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Paranoid Park Anno 2007 Altri titoli Paranoïd Park Durata 85 Origine FRANCIA, USA Colore C Genere DRAMMATICO, PSICOLOGICO Tratto da romanzo omonimo di Blake Nelson Produzione MK2 PRODUCTIONS Distribuzione LUCKY RED Data uscita 07-12-2007 Regia Gus Van Sant Attori Gabe Nevins Alex Daniel Liu Detective Richard Lu Taylor Momsen Jennifer Jake Miller Jared Lauren McKinney Macy Winfield Jackson Christian Joe Schweitzer Paul Grace Carter Madre di Alex Scott Patrick Green Scratch Jay 'Smay' Williamson Padre di Alex John Michael Burrowes Guardia di Sicurezza Soggetto Blake Nelson (romanzo) Sceneggiatura Gus Van Sant Fotografia Christopher Doyle Kathy Li Montaggio Gus Van Sant Scenografia John Pearson-Denning Arredamento Sean Fong Trama: Alex è un diciottenne di Portland sempre in giro sul suo inseparabile skateboard. Un giorno, accidentalmente, uccide un agente di sicurezza e, invece di cercare aiuto o di costituirsi alla polizia, fugge cercando in ogni modo di nascondere l'accaduto. Alex dovrà imparerà presto quanto possa essere difficile mantenere un segreto. Critica: "E in fondo il film stesso, con le sue immagini così ipnotiche e lavorate, in super 8 e in 35 mm., spesso accelerate, rallentate e accompagnate da musiche sorprendenti che ne amplificano il senso (non solo rock, c'è anche molto Nino Rota, da 'Casanova' a 'Giulietta degli Spiriti' e 'Amarcord'), è un po' come quei diari giovanili in cui entra di tutto, pagine scritte a mano e foto, ritagli, disegni etc. Un ritratto tracciato con gli strumenti usati dal soggetto, dunque ancora più somigliante. E capace di cogliere anche il mondo che gli gira intorno. Da qui, e non dal fatto di cronaca, parte Gus Van Sant. Ma proprio questo rende quel fatto, così terribile e straordinario, incredibilmente leggibile e vicino. (...) Finale aperto: conta la vicenda interiore, non quella giudiziaria. Ma è tutto il film, potremmo dire, ad aprirsi al nostro sguardo, portandoci dentro un mondo che non era facile rendere con tanta nitidezza." (Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 22 maggio 2007) "Van Sant è un regista americano indipendente, dalla filmografia discontinua e dagli interessi versatili, ma mai banale nell'inventarsi un tono e uno stile: se 'Elephant' (nonostante la Palma d'oro del 2003) e 'Last Days' ci erano sembrati fastidiosi nonché pretenziosi, 'Paranoid Park' ritrova l'essenzialità e la delicatezza di To Die For' e 'Drugstore Cowboy'. (...) La suspense, grazie a un montaggio abilissimo di riprese in 35mm, video e super8, l'originale fotografia e l'incalzante colonna sonora, sovverte la banalità dei serial adolescenziali a favore di un réportage dell'anima, un'avventura segreta a metà strada fra il silenzio individuale e il frastuono del mondo." (Valerio Caprara, 'Il Mattino', 22 maggio 2007) "Il film di Van Sant si fa notare soprattutto per due importanti collaborazioni: quella di Marin Karmitz, il patron della casa indipendente francese MK2 che ha prodotto interamente il film, e quella Christopher Doyle, direttore della fotografia di Wong Kar Wai, che permette al regista di proseguire sulla linea delle sperimentazioni stilistiche di 'Elephant' e soprattutto di 'Gerry' (2002), piccolo capolavoro mai visto in Italia." (Giacomo Visco Comandini, 'Il Riformista', 22 maggio 2007) "E' un 'Delitto e Castigo' ai tempi del liceo'. Ha ragione il cineasta, se non fosse per la colonna sonora paradossale, trova in quest'opera echi imprevedibilmente dostoijevskiani. Alla banalità del male di 'Elephant', strage di corpi e convenzioni in un college, alla sciatta noia di vivere del frontman Blake in 'Last Days' qui Van Sant ha il