Untitled - Liceo Scientifico Statale Leonardo da Vinci
Transcript
Untitled - Liceo Scientifico Statale Leonardo da Vinci
Lettori, cari lettori… Per fortuna ma purtroppo anche la fine di quest’anno è arrivata. Avevo sempre immaginato il termine della quinta come il momento in cui avrei festeggiato per lasciare queste 4 mura grigie. Basta compiti in classe, basta interrogazioni e studiate dell’ultimo minuto prima dell’ingresso del prof. Basta sperare di esser graziati dalla sorte. E invece no: tutto questo ha un sapore che in fin dei conti è dolce e che mi mancherà e mancherà a noi che quest’anno vi lasciamo (per vostra immensa fortuna grandi rompiscatole del mio calibro o dello spessore della vice spariranno dai corridoi del liceo). I ragazzi della redazione sono stati fantastici. Tutti. E quest’anno più degli altri: ridendo e scherzando siamo riusciti a creare ottimo materiale questa volta come le scorse (naturalmente escludendo i miei articoli!) e abbiamo battuto ogni limite umano, uscendo quasi ogni mese e trattando da temi caldi ai più classici evergreen. Grazie a tutti gli scrittori e grazie a tutti i disegnatori. Un bacio affettuoso alla Fiorenza che è sempre disponibilissima ad aiutarci con lo “stampaggio”. Grazie alla professoressa Ragusa che ci aiuta nella revisione dei millemila testi da controllare e un abbraccio alla preside, che tanto ha fatto e poco ha chiesto in cambio, venendoci INcontro più e più volte. Ma soprattutto grazie a voi che con il vostro occhio critico ci seguite, ci correggete e ci aiutate a costruire un giornale migliore. Buon lavoro alla redazione di settembre… Mi mancherete Il Direttore 2 INDICE Saluti 03 Carissimi lettori e compagni di scuola... 04 L’ultimo articolo 06 07 09 12 13 Giusto momento per riflettere L’Italia fa scintille in Libia Wikileaks: vantaggio o danno? Incontro con Laura Boldrini La società d’oggi Cosa Nostra, istruzioni per l’uso Mondo giovani 14 Intervista ai rappresentanti d’Istituto 17 L’arcobaleno sulle mani 18 Meglio zappare o studiare? 19 Cronache di Cerere 5 20 A cena dal conte! 22 Sfumiamo i dubbi! 23 The ward - Il reparto Nerdzone 24 Arthas: Rise and Fall of the Lich King 26 Killing Floor 27 Death Note Giochi 28 Occhio all’oggetto 29 Sudoku Incontro Carissimi lettori e compagni di scuola... Carissimi lettori e compagni di scuola, Anche quest’anno scolastico sta scorrendo via e mancano davvero pochi giorni al bramato nove giugno. Ovviamente siamo tutti stanchi e oberati dagli ultimi compiti e interrogazioni, ma facciamoci forza, il traguardo è vicino! In questo mese denso di progetti e attività non abbiamo dimenticato gli appuntamenti a teatro con le compagnie della scuola, eccezionali e professionali, che hanno regalato degli spettacoli divertenti e speciali, mettendo in luce il loro impegno e la loro bravura. Come potete notare non vi abbiamo abbandonato, abbiamo scelto di scrivere e disegnare ancora una volta per voi: ecco un nuovo e ultimo giornalino. Raccoglie come sempre i frutti del nostro lavoro, che, credetemi, è sincero e appassionato. Non pensiate che sia un prodotto realizzato per pochi e da pochi, è un giornale in cui regna la democrazia, fidatevi, in cui si accettano nuovi collaboratori e in cui ognuno può esprimere le proprie idee. Consideriamo di avervi proposto argomenti interessanti e molti spunti di riflessione durante l’anno, speriamo di non avervi tediato mai. Certo è che la nostra produzione è giunta purtroppo al termine. Ora si prospetta per la maggior parte degli studenti un periodo di relax completo, all’insegna dell’abbronzatura e della nullafacenza totale sul divano, riposo agognato e decisamente meritato… Nel frattempo quei poveri vecchi di quinta sosterranno l’Esame, giocheranno la finale del campionato della vita liceale, cercando di sopravvivere al tremendo caldo e allo studio, tra tesine e prove scritte. A chi chiuderà i libri per riaprirli fra tre mesi auguro un’estate meravigliosa, con il motto “carpe diem”! Invece a chi studierà ancora per un po’, faccio un “in bocca al lupo”, affinché questo percorso davinciano termini nel migliore delle proprie possibilità e abilità. Colgo l’occasione per ringraziare chi ci ha letto in questi mesi, chi ha collaborato con noi, chi ha avuto fiducia nella redazione, permettendole di scrivere e disegnare liberamente. Grazie anche a chi ci ha criticato, perché ha dato l’impulso a migliorare. Un enorme e affettuoso ringraziamento ai membri stessi del giornale, che hanno saputo gestire l’impegno e hanno condiviso idee, sogni, ilarità, con uno spirito sempre sorridente. Non siamo solo una semplice redazione, siamo un gruppo di studenti che hanno saputo conoscersi nel bene e nel male. Desidero ringraziare tutte queste persone, non solo perché so che hanno svolto un ottimo lavoro, ma anche perché questa mia lunga esperienza si sta concludendo. Sono giunta al traguardo finale come tanti altri, con soddisfazione e un pizzico di tristezza. Non so quanti studenti leggano effettivamente le nostre pagine, quanti facciano solo i sudoku del direttore, quanti colorino innocentemente i disegni... non importa, voglio dirvi che sono felice e onorata di aver fatto parte dell’INcontro, di aver scritto recensioni ed articoli per il nostro liceo. Vi consiglio, ormai per il prossimo anno, di far parte di questo progetto giornalistico, perché ne vale davvero la pena! A voi si presenta la possibilità di scoprire i vostri talenti e avere il coraggio di non essere passivi, ma di liberare il vostro pensiero e comunicarlo agli altri. È difficile per me salutare e abbandonare la nave, ho sempre cercato di impegnarmi e dare il mio contributo, buono o cattivo. Grazie a tutti, anche a te Enrico, grande Capo, che hai saputo brillantemente dirigerci e hai voluto avermi sempre al tuo fianco, alla pari, per collaborare insieme, come noi due sappiamo fare. Non mi resta che augurare a chi rimane di fare sempre il meglio, di saper gestire un giornale, che non è solo l’insieme graffettato di pagine stampate, ma è il mezzo speciale con cui la nostra giovane e libera identità si può esprimere. Giorgia Bincoletto 5° N 3 L ’ultimo articolo. Ultima volta che arriverà una mail in ritardo nella casella di posta elettronica del direttore da parte mia: il rischio di non essere pubblicati dà una scarica adrenalinica immancabile da cinque anni a questa parte. Forse nessuno di voi leggerà queste ultime righe perché sono arrivate decisamente in ritardo e tutto sommato nessuno di voi ne sentirà la mancanza (-e invece no cara Eleonora, grazie al tuo SAN Direttore, ndr-) . Tanto meglio. Non voglio vedere le lacrime che scendono lungo le vostre gote mentre io mi accingo a salutare il giornalino Incontro. Sigh, sigh, sigh. Il prossimo anno spero di non essere più parte della redazione, qualcuno me lo augura sia nel bene sia nel male, ma desidero ardentemente che sia arrivato anche per me il momento di levare le ancore e salpare verso nuovi lidi, ne ho un bisogno vitale. In un tiepido pomeriggio del 2006, sono entrata alla mia prima riunione di redazione, con tra le mani, un foglietto che avevo trovato in classe. Paura, terrore di confrontarmi con i più vecchi, gli anziani del gruppo, la figura mitica della prima direttrice e della vice, io ero una piccola ed indifesa studentessa di prima senza la più pallida idea di come fosse lo scientifico ma con un'adorazione per quel labirinto di corridoi, che ancora nascondevano tante sorprese: chi di voi non si è mai perso per i piani aggiunti o tra i laboratori? Missione ardua uscirne, soprattutto a causa degli effetti di qualche composto chimico bruciacchiato sui fornelli Bunsen a chimica, quel profumo di uova marce ha un non so ché... Tornando a noi, la redazione è stata la porta che mi ha aperto ad un nuovo modo di 4 vedere le cose, una visione rinnovata e un po’ più consapevole. Lì tra i giovani, attivisti o meno, ho sentito per la prima volta parlare delle bagattelle tra forzanovisti e centrisociali, che a Peppone e Don Camillo di Guareschi facevano un baffo; quante discussioni sulla politica o pseudo-politica degli inesperti, che tentavano di portare avanti le loro idee ma alla fine si barricavano dietro posizioni assurde. Io li ammiravo, ammiravo soprattutto chi nei suoi articoli riusciva a difendere le proprie posizioni con efficacia: di quegli stessi scritti si dibatteva in alcune classi, nascevano accese polemiche sulle idee proposte, arrivavano articoli di risposta, insomma, era un'esperienza di fuoco e altamente formante partecipare alla creazione di così tante idee, una vera fucina! Con il senno di poi, mi sono resa conto che magari non era una tale idillio: spesso si arrivava a pubblicare le edizioni in ritardo, mancavano articoli, disegni, alle riunioni successive la quantità di gente diminuiva, a lavorare erano sempre gli stessi, l'unico momento in cui si richiamavano le persone all'ordine era per la graffettazione... però non avrei mai rinunciato a partecipare alle riunioni pur di assistere ai tornei di pingpong sui tavoli della biblioteca, oppure ai cineforum di altissimo livello intellettuale con la visione di film dal titolo "Grrrr", quando ormai la pubblicazione era in stampa e non c'era molto altro da fare che rilassarsi. A parte ciò le mie parole vi sembreranno abbastanza melense e chi mi conosce starà pensando che sto raccontando qualche bugia. Ammetto che non sempre ho fatto il mio dovere nel senso classico del termine nell'ambito giornalistico, il mio incipit lo conferma, però spero di aver fatto qualcosa che in futuro potrà essere utile. Molti di voi nel loro profilo di Facebook avranno un certo Giornalino Incontro, una presenza stressante in alcuni momenti della giornata, soprattutto quando compaiono una decina di notifiche di suoi post tutte di fila. Se volete ringraziare qualcuno per avervi intasato la home, ora avete una persona in carne ed ossa a cui rivolgervi. Il profilo di Facebook è solo uno degli step che hanno portato il giornalino ad un suo rinnovo sotto il punto di vista digitale da due anni a questa parte: ora c'è una mail, a cui tutti gli studenti possono inviare le loro idee, i testi, poesie e disegni; la redazione è presene sul maggiore social network con quasi 4000 amici, con una minima rassegna stampa di ciò che accade a scuola e soprattutto tutti gli articoli delle edizioni stampate così, se il vostro compagno di banco vi ha soffiato l'ultima copia, su Fb potrete leggere tutto senza perdere nulla. Se proprio morite dalla voglia di scorrere tutte le vecchie edizioni, abbiamo una pagina web anche per coloro che non sono ancora maniaci dei social network (per loro fortuna) su alboscuole.it grazie ad una collaborazione con la Provincia di Treviso. E’ già il secondo anno che partecipiamo al Convegno Italiano di Stampa