazzo scopre
Dio. La contemplazione della Creazione introduce al mistero della Bellezza, che è scia
del Signore e riflesso della sua presenza. Distaccato momentaneamente dai genitori, dai
comodi di una vita borghese, il ragazzo, quando la notte incombe e il fuoco del bivacco
va spegnendosi, sente il bisogno di appoggiarsi a Qualcuno, all’Unico che lo possa sostenere. E in quel momento avrà la possibilità di una percezione quasi fisica di Dio.
Perché la religione del ragazzo non può essere solo una religione della
domenica – limitata ad una pratica settimanale per poi essere dimenticata col rientrare
nelle sue abitudini più o meno profane – ma deve impregnare tutta la vita, il centro del
campo è costituito dall’altare. I ragazzi costruiscono loro stessi l’altare. Basta un minimo di direttiva e di suggerimenti per realizzare non solo una costruzione artistica secondo i canoni dell’arte del bosco e religiosa secondo i canoni liturgici, ma esprimere
un vero atto di fede e di amore.
Giornale del Popolo, 31 luglio 1964
3.12.
Centri autogestiti e musica giovanile
La contestazione giovanile, nata nei campus universitari americani, dilagò in tutta Europa nella primavera del 1968. Anche la Svizzera italiana ne fu contagiata con l’esperienza degli studenti della Magistrale. Le aspettative di palingenesi culturale e sociale furono in gran parte deluse, nonostante il ripetersi di manifestazioni di
protesta anche negli anni seguenti. Il fenomeno rappresentò un momento di rottura nella storia sociale del Novecento: modificò i gusti, le mode e i comportamenti della popolazione, in particolare dei giovani. Tra le rivendicazioni, che però non trovarono una
risposta definitiva e che più o meno regolarmente si ripresentano, vi fu la richiesta di
spazi adatti per manifestazioni autonome. Il primo testo (doc. A), ricavato da un dattiloscritto dei protagonisti stessi, fa riferimento a un esperimento tentato dai giovani locarnesi nella primavera del 1971. Il secondo (doc. B) è invece un articolo, apparso in
Diario e/o Tazebau, un inserto curato da un gruppo di giovani e pubblicato da un quotidiano ticinese; ci presenta alcune tendenze in fatto di gusti musicali delle generazioni
più giovani all’inizio degli anni Ottanta.
Documento A
Dopo dieci giorni di apertura del cantiere si può fare un primo consuntivo: le attività di costruzione previste procedono con una certa lentezza; il tempo si è dimostrato finora veramente inclemente e le persone disposte a lavorare o che hanno il
tempo per farlo non sono molte. È anche vero che non siamo veramente capaci di assumerci delle responsabilità (e, indipendentemente da quali che siano le cause di questa
realtà, il cantiere è nato anche e soprattutto per ovviare a questo).
Un altro problema non immediatamente risolvibile è quello di stabilire
un rapporto corretto tra i giovani e gli animatori che partecipano alle varie attività (le
motivazioni che li hanno spinti a partecipare al cantiere sono tra le più disparate). Un
rapporto che dovrebbe essere di «comunicazione», di «comprensione», di «umanità».
3.
Cultura popolare, tempo libero, manifestazioni sportive
273
Ma insomma, è alla ricerca di queste cose che lavoriamo (e in questo senso ci pare estremamente positivo e non negativo, come qualcuno ha scritto, il crearci
dei problemi).
Le attività, gli atelier bricolage e costruire funzionano regolarmente con
una forte partecipazione di giovani e giovanissimi. L’atelier musica e canto ha pure molto successo. Ma su questi ci soffermeremo in seguito; si può notare, velocemente, che
la musica, e la musica pop in modo particolare, risponde a una forte esigenza dei giovani, che – però – spesso, si pongono nella posizione di puri e semplici «consumatori»,
anche se la qualità dei brani ascoltati non è delle migliori.
Il forum: «esperienza di fede». È questa l’impostazione del servizio religioso ecumenico che ogni domenica si tiene al cantiere alle ore 20.30. La prima domenica è stato piuttosto una messa cattolica con partecipazione attiva del pastore protestante, poi, dopo un ripensamento concordato tra i due catechisti della magistrale
P. Andrea e P. Callisto e lo stesso Pastore Gugolz, e per intervento della autorità diocesana, si è deciso di restare nell’ambito di una celebrazione della parola su tema prefissato. Domenica scorsa oltre 200 giovani hanno partecipato a questo servizio, impegnandosi a riflettere, ascoltare, pregare e discutere sul tema della «fede», nel desiderio di
comprendere cosa vuol dire oggi credere e come è possibile tradurre in pratica una fede
purtroppo ridotta a ragionamento, a tradizione, a ritualismo, a superstizione. Il servizio
religioso a qualcuno potrà sembrare un tentativo provocante per superare formalismi in
voga in questo campo, i giovani che vi hanno partecipato sembra che lo ritengono una
utile esperienza per ritentare a credere.