coraggio di opporre, o meglio di aggiungere, una visione più semplice e allo stesso tempo politica." (Boris Sollazzo, 'Liberazione', 22 maggio 2007) "Il Paul di Seidl e l'Alex di Van Sant si somigliano molto. Sono ragazzi deboli che non diventeranno mai maschi 'Alpha', non saranno mai gli elementi dominanti del branco. Sono gregari che lottano per sopravvivere. America ed Europa, Est ed Ovest si ritrovano uniti dalle gerarchie sociali e dalla sopraffazione. La differenza è che il film di Van Sant riesce a trarre da tutto ciò una struggente bellezza, grazie anche sapientissimo uso delle musiche (nelle quali spicca un inaspettato omaggio a Fellini, con brani di Nino Rota da 'Giulietta degli Spiriti' e da 'Amarcord'); mentre il film di Seidl è di una sgradevolezza molto 'di testa', che può (e vuole) disturbare." (Alberto Crespi, 'L'Unità', 22 maggio 2007) "Qui il regista porta all' estremo il metodo messo in atto per 'Elephant' e, con maggior radicalità, per 'Last Days', smontando la linearità cronologica ma anche mescolando riprese con tecniche diverse (il Super8 per le immagini «in soggettiva» degli skater e il 35mm, con un mascherino da vecchia inquadratura televisiva, per il resto) e affidando al una elaboratissima colonna audio, fatta di rumori, musiche, parole e suoni, (compresa una citazione da Nino Rota) il compito di offrire allo spettatore una specie di riflesso sonoro delle contraddizioni psicologiche e comportamentali di Alex. In questo modo lo spettatore si trova davanti una specie di puzzle incompleto ma stimolante di un universo mentale che sfugge a ogni definizione, com' è quello appunto degli adolescenti, ribelli senza cause ma anche assassini per caso. E che Van Sant filma con empatia e curiosità insieme, senza mai lasciarsi andare a prese di posizione moralistiche, ma anche senza compiacimenti o facili giustificazioni." (Paolo Mereghetti, 'Corriere della Sera', 22 maggio 2007) Materialista e spirituale, Gus Van Sant inquadra la gioventù (bruciata) stelle & strisce. E inchioda con classe il Sistema neo-con Un parco per skater a Portland, la pista a bruciare follia, dannazione, assenza di fissa dimora: forse, solo gioventù. Non si può essere seri a 17 anni, scriveva Rimbaud un secolo fa: figuriamoci oggi, a 16. Sono gli anni di Alex (Gabe Nevins), che sulla West Coast sperimenterà altri paradisi artificiali. No, non è la droga, ma la paura, quella che tutti hanno a Paranoid Park. E il caso. Un caso malevolo, che per legittima - e giovanile - difesa lascia abbarbicati al treno Alex e un balordo, e sulla massicciata un vigilante troncato in due da un altro treno… Gus Van Sant prende il romanzo omonimo di Blake Nelson (pubblicato in Italia da Rizzoli), uno scrittore di e per adolescenti, e ripercorre le orme teen già calcate con Will Hunting - Genio ribelle (1997, nove nomination e due statuette agli Academy Awards), Scoprendo Forrester (2001), Gerry (2002), Elephant (2003, Palma d’Oro per il miglior film e miglior regia a Cannes) e l’unofficial biopic di Kurt Cobain Last Days (2005). Premio del 60° anniversario all’ultimo festival di Cannes, Paranoid Park è quello adolescenziale dell’America neocon, che esporta democrazia per importare atonia, e viceversa. Van Sant depura le scene di ogni elemento deperibile, alza il tiro poetico per non cadere nella didascalia dell’instant movie, prende i prediletti giovani per dire qualcosa a loro, alla sua generazione e a quella precedente, stigmatizzando in ottica glocal la terra di nessuno che sono gli States. Park è recinto, area protetta, divertimento-diversivo, che fa coppia con la paranoia dura e pura del Sistema, che l’Iraq (elemento centrale del "fuoricampo" del film, tanto