Confimi Apindustria Bergamo

Transcript

Confimi Apindustria Bergamo
CONFIMI
Rassegna Stampa del 23/07/2015
La proprietà intellettuale degli articoli è delle fonti (quotidiani o altro) specificate all'inizio degli stessi; ogni riproduzione totale o
parziale del loro contenuto per fini che esulano da un utilizzo di Rassegna Stampa è compiuta sotto la responsabilità di chi la esegue;
MIMESI s.r.l. declina ogni responsabilità derivante da un uso improprio dello strumento o comunque non conforme a quanto
specificato nei contratti di adesione al servizio.
INDICE
CONFIMI
23/07/2015 Gazzetta di Mantova - Nazionale
Un master per l'export per uno sbocco al lavoro
7
CONFIMI WEB
22/07/2015 www.ilgazzettino.it 14:40
Beozzo presidente veneto di Confimi: 3600 imprese, oltre 40 mila addetti «Vogliamo
fare sistema a Nordest»
9
22/07/2015 www.ilsussidiario.net 19:11
Pmi: alzano la voce, nasce Confimi Industria Veneto
10
22/07/2015 www.iltempo.it 19:10
Pmi: alzano la voce, nasce Confimi Industria Veneto
11
22/07/2015 www.iltempo.it 19:10
Pmi: alzano la voce, nasce Confimi Industria Veneto (2)
12
22/07/2015 www.arezzoweb.it 18:57
Pmi: alzano la voce, nasce Confimi Industria Veneto
13
22/07/2015 www.arezzoweb.it 18:57
Pmi: alzano la voce, nasce Confimi Industria Veneto (2)
14
22/07/2015 www.padovanews.it 19:57
Pmi: alzano la voce, nasce confimi industria veneto (2)
15
22/07/2015 www.wallstreetitalia.com 21:13
Pmi: alzano la voce, nasce Confimi Industria Veneto (2)
16
22/07/2015 www.sardegnaoggi.it 19:14
Pmi: alzano la voce, nasce Confimi Industria Veneto
17
22/07/2015 www.sardegnaoggi.it 21:17
Pmi: alzano la voce, nasce Confimi Industria Veneto (2)
18
22/07/2015 www.vicenzapiu.com 17:31
Il vicentino William Beozzo primo presidente della neonata Confimi Veneto
19
21/07/2015 regione.abruzzo.it
REGIONE: GLI APPUNTAMENTI DEL PRESIDENTE D'ALFONSO
20
22/07/2015 vvox.it 19:07
Vicenza, nasce Comfimi Industria Veneto
21
22/07/2015 www.guidasicilia.it 18:30
Pmi: alzano la voce, nasce Confimi Industria Veneto
22
22/07/2015 www.guidasicilia.it 18:30
Pmi: alzano la voce, nasce Confimi Industria Veneto (2)
23
SCENARIO ECONOMIA
23/07/2015 Corriere della Sera - Nazionale
Le condizioni dell'Europa sulla riduzione delle tasse
25
23/07/2015 Corriere della Sera - Nazionale
Sanità, a rischio i 2,3 miliardi di risparmi previsti per quest'anno
27
23/07/2015 Il Sole 24 Ore
Spesa locale, possibili 23 miliardi di risparmi
28
23/07/2015 Il Sole 24 Ore
Il debito e il veleno delle opposte narrazioni
29
23/07/2015 Il Sole 24 Ore
Piano Juncker, via libera ai primi cinque progetti
31
23/07/2015 Il Sole 24 Ore
La «mela» che rischia di avvelenare Wall Street
33
23/07/2015 Il Sole 24 Ore
«Taglio tasse stimolo per la crescita»
34
23/07/2015 Il Sole 24 Ore
Tra Ilva e magistratura qualche prova di dialogo
36
23/07/2015 Il Sole 24 Ore
Entra in vigore la Volcker Rule per le banche
38
23/07/2015 Il Sole 24 Ore
«Abbiamo bisogno dell'expertise italiana»
39
23/07/2015 Il Sole 24 Ore
Multinazionali, vince la «new economy»
40
23/07/2015 La Repubblica - Nazionale
Intesa Sanpaolo volta pagina Avrà un solo cda e tutte le funzioni al suo interno
42
23/07/2015 La Repubblica - Nazionale
Whirlpool firma l'intesa "Italia ancora appetibile in ripresa le vendite"
43
23/07/2015 La Repubblica - Nazionale
I lavori della rete stradale Anas finanziati con la benzina
45
23/07/2015 La Repubblica - Nazionale
La resistenza del ceto medio
46
23/07/2015 La Repubblica - Nazionale
"Mai un incidente sui veicoli Fca ma il software è stato aggiornato"
48
23/07/2015 La Repubblica - Nazionale
"Siamo vicini al solare economico"
49
23/07/2015 La Stampa - Nazionale
MA LA RIFORMA NON PENSA AI PIÙ GIOVANI
50
23/07/2015 La Stampa - Nazionale
Carige nel risiko bancario guarda a Popolare Milano
51
23/07/2015 La Stampa - Nazionale
PIÙ QUALITÀ NELLA SPESA PUBBLICA
52
23/07/2015 MF - Nazionale
Nokia manda in rosso Microsoft
53
23/07/2015 MF - Nazionale
Debito su e produzione ferma
54
23/07/2015 MF - Nazionale
Sace aggancia la ripresa export
56
23/07/2015 MF - Nazionale
La politica degli annunci, senza informazioni vere, non va lontano
57
23/07/2015 MF - Nazionale
L'export può crescere fino al 5,5%
59
23/07/2015 MF - Nazionale
Renzi mette la sordina a Boeri sulle pensioni
60
23/07/2015 MF - Nazionale
ORA NON SI PERMETTA CHE IN GRECIA TORNI LA TENTAZIONE GREXIT
61
23/07/2015 Panorama
L'Inps e le pensioni estere
62
23/07/2015 Panorama
La sonora lezione greca per i populisti
63
23/07/2015 Panorama
Embargo Ue-Russia: i numeri della crisi
64
23/07/2015 Panorama
LOOK-DOWN GENERATION
66
23/07/2015 Panorama
FLAT TAX SOGNO POSSIBILE
69
23/07/2015 Panorama
Una proposta che funziona
72
23/07/2015 Panorama
L'INGEGNERE, LA CENTRALE E LA VERITÀ DIETRO IL FUMO
73
23/07/2015 Panorama
E LA REPUBBLICA SI ACCORSE DI VADO
75
SCENARIO PMI
23/07/2015 Il Foglio
EUROPA E ITALIA. VISCO A TUTTO CAMPO*
77
CONFIMI
1 articolo
23/07/2015
Pag. 12
diffusione:33451
tiratura:38726
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Un master per l'export per uno sbocco al lavoro Università e Camera di commercio lanciano un corso per
ventidue persone Zanini: «Una specializzazione che fa crescere la competitività delle aziende»
Un master per l'export per uno sbocco al lavoro
Un master per l'export
per uno sbocco al lavoro
Università e Camera di commercio lanciano un corso per ventidue persone
Zanini: «Una specializzazione che fa crescere la competitività delle aziende»
Acquisire le conoscenze teorico e pratiche delle tecniche del commercio internazionale per gestire le
procedure burocratiche legate a trasporti, normative doganali, contrattualistica, pagamenti e tanto altro
ancora. Competenze sempre più richieste dalle aziende che esportano prodotti e servizi all'estero e che
possono rappresentare un ideale viatico per il mondo del lavoro. Questo l'obiettivo del Master in commercio
estero promosso dalla Fondazione università insieme ad Azienda speciale di Camera di Commercio in
collaborazione al team per l'internazionalizzazione composto oltre che dall'ente camerale anche da Provincia,
Api, Confartigianato, Confindustria, Agenzia delle Dogane e Mantova Export. Le iscrizioni al corso di
formazione, della durata di 3 mesi (da ottobre a dicembre) per un totale di 360 ore (8 ore al giorno dal lunedì
al venerdì), sono già aperte e dovranno essere inviate a Mantova Export entro il 15 settembre. La
documentazione completa è disponibile sui siti della Fondazione università e su quelli dei soggetti partner.
Per potere partecipare è necessario avere al massimo 29 anni ed essere diplomati o laureati. La conoscenza
della lingua Inglese (scritto e parlato) rappresenterà titolo preferenziale durante le selezioni, in quanto al
Master accederanno 22 allievi. I costi per ciascun candidato saranno di 200 euro, mentre il restante 80% (800
euro per ogni iscritto) lo stanzierà la Camera di Commercio, facendosi quindi quasi completamente carico
dell'iniziativa, giunta alla terza edizione. Lo scorso anno l'80% dei frequentanti ha trovato lavoro. «Avere nella
propria azienda una persona capace di sbrigare le pratiche con l'estero significa aumentare il tasso di
competitività -ha affermato ieri Marco Zanini, segretario della Camera di Commercio durante la
presentazione-. Eroghiamo una somma che riuscirà ad abbattere i costi di iscrizione degli allievi. Per la prima
volta il Master sarà gestito dalla Fondazione università». Al termine del percorso di studio verrà rilasciato un
attestato di frequenza, accessibile soltanto se si saranno effettuate almeno il 75% delle ore complessive.
«Andiamo da un minimo di 15 persone ad un massimo di 22 - ha spiegato Michele Minervino, direttore della
Fondazione università di Mantova-. Ci aspettiamo partecipanti anche da fuori provincia». Il direttore di
Mantova Export, Alessandro Dotti, ha sottolineato che dopo il corso si sarà in grado di entrare in azienda ed
essere immediatamente operativi, senza periodi di formazione ulteriori o affiancamento, «che di solito durano
un anno». Alla presentazione c'era, inoltre, Renato Dal Cero, presidente di Mantova Export. Graziella
Scavazza
CONFIMI - Rassegna Stampa 23/07/2015
7
CONFIMI WEB
15 articoli
22/07/2015 14:40
Sito Web
www.ilgazzettino.it
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Beozzo presidente veneto di Confimi: 3600 imprese, oltre 40 mila addetti
«Vogliamo fare sistema a Nordest»
pagerank: 6
L'imprenditore della Farm di Tezze sul Brenta eletto all'unanimità. Ora cercherà sinergie con friulani e trentini
William Beozzo, imprenditore bassanese, presidente veneto di di Claudio Strati
BASSANO - Dalla guida del mandamento alla presidenza regionale. Ma restando però sempre vicino alle
imprese bassanesi e vicentine. William Beozzo, imprenditore della Farm di Tezze sul Brenta, azienda del
settore scaffalature metalliche, è il nuovo presidente di Confimi Industria Veneto. Ed è anche, eletto
all'unanimità, il primo presidente, perché con il suo arrivo alla presidenza prende forma pure la
confederazione regionale, che finora non era stata costituita.
Continua così la crescita della Confimi, nata da una scissione dalla Confapi vicentina. "Non ci trovavamo
bene e qualche anno fa abbiamo deciso di uscire - spiega Beozzo - e d'accordo con Vicenza fecero lo stesso
anche Bergamo, Modena e Verona. Oggi siamo già in 28 realtà provinciali a comporre la Confimi nazionale.
E ora diamo rappresentanza a Confimi Industria Veneto. Il nostro presidente nazionale Paolo Agnelli ha
sottolineato l'importanza di attivare questa rappresentanza regionale veneta".
William Beozzo ora guida circa 3600 aziende venete, con oltre 40 mila addetti. "Formiamo un'associazione
snella, giovane, operativa sulle nuove tecnologie - dice Beozzo - che non vuole pesare con nuovi costi sugli
associati. Per questo non farò il 'palazzinaro', ovvero non mi lancio in operazioni per costruzioni o acquisizioni
di nuove sedi. La centrale operativa resterà qui, flessibile e 'leggera', dalle sedi di Bassano e Vicenza,
sviluppando idee, servizi e attività per tutto il territorio veneto. Ricordo che la nostra sede di Vicenza già
svolge le funzioni sindacali, industriali e fiscali per tutte le imprese della regione".
Le aziende Confimi sono per il 70/80 per cento provenienti dal settore meccanico. Ma vi sono rappresentate
tutte le categorie. Vicentini sono il presidente nazionale dell'alimentare, Riccardo Boscolo, e i vicepresidenti
nazionali della chimica, Riu Raimondo, e del legno.
Nelle linee guida del nuovo presidente regionale c'è la voglia di fare sistema a Nordest: "Intendiamo allargare
le nostre relazioni ad est, verso il Friuli Venezia Giulia, approcciando la Confapi friulana: se intendono
collaborare con il nostro contesto, siamo qui. Lo stesso faremo verso il Trentino: con la sede bassanese
abbiamo già dei soci trentini, ma intendiamo fare massa critica a Nordest collegandoci al progetto di Alpe
Adria. Io cercherò di essere attento alle mie imprese venete così come faccio con quelle del mio
mandamento".
