Untitled - Liceo Scientifico Statale Leonardo da Vinci

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Untitled - Liceo Scientifico Statale Leonardo da Vinci
Lettori, cari lettori…
Per fortuna ma purtroppo anche la fine di
quest’anno è arrivata. Avevo sempre immaginato il termine della quinta come il
momento in cui avrei festeggiato per lasciare queste 4 mura grigie. Basta compiti
in classe, basta interrogazioni e studiate
dell’ultimo minuto prima dell’ingresso del
prof. Basta sperare di esser graziati dalla
sorte. E invece no: tutto questo ha un sapore che in fin dei conti è dolce e che mi
mancherà e mancherà a noi che
quest’anno vi lasciamo (per vostra immensa fortuna grandi rompiscatole del mio calibro o dello spessore della vice spariranno
dai corridoi del liceo).
I ragazzi della redazione sono stati fantastici. Tutti. E quest’anno più degli altri: ridendo e scherzando siamo riusciti a creare ottimo materiale questa volta come le scorse
(naturalmente escludendo i miei articoli!)
e abbiamo battuto ogni limite umano, uscendo quasi ogni mese e trattando da temi caldi ai più classici evergreen.
Grazie a tutti gli scrittori e grazie a tutti i
disegnatori. Un bacio affettuoso alla Fiorenza che è sempre disponibilissima ad
aiutarci con lo “stampaggio”. Grazie alla
professoressa Ragusa che ci aiuta nella revisione dei millemila testi da controllare e
un abbraccio alla preside, che tanto ha fatto e poco ha chiesto in cambio, venendoci
INcontro più e più volte. Ma soprattutto
grazie a voi che con il vostro occhio critico
ci seguite, ci correggete e ci aiutate a costruire un giornale migliore.
Buon lavoro alla redazione di settembre…
Mi mancherete
Il Direttore
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INDICE
Saluti
03 Carissimi lettori e compagni di scuola...
04 L’ultimo articolo
06
07
09
12
13
Giusto momento
per riflettere
L’Italia fa scintille in Libia
Wikileaks: vantaggio o danno?
Incontro con Laura Boldrini
La società d’oggi
Cosa Nostra, istruzioni per l’uso
Mondo giovani
14 Intervista ai rappresentanti d’Istituto
17 L’arcobaleno sulle mani
18 Meglio zappare o studiare?
19 Cronache di Cerere 5
20 A cena dal conte!
22 Sfumiamo i dubbi!
23 The ward - Il reparto
Nerdzone
24 Arthas: Rise and Fall of the Lich King
26 Killing Floor
27 Death Note
Giochi
28 Occhio all’oggetto
29 Sudoku
Incontro
Carissimi lettori e compagni di scuola...
Carissimi lettori e compagni di scuola,
Anche quest’anno scolastico sta scorrendo
via e mancano davvero pochi giorni al bramato nove giugno. Ovviamente siamo tutti
stanchi e oberati dagli ultimi compiti e interrogazioni, ma facciamoci forza, il traguardo è
vicino! In questo mese denso di progetti e
attività non abbiamo dimenticato gli appuntamenti a teatro con le compagnie della
scuola, eccezionali e professionali, che hanno regalato degli spettacoli divertenti e speciali, mettendo in luce il loro impegno e la
loro bravura. Come potete notare non vi abbiamo abbandonato, abbiamo scelto di scrivere e disegnare ancora una volta per voi:
ecco un nuovo e ultimo giornalino. Raccoglie
come sempre i frutti del nostro lavoro, che,
credetemi, è sincero e appassionato. Non
pensiate che sia un prodotto realizzato per
pochi e da pochi, è un giornale in cui regna
la democrazia, fidatevi, in cui si accettano
nuovi collaboratori e in cui ognuno può esprimere le proprie idee. Consideriamo di
avervi proposto argomenti interessanti e
molti spunti di riflessione durante l’anno,
speriamo di non avervi tediato mai. Certo è
che la nostra produzione è giunta purtroppo
al termine.
Ora si prospetta per la maggior parte degli
studenti un periodo di relax completo,
all’insegna dell’abbronzatura e della nullafacenza totale sul divano, riposo agognato e
decisamente meritato… Nel frattempo quei
poveri vecchi di quinta sosterranno l’Esame,
giocheranno la finale del campionato della
vita liceale, cercando di sopravvivere al tremendo caldo e allo studio, tra tesine e prove
scritte. A chi chiuderà i libri per riaprirli fra
tre mesi auguro un’estate meravigliosa, con
il motto “carpe diem”! Invece a chi studierà
ancora per un po’, faccio un “in bocca al lupo”, affinché questo percorso davinciano
termini nel migliore delle proprie possibilità
e abilità.
Colgo l’occasione per ringraziare chi ci ha
letto in questi mesi, chi ha collaborato con
noi, chi ha avuto fiducia nella redazione, permettendole di scrivere e disegnare liberamente. Grazie anche a chi ci ha criticato,
perché ha dato l’impulso a migliorare. Un
enorme e affettuoso ringraziamento ai
membri stessi del giornale, che hanno saputo gestire l’impegno e hanno condiviso idee,
sogni, ilarità, con uno spirito sempre sorridente. Non siamo solo una semplice redazione, siamo un gruppo di studenti che hanno
saputo conoscersi nel bene e nel male. Desidero ringraziare tutte queste persone, non
solo perché so che hanno svolto un ottimo
lavoro, ma anche perché questa mia lunga
esperienza si sta concludendo. Sono giunta
al traguardo finale come tanti altri, con soddisfazione e un pizzico di tristezza. Non so
quanti studenti leggano effettivamente le
nostre pagine, quanti facciano solo i sudoku
del direttore, quanti colorino innocentemente i disegni... non importa, voglio dirvi che
sono felice e onorata di aver fatto parte
dell’INcontro, di aver scritto recensioni ed
articoli per il nostro liceo. Vi consiglio, ormai
per il prossimo anno, di far parte di questo
progetto giornalistico, perché ne vale davvero la pena! A voi si presenta la possibilità di
scoprire i vostri talenti e avere il coraggio di
non essere passivi, ma di liberare il vostro
pensiero e comunicarlo agli altri. È difficile
per me salutare e abbandonare la nave, ho
sempre cercato di impegnarmi e dare il mio
contributo, buono o cattivo. Grazie a tutti,
anche a te Enrico, grande Capo, che hai saputo brillantemente dirigerci e hai voluto
avermi sempre al tuo fianco, alla pari, per
collaborare insieme, come noi due sappiamo
fare.
Non mi resta che augurare a chi rimane di
fare sempre il meglio, di saper gestire un
giornale, che non è solo l’insieme graffettato
di pagine stampate, ma è il mezzo speciale
con cui la nostra giovane e libera identità si
può esprimere.
Giorgia Bincoletto 5° N
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L ’ultimo articolo.
Ultima volta che arriverà una mail in ritardo nella casella di posta elettronica del direttore da parte mia: il rischio di non essere pubblicati dà una scarica adrenalinica
immancabile da cinque anni a questa parte.
Forse nessuno di voi leggerà queste ultime
righe perché sono arrivate decisamente in
ritardo e tutto sommato nessuno di voi ne
sentirà la mancanza (-e invece no cara Eleonora, grazie al tuo SAN Direttore, ndr-) .
Tanto meglio. Non voglio vedere le lacrime
che scendono lungo le vostre gote mentre
io mi accingo a salutare il giornalino Incontro. Sigh, sigh, sigh.
Il prossimo anno spero di non essere più
parte della redazione, qualcuno me lo augura sia nel bene sia nel male, ma desidero
ardentemente che sia arrivato anche per
me il momento di levare le ancore e salpare verso nuovi lidi, ne ho un bisogno vitale.
In un tiepido pomeriggio del 2006, sono
entrata alla mia prima riunione di redazione, con tra le mani, un foglietto che avevo
trovato in classe. Paura, terrore di confrontarmi con i più vecchi, gli anziani del
gruppo, la figura mitica della prima direttrice e della vice, io ero una piccola ed indifesa studentessa di prima senza la più pallida idea di come fosse lo scientifico ma
con un'adorazione per quel labirinto di
corridoi, che ancora nascondevano tante
sorprese: chi di voi non si è mai perso per i
piani aggiunti o tra i laboratori? Missione
ardua uscirne, soprattutto a causa degli
effetti di qualche composto chimico bruciacchiato sui fornelli Bunsen a chimica,
quel profumo di uova marce ha un non so
ché...
Tornando a noi, la redazione è stata la porta che mi ha aperto ad un nuovo modo di
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vedere le cose, una visione rinnovata e un
po’ più consapevole.
Lì tra i giovani, attivisti o meno, ho sentito
per la prima volta parlare delle bagattelle
tra forzanovisti e centrisociali, che a Peppone e Don Camillo di Guareschi facevano
un baffo; quante discussioni sulla politica o
pseudo-politica degli inesperti, che tentavano di portare avanti le loro idee ma alla
fine si barricavano dietro posizioni assurde.
Io li ammiravo, ammiravo soprattutto chi
nei suoi articoli riusciva a difendere le proprie posizioni con efficacia: di quegli stessi
scritti si dibatteva in alcune classi, nascevano accese polemiche sulle idee proposte,
arrivavano articoli di risposta, insomma,
era un'esperienza di fuoco e altamente
formante partecipare alla creazione di così
tante idee, una vera fucina!
Con il senno di poi, mi sono resa conto che
magari non era una tale idillio: spesso si
arrivava a pubblicare le edizioni in ritardo,
mancavano articoli, disegni, alle riunioni
successive la quantità di gente diminuiva,
a lavorare erano sempre gli stessi, l'unico
momento in cui si richiamavano le persone
all'ordine era per la graffettazione... però
non avrei mai rinunciato a partecipare alle
riunioni pur di assistere ai tornei di pingpong sui tavoli della biblioteca, oppure ai
cineforum di altissimo livello intellettuale
con la visione di film dal titolo "Grrrr",
quando ormai la pubblicazione era in
stampa e non c'era molto altro da fare che
rilassarsi.
A parte ciò le mie parole vi sembreranno
abbastanza melense e chi mi conosce starà
pensando che sto raccontando qualche
bugia. Ammetto che non sempre ho fatto il
mio dovere nel senso classico del termine
nell'ambito giornalistico, il mio incipit lo
conferma, però spero di aver fatto qualcosa che in futuro potrà essere utile.
Molti di voi nel loro profilo di Facebook
avranno un certo Giornalino Incontro, una
presenza stressante in alcuni momenti della giornata, soprattutto quando compaiono una decina di notifiche di suoi post tutte di fila. Se volete ringraziare qualcuno
per avervi intasato la home, ora avete una
persona in carne ed ossa a cui rivolgervi.
Il profilo di Facebook è solo uno degli step
che hanno portato il giornalino ad un suo
rinnovo sotto il punto di vista digitale da
due anni a questa parte: ora c'è una mail,
a cui tutti gli studenti possono inviare le
loro idee, i testi, poesie e disegni; la redazione è presene sul maggiore social
network con quasi 4000 amici, con una
minima rassegna stampa di ciò che accade
a scuola e soprattutto tutti gli articoli delle
edizioni stampate così, se il vostro compagno di banco vi ha soffiato l'ultima copia,
su Fb potrete leggere tutto senza perdere
nulla.
Se proprio morite dalla voglia di scorrere
tutte le vecchie edizioni, abbiamo una pagina web anche per coloro che non sono
ancora maniaci dei social network (per loro fortuna) su alboscuole.it grazie ad una
collaborazione con la Provincia di Treviso.