Ma il «Forum» ha ospitato altre iniziative interessanti, con contenuti direttamente riferentesi al «sociale».
Un dibattito sul tempo libero, un film seguito da discussione di grande
attualità per i giovani che lavorano nel cantiere: «Kravall» di Jürg Hassler. Un film sugli
avvenimenti che hanno caratterizzato la lotta dei giovani zurighesi per l’ottenimento di
una «casa per giovani».
Ma anche sul Forum ritorneremo.
Ora, per finire, alcuni avvisi.
A partire da oggi il Forum sarà messo a disposizione di tutti quei gruppi,
organizzazioni, scuole, persone che abbiano da proporre qualcosa. (Per es. cosa si oppone
a che gli studenti tengano qui le loro assemblee? Qui c’è spazio… almeno per un mese).
Chi è interessato può rivolgersi direttamente alla segreteria del cantiere.
Attività già previste:
Forum: sabato 8 maggio ore 20.30 un gruppo di studenti di Losanna presenterà un nuovo progetto sulle borse di studio.
Tutte le domeniche: culto ecumenico ore 20.15.
Mercoledì 12 maggio il teatro informazione presenta L’eccezione e la regola di Bertoldo Brecht.
Giovedì 13 maggio: il gruppo teatro del cantiere organizzato da Gerold
Meyer presenta: Bottega di Bambole ore 20.00
Nella tenda teatro è possibile improvvisare rappresentazioni. Nelle tende
bricolage e costruire si propongono lavoretti ricreativi.
Comunicato stampa numero uno del cantiere della gioventù, Locarno, 4 maggio 1971
IV.
Mentalità, cultura e tempo libero
Documento B
L’arte è cultura se è espressione, se è rappresentazione della realtà. Anche la musica è espressione, a patto che in essa ci sia il tentativo di raffigurare uno stato
d’animo, una situazione che può essere personale o collettiva.
Tutti conosciamo la malinconica solitudine di un Vecchioni che ci parla
di sé, spesso attraverso riferimenti storici; che ci porta a pensare a una vita fatta di sensi
di vuoto, di nostalgia per quei valori che inconsciamente noi stessi avevamo voluto dimenticare. Oppure pensiamo a un Guccini, che con le sue descrizioni nude e crude della
realtà risveglia in noi la rabbia, il cinismo, lo spirito di contestazione.
Cultura non significa solo storia o politica, può essere una semplice anche se profonda ricerca di se stessi, dei propri sentimenti più nascosti: avete mai provato a lasciarvi trasportare dall’effetto psichedelico di «Shine on you crazy diamond», il
celebre brano quasi interamente strumentale dei Pink Floyd. È una musica che riesce a
toccare i nostri punti più deboli, quelli che a volte ci fan pensare «ma non è che io sia
pazzo?». Naturalmente bisogna saperla ascoltare con partecipazione, con piena accettazione delle sensazioni che ne scaturiscono.
Sempre a proposito di Pink Floyd si potrebbe citare il discusso e criticato
album «The Wall», da molti definito semplicemente commerciale. In verità si tratta di
un disco che va ascoltato e capito: e può farlo anche chi di inglese ne sa ben poco, perché
la musica riesce a esprimere da sé la corruzione della società e il muro che circonda
ogni individuo isolandolo dagli altri.
A volte abbiamo anche una forte carica vitale da far uscire, e allora perché non affidarci alle note di un Bob Segar, di un Joe Cocker, o più nostalgicamente di
un Elton John? Sono tutti personaggi diversi tra di loro, ma con una caratteristica in comune: hanno la musica nel sangue, la fanno secondo quello che sentono loro. Per la nostra aggressività invece avremo sempre l’indimenticabile rock dei Deep Purple, dei
Jethro Tull, dei Led Zeppelin. E per sentire i brividi sulla pelle in un momento di confusione, niente di meglio di «Epitaph» dei King Carson…
Musica per tutti, si potrebbe dire musica che se ben distinta da certi scarabocchi incisi su vinilite ci sa regalare quello che molto spesso tra i nostri simili non
riusciamo a trovare. Ma forse il vero valore della musica è un altro: è l’aiutarci a scoprire i lati più nascosti di noi stessi, in fondo i più determinati per il nostro modo di vivere. In conclusione, la musica è la nostra cultura.