CONFIMI WEB - Rassegna Stampa 23/07/2015
9
22/07/2015 19:11
Sito Web
www.ilsussidiario.net
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Pmi: alzano la voce, nasce Confimi Industria Veneto
pagerank: 6
Vicenza, 22 lug. (AdnKronos) - È nata Confimi Industria Veneto, nuova
rappresentanza delle piccole e medie imprese che unirà le forze di tutte le associazioni
provinciali aderenti alla confederazione nazionale Confimi Industria, tra le quali
Apindustria Vicenza. L'iniziativa nasce dalla volontà di assicurare alle attività
produttive una rappresentanza innovativa, capace di sfruttare le nuove tecnologie
insieme alle migliori competenze professionali, anche esterne, oltre che alle energie di
menti giovani, brillanti e dinamiche. Il primo Presidente di Confimi Veneto sarà
William Beozzo, già alla guida di Apindustria Bassano e Vicepresidente provinciale,
che ha accettato con entusiasmo l'incarico conferitogli per acclamazione da tutti i
referenti territoriali delle Confimi. "Con senso di responsabilità accolgo una sfida
importante - spiega Beozzo - perché mi sento costruttore di una realtà nuova, che non
prende spunto da esperienze già esistenti, e vuole essere un riferimento per tutto ciò
che le attività produttive della Regione si aspettano di rappresentare, ricevere e
realizzare in un determinato momento. Non stiamo dando vita ad una struttura che
risponderà a schemi fissi, ma ad un'entità malleabile, adattabile, in continua
evoluzione, capace di dare una voce univoca e forte a tutte le Pmi del Veneto, ma
anche di espandere quei servizi di qualità che vengono garantiti a tutti gli iscritti nelle
sedi decentrate del territorio"
CONFIMI WEB - Rassegna Stampa 23/07/2015
10
22/07/2015 19:10
Sito Web
www.iltempo.it
pagerank: 6
Pmi: alzano la voce, nasce Confimi Industria Veneto
Vicenza, 22 lug. (AdnKronos) - È nata Confimi Industria Veneto, nuova rappresentanza delle piccole e medie
imprese che unirà le forze di tutte le associazioni provinciali aderenti alla confederazione nazionale Confimi
Industria, tra le quali Apindustria Vicenza. L'iniziativa nasce dalla volontà di assicurare alle attività produttive
una rappresentanza innovativa, capace di sfruttare le nuove tecnologie insieme alle migliori competenze
professionali, anche esterne, oltre che alle energie di menti giovani, brillanti e dinamiche. Il primo Presidente
di Confimi Veneto sarà William Beozzo, già alla guida di Apindustria Bassano e Vicepresidente provinciale,
che ha accettato con entusiasmo l'incarico conferitogli per acclamazione da tutti i referenti territoriali delle
Confimi. "Con senso di responsabilità accolgo una sfida importante - spiega Beozzo - perché mi sento
costruttore di una realtà nuova, che non prende spunto da esperienze già esistenti, e vuole essere un
riferimento per tutto ciò che le attività produttive della Regione si aspettano di rappresentare, ricevere e
realizzare in un determinato momento. Non stiamo dando vita ad una struttura che risponderà a schemi fissi,
ma ad un'entità malleabile, adattabile, in continua evoluzione, capace di dare una voce univoca e forte a tutte
le Pmi del Veneto, ma anche di espandere quei servizi di qualità che vengono garantiti a tutti gli iscritti nelle
sedi decentrate del territorio".
Adnkronos
CONFIMI WEB - Rassegna Stampa 23/07/2015
11
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Pmi: alzano la voce, nasce Confimi Industria Veneto
22/07/2015 19:10
Sito Web
www.iltempo.it
pagerank: 6
22/07/2015 19:10
(AdnKronos) - (Adnkronos) - "Confimi Industria Veneto non sarà nemmeno l'ennesima sovrastruttura di
organismi già esistenti, che appesantisce il sistema con nuove sedi e cariche gravando sulle quote
associative degli imprenditori: Non ci saranno nuove indennità perché verranno sfruttate al meglio tutte le
risorse materiali, professionali e umane già presenti attraverso le associazioni provinciali e i mandamenti di
Confimi Industria", assicura William Beozzo, che manterrà la carica di presidente per quattro anni, poi
rinnovabili per un altro quadriennio. Gli uffici di Confimi Veneto saranno ospitati invece nella nuova sede di
Apindustria a Bassano, e in quella centrale di Vicenza."Anche parlando con una sola voce in tutta la Regione
- promette il Presidente - resteremo sempre vicini agli imprenditori e alla gente, affrontando i problemi reali
delle imprese ma anche le questioni di grande rilevanza sociale per le quali sentiamo una responsabilità ,
come la disoccupazione o i drammi vissuti dalle vittime di una crisi economica che ancora non ci siamo
lasciati alle spalle. Saremo inoltre una voce libera, capace di andare anche oltre gli schemi consolidati nei
rapporti con la politica e le banche, e non avremo paura di metterci in contrasto con il sistema, se sarà
necessario. Mentre le istituzioni abbandonano spesso i territori e la gente, Confimi Industria Veneto si
prepara invece a dar loro una voce più forte".
Adnkronos
CONFIMI WEB - Rassegna Stampa 23/07/2015
12
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Pmi: alzano la voce, nasce Confimi Industria Veneto (2)
22/07/2015 18:57
Sito Web
www.arezzoweb.it
pagerank: 5
Posted on 22 luglio 2015 by Adnkronos in Economia-adn, Nazionali
Vicenza, 22 lug. (AdnKronos) - È nata Confimi Industria Veneto, nuova rappresentanza delle piccole e medie
imprese che unirà le forze di tutte le associazioni provinciali aderenti alla confederazione nazionale Confimi
Industria, tra le quali Apindustria Vicenza. L'iniziativa nasce dalla volontà di assicurare alle attività produttive
una rappresentanza innovativa, capace di sfruttare le nuove tecnologie insieme alle migliori competenze
professionali, anche esterne, oltre che alle energie di menti giovani, brillanti e dinamiche.
Il primo Presidente di Confimi Veneto sarà William Beozzo, già alla guida di Apindustria Bassano e
Vicepresidente provinciale, che ha accettato con entusiasmo l'incarico conferitogli per acclamazione da tutti i
referenti territoriali delle Confimi.
"Con senso di responsabilità accolgo una sfida importante - spiega Beozzo - perché mi sento costruttore di
una realtà nuova, che non prende spunto da esperienze già esistenti, e vuole essere un riferimento per tutto
ciò che le attività produttive della Regione si aspettano di rappresentare, ricevere e realizzare in un
determinato momento. Non stiamo dando vita ad una struttura che risponderà a schemi fissi, ma ad un'entità
malleabile, adattabile, in continua evoluzione, capace di dare una voce univoca e forte a tutte le Pmi del
Veneto, ma anche di espandere quei servizi di qualità che vengono garantiti a tutti gli iscritti nelle sedi
decentrate del territorio".
CONFIMI WEB - Rassegna Stampa 23/07/2015
13
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Pmi: alzano la voce, nasce Confimi Industria Veneto
22/07/2015 18:57
Sito Web
www.arezzoweb.it
pagerank: 5
Posted on 22 luglio 2015 by Adnkronos in Economia-adn, Nazionali
(AdnKronos) - (Adnkronos) - "Confimi Industria Veneto non sarà nemmeno l'ennesima sovrastruttura di
organismi già esistenti, che appesantisce il sistema con nuove sedi e cariche gravando sulle quote
associative degli imprenditori: Non ci saranno nuove indennità perché verranno sfruttate al meglio tutte le
risorse materiali, professionali e umane già presenti attraverso le associazioni provinciali e i mandamenti di
Confimi Industria", assicura William Beozzo, che manterrà la carica di presidente per quattro anni, poi
rinnovabili per un altro quadriennio. Gli uffici di Confimi Veneto saranno ospitati invece nella nuova sede di
Apindustria a Bassano, e in quella centrale di Vicenza.
"Anche parlando con una sola voce in tutta la Regione - promette il Presidente - resteremo sempre vicini agli
imprenditori e alla gente, affrontando i problemi reali delle imprese ma anche le questioni di grande rilevanza
sociale per le quali sentiamo una responsabilità , come la disoccupazione o i drammi vissuti dalle vittime di
una crisi economica che ancora non ci siamo lasciati alle spalle. Saremo inoltre una voce libera, capace di
andare anche oltre gli schemi consolidati nei rapporti con la politica e le banche, e non avremo paura di
metterci in contrasto con il sistema, se sarà necessario. Mentre le istituzioni abbandonano spesso i territori e
la gente, Confimi Industria Veneto si prepara invece a dar loro una voce più forte".
CONFIMI WEB - Rassegna Stampa 23/07/2015
14
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Pmi: alzano la voce, nasce Confimi Industria Veneto (2)
22/07/2015 19:57
Sito Web
www.padovanews.it
pagerank: 5
veneto_economia_4.jpg
(AdnKronos) - "Confimi Industria Veneto non sara' nemmeno l'ennesima sovrastruttura di organismi gia'
esistenti, che appesantisce il sistema con nuove sedi e cariche gravando sulle quote associative degli
imprenditori: Non ci saranno nuove indennita' perch eacute; verranno sfruttate al meglio tutte le risorse
materiali, professionali e umane gia'
presenti attraverso le associazioni provinciali e i mandamenti di Confimi Industria ", assicura William Beozzo,
che manterra' la carica di presidente per quattro anni, poi rinnovabili per un altro quadriennio. Gli uffici di
Confimi Veneto saranno ospitati invece nella nuova sede di Apindustria a Bassano, e in quella centrale di
Vicenza.
"Anche parlando con una sola voce in tutta la Regione " promette il Presidente " resteremo sempre vicini agli
imprenditori e alla gente, affrontando i problemi reali delle imprese ma anche le questioni di grande rilevanza
sociale per le quali sentiamo una responsabilita', come la disoccupazione o i drammi vissuti dalle vittime di
una crisi economica che ancora non ci siamo lasciati alle spalle. Saremo inoltre una voce libera, capace di
andare anche oltre gli schemi consolidati nei rapporti con la politica e le banche, e non avremo paura di
metterci in contrasto con il sistema, se sara' necessario. Mentre le istituzioni abbandonano spesso i territori e
la gente, Confimi Industria Veneto si prepara invece a dar loro una voce piu' forte ".
(Adnkronos)
CONFIMI WEB - Rassegna Stampa 23/07/2015
15
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Pmi: alzano la voce, nasce confimi industria veneto (2)
22/07/2015 21:13
Sito Web
www.wallstreetitalia.com
pagerank: 5
(AdnKronos) - (Adnkronos) - "Confimi Industria Veneto non sarà nemmeno l'ennesima sovrastruttura di
organismi già esistenti, che appesantisce il sistema con nuove sedi e cariche gravando sulle quote
associative degli imprenditori: Non ci saranno nuove indennità perché verranno sfruttate al meglio tutte le
risorse materiali, professionali e umane già presenti attraverso le associazioni provinciali e i mandamenti di
Confimi Industria", assicura William Beozzo, che manterrà la carica di presidente per quattro anni, poi
rinnovabili per un altro quadriennio. Gli uffici di Confimi Veneto saranno ospitati invece nella nuova sede di
Apindustria a Bassano, e in quella centrale di Vicenza."Anche parlando con una sola voce in tutta la Regione
- promette il Presidente - resteremo sempre vicini agli imprenditori e alla gente, affrontando i problemi reali
delle imprese ma anche le questioni di grande rilevanza sociale per le quali sentiamo una responsabilità ,
come la disoccupazione o i drammi vissuti dalle vittime di una crisi economica che ancora non ci siamo
lasciati alle spalle. Saremo inoltre una voce libera, capace di andare anche oltre gli schemi consolidati nei
rapporti con la politica e le banche, e non avremo paura di metterci in contrasto con il sistema, se sarà
necessario. Mentre le istituzioni abbandonano spesso i territori e la gente, Confimi Industria Veneto si
prepara invece a dar loro una voce più forte".
CONFIMI WEB - Rassegna Stampa 23/07/2015
16
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Pmi: alzano la voce, nasce Confimi Industria Veneto (2)
22/07/2015 19:14
Sito Web
www.sardegnaoggi.it
pagerank: 4
Vicenza, 22 lug. (AdnKronos) - È nata Confimi Industria Veneto, nuova rappresentanza delle piccole e medie
imprese che unirà le forze di tutte le associazioni provinciali aderenti alla confederazione nazionale Confimi
Industria, tra le quali Apindustria Vicenza. L'iniziativa nasce dalla volontà di assicurare alle attività produttive
una rappresentanza innovativa, capace di sfruttare le nuove tecnologie insieme alle migliori competenze
professionali, anche esterne, oltre che alle energie di menti giovani, brillanti e dinamiche.
Il primo Presidente di Confimi Veneto sarà William Beozzo, già alla guida di Apindustria Bassano e
Vicepresidente provinciale, che ha accettato con entusiasmo l'incarico conferitogli per acclamazione da tutti i
referenti territoriali delle Confimi.
"Con senso di responsabilità accolgo una sfida importante ? spiega Beozzo ? perché mi sento costruttore di
una realtà nuova, che non prende spunto da esperienze già esistenti, e vuole essere un riferimento per tutto
ciò che le attività produttive della Regione si aspettano di rappresentare, ricevere e realizzare in un
determinato momento. Non stiamo dando vita ad una struttura che risponderà a schemi fissi, ma ad un'entità
malleabile, adattabile, in continua evoluzione, capace di dare una voce univoca e forte a tutte le Pmi del
Veneto, ma anche di espandere quei servizi di qualità che vengono garantiti a tutti gli iscritti nelle sedi
decentrate del territorio".
CONFIMI WEB - Rassegna Stampa 23/07/2015
17
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Pmi: alzano la voce, nasce Confimi Industria Veneto
22/07/2015 21:17
Sito Web
www.sardegnaoggi.it
pagerank: 4
(AdnKronos) - (Adnkronos) - "Confimi Industria Veneto non sarà nemmeno l'ennesima sovrastruttura di
organismi già esistenti, che appesantisce il sistema con nuove sedi e cariche gravando sulle quote
associative degli imprenditori: Non ci saranno nuove indennità perché verranno sfruttate al meglio tutte le
risorse materiali, professionali e umane già presenti attraverso le associazioni provinciali e i mandamenti di
Confimi Industria", assicura William Beozzo, che manterrà la carica di presidente per quattro anni, poi
rinnovabili per un altro quadriennio. Gli uffici di Confimi Veneto saranno ospitati invece nella nuova sede di
Apindustria a Bassano, e in quella centrale di Vicenza.