E’ già il secondo anno che partecipiamo al
Convegno Italiano di Stampa Studentesca
a Perugia, nell'ambito della settimana del
Festival del Giornalismo Internazionale;
anche quest'anno abbiamo presenziato
portando la nostra esperienza, pronti a
confrontarci e metterci in gioco con redazioni provenienti dai maggiori licei italiani.
Abbiamo conosciuto tante persone interessanti, giovani appassionati di giornalismo e di "editoria" quanto o più di noi,
qualche musicista, disegnatore, poeta, creativo o più semplicemente casinista. Voi
non ve ne sarete assolutamente accorti ma
qualche idea utile l'abbiamo carpita dagli
altri pure noi: la special edition per le elezioni d'istituto, il discusso ritorno al formato A4, poi voi non avete idea delle diatribe
che sono nate per l'eliminazione dell'oroscopo (peraltro era uno dei momenti topici
della scrittura di redazione) o per le proposte di stampare al di fuori della scuola.
Questioni pratiche che portano alle più
alte divagazioni su cosa sia e quale sia lo
scopo dell'informazione, come debba informare un giornalino d'istituto, se debba
essere di spessore culturale o può rimanere un po’ superficiale su alcuni temi, ecc.
Tutte piccole questioni "quotidiane" che
determinano un buon inizio per poi affrontare quelle un po’ più complesse della vita
adulta.
Potrei anche dirvi che partecipare all'esperienza del giornalino d'istituto può essere
un buon modo per esercitarvi nella scrittura e migliorarvi (alcune eccezioni -io- confermano la regola) ma il giornalino è soprattutto un luogo della libera espressione
delle idee degli studenti, non serve avere 8
o 9 in italiano per essere presi in considerazione, non c’è alcuna discriminazione in
base alla media scolastica.
Le parole che ho scritto finora sembrano
un manifesto tentativo di fare proselitismo: lungi da me! (anche se non mi dispiacerebbe avervi messo un po’ la pulce
nell'orecchio).
Questo voleva essere un "in bocca al lupo"
per chi porterà avanti e per coloro che in
futuro, per passione o anche solo per dare
una sbirciatina, entreranno nella redazione
di Incontro.
Non fatevi sfuggire l’occasione!
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Eleonora Porcellato 5° C
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L’Italia fa scintille in Libia
Nel mese di febbraio molte nazioni dell’Africa
settentrionale e dell’Asia minore sono riuscite,
attraverso rinnovamenti tanto pacifici da fare
invidia alla stessa Glorious Revolution, ad ottenere una possibilità di riscatto da una vita difficile e oppressa da regimi autoritari o finte democrazie. In alcuni però la violenza del vecchio
potere dittatoriale non ha stentato a farsi sentire ed è così che ad esempio in Libia e Siria si
hanno continue, costanti e maledettamente
sanguinose repressioni di iniziative, manifestazioni e boicottaggi per dirne alcune, che in
qualsiasi stato “occidentale” sono classificabili
come normali e pacifiche. In particolare la situazione in Libia degenera in una vera e propria guerra agli insorti che la comunità internazionale denuncia con la risoluzione 1970, il 26
febbraio. A poco serve però porre sanzioni
internazionali e così il 17 marzo successivo è
approvata la ben più nota risoluzione 1973:
istituzione di una no-fly zone, richiesta di un
cessate il fuoco immediato e rafforzamento
dell’embargo già attuato precedentemente.
Due giorni dopo la Francia apre le danze iniziando a bombardare l’esercito regolare libico
che stringe d’assedio gli insorti di Bengasi. La
confusione nelle giornate a seguire viene risolta il 25 marzo con il passaggio del controllo
delle operazioni alla NATO e parte la missione
Unified Protector.
In Italia però non tutti sono contenti e le posizioni stesse del governo sono piuttosto ambigue: Berlusconi all’inizio non vuole “disturbare
nessuno” anche se è parecchio preoccupato
“per quello che potrebbe accadere a noi se
arrivassero tanti clandestini”. Successivamente
si opta per l’ignava soluzione di mezzo e l’Italia
mette a disposizione della direzione del Patto
Atlantico alcuni velivoli di tipo F 16, Tornado
ed Eurofighter, con lo specifico utilizzo logistico: se qualche radar antiaereo nemico entrasse in funzione la marina militare lo farebbe
abbattere.
Il 25 aprile qualcosa cambia e, dopo una telefonata del Cavaliere a Barak Obama, il Bel paese entra a tutti gli effetti in guerra, con il pieno
uso di bombe o razzi guidati che dir si voglia.
Disastro: frammentarietà ovunque, a destra e
a sinistra, con la Lega che dice No perché non
vuole un aumento delle immigrazioni e Idv e
Sinistra ecologia e libertà che a gran voce par-
6
lano di pacifismo e anti-interventismo. E i ribelli? Eh si, perché dietro a quelle belle parole
e alla bandiera arcobaleno (che se non è già
stato fatto, verrà presto ostentata da qualche
perbenista) si cancella la speranza dei dissidenti, oppressi dalla “guida della rivoluzione
socialista libica”. Giorgio Napolitano non ha
esitato a sostenere l’iniziativa del governo, che
si trova “dinanzi a un nuovo prorompere delle
istanze di libertà e di giustizia in regioni a noi
vicine”. L’Italia non deve abbandonare in balia
del suo destino chi chiede che vengano rispettati i diritti sanciti dalla Dichiarazione Universale del ’48. L’Italia non può coprirsi di una tale
macchia, ha già sbagliato in passato ad allearsi
con il dittatore assassino e filo-terrorista
Gheddafi.
Dimenticare chi muore ogni giorno per strada,
ammazzato dai colpi vergognosi di coloro che
sostengono il Mu’ammar, non è la scelta giusta: 2 bei prosciuttoni sugli occhi che nascondano la realtà dei fatti sono tanto belli (e buoni soprattutto!) quanto inutili per qualsiasi
soluzione. Occorre accettare che siamo paradossalmente in guerra per la pace. La tecnologia ha fatto passi da gigante negli ultimi decenni ed esistono ordigni che possono essere sparati da chilometri di distanza con anche soli 50
centimetri d’errore. Non si parla di sparare
sulla folla colpendo tutto e tutti alla Bava Beccaris. No. L’obiettivo è proteggere i ribelli ed
eliminare qualsiasi minaccia si levi contro di
essi e per riuscirci non si deve esser disposti
già in partenza a sacrificare una porzione di
innocenti perché il fine giustifica i mezzi. Occorre essere coscienti che noi siamo andati in
guerra con l’obiettivo alto di tenere a 0 il counter delle vittime civili per fuoco amico. Purtroppo non ci siamo riusciti, è vero, ma ciò che
conta è che in futuro accada sempre meno che
l’errore domini la scena dei conflitti contro
regimi criminali perché se fossimo noi quelli
barbaramente trucidati dalle truppe del colonnello, se fossimo noi a dover vivere in un regime che non garantisce libertà chiederemmo a
gran voce aiuto perché meritiamo di più. “E’
doveroso che l’Italia faccia la propria parte
perché chi cerca la libertà possa ottenerla” *Gianfranco Fini+.
Enrico Biscaro 5° M
Wikileaks: vantaggio o danno?
Negli ultimi mesi il dibattito su Internet e
sui mezzi di comunicazione online si è essenzialmente sviluppato attorno al tanto
nominato “Wikileaks”, al suo modello e
alla sua “mission” di svelare ogni segreto
con una trasparenza assoluta, soprattutto
in campo politico economico. Ma che cos’è
esattamente wikileaks? Si tratta di un'organizzazione internazionale che, attraverso il proprio sito, mette in rete documenti
top secret impegnandosi di verificarne l'attendibilità prima della pubblicazione online. Il materiale viene infatti fornito da mittenti anonimi, per poi essere protetto con
un sistema di criptaggio.
Il sistema di gestione dati, l'anonimato degli informatori, di tutti coloro che sono impegnati nella divulgazione di notizie e degli
stessi finanziatori è gestito tramite il server
del sito situato probabilmente in Svezia,
uno dei pochissimi Paesi in cui sia consentita una simile politica. Wikileaks imita la
politica partecipativa di Wikipedia ma, a
differenza dell' enciclopedia libera che agogna a diffondere un arricchimento puramente culturale, si propone di compiere
una divulgazione dei comportamenti immorali da parte di governi e aziende.
Ma da dove proviene questa iniziativa e
chi ne è l' artefice?
Il fondatore di Wikileaks è Julian Assange:
Giornalista, programmatore e attivista svedese di origini australiane, noto come hacker di prima categoria. Attualmente è stato emesso un mandato di arresto internazionale nei suoi confronti, per presunti stupri, molestie e coercizione illegale. Gira
voce, però, che l' accusa possa essere la
contromossa adottata dai suoi antagonisti.
L' esordio dell' attività di Assange e quindi
di questo sito è avvenuto nel dicembre del
2006, con la pubblicazione di un documento non completamente verificato che svelava un piano per uccidere alcuni membri
del governo somalo. In seguito egli ha reso
pubblici materiali che riguardavano Guantanamo, la guerra in Afghanistan, la corruzione in Kenya, una possibile attività di riciclaggio della banca svizzera Julius Bär.
Si è molto discussa la validità di questo sistema poiché, pur ponendosi l'obiettivo di
promuovere il liberismo e la democrazia,
nei fatti, ha rifiutato di distinguere i buoni
dai cattivi. Assange ha dichiarato che il libero mercato rischia di finire in una situazione di monopolio se non si lavora per
mantenerlo libero e che Wikileaks è nato
con lo scopo di rendere il capitalismo più
autonomo ed etico. Secondo l’hacker un
mercato perfetto richiede un' informazione cristallina.
La sua attività di documentazione di materiali riservati con lo scopo di renderli di
pubblico dominio si maschera come una
missione volta a diffondere la trasparenza
totale, il cui fine ultimo sarebbe renderla
un vantaggio per tutti.
Tuttavia lui stesso si identifica come una
figura ambigua: poco si conosce della sua
vita se non che viva un'esistenza itinerante
sempre accompagnato dal suo portatile.
Inoltre la sua stessa modalità di agire non
può certo definirsi trasparente e neutrale:
la segretezza sui finanziatori del sito non
dovrebbe essere tollerata, e allo stesso
modo dovrebbero essere rese note le modalità attraverso le quali le notizie sono
state ricevute. É poi doveroso considerare
che al pubblico non è chiaro ciò che sta
sotto un simile progetto, le minacce e i
probabili ricatti rivolti ai protagonisti delle
informazioni divulgate. Per quanto Wikileaks si ponga come uno strumento a favore
della democrazia, la diffusione di materiali
segreti ha cambiato completamente il panorama dei media se non lo stesso corso
della storia favorendo forse, in qualche
caso, più i regimi dittatoriali.
Un eccesso della circolazione di idee e di
informazioni può svelare i lati meno nobili
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della politica, anche di quella fondata sulla
democrazia. Come descrive Jean Paul Sartre nella sua commedia “Le mains sales”,
anche il rivoluzionario idealista se è a capo
di un movimento ha “le mani sporche fino
ai gomiti”. È quindi impossibile ottenere
dei risultati in politica ed accontentare una
maggioranza senza attraversare qualche
campo minato.