L’Eco di Locarno, 20 novembre 1982
3.13.
L’evoluzione dei rapporti tra i sessi
Verso la fine degli anni Sessanta, cominciarono a cambiare in modo
radicale i comportamenti sessuali della popolazione e in particolare dei giovani. Per
l’impreparazione di molti genitori, si pose il problema dell’educazione sessuale dei
preadolescenti e la creazione di centri di consulenza per le coppie. Dopo le esperienze
pionieristiche dei cantoni romandi, nel 1971 l’educazione sessuale cominciò a diffondersi nella scuola dell’obbligo anche in Ticino: le prime iniziative nelle scuole elementari suscitarono le reazioni degli ambienti conservatori e provocarono interventi re-
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Cultura popolare, tempo libero, manifestazioni sportive
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pressivi delle autorità. Anche i primi centri di consulenza sulla regolazione delle nascite furono aperti negli anni Settanta. In generale le Chiese protestanti approvarono
il controllo delle nascite, mentre la posizione ufficiale della Chiesa cattolica fu più restrittiva: lo scopo del matrimonio rimaneva la procreazione e potevano essere tollerati
soltanto i metodi cosiddetti naturali di regolazione delle nascite. I due testi seguenti evidenziano il grande cambiamento di mentalità verificatosi nel corso del Novecento nel
nostro cantone. Nel primo brano (doc. A), Isolina Panscera di Brione Verzasca, classe
1901, è stata intervistata da Franco Binda il 5 gennaio 1980. Il secondo brano (doc. B)
è ricavato da una pubblicazione curata da un ente di animazione e di consulenza, Comunità familiare, fondata nel 1971.
Documento A
Perché non mi sono mai sposata? Io non ne avevo voglia, eravamo già in
pochi e io ero sempre insieme alla mamma e mi sarebbe rincresciuto troppo, avevo la
comodità (N.d.R., l’occasione, il pretendente), ma mi rincresceva troppo lasciare i genitori. Ho avuto occasione più di una volta e di due, pissée ca sèma e ca dó. Se venivano
anche qui a trovaa i tosai? Sì e talvolta litigavano, stavano delle ore a taronèe, giravano
in tutte le case perché a quei tempi in tutte le case c’era gente. Stavano lì tutta la sera e
quando si era stufi si invitavano ad andarsene, o se gh’insegnèva èr pòrta, quelli che
non erano troppo noiosi si lasciavano stare, ma intorno a mezzanotte si aveva anche bisogno di riposare e gli si diceva di andare a casa. Si combinavano matrimoni con quel
sistema? Sì, non era pubblico come ora… Erano giovanotti del paese, non come adesso
che vanno da una estremità all’altra, stanno poi insieme poco adesso, poi molti si separano, is dispagna, invece una volta poteva capitare qualsiasi cosa, li separava solo la
morte. Anche qui in Osola venivano i giovanotti, anche in questa cucina e giuocavano
a carte. Alla morra non si lasciavano giuocare perché facevano troppo baccano e magari qualcuno era già a dormire. Se era necessario il permesso del pà? No, anche se non
c’erano i genitori potevano venire, ma se c’erano i genitori talvolta non entravano. Del
resto la mamma c’era quasi sempre perché o cuciva o filava, non ci lasciava molto da
soli, perché el lavréri de cà bisognava farlo di notte. D’estate al tempo delle ciliegie
qualche volta la domenica si radunavano a cantare, i fèva di bei cantóni, sotto i ciliegi,
anche al bosco cantavano.
F. Binda, I vecchi e la montagna, Locarno 1983, p. 141
Documento B
Un’azione per la pianificazione familiare, per noi ha come obiettivo, non
la «limitazione» delle nascite, bensì la regolazione delle stesse, affinché:
1. la coppia goda di un’armonia sessuale attraverso il piacere che l’attività
sessuale procura, libera dal condizionamento e dalla paura di una nuova gravidanza;
2. la coppia possa rispondere più coscientemente ai propri doveri di paternità e maternità responsabile.
Secondo noi è importante insistere sul primo obiettivo, perché, almeno
nel nostro paese, dove i problemi demografici non sono esplosivi, se non puntiamo sull’armonia coniugale, non faremo un’azione efficace per offrire alle coppie un valido aiuto, sia come maturazione personale, sia come apertura sociale (verso i figli e verso la so-
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Mentalità, cultura e tempo libero
cietà); in questo senso un discorso sulla pianificazione familiare è un discorso politico.