"Anche parlando con una sola voce in tutta la Regione ? promette il Presidente ? resteremo sempre vicini agli
imprenditori e alla gente, affrontando i problemi reali delle imprese ma anche le questioni di grande rilevanza
sociale per le quali sentiamo una responsabilità, come la disoccupazione o i drammi vissuti dalle vittime di
una crisi economica che ancora non ci siamo lasciati alle spalle. Saremo inoltre una voce libera, capace di
andare anche oltre gli schemi consolidati nei rapporti con la politica e le banche, e non avremo paura di
metterci in contrasto con il sistema, se sarà necessario. Mentre le istituzioni abbandonano spesso i territori e
la gente, Confimi Industria Veneto si prepara invece a dar loro una voce più forte".
Ultimo aggiornamento: 22-07-2015 18:57
CONFIMI WEB - Rassegna Stampa 23/07/2015
18
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Pmi: alzano la voce, nasce Confimi Industria Veneto (2)
22/07/2015 17:31
Sito Web
www.vicenzapiu.com
pagerank: 4
L'annuncio di Apindustria Vicenza
È nata Confimi Industria Veneto, nuova rappresentanza delle piccole e medie imprese che unirà le forze di
tutte le associazioni provinciali aderenti alla confederazione nazionale Confimi Industria, tra le quali
Apindustria Vicenza. L'iniziativa nasce dalla volontà di assicurare alle attività produttive una rappresentanza
innovativa, capace di sfruttare le nuove tecnologie insieme alle migliori competenze professionali, anche
esterne, oltre che alle energie di menti giovani, brillanti e dinamiche.
Il primo Presidente di Confimi Veneto sarà William Beozzo, già alla guida di Apindustria Bassano e
Vicepresidente provinciale, che ha accettato con entusiasmo l'incarico conferitogli per acclamazione da tutti i
referenti territoriali delle Confimi. «Con senso di responsabilità accolgo una sfida importante - spiega Beozzo
- perché mi sento costruttore di una realtà nuova, che non prende spunto da esperienze già esistenti, e vuole
essere un riferimento per tutto ciò che le attività produttive della Regione si aspettano di rappresentare,
ricevere e realizzare in un determinato momento. Non stiamo dando vita ad una struttura che risponderà a
schemi fissi, ma ad un'entità malleabile, adattabile, in continua evoluzione, capace di dare una voce univoca
e forte a tutte le Pmi del Veneto, ma anche di espandere quei servizi di qualità che vengono garantiti a tutti gli
iscritti nelle sedi decentrate del territorio».
Confimi Industria Veneto non sarà nemmeno l'ennesima sovrastruttura di organismi già esistenti, che
appesantisce il sistema con nuove sedi e cariche gravando sulle quote associative degli imprenditori: «Non ci
saranno nuove indennità perché verranno sfruttate al meglio tutte le risorse materiali, professionali e umane
già presenti attraverso le associazioni provinciali e i mandamenti di Confimi Industria» assicura William
Beozzo, che manterrà la carica di presidente per quattro anni, poi rinnovabili per un altro quadriennio. Gli
uffici di Confimi Veneto saranno ospitati invece nella nuova sede di Apindustria a Bassano, e in quella
centrale di Vicenza.
«Anche parlando con una sola voce in tutta la Regione - promette il Presidente - resteremo sempre vicini agli
imprenditori e alla gente, affrontando i problemi reali delle imprese ma anche le questioni di grande rilevanza
sociale per le quali sentiamo una responsabilità , come la disoccupazione o i drammi vissuti dalle vittime di
una crisi economica che ancora non ci siamo lasciati alle spalle. Saremo inoltre una voce libera, capace di
andare anche oltre gli schemi consolidati nei rapporti con la politica e le banche, e non avremo paura di
metterci in contrasto con il sistema, se sarà necessario». Mentre le istituzioni abbandonano spesso i territori e
la gente, Confimi Industria Veneto si prepara invece a dar loro una voce più forte.
CONFIMI WEB - Rassegna Stampa 23/07/2015
19
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Il vicentino William Beozzo primo presidente della neonata Confimi Veneto
21/07/2015
Sito Web
regione.abruzzo.it
(REGFLASH) Pescara, 21 lug. Gli appuntamenti odierni del presidente Luciano D'Alfonso: ore 9:00 a
L'AQUILA, presso Palazzo Silone, incontro di lavoro avente ad oggetto "Programmazione Fondo Aree
Sottoutilizzate 2000-2006. Ricognizione economie di spesa maturate sugli APQ. Sono stati invitati il Direttore
Generale C.Gerardis, i Direttori Savini, Primavera, Zappacosta, Muraglia, Di Rino e il Dirigente Cipollone; ore
10:00 a L'AQUILA, presso Palazzo Silone, incontro incontro con arch. Maria Giulia Picchione Soprintendente
Belle arti e paesaggio dell'Abruzzo; ore 10:30 a L'AQUILA, presso Palazzo Silone, incontro con il Prof.
Giuseppe Cleofe; ore 11:30 ad AVEZZANO, presso la sala ex ARSSA, sottoscrizione di un Protocollo
d'Intesa per la valorizzazione del Palazzo e del Parco Torlonia. Il protocollo sarà sottoscritto dal Sindaco di
Avezzano Giovanni Di Pangrazio, dal Presidente del Consiglio Regionale Giuseppe Di Pangrazio e dal
Presidente Luciano D'Alfonso; ore 16:00 a PESCARA, presso il Porto Turistico, Assemblea dei Presidenti
Regionali italiani di Confimi Industria alla presenza del Presidente Nazionale Dott. Paolo Agnelli e del
Presidente Nazionale Aniem Ing. Dino Piacentini; ore 16:30 a CHIETI, presso la Cattedrale di San Giustino,
esequie funebri per Nicola Cucullo; ore 17:30 a PESCARA, in viale Bovio n. 425, riunione operativa per
Progetto Marsica. Sono stati invitati il Presidente Di Pangrazio, il Direttore Generale Cristina Gerardis, il
Direttore del Dipartimento della Presidenza dr. Giovanni Savini e il dr. Patrizio Tomassetti; ore 18:15 a
PESCARA, in viale Bovio n. 425, incontro di lavoro avente ad oggetto "Chiusura del ciclo di programmazione
dei fondi strutturali 2007/2013". Sono stati invitati il Vice Presidente Lolli e i Direttori Savini e Di Rino; ore
19:00 a PESCARA, in viale Bovio n. 425, seduta di Giunta Regionale. (REGFLASH) US/15/07/21
Nella foto Luciano D'Alfonso
CONFIMI WEB - Rassegna Stampa 23/07/2015
20
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
REGIONE: GLI APPUNTAMENTI DEL PRESIDENTE D'ALFONSO
22/07/2015 19:07
Sito Web
vvox.it
È nata Confimi Industria Veneto, nuova rappresentanza delle piccole e medie imprese che unirà le forze di
tutte le associazioni provinciali aderenti alla confederazione nazionale Confimi Industria, tra le quali
Apindustria Vicenza. «L'iniziativa - spiega una nota -nasce dalla volontà di assicurare alle attività produttive
una rappresentanza innovativa, capace di sfruttare le nuove tecnologie insieme alle migliori competenze
professionali, anche esterne, oltre che alle energie di menti giovani, brillanti e dinamiche».
Il primo Presidente di Confimi Veneto sarà William Beozzo, già alla guida di Apindustria Bassano e
Vicepresidente provinciale. «Non ci saranno nuove indennità perché verranno sfruttate al meglio tutte le
risorse materiali, professionali e umane già presenti attraverso le associazioni provinciali e i mandamenti di
Confimi Industria», assicura Beozzo. Gli uffici di Confimi Veneto saranno ospitati invece nella nuova sede di
Apindustria a Bassano, e in quella centrale di Vicenza.
CONFIMI WEB - Rassegna Stampa 23/07/2015
21
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Vicenza, nasce Comfimi Industria Veneto
22/07/2015 18:30
Sito Web
www.guidasicilia.it
Vicenza, 22 lug. (AdnKronos) - È nata Confimi Industria Veneto, nuova rappresentanza delle piccole e medie
imprese che unirà le forze di tutte le associazioni provinciali aderenti alla confederazione nazionale Confimi
Industria, tra le quali Apindustria Vicenza. L'iniziativa nasce dalla volontà di assicurare alle attività produttive
una rappresentanza innovativa, capace di sfruttare le nuove tecnologie insieme alle migliori competenze
professionali, anche esterne, oltre che alle energie di menti giovani, brillanti e dinamiche.
Il primo Presidente di Confimi Veneto sarà William Beozzo, già alla guida di Apindustria Bassano e
Vicepresidente provinciale, che ha accettato con entusiasmo l'incarico conferitogli per acclamazione da tutti i
referenti territoriali delle Confimi.
"Con senso di responsabilità accolgo una sfida importante ? spiega Beozzo ? perché mi sento costruttore di
una realtà nuova, che non prende spunto da esperienze già esistenti, e vuole essere un riferimento per tutto
ciò che le attività produttive della Regione si aspettano di rappresentare, ricevere e realizzare in un
determinato momento. Non stiamo dando vita ad una struttura che risponderà a schemi fissi, ma ad un'entità
malleabile, adattabile, in continua evoluzione, capace di dare una voce univoca e forte a tutte le Pmi del
Veneto, ma anche di espandere quei servizi di qualità che vengono garantiti a tutti gli iscritti nelle sedi
decentrate del territorio".
CONFIMI WEB - Rassegna Stampa 23/07/2015
22
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Pmi: alzano la voce, nasce Confimi Industria Veneto
22/07/2015 18:30
Sito Web
www.guidasicilia.it
(AdnKronos) - (Adnkronos) - "Confimi Industria Veneto non sarà nemmeno l'ennesima sovrastruttura di
organismi già esistenti, che appesantisce il sistema con nuove sedi e cariche gravando sulle quote
associative degli imprenditori: Non ci saranno nuove indennità perché verranno sfruttate al meglio tutte le
risorse materiali, professionali e umane già presenti attraverso le associazioni provinciali e i mandamenti di
Confimi Industria", assicura William Beozzo, che manterrà la carica di presidente per quattro anni, poi
rinnovabili per un altro quadriennio. Gli uffici di Confimi Veneto saranno ospitati invece nella nuova sede di
Apindustria a Bassano, e in quella centrale di Vicenza.
"Anche parlando con una sola voce in tutta la Regione ? promette il Presidente ? resteremo sempre vicini agli
imprenditori e alla gente, affrontando i problemi reali delle imprese ma anche le questioni di grande rilevanza
sociale per le quali sentiamo una responsabilità, come la disoccupazione o i drammi vissuti dalle vittime di
una crisi economica che ancora non ci siamo lasciati alle spalle. Saremo inoltre una voce libera, capace di
andare anche oltre gli schemi consolidati nei rapporti con la politica e le banche, e non avremo paura di
metterci in contrasto con il sistema, se sarà necessario. Mentre le istituzioni abbandonano spesso i territori e
la gente, Confimi Industria Veneto si prepara invece a dar loro una voce più forte".