Insomma: l'operato di Assange non risulta
imparziale e liberale come vuol farci credere. Si è diffusa l'opinione che oggi i veri
eroi della libertà non sono gli hacker che
sfruttano la rete come fosse una passerella
mediatica, ma i ragazzi che, nel Maghreb e
non solo, usano internet contro le dittature, a rischio della propria vita.
Una nobile prospettiva analoga ma allo
stesso tempo in contraddizione con Wikileaks è stata lanciata da Hilary Clinton.
Il segretario di stato americano ha tenuto
un discorso il 16 febbraio alla George Washington University, chiedendo nuovi interventi tecnico-regolamentari per fare in
modo che il web possa essere ovunque il
veicolo della libertà d’espressione per il
popolo.
Un'importante iniziativa si aggira attorno a
Twitter: la rete di micro-blog consentirebbe di stabilire dei contatti diretti con i giovani dei Paesi del Nord Africa e del Medio
Oriente in preda alle contestazioni civili.
Il governo americano, avendo già aperto
degli account su Twitter in persiano, arabo
e diverse altre lingue per poter far arrivare
i propri messaggi, garantisce di crearne
altri in cinese russo e hindi.
“Per gli USA la scelta è chiara:- comunica
Hilary Clinton - noi ci poniamo dalla parte
dell’apertura. La libertà di Internet causa
delle tensioni, come tutte le libertà, ma i
benefici superano i costi”.
Gli Stati Uniti d' America investiranno altri
25 milioni di dollari per aiutare i dissidenti
online e gli attivisti in lotta che si oppongono ai regimi.
La Clinton ha inoltre dichiarato durante un'
intervista dell' ABC: “l’amministrazione
USA intende usare i media sociali per comunicare con i milioni di persone che le
utilizzano nel mondo per far arrivare direttamente le nostre proposte politiche” e ha
in seguito aggiunto: “vogliamo metterci in
contatto con queste popolazioni incredibilmente giovani e piene di energie che cercano di far valere le proprie aspirazioni”.
Proposte e atteggiamenti molto più condivisibili della politica di divulgazione senza
controllo di Assange.
Se il liberalismo richiede informazione e
indipendenza, la giustizia richiede che gli
strumenti vengano utilizzati per scopi precisi, volti al progresso e al beneficio del
popolo.
Fino a questo momento gli investimenti su
Wikileaks non hanno condotto ad altro che
a seminare odio, consentendo a chi ne ha
avuto accesso di mancare di rispetto ad
altre persone, e talvolta di risultare fatali
per la costruzione di una società pacifica.
Giorgia Conte 2° B
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INcontro con Laura Boldrini
Lo scorso 24 marzo c’è stata la conferenza
con Laura Boldrini, Portavoce dell’Alto
Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, che ha presentato il suo libro “Tutti
indietro”.
Dopo un’interessante presentazione di Laura Boldrini e del volume, alcuni racconti di
vita di migranti e una discussione, la Portavoce si è resa disponibile ai nostri microfoni
per rispondere ad alcune domande.
Oggi ci troviamo in una situazione di emergenza con un numero di migranti molto più
alto rispetto ai normali flussi. Il ministro
Frattini ha parlato di un esodo biblico in cui
dobbiamo aspettarci trecento mila immigrati; secondo lei quali possono essere le
modalità e i luoghi di collocazione per queste persone?
“Siamo di fronte ad un’emergenza con un
numero molto più alto di immigrati rispetto
ai regolari flussi”. Sono tre anni che non ci
sono più i decreti flusso in Italia, solo per le
colf e le badanti sono state fatte delle eccezioni; dunque i regolari flussi erano zero.
Dal 2009 c’è la politica dei “respingimenti
in mare”, così i richiedenti asilo che arrivavano in Italia rischiando la vita perché giungevano via mare dal Corno d’Africa, dalla
Somalia, dall’Eritrea, dal Sudan, dal Darfur
non sono più potuti arrivare. Nel 2008 in
Italia ci sono state 31 mila domande di asilo
in linea con gli standard europei, nel 2009,
l’anno dei respingimenti, ce ne sono state
17 mila, nel 2010 10 mila. Allora uno mi
dice “va bene ma è facile: uno fa la domanda d’asilo poi nessuno ottiene riconoscimento della protezione”. Anche questo non
è vero perché di chi rischiava la vita nel Mediterraneo prima dei respingimenti non otteneva la protezione solo il 5 o il 10%, ma lo
Stato, dopo aver fatto audizioni individuali,
al 50% di quelle persone riconosceva il diritto. Con i respingimenti questo non è sta-
to più possibile, cioè non si arrivava più via
mare, quindi è chiaro che se si fa il paragone con il 2009 (l’anno dei respingimenti) in
cui, appunto, non si arrivava più via mare e
non c’erano i flussi regolari delle quote del
decreto flussi si nota una sproporzione. Ma
quello che non si può sapere è che nel frattempo sono entrate decine di migliaia di
immigranti con un normale visto turistico e
sono rimasti allo scadere di questo, si stima
che siano 150/200 mila l’anno. Perché fanno questo? Perché sanno che poi rimangono e trovano lavoro in nero. È più conveniente avere lavoratori in nero perché costa di meno. Dunque il decreto flussi è
qualcosa che impegna di più perché significa che le persone devono essere messe in
regola. Quindi, quando dico “senso critico”
parlo di questo, non prendiamo tutto per
buono, cerchiamo di ragionare informandoci.
Rispondendo alla seconda parte della domanda dico che bisogna prepararsi, infatti
si sta lavorando per questo, il governo sta
attuando questo piano, ma si deve agire
nell’ottica che tutti gli stati, quando ci sono
delle emergenze devono far fronte alle fughe dei civili; lo fanno gli stati più poveri,
molto più di quelli ricchi, quindi, quando
anche questi ultimi sono chiamati in causa
devono poter fare la propria parte, perché
fa bene anche a noi, alla nostra umanità.
Spesso le persone favorevoli all’accoglienza
degli immigrati vengono ingiustamente definite “buoniste” . lei ritiene che ci sia
un’evidente limite nel definire qualcuno disponibile all’accoglienza e all’integrazione
degli immigranti e i cosiddetti “seguaci del
buonismo”?
Chi usa questo termine lo fa in modo molto
riduttivo. Quando qualcuno dice “sei un
buonista” non intende affermare che stai
facendo la cosa giusta nell’accezione positiva, ma nell’accezione negativa perché oggi
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va di moda “il cattivismo”, “il cattivo va per
la maggiore”!
I termini si stanno invertendo, come i riferimenti, quindi se si cerca di promuovere
un’idea di società che sia basata sulla giustizia, sull’equità, sulla coesione allora si è
un buonista, cioè è da rottamare perché
non si ha capito niente della vita; al contrario se si è uno con il coltello tra i denti significa che si ha una visione. Questo è il pericolo in agguato.
La questione, però, non è tra buoni e cattiva, ma tra chi ha una visione e chi no, perché chi non ne ha una pensa che il futuro
sia all’interno del proprio microcosmo,
chiuso per “salvaguardare le proprie origini”. Ebbene mi dispiace, noi siamo il frutto
della contaminazione e nel futuro globale
noi rischiamo di scomparire se non ci
proiettiamo verso l’apertura. Ma per affermare questo bisogna avere le idee chiare,
altrimenti a causa del pensiero unico che è
dilagante ci si sente intimiditi dal dire ciò
che si pensa veramente. No, bisogna assumersi la responsabilità di ciò che si afferma
e non aver paura di promuovere una società basata sull’eguaglianza e sul rispetto della persona. La dignità umana è fondamentale, lo afferma la Dichiarazione Universale
dei Diritti Umani, la carta su cui si basano
tutte le democrazie.
“Tutti indietro” è il titolo del suo nuovo libro, ma è anche una realtà quotidiana,
quella di migranti in cerca di un rifugio e
che vengono respinti in mare o nei deserti;
perché, a suo parere, oggi siamo meno propensi all’integrazione? E perché c’è una minor accettazione, se non paura, del
“diverso”? Anche gli italiani, però, sono stati un popolo di emigranti, che differenza c’è
tra loro e gli emigranti di oggi?
Se parliamo di respingimenti non parliamo
di integrazione, parliamo di accesso al territorio. Fino a qualche mese fa non si consentiva l’accesso al territorio di persone
spesso in fuga dalle guerre e dalle persecuzioni perché venivano rimandate indietro
senza nessun tipo di identificazioni, tutti
10
allo stesso modo senza sapere il motivo per
cui stavano su quella carretta del mare.
Questo è accaduto perché c’è stato un accordo tra l’Italia e la Libia che consentiva
tale tipo di collaborazione. Altra cosa è
l’integrazione, una volta che le persone,
rifugiati o immigrati, sono sul territorio bisognerebbe consentire loro di vivere in armonia nel nuovo posto dando loro la possibilità di capire come funziona il “sistema
paese”, magari all’inizio insegnando una
lingua, avviando il loro percorso per un certo periodo affinché poi vadano avanti con
le loro gambe perché questa gente non
vuole vivere di assistenzialismo. Allora bisognerebbe fare uno sforzo, investire un po’
più di soldi nella prima integrazione cosicché poi queste persone possano farcela da
sole. Se manca questa parte si rischia di
creare delle sacche di marginalità. Sarebbe
molto frustrante sia per chi ha fatto un
grande passo sia per la società che non sa
vedere il valore delle persone e le lascia ai
margini. Bisogna investire di più
nell’integrazione, bisogna comunicare
l’immigrazione e le questioni relative
all’asilo con più obiettività, con più onesta
intellettuale, non bisogna alimentare la paura della gente (ed è facilissimo farlo), tanto più perché noi italiani siamo stati vittime
del pregiudizio quando siamo andati
all’estero, quando abbiamo cercato lavoro
altrove, quando eravamo poveri o rifugiati
perché non c’era libertà durante il periodo
fascista. Dunque noi, memori di tutto questo, dovremmo sapere bene quanto tutto
questo non porti a nulla e dovremmo riuscire a mettere in atto un atro approccio,
però, per fare questo ci vuole un po’ di visione.
Il problema dell’afflusso di immigrati non è
limitato alla sola Italia dato che la libera
circolazione nell’Unione Europea rende possibile gli spostamenti di massa in tutto il
continente. A quali soluzioni dobbiamo pensare quali soluzioni l’Europa sta prendendo
in considerazione?
L’Europa ha bisogno di giovani, specialmen-
te l’Italia che è una società vecchia.
L’Europa ha bisogno di persone che facciano i lavori che gli autoctoni non vogliono
fare. Dunque è nel nostro interesse che ci
siano queste persone disposte a subentrare
e a sopperire ai nostri bisogni, quindi dovremmo essere abbastanza lungimiranti da
dare a questa gente la possibilità di vivere
bene, di vivere dignitosamente, di essere
rispettata e di avere accesso anche ai diritti
perché non si può pensare solo di chiedere,
bisogna dare qualcosa in cambio altrimenti
non funziona.
Ritiene che l’approccio nei confronti dello
straniero, il quale viene percepito dalla società attuale come un pericolo, potrà cambiare? Le generazioni future verranno educate all’accoglienza e alla disponibilità nel
confronti degli extracomunitari? O
l’influenza dei mass media e della politica
contraria all’accoglienza degli immigranti
avrà la meglio sull’opinione pubblica?