Proprio perché il discorso sulla contraccezione è un discorso liberatorio del piacere sessuale, è carico di emotività. Esso sarà accettato – e la contraccezione sarà presa in considerazione dalla coppia:
a) secondo il significato che la stessa contraccezione avrà, per la donna, per
l’uomo, per ambedue i membri della coppia, i quali, su questo, come su tanti altri problemi, sono condizionati dalla cultura sociale in cui vivono. Perciò, il primo compito
per un discorso valido sulla contraccezione sarà quello di una chiara informazione sul
significato e la funzione della sessualità umana.
b) Sarà inoltre importante offrire alle coppie delle concrete possibilità di risolvere i propri problemi attraverso terapie tanto più profonde quanto più i problemi lo
esigono. Come vedremo, esiste piuttosto il rifiuto che non l’ignoranza sui contraccettivi, rifiuto determinato da paure quasi sempre inconsce.
c) Infine è indispensabile mettere a disposizione delle coppie dei servizi
dove, con il consiglio di un medico, possano scegliere quel metodo anticoncezionale
più rispondente alla struttura psicofisica delle persone.
Per questo, un’azione per la pianificazione familiare per noi deve comprendere necessariamente:
1. un’azione di educazione sessuale nel senso più profondo della parola;
2. l’istituzione di consultori in cui la coppia possa rivolgersi per i propri
problemi;
3. la creazione di istituti specializzati o gabinetti ginecologici attrezzati per
l’esame medico, sia dell’uomo come della donna. [...]
La scoperta e la divulgazione degli anticoncezionali ha favorito l’emancipazione femminile e ha contribuito a mettere in discussione i ruoli all’interno e all’esterno della coppia. Ora, ogni emancipazione e liberazione è fonte di paura:
– per chi si emancipa e libera perché teme di non saper gestire la nuova libertà acquisita, soprattutto se a questa gestione non è stato educato;
– per chi si vede defraudato dalla funzione protettiva della persona che si
emancipa perché perde di importanza e di autorità. In questo caso è evidentemente
l’uomo. [...]
Questa proposta per un’azione in favore della pianificazione familiare,
a Comunità Familiare sembra avere alcune note positive, quali:
– il fatto di coinvolgere in un’azione comune delle istituzioni già esistenti,
prima di crearne delle nuove, valorizzando ciò che già c’è, pur con gli opportuni perfezionamenti,
– il problema della pianificazione familiare è visto, nella nostra proposta,
nella sua globalità: non solo come problema di informazione o come problema medico,
ma come problema più complesso che tocca tutto l’uomo, la sua vita fisica, psichica,
culturale.
– se domani la legge prevedesse dei Centri per la consultazione in caso di
richiesta di aborto, con le strutture da noi proposte, il Cantone si sarebbe già organizzato. Infatti, la contraccezione e l’aborto sono due problemi intimamente connessi, più
una è accettata e praticata, meno l’altro è richiesto. Se al Consultorio di Lugano, nessuno ha mai direttamente posto il problema contraccettivo, molte sono state le consultazioni in merito al problema dell’aborto.
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Cultura popolare, tempo libero, manifestazioni sportive
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89. a-b La pratica dello sci: dalle prime strutture artigianali (Airolo, fine anni Trenta) ai moderni impianti di risalita (Bosco Gurin).
IV.
Mentalità, cultura e tempo libero
Uno o più centri per la pianificazione familiare e uno o più centri di
consultazione in caso di aborto, tenuti separati, sarebbero un controsenso.
Comunità familiare. Bollettino d’informazione, Lugano, n. 19, 1975, p. 10-15
3.14.
Scampagnata domenicale in valle
La crescita economica dei primi decenni seguiti alla seconda guerra
mondiale ha svuotato le valli ticinesi a beneficio dei centri ed ha attirato un numero
elevato di stranieri in cerca di lavoro. Il benessere materiale, la motorizzazione privata
e la disponibilità di tempo libero hanno trasformato anche le abitudini della popolazione urbana, ricreando una sorta di transumanza al contrario con la ricerca di rustici da
trasformare in residenza secondaria o almeno di un pezzetto di verde dove trascorrere
la domenica. Lo scrittore valmaggese Plinio Martini (1923-1979), nel suo romanzo breve Requiem per zia Domenica, esprime tutta l’amarezza di chi vede devastato il proprio
ambiente, presunto naturale, ma in realtà frutto delle fatiche di generazioni di contadini ormai scomparsi, dagli sprechi della civiltà dei consumi.