CONFIMI WEB - Rassegna Stampa 23/07/2015
23
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Pmi: alzano la voce, nasce Confimi Industria Veneto (2)
SCENARIO ECONOMIA
35 articoli
23/07/2015
Pag. 1,15
diffusione:619980
tiratura:779916
Le condizioni dell'Europa sulla riduzione delle tasse
Il bonus L'Italia è il primo Paese che ha beneficiato della flessibilità con un «bonus» di 6 miliardi
Francesca Basso
Prima casa, imprese, dipendenti e pensionati: i tagli alle tasse dovranno essere di qualità, ossia misurati sul
programma di riforme e sulla sostenibilità delle misure. Così le condizioni di Bruxelles sul piano annunciato
dal premier Renzi per l'autunno. Il ministro Padoan: giù la spesaalle pagine 14 e 15 Sensini I paletti della Ue
per un fisco più leggero Moscovici: «Le misure del governo italiano valutate in base alle nostre regole sulla
flessibilità» A settembre la soluzione per le coperture dei tagli. Il pacchetto entrerà nella legge di Stabilità
DALLA NOSTRA INVIATA BRUXELLES Le regole non cambiano. La Commissione europea su questo punto
è chiarissima. E l'annuncio improvviso da parte del premier Matteo Renzi del taglio delle tasse unito all'ipotesi
di un ulteriore ricorso alla flessibilità, prevista in alcuni casi dal patto di Stabilità, viene liquidato dal
commissario agli Affari Economici Pierre Moscovici con un «è presto per una reazione dettagliata, non c'è
stato scambio con il governo italiano». Moscovici ha spiegato che la Commissione «esaminerà le misure che
proporrà il governo italiano alla luce delle nostre regole sulla flessibilità». «Non abbiamo ancora ricevuto una
comunicazione» da parte di Roma ha detto Moscovici, ricordando che «la comunicazione che c'è stata è
quella sulla flessibilità della Commissione europea» del 13 gennaio scorso, che «dice che un Paese, che si
trova nel braccio preventivo del patto di Stabilità e che investe deve essere incoraggiato, che un Paese che fa
riforme strutturali può ottenere più tempo e deve essere incoraggiato e che infine bisogna tenere conto del
ciclo economico e che quindi gli sforzi richiesti non sono gli stessi». Che margine di manovra ha il nostro
Paese? A Roma fanno notare che la soluzione per le coperture al taglio delle tasse è allo studio e verrà
definita a settembre, ma soprattutto che il pacchetto sarà inserito nella legge di Stabilità 2016 che l'Italia
presenterà entro metà ottobre, come tutti gli Stati membri, alla Commissione Ue. La prassi ufficiale non
prevede altre comunicazioni, mentre quella informale contempla contatti tecnici in caso di dubbi sulla
compatibilità con le regole Ue delle soluzioni individuate. La legge di Stabilità deve rispettare il patto di
Stabilità e crescita e dunque il governo italiano per tagliare le tasse dovrà trovare le coperture per rimanere
nei vincoli europei, tenuto conto che il nostro debito pubblico è altissimo, ben al di sopra del 60% previsto dai
parametri di Maastricht: è al 135,1% del Pil nel primo trimestre 2015, pari a 2.184 miliardi, come rilevava ieri
Eurostat. Non siamo sotto procedura perché rispettiamo la parte preventiva del patto di Stabilità e la
Commissione ritiene che abbiamo una velocità sufficiente di riduzione del deficit strutturale. Ma siamo sotto
monitoraggio. L'Italia è il primo Paese, osservano a Bruxelles, che ha beneficiato della clausola di flessibilità
del patto di Stabilità, ottenendo in primavera un «bonus » da 6 miliardi. Non era un candidato naturale, ma
sulla base del piano dettagliato di riforme presentato dal ministro Pier Carlo Padoan, all'Italia è stato
concesso un aggiustamento di bilancio inferiore rispetto a quanto avrebbe dovuto. In via teorica non è
escluso un accumulo di flessibilità, ma la Commissione Ue dovrà valutare in che misura il piano fiscale sia
compatibile con i vincoli Ue e andrà combinato con la riduzione delle spese primarie. Bruxelles fa anche
presente che oltre alla quantità è importante la qualità del taglio delle tasse, perché l'analisi sarà fatta in
relazione alla sfida economica che l'Italia si pone di raggiungere. Un esempio: la riduzione delle imposte sul
lavoro ha un legame con la competitività e la creazione di occupazione. Mentre un eventuale taglio delle
tasse non sui fattori di produzione ma sugli immobili verrà valutato se coerente. I vincoli e i margini di
manovra sono limitati. Di ogni azione sarà valutata la compatibilità con l'equilibrio generale. Quanto all'ipotesi
di ricorrere alla clausola sugli investimenti per ottenere la flessibilità, viene osservato che non è stata mai
usata ed è abbastanza restrittiva. Una via per aumentare lo spazio d'azione è quella di attuare in modo rapido
il programma di privatizzazioni, come la Commissione Ue ci ha raccomandato a primavera. Non si riduce il
deficit ma lo stock di debito. Finora Bruxelles si è concentrata sul dossier Grecia. Nelle prossime settimane
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/07/2015
25
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Casa e Irpef Padoan: ci saranno anche tagli alla spesa
23/07/2015
Pag. 1,15
diffusione:619980
tiratura:779916
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/07/2015
26
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
l'attenzione tornerà anche sull'Italia. Negli ultimi 12 mesi l'atteggiamento nei nostri confronti è cambiato, ha
osservato il ministro Padoan. Non i paletti della Ue, quelli restano. Il profilo il francese Pierre Moscovici, 57
anni, commissario Ue agli Affari economici e monetari I conti della Grecia Il sistema bancario (dati in miliardi
di euro) L'andamento del debito pubblico (dati in miliardi di euro) Fonti: Ocse, Istituto greco di statistica CdS
100 80 60 40 20 0 Alpha Bank Piraeus Bank Euro-Bank NBG 2012 2013 2014 2015 Q1 68,3 36,3 14,5 88,5
46,5 18,6 77,5 34,3 13,7 119,3 60,4 24,2 Attivi Depositi Depositi al di sopra dei 100 mila euro 330 320 310
300 290 280 270 260 Q2 Q3 Q4 Q1 Q2 Q3 Q4 Q1 Q2 Q3 Q4 Q1 301,5 miliardi 168,8% sul Pil 0,7 per cento
la stima di crescita del Pil previste nel Def per il 2015 50 miliardi La riduzione delle tasse indicata da Renzi in
5 anni
23/07/2015
Pag. 14
diffusione:619980
tiratura:779916
Sanità, a rischio i 2,3 miliardi di risparmi previsti per quest'anno
Melania Di Giacomo
Roma Mentre il governo è a caccia di 10 miliardi per la spending review del 2016, il servizio Bilancio del
Senato solleva pesanti dubbi sui tagli alla spesa sanitaria previsti per quest'anno. Si tratta di un risparmio già
calcolato nella spending review 2015, un taglio netto di 2,3 miliardi sul Fondo sanitario nazionale, sfruttando
le leve messe a punto dall'Intesa tra Stato e Regioni. Uno dei punti è la rinegoziazione dei contratti con i
fornitori. Per attuare le misure previste dall'intesa il governo ha presentato un emendamento al decreto enti
locali in discussione al Senato. Ma i tecnici di Palazzo Madama segnalano come ci siano «difficoltà di
conseguire un risparmio in corso d'anno». Visto che siamo già a fine luglio. Tra gli strumenti a disposizione
delle Regioni ci sono, tra le altre cose, la definizione di standard qualitativi e la riduzione delle centrali del
118. Ma anche la «razionalizzazione della spesa per beni e servizi, dispositivi medici e farmaci», con una
riduzione su base annua del 5% del valore complessivo dei contratti. Una misura che ha suscitato le proteste
di Assobiomedica, le aziende che producono beni e servizi per la sanità, dalle siringhe alle tac. Dovrebbe
portare un risparmio per l'anno 2015 di 788 milioni di euro e di 805 milioni di euro a decorrere dall'anno 2016.
Un taglio che però, visti i tempi, appare a rischio. Il dossier ricorda che anche la Ragioneria dello Stato ha
evidenziato che gli effetti stimati per il 2015 potrebbero essere a rischio. Per non parlare della possibilità
«dell'insorgere di contenziosi in materia» e che le aziende forniscano «prodotti di minore qualità». Dubbi sui
risparmi per quest'anno vengono anche dalla riduzione dei ricoveri ospedalieri e delle prescrizioni
diagnostiche inappropriate. Le associazioni dei medici protestano, anche perché la norma prevede il taglio
degli stipendi per i camici bianchi inadempienti.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/07/2015
27
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
I tecnici del Senato
23/07/2015
Pag. 1
diffusione:334076
tiratura:405061
Spesa locale, possibili 23 miliardi di risparmi
Rossella Bocciarelli
Spesa locale, possibili 23 miliardi di risparmi pagina 7 ROMA pIn Italia sarebbero possibili risparmi sulla
spesa pubblica locale per un ammontare di circa 23 miliardi l'anno senza tagliare i servizi ai cittadini, anzi
migliorando quelli delle regioni che oggi offrono i livelli peggiori. È quanto si ricava da un rapporto dell'ufficio
studi di Confcommercio presentato ieri dal suo direttore, Mariano Bella. La spesa pubblica locale ammonta
complessivamente a 176,4 miliardi ma, è il ragionamento di Confcommercio, ne basterebbero 102 perché
ciascuna regione possa offrire gli stessi servizi ai prezzi migliori (quelli della Lombardia, secondo lo studio).
Dunque 74,1 miliardi di spesa, pari al 42% del totale, sono in eccesso. Posto che per portare tuttii servizi al
livello della regione più efficiente bisognerebbe comunque reinvestire 51,2 miliardi, circa 23 miliardi di spesa
di regioni, provincee comuni sono «del tutto ingiustificati» e rinunciarvi consentirebbe un cospicuo spazio per
una riduzione di imposte, assolutamente necessaria per il rilancio della crescita in Italia. «Le imposte - ha
detto ieri il chief economist della Confcommercio- sono tutte nemiche della crescita, ci sono quelle più nocive
e quelle meno nocive». Quindi, ha aggiunto, «al di là di fare giochini sul mix di reddito bisogna ridurre la
pressione fiscalee per ridurre la pressione fiscale bisogna ridurre la spesa pubblica». Lo studio muove da una
prima ripartizione della spesa pubblica regionale (o locale, cioè riferita a tutti gli enti locali, regione inclusa,
residenti nella regione stessa): attorno a una spesa media di 2.963 euro, la Puglia presenta la minore spesa
pro capite in assoluto, seguita dalla Lombardia, che nella ricerca viene assunta come il benchmark per il
calcolo degli sprechi, perché presenta livelli di servizio superiori a tutte le altre regioni. Quanto agli standard
dei servizi offerti, infatti, la Lombardia, nella scala messaa punto da Confcommercio viene uguagliata a 1 e in
fondo alla classifica c'è la Sicilia, con 0,30. Gli «eccessi» di spesa pubblica locale sono particolarmente
evidenti nelle regioni a statuto speciale, in quelle del Sud e in quelle più piccole, che a parità di altre
condizioni sprecano di più di quelle grandi per diseconomie di scala. Le regioni a statuto speciale spendono
ben più delle altre, mediamente 3.814 euro, cioè il 28,7% sopra la media dell'Italia e il 36% in più rispetto alle
regionia statuto ordinario (2.812 euro). Nelle regionia statuto speciale, su 34,4 miliardi di spesa l'anno, 21,9
sono ingiustificati (il 63,6% della spesa contro il 36,8% registrato nelle regioni a statuto ordinario). «Queste
regioni, salvo la Sicilia, offrono dei servizi ottimi, ma a prezzi troppo alti rispetto a quelli della regione di
riferimento», ha sintetizzato Bella. Basti pensare che la spesa pubblica locale per abitante in Val d'Aosta o in
Trentino Alto Adige è più che doppia rispetto a quella del Paese (rispettivamente 6.943 e 6.273 euro contro
una media di 2.963 euro). Un altro tema rilevante riguarda la dimensione delle regioni: nelle tre più piccole a
statuto ordinario, Umbria, Molise e Basilicata, la spesa pro capite (3.137 euro) supera del 5,8% la media:
dunque la "scala"conta, ai fini dei risparmi di spesa, perché le regioni grandi sprecano meno, a parità di altre
condizioni.Nelle regioni del Sud, l'eccesso di spesa ammonta al 63,9% del totale contro il 30,7% registrato in
quelle del centro-nord. Cheè come dire che nel Sud si potrebbero risparmiare 1.859 euro a testa per ottenere
la stessa quantitàe qualità di servizi pubblici attuali.
Il gap da colmare Sud Italia Centro-Nord Altre Regioni Risorse da reinvestire Regioni grandi Eccesso netto di
spesa pubblica locale 19,7 16,1 31,5 6,8 40,5 11,8 51,2 22,9 10,7 11,1 1,5 1,0 16,4 4,2 33,3 17,7 Regioni
piccole a statuto ordinario Regioni a statuto speciale Regioni a statuto ordinario Risorse da reinvestire per
raggiungere il livello di servizio della Lombardia ai prezzi della Lombardia. Dati in miliardi di euro
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/07/2015
28
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
RAPPORTO CONFCOMMERCIO
23/07/2015
Pag. 1
diffusione:334076
tiratura:405061
Il debito e il veleno delle opposte narrazioni
Gianni Toniolo
Continua u pagina 23 Con il trattato di Versailles fu imposto al Reich sconfitto un pesante debito a titolo di
riparazioni di guerra. I tedeschi si proclamarono, e si ritennero sinceramente, vittime di vincitori arroganti,
insensibili alle sofferenze del popolo e incapaci di comprendere l'insostenibilità economica del peso che
caricavano sulle loro spalle. Da parte sua, la Francia (in posizione per qualche aspetto analoga a quella della
Germania odierna) ricordava che nel 1815 e nel 1871 aveva onorato, senza tante storie, i propri debiti di
guerra, addirittura prima della scadenza, a costo di pesanti ipoteche sulla propria finanza pubblica. Un debito
è un debito, dicevano, e va onorato oggi come noi lo onorammo allora, costi quel che costidel creditore.
Nacquero due narrazioni diverse, entrambe non prive di fondamento, ma tra loro inconciliabili. Anche perché
le due storie erano narrate soprattuttoa beneficio di ciascuna opinione pubblica interna. I politici di Weimar
per indicare nello straniero il responsabile delle misere condizioni di vita di molti, anche nella classe media,
l'accresciuta povertà, l'iperinflazione. La classe dirigente francese, per parte sua, aveva basato la
propaganda bellica sullo slogan "I crucchi (si può forse tradurre così il dispregiativo le Bosche) pagherà e
l'opinione pubblica si aspettava esattamente questo da loro, insieme al riconoscimento della "colpa"
unilaterale e totale della Germania per la tragedia della guerra. Dal punto di vista del benessere complessivo
dell'Europa, come scrisse Keynes, i tedeschi avevano buone ragioni: era autolesionista l'impoverire la
Germania. Ma Berlino non mancò di usare l'argomento a fini propagandistici, esagerando le proprie difficoltà.
Il debito tedesco fu spalmato su un gran numero di anni e pagato, finché durò, con un flusso di capitali privati.
Nel 1931 fu dapprima sospeso poi cancellato. Sul debito privato vi fu un parziale default. Succede, quando i
debiti sono economicamente o socialmente insostenibili. L'analogia tra l'Europa degli anni venti e quella di
oggi sconta, per fortuna, molte differenza, prima tra tutte il fatto che allora il debito fu imposto dai vincitori ai
vinti con il trattato di pace mentre i debiti attuali furono assunti volontariamente dai vari paesi. Resta, mi pare,
nei due casi l'analoga presenza di due opposte narrazioni dell'origine della crisi che si riflettono in opposte
visioni sul come uscirne, entrambe - oggi come allora - connotate di valenze etiche, di principi irrinunciabili.