Io penso che ci vorrà del tempo, ma tutto
questo si metabolizzerà e diventerà tutto
molto più fisiologico, più normale, però,
sono fenomeni che hanno bisogno di essere assimilati con un cero tempo. In fondo
l’Italia ha visto un grosso flusso di immigrati
in meno di vent’anni, questo è un periodo
molto breve e quindi c’è bisogno di un tempo di assestamento. Cambierà, ci vorrà
tempo, ma cambierà, certo molto dipende
anche da come la politica si farà carico di
questa questione perché finora non ha veramente svolto un ruolo così importante
nella comprensione del fenomeno. Quando
voi sarete la classe dirigente avrete una visione differente del fenomeno, già lo avete
conosciuto in modo diverso; dunque penso
che sarete contemporanei, più capaci di
non farvi prendere da panico. Io ho fiducia
in voi!
Ludovica Crosato 1° D
Giorgia Conte 2° B
11
Oggigiorno ci troviamo in un’epoca storica
in cui, i principi che caratterizzavano la società fino a pochi decenni fa, appaiono in
via di esaurimento, tanto che molti affermano di vivere in una comunità priva di valori,
in cui sono cambiate le priorità della vita. Lo
si vede quotidianamente dai giornali: omicidi, suicidi, figli che uccidono i genitori, stragi
senza motivazioni valide, attribuite generalmente a un momento di follia o alla depressione. Parte della gente sostiene che ciò
accade per la mancanza di quei valori che
dovrebbero essere alla base della convivenza civile e che dovrebbero essere impartiti
dalla famiglia e dalle istituzioni scolastiche.
Come si possono tuttavia spiegare questi
avvenimenti? Se risulta già difficile definire
in poche parole un determinato periodo
storico, ancor di più è affermare superficialmente che la società contemporanea è priva di valori, riconoscendo oggi come unico
bene prezioso il denaro e scordando che
alle radici di ogni individuo ci sono sempre
la famiglia, gli amici, gli affetti e non la carriera o il successo o i soldi. Improvvisamente però si legge di giovani che uccidono per
i motivi più assurdamente banali, spesso
scatenati da un qualsiasi piccolo ostacolo
che si frapponga alla realizzazione di un desiderio, o di genitori che abusano dei loro
stessi figli o ancora di episodi di violenza a
danno di persone extracomunitarie. Di fronte a tutto ciò non ci si può non chiedere: “
E’ possibile che una semplice incomprensione possa indurre ad uccidere o a compiere
gesti così agghiaccianti? Secondo la mia
personale opinione, penso che la violenza
presente oggi nella nostra società, sia
anch’essa il riflesso della decadenza dei valori. Tra crisi economica, aumento della povertà e del degrado vi è anche la perdita di
valori e di modelli di riferimento , così come
il bisogno di affermare il proprio ruolo sociale o la propria identità. La nostra società
dunque sta implodendo e la violenza è il
12
sintomo stesso di questa profonda trasformazione. A mio avviso, tale emergenza va
affrontata in primo luogo dalla classe politica: le istituzioni giuridiche devono condannare chi commette crimini efferati o azioni
riprovevoli in tempi ragionevoli, per evitare
che le famiglie delle vittime commettano
ulteriori episodi di brutalità attraverso la
vendetta personale. Poi, qualora atti di inaudita ferocia fossero compiuti da persone
appartenenti a comunità emarginate o
ghettizzate, oltre alla pena stabilita dalla
legge, ritengo necessari incontri di sensibilizzazione e integrazione per consentire loro
un ipotetico inserimento nella comunità,
dopo aver scontato la propria condanna.
Inoltre non possono sicuramente essere
trascurati i fenomeni del bullismo o delle
baby gang, che sempre più invadono le città, i quali rappresentano il sentore della
rabbia provata dai giovani verso gli adulti o
più in generale verso il “diverso”, causata
anche
in
questa
circostanza
dall’affermazione di un’identità di famiglia
in cui i ruoli tradizionali si sono persi e non
sono più quelli di una volta, e da una mancata educazione sociale e culturale. Al di là
dei risultati formali ottenuti attraverso campagne contro la violenza o tramite la creazione di associazioni riguardanti questa tematica, sono comunque degni di merito
l’impegno e la buona volontà dell’uomo di
fronte a situazioni di tale portata, che si sarebbero potute forse evitare in un contesto
sociale ed economico diverso da quello attuale. In ogni caso, alla fine possiamo solamente imparare dai nostri sbagli e dalle terrificanti tragedie di cui sentiamo parlare
tutti i giorni, per evitare episodi violenti ed
analoghi in futuro,fondando una comunità
basata su principi cardini come
l’educazione, la cultura e il rispetto verso il
prossimo.
Sara Zanatta 5° L
La panoramica dei libri-inchiesta riguardanti la
mafia e la molteplicità dei suoi crimini è estremamente vasta. Tra i titoli più famosi che hanno
scalato le classifiche editoriali degli ultimi decenni ritroviamo sicuramente “Gomorra” di Roberto
Saviano, “I Gattopardi” di Raffaele Cantone, “Chi
ha paura muore ogni giorno” di Giuseppe Ayala
o ancora le confessioni di Tommaso Buscetta,
collaboratore di giustizia. Joseph Pistone,
l’autore del libro “Cosa Nostra, istruzioni per
l’uso”, tuttavia non condivide molto con i precedenti autori per quanto riguarda l’approccio riguardo la tematica trattata e il potenziale lettore. Pistone non è uno scrittore né un filosofo.
Non è né un giudice, né un magistrato, né una
vittima di mafia. Joseph Pistone è innanzitutto
l’agente dell’ FBI che è riuscito a infiltrarsi tra le
schiere di un potente clan malavitoso del New
Jersey, portando a termine la più straordinaria
delle operazioni d’infiltrazione nella mafia statunitense. Il suo libro, ci offre uno scorcio di quello
che è stato il suo pane quotidiano per 6 lunghissimi anni. Donnie Brasco, nome con cui Pistone
si è fatto conoscere presso le più importanti famiglie mafiose americane, è stato ad un passo
dal divenire uno degli “uomini d’onore” e, ancora oggi, la sua impresa è leggenda. All’età di 72
anni è un rarissimo esempio di coloro che sono
penetrati fino al cuore dell’emblema per eccellenza della criminalità e che sono riusciti a sopravvivere. Tuttavia, come d’altra parte è logico
pensare, la vicenda ha cambiato radicalmente
l’autore sia nell’atteggiamento che nel modo di
pensare. Il libro di Pistone non è scritto in un
linguaggio cortese, diplomatico o posato.
L’autore utilizza volutamente immagini ed espressioni crude per descrivere senza mezzi termini come si comporta realmente la mafia nel
suo ambiente. Non è una denuncia riguardo i
traffici illeciti, i delitti o i casi di corruzione. Il
libro descrive solo e soltanto i rapporti intercorrenti tra i vari membri di un clan e la loro linea
d’azione a seconda dei casi. Pistone racconta il
ruolo del boss, dei capi e dei “ragazzi”, il giusto
comportamento da tenere nelle diverse situazioni, il potere psicologico che un mafioso può
esercitare su un comune individuo anche solo
attraverso un gesto, i rapporti tra la mafia e le
donne, la centralità della figura del denaro, la
crudeltà degli scontri tra le famiglie o delle
spedizioni punitive, il sadismo delle torture e
il perenne timore di poter essere considerati
delle spie a cui far patire un destino ben peggiore della morte.
Così, pagina dopo pagina, Pistone racconta
Brasco. Racconta della difficoltà psicologica di
mantenere un’apparenza credibile agli occhi
dei capi senza mai vendere l’anima alla malavita; esprime con quel suo modo di fare pratico e, forse, appena un po’ scurrile, lo stress di
affrontare, senza alcun appoggio da parte
della polizia, quel cancro sociale che sta stritolando nazioni intere. Apparentemente la
storia di Donnie può sembrare scritta come
un saggio di criminologia: il libro è, a tutti gli
effetti, un manuale per dar modo al mondo di
conoscere, senza alcun filtro, come un clan
mafioso viva la quotidianità. Certamente
l’autore sta ancora pagando il prezzo della
riuscita dell’operazione: Joseph Pistone, considerato uno dei più grandi esperti del crimine
organizzato, vive tuttora sotto falso nome e
con un porto d’armi. La sua collaborazione
con le alte sfere giudiziarie statunitensi ha
permesso che molte organizzazioni venissero
annientate nel territorio americano.
Pistone ha inoltre fatto pubblicare il libro
“Donnie Brasco. La mia battaglia contro la
mafia americana”, che racconta nel dettaglio
gli anni di Pistone agli ordini dei capi mafiosi e
l’operazione portata a termine nel 1980. Da
qui venne poi tratto il film “Donnie Brasco”
del 1997 con Johnny Depp e Al Pacino nelle
vesti, rispettivamente, di Donnie Brasco e del
suo mentore del crimine Ruggiero.
Questo libro trasporta il lettore direttamente
all’interno di una famiglia d’onore e lo pone
davanti a tutti i meccanismi che regolano la
vita del sistema, descrivendo accuratamente,
ma senza lesinare sulla macabra ironia ormai
propria del carattere dell’ autore, ogni aspetto del funzionamento di quella mostruosa
macchina economica, sociale, politica ed etica
chiamata Mafia.
Maria Lavinia Piovesan 4° M
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Intervista
ai rappresentanti d'istituto
Salve a tutti, cari lettori! Eccovi la consueta
intervista di fine anno ai rappresentanti,
che purtroppo è stata fatta in assenza di
uno di questi, Philipp Thiozzo, che non si è
potuto fermare per parteciparvi. Vediamo
comunque come se la sono cavata i nostri
esimi colleghi!
Enrico Biscaro: È stato un lungo anno, ragazzi, riassumetecelo in una parola!
Matteo Sovilla: per me, lungo!
Francesco Prencipe: sì, decisamente lungo!
M: avevamo molti progetti da realizzare, ci
siamo scontrati con problemi di organizzazione di tutti i generi, tutti quelli che potevano capitarci… Mancano ancora cose da fare
e speriamo di farle, anche perché ci dispiacerebbe non farle, però tutto sommato direi
un anno divertente!
Giacomo Catarin: per me “lampo”!
F: sì, anche io sono d’accordo, è passato in
un attimo!
E: Veniamo alla domanda tosta: all’inizio
parlavate di poche promesse ma tutte concrete, leggiamo un po’ i vostri obiettivi e
controlliamo se siete riuscite a portarli tutti
a termine!
M: è proprio cattiva!
F: è vero, però è giusta, perché insomma
critichiamo sempre i nostri politici perché
promettono e poi non fanno niente, e adesso che ci ritroviamo noi nella situazione di
rappresentare qualcuno è giusto che anche
noi veniamo giudicati; almeno questa situazione ci ha fatto capire che effettivamente
non possiamo criticare i politici con troppa
facilità!
M: beh io continuo a criticarli!
E: Ok dai, partiamo con gli obiettivi della lista
2 (Matteo e Federica): il vostro motto era
“continuiamo così!” ed i vostri principali obiettivi erano corsi di fotografia e musica,
cineforum, concerti con band scolastiche,
migliorare l’orientamento universitario e
concentrarsi sull’organizzazione delle assem-
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blee (che voi definite “cantieri”).
M: allora, cominciamo dai cantieri: non sono
partiti! Non ce l’abbiamo proprio fatta nonostante c’avessimo provato… Mi ci sono impegnato troppo tardi, alla fine del primo
quadrimestre, quando abbiamo presentato i
calendari e per un motivo o per l’altro, sono
saltati tutti! Alla fine saremmo riusciti a organizzarne uno per il mese scorso , ma ci è
sembrato un po’ tardi e quindi niente…
E: Eventualmente potrebbe essere un progetto da riprendere l’anno prossimo!