Ma l’amarezza prevalse un’altra volta: il pensiero dei pascoli, che aveva
conosciuto popolati di mandre e di pastori, ormai abbandonati; delle baite cadenti, dei
sentieri cancellati sotto il fitto delle faggine e degli arbusti montani. Con il chioccolare,
ancora, di qualche rara pernice bianca che nei lunghi mattini sposta la sua invisibile
presenza fra i mirtilli dei pascoli alti chiamando la covata, suono gentile in quelle abbandonate solitudini.
Per contro, il fondovalle invaso dalle auto, grosse Mercedes e petulanti
seicento, o millecento, che sembrano piccole, ma sono pronte, dove si fermano, a scodellare parti settigemini con scatto di portiere e latina esplosione di richiami vocalizzi
strilli: «A l’è püsee bel scià chí»; «Salvadóo! il cavaturacciolii!»; le comitive, padre madre sorelle zie suocere amici e prole innocente, si lanciano alla conquista dello spazio
vitale, i maschi all’avanguardia, e dietro lo sculettamento delle chiappe femminili
arrossate dai sedili, il costume da bagno trattenendo a malapena il sovrabbondare della
pastasciutta metabolizzata in grasso, con sottofondo di varici. Con sombreri, tacchi che
di una nana fanno una trampoliera, sudori equiparati da comune fetenza di deodoranti
a buon mercato. Legioni di ombelicati divoratori di silenzio vengono, si accomodano
sui verdi tappeti rifiniti e lisciati da generazioni faticose come fossero a casa loro, distendono tovaglie, accendono bivacchi, si sdraiano, si toccano, calpestano, giocano a
palla e al volano, e poi, all’arrembaggio! vanno a scoprire il rustico sfondandone la
porta già sfondata, caso mai ci si possa ancora trovare qualche vecchia catena da camino; e quando finalmente decidono di abbandonare il campo, i fetenti, si scrollano di
dosso carte, sacchetti della Rinascente, giornali, bottiglie di plastica, tubetti vuoti, vetri
rotti, carta igienica e tamponi usati a marcare l’ubicazione esatta di ciò che hanno saputo produrre al posto delle castagne e dei funghi portati via; e magari hanno ancora il coraggio, quei lanzichenecchi, di riempire il baule di bella legna che il montanaro ha accatastato, fiducioso nell’onestà altrui, ai bordi del suo gerbido. Marco immaginò una bella
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organizzazione valfondese con affilatissimi coltelli per tagliar pneumatici. A la guerre
comme à la guerre! Doppiette a impallinare deretani in fuga.
Si appoggiò indietro allo schienale, tirando un profondo respiro, scaricato, contento di essere d’accordo con il contadino che si portava dentro in fondo all’anima: uscito fuori, baffi e cappellaccio, a urlare contro chi gli calpesta l’erba, sporca il
prato e spaventa il bestiame.
Ma gli venne pure in mente che quell’invasione dal sud che si sommava alla nordica, precedente e meglio accetta perché più ricca e meno rumorosa, era di milanesi comaschi varesotti e diseredati terroni che il capitale svizzero aveva attirato nella trappola delle fabbriche per frontalieri, e che magari a furia d’inchini al padrone e di piccoli
intrallazzi erano finalmente riusciti a salire quel primo gradino nella scala dei valori borghesi: l’utilitaria e il picchenicche o vichende in mezzo al verde sognato fra il baccano
delle bielle e dei trapani, compressori martelli pneumatici sirene. E fumo a intasare i polmoni. È giorno di festa, si mangia e si beve! Si gettano via le scatole di acciughe con il coperchio arricciato e dentro il sugo a marcire, gli avanzi del pane e del salame nei posti dove generazioni di miseria hanno consumato a pezzetti anche le croste di formaggio. (E le
donne raccogliere nel grembiule le briciole, e tre colpetti dell’indice, finito il pasto, a farne un mucchietto da prendere a pizzico e portare alla bocca…) Perduta la calcolata parsimonia che era stata una misura di vita simile a quella dei camosci, confronto con la
montagna imperturbabile; perduto il patrimonio di silenzi che aveva guardato la sua adolescenza. Perduto per sempre, Marco, e con chi te la vuoi prendere?
P. Martini, Requiem per zia Domenica, Milano 1976, p. 56-58