Per la Germania (nella posizione della Francia degli anni Venti), il dovere di ripagare i debiti è obbligo morale
imprescindibile. L'Unione Europea non può sussistere senza lo scrupoloso rispetto da parte di tutti degli
impegni liberamente assunti. Siano essi derivanti da contratti bi-multi laterali (tali sono i debiti) sia dalla firma
di trattati (per esempio l'obbligo di mantenere il disavanzo pubblico entro limiti prefissati). Senza il rispetto
degli impegni assunti, dicono i tedeschi, si sgretola la fiducia reciproca, essenziale collante dell'Unione. In
Grecia prevale una narrazione della crisi diametralmente opposta: il debito fu originariamente subìto (2010)
per imposizione dei più forti in- u Continua da pagina 1 tenti solo a salvare le proprie banche, inoltre c'è un
limite invalicabile ai sacrifici che si possono imporre ad un popolo in nome della santità degli impegni assunti
(si aggiungono, come sappiamo, altri argomenti, meno ragionevoli e plausibili). Esigere solidarietà e riduzione
del debito da parte dei creditori è solo esigere giustizia. Ciascuna "narrazione" della crisi e del modo di
superarla riflette sentimenti radicati nelle opinioni pubbliche. Le opposte visioni sono state esasperate dalle
vicende delle ultime settimane. Si riflettono tanto nell'inusitata durezza di taluni passaggi del documento
ufficiale sull'accordo raggiunto il 12 luglio al Consiglio Europeo quanto nell'incredibile accusa di terrorismo
lanciata da un ministro in carica nei confronti delle controparti in una difficile trattativa. Le narrazioni fanno
parte di una propaganda che, come negli anni Venti e Trenta, può avvelenare i pozzi degli accordi lungo il
futuro cammino dell'Europa, impedendo l'attenzione alle ragioni degli altri, senza la quale trattare diventa
terribilmente difficile. Sarà difficile ripartire nella costruzione dell'unità europea senza tornare a narrazioni
meno apodittiche e virulente delle posizioni e ragioni di ciascuno. Ma qualcosa va fatto in proposito. Un
contributo importante devono darlo gli opinon makers: chi parla in televisione, scrive su giornali e blogs,
twitta, insegna nelle scuole e nelle università. Ma ancora più devono fare i politici di governo e opposizione
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/07/2015
29
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
IERI E OGGI
23/07/2015
Pag. 1
diffusione:334076
tiratura:405061
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/07/2015
30
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
bandendo dalla quotidiana dialettica l'uso a fini di polemica interna interni di visioni esasperate e distorte di
torti e ragioni nella politica europea. Ha molto danneggiato la reputazione delle istituzioni europee, delle quali
abbiamo più che mai bisogno, l'avere giustificato ogni scelta indispensabile ma impopolare dicendo "ce lo
impone l'Europa" invece che "ce lo impone l'interesse nazionale, dobbiamo cambiare sia che l'Europa lo
chieda sia che non lo chieda".
23/07/2015
Pag. 2
diffusione:334076
tiratura:405061
Piano Juncker, via libera ai primi cinque progetti
APPROVATI Risparmio energetico ed energie rinnovabili al centro dei programmi al debutto, in Francia,
Germania, Regno Unito e Olanda
Giuseppe Chiellino
pSono stati approvati dalla Bei i primi cinque progetti garantiti dal "Piano Juncker" che, a questo punto,
potrebbero partire in autunno. Ieri infatti, a Bruxelles, la Commissione europea e la Bei hanno firmato l'intesa
per la costituzione e la governance del Fondo europeo per gli investimenti strategici (Feis),lo strumento
finanziario del piano. Nell'accordo sono state confermate le linee guida per la gestione dei contributi degli
Stati membri, conferiti tramite le "banche nazionali promotrici" (per l'Italia la Cdp) e l'esclusione dei contributi
"una tantum" dal computo del deficit ai fini del Patto di Stabilità e di crescita. La comunicazione, compresa
nell'accordo di ieri, sul ruolo delle banche promotrici definisce i compiti di tali istituti e chiarisce che i
finanziamenti attraverso il Feis non saranno considerati aiuti di Stato. La partecipazione dell'Italia, attraverso
la Cdp, è di 8 miliardi di euro, come quella di Germania, Francia, Polonia e Regno Unito. I pri- mi cinque
progetti finanziati dalla Bei con il sostegno del "Piano Juncker" riguardano l'introduzione su vasta scala di
contatori intelligenti per migliorare la gestione dei consumi energetici nel Regno Unito, finanziamenti per
facilitare l'accesso al credito per piccoli progetti che utilizzano le energie rinnovabili in Germania e in Francia,
investimenti per riqualificare le vie navigabili interne olandesi. Il cda della Bei ha approvato anche il sostegno
a due fondi per l'energia rinnovabile, che finanzieranno piccoli progetti in Francia e in Europa e che «sono
stati destinati al sostegno del Feis . Istituito in seno alla Bei, il Feis gestirà la garanzia del bilancio dell'Unione
europea di 16 miliardi di euro cui si aggiunge il contributo Bei di 5 miliardi: obiettivo del Piano Juncker è
mobilitare, attraverso questa base, investimenti pubblici e privati per 315 miliardi di euro nel prossimo
triennio. Obiettivo, questo, considerato molto ambizioso e su cui aleggia un discreto scetticismo. Non ha
mancato di sottolinearlo Yanis Varoufakis, all'indomani delle sue dimissioni da ministro dell'Economia della
Grecia. «La maggior parte dei ministri dell'Eurozona lo definisce un "piano fantasma"» ha scritto Varoufakis
commentando il passaggio dell'accordo raggiunto all'Euro Summit il 12 luglio scorso, che faceva riferimento
al Piano Juncker come uno degli strumenti europei in grado di far ripartire la crescita in Grecia. Ovviamente di
tale scetticismo non c'è traccia nelle dichiarazioni ufficiali dopo la firma di ieri. «Quando si tratta di impiegare
gli investimenti in tutta Europa, è essenziale reagire con rapidità. La Commissione, il Consiglio, il Parlamento
europeo e la banca dell'Ue hanno lavorato bene e con celerità» ha affermato Werner Hoyer, presidente della
Bei, il quale ha sottolineato come «per la prima volta c'è un cambiamento fondamentale nell'uso del bilancio
Ue, che passa dai fondi alle garanzie, dai sussidi ai prestiti». Ciò che manca, ora, per «assicurare il successo
del Piano», in «parallelo al Feis, è la realizzazione delle altre componenti del piano Juncker, tra cui la riforma
della regolamentazione, fondamentale per rendere l'Unione europea più accogliente per investitori e
imprenditori». Commissione e Bei hanno intanto nominato i membri dello Steering board del Feis (quattro, tre
della Commissione e uno della Bei), i cui direttore e vicedirettore, in carica per tre anni rinnovabili una sola
volta, verranno scelti a settembre previa audizione dell'Europarlamento. Sono invece in corso di selezione i
membri del Comitato per gli investimenti (otto, saranno professionisti). L'Europarlamento avrà un ruolo di
monitoraggio e supervisione, insieme alla Corte dei conti Ue.
IL PIANO JUNCKER
315
miliardi Obiettivo ambizioso Il Piano Juncker, lanciato dal presidente della Commissione europea in
contemporanea con la sua nomina nell'autunno del 2014, si pone l'obiettivo di far ripartire la crescita e
soprattutto l'occupazione. Il piano ha l'ambizione di mobilitare investimenti pubblici e privati per 315 miliardi di
euro nei prossimi tre anni ma con una dote di partenza di soli 21 miliardi di euro (16 dal bilancio Ue e 5 della
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/07/2015
31
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Investimenti in Europa. Commissione e Bei firmano l'intesa per la nascita del Fondo che gestirà i
finanziamenti
23/07/2015
Pag. 2
diffusione:334076
tiratura:405061
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Bei) che saranno utilizzati come garanzia. La scommessa è su un effetto moltiplicatore pari a 15.
Foto: L'autore . Jean-Claude Juncker
Foto: .@chigiu
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/07/2015
32
23/07/2015
Pag. 5
diffusione:334076
tiratura:405061
La «mela» che rischia di avvelenare Wall Street
Maximilian Cellino
Apple pubblica l'ennesima trimestrale da record, supera le previsioni degli analisti, ma il mercato non si
accontenta di tanta abbondanza: penalizza in modo sonoro i titoli dell'azienda di Cupertino e con essi anche il
resto dei tecnologici Usa. Anzi, non si ferma lì visto che a caduta soffre tutta Wall Street. Non c'è molto da
stupirsi in tutto questo, perché è noto che gli investitori guardano al futuro (o almeno dovrebbero farlo)
piuttosto che al passato e hanno ravvisato note poco rassicuranti sui ricavi e sulle prospettive di vendita degli
iPhone, che resta poi di gran lunga l'attività principale per Apple. E non sorprende neanche la reazione a
catena innescata dal tonfo delle azioni della mela, perché è risaputo il peso che queste hanno a Wall Street.
Può essere però ugualmente utile soffermarsi su qualche dato per capire quanto conti davvero Apple:
qualche giorno fa gli analisti di Factset ricordavano non solo che la società californiana fornisce il principale
contributo alla crescita degli utili del settore tecnologico, ma anche che se si sottraesse il suo apporto i
guadagni realizzati dall'hightech made in Usa nel primo trimestre del 2015 sarebbero scesi del 5,3% e non
cresciuti dello 0,7% rispetto all'anno precedente. E per il trimestre successivo, stando ai bilanci già comunicati
e alle attese per quelli che ancora devono arrivare, l'impatto secondo Factset è altrettanto rilevante: con
Apple gli utili aumentano su base annua dello 0,2%, senza precipiterebbero addirittura del 6 per cento. In
altre parole, la crescita imponente del settore tecnologico che ha contribuito a riportare l'indice Nasdaq sui
livelli dello scoppio della bolla del 2000 si basa essenzialmente sulla sola società fondata da Steve Jobs e
Steve Wozniak: se il suo motore si dovesse improvvisamente inceppare i pessimisti che pensano che si stia
creando un nuovo castello di carta proprio come 15 anni fa potrebbero davvero non avere tutti i torti. Anche al
cospetto dell'intera Wall Street la rilevanza di Apple impressiona e inquieta allo stesso tempo: poco dopo la
diffusione dei dati trimestrali il Wall Street Journal ricordava non solo che, prima dello scivolone di ieri, quasi
un terzo della performance positiva del 3,5% realizzata da inizio anno dall'indice S&P 500 fosse legata alle
performance del titolo del gruppo californiano. Ma sottolineava anche che ormai da quattro anni il contributo
di Apple al monte utili complessivo a stelle e strisce non scende sotto il 3%, cioè il doppio rispetto all'apporto
di big del calibro di Jp Morgan, Microsoft o Ibm. Ancora la stessa Factset rincara la dose avvertendo che se
Apple non esistesse, la contrazione degli utili che ci si attende dalla corporate Usa nel secondo trimestre
2015 sarebbe del 6,7% e non del 3,5% appena. Gli investitori hanno dunque evidenti motivi per preoccuparsi
se le cose per Apple dovessero smettere di girare per il verso giusto. E anche per dare un'occhiata
sospettosa a ciò che sta avvenendo a Shanghai e sui suoi mercati: dopotutto la Cina resta il principale
acquirente di iPhone al di fuori degli Stati Uniti.
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/07/2015
33
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
L'ANALISI
23/07/2015
Pag. 1.7
diffusione:334076
tiratura:405061
«Taglio tasse stimolo per la crescita»
Il piano di Renzi «Se non lo avessi condiviso non sarei più ministro, non è messaggio estemporaneo ma
tassello di una strategia» Clausole di salvaguardia Padoan assicura: «Per il 2016 già previste riduzioni di
spesa necessarie a disinnescarle» Padoan: bisogna intervenire sulla spesa - Sangalli: riduzione Irpef da 8
miliardi «La spesa pubblica in Italia pesa 350 miliardi, tra le più basse d'Europa, la Franciaèa quota 650.
Abbiamo un problema di efficienza, ma ci si può lavorare»
Rossella Bocciarelli
GUTGELD pIl taglio delle tasse «è efficace se è credibile ed è credibile se è permanente: deve perciò
derivare da tagli di spesa». Per spiegare la filosofia della riduzione fiscale annunciata dal presidente del
Consiglio il ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, ha colto ieri l'occasione del convegno Confcommercio
sulla politica di bilancio. Il presidente dell'Associazione dei commercianti, Carlo Sangalli, aveva infatti
ricordato che l'Italia ha una pressione fiscale al 43,6% edè al quarto posto frai paesi con il più alto peso del
fisco: «Un carico insopportabile per famiglie e imprese, incompatibile con qualsiasi realistica possibilità di
crescita del Paese» aveva detto, chiedendo «un percorso certo, progressivo e sostenibile di riduzione della
pressione fiscale.È necessario ridurre di un punto le5 aliquote Irpef, un intervento che costa meno di8
miliardi». Padoan ha chiarito, per prima cosa, che l'annuncio sulle tasse di Renziè stato dato in piena sintonia
con Via XX Settembre: «Se non avessi condiviso prima l'annuncio del presidente del Consiglio, oggi sarei lo
stesso qui ma probabilmente con un altro mestiere». Poi, ha tenutoa sottolineare che non siè trattato di un
messaggio estemporaneo ma di un tassello di una strategia di medio termine già in atto da tempo,che
comprende anche la spending review e l'attuazione di un processo di riforme «che non ha uguali in Europa».