M: certamente! Però purtroppo per
quest’anno non ce l’abbiamo fatta! Anche
perché i relatori che avevamo scelto sarebbero stati messi un po’ sotto pressione proprio verso la fine dell’anno, che è la parte
più dura… Parlando di assemblee, ne abbiamo fatte meno del previsto.
F: beh ma nessuno di noi ne aveva promesse
di più, sinceramente!
Giovanni Lorenzon: Erano la lista 1 e 6 che
ne avevano promesse molte infatti!
M: sì, è vero! In ogni caso ci sembra di averle
organizzate bene! Poi il corso di fotografia è
stato avviato; quello di musica purtroppo no,
dal momento che comunque era in fondo
alla nostra lista di priorità…
F: parlando di orientamento l’abbiamo organizzato durante la giornata dell’autonomia in
due interventi: il primo ci sembra sia andato
bene e sia stato utile, mentre il secondo non
molto, anche perché molti universitari se ne
erano dovuti andare e quindi erano rimasti
in pochi.
G: Comunque io ho partecipato al primo
gruppo e vi assicuro che è stato utile!
F: ecco! Bene! In ogni caso ci pareva il metodo migliore quello dell’orientamento con exalunni, perché sono quelli che possono darti
il punto di vista più vicino al tuo!
G: il fatto è che purtroppo questo orientamento è stato organizzato tardi e soprattutto se ne sarebbe potuto organizzare di più…
Per quelli che ci sostituiranno consiglierei di
organizzare almeno un paio di incontri, a
partire da subito, perché altrimenti sono inutili dato che nel frattempo la gente ha magari già scelto!
E: Bene dai, passiamo agli obiettivi della lista
3 (Francesco e Giacomo): il vostro motto era
“cultura senza paura” e i vostri principali obiettivi erano quelli di sensibilizzare
l’opinione pubblica scolastica in merito ai
temi di attualità, organizzare conferenze pomeridiane sulle ricorrenze storiche italiane,
puntare sull’ecologia (realizzando schede
esplicative per le classi), organizzare assemblee extrascolastiche e rinnovare la veste
grafica del giornalino.
F: per quanto riguarda l’ecologia abbiamo
istituito le commissioni ecologia e il progetto
era partito anche molto bene! Questa commissione ci aveva consegnato anche il programma: sarebbero andati in giro per le classi a controllare l’immondizia (se era ben smistata e se c’erano tutti i contenitori necessari) solo che è stata organizzata tardi, circa
inizio aprile, e inoltre il l’iniziativa è stata
formalizzata dopo che aveva già cominciato
ad entrare in funzione, quindi ci siamo beccati una bella lavata di capo…
G: io sinceramente sono deluso da quello
che avevo in mente di fare, nel senso che
eravamo ingenuamente partiti con un sacco
di buoni propositi, in quanto non ci eravamo
resi conti di quanti sforzi e quanto tempo
richiedesse stare dietro ad ogni cosa; siamo
partiti con liste da 7-8 punti ciascuna che
quando si sono unite davano vita a troppi
obiettivi da portare a termine entro un anno! Perciò io sinceramente, analizzando come avevo già fatto per conto mio i punti che
c’eravamo prefissati di raggiungere, devo
ammettere che siamo riusciti a fare davvero
poco per bene. Quindi non mi darei proprio
una sufficienza se dovessi valutarmi.
G: Ehi ragazzi non volevamo demoralizzarvi
in questa maniera, dai!
G: no beh ma è come la penso io! Io sono
uno che critica molto le persone che mi rappresentano, ed essendo io stesso stato eletto da un “popolo” per la fiducia che ho di-
mostrato di meritare, devo ammettere che
alla fine non sono riuscito a rappresentarlo
come ingenuamente pensavo di poter fare…
Cioè dovrei aver capito prima che era impossibile fare tutto quello che ci eravamo prefissati! Se dovessi dare un consiglio ai futuri
candidati è di valutare bene le proposte che
vogliono presentare!
G: Parlando d’Italia! L’idea di leggere un articolo della costituzione italiana al giorno è
stata vostra?
M: no è partita dal dipartimento di storia e
filosofia, noi abbiamo solo raggruppato tutti
quelli che volevano leggere gli articoli
all’interfono!
F: comunque, parlando dei progetti riguardanti l’anniversario dell’unità d’Italia, noi
abbiamo avuto l’idea delle bandiere e delle
spillette; in ogni caso riguardo al tema noi
crediamo di averlo pienamente portato
all’interno della scuola, anche grazie al dipartimento di storia e filosofia.
E: Adesso sembra un vero disastro il vostro
mandato, ma tenete conto che è la prima
volta che abbiamo i vostri obiettivi per iscritto e che li confrontiamo con quello che avete fatto, quindi siete anche un po’ sfortunati
dai!
F: ma è giustissimo che facciate così! E dovete continuare a farlo gli anni prossimi!
G: Sì è vero! Comunque tornando ai nostri
discorsi sugli obiettivi… Siamo (e siete) stati
un po’ spietati, però mi pare che ci sia un
punto della vostra lista che sia stato ampiamente portato a termine, un punto a mio
parere molto importante: la lotta contro la
disinformazione!
F e G: sì, sono stati organizzati moltissimi
flash-mob, ma il merito è tutto di Enrico
Mussomeli!
F: è suo il vero merito riguardo a questo, noi
abbiamo soltanto aderito e l’abbiamo supportato come potevamo! Più che altro noi
abbiamo cercato di creare un clima con la
preside che fosse il più disteso possibile, in
modo tale da poter supportare anche come
scuola attività del genere! Forse l’unico merito che possiamo arrogarci è quello di aver
mantenuto con la preside un ottimo rappor-
15
to…
G: Insomma sentite di aver ricevuto un certo
sostegno dai “piani alti”?
M: assolutamente si! Cioè, con la preside
abbiamo avuto i nostri litigi, e
nell’organizzare ogni cosa per il liceo ci ha
sempre tenuto d’occhio, pretendendo molto; ma in fin dei conti ogni volta che facevamo un buon lavoro è sempre stata la prima a
riconoscerlo ed a complimentarsene!
G: vuole che tutto sia organizzato scientificamente, che ci sia sempre una scaletta da seguire e che venga rispettata, ma lei stessa ci
ha sempre aiutato in questo, fin dall’inizio!
F: quello che forse è più importante dire è
che è una persona prudentissima, che ha
un’incredibile visione globale di ogni situazione: ogni volta che bisogna organizzare
qualcosa pensa a tutte le possibili conseguenze e ripercussioni. È stata di sicuro un
aiuto prezioso, è sempre stata disponibilissima!
G: Domanda finale: vi ricandidereste l’anno
prossimo?
F, G e M: NO!
M: ricandidarsi l’anno prossimo vorrebbe
dire ripartire da capo, proprio a livello di
gruppo di lavoro: noi funzioniamo adesso
perché ci conosciamo e possiamo fare affidamento l’uno sull’altro e dividerci i compiti
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in base ai nostri talenti e alla nostra esperienza! Se dovessi essere rieletto dovrei imparare di nuovo su chi posso fare affidamento e quindi sarebbe una cosa lunga e faticosa, che ho già fatto una volta e mi basta! Oltretutto sarei in quinta…
F: ma oltre al fatto di essere all’ultimo anno,
non lo rifarei comunque!
M: inoltre capisco non ci fosse un grosso ricambio di candidati! Ma qui a scuola nostra
c’è una quantità di liste incredibile!
E: bene ragazzi avete qualcosa da aggiungere?
M: beh il fatto che ci siamo trovati bene insieme!
G: potevamo fare affidamento gli uni sugli
altri!
F: Ci sentiamo orgogliosi di aver rappresentato il Da Vinci! Rappresentare una scuola
come la nostra è una grande soddisfazione!
G: è vero! E anche un’ultima cosa: Quando ci
si prende un impegno, essere consapevoli
fino in fondo delle responsabilità che scaturiscono da esso!
E: quindi attenti a voi tutti che vi candiderete l’anno prossimo, c’è la fila ovunque per
tirarvi le orecchie! Grazie ragazzi della collaborazione, buona estate!
Enrico Biscaro 5° M
Giovanni Lorenzon 5° M
L’arcobaleno sulle mani
Tante cose deliziano una donna a tal punto
da farle fare pazzie. La maggior parte della
popolazione femminile, infatti, potrebbe
spendere miliardi in borse, gioielli, vestiti… in
frivolezze, sì, non lo neghiamo. Quando mi è
stato chiesto di scrivere un articolo su ciò che
piace alle donne, non ho potuto fare a meno
di scegliere ciò che riguarda in special modo
la frangia più giovane della categoria: gli
smalti. A primo acchito sembra un argomento frivolo, lo riconosco, ma prendetela come
una simpatica sfida personale. Ora non farò
una critica sull’uso degli smalti, ipocrisia che
accontenterebbe la parte maschilista della
popolazione scolastica tutta, ma nemmeno
un’apologia dello smalto, che sarebbe invece
una deliberata e immeritata appropriazione
di retorica.
Lo smalto è un prodotto cosmetico di vecchia
data, inventato, si dice, già migliaia di anni fa,
probabilmente nel 3000 a.C., e utilizzato dalle popolazioni antiche come segno di cura
femminile. Pare che il primo colore adoperato fosse il rosso, ricavato dall’henné, polvere
colorata naturale che oggi è usata più che
altro per la colorazione dei capelli. Gli Egizi,
ad esempio, prediligevano il colore del sangue; la famosa regina Nefertiti dipingeva le
unghie così, mentre la seducente Cleopatra
utilizzava una sfumatura più scura tendente
al bordeaux. Con il progredire della tecnologia i materiali impiegati nelle formule per gli
smalti sono cambiati. Attualmente molti prodotti sono ricavati da nitrocellulosa sciolta in
solventi e mescolata con coloranti, con aggiunta di agenti forma pellicola, resina e plasticizzanti. Nulla di particolarmente sano, si
deve notare; difatti è notoriamente sconsigliato abusare degli smalti perché possono
indebolire le unghie e l’acetone per toglierli è
da usare con moderazione. Tutto ciò non ha
di certo sconfortato le donne e le case produttrici di cosmetici! Esiste una varietà pressoché illimitata di marche tra cui scegliere,
che si differenziano per la qualità e per il
prezzo. Universalmente amati sono gli smalti
di Dior e Chanel, le cui tinte annualmente
rinnovate creano tendenza e influenzano le
produzioni minori.
Intorno a noi si possono notare un’infinità di
sfumature, opache o brillanti, che donano
alle mani un tocco particolare. Ormai è pressoché raro incontrare una ragazza che non
abbia le unghie colorate: la moda smalto è
esplosa. Rosso, rosa, fucsia, azzurro, blu, verde, marrone, nero, grigio, bianco, giallo, arancione e ancora rosso, rosa… La mania, perché
è di mania che si parla, è ai limiti del consentito. La moderazione è fuggita via in groppa
all’originalità. Beati i tempi in cui si poteva
stupire l’amica con un colore nuovo sulle dita. Se prima chi portava lo smalto aveva un
tocco particolare, ora chi non ce l’ha è una
mosca bianca. Recentemente ho incontrato
una ragazza che, eccitata dall’apertura di un
nuovo negozio di smalti in città, ha affermato
che “lo smalto è una delle sue ragioni di vita”.