da farne l’unica messa a fuoco della tragedia irakena, alla faccia di Jarhead, Syriana e Leoni per agnelli) e il resto del mondo manco te lo fa individuare su una cartina. Materia da bruciarsi le mani, che il regista di Louisville, Kentucky padroneggia paratattico e materialista, a tal punto da risultare memoriale e spirituale – vedi, anzi senti, la colonna sonora, complice il Nino Rota chez Fellini di Amarcord e Giulietta degli spiriti. Amarcord e spirito/i, che oggi non battono più bandiera stelle & strisce, anzi. Le stelle si fanno piccole: stellette; le strisce disegnano un orizzonte carcerario, da Guantanamo alle periferie metropolitane di Portland. E’ l’America di Bush: Paranoid/Android. (www.cinematografo.it) Portland, Oregon. Un adolescente sui 16 anni dalla vita fatta di poco, nichilista inconsapevole. I genitori sono in procinto di divorziare, ma con lui sembrano gentili e disponibili e poi “tanto tutti i genitori prima o poi divorziano”. Una beata ignoranza dei fatti del mondo e della guerra in Iraq, pure citata in un paio di sequenze come alibi o metro di paragone dei guai personali. Una fidanzata con la quale non ha il coraggio di lasciarsi andare: sarà lei a prendere l’iniziativa della prima volta, e dopo lui si darà alla fuga. Un miglior amico dagli interessi e appetiti sani, che – skater come lui – lo porta a Paranoid Park, come viene chiamata l’area dell’East Side Park adibita abusivamente a terra degli skater: un posto come quello descritto nel documentario Dogtown & Z boys, tra dropout e giovani che hanno semplicemente voglia di sfidare la forza di gravità. A questo punto parte la storia di un omicidio accidentale, dopo una partenza documentaristica con riprese in digitale delle acrobazie sulle tavole a rotelle. Per il resto, il film è fotografato straordinariamente da Christopher Doyle, “strappato” a Wong Kar Wai, mentre il sottofondo musicale è un altro elemento vincente dell’opera: ora acustico ora etereo ora affidato a Nino Rota (Giulietta degli spiriti e Amarcord). Il film ha una struttura a spirale molto interessante, un puzzle i cui tasselli si incastrano lentamente, destrutturato nella prima parte per poi rivelare un quadro tutt’altro che complesso. Oltre ai mirabolanti apporti tecnici, è lo stile fervido, ipnotico di Van Sant a convincere, come anche la capacità di dirigere – e descrivere – giovanissimi attori e una realtà giovanile sfuggevole e allergica alle classificazioni, più della trama di delitto senza castigo, di atto fortuito senza rimorso a metà strada tra Dostojevski e Camus. Maestro delle carrellate, anche in ralenti, l’autore di Drugstore cowboy, Da morire e Belli e dannati è perfettamente a suo agio nei lunghissimi corridoi di scuole senz’anima, come già nel precedente Elephant (Palma d’oro a Cannes); trova un buon equilibrio tra stile e sostanza limitandosi a mostrare senza dimostrare, a descrivere senza giudicare l’opaca e irrisolta gioventù di una provincia senza conflitti manifesti, annegata in un’indifferenza che anestetizza le coscienze. Non si urla, ci si intende nei rapporti familiari o sentimentali o di amicizia, ma non si va mai oltre la superficie dei contatti, come monadi senza radici. E il messaggio arriva più forte grazie a uno stile compassato, freddo, a tratti elegiaco, estetizzante e maturo. Un’incantevole esperienza artistica, molto più riuscita del precedente Gli ultimi giorni. (www.fice.it) Note: - IL REGISTA GUS VAN SANT HA ORGANIZZATO ATTRAVERSO INTERNET IL CASTING DEL FILM. - PREMIO DEL 60MO ANNIVERSARIO AL FESTIVAL DI CANNES (2007). Per vedere il trailer: http://www.mymovies.it/trailer/?id=46899 ********************************************************************