Non si tratta, insomma, solo di una riduzione dell'imposizione sulla casa, perché c'è una sequenza di
interventi che il governo intende rispettare (prima la tassazione sugli immobili, poi, nel 2017, l'Irape nel 2018
un alleggerimento sulla tassazione delle famiglie). Anche se oggi, secondo il ministro, gli spazi per un
intervento di questo tipo ci sono, perché la tassazione sulla casa dell'Italia è più bassa della Francia ma più
alta di quella tedesca e spagnola. «Una componente della strategia di riduzione delle tasse deve toccare
anche quelle sulla casa, perché la domanda interna deve essere stimolata». Secondo Padoan, il setto- re
dell'edilizia «ha risentito molto della crisi e deve essere sostenuto: l'eliminazione della tassa sulla prima casa
nonè sufficiente- ha dettoma va in questa direzione». Le cose già fatte dal governo, ha poi affermato, insieme
alla discesa dell'euro, hanno consentito un recupero di competitività .«Oggi anche l'Italia ha un surplus di
partite correnti nella bilancia dei pagamenti, non solo la Germania». E, sempre in tema di fisco, il ministro ha
detto che «si deve intensificare lo sforzo di lotta all'evasione. Non capisco le affermazioni che dicono che
invece che tagliare le tasse bisogna aumentare la lotta all'evasione. Bisogna fare tuttee due, non sono
alternative, sono complementari, perché così si aiuta la compliance ». Tuttavia, Padoan è stato altrettanto
chiaro sul fatto che anche i tagli di spesa pubblica, necessari per garantire un adeguato spazio fiscale alla
riduzione d'imposte, dovranno avere carattere permanente «per non essere costrettia tornare indietroea
subire un danno reputazionale. La spending review, dunque, non può essere un episodio, ma è continua».
Inoltre «la sostenibilità della riduzione delle tasseè una componente della sostenibilità della finanza pubblica
che comporta, soprattutto per chi ha un alto debito come il nostro, la conquista e il mantenimento di una
fiducia che ha richiesto grandi sforzi. E il Governo continuerà in questa direzione». Nel suo intervento, il
ministroè tornato ad assicurare che per il 2016 sono già previsti i tagli di spesa necessaria "disinnescare" le
clausole di salvaguardia. Dal canto suo, il commissario per la spending review, Yoram Gutgeld, ha
confermato che già la prossima settimana sarà pronto il menù necessario per definire un ammontare
superiorea 10 miliardi di tagli di spesa pubblicae che questi tagli negli anni successivi saranno incrementati.
Però, ha precisato «la spesa per la macchina pubblica ammonta in Italia a 350 miliardi contro i 650 miliardi
della Francia ed «è tra le più basse d'Europa con la Spagna. Ha un problema di efficienza, ma ci si può
lavorare molto». Infine, Gutgeld ha sostenuto che «nel 2017 l'Italia passerà dall'essere uno fra i Paesi meno
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/07/2015
34
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Le vie della ripresa VERSO LA LEGGE DI STABILITÀ
23/07/2015
Pag. 1.7
diffusione:334076
tiratura:405061
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
convenienti a uno fra i più convenienti in Europa in termini di tassazione di impresa».
Foto: Confcommercio. Il ministro Pier Carlo Padoan con Carlo Sangalli
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/07/2015
35
23/07/2015
Pag. 9
diffusione:334076
tiratura:405061
Tra Ilva e magistratura qualche prova di dialogo
Domenico Palmiotti
Tra Ilva e magistratura qualche prova di dialogo pagina 10 TARANTO pTrovare in tempi rapidi una soluzione
al problema dell'altoforno2 dell'Ilva che la Procura di Taranto ha sequestrato senza facoltà d'uso dopo un
incidente mortale accaduto a giugno; ripresa del confronto tecnico-giuridico con l'azienda; doppia
sottolineatura circa il fatto che non c'è, da parte dei magistrati, "accanimento giudiziario" verso l'Ilvae che la
gestione dei commissari di Stato non è quella dei Riva. Un incontro avvenuto in mattinata a Lecce - capofila
del distretto giudiziario del Salento- tra la Procura generalee quella di Taranto,e un altro svoltosi nel
pomeriggio a Taranto tra Procura, Ilva e Carabinieri, provano di nuovoa far calare la tensione attorno al caso
del siderurgico. Risalita dopo che lunedì scorso il custode giudiziario dell'impianto sequestrato, andando
all'Ilva («ma mandata dal gipe non da noi» osserva la Procura), ha intimato all'azienda lo spegnimento
immediato, e in sicurezza, dell'altofornoe chiesto di avere entro il 24 luglio il cronoprogram- ma delle
operazioni di fermata. Intanto, l'imminente conversione in legge del decreto del4 luglio, quello che ha
scongiurato che il6 luglio l'altoforno fosse spento e stabilito la continuità dell'attività di impresa pur col
sequestro, potrebbe già rappresentare un passo avanti. Perché viene a decadere anche l'eccezione di
incostituzionalità che il gip Martino Rosati ha posto alla Consulta sospendendo il giudizio. Il gip l'ha infatti
sollevata sul decreto. Nel mo- mento in cui c'è la legge, il gip non solo deve sollevare una nuova eccezione
ma deve esserci anche un procedimento che consenta di farlo. Col decreto è accaduto perché l'azienda ha
chiesto al giudice l'uso dell'altofornoe il magistrato gliel'ha negato ritenendo che il provvedimento del Governo
vada contro la Costituzione. Adesso con la legge lo scenario cambia e le norme sulla continuità dell'impresa
si rafforzano. È stata la Camera a inserire le nuove norme Ilva nel dl fallimenti sul quale il Governo ha poi
posto la fiducia. Il voto della Camera arriverà tra oggie domani, dopodiché ci sarà l'ultimo passaggio al
Senato. «Ho chiesto la massima urgenza- dice il procuratore generale Giuseppe Vignola dopo l'incontroa
Lecce -. Ognuno di noi ha espresso il proprio orientamento per un provvedimento che, sebbene spetti alla
Procura di Taranto, sarà adottato con la convergenza piena di tutti per andare incontro a quelle che sono le
due esigenze primarie: il diritto alla salutee il mantenimento del posto di lavoro». E il successivo incontro in
Procura a Taranto ha avviato l'approfondimento. In altri termini, si vuole trovare un percorso per raffreddare il
conflitto. Lo spazio ci sarebbe. Perchéè vero che il 24 l'Ilva deve presentare al custode giudiziario il piano di
fermata dell'altoforno 2, ma da allora servono almeno 15 giorni per giungere allo stop effettivo.E nel frattempo
non solo il decreto sarà diventato legge ma anche l'Ilva sarà sul punto di riaccedere l'altoforno1 (è previsto
per i primi di agosto) dopo i lavori ambientali. Questo non la sguarnirà produttivamente. E dalla Procura arriva
una doppia apertura verso l'azienda. La prima: il verbale di accesso all'altoforno2 del custode giudiziario
Barbara Valenzano- accesso avvenuto lunedì - offre all'azienda la possibilità di confrontarsi con la Procura.
Come dire, si osserva, «che non c'è nessuna preclusione e nessun rifiuto ad ascoltare le tesi dell'Ilva e a
vagliarle con attenzione». La seconda: al contrario dell'Ilva gestita dai Riva, quella dei commissari straordinari
«sta collaborando con l'autorità giudiziaria». Tant'è, si evidenzia, «che quando è stato ordinato il sequestro
senza facoltà d'uso dell'altoforno 2, la stessa Ilva ha presentato il cronoprogramma della fermata e avviato
tutte le operazioni». Oggi la vicenda Ilva presenta un doppio appuntamento. Il gup Wilma Gilli deciderà, nel
processo "Ambiente Svenduto" (quello per il disastro ambientale), sulle 47 richieste di rinvioa giudizioe sulle5
richieste di condanna formulate dalla Procura (per gli imputati che hanno scelto il patteggiamento). Davanti
alle commissioni Ambiente e Attività produttive della Camera, invece, audizione dei commissari dell'Ilva su
piano industriale e piano ambientale. Che a fine mese dovrà vedere adottate da parte dell'azienda l'80% delle
prescrizioni.
I numeri dell'Ilva
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/07/2015
36
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
IL CASO TARANTO
23/07/2015
Pag. 9
diffusione:334076
tiratura:405061
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
47 Richieste di rinvio a giudizio Il gup dovrebbe decidere oggi nel processo "Ambiente svenduto"
120 Il risanamento Sono 120 le aziende al lavoro per i cantieri legati all'Aia
Foto: Sotto tensione. Lo stabilimento di Taranto legato alle sorti dell'altoforno 2
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/07/2015
37
23/07/2015
Pag. 22
diffusione:334076
tiratura:405061
Entra in vigore la Volcker Rule per le banche
Stefania Spatti
Da ieri è entrata in vigore negli Stati Uniti la «Volcker Rule», la legge che impedisce alle grandi banche di
Wall Street il cosiddetto proprietary trading, ossia l'acquisto e/o la vendita di azioni, bond, valute, materie
prime e derivati attingendo al loro stesso denaro. Pensata per entrare in vigore cinque anni fa come parte del
DoddFrank Wall Street Reform and Consumer Protection Act - la riforma finanziaria su cui il presidente
Barack Obama mise la firma il 21 luglio del 2010 - la «Volcker Rule» ha l'obiettivo di frenare il tipo di hedging
che lederebbe i consumatori provocando una crisi finanziaria simile a quella che nel 2008 mise in ginocchio
l'America. È forse una delle nuove restrizioni più stringenti dalla Grande Depressione degli anni 30 ma è stata
accolta senza troppo rumore tra i big del settore. Il motivo? Dopo avere trascorso anni per cercare di
cambiarne il contenuto, hanno avuto tempo di adeguarsi. Istituti di credito come Citigroup, Bank of America,
Morgan Stanley e Goldman Sachs hanno eliminato una serie di pratiche che potrebbero rientrare nella norma
chiamata come chi l'ha voluta, l'ex presidente della Federal Reserve Paul Volcker che guidò il team di esperti
economici voluti dalla Casa Bianca nel 2009 per mettere a punto una strategia di ripresa dell'economia. Il
"prop desk", come lo chiamano a Wall Street, di Goldman per esempio è finito a KKR nel 2010. Dal canto suo
JP Morgan, come spiegato recentemente dal suo direttore finanziario Marianne Lake, ha cambiato le proprie
attività abbastanza da non doversi aspettare «un impatto diretto sul trading nel breve-termine». Inoltre, negli
ultimi mesi si sono accentuate le vendite di CLO ( collateralised loan obligation ). C'è comunque chi, nel
comparto, vede la Volcker Rule come qualcosa che andrà a impegnare sempre di più avvocati ed esperti di
compliance. Anche perché ancora non si può immaginare quali altri cambiamenti implicherà, tanto più che le
banche hanno fino al 2018 per vendere certi fondi di investimento. Intanto il governo si affretta a formare gli
esperti che dovranno esaminare le attività dei gruppi bancari, determinando per esempio come calcolare i
limiti a certe attività di trading. E poi servono analisti che passino al vaglio i dati sul trading consegnati dai
gruppi ai regolatori. Non a caso le autorità competenti hanno diffuso 16 domande pensate per aiutare le
banche nell'implementazione della regola. Si vedrà a fine estate cosa emergerà dai primi controlli.
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/07/2015
38
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
USA - RIMEDI ANTICRISI
23/07/2015
Pag. 15
diffusione:334076
tiratura:405061
«Abbiamo bisogno dell'expertise italiana»
«Stiamo riducendo i costi di impresa, puntiamo a un accordo di libero scambio con l'Europa»
Mi.Pi.
BLOOMBERG pAustralia chiama Italia, grazie a un legame storico consolidato - sono circa 900mila gli abitanti
di origini italiane - e alle ottime prospettive in un settore, quello delle costruzioni, in cui già le nostre aziende
sono molto attive. Questo in sintesi il messaggio di Mathias Cormann, 45 anni, ministro delle Finanze
australiano, che ha guidato la missione in Europa con tappa a Milano. Ministro, il Paese cresce da 23 anni:
che intendete fare per continuare su questa strada? Stiamo riducendo il carico fiscale e i costi della
burocrazia per le imprese, finora di oltre due miliardi all'anno, investendo a livelli record nelle infrastrutture, e
migliorando l'accesso ai nostri mercati chiave. La nostra economia, fortemente orientata all'export, attraversa
una fase di transizione, dopo un decennio in cui abbiamo beneficiato in maniera significativa dei prezzi alti di
materie prime chiave, come i minerali ferrosi e il carbone. Ma la crescita rimane alta rispetto agli altri Paesi
sviluppati (+0,9% nel solo primo trimestre, nonostante i prezzi in picchiata dei minerali ferrosi). Significa che
altri settori hanno preso il testimone. Come vi state muovendo per attrarre gli investitori e posizionarvi al
meglio per il futuro? Ci stiamo concentrando sulla nostra competitività internazionale e la riduzione dei costi di
impresa. Nell'ultimo budget abbiamo ridotto l'imposta societaria per le piccole imprese, stiamo cercando di
incentivare gli investimenti, soprattutto da parte delle Pmi, abbiamo concordato sforzi per ridurre gli oneri
normativi, stiamo attuando un ambizioso piano infrastrutturale di investimenti. Infine abbiamo un'agenda
commerciale molto ambiziosa: siamo riusciti a finalizzare tre accordi di libero scambio con Cina, Giappone e
Corea del Sud. E ora vogliamo concluderlo con l'Europa, nostro secondo partner commerciale e principale
fonte di investimenti. Pensa che sia possibile concluderne uno analogo? Noi lo speriamo davvero, siamo
molto interessati a discuterne. Crediamo che ci sia l'opportunità di vantaggi reciproci. C'è inoltre un
precedente: l'intesa quadro tra Europa e Canada nell'ambito delle trattative per un Fta, che può essere un
buon punto di partenza.I negoziati non sono ancora partiti ma abbiamo avviato un dialogo. Ha citato molti
vantaggi del mercato australiano. Parliamo di rischi: l'aumento del costo del lavoro minaccia la vostra
competitività e attrattività? È vero che nel contesto di un aumento dei prezzi delle materie prime e del boom
delle costruzioni collegato ci sono state pressioni al rialzo sui salari che, combinate con la forza del dollaro
australiano, hanno avuto un impatto sulla nostra competitività, ma ora è in corso un aggiustamento. Quali
sono i settori con più opportunità per gli investitori stranieri, in particolare italiani? Quello delle costruzioni e
ingegneristico grazie al programma di investimenti infrastrutturali. In questo settore ci sono già diverse
imprese molto attive come Ghella, Salini Impregilo, Rizzani de Eccher e, in prospettiva, c'è una pipeline ben
definita di progetti di qualità per la quale cerchiamo aziende con un'appropriata expertise. Non c'è il rischio di
una bolla immobiliare? Nel Paese c'è dibattito su questo tema, ma il Governo vede una dinamica corretta di
mercato, che funziona come deve funzionare: l'aumento dei prezzi in alcuni mercati, in particolare a Sidney e
Melbourne, è dovuto al fatto che la domanda supera l'offerta. Inoltre notiamo che la pressione al rialzo si
accompagna a investimenti nel settore, che avranno un impatto nel tempo sui prezzi.
Foto: Mathias Cormann, 45 anni
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/07/2015
39
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Mathias Cormann Ministro delle Finanze INTERVISTA
23/07/2015
Pag. 25
diffusione:334076
tiratura:405061
Multinazionali, vince la «new economy»
Antonella Olivieri
Sono più di 400 le multinazionali censite da R&SMediobanca, ma le italiane sono sempre le stesse e soffrono
del confronto con le cugine di Germania e Francia per redditività, solidità e produttività. Nessuna delle
multinazionali della Penisola opera nel settore software e web che è la vera rivelazione degli ultimi anni: a
distanza vincono i campioni della new economy. Le 21 società del comparto individuate nell'indagine hanno
triplicato le loro dimensioni nell'ultimo quinquennio, mantenendo una redditività doppia rispetto alle altre
multinazionali, capacità di innovazione, solidità patrimonia- le e abbondanza di liquidità (utile per lo shopping)
di molto superiore alla norma. In quest'ambito il panorama è ancora dominato dalle aziende Usa con quasi
300 miliardi di giro d'affari complessivo, ma le cinesi (42,5 miliardi a fine 2014) stanno avanzando a ritmo
vertiginoso. pagina 28 pQuello delle grandi multinazionali è un universo relativamente chiuso. Di anno in
anno cambia poco, anche se l'indagine di R&S-Mediobanca oggi, per la prima volta, ne conta più di 400. Ma il
vero fenomeno, in un quadro relativamente statico,è quello delle software & web companies che sono
cresciutea palla negli ultimi anni finoa imporsi sulle altre sotto tutti i profili. Nell'universo censito,
R&S-Mediobanca ne ha individuate 21: mediamente sono ancora relativamente "piccole" rispetto alle
multinazionali tradizionali, ma negli ultimi cinque anni hanno allargato molto più velocemente le loro
dimensioni, sia in termini di giro d'affari che di occupati. Naturalmente più "giovani", investono di più in ricerca
e godono di una migliore redditività. Non solo, sono anche patrimonialmente più solide e più liquide. Un
mondo - idealmente quello nato da chi ha vinto la sfida della new economy, cheè ancora dominato dalle
società statunitensi, incalzate però a distanza dalle cinesi che- tuttoè relativo- si muovono ancora più
velocemente delle altre. L'aggregato Nel gruppo delle 21 società individuate otto si occupano di commercio
elettronico (Amazon in testa con 73,4 miliardi di euro di giro d'affari), sei sono produttrici di software (per
fatturato la prima è Microsoft con 71,5 miliardi di euro), cinque sono Internet companies (la primaè Google
con 54,4 miliardi di ricavi), due sviluppano software per l'entertainment interattivo (la giapponese Nintendo
con 3,8 miliardi di entrate. poco avanti la statunitense Activision Blizzard che fattura 3,6 miliardi). Con 298,5
miliardi di giro d'affari complessivo il panorama è dominato dagli Usa. Segue, a distanza, la Cina (42,5
miliardi). La Germania, con la sola Sap (fondata da quattro ex Ibm), movimenta 17,5 miliardi. Infine, c'è il
Giappone con 7,9 miliardi. La classifica Per giro d'affari Amazon (73,4 miliardi) nel 2014 ha scalzato dal
gradino più alto del podio Microsoft (71,5), nonostante la creatura di Bill Gates si sia allargata a
ricomprendere i telefonini di Nokia che, con 9,6 miliardi, contribuiscono al 13,4% dei ricavi complessivi del
gruppo. In terza posizione, stabile, Google (54,4). Nella top 10, con 10,3 miliardi di euro di fatturato, entra
Facebook, che guadagna due posizioni salendo al nono posto. Fuori classifica i giganti Apple e Samsung,
che per dimensioni se la giocano (la prima lo scorso anno ha fatturato 150,6 miliardi di euro, la seconda
155,7). "Scorpo- rando la divisione software della Apple (14,9 miliardi di euro di ricavi) si otterrebbe la settima
società in graduatoria (l'azienda coreana, invece,a riguardo non fornisce dettagli sufficienti). Mettendo in fila
le società per redditività (il parametroè il margine operativo netto sul fatturato) la classifica si rivoluziona:
primaè Facebook con un margine operativo del 40,1%, penultima Amazon con appena lo 0,2%. Per la
cronaca, Apple (28,5% di margine)è più redditizia di Samsung (13,4%). In generale primeggiano le software
houses (31,1% il margine settoriale), a seguirei servizi Internet (27,1%), poi il comparto entertainment
(15,4%)e infine l'e.commerce (7%). La crescita Negli ultimi cinque anni le software & web companies hanno
triplicato le loro dimensioni (+219,6% il totale dell'attivo tangibile). Le cinesi, per l'appunto, crescono più
velocemente. Basti pensare che le società di e.commerce Alibaba e JD.com negli ultimi tre anni hanno
aumentato l'attivo tangibile, rispettivamente, del 484,2% e del 438,2%, il motore di ricerca Baidu del 293,5%.
In cinque annii ricavi dell'aggregato sono aumentati del 145,2%, contro il 58,9% delle società dell'energia, il
32,5% delle manifatturiere, il 19,4% delle utilities, il 14,2% delle tlc. Stessa storia sul fronte occupazionale:
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/07/2015
40
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
R&S Mediobanca. In 5 anni i big del settore hanno triplicato le dimensioni
23/07/2015
Pag. 25
diffusione:334076
tiratura:405061
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/07/2015
41
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
477mila assunzioni nel quinquennio per le software& web companies, con un incremento dell'organico del
109,3%. Confronto impietoso rispetto alle altre: +14,1% le industriali, +4,7% le energetiche, -1,8% le tlc, -9,3%
le utilities. Qualche incidente di percorso comunque c'è: per esempio Microsoft nell'ultimo anno ha lasciato a
casa il 20% della forza lavoro (molto è legato all'acquisizione di Nokia, che nonè stata ben digerita). Una
crescita che in generale non ha sacrificato la redditività (21,1% il margine operativo netto sul fatturato 2014,
ancora il doppio delle altre, seppure all'interno di un trend calante negli ultimi anni), l'innovazione (13,3%
l'incidenza delle spese di ricerca e sviluppo sul fatturato del 2014, dietro solo al 14,2% della farmaceutica), la
solidità patrimoniale (capitale netto, al top, pari al 316,5% dei debiti finanziari),e la cassa (con una liquidità
paria oltre due volte il debito, staccano nettamente le altre per capacità di fare shopping). In Borsa
Prevalentemente matricole recenti, le software & web companies per crescere hanno confidato nel mercato
più che nelle banche. Ma in Borsa i fondatori non hanno perso il controllo. Google ha fatto scuola con le
azionia voto multiplo e,a seguire, tutte le altre Ipo l'hanno imitata. Cosa c'è in Italia Prevalentemente a Milano
e dintorni ci sono le propaggini delle grandi software & web companies che, complessivamente, producono
1,2 miliardi di ricavi (lo 0,3% del totale globale)e occupano 4.200 addetti.
La fotografia delle multinazionali eBay (US) Rakuten (JP) Oracle (US) Google (US) Amazon.com (US)
Microsoft (US) Facebook (US) Alibaba Group (CN) Autmatic Data Processing (US) Tencent Holdings (CN) LA
TOP 10 MONDIALE
Attivo tangibile in miliardi di euro SOFTWARE & WEB INDUSTRIAApple (US) BP (UK) Chevron (US)
Gazprom (RU) ExxonMobil (US) Petrobras (BR) PetroChina (CN) Volkswagen (DE)
Toyota Motor (JP) Royal Dutch Shell (UK)NTT (JP) At&t (US) Vodafone (UK) Telefonica (ES) Softbank (JP)
China Telecom (CN) Verizon Commun. (US)
China Mobile (CN) Deutsche Telekom (DE) China Unicom (CN)E.ON (DE)
Edf (FR) Enel (IT) Iberdrola (ES) RWE (DE) Vattenfall (SE) National Grid (GB) GDF Suez (FR) Hydro Québec
(CA) Midamerican Energy Holding (US)109,8 Note: Fatturato 2013
LE MULTINAZIONALI ITALIANE Fatturato in miliardi di euro nel 201421,1 8,4 7,7 6,8 6,0 6,0 5,4 4,3 4,2 4,1
3,6 3,3 3,3 Enel
74,3 15,7 14,7 Ferrero Prada Barilla Telecom Italia Tenaris+ Ternium Luxottica Fincantieri Italcem enti
Finmeccanica Marcegaglia * A controllo statale A.Menarini * Prysmian Pirelli STM Parmalat
23/07/2015
Pag. 22
diffusione:556325
tiratura:710716
Intesa Sanpaolo volta pagina Avrà un solo cda e tutte le funzioni al suo
interno
La decisione verrà ratificata a fine mese e varata nel 2016 Sarà determinante lo statuto
GIOVANNI PONS
MILANO. Intesa Sanpaolo è pronta ad abbandonare il sistema di governance dualistico, quello che aveva
permesso la fusione tra Milano e Torino nell'ormai lontano 2007. Una riunione informale del Consiglio di
Sorveglianza di ieri ha esaminato le proposte della Commissione governance presieduta da Giovanni Bazoli
(nella foto) e ha deciso che l'attuale sistema è ancora valido ma vi sono ostacoli normativi importanti alla sua
evoluzione. In particolare le ultime disposizioni rendono difficile per Intesa andare a formare un consiglio di
gestione formato esclusivamente da manager, come è invece possibile nel sistema tedesco. E poi risulta
difficile colmare la "distanza" informativa tra il consigliere delegato che siede nel Consiglio di gestione e il
Consiglio di Sorveglianza. La banca ha dunque scelto di adottare il sistema monistico, cioè il sistema molto in
voga nel mondo anglosassone che prevede un consiglio di amministrazione unico che incorpori anche le
funzioni di controllo, senza collegio sindacale. Una formula che in Italia non è stata ancora sperimentata da
nessuna società quotata ma di cui Intesa Sanpaolo si fa promotrice, un po' come fu otto anni fa con il
dualistico. La sfida sarà quella di conciliare la maggiore efficienza di un Cda che avrà tutte le funzioni al suo
interno con un'adeguata efficacia dei controlli i quali non saranno più delegati a un organo esterno. Si tratterà,
dicono gli esperti di diritto che hanno seguito la vicenda, di stendere bene lo statuto dove verranno
contemperate queste due esigenze di maggiore efficienza ma non minore controllo. Certo, la scelta implica
anche un buon numero di poltrone in meno, e dunque meno spazio per i rappresentanti dei soci all'interno del
futuro organo di governo. Ma in periodo di austerity questo dovrebbe essere il minore dei problemi.
Ca va sans dire.
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/07/2015
42
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
IL PUNTO
23/07/2015
Pag. 22
diffusione:556325
tiratura:710716
Domani accordo con i sindacati. Il presidente area Europa: "Due obiettivi per evitare i tagli nel 2018" "Il vostro
Paese è forte per la professionalità nella produzione di alta gamma"
LUISA GRION
ROMA. Poteva essere un caso lacrime e sangue - 2070 esuberi e due stabilimenti chiusi - è diventato un
modello da copiare: domani a Palazzo Chigi si firma l'accordo fra la multinazionale Whirlpool e i sindacati,
una firma che darà il via ad un piano industriale sul quale l'azienda investirà 513 milioni di euro nei prossimi
quattro anni, senza chiusura di siti e senza esuberi.
Soddisfatta l'azienda, soddisfatta la base (il referendum sull'accordo è passato con un "sì" all'80 per cento),
soddisfatto il governo. Non tutto è rosa e fiori, sia chiaro: gli 815 dipendenti del sito di Carinaro, nel casertano
- per esempio - passeranno da 815 a 320, pur se con il supporto degli ammortizzatori sociali. E l'impegno
della azienda a non licenziare è valido fino al 2018 (ma era la stessa data sulla quale, nel precedente piano di
salvataggio, si era impegnata l'ex Indesit, che Whirlpool ha acquisito la scorsa estate). I cinque siti italiani,
quindi, dovranno conquistarsi la posizione sul mercato, puntare sul recupero di efficienza e competitività,
sperare che il settore si riprenda e che il cambio euro-dollaro non produca effetti negativi sui bilanci della
multinazionale.
Esther Berrozpe, la presidente Whirlpool per Europa, Medio Oriente e Africa (area Emea) pone due
condizioni sulle performance italiane. Due risultati da raggiungere per evitare che nel 2018 scattino i
licenziamenti: "Le sinergie fra l'integrazione di Whirlpool e Indesit dovranno produrre risparmi per 400 milioni
di dollari e il margine operativo lordo dovrà crescere almeno del 6 per cento. Ma è un approccio conservativo,
in realtà ci aspettiamo un 7-8 per cento: sono due obiettivi sui quali mi sento ottimista". I conti del secondo
trimestre, resi pubblici ieri, dicono che a livello globale la multinazionale tiene: ha totalizzato utili netti stabili
(177 milioni di dollari contro i 179 del periodo precedente) e vendite in aumento dell'11 per cento. Una
tendenza positiva, quella sulle vendite, che si registra nell'area Emea (Russia e Ucraina a parte) e pure sul
mercato italiano. "Vediamo la ripresa, ma sarà lenta" commenta la Berrozpe. I prossimi quattro anni, quelli del
piano industriale, saranno decisivi, ma la visione che Whirlpool ha dell'Italia - tiene a precisare la
multinazionale - non è cambiata fra la prima e la seconda versione del piano. «La filosofia è la stessa:
l'efficienza dei siti va aumentata, la capacità produttiva, oggi al 50 per cento, deve arrivare al 70. Per farlo
ogni sito deve dedicarsi ad una specifica produzione, ma l'impegno era ed è rimasto quello di ridurre al
minimo l'impatto sociale del piano. C'è stato semmai un riposizionamento fra i siti stessi facilitato dagli
ammortizzatori sociali». Fra un piano e l'altro, in realtà, ci sono 2070 esuberi e i due siti che sembravano da
chiudere. Erano una minaccia fatta al governo?«Non abbiamo fatto alcuna minaccia. La mediazione del
governo è stata di fondamentale importanza, ma non abbiamo chiesto e ottenuto condizioni speciali. In Italia
usiamo gli strumenti che a la legge ci consente» puntualizza la presidente. Come non c'è stato alcun effetto
positivo legato al Jobs act.
«Il suo varo non ha in alcun modo condizionato le nostre decisioni» precisa Esther Berrozpe.
Se Whirlpool ha deciso di restare con tutti i siti in Italia,e investirci sopra, non lo ha quindi fatto per via delle
riforme. Semmai perché l'Italia, precisa Whirlpool resta un paese appetibile: «Non per il costo del lavoro,
perché da quel punto di vista la Polonia, la Turchia e ancor più l'India offrono condizioni migliori - afferma la
presidente dell'area Emea - ma il costo del lavoro è solo una delle variabili da considerare. L'Italia è appetibile
per la competenza e la professionalità nella produzione di alta gamma, per la ricerca e il design. Il Nord in
particolare gode di una posizione strategica privilegiata, soprattutto pensando a Germania e Francia, i
mercati interessati alla produzione di alta qualità». Il Sud quindi resterà marginale? «No, a Napoli si
producono lavatrici al top e vi abbiamo indirizzato ulteriori investimenti». Resta il fatto che il futuro di
Whirlpool in Italia è legato al raggiungimento di quei due obiettivi. E se così non dovesse essere ?«Il
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/07/2015
43
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Whirlpool firma l'intesa "Italia ancora appetibile in ripresa le vendite"
23/07/2015
Pag. 22
diffusione:556325
tiratura:710716
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/07/2015
44
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
problema andrà al di la della dimensione Italia, sarà un problema per tutta Whirlpool ». I PUNTI
INVESTIMENTI E POSTI C'è l'impegno a investire 513 milioni nei prossimi 4 anni.
Nessuna chiusura, gli 815 dipendenti di Carinaro passeranno a 320 con gli ammortizzatori sociali RISPARMI
I risparmi attesi dall'integrazione con Indesit dovranno essere di 400 milioni di dollari.
Altrimenti nel 2018 scatteranno i licenziamenti MARGINE OPERATIVO L'altra condizione è che il margine
operativo lordo deve crescere di almeno il 6 per cento, ma si attende un più 7-8 per cento
Foto: LA CRISI Un operaio al lavoro in uno stabilimento della Whirlpool A sinistra, il presidente per l'Europa,
Esther Berrozpe
23/07/2015
Pag. 22
diffusione:556325
tiratura:710716
I lavori della rete stradale Anas finanziati con la benzina
Entrate certe attraverso una "tariffa", che tuttavia non peserà sulle tasche dei contribuenti
LUCA PAGNI
MILANO. Finanziare i lavori di manutenzione della rete stradale affidati all'Anas attraverso una "tariffa", in
modo che non pesino più sui conti dello Stato. Una tariffa che verrebbe pagata dai cittadini mentre fanno il
pieno di benzina, ma che non peserà sul rialzo dei prezzi al distributore e, soprattutto, non avrà effetti
inflattivi. Perché, contestualmente, il governo sterilizzarà il possibile aumento rinunciando a una quota
corrispondente delle accise, ma recuperando i fondi che ogni anno vengono versati all'Anas per le opere
pubbliche.
Secondo quanto ha potuto ricostruire Repubblica, è questo il piano al quale stanno lavorando i nuovi vertici
di Anas di concerto con Palazzo Chigi. E che, in parte, ha anticipato il neo amministratore delegato
dell'Azienda Autonoma Nazionale Strade, Gianni Armani, arrivato da Terna, la società controllata dal Tesoro
che gestisce le reti ad alta tensione, durante una audizione in commissione Ambiente e Lavori Pubblici della
Camera. Proprio prendendo spunto da quanto accaduto per le reti elettriche (ma allo stesso modo per le reti
del gas e dell'acqua), si sta studiando la possibilità di assegnare ad Anas ricavi certi nel tempo e indipendenti
da quelli che ogni anno vengono versati dallo Stato (oltre 2 miliardi). In questo modo, si otterrebbero due
vantaggi. Come ha spiegato lo stesso Armani da una lato «si consentirebbe allo Stato di risparmiare senza
oneri aggiuntivi alla popolazione senza più versare i contributi in conto capitale» e con i lavori di Anas che
uscirebbero così dal perimetro della fiscalità generale. E dall'altra «Anas potrà attingere al mercato dei
capitali direttamente senza pesare sul debito pubblico nel finanziamento delle opere infrastrutturali come
avviene per le utility». Secondo questo schema, i privati saranno incentivati a finanziare le opere di Anas
proprio perché avranno la garanzia che la società ha enttare certe e garantite, trasformando la manutenzione
strade in una sorta di attività regolata. Con costi da imputare «a chi usufruisce del servizio e in ragione del
grado di utilizzo, secondo criteri di mercato». La scelta di puntare a una "tariffa" da applicare alla pompa di
benzina è stata preferita alla soluzione adottata in altri paesi quali la Svizzera e la Slovenia, dove il contributo
dei cittadini viene pagato attraverso la tassa di circolazione. Per il semplice fatto che l'evasione del "bollo"
(così come quella dell'assicurazione obbligatoria) in Italia è molto più alta rispetto al resto dei Paesi Ue. ziare
le opere di Anas proprio perché avranno la garanzia che la società ha enttare certe e garantite, trasformando
la manutenzione strade in una sorta di attività regolata. Con costi da imputare «a chi usufruisce del servizio e
in ragione del grado di utilizzo, secondo criteri di mercato». La scelta di puntare a una "tariffa" da applicare
alla pompa di benzina è stata preferita alla soluzione adottata in altri paesi quali la Svizzera e la Slovenia,
dove il contributo dei cittadini viene pagato attraverso la tassa di circolazione. Per il semplice fatto che
l'evasione del "bollo" (così come quella dell'assicurazione obbligatoria) in Italia è molto più alta rispetto al
resto dei Paesi Ue.
Foto: Gianni Armani
Foto: Gianni Armani
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/07/2015
45
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
IL CASO
23/07/2015
Pag. 1.28
diffusione:556325
tiratura:710716
La resistenza del ceto medio
Più sobria nei consumi, attenta alla qualità dei prodotti alimentari, non disdegna low cost né fai-da-te. Ecco la
nuova middle class italiana Sopravvissuta alla lunga recessione, si riscopre cambiata. E fa della cultura il
proprio tratto distintivo Così la descrivono gli ultimi studi degli esperti In casa si recuperano oggetti vecchi,
usati, comprati su Ebay o trovati per strada
ROBERTO MANIA
IL CETO medio ha resistito alla lunga recessione.
Non è morto - come in molti preconizzavano - ma è cambiato. La fine del ceto medio non c'è stata; c'è,
invece, "un nuovo ceto medio". Più sobrio nei consumi, attento alla qualità e autenticità dei prodotti alimentari,
capace di rinunciare al superfluo e anche più, ricco di "capitale culturale" meno di "capitale economico",
fruitore del low cost e protagonista del fai-da-te, cosa che solo negli anni Ottanta e Novanta avrebbe evitato
accuratamente di mostrare. Altra epoca. La polarizzazione sociale, in alto e in basso, non si è realizzata in
Italia, nonostante la doppia recessione, l'impennata della disoccupazione e la conseguente caduta
complessiva del reddito disponibile. Chi sta nel mezzo (circa 34 milioni di persone) difende con orgoglio la
propria appartenenza di ceto perché il ceto - come sosteneva Max Weber - è quel che gli altri ti riconoscono,
per questo è diverso dalla classe sociale.
Sia chiaro, il nuovo ceto medio ha grande paura di scivolare in basso, ma non vuole confondersi con i ceti
popolari o le classi sociali inferiori, punta, piuttosto, a mischiarsi sul piano culturale con quelli che stanno in
alto. E marca pure le distanze da quella parte dello stesso ceto medio ora in ascesa (non stabilizzato,
dunque), debole sul versante culturale - parvenu, insomma - , che non esita a definire con un po' di disprezzo
"tamarro" o "maraglio". Perché l'indagine sul nuovo ceto medio (la prima di questo tipo) è stata condotta a
Milano e Bologna da tre sociologi, Roberta Sassatelli, Marco Santoro e Giovanni Semi e pubblicata ora in un
volume ( Fronteggiare la crisi, il Mulino).
Bisogna sentirsi ceto medio, certo, ma anche esserlo. E esserlo si traduce nello stare a metà dal punto di
vista economico, del reddito disponibile, del patrimonio posseduto, dei consumi. La profondità della crisi
economica e la sua inedita durata (quasi sette anni) hanno accresciuto le distanze ma non hanno svuotato il
bacino di chi sta in mezzo che è rimasto uguale.
La depressione di questo secolo, infatti, ha trascinato verso il basso sia una quota di appartenenti ai ceti
superiori sia una quota del ceto medio, lasciando così inalterato dal punto di vista quantitativo (dal 1985,
secondo l'Istat) la fascia mediana della popolazione, e soprattutto dei consumatori. Che, tuttavia, sente un
terreno instabile sotto in piedi. Tant'è che nelle ultime indagini di Ilvo Diamanti la percentuale di chi si sente
ceto medio è progressivamente diminuita: era il 53 per cento nel 2006, è passata al 48 nel 2008 per scendere
al 42 nel 2015. L'ultima inchiesta del Centro Einaudi con Intesa Sanpaolo dice che il ceto medio è sceso sotto
il 40 per cento, al 38,5. Nello stesso tempo il livello della spesa delle famiglie italiane è diminuito di più tra le
famiglie borghesi (-7 per cento) rispetto a quello della classe media impiegatizia ( -3) e della piccola
borghesia autonoma ( -2,5) che hanno subito una discesa simile alla classe operaia (-3,3). Conferma queste
tendenze uno studio di un economista della Banca d'Italia Andrea Brandolini (I bilanci delle famiglie italiane
dopo la Grande recessione) nel quale si dimostra che mentre dal 2003 al 2007, il quinquennio precedente il
fallimento della Lehman Brothers che ha scatenato la tempesta finanziaria e sociale in mezzo globo, è
cresciuta del 4,2 per cento in maniera uniforme tra i gradini della scala sociale, dal 2008 al 2012 (gli anni
della crisi) la caduta (-10,4 per cento) è stata condivisa a tutti i livelli «ma è stata minore per quelli centrali e
maggiore per quelli sia in basso sia in alto». Aggiunge Brandolini: «L'approssimativa simmetria delle
variazioni spiega perché l'indice di Gini, una misura sintetica della disuguaglianza, sia rimasto virtualmente
costante al 31 per cento». Insomma la nostra middle class ha mantenuto la sua centralità, e i passaggi
dall'alto verso il centro e dal centro verso il basso si sono compensati lasciando apparentemente inalterato il
tasso di diseguaglianza.
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/07/2015
46
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
R2
23/07/2015
Pag. 1.28
diffusione:556325
tiratura:710716
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/07/2015
47
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
La polarizzazione, allora, non c'è stata. Ma c'è stato e c'è un cambiamento nei consumi del ceto medio che
ha fatto i conti con la crisi. E quel che accade nel ceto medio rende più evidente quel che si realizza nel
ventre profondo della società.
«Consumi meno vistosi e più di nicchia, più selezionati», spiega la Sassatelli, docente di Consumer culture,
contemporary sociological theory e Sociologia dei processi culturali all'Università di Milano. «C'è - dice