Studentesca a Perugia, nell'ambito della settimana del Festival del Giornalismo Internazionale; anche quest'anno abbiamo presenziato portando la nostra esperienza, pronti a confrontarci e metterci in gioco con redazioni provenienti dai maggiori licei italiani. Abbiamo conosciuto tante persone interessanti, giovani appassionati di giornalismo e di "editoria" quanto o più di noi, qualche musicista, disegnatore, poeta, creativo o più semplicemente casinista. Voi non ve ne sarete assolutamente accorti ma qualche idea utile l'abbiamo carpita dagli altri pure noi: la special edition per le elezioni d'istituto, il discusso ritorno al formato A4, poi voi non avete idea delle diatribe che sono nate per l'eliminazione dell'oroscopo (peraltro era uno dei momenti topici della scrittura di redazione) o per le proposte di stampare al di fuori della scuola. Questioni pratiche che portano alle più alte divagazioni su cosa sia e quale sia lo scopo dell'informazione, come debba informare un giornalino d'istituto, se debba essere di spessore culturale o può rimanere un po’ superficiale su alcuni temi, ecc. Tutte piccole questioni "quotidiane" che determinano un buon inizio per poi affrontare quelle un po’ più complesse della vita adulta. Potrei anche dirvi che partecipare all'esperienza del giornalino d'istituto può essere un buon modo per esercitarvi nella scrittura e migliorarvi (alcune eccezioni -io- confermano la regola) ma il giornalino è soprattutto un luogo della libera espressione delle idee degli studenti, non serve avere 8 o 9 in italiano per essere presi in considerazione, non c’è alcuna discriminazione in base alla media scolastica. Le parole che ho scritto finora sembrano un manifesto tentativo di fare proselitismo: lungi da me! (anche se non mi dispiacerebbe avervi messo un po’ la pulce nell'orecchio). Questo voleva essere un "in bocca al lupo" per chi porterà avanti e per coloro che in futuro, per passione o anche solo per dare una sbirciatina, entreranno nella redazione di Incontro. Non fatevi sfuggire l’occasione! E seguiteci su FB! Follow us on Fb! J www.facebook.com/ incontrodavinci www.alboscuole.it/107003 Eleonora Porcellato 5° C 5 L’Italia fa scintille in Libia Nel mese di febbraio molte nazioni dell’Africa settentrionale e dell’Asia minore sono riuscite, attraverso rinnovamenti tanto pacifici da fare invidia alla stessa Glorious Revolution, ad ottenere una possibilità di riscatto da una vita difficile e oppressa da regimi autoritari o finte democrazie. In alcuni però la violenza del vecchio potere dittatoriale non ha stentato a farsi sentire ed è così che ad esempio in Libia e Siria si hanno continue, costanti e maledettamente sanguinose repressioni di iniziative, manifestazioni e boicottaggi per dirne alcune, che in qualsiasi stato “occidentale” sono classificabili come normali e pacifiche. In particolare la situazione in Libia degenera in una vera e propria guerra agli insorti che la comunità internazionale denuncia con la risoluzione 1970, il 26 febbraio. A poco serve però porre sanzioni internazionali e così il 17 marzo successivo è approvata la ben più nota risoluzione 1973: istituzione di una no-fly zone, richiesta di un cessate il fuoco immediato e rafforzamento dell’embargo già attuato precedentemente. Due giorni dopo la Francia apre le danze iniziando a bombardare l’esercito regolare libico che stringe d’assedio gli insorti di Bengasi. La confusione nelle giornate a seguire viene risolta il 25 marzo con il passaggio del controllo delle operazioni alla NATO e parte la missione Unified Protector. In Italia però non tutti sono contenti e le posizioni stesse del governo sono piuttosto ambigue: Berlusconi all’inizio non vuole “disturbare nessuno” anche se è parecchio preoccupato “per quello che potrebbe accadere a noi se arrivassero tanti clandestini”. Successivamente si opta per l’ignava soluzione di mezzo e l’Italia mette a disposizione della direzione del Patto Atlantico alcuni velivoli di tipo F 16, Tornado ed Eurofighter, con lo specifico utilizzo logistico: se qualche radar antiaereo nemico entrasse in funzione la marina militare lo farebbe abbattere. Il 25 aprile qualcosa cambia e, dopo una telefonata del Cavaliere a Barak Obama, il Bel paese entra a tutti gli effetti in guerra, con il pieno uso di bombe o razzi guidati che dir si voglia. Disastro: frammentarietà ovunque, a destra e a sinistra, con la Lega che dice No perché non vuole un aumento delle immigrazioni e Idv e Sinistra ecologia e libertà che a gran voce par- 6 lano di pacifismo e anti-interventismo. E i ribelli? Eh si, perché dietro a quelle belle parole e alla bandiera arcobaleno (che se non è già stato fatto, verrà presto ostentata da qualche perbenista) si cancella la speranza dei dissidenti, oppressi dalla “guida della rivoluzione socialista libica”. Giorgio Napolitano non ha esitato a sostenere l’iniziativa del governo, che si trova “dinanzi a un nuovo prorompere delle istanze di libertà e di giustizia in regioni a noi vicine”. L’Italia non deve abbandonare in balia del suo destino chi chiede che vengano rispettati i diritti sanciti dalla Dichiarazione Universale del ’48. L’Italia non può coprirsi di una tale macchia, ha già sbagliato in passato ad allearsi con il dittatore assassino e filo-terrorista Gheddafi. Dimenticare chi muore ogni giorno per strada, ammazzato dai colpi vergognosi di coloro che sostengono il Mu’ammar, non è la scelta giusta: 2 bei prosciuttoni sugli occhi che nascondano la realtà dei fatti sono tanto belli (e buoni soprattutto!) quanto inutili per qualsiasi soluzione. Occorre accettare che siamo paradossalmente in guerra per la pace. La tecnologia ha fatto passi da gigante negli ultimi decenni ed esistono ordigni che possono essere sparati da chilometri di distanza con anche soli 50 centimetri d’errore. Non si parla di sparare sulla folla colpendo tutto e tutti alla Bava Beccaris. No. L’obiettivo è proteggere i ribelli ed eliminare qualsiasi minaccia si levi contro di essi e per riuscirci non si deve esser disposti già in partenza a sacrificare una porzione di innocenti perché il fine giustifica i mezzi. Occorre essere coscienti che noi siamo andati in guerra con l’obiettivo alto di tenere a 0 il counter delle vittime civili per fuoco amico. Purtroppo non ci siamo riusciti, è vero, ma ciò che conta è che in futuro accada sempre meno che l’errore domini la scena dei conflitti contro regimi criminali perché se fossimo noi quelli barbaramente trucidati dalle truppe del colonnello, se fossimo noi a dover vivere in un regime che non garantisce libertà chiederemmo a gran voce aiuto perché meritiamo di più. “E’ doveroso che l’Italia faccia la propria parte perché chi cerca la libertà possa ottenerla” *Gianfranco Fini+. Enrico Biscaro 5° M Wikileaks: vantaggio o danno? Negli ultimi mesi il dibattito su Internet e sui mezzi di comunicazione online si è essenzialmente sviluppato attorno al tanto nominato “Wikileaks”, al suo modello e alla sua “mission” di svelare ogni segreto con una trasparenza assoluta, soprattutto in campo politico economico. Ma che cos’è esattamente wikileaks? Si tratta di un'organizzazione internazionale che, attraverso il proprio sito, mette in rete documenti top secret impegnandosi di verificarne l'attendibilità prima della pubblicazione online. Il materiale viene infatti fornito da mittenti anonimi, per poi essere protetto con un sistema di criptaggio. Il sistema di gestione dati, l'anonimato degli informatori, di tutti coloro che sono impegnati nella divulgazione di notizie e degli stessi finanziatori è gestito tramite il server del sito situato probabilmente in Svezia, uno dei pochissimi Paesi in cui sia consentita una simile politica. Wikileaks imita la politica partecipativa di Wikipedia ma, a differenza dell' enciclopedia libera che agogna a diffondere un arricchimento puramente culturale, si propone di compiere una divulgazione dei comportamenti immorali da parte di governi e aziende. Ma da dove proviene questa iniziativa e chi ne è l' artefice? Il fondatore di Wikileaks è Julian Assange: Giornalista, programmatore e attivista svedese di origini australiane, noto come hacker di prima categoria. Attualmente è stato emesso un mandato di arresto internazionale nei suoi confronti, per presunti stupri, molestie e coercizione illegale. Gira voce, però, che l' accusa possa essere la contromossa adottata dai suoi antagonisti. L' esordio dell' attività di Assange e quindi di questo sito è avvenuto nel dicembre del 2006, con la pubblicazione di un documento non completamente verificato che svelava un piano per uccidere alcuni membri del governo somalo. In seguito egli ha reso pubblici materiali che riguardavano Guantanamo, la guerra in Afghanistan, la corruzione in Kenya, una possibile attività di riciclaggio della banca svizzera Julius Bär. Si è molto discussa la validità di questo sistema poiché, pur ponendosi l'obiettivo di promuovere il liberismo e la democrazia, nei fatti, ha rifiutato di distinguere i buoni dai cattivi. Assange ha dichiarato che il libero mercato rischia di finire in una situazione di monopolio se non si lavora per mantenerlo libero e che Wikileaks è nato con lo scopo di rendere il capitalismo più autonomo ed etico. Secondo l’hacker un mercato perfetto richiede un' informazione cristallina. La sua attività di documentazione di materiali riservati con lo scopo di renderli di pubblico dominio si maschera come una missione volta a diffondere la trasparenza totale, il cui fine ultimo sarebbe renderla un vantaggio per tutti. Tuttavia lui stesso si identifica come una figura ambigua: poco si conosce della sua vita se non che viva un'esistenza itinerante sempre accompagnato dal suo portatile. Inoltre la sua stessa modalità di agire non può certo definirsi trasparente e neutrale: la segretezza sui finanziatori del sito non dovrebbe essere tollerata, e allo stesso modo dovrebbero essere rese note le modalità attraverso le quali le notizie sono state ricevute. É poi doveroso considerare che al pubblico non è chiaro ciò che sta sotto un simile progetto, le minacce e i probabili ricatti rivolti ai protagonisti delle informazioni divulgate. Per quanto Wikileaks si ponga come uno strumento a favore della democrazia, la diffusione di materiali segreti ha cambiato completamente il panorama dei media se non lo stesso corso della storia favorendo forse, in qualche caso, più i regimi dittatoriali. Un eccesso della circolazione di idee e di informazioni può svelare i lati meno nobili 7 della politica, anche di quella fondata sulla democrazia. Come descrive Jean Paul Sartre nella sua commedia “Le mains sales”, anche il rivoluzionario idealista se è a capo di un movimento ha “le mani sporche fino ai gomiti”. È quindi impossibile ottenere dei risultati in