A dir poco paradossale ed esagerato! In
internet sono presenti vari siti che dichiarano
che coloro che non portano lo smalto non si
possono chiamare donne. È possibile che la
dignità femminile si riduca ad una tinta sulle
mani?
Nel momento in cui la situazione tornerà alla
normalità si potrà apprezzare con serenità
l’arcobaleno che possiamo avere.
Giorgia Bincoletto 5° N
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MEGLIO ZAPPARE O STUDIARE?
Un vecchio proverbio diceva che “chi non
è nato per studiare è fatto per zappare la
terra” e per evitare questo destino, che
tanto ricordava le corvees del passato,
molti genitori hanno ripetuto ai loro figli
che nella vita dovevano studiare perché
altrimenti non sarebbero mai diventati
nessuno.
Su questa questione si potrebbe discutere
all’infinito, citando discorsi di personaggi
famosi e di grandi uomini; preferirei invece
dare un contributo diretto e presentarvi
ciò che penso io, anche se la mia è pur
sempre l’opinione di una adolescente.
Fin da piccola, forse sempre comprendendolo in modo errato, ho ritenuto che
l’unica prospettiva che l’uomo potesse avere per il futuro fosse quella di studiare,
studiare per imparare a svolgere un lavoro
che permetta di far vivere la famiglia in un
modo dignitoso e permetta anche
all’individuo stesso di essere soddisfatto e
felice.
E così fin dalle scuole elementari mi sono
impegnata al massimo riportando sempre
buoni risultati, proprio perché io nella mia
vita volevo diventare qualcuno. Poi sono
iniziate le scuole medie e lì le difficoltà sono diventate maggiori, ma fortunatamente
con tanta forza di volontà e determinazione sono riuscita a superare tutti gli ostacoli.
Proprio in quel periodo ho iniziato a conoscere persone che a scuola non se la cavavano benissimo: la voglia di impegnarsi per
loro era poca e preferivano dedicarsi ad
altro; ognuno aveva le proprie passioni e
continuava a coltivarle, che fossero gli
sport come il costruire piccoli oggetti.
Bisogna anche dire che alle scuole medie si
è ancora piccoli e non si ha un’idea precisa di cosa si voglia fare in futuro. Ma ecco
che poi arriva per tutti il momento della
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scelta: a quale scuola superiore iscriversi?
Ed è proprio in quel momento che si compie una netta divisione: da una parte c’è
chi ha scelto di voler intraprendere un itinerario di studi più lungo che proseguirà
magari in futuro con l’università , e
dall’altra parte quelli che vogliono trovare
un lavoro subito, per non dover studiare
molto e abbandonare il prima possibile la
mal sopportata scuola!
E mi ritrovo così il primo giorno di superiori in una classe di persone che non conosco e che hai miei occhi sembrano tutti
secchioni; ma dove sono finita? Come sopravvivere qui? Se ripenso alla scuola media quasi rimpiango tutte quelle marachelle che i miei compagni combinavano; qui è
tutto molto più serio e sembra proprio di
diventare a poco a poco adulti, lasciando
l’ovattato mondo della fanciullezza.
In questi tre anni ho scoperto che i miei
compagni non erano poi così “alieni”! Alla
fine la pensavano proprio come me e quindi mi sono presto integrata. Ma un dubbio
veramente mi era rimasto … e i miei compagni che hanno deciso di non voler più di
tanto studiare, davvero sono destinati, come predica il detto, a zappare la terra? Io
credo proprio di no.
Nell’immaginario comune, infatti, il medico, l’avvocato, il commercialista,
l’ingegnere, sono tutte mansioni ritenute
degne di uomini dalle grandi doti, proprio
perché per svolgere quel mestiere, hanno
studiato molto nella vita; ma a queste persone chi ha costruito la casa? Chi ha riparato il tubo che perdeva? Da questo si può
comprendere che anche i mestieri basati
sulla pratica non devono essere sminuiti
perché senza di essi il mondo non potrebbe funzionare correttamente.
E allora ripensando a questo ho compreso
che tutti i miei compagni che non volevano
fare della loro vita un “cammino verso
l’illuminazione culturale”, potevano comunque dare il loro contributo alla comunità e anzi, oserei dire, un contributo indispensabile.
E’ però certo che un minimo di cultura deve essere posseduta da tutti, ma
l’apprendimento non dovrebbe essere forzato a tutti i costi: la sete di conoscenza è
un principio cardine dell’uomo e quindi
prima o poi emergerà e farà avvicinare
ogni essere umano alla cultura.
Quindi, caro il mio vecchio detto, chi non è
nato per studiare, potrà si farne a meno
ma non per questo deve essere ritenuto
inferiore a chi invece lo fa;
anche il suo contributo servirà per migliorare il mondo. “Il libro non si giudica dalla
copertina”: chi siamo noi per giudicare una
persona solo dalla mansione che svolge?
Non sono forse altri i valori che caratterizzano l’essere umano? A voi la risposta.
Corsi più in fretta che potevo. Scappai perché me l’aveva detto Mimì di scappare da
quel ricco psicopatico, che imbracciava un
fucile da caccia, che aveva sparato al mio
migliore amico e che stava per fare fuori
tutti i cento carcerati su Cerere. “Presente,
passato e futuro” Pensai, procedendo verso casa come una bestia impazzita dalla
paura.
“Mimì aveva ragione, i nuovi arrivati non
hanno per nulla buone intenzioni” dissi a
Baccante quando giunsi in soggiorno. La
stanza, da quando avevamo iniziato a progettare la navetta, era diventata una sorta
di officina. Baccante era indaffarata con
una chiave inglese a svitare alcuni bulloni,
e intanto teneva quelli che aveva già tolto
nell’altra mano.
“Dov’è Mimì” “Mimì è storia”, risposi con
un sorriso. Sorridere era l’unico modo per
scacciare via dalla mia mente una grande
voglia di morire come lui. Con lui.
Baccante non capì immediatamente, poi
sbarrò gli occhi, e chiave e bulloni caddero
tintinnando sul pavimento. Iniziò a storcere la bocca per piangere, ma le dissi che
quello non era il momento, che dovevamo
pensare soltanto ad andarcene, che lui avrebbe voluto che noi non facessimo la sua
stessa fine. Allora lei si tirò un po’ su, e disse che avevamo soltanto bisogno di un
propulsore. “E dobbiamo anche trovare
Numero 15, dove diavolo è andato a cacciarsi?” “Perché hai bisogno di lui?” chiesi.
“Doveva venire con noi, ricordi?”
Aveva ragione. Fui scosso da un tremito.
Poteva anche essere già stato trovato da
quello psicopatico che si faceva chiamare
Ernesto Uboldi… che nome stupido. Perché un uomo con un nome così stupido
doveva fare questo? Non riuscivo più a capire nulla. Sembrava tutto un sogno… No,
calma. Dovevamo pensare al propulsore.
“Qualche idea per trovarne uno?” “Anche
per questo avrei bisogno di Numero 15. Ne
basta uno di poca potenza, dato che la nostra nave sarà piuttosto piccola”. Sentimmo un rimbombo sommesso, che divenne
sempre più forte, e una finestra improvvisamente si ruppe per lo spostamento
d’aria. Io e Baccante uscimmo fuori in cortile e trovammo una nave-pattuglia della
PI, la Polizia Intergalattica. Mi sarei messo
a correre nella direzione opposta, se non
avessi visto Numero 15 uscire
dall’astronave con un ghigno sulla faccia.
“Come hai fatto?” gli chiedemmo. “Sono
salito e sono partito”, rispose. “Un po’ come con la bicicletta, no? Forza, salite!”
Non ce lo facemmo ripetere due volte.
L’astronave volò agilmente in verticale,
superando in poco tempo l’atmosfera.
Quando uscimmo dal campo gravitazionale, sembrava che nessuno ci avesse visto.
Francesca Nascimben 3° N
19
20
Dopo alcuni secondi, il radar individuò
quattro navette in avvicinamento. “Che
cosa facciamo?” “Non ci resta che combatterle” rispose Numero 15.
Un fascio di raggi laser colpì la nave sull’ala
destra. I poliziotti avevano coordinato gli attacchi, in modo che la potenza dei raggi fosse la
massima possibile. In
parole povere, ci volevano morti. Con la navetta
danneggiata, non potevamo andare molto distanti, ma dovevamo
tentare. Riuscimmo a
colpirne una, che fu risucchiata dalla forza gravitazionale di Cerere e
cadde sull’asteroide. Le
altre tre utilizzarono il
raggio traente per immobilizzarci, ma colpimmo con una raffica di
laser altre due navette. L’ultima rinunciò
all’inseguimento e tornò indietro.
Ormai eravamo fuori dall’orbita di Cerere,
ma il danno all’astronave era troppo grave
da poter garantire uno stabile assetto alla
nave. Fu così che l’astronave si diresse
contro un altro asteroide della fascia.
“Ci andremo a schiantare! Fa’ qualcosa,
presto!” gridai a Numero 15, che prontamente convogliò tutta l’energia utilizzata
dai propulsori nel generatore di scudi. Ormai eravamo
vicini all’asteroide, e feci in
tempo a capire che era delle dimensioni della nostra
astronave. Dopodiché, avvenne l’impatto. Gli scudi
energetici subirono un improvviso incrinamento, seguito da un sovraccarico.
Insomma, gli scudi ci fecero
sbalzare via dall’asteroide,
molto lontano.
L’ultima cosa che ricordo è
il panorama dello spazio
infinito, e una voce. Era una
voce familiare, che mi ripeteva che non era arrivato il mio momento.
Non era ancora arrivato.
Ciao a tutti!! Sono sicura che molti di noi
stanno già facendo il conto alla rovescia da
mo!…ci prepariamo alle vacanze… estate,
caldo, profumo di mare nell’aria… così ci
dovremmo salutare perché saremo pronti
a partire! E l’anno prossimo, quando ci rivedremo a settembre avrò pronte nuove
storie da raccontarvi; intanto, ripensando
ai miei viaggi un po’ particolari me ne è
tornato alla mente uno molto divertente!
È il 6 luglio 2005, i bagagli sono pronti per
una vacanza a Populonia con i soliti amici
Franco e Anna, dobbiamo partire la mattina successiva.
Quando, però, arriva la sera io comincio ad
aver prurito… soprattutto in testa… mio
papà mi controlla e chiama il medico che ci
dice: “i sintomi sono chiarissimi, si tratta
senza ombra di dubbio di varicella”. “oh
mio dio!” non è possibile! Non voglio che
le MIE vacanze saltino per una stupida varicella! La mattina dopo io sono un manto
di puntini rossi, così i miei genitori avvertono Franco e Anna. Tutti a casa! Ho passato
due settimane esatte a grattarmi invece
che godermi il mare della Toscana…
Non potevamo non farci neanche qualche
giorno di vacanza mia mamma allora si
mette alla ricerca di una soluzione alternativa sempre, però, sul mare e non lontana
visto che il soggiorno potrà durare solo
una settimana. In un castello delle Marche
il conte, proprietario dello stesso, ne affitta una parte. Sono contentissima perché
tutti stiamo bene e io desiderosa di mare,
sole e vacanza!
Gianluca Forcolin 5° G
Il luogo è come immaginavamo, semplicemente magico! E il proprietario una persona squisita tanto da invitarci a cena nel
castello!
Oh santo cielo! Non abbiamo vestiti adatti,
chi saranno gli invitati? Certamente sarò
l’unica fanciulla (ho nove anni!) che tipo di
serata mia aspetta?!!Tutti gli adulti mi fanno mille (e inutili) raccomandazioni!
Quando il conte ci accoglie capiamo che
l’atmosfera è ancora più formale di quello
che avevamo previsto… c’è tutta la famiglia al completo: figli, nuore e generi, i posti assegnati (e io sono lontana da mia
mamma) e il “galateo alla mano”! Io sono
solo una bambina e non lo conosco proprio molto bene!! So, però, che si devono
sempre usare le posate (Ma va!?).
La cena inizia con una buonissima zuppa di
pesce, ma difficilissima da mangiare con il
cucchiaio… uffa non posso neanche aiutarmi con le mani!!! In qualche modo ce la
faccio anche se molte sono le acrobazie
che devo compiere. Il secondo, però, ma
lascia attonita!... si tratta di scampi… oddio! “e adesso come li mangio questi?!”
Non so da che parte prenderli… penso di
essere diventata di un bel color rosso pomodoro per l’imbarazzo! Guardo mia
mamma terrorizzata e lei mi indica forchetta e coltello… ci provo, li giro e rigiro,
ma niente, non c’è verso di aprirli… qualcuno deve soccorrermi! Per fortuna vicino
a me è seduto Franco, così, a bassa voce,
gli chiedo se mi può aiutare! Non so se il
galateo lo prevede, ma l’alternativa è saltare la cena!
A mezzanotte lasciamo il castello con un
sospiro di sollievo (soprattutto io)… ce l’ho
fatta!
La vacanza, però, non è ancora finita e le
nostre giornate al mare continuano!
La sera ci riuniamo per cenare ma la stanchezza è molta e non tutti reggono… durante una di queste mio papà comincia a
piegare la testa di lato finché non la appoggia sulla mano e… buona notte a tutti!
Così la prima volta ridiamo un po’ pensando ad un caso, ma dopo la seconda e la
terza sera capiamo che ormai è una routine! Però è troppo divertente vederlo addormentarsi, moriamo dal ridere!! Ma…
era impossibile che non accadesse… una
sera si addormenta, la testa non poggiata
sulla mano bensì direttamente su tavolo!!
(per fortuna non c’erano più i piatti!) La
situazione è a dir poco comica, io, mia
mamma, Franco e Anna siamo il lacrime e
mio papà si risveglia stordito guardandoci
perplesso senza capire il motivo del nostro
ridere! Non si è accorto di nulla!
La nostra vacanza è ormai giunta al termine, poco interessante dal punto di vista
culturale, ma certamente divertente ed
istruttiva: adesso so come si mangiano gli
scampi con forchetta e coltello!
Ludovica Crosato 1° D
21
Sfumiamo i dubbi!
Quest'anno noi ragazzi della 3^H abbiamo
deciso di portare avanti un progetto noto
come ”Sfumiamo i dubbi”, che ci era stato
sottoposto in prima superiore. L' iniziativa si
propone non con lo scopo di convincere a
non fumare ma di rendere più consapevoli i
ragazzi sui rischi che esso comporta.
Per questo abbiamo intrapreso un percorso
di una durata di tre mesi durante il quale,
con l’aiuto di due operatrici dell’ULSS, abbiamo approfondito tematiche legate alle
dipendenze. Abbiamo infatti partecipato a
numerosi incontri con loro nei quali abbiamo svolto attività di ogni tipo: dalle discussioni alle riflessioni di gruppo, ai questionari,per sondare le nostre conoscenze in merito. Il nostro lavoro era volto poi a riproporre e condividere queste attività,anche ludiche e divertenti, coi ragazzi delle classi prime, forse i più adatti a provare subito la
bellezza di una vita senza tabacco. Sempre
legato al nostro obiettivo di informare,e
non di convincere, è anche il logo e il motto
da noi creati, con i quali volevamo focalizzarci sull’importanza della scelta, di come
ognuno debba prendere la propria decisione, conoscendo a fondo le conseguenze a
cui va incontro a seconda dell' opzione e
infine chi sceglie di essere.
Ciò che abbiamo imparato durante il corso
è stato messo in pratica da alcuni di noi per
la prima volta al Palladio, nei giorni 12, 14 e
15 aprile. Non eravamo gli unici peer: quattro ragazzi del Palladio, formati anche loro
dall' ULSS, ci hanno infatti aiutato nella nostra prima esperienza.
I 100 minuti vissuti con le prime del Palladio
ci sono stati di grande aiuto: oltre ad aver
“respirato l'aria palladiana”, abbiamo potuto avere un primo approccio con i ragazzi di
quell'età, abbiamo potuto affinare il nostro
modo di porci e riconoscere con il loro aiuto
le attività più valide tra quelle proposte.
Affiancati da Riccardo, Samuele, Giacomo e
Daniel, i quattro “colleghi” palladiani, abbiamo superato l'insicurezza e l'imbarazzo ini-
22
ziali (sia nostri che dei ragazzi!) e siamo riusciti a divertirci ma allo stesso tempo ad
informare.
Il 19 dello stesso mese, finalmente, noi peer
siamo intervenuti nelle classi prime del Da
Vinci. L'evento si è svolto in due sedi: l'Aula
Magna, dove abbiamo sottoposto alla visione dei ragazzi dei video come spunto di riflessione iniziale sul significato dell'attività,
e le classi dove è realmente iniziata l'esperienza.
Lì abbiamo proposto attività quali rompighiaccio, brainstorming, fotolinguaggio,
story telling, questionari ed esperimenti,
che i ragazzi hanno svolto divertendosi e
con interesse.
Il 29 aprile ci siamo infine incontrati nuovamente in Aula Magna con le classi prime.
L'obiettivo che ci eravamo posti era di trarre le conclusioni sull'esperienza e di ascoltare le opinioni e le riflessioni dei ragazzi su
come avevano vissuto l'attività e dove era
possibile migliorarla. Ogni classe con i suoi
peer ha esposto quindi i lati positivi ed i lati
negativi che aveva rilevato; tra i motivi di
merito è emerso che il fatto che i relatori
fossero quasi coetanei dei ragazzi è stato
fondamentale per poter svolgere un lavoro
efficace.
Infatti gli studenti si sono trovati generalmente più liberi nel dire la propria opinione
e raccontare la propria esperienza, non dovendosi relazionare con adulti/ professori.
Tra quelli negativi, invece, è emerso che
alcune volte gli esperimenti volti a dimostrare empiricamente la dannosità del fumo, non sono riusciti alla perfezione: noi
scienziati però sappiamo bene che questo è
il bello della scienza!
Traendo le somme, il progetto è risultato
davvero soddisfacente e speriamo che la
maggior parte dei ragazzi, in possesso di
nuove informazioni, si sia resa conto che
iniziare a fumare deve essere una scelta
ragionata. Con la salute non si scherza!
La 3° H
Al cinema John Carpenter c’aveva lasciato
nel 2001 con il godibile, seppur minore,
Fantasmi da Marte. Lui, che novellino non
è (a gennaio di anni ne ha fatti sessantatré), fa le cose sul serio: anzi, nel suo nuovo The Ward - Il Reparto, si potrebbe dire
che le cose le fa bene da paura. I primissimi minuti del film sembrano dozzinali:
tempesta, tuoni fragorosi, un omicidio,
brusco e truce, come solo in un horror può
essere. Ma nel manierismo di questo prologo, colpisce un’intuizione registica, che
solo l’occhio esperto del veterano può realizzare in immagini: carrellata in avanti attraverso un corridoio qualsiasi, rapido ammazzamento, e seconda carrellata simmetrica alla precedente (all’indietro, con lo
stesso sfondo). L’imprevedibilità del Male
e la sua pronta ritirata (che è sempre e solo temporanea) sono gli elementi che
l’intero genere horror ha sempre voluto
evidenziare. Qui sono riassunti in appena
qualche secondo di filmato. Gli inquietantissimi titoli di testa che seguono sono un
autentico gioiellino, un abile montaggio di
immagini raffiguranti torture, medievali
come moderne, ricalcate su vetri che si
infrangono seguendo il ritmo e la melodia
quasi eterea della colonna sonora.
Il film ha inizio. La bionda protagonista fugge nel bosco, le sue tendenze piromani
trovano soddisfazione in una casa di legno.
Viene arrestata e condotta nel “reparto” di
un ospedale psichiatrico. Lì una presenza
oscura e demoniaca fa strage delle pazienti, uccidendole con procedimenti di efferata tortura. Kristen lotterà per scappare, ma
soprattutto per scoprire cosa sta succedendo veramente e cosa cercano di nasconderle medici e infermieri.
Alla domanda “è un film che ha rivoluzionato il suo genere?” rispondiamo di no.
Cos’ha di nuovo questo film? Assoluta-
mente niente. È un horror/thriller psicologico che riesuma quasi tutti i temi del filone, un’opera come tante diretta in modo
extra-ordinario da un maestro. La location
è un manicomio-fortezza che dà quel tocco
di goticheggiante che va sempre bene alla
Shutter Island, con il quale The Ward condivide più di un aspetto. La percezione paranormale, e tangibile, di un castigo come
forma di espiazione che pervade il film e
gli conferisce un senso di soffocante fatalità è, in primis, cara alla cinematografia orientale. La follia e la compenetrazione di
reale e immaginario non sono nuove al
cinema. La tortura ce l’ha insegnata già
Bava nel lontano 1960 quando girò quel
capolavoro che è La maschera del demonio. E non dimentichiamo il finale a sorpresa, anche questo già visto, che è ovviamente di rito.
Ciò che fa la differenza è, come si diceva,
Carpenter. Dirige le attrici in maniera impeccabile, delineando un quadretto composito, e delizioso, di donne che reggono
tutta la durata del film con impeccabile
professionalità. Il regista trova il coraggio
di osare anche nella sezione “macelleria”,
non cadendo nel compiacimento alla Dario
Argento ma aumentando di netto la tensione, come quando insiste torbidamente
su un corpo dilaniato dall’interno da un
elettroshock usato non come strumento
terapeutico ma come arma di morte. Ma
soprattutto, Carpenter continua ad usare il
metodo “vecchia scuola” del campo – controcampo – campo - sussulto così efficacemente da zittire ogni accusa di ripetitività
e banalità.
Riccardo Vanin 5° B
23
:
“Chiunque raccoglierà questa spada maneggerà un potere eterno. Come la lama
recide la carne, così il potere ferisce lo spirito”. Parole allettanti e minacciose, incise
nella roccia, che fungono da anticipazione
al fato glorioso, seppur terribile del principe Arthas Menethil di Lordaeron, regno
dell’immaginario mondo di Azeroth.
I giocatori più esperti, estimatori di RTS
come Warcraft III: Reign of Chaos, la sua
espansione The Frozen Throne ed infine il
MMORPG World of Warcraft, conoscono
bene questa iscrizione e le conseguenze ad
essa legata, divenute col tempo (non esagero) oggetto di culto videoludico. Tuttavia
per fare in modo che il neofita o il giocatore occasionale possa apprezzare la figura
leggendaria di un personaggio quale Arthas è necessario rispondere ad una domanda: Chi o che cosa è il Lich King?
Entità di ineguagliabile potere,malvagità e
malizia il Lich King è una minaccia per tutti
i popoli liberi di Azeroth. Instancabile ed
immortale, egli trama continuamente la
distruzione di ogni forma di vita, mosso da
un odio per i vivi che va al di là di ogni possibile comprensione. Ma non è sempre
stato
così.Quest’essere
gelido
e
senz’anima era un uomo un tempo: Arthas
Menethil, erede al trono di Lordaeron,
principe giusto,forte ed amato dalla sua
gente, da suo padre e, ricambiata, dalla
giovane incantatrice Jaina Proudmoore.
Una vita perfetta, ma quando una pestilenza capace di trasformare i suoi sudditi
in non morti ed un misterioso nemico iniziano a minacciare tutto ciò che gli è caro
Arthas è costretto ad adottare contromisure terribili ed inimmaginabili. L’orrore per
le sue stesse azioni, il tradimento di Jaina,
incapace di sopportare ciò che è diventato,
e la mancanza di fiducia che il padre sem-
24
bra dimostrare verso di lui conducono il
principe ad un sentiero oscuro che oscilla
pericolosamente verso una lucida pazzia.
Ed è la scelta di Arthas di prendere possesso di una potente spada runica (sul cui piedistallo trova posto la precedente iscrizione) a decretarne il destino: la sete di potere e di vendetta prendono possesso del
giovane principe e nulla, neppure il rimpianto per i compagni caduti riempie più il
cuore di quest’uomo. Perché Frostmourne,
questo il nome della lama recuperata, è
maledetta e ha la capacità di rubare le anime. La prima è stata quella di Arthas. Ritornato in patria, accolto dalla sua gente e
da suo padre come un eroe, egli scatena
un orda di non- morti sul regno e trapassa
il cuore del genitore incredulo. Arthas il
principe è morto, ora c’è solo Arthas il Cavaliere della Morte, asservito al dominio
del Lich King attraverso Frostmourne, secondo un piano da lungo tempo progettato. Ha così inizio una vita di massacri e distruzioni di intere civiltà che condurranno
questo antieroe all’inevitabile confronto
con il suo padrone.
Un’armatura ed un elmo incastonati in un
blocco di ghiaccio. Questo è ciò che Arthas
vede dinnanzi a sé, questo è il Lich King.
All’interno….nessuno. Infuriato e convinto
di aver seguito una visione della sua mente, il Death Knight distrugge il Trono di
Ghiaccio e libera l’armatura, per poi indossarne l’elmo. In quel momento l’ex principe comprende che il Lich King esiste veramente ed è un essere incorporeo, imprigionato da secoli in quell’involucro di
ghiaccio e metallo. O per meglio dire lo
era: tramite l’elmo il corpo di Arthas e
l’antico essere racchiuso nell’armatura si
fondono per dare vita al vero Lich
King.”Adesso…siamo…una
cosa
so-
la!”,queste le sue prime parole.
Arthas, il re dei Lich, immerso nella solitudine della sua gloria e del suo potere, apre
gli occhi e da inizio ad una guerra come
l’intera Azeroth non ha mai visto. Una
guerra crudele, totale e logorante in cui il
Buio sembra calare inesorabile….ma la
Speranza risplende in un ultimo attacco
disperato. Frostmourne viene spezzata, il
freddo cuore del Lich King trafitto e la sua
anima per un attimo ritorna a lui, facendolo ritornare ad essere semplicemente umano: cullato tra le braccia del fantasma di
suo padre Arthas Menethil esala l’ultimo
respiro, lasciandosi alle spalle ogni oscuri-
tà. E non stupisce che nella sua mano risplenda un ciondolo appartenuto a Jaina,la
donna che nonostante la sua prigione di
malvagità ha sempre amato.
In questo modo si conclude la vicenda di
Arthas, eroe tragico dalla psicologia intrigante,quasi shakespiriano per le sue analogie con Mcbeth e Amleto. Concludo suggerendo a chiunque desideri approfondire la
conoscenza di questo personaggio di leggere il best seller “Arthas,Rise of the Lich
king”, ricordando ovviamente che NO
KING RULES FOREVER.
Dario Zago 4° D
25
Killing Floor, nato inizialmente come una
mod di Unreal Tournament 2004, ricorda
molto un altro videogame survival horror,
Left 4 Dead. Nonostante alcune evidenti
somiglianze, la Tripwire Interactive però è
riuscita a creare un videogioco interessante e assolutamente meritevole di attenzione, anche se tuttavia questo titolo non ha
avuto grande successo ed è rimasto praticamente sconosciuto. Trattandosi di un
classico co-op survival horror fps è particolarmente incentrato sulla modalità online
ed è ricco di azione in compagnia di amici.
La modalità di gioco prevede una lotta per
la sopravvivenza di diverse squadre di
massimo sei elementi il cui obiettivo è
fronteggiare ondate di zombie che aumentano per numero e resistenza più ci si avvicina al "boss finale". Ovviamente è prevista anche una modalità singleplayer, ma
questa, a lungo andare, diventa monotona, ripetitiva e anche noiosa. Fra
un’ondata e l’altra viene data la possibilità
di recarsi dal Trader, un mercante che
procura le armi, l’armatura e le munizioni
indispensabili per poter procedere e sopravvivere alle successive ondate. Attenzione, però, perché il tempo per raggiungere il mercante è molto limitato e la posizione di quest'ultimo cambia continuamente, anche se è segnalata da una freccia
nell'hud. L'arma primaria e secondaria,
inoltre, si possono rivendere, per poterne
comprare altre che potrebbero essere più
utili. Infatti il budget di armi è limitato nel
peso massimo, non molto generoso, di
15kg. Altro particolare degno di nota riguarda i Perks, cioè le varie specializzazioni
con dei veri e propri livelli indispensabili
anch'essi sopratutto nella modalità multiplayer. Ad esempio il Perk Sharpshooter
progredisce effettuando colpi alla testa; un
26
altro Perk in cui ci si può specializzare può
essere cura, berserk eccetera. Superato
ogni livello si ottengono dei bonus, come
ad esempio più danno o maggiore resistenza.I Perks sono fondamentali per progredire; i server che hanno la difficoltà
Hard sono per giocatori che hanno da 3-4
di livello o superiore di specializzazione. Le
armi disponibili sono le più disparate e raggiunti alti livelli ci si può permettere un bel
Lanciafiamme oppure le Dual Cannons,
molto simili alla desert eagle ma akimbo,
letali se usate bene. Al di là di una struttura di gioco all’insegna dell’azione, Killing
Floor presenta diversi difetti che derivano
chiaramente dal suo passato di semplice
mod. Oltre ad una sostanziale ripetitività
di gioco, la realizzazione grafica non è delle
migliori e lo stesso vale anche per gli effetti di luce e la gestione della fisica. Tuttavia
questi difetti sono stati quasi del tutto eliminati nelle ultime mod che possiedono
molte nuove armi, personaggi e mappe
migliorate o anche non presenti nella mod
originale. Anche i vari bugs che si trovavano nella versione originale sono e stanno
venendo corretti con continui aggiornamenti.
Nonostante alcuni aspetti negativi Killing
Floor resta un videogame molto avvincente e dalla grafica piacevole e simile a quella
di Call of Duty Modern Warfare 2 ma riesce a girare tranquillamente in computers
anche non molto potenti. Consigliato a tutti gli appassionati del genere e non, sia per
le dinamiche di gioco sia per il suo basso
costo.
Francesco Pastro 4° G
DEATH NOTE
L’espressione manga (che indica i fumetti
giapponesi in generale) fa subito saltare alla
mente famose serie di fumetti e cartoni animati come Dragon Ball, One Piece, oppure Naruto. Nella maggioranza dei casi si tratta comunque di storie all’interno delle quali il combattimento, sia esso svolto secondo “schemi
tradizionali” quali le arti marziali o mediante
tecniche surreali, svolge un ruolo predominante, da cui il nome di battle manga.
Quello che molta gente ignora è che all’interno
del vastissimo settore manga sono presenti
delle serie che apparentemente stravolgono i
canoni del genere (per quanto sia comunque
inesatto parlare di “genere”) e il cui pubblico
non consiste semplicemente in giovani adolescenti in cerca di una lettura leggera e rilassante.
È questo il caso di Death Note, manga frutto
della mente di Tsugumi Ohba e dei disegni del
maestro Takeshi Obata. In seguito alla pubblicazione in Giappone di un episodio pilota cui è
arriso un immediato successo, la storia progettata da Ohba ha preso nuova vita in una serializzazione su Shonen Jump (nota testata settimanale di manga), per poi arrivare in Italia
intorno alla fine del 2006. Il successo è stato
tale che al manga sono subito seguiti un anime
(cartone animato giapponese), tre film e persino un romanzo.
Death Note narra la singolare storia di un brillante studente giapponese, Light Yagami, che
entra casualmente in contatto con un quaderno su cui è sufficiente scrivere il nome di una
persona per decretarne la morte. Light, profondamente tediato dal mondo che lo circonda e disgustato dal marcio della società, decide di fare del quaderno della morte il proprio
strumento per la creazione di un mondo privo
di malvagità, in cui l’unica pena plausibile per i
criminali è quella capitale. Al personaggio di
Light si contrappone l’eccentrica figura di Elle,
detective di fama mondiale il cui unico obiettivo è ricorrere a qualsiasi mezzo pur di “far trionfare la giustizia”. Ha così inizio uno scontro
tra Light Yagami ed Elle, in cui entrambi devono stanare un avversario senza conoscerne il
volto né il nome; e chi sarà scoperto per primo
verrà eliminato. Se a vincere sarà Light Yagami,
il serial killer denominato dalla massa Kira e
ritenuto la speranza dei deboli e degli oppressi, egli rappresenterà la giustizia; se a vincere
sarà Elle, Kira sarà unanimemente riconosciuto
come il simbolo del male.
I temi toccati dalla storia di Ohba sono insolitamente sottili per un manga, e più di una volta
tendono verso il filosofico: una società in cui
chi ostacola la felicità altrui viene eliminato
senza rimedio, è una società retta ed equa? È
giusto prostrarsi di fronte a un uomo che, per
garantire il bene collettivo, giustizia senza pietà rifacendosi a criteri propri, come un vero e
proprio monarca? Le risposte vengono lasciate
tutte al lettore: Death Note pone interrogativi
scomodi e porta il pubblico a riflettere sul valore della vita umana e sull’organizzazione della società.
Sta quindi al lettore di decidere per conto proprio se Light Yagami resti solo “un serial killer
psicopatico, un esaltato che, venuto in possesso della peggior arma omicida mai esistita, ha
creduto di poter divenire un dio” oppure se sia
“la giustizia, e la speranza dell’umanità”.
Cristian Villa 4° L
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Occhio all’ oggetto
Nel secondo riquadro mancano 5 oggetti che sono invece presenti nel primo.
Riesci a trovarli?
28
Andrea Fadel 5° M
Sudoku
29
DIRETTORE:
Enrico Biscaro 5 M
VICE-DIRETTRICE:
Giorgia Bincoletto 5 N
REDAZIONE:
Eleonora Porcellato 5 C
Gianluca Forcolin 5 G
Sara Zanatta 5 L
Dario Zago 4 D
Sara Areski 4 G
Tommaso Campion 4 H
Cristian Villa 4 L
Maria L. Piovesan 4 M
Alessandro Cocco 3 F
Giorgia Conte 2 B
Ludovica Crosato 1 D
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DISEGNATORI:
Giulia Dugar 5 E
Giorgia Cesari 5 H
Chiara Amici 2 C
Francesca Merlo 2 C
Sebastian Grotto 2 I
Silvia Paoletti 1 C
Lisa Mignemi 1 H
IMPAGINATRICE:
Silvia Menegon 5 E
COLLABORATORI ESTERNI:
Francesco Pastro 4 G
Francesca Nascimben 3 N