politica ed accontentare una maggioranza senza attraversare qualche campo minato. Insomma: l'operato di Assange non risulta imparziale e liberale come vuol farci credere. Si è diffusa l'opinione che oggi i veri eroi della libertà non sono gli hacker che sfruttano la rete come fosse una passerella mediatica, ma i ragazzi che, nel Maghreb e non solo, usano internet contro le dittature, a rischio della propria vita. Una nobile prospettiva analoga ma allo stesso tempo in contraddizione con Wikileaks è stata lanciata da Hilary Clinton. Il segretario di stato americano ha tenuto un discorso il 16 febbraio alla George Washington University, chiedendo nuovi interventi tecnico-regolamentari per fare in modo che il web possa essere ovunque il veicolo della libertà d’espressione per il popolo. Un'importante iniziativa si aggira attorno a Twitter: la rete di micro-blog consentirebbe di stabilire dei contatti diretti con i giovani dei Paesi del Nord Africa e del Medio Oriente in preda alle contestazioni civili. Il governo americano, avendo già aperto degli account su Twitter in persiano, arabo e diverse altre lingue per poter far arrivare i propri messaggi, garantisce di crearne altri in cinese russo e hindi. “Per gli USA la scelta è chiara:- comunica Hilary Clinton - noi ci poniamo dalla parte dell’apertura. La libertà di Internet causa delle tensioni, come tutte le libertà, ma i benefici superano i costi”. Gli Stati Uniti d' America investiranno altri 25 milioni di dollari per aiutare i dissidenti online e gli attivisti in lotta che si oppongono ai regimi. La Clinton ha inoltre dichiarato durante un' intervista dell' ABC: “l’amministrazione USA intende usare i media sociali per comunicare con i milioni di persone che le utilizzano nel mondo per far arrivare direttamente le nostre proposte politiche” e ha in seguito aggiunto: “vogliamo metterci in contatto con queste popolazioni incredibilmente giovani e piene di energie che cercano di far valere le proprie aspirazioni”. Proposte e atteggiamenti molto più condivisibili della politica di divulgazione senza controllo di Assange. Se il liberalismo richiede informazione e indipendenza, la giustizia richiede che gli strumenti vengano utilizzati per scopi precisi, volti al progresso e al beneficio del popolo. Fino a questo momento gli investimenti su Wikileaks non hanno condotto ad altro che a seminare odio, consentendo a chi ne ha avuto accesso di mancare di rispetto ad altre persone, e talvolta di risultare fatali per la costruzione di una società pacifica. Giorgia Conte 2° B 8 INcontro con Laura Boldrini Lo scorso 24 marzo c’è stata la conferenza con Laura Boldrini, Portavoce dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, che ha presentato il suo libro “Tutti indietro”. Dopo un’interessante presentazione di Laura Boldrini e del volume, alcuni racconti di vita di migranti e una discussione, la Portavoce si è resa disponibile ai nostri microfoni per rispondere ad alcune domande. Oggi ci troviamo in una situazione di emergenza con un numero di migranti molto più alto rispetto ai normali flussi. Il ministro Frattini ha parlato di un esodo biblico in cui dobbiamo aspettarci trecento mila immigrati; secondo lei quali possono essere le modalità e i luoghi di collocazione per queste persone? “Siamo di fronte ad un’emergenza con un numero molto più alto di immigrati rispetto ai regolari flussi”. Sono tre anni che non ci sono più i decreti flusso in Italia, solo per le colf e le badanti sono state fatte delle eccezioni; dunque i regolari flussi erano zero. Dal 2009 c’è la politica dei “respingimenti in mare”, così i richiedenti asilo che arrivavano in Italia rischiando la vita perché giungevano via mare dal Corno d’Africa, dalla Somalia, dall’Eritrea, dal Sudan, dal Darfur non sono più potuti arrivare. Nel 2008 in Italia ci sono state 31 mila domande di asilo in linea con gli standard europei, nel 2009, l’anno dei respingimenti, ce ne sono state 17 mila, nel 2010 10 mila. Allora uno mi dice “va bene ma è facile: uno fa la domanda d’asilo poi nessuno ottiene riconoscimento della protezione”. Anche questo non è vero perché di chi rischiava la vita nel Mediterraneo prima dei respingimenti non otteneva la protezione solo il 5 o il 10%, ma lo Stato, dopo aver fatto audizioni individuali, al 50% di quelle persone riconosceva il diritto. Con i respingimenti questo non è sta- to più possibile, cioè non si arrivava più via mare, quindi è chiaro che se si fa il paragone con il 2009 (l’anno dei respingimenti) in cui, appunto, non si arrivava più via mare e non c’erano i flussi regolari delle quote del decreto flussi si nota una sproporzione. Ma quello che non si può sapere è che nel frattempo sono entrate decine di migliaia di immigranti con un normale visto turistico e sono rimasti allo scadere di questo, si stima che siano 150/200 mila l’anno. Perché fanno questo? Perché sanno che poi rimangono e trovano lavoro in nero. È più conveniente avere lavoratori in nero perché costa di meno. Dunque il decreto flussi è qualcosa che impegna di più perché significa che le persone devono essere messe in regola. Quindi, quando dico “senso critico” parlo di questo, non prendiamo tutto per buono, cerchiamo di ragionare informandoci. Rispondendo alla seconda parte della domanda dico che bisogna prepararsi, infatti si sta lavorando per questo, il governo sta attuando questo piano, ma si deve agire nell’ottica che tutti gli stati, quando ci sono delle emergenze devono far fronte alle fughe dei civili; lo fanno gli stati più poveri, molto più di quelli ricchi, quindi, quando anche questi ultimi sono chiamati in causa devono poter fare la propria parte, perché fa bene anche a noi, alla nostra umanità. Spesso le persone favorevoli all’accoglienza degli immigrati vengono ingiustamente definite “buoniste” . lei ritiene che ci sia un’evidente limite nel definire qualcuno disponibile all’accoglienza e all’integrazione degli immigranti e i cosiddetti “seguaci del buonismo”? Chi usa questo termine lo fa in modo molto riduttivo. Quando qualcuno dice “sei un buonista” non intende affermare che stai facendo la cosa giusta nell’accezione positiva, ma nell’accezione negativa perché oggi 9 va di moda “il cattivismo”, “il cattivo va per la maggiore”! I termini si stanno invertendo, come i riferimenti, quindi se si cerca di promuovere un’idea di società che sia basata sulla giustizia, sull’equità, sulla coesione allora si è un buonista, cioè è da rottamare perché non si ha capito niente della vita; al contrario se si è uno con il coltello tra i denti significa che si ha una visione. Questo è il pericolo in agguato. La questione, però, non è tra buoni e cattiva, ma tra chi ha una visione e chi no, perché chi non ne ha una pensa che il futuro sia all’interno del proprio microcosmo, chiuso per “salvaguardare le proprie origini”. Ebbene mi dispiace, noi siamo il frutto della contaminazione e nel futuro globale noi rischiamo di scomparire se non ci proiettiamo verso l’apertura. Ma per affermare questo bisogna avere le idee chiare, altrimenti a causa del pensiero unico che è dilagante ci si sente intimiditi dal dire ciò che si pensa veramente. No, bisogna assumersi la responsabilità di ciò che si afferma e non aver paura di promuovere una società basata sull’eguaglianza e sul rispetto della persona. La dignità umana è fondamentale, lo afferma la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, la carta su cui si basano tutte le democrazie. “Tutti indietro” è il titolo del suo nuovo libro, ma è anche una realtà quotidiana, quella di migranti in cerca di un rifugio e che vengono respinti in mare o nei deserti; perché, a suo parere, oggi siamo meno propensi all’integrazione? E perché c’è una minor accettazione, se non paura, del “diverso”? Anche gli italiani, però, sono stati un popolo di emigranti, che differenza c’è tra loro e gli emigranti di oggi? Se parliamo di respingimenti non parliamo di integrazione, parliamo di accesso al territorio. Fino a qualche mese fa non si consentiva l’accesso al territorio di persone spesso in fuga dalle guerre e dalle persecuzioni perché venivano rimandate indietro senza nessun tipo di identificazioni, tutti 10 allo stesso modo senza sapere il motivo per cui stavano su quella carretta del mare. Questo è accaduto perché c’è stato un accordo tra l’Italia e la Libia che consentiva tale tipo di collaborazione. Altra cosa è l’integrazione, una volta che le persone, rifugiati o immigrati, sono sul territorio bisognerebbe consentire loro di vivere in armonia nel nuovo posto dando loro la possibilità di capire come funziona il “sistema paese”, magari all’inizio insegnando una lingua, avviando il loro percorso per un certo periodo affinché poi vadano avanti con le loro gambe perché questa gente non vuole vivere di assistenzialismo. Allora bisognerebbe fare uno sforzo, investire un po’ più di soldi nella prima integrazione cosicché poi queste persone possano farcela da sole. Se manca questa parte si rischia di creare delle sacche di marginalità. Sarebbe molto frustrante sia per chi ha fatto un grande passo sia per la società che non sa vedere il valore delle persone e le lascia ai margini. Bisogna investire di più nell’integrazione, bisogna comunicare l’immigrazione e le questioni relative all’asilo con più obiettività, con più onesta intellettuale, non bisogna alimentare la paura della gente (ed è facilissimo farlo), tanto più perché noi italiani siamo stati vittime del pregiudizio quando siamo andati all’estero, quando abbiamo cercato lavoro altrove, quando eravamo poveri o rifugiati perché non c’era libertà durante il periodo fascista. Dunque noi, memori di tutto questo, dovremmo sapere bene quanto tutto questo non porti a nulla e dovremmo riuscire a mettere in atto un atro approccio, però, per fare questo ci vuole un po’ di visione. Il problema dell’afflusso di immigrati non è limitato alla sola Italia dato che la libera circolazione nell’Unione Europea rende possibile gli spostamenti di massa in tutto il continente. A quali soluzioni dobbiamo pensare quali soluzioni l’Europa sta prendendo in considerazione? L’Europa ha bisogno di giovani, specialmen- te l’Italia che è una società vecchia. L’Europa ha bisogno di persone che facciano i lavori che gli autoctoni non vogliono fare. Dunque è nel nostro interesse che ci siano queste persone disposte a subentrare e a sopperire ai nostri bisogni, quindi dovremmo essere abbastanza lungimiranti da dare a questa gente la possibilità di vivere bene, di vivere dignitosamente, di essere rispettata e di avere accesso anche ai diritti perché non si può pensare solo di chiedere, bisogna dare qualcosa in cambio altrimenti non funziona. Ritiene che l’approccio nei confronti dello straniero, il quale viene percepito dalla società attuale come un pericolo, potrà cambiare? Le generazioni future verranno educate all’accoglienza e alla disponibilità nel confronti degli extracomunitari? O l’influenza dei mass media e della politica contraria all’accoglienza degli immigranti avrà la meglio sull’opinione pubblica? Io penso che ci vorrà del tempo, ma tutto questo si metabolizzerà e diventerà tutto molto più fisiologico, più normale, però, sono fenomeni che hanno bisogno di essere assimilati con un cero tempo. In fondo l’Italia ha visto un grosso flusso di immigrati in meno di vent’anni, questo è un periodo molto breve e quindi c’è bisogno di un tempo di assestamento. Cambierà, ci vorrà tempo, ma cambierà, certo molto dipende anche da come la politica si farà carico di questa questione perché finora non ha veramente svolto un ruolo così importante nella comprensione del fenomeno. Quando voi sarete la classe dirigente avrete una visione differente del fenomeno, già lo avete conosciuto in modo diverso; dunque penso che sarete contemporanei, più capaci di non farvi prendere da panico. Io ho fiducia in voi! Ludovica Crosato 1° D Giorgia Conte 2° B 11 Oggigiorno ci troviamo in un’epoca storica in cui, i principi che caratterizzavano la società fino a pochi decenni fa, appaiono in via di esaurimento, tanto che molti affermano di vivere in una comunità priva di valori, in cui sono cambiate le priorità della vita. Lo si vede quotidianamente dai giornali: omicidi, suicidi, figli che uccidono i genitori, stragi senza motivazioni valide, attribuite generalmente a un momento di follia o alla depressione. Parte della gente sostiene che ciò accade per la mancanza di quei valori che dovrebbero essere alla base della convivenza civile e che dovrebbero essere impartiti dalla famiglia e dalle istituzioni scolastiche. Come si possono tuttavia spiegare questi avvenimenti? Se risulta già difficile definire in poche parole un determinato periodo storico, ancor di più è affermare superficialmente che la società contemporanea è priva di valori, riconoscendo oggi come unico bene prezioso il denaro e scordando che alle radici di ogni individuo ci sono sempre la famiglia, gli amici, gli affetti e non la carriera o il successo o i soldi. Improvvisamente però si legge di giovani che uccidono per i motivi più assurdamente banali, spesso scatenati da un qualsiasi piccolo ostacolo che si frapponga alla realizzazione di un desiderio, o di genitori che abusano dei loro stessi figli o ancora di episodi di violenza a danno di persone extracomunitarie. Di fronte a tutto ciò non ci si può non chiedere: “ E’ possibile che una semplice incomprensione possa indurre ad uccidere o a compiere gesti così agghiaccianti? Secondo la mia personale opinione, penso che la violenza presente oggi nella nostra società, sia anch’essa il riflesso della decadenza dei valori. Tra crisi economica, aumento della povertà e del degrado vi è anche la perdita di valori e di modelli di riferimento , così come il bisogno di affermare il proprio ruolo sociale o la propria identità. La nostra società dunque sta implodendo e la violenza è il 12 sintomo stesso di questa profonda trasformazione. A mio avviso, tale emergenza va affrontata in primo luogo dalla classe politica: le istituzioni giuridiche devono condannare chi commette crimini efferati o azioni riprovevoli in tempi ragionevoli, per evitare che le famiglie delle vittime commettano ulteriori episodi di brutalità attraverso la vendetta personale. Poi, qualora atti di inaudita ferocia fossero compiuti da persone appartenenti a comunità emarginate o ghettizzate, oltre alla pena stabilita dalla legge, ritengo necessari incontri di sensibilizzazione e integrazione per consentire loro un ipotetico inserimento nella comunità, dopo aver scontato la propria condanna. Inoltre non possono sicuramente essere trascurati i fenomeni del bullismo o delle baby gang, che sempre più invadono le città, i quali rappresentano il sentore della rabbia provata dai giovani verso gli adulti o più in generale verso il “diverso”, causata anche in questa circostanza dall’affermazione di un’identità di famiglia in cui i ruoli tradizionali si sono persi e non sono più quelli di una volta, e da una mancata educazione sociale e culturale. Al di là dei risultati formali ottenuti attraverso campagne contro la violenza o tramite la creazione di associazioni riguardanti questa tematica, sono comunque degni di merito l’impegno e la buona volontà dell’uomo di fronte a situazioni di tale portata, che si sarebbero potute forse evitare in un contesto sociale ed economico diverso da quello attuale. In ogni caso, alla fine possiamo solamente imparare dai nostri sbagli e dalle terrificanti tragedie di cui sentiamo parlare tutti i giorni, per evitare episodi violenti ed analoghi in futuro,fondando una comunità basata su principi cardini come l’educazione, la cultura e il rispetto verso il prossimo. Sara Zanatta 5° L La panoramica dei libri-inchiesta riguardanti la mafia e la molteplicità dei suoi crimini è estremamente vasta. Tra i titoli più famosi che hanno scalato le classifiche editoriali degli ultimi decenni ritroviamo sicuramente “Gomorra” di Roberto Saviano, “I Gattopardi” di Raffaele Cantone, “Chi ha paura muore ogni giorno” di Giuseppe Ayala o ancora le confessioni di Tommaso Buscetta, collaboratore di giustizia. Joseph Pistone, l’autore del libro “Cosa Nostra, istruzioni per l’uso”, tuttavia non condivide molto con i precedenti autori per quanto riguarda l’approccio riguardo la tematica trattata e il potenziale lettore. Pistone non è uno scrittore né un filosofo. Non è né un giudice, né un magistrato, né una vittima di mafia. Joseph Pistone è innanzitutto l’agente dell’ FBI che è riuscito a infiltrarsi tra le schiere di un potente clan malavitoso del New Jersey, portando a termine la più straordinaria delle operazioni d’infiltrazione nella mafia statunitense. Il suo libro, ci offre uno scorcio di quello che è stato il suo pane quotidiano per 6 lunghissimi anni. Donnie Brasco, nome con cui Pistone si è fatto conoscere presso le più importanti famiglie mafiose americane, è stato ad un passo dal divenire uno degli “uomini d’onore” e, ancora oggi, la sua impresa è leggenda. All’età di 72 anni è un rarissimo esempio di coloro che sono penetrati fino al cuore dell’emblema per eccellenza della criminalità e che sono riusciti a sopravvivere. Tuttavia, come d’altra parte è logico pensare, la vicenda ha cambiato radicalmente l’autore sia nell’atteggiamento che nel modo di pensare. Il libro di Pistone non è scritto in un linguaggio cortese, diplomatico o posato. L’autore utilizza volutamente immagini ed espressioni crude per descrivere senza mezzi termini come si comporta realmente la mafia nel suo ambiente. Non è una denuncia riguardo i traffici illeciti, i delitti o i casi di corruzione. Il libro descrive solo e soltanto i rapporti intercorrenti tra i vari membri di un clan e la loro linea d’azione a seconda dei casi. Pistone racconta il ruolo del boss, dei capi e dei “ragazzi”, il giusto comportamento da tenere nelle diverse situazioni, il potere psicologico che un mafioso può esercitare su un comune individuo anche solo attraverso un gesto, i rapporti tra la mafia e le donne, la centralità della figura del denaro, la crudeltà degli scontri tra le famiglie o delle spedizioni punitive, il sadismo delle torture e il perenne timore di poter essere considerati delle spie a cui far patire un destino ben peggiore della morte. Così, pagina dopo pagina, Pistone racconta Brasco. Racconta della difficoltà psicologica di mantenere un’apparenza credibile agli occhi dei capi senza mai vendere l’anima alla malavita; esprime con quel suo modo di fare pratico e, forse, appena un po’ scurrile, lo stress di affrontare, senza alcun appoggio da parte della polizia, quel cancro sociale che sta stritolando nazioni intere. Apparentemente la storia di Donnie può sembrare scritta come un saggio di criminologia: il libro è, a tutti gli effetti, un manuale per dar modo al mondo di conoscere, senza alcun filtro, come un clan mafioso viva la quotidianità. Certamente l’autore sta ancora pagando il prezzo della riuscita dell’operazione: Joseph Pistone, considerato uno dei più grandi esperti del crimine organizzato, vive tuttora sotto falso nome e con un porto d’armi. La sua collaborazione con le alte sfere giudiziarie statunitensi ha permesso che molte organizzazioni venissero annientate nel territorio americano. Pistone ha inoltre fatto pubblicare il libro “Donnie Brasco. La mia battaglia contro la mafia americana”, che racconta nel dettaglio gli anni di Pistone agli ordini dei capi mafiosi e l’operazione portata a termine nel 1980. Da qui venne poi tratto il film “Donnie Brasco” del 1997 con Johnny Depp e Al Pacino nelle vesti, rispettivamente, di Donnie Brasco e del suo mentore del crimine Ruggiero. Questo libro trasporta il lettore direttamente all’interno di una famiglia d’onore e lo pone davanti a tutti i meccanismi che regolano la vita del sistema, descrivendo accuratamente, ma senza lesinare sulla macabra ironia ormai propria del carattere dell’ autore, ogni aspetto del funzionamento di quella mostruosa macchina economica, sociale, politica ed etica chiamata Mafia. Maria Lavinia Piovesan 4° M 13 Intervista ai rappresentanti d'istituto Salve a tutti, cari lettori! Eccovi la consueta intervista di fine anno ai rappresentanti, che purtroppo è stata fatta in assenza di uno di questi, Philipp Thiozzo, che non si è potuto fermare per parteciparvi. Vediamo comunque come se la sono cavata i nostri esimi colleghi! Enrico Biscaro: È stato un lungo anno, ragazzi, riassumetecelo in una parola! Matteo Sovilla: per me, lungo! Francesco Prencipe: sì, decisamente lungo! M: avevamo molti progetti da realizzare, ci siamo scontrati con problemi di organizzazione di tutti i generi, tutti quelli che potevano capitarci… Mancano ancora cose da fare e speriamo di farle, anche perché ci dispiacerebbe non farle, però tutto sommato direi un anno divertente! Giacomo Catarin: per me “lampo”! F: sì, anche io sono d’accordo, è passato in un attimo! E: Veniamo alla domanda tosta: all’inizio parlavate di poche promesse ma tutte concrete, leggiamo un po’ i vostri obiettivi e controlliamo se siete riuscite a portarli tutti a termine! M: è proprio cattiva! F: è vero, però è giusta, perché insomma critichiamo sempre i nostri politici perché promettono e poi non fanno niente, e adesso che ci ritroviamo noi nella situazione di rappresentare qualcuno è giusto che anche noi veniamo giudicati; almeno questa situazione ci ha fatto capire che effettivamente non possiamo criticare i politici con troppa facilità! M: beh io continuo a criticarli! E: Ok dai, partiamo con gli obiettivi della lista 2 (Matteo e Federica): il vostro motto era “continuiamo così!” ed i vostri principali obiettivi erano corsi di fotografia e musica, cineforum, concerti con band scolastiche, migliorare l’orientamento universitario e concentrarsi sull’organizzazione delle assem- 14 blee (che voi definite “cantieri”). M: allora, cominciamo dai cantieri: non sono partiti! Non ce l’abbiamo proprio fatta nonostante c’avessimo provato… Mi ci sono impegnato troppo tardi, alla fine del primo quadrimestre, quando abbiamo presentato i calendari e per un motivo o per l’altro, sono saltati tutti! Alla fine saremmo riusciti a organizzarne uno per il mese scorso , ma ci è sembrato un po’ tardi e quindi niente… E: Eventualmente potrebbe essere un progetto da riprendere l’anno prossimo! M: certamente! Però purtroppo per quest’anno non ce l’abbiamo fatta! Anche perché i relatori che avevamo scelto sarebbero stati messi un po’ sotto pressione proprio verso la fine dell’anno, che è la parte più dura… Parlando di assemblee, ne abbiamo fatte meno del previsto. F: beh ma nessuno di noi ne aveva promesse di più, sinceramente! Giovanni Lorenzon: Erano la lista 1 e 6 che ne avevano promesse molte infatti! M: sì, è vero! In ogni caso ci sembra di averle organizzate bene! Poi il corso di fotografia è stato avviato; quello di musica purtroppo no, dal momento che comunque era in fondo alla nostra lista di priorità… F: parlando di orientamento l’abbiamo organizzato durante la giornata dell’autonomia in due interventi: il primo ci sembra sia andato bene e sia stato utile, mentre il secondo non molto, anche perché molti universitari se ne erano dovuti andare e quindi erano rimasti in pochi. G: Comunque io ho partecipato al primo gruppo e vi assicuro che è stato utile! F: ecco! Bene! In ogni caso ci pareva il metodo migliore quello dell’orientamento con exalunni, perché sono quelli che possono darti il punto di vista più vicino al tuo! G: il fatto è che purtroppo questo orientamento è stato organizzato tardi e soprattutto se ne sarebbe potuto organizzare di più… Per quelli che ci sostituiranno consiglierei di organizzare almeno un paio di incontri, a partire da subito, perché altrimenti sono inutili dato che nel frattempo la gente ha magari già scelto! E: Bene dai, passiamo agli obiettivi della lista 3 (Francesco e Giacomo): il vostro motto era “cultura senza paura” e i vostri principali obiettivi erano quelli di sensibilizzare l’opinione pubblica scolastica in merito ai temi di attualità, organizzare conferenze pomeridiane sulle ricorrenze storiche italiane, puntare sull’ecologia (realizzando schede esplicative per le classi), organizzare assemblee extrascolastiche e rinnovare la veste grafica del giornalino. F: per quanto riguarda l’ecologia abbiamo istituito le commissioni ecologia e il progetto era partito anche molto bene! Questa commissione ci aveva consegnato anche il programma: sarebbero andati in giro per le classi a controllare l’immondizia (se era ben smistata e se c’erano tutti i contenitori necessari) solo che è stata organizzata tardi, circa inizio aprile, e inoltre il l’iniziativa è stata formalizzata dopo che aveva già cominciato ad entrare in funzione, quindi ci siamo beccati una bella lavata di capo… G: io sinceramente sono deluso da quello che avevo in mente di fare, nel senso che eravamo ingenuamente partiti con un sacco di buoni propositi, in quanto non ci eravamo resi conti di quanti sforzi e quanto tempo richiedesse stare dietro ad ogni cosa; siamo partiti con liste da 7-8 punti ciascuna che quando si sono unite davano vita a troppi obiettivi da portare a termine entro un anno! Perciò io sinceramente, analizzando come avevo già fatto per conto mio i punti che c’eravamo prefissati di raggiungere, devo ammettere che siamo riusciti a fare davvero poco per bene. Quindi non mi darei proprio una sufficienza se dovessi valutarmi. G: Ehi ragazzi non volevamo demoralizzarvi in questa maniera, dai! G: no beh ma è come la penso io! Io sono uno che critica molto le persone che mi rappresentano, ed essendo io stesso stato eletto da un “popolo” per la fiducia che ho di- mostrato di meritare, devo ammettere che alla fine non sono riuscito a rappresentarlo come ingenuamente pensavo di poter fare… Cioè dovrei aver capito prima che era impossibile fare tutto quello che ci eravamo prefissati! Se dovessi dare un consiglio ai futuri candidati è di valutare bene le proposte che vogliono presentare! G: Parlando d’Italia! L’idea di leggere un articolo della costituzione italiana al giorno è stata vostra? M: no è partita dal dipartimento di storia e filosofia, noi abbiamo solo raggruppato tutti quelli che volevano leggere gli articoli all’interfono! F: comunque, parlando dei progetti riguardanti l’anniversario dell’unità d’Italia, noi abbiamo avuto l’idea delle bandiere e delle spillette; in ogni caso riguardo al tema noi crediamo di averlo pienamente portato all’interno della scuola, anche grazie al dipartimento di storia e filosofia. E: Adesso sembra un vero disastro il vostro mandato, ma tenete conto che è la prima volta che abbiamo i vostri obiettivi per iscritto e che li confrontiamo con quello che avete fatto, quindi siete anche un po’ sfortunati dai! F: ma è giustissimo che facciate così! E dovete continuare a farlo gli anni prossimi! G: Sì è vero! Comunque tornando ai nostri discorsi sugli obiettivi… Siamo (e siete) stati un po’ spietati, però mi pare che ci sia un punto della vostra lista che sia stato ampiamente portato a termine, un punto a mio parere molto importante: la lotta contro la disinformazione! F e G: sì, sono stati organizzati moltissimi flash-mob, ma il merito è tutto di Enrico Mussomeli! F: è suo il vero merito riguardo a questo, noi abbiamo soltanto aderito e l’abbiamo supportato come potevamo! Più che altro noi abbiamo cercato di creare un clima con la preside che fosse il più disteso possibile, in modo tale da poter supportare anche come scuola attività del genere! Forse l’unico merito che possiamo arrogarci è quello di aver mantenuto con la preside un ottimo rappor- 15 to… G: Insomma sentite di aver ricevuto un certo sostegno dai “piani alti”? M: assolutamente si! Cioè, con la preside abbiamo avuto i nostri litigi, e nell’organizzare ogni cosa per il liceo ci ha sempre tenuto d’occhio, pretendendo molto; ma in fin dei conti ogni volta che facevamo un buon lavoro è sempre stata la prima a riconoscerlo ed a complimentarsene! G: vuole che tutto sia organizzato scientificamente, che ci sia sempre una scaletta da seguire e che venga rispettata, ma lei stessa ci ha sempre aiutato in questo, fin dall’inizio! F: quello che forse è più importante dire è che è una persona prudentissima, che ha un’incredibile visione globale di ogni situazione: ogni volta che bisogna organizzare qualcosa pensa a tutte le possibili conseguenze e ripercussioni. È stata di sicuro un aiuto prezioso, è sempre stata disponibilissima! G: Domanda finale: vi ricandidereste l’anno prossimo? F, G e M: NO! M: ricandidarsi l’anno prossimo vorrebbe dire ripartire da capo, proprio a livello di gruppo di lavoro: noi funzioniamo adesso perché ci conosciamo e possiamo fare affidamento l’uno sull’altro e dividerci i compiti 16 in base ai nostri talenti e alla nostra esperienza! Se dovessi essere rieletto dovrei imparare di nuovo su chi posso fare affidamento e quindi sarebbe una cosa lunga e faticosa, che ho già fatto una volta e mi basta! Oltretutto sarei in quinta… F: ma oltre al fatto di essere all’ultimo anno, non lo rifarei comunque! M: inoltre capisco non ci fosse un grosso ricambio di candidati! Ma qui a scuola nostra c’è una quantità di liste incredibile! E: bene ragazzi avete qualcosa da aggiungere? M: beh il fatto che ci siamo trovati bene insieme! G: potevamo fare affidamento gli uni sugli altri! F: Ci sentiamo orgogliosi di aver rappresentato il Da Vinci! Rappresentare una scuola come la nostra è una grande soddisfazione! G: è vero! E anche un’ultima cosa: Quando ci si prende un impegno, essere consapevoli fino in fondo delle responsabilità che scaturiscono da esso! E: quindi attenti a voi tutti che vi candiderete l’anno prossimo, c’è la fila ovunque per tirarvi le orecchie! Grazie ragazzi della collaborazione, buona estate! Enrico Biscaro 5° M Giovanni Lorenzon 5° M L’arcobaleno sulle mani Tante cose deliziano una donna a tal punto da farle fare pazzie. La maggior parte della popolazione femminile, infatti, potrebbe spendere miliardi in borse, gioielli, vestiti… in frivolezze, sì, non lo neghiamo. Quando mi è stato chiesto di scrivere un articolo su ciò che piace alle donne, non ho potuto fare a meno di scegliere ciò che riguarda in special modo la frangia più giovane della categoria: gli smalti. A primo acchito sembra un argomento frivolo, lo riconosco, ma prendetela come una simpatica sfida personale. Ora non farò una critica sull’uso degli smalti, ipocrisia che accontenterebbe la parte maschilista della popolazione scolastica tutta, ma nemmeno un’apologia dello smalto, che sarebbe invece una deliberata e immeritata appropriazione di retorica. Lo smalto è un prodotto cosmetico di vecchia data, inventato, si dice, già migliaia di anni fa, probabilmente nel 3000 a.C., e utilizzato dalle popolazioni antiche come segno di cura femminile. Pare che il primo colore adoperato fosse il rosso, ricavato dall’henné, polvere colorata naturale che oggi è usata più che altro per la colorazione dei capelli. Gli Egizi, ad esempio, prediligevano il colore del sangue; la famosa regina Nefertiti dipingeva le unghie così, mentre la seducente Cleopatra utilizzava una sfumatura più scura tendente al bordeaux. Con il progredire della tecnologia i materiali impiegati nelle formule per gli smalti sono cambiati. Attualmente molti prodotti sono ricavati da nitrocellulosa sciolta in solventi e mescolata con coloranti, con aggiunta di agenti forma pellicola, resina e plasticizzanti. Nulla di particolarmente sano, si deve notare; difatti è notoriamente sconsigliato abusare degli smalti perché possono indebolire le unghie e l’acetone per toglierli è da usare con moderazione. Tutto ciò non ha di certo sconfortato le donne e le case produttrici di cosmetici! Esiste una varietà pressoché illimitata di marche tra cui scegliere, che si differenziano per la qualità e per il prezzo. Universalmente amati sono gli smalti di Dior e Chanel, le cui tinte annualmente rinnovate creano tendenza e influenzano le produzioni minori. Intorno a noi si possono notare un’infinità di sfumature, opache o brillanti, che donano alle mani un tocco particolare. Ormai è pressoché raro incontrare una ragazza che non abbia le unghie colorate: la moda smalto è esplosa. Rosso, rosa, fucsia, azzurro, blu, verde, marrone, nero, grigio, bianco, giallo, arancione e ancora rosso, rosa… La mania, perché è di mania che si parla, è ai limiti del consentito. La moderazione è fuggita via in groppa all’originalità. Beati i tempi in cui si poteva stupire l’amica con un colore nuovo sulle dita. Se prima chi portava lo smalto aveva un tocco particolare, ora chi non ce l’ha è una mosca bianca. Recentemente ho incontrato una ragazza che, eccitata dall’apertura di un nuovo negozio di smalti in città, ha affermato che “lo smalto è una delle sue ragioni di vita”. A dir poco paradossale ed esagerato! In internet sono presenti vari siti che dichiarano che coloro che non portano lo smalto non si possono chiamare donne. È possibile che la dignità femminile si riduca ad una tinta sulle mani? Nel momento in cui la situazione tornerà alla normalità si potrà apprezzare con serenità l’arcobaleno che possiamo avere. Giorgia Bincoletto 5° N 17 MEGLIO ZAPPARE O STUDIARE? Un vecchio proverbio diceva che “chi non è nato per studiare è fatto per zappare la terra” e per evitare questo destino, che tanto ricordava le corvees del passato, molti genitori hanno ripetuto ai loro figli che nella vita dovevano studiare perché altrimenti non sarebbero mai diventati nessuno. Su questa questione si potrebbe discutere all’infinito, citando discorsi di personaggi famosi e di grandi uomini; preferirei invece dare un contributo diretto e presentarvi ciò che penso io, anche se la mia è pur sempre l’opinione di una adolescente. Fin da piccola, forse sempre comprendendolo in modo errato, ho ritenuto che l’unica prospettiva che l’uomo potesse avere per il futuro fosse quella di studiare, studiare per imparare a svolgere un lavoro che permetta di far vivere la famiglia in un modo dignitoso e permetta anche all’individuo stesso di essere soddisfatto e felice. E così fin dalle scuole elementari mi sono impegnata al massimo riportando sempre buoni risultati, proprio perché io nella mia vita volevo diventare qualcuno. Poi sono iniziate le scuole medie e lì le difficoltà sono diventate maggiori, ma fortunatamente con tanta forza di volontà e determinazione sono riuscita a superare tutti gli ostacoli. Proprio in quel periodo ho iniziato a conoscere persone che a scuola non se la cavavano benissimo: la voglia di impegnarsi per loro era poca e preferivano dedicarsi ad altro; ognuno aveva le proprie passioni e continuava a coltivarle, che fossero gli sport come il costruire piccoli oggetti. Bisogna anche dire che alle scuole medie si è ancora piccoli e non si ha un’idea precisa di cosa si voglia fare in futuro. Ma ecco che poi arriva per tutti il momento della 18 scelta: a quale scuola superiore iscriversi? Ed è proprio in quel momento che si compie una netta divisione: da una parte c’è chi ha scelto di voler intraprendere un itinerario di studi più lungo che proseguirà magari in futuro con l’università , e dall’altra parte quelli che vogliono trovare un lavoro subito, per non dover studiare molto e abbandonare il prima possibile la mal sopportata scuola! E mi ritrovo così il primo giorno di superiori in una classe di persone che non conosco e che hai miei occhi sembrano tutti secchioni; ma dove sono finita? Come sopravvivere qui? Se ripenso alla scuola media quasi rimpiango tutte quelle marachelle che i miei compagni combinavano; qui è tutto molto più serio e sembra proprio di diventare a poco a poco adulti, lasciando l’ovattato mondo della fanciullezza. In questi tre anni ho scoperto che i miei compagni non erano poi così “alieni”! Alla fine la pensavano proprio come me e quindi mi sono presto integrata. Ma un dubbio veramente mi era rimasto … e i miei compagni che hanno deciso di non voler più di tanto studiare, davvero sono destinati, come predica il detto, a zappare la terra? Io credo proprio di no. Nell’immaginario comune, infatti, il medico, l’avvocato, il commercialista, l’ingegnere, sono tutte mansioni ritenute degne di uomini dalle grandi doti, proprio perché per svolgere quel mestiere, hanno studiato molto nella vita; ma a queste persone chi ha costruito la casa? Chi ha riparato il tubo che perdeva? Da questo si può comprendere che anche i mestieri basati sulla pratica non devono essere sminuiti perché senza di essi il mondo non potrebbe funzionare correttamente. E allora ripensando a questo ho compreso che tutti i miei compagni che non volevano fare della loro vita un “cammino verso l’illuminazione culturale”, potevano comunque dare il loro contributo alla comunità e anzi, oserei dire, un contributo indispensabile. E’ però certo che un minimo di cultura deve essere posseduta da tutti, ma l’apprendimento non dovrebbe essere forzato a tutti i costi: la sete di conoscenza è un principio cardine dell’uomo e quindi prima o poi emergerà e farà avvicinare ogni essere umano alla cultura. Quindi, caro il mio vecchio detto, chi non è nato per studiare, potrà si farne a meno ma non per questo deve essere ritenuto inferiore a chi invece lo fa; anche il suo contributo servirà per migliorare il mondo. “Il libro non si giudica dalla copertina”: chi siamo noi per giudicare una persona solo dalla mansione che svolge? Non sono forse altri i valori che caratterizzano l’essere umano? A voi la risposta. Corsi più in fretta che potevo. Scappai perché me l’aveva detto Mimì di scappare da quel ricco psicopatico, che imbracciava un fucile da caccia, che aveva sparato al mio migliore amico e che stava per fare fuori tutti i cento carcerati su Cerere. “Presente, passato e futuro” Pensai, procedendo verso casa come una bestia impazzita dalla paura. “Mimì aveva ragione, i nuovi arrivati non hanno per nulla buone intenzioni” dissi a Baccante quando giunsi in soggiorno. La stanza, da quando avevamo iniziato a progettare la navetta, era diventata una sorta di officina. Baccante era indaffarata con una chiave inglese a svitare alcuni bulloni, e intanto teneva quelli che aveva già tolto nell’altra mano. “Dov’è Mimì” “Mimì è storia”, risposi con un sorriso. Sorridere era l’unico modo per scacciare via dalla mia mente una grande voglia di morire come lui. Con lui. Baccante non capì immediatamente, poi sbarrò gli occhi, e chiave e bulloni caddero tintinnando sul pavimento. Iniziò a storcere la bocca per piangere, ma le dissi che quello non era il momento, che dovevamo pensare soltanto ad andarcene, che lui avrebbe voluto che noi non facessimo la sua stessa fine. Allora lei si tirò un po’ su, e disse che avevamo soltanto bisogno di un propulsore. “E dobbiamo anche trovare Numero 15, dove diavolo è andato a cacciarsi?” “Perché hai bisogno di lui?” chiesi. “Doveva venire con noi, ricordi?” Aveva ragione. Fui scosso da un tremito. Poteva anche essere già stato trovato da quello psicopatico che si faceva chiamare Ernesto Uboldi… che nome stupido. Perché un uomo con un nome così stupido doveva fare questo? Non riuscivo più a capire nulla. Sembrava tutto un sogno… No, calma. Dovevamo pensare al propulsore. “Qualche idea per trovarne uno?” “Anche per questo avrei bisogno di Numero 15. Ne basta uno di poca potenza, dato che la nostra nave sarà piuttosto piccola”. Sentimmo un rimbombo sommesso, che divenne sempre più forte, e una finestra improvvisamente si ruppe per lo spostamento d’aria. Io e Baccante uscimmo fuori in cortile e trovammo una nave-pattuglia della PI, la Polizia Intergalattica. Mi sarei messo a correre nella direzione opposta, se non avessi visto Numero 15 uscire dall’astronave con un ghigno sulla faccia. “Come hai fatto?” gli chiedemmo. “Sono salito e sono partito”, rispose. “Un po’ come con la bicicletta, no? Forza, salite!” Non ce lo facemmo ripetere due volte. L’astronave volò agilmente in verticale, superando in poco tempo l’atmosfera. Quando uscimmo dal campo gravitazionale, sembrava che nessuno ci avesse visto. Francesca Nascimben 3° N 19 20 Dopo alcuni secondi, il radar individuò quattro navette in avvicinamento. “Che cosa facciamo?” “Non ci resta che combatterle” rispose Numero 15. Un fascio di raggi laser colpì la nave sull’ala destra. I poliziotti avevano coordinato gli attacchi, in modo che la potenza dei raggi fosse la massima possibile. In parole povere, ci volevano morti. Con la navetta danneggiata, non potevamo andare molto distanti, ma dovevamo tentare. Riuscimmo a colpirne una, che fu risucchiata dalla forza gravitazionale di Cerere e cadde sull’asteroide. Le altre tre utilizzarono il raggio traente per immobilizzarci, ma colpimmo con una raffica di laser altre due navette. L’ultima rinunciò all’inseguimento e tornò indietro. Ormai eravamo fuori dall’orbita di Cerere, ma il danno all’astronave era troppo grave da poter garantire uno stabile assetto alla nave. Fu così che l’astronave si diresse contro un altro asteroide della fascia. “Ci andremo a schiantare! Fa’ qualcosa, presto!” gridai a Numero 15, che prontamente convogliò tutta l’energia utilizzata dai propulsori nel generatore di scudi. Ormai eravamo vicini all’asteroide, e feci in tempo a capire che era delle dimensioni della nostra astronave. Dopodiché, avvenne l’impatto. Gli scudi energetici subirono un improvviso incrinamento, seguito da un sovraccarico. Insomma, gli scudi ci fecero sbalzare via dall’asteroide, molto lontano. L’ultima cosa che ricordo è il panorama dello spazio infinito, e una voce. Era una voce familiare, che mi ripeteva che non era arrivato il mio momento. Non era ancora arrivato. Ciao a tutti!! Sono sicura che molti di noi stanno già facendo il conto alla rovescia da mo!…ci prepariamo alle vacanze… estate, caldo, profumo di mare nell’aria… così ci dovremmo salutare perché saremo pronti a partire! E l’anno prossimo, quando ci rivedremo a settembre avrò pronte nuove storie da raccontarvi; intanto, ripensando ai miei viaggi un po’ particolari me ne è tornato alla mente uno molto divertente! È il 6 luglio 2005, i bagagli sono pronti per una vacanza a Populonia con i soliti amici Franco e Anna, dobbiamo partire la mattina successiva. Quando, però, arriva la sera io comincio ad aver prurito… soprattutto in testa… mio papà mi controlla e chiama il medico che ci dice: “i sintomi sono chiarissimi, si tratta senza ombra di dubbio di varicella”. “oh mio dio!” non è possibile! Non voglio che le MIE vacanze saltino per una stupida varicella! La mattina dopo io sono un manto di puntini rossi, così i miei genitori avvertono Franco e Anna. Tutti a casa! Ho passato due settimane esatte a grattarmi invece che godermi il mare della Toscana… Non potevamo non farci neanche qualche giorno di vacanza mia mamma allora si mette alla ricerca di una soluzione alternativa sempre, però, sul mare e non lontana visto che il soggiorno potrà durare solo una settimana. In un castello delle Marche il conte, proprietario dello stesso, ne affitta una parte. Sono contentissima perché tutti stiamo bene e io desiderosa di mare, sole e vacanza! Gianluca Forcolin 5° G Il luogo è come immaginavamo, semplicemente magico! E il proprietario una persona squisita tanto da invitarci a cena nel castello! Oh santo cielo! Non abbiamo vestiti adatti, chi saranno gli invitati? Certamente sarò l’unica fanciulla (ho nove anni!) che tipo di serata mia aspetta?!!Tutti gli adulti mi fanno mille (e inutili) raccomandazioni! Quando il conte ci accoglie capiamo che l’atmosfera è ancora più formale di quello che avevamo previsto… c’è tutta la famiglia al completo: figli, nuore e generi, i posti assegnati (e io sono lontana da mia mamma) e il “galateo alla mano”! Io sono solo una bambina e non lo conosco proprio molto bene!! So, però, che si devono sempre usare le posate (Ma va!?). La cena inizia con una buonissima zuppa di pesce, ma difficilissima da mangiare con il cucchiaio… uffa non posso neanche aiutarmi con le mani!!! In qualche modo ce la faccio anche se molte sono le acrobazie che devo compiere. Il secondo, però, ma lascia attonita!... si tratta di scampi… oddio! “e adesso come li mangio questi?!” Non so da che parte prenderli… penso di essere diventata di un bel color rosso pomodoro per l’imbarazzo! Guardo mia mamma terrorizzata e lei mi indica forchetta e coltello… ci provo, li giro e rigiro, ma niente, non c’è verso di aprirli… qualcuno deve soccorrermi! Per fortuna vicino a me è seduto Franco, così, a bassa voce, gli chiedo se mi può aiutare! Non so se il galateo lo prevede, ma l’alternativa è saltare la cena! A mezzanotte lasciamo il castello con un sospiro di sollievo (soprattutto io)… ce l’ho fatta! La vacanza, però, non è ancora finita e le nostre giornate al mare continuano! La sera ci riuniamo per cenare ma la stanchezza è molta e non tutti reggono… durante una di queste mio papà comincia a piegare la testa di lato finché non la appoggia sulla mano e… buona notte a tutti! Così la prima volta ridiamo un po’ pensando ad un caso, ma dopo la seconda e la terza sera capiamo che ormai è una routine! Però è troppo divertente vederlo addormentarsi, moriamo dal ridere!! Ma… era impossibile che non accadesse… una sera si addormenta, la testa non poggiata sulla mano bensì direttamente su tavolo!! (per fortuna non c’erano più i piatti!) La situazione è a dir poco comica, io, mia mamma, Franco e Anna siamo il lacrime e mio papà si risveglia stordito guardandoci perplesso senza capire il motivo del nostro ridere! Non si è accorto di nulla! La nostra vacanza è ormai giunta al termine, poco interessante dal punto di vista culturale, ma certamente divertente ed istruttiva: adesso so come si mangiano gli scampi con forchetta e coltello! Ludovica Crosato 1° D 21 Sfumiamo i dubbi! Quest'anno noi ragazzi della 3^H abbiamo deciso di portare avanti un progetto noto come ”Sfumiamo i dubbi”, che ci era stato sottoposto in prima superiore. L' iniziativa si propone non con lo scopo di convincere a non fumare ma di rendere più consapevoli i ragazzi sui rischi che esso comporta. Per questo abbiamo intrapreso un percorso di una durata di tre mesi durante il quale, con l’aiuto di due operatrici dell’ULSS, abbiamo approfondito tematiche legate alle dipendenze. Abbiamo infatti partecipato a numerosi incontri con loro nei quali abbiamo svolto attività di ogni tipo: dalle discussioni alle riflessioni di gruppo, ai questionari,per sondare le nostre conoscenze in merito. Il nostro lavoro era volto poi a riproporre e condividere queste attività,anche ludiche e divertenti, coi ragazzi delle classi prime, forse i più adatti a provare subito la bellezza di una vita senza tabacco. Sempre legato al nostro obiettivo di informare,e non di convincere, è anche il logo e il motto da noi creati, con i quali volevamo focalizzarci sull’importanza della scelta, di come ognuno debba prendere la propria decisione, conoscendo a fondo le conseguenze a cui va incontro a seconda dell' opzione e infine chi sceglie di essere. Ciò che abbiamo imparato durante il corso è stato messo in pratica da alcuni di noi per la prima volta al Palladio, nei giorni 12, 14 e 15 aprile. Non eravamo gli unici peer: quattro ragazzi del Palladio, formati anche loro dall' ULSS, ci hanno infatti aiutato nella nostra prima esperienza. I 100 minuti vissuti con le prime del Palladio ci sono stati di grande aiuto: oltre ad aver “respirato l'aria palladiana”, abbiamo potuto avere un primo approccio con i ragazzi di quell'età, abbiamo potuto affinare il nostro modo di porci e riconoscere con il loro aiuto le attività più valide tra quelle proposte. Affiancati da Riccardo, Samuele, Giacomo e Daniel, i quattro “colleghi” palladiani, abbiamo superato l'insicurezza e l'imbarazzo ini- 22 ziali (sia nostri che dei ragazzi!) e siamo riusciti a divertirci ma allo stesso tempo ad informare. Il 19 dello stesso mese, finalmente, noi peer siamo intervenuti nelle classi prime del Da Vinci. L'evento si è svolto in due sedi: l'Aula Magna, dove abbiamo sottoposto alla visione dei ragazzi dei video come spunto di riflessione iniziale sul significato dell'attività, e le classi dove è realmente iniziata l'esperienza. Lì abbiamo proposto attività quali rompighiaccio, brainstorming, fotolinguaggio, story telling, questionari ed esperimenti, che i ragazzi hanno svolto divertendosi e con interesse. Il 29 aprile ci siamo infine incontrati nuovamente in Aula Magna con le classi prime. L'obiettivo che ci eravamo posti era di trarre le conclusioni sull'esperienza e di ascoltare le opinioni e le riflessioni dei ragazzi su come avevano vissuto l'attività e dove era possibile migliorarla. Ogni classe con i suoi peer ha esposto quindi i lati positivi ed i lati negativi che aveva rilevato; tra i motivi di merito è emerso che il fatto che i relatori fossero quasi coetanei dei ragazzi è stato fondamentale per poter svolgere un lavoro efficace. Infatti gli studenti si sono trovati generalmente più liberi nel dire la propria opinione e raccontare la propria esperienza, non dovendosi relazionare con adulti/ professori. Tra quelli negativi, invece, è emerso che alcune volte gli esperimenti volti a dimostrare empiricamente la dannosità del fumo, non sono riusciti alla perfezione: noi scienziati però sappiamo bene che questo è il bello della scienza! Traendo le somme, il progetto è risultato davvero soddisfacente e speriamo che la maggior parte dei ragazzi, in possesso di nuove informazioni, si sia resa conto che iniziare a fumare deve essere una scelta ragionata. Con la salute non si scherza! La 3° H Al cinema John Carpenter c’aveva lasciato nel 2001 con il godibile, seppur minore, Fantasmi da Marte. Lui, che novellino non è (a gennaio di anni ne ha fatti sessantatré), fa le cose sul serio: anzi, nel suo nuovo The Ward - Il Reparto, si potrebbe dire che le cose le fa bene da paura. I primissimi minuti del film sembrano dozzinali: tempesta, tuoni fragorosi, un omicidio, brusco e truce, come solo in un horror può essere. Ma nel manierismo di questo prologo, colpisce un’intuizione registica, che solo l’occhio esperto del veterano può realizzare in immagini: carrellata in avanti attraverso un corridoio qualsiasi, rapido ammazzamento, e seconda carrellata simmetrica alla precedente (all’indietro, con lo stesso sfondo). L’imprevedibilità del Male e la sua pronta ritirata (che è sempre e solo temporanea) sono gli elementi che l’intero genere horror ha sempre voluto evidenziare. Qui sono riassunti in appena qualche secondo di filmato. Gli inquietantissimi titoli di testa che seguono sono un autentico gioiellino, un abile montaggio di immagini raffiguranti torture, medievali come moderne, ricalcate su vetri che si infrangono seguendo il ritmo e la melodia quasi eterea della colonna sonora. Il film ha inizio. La bionda protagonista fugge nel bosco, le sue tendenze piromani trovano soddisfazione in una casa di legno. Viene arrestata e condotta nel “reparto” di un ospedale psichiatrico. Lì una presenza oscura e demoniaca fa strage delle pazienti, uccidendole con procedimenti di efferata tortura. Kristen lotterà per scappare, ma soprattutto per scoprire cosa sta succedendo veramente e cosa cercano di nasconderle medici e infermieri. Alla domanda “è un film che ha rivoluzionato il suo genere?” rispondiamo di no. Cos’ha di nuovo questo film? Assoluta- mente niente. È un horror/thriller psicologico che riesuma quasi tutti i temi del filone, un’opera come tante diretta in modo extra-ordinario da un maestro. La location è un manicomio-fortezza che dà quel tocco di goticheggiante che va sempre bene alla Shutter Island, con il quale The Ward condivide più di un aspetto. La percezione paranormale, e tangibile, di un castigo come forma di espiazione che pervade il film e gli conferisce un senso di soffocante fatalità è, in primis, cara alla cinematografia orientale. La follia e la compenetrazione di reale e immaginario non sono nuove al cinema. La tortura ce l’ha insegnata già Bava nel lontano 1960 quando girò quel capolavoro che è La maschera del demonio. E non dimentichiamo il finale a sorpresa, anche questo già visto, che è ovviamente di rito. Ciò che fa la differenza è, come si diceva, Carpenter. Dirige le attrici in maniera impeccabile, delineando un quadretto composito, e delizioso, di donne che reggono tutta la durata del film con impeccabile professionalità. Il regista trova il coraggio di osare anche nella sezione “macelleria”, non cadendo nel compiacimento alla Dario Argento ma aumentando di netto la tensione, come quando insiste torbidamente su un corpo dilaniato dall’interno da un elettroshock usato non come strumento terapeutico ma come arma di morte. Ma soprattutto, Carpenter continua ad usare il metodo “vecchia scuola” del campo – controcampo – campo - sussulto così efficacemente da zittire ogni accusa di ripetitività e banalità. Riccardo Vanin 5° B 23 : “Chiunque raccoglierà questa spada maneggerà un potere eterno. Come la lama recide la carne, così il potere ferisce lo spirito”. Parole allettanti e minacciose, incise nella roccia, che fungono da anticipazione al fato glorioso, seppur terribile del principe Arthas Menethil di Lordaeron, regno dell’immaginario mondo di Azeroth. I giocatori più esperti, estimatori di RTS come Warcraft III: Reign of Chaos, la sua espansione The Frozen Throne ed infine il MMORPG World of Warcraft, conoscono bene questa iscrizione e le conseguenze ad essa legata, divenute col tempo (non esagero) oggetto di culto videoludico. Tuttavia per fare in modo che il neofita o il giocatore occasionale possa apprezzare la figura leggendaria di un personaggio quale Arthas è necessario rispondere ad una domanda: Chi o che cosa è il Lich King? Entità di ineguagliabile potere,malvagità e malizia il Lich King è una minaccia per tutti i popoli liberi di Azeroth. Instancabile ed immortale, egli trama continuamente la distruzione di ogni forma di vita, mosso da un odio per i vivi che va al di là di ogni possibile comprensione. Ma non è sempre stato così.Quest’essere gelido e senz’anima era un uomo un tempo: Arthas Menethil, erede al trono di Lordaeron, principe giusto,forte ed amato dalla sua gente, da suo padre e, ricambiata, dalla giovane incantatrice Jaina Proudmoore. Una vita perfetta, ma quando una pestilenza capace di trasformare i suoi sudditi in non morti ed un misterioso nemico iniziano a minacciare tutto ciò che gli è caro Arthas è costretto ad adottare contromisure terribili ed inimmaginabili. L’orrore per le sue stesse azioni, il tradimento di Jaina, incapace di sopportare ciò che è diventato, e la mancanza di fiducia che il padre sem- 24 bra dimostrare verso di lui conducono il principe ad un sentiero oscuro che oscilla pericolosamente verso una lucida pazzia. Ed è la scelta di Arthas di prendere possesso di una potente spada runica (sul cui piedistallo trova posto la precedente iscrizione) a decretarne il destino: la sete di potere e di vendetta prendono possesso del giovane principe e nulla, neppure il rimpianto per i compagni caduti riempie più il cuore di quest’uomo. Perché Frostmourne, questo il nome della lama recuperata, è maledetta e ha la capacità di rubare le anime. La prima è stata quella di Arthas. Ritornato in patria, accolto dalla sua gente e da suo padre come un eroe, egli scatena un orda di non- morti sul regno e trapassa il cuore del genitore incredulo. Arthas il principe è morto, ora c’è solo Arthas il Cavaliere della Morte, asservito al dominio del Lich King attraverso Frostmourne, secondo un piano da lungo tempo progettato. Ha così inizio una vita di massacri e distruzioni di intere civiltà che condurranno questo antieroe all’inevitabile confronto con il suo padrone. Un’armatura ed un elmo incastonati in un blocco di ghiaccio. Questo è ciò che Arthas vede dinnanzi a sé, questo è il Lich King. All’interno….nessuno. Infuriato e convinto di aver seguito una visione della sua mente, il Death Knight distrugge il Trono di Ghiaccio e libera l’armatura, per poi indossarne l’elmo. In quel momento l’ex principe comprende che il Lich King esiste veramente ed è un essere incorporeo, imprigionato da secoli in quell’involucro di ghiaccio e metallo. O per meglio dire lo era: tramite l’elmo il corpo di Arthas e l’antico essere racchiuso nell’armatura si fondono per dare vita al vero Lich King.”Adesso…siamo…una cosa so- la!”,queste le sue prime parole. Arthas, il re dei Lich, immerso nella solitudine della sua gloria e del suo potere, apre gli occhi e da inizio ad una guerra come l’intera Azeroth non ha mai visto. Una guerra crudele, totale e logorante in cui il Buio sembra calare inesorabile….ma la Speranza risplende in un ultimo attacco disperato. Frostmourne viene spezzata, il freddo cuore del Lich King trafitto e la sua anima per un attimo ritorna a lui, facendolo ritornare ad essere semplicemente umano: cullato tra le braccia del fantasma di suo padre Arthas Menethil esala l’ultimo respiro, lasciandosi alle spalle ogni oscuri- tà. E non stupisce che nella sua mano risplenda un ciondolo appartenuto a Jaina,la donna che nonostante la sua prigione di malvagità ha sempre amato. In questo modo si conclude la vicenda di Arthas, eroe tragico dalla psicologia intrigante,quasi shakespiriano per le sue analogie con Mcbeth e Amleto. Concludo suggerendo a chiunque desideri approfondire la conoscenza di questo personaggio di leggere il best seller “Arthas,Rise of the Lich king”, ricordando ovviamente che NO KING RULES FOREVER. Dario Zago 4° D 25 Killing Floor, nato inizialmente come una mod di Unreal Tournament 2004, ricorda molto un altro videogame survival horror, Left 4 Dead. Nonostante alcune evidenti somiglianze, la Tripwire Interactive però è riuscita a creare un videogioco interessante e assolutamente meritevole di attenzione, anche se tuttavia questo titolo non ha avuto grande successo ed è rimasto praticamente sconosciuto. Trattandosi di un classico co-op survival horror fps è particolarmente incentrato sulla modalità online ed è ricco di azione in compagnia di amici. La modalità di gioco prevede una lotta per la sopravvivenza di diverse squadre di massimo sei elementi il cui obiettivo è fronteggiare ondate di zombie che aumentano per numero e resistenza più ci si avvicina al "boss finale". Ovviamente è prevista anche una modalità singleplayer, ma questa, a lungo andare, diventa monotona, ripetitiva e anche noiosa. Fra un’ondata e l’altra viene data la possibilità di recarsi dal Trader, un mercante che procura le armi, l’armatura e le munizioni indispensabili per poter procedere e sopravvivere alle successive ondate. Attenzione, però, perché il tempo per raggiungere il mercante è molto limitato e la posizione di quest'ultimo cambia continuamente, anche se è segnalata da una freccia nell'hud. L'arma primaria e secondaria, inoltre, si possono rivendere, per poterne comprare altre che potrebbero essere più utili. Infatti il budget di armi è limitato nel peso massimo, non molto generoso, di 15kg. Altro particolare degno di nota riguarda i Perks, cioè le varie specializzazioni con dei veri e propri livelli indispensabili anch'essi sopratutto nella modalità multiplayer. Ad esempio il Perk Sharpshooter progredisce effettuando colpi alla testa; un 26 altro Perk in cui ci si può specializzare può essere cura, berserk eccetera. Superato ogni livello si ottengono dei bonus, come ad esempio più danno o maggiore resistenza.I Perks sono fondamentali per progredire; i server che hanno la difficoltà Hard sono per giocatori che hanno da 3-4 di livello o superiore di specializzazione. Le armi disponibili sono le più disparate e raggiunti alti livelli ci si può permettere un bel Lanciafiamme oppure le Dual Cannons, molto simili alla desert eagle ma akimbo, letali se usate bene. Al di là di una struttura di gioco all’insegna dell’azione, Killing Floor presenta diversi difetti che derivano chiaramente dal suo passato di semplice mod. Oltre ad una sostanziale ripetitività di gioco, la realizzazione grafica non è delle migliori e lo stesso vale anche per gli effetti di luce e la gestione della fisica. Tuttavia questi difetti sono stati quasi del tutto eliminati nelle ultime mod che possiedono molte nuove armi, personaggi e mappe migliorate o anche non presenti nella mod originale. Anche i vari bugs che si trovavano nella versione originale sono e stanno venendo corretti con continui aggiornamenti. Nonostante alcuni aspetti negativi Killing Floor resta un videogame molto avvincente e dalla grafica piacevole e simile a quella di Call of Duty Modern Warfare 2 ma riesce a girare tranquillamente in computers anche non molto potenti. Consigliato a tutti gli appassionati del genere e non, sia per le dinamiche di gioco sia per il suo basso costo. Francesco Pastro 4° G DEATH NOTE L’espressione manga (che indica i fumetti giapponesi in generale) fa subito saltare alla mente famose serie di fumetti e cartoni animati come Dragon Ball, One Piece, oppure Naruto. Nella maggioranza dei casi si tratta comunque di storie all’interno delle quali il combattimento, sia esso svolto secondo “schemi tradizionali” quali le arti marziali o mediante tecniche surreali, svolge un ruolo predominante, da cui il nome di battle manga. Quello che molta gente ignora è che all’interno del vastissimo settore manga sono presenti delle serie che apparentemente stravolgono i canoni del genere (per quanto sia comunque inesatto parlare di “genere”) e il cui pubblico non consiste semplicemente in giovani adolescenti in cerca di una lettura leggera e rilassante. È questo il caso di Death Note, manga frutto della mente di Tsugumi Ohba e dei disegni del maestro Takeshi Obata. In seguito alla pubblicazione in Giappone di un episodio pilota cui è arriso un immediato successo, la storia progettata da Ohba ha preso nuova vita in una serializzazione su Shonen Jump (nota testata settimanale di manga), per poi arrivare in Italia intorno alla fine del 2006. Il successo è stato tale che al manga sono subito seguiti un anime (cartone animato giapponese), tre film e persino un romanzo. Death Note narra la singolare storia di un brillante studente giapponese, Light Yagami, che entra casualmente in contatto con un quaderno su cui è sufficiente scrivere il nome di una persona per decretarne la morte. Light, profondamente tediato dal mondo che lo circonda e disgustato dal marcio della società, decide di fare del quaderno della morte il proprio strumento per la creazione di un mondo privo di malvagità, in cui l’unica pena plausibile per i criminali è quella capitale. Al personaggio di Light si contrappone l’eccentrica figura di Elle, detective di fama mondiale il cui unico obiettivo è ricorrere a qualsiasi mezzo pur di “far trionfare la giustizia”. Ha così inizio uno scontro tra Light Yagami ed Elle, in cui entrambi devono stanare un avversario senza conoscerne il volto né il nome; e chi sarà scoperto per primo verrà eliminato. Se a vincere sarà Light Yagami, il serial killer denominato dalla massa Kira e ritenuto la speranza dei deboli e degli oppressi, egli rappresenterà la giustizia; se a vincere sarà Elle, Kira sarà unanimemente riconosciuto come il simbolo del male. I temi toccati dalla storia di Ohba sono insolitamente sottili per un manga, e più di una volta tendono verso il filosofico: una società in cui chi ostacola la felicità altrui viene eliminato senza rimedio, è una società retta ed equa? È giusto prostrarsi di fronte a un uomo che, per garantire il bene collettivo, giustizia senza pietà rifacendosi a criteri propri, come un vero e proprio monarca? Le risposte vengono lasciate tutte al lettore: Death Note pone interrogativi scomodi e porta il pubblico a riflettere sul valore della vita umana e sull’organizzazione della società. Sta quindi al lettore di decidere per conto proprio se Light Yagami resti solo “un serial killer psicopatico, un esaltato che, venuto in possesso della peggior arma omicida mai esistita, ha creduto di poter divenire un dio” oppure se sia “la giustizia, e la speranza dell’umanità”. Cristian Villa 4° L 27 Occhio all’ oggetto Nel secondo riquadro mancano 5 oggetti che sono invece presenti nel primo. Riesci a trovarli? 28 Andrea Fadel 5° M Sudoku 29 DIRETTORE: Enrico Biscaro 5 M VICE-DIRETTRICE: Giorgia Bincoletto 5 N REDAZIONE: Eleonora Porcellato 5 C Gianluca Forcolin 5 G Sara Zanatta 5 L Dario Zago 4 D Sara Areski 4 G Tommaso Campion 4 H Cristian Villa 4 L Maria L. Piovesan 4 M Alessandro Cocco 3 F Giorgia Conte 2 B Ludovica Crosato 1 D 30 DISEGNATORI: Giulia Dugar 5 E Giorgia Cesari 5 H Chiara Amici 2 C Francesca Merlo 2 C Sebastian Grotto 2 I Silvia Paoletti 1 C Lisa Mignemi 1 H IMPAGINATRICE: Silvia Menegon 5 E COLLABORATORI ESTERNI: Francesco Pastro 4 G Francesca Nascimben 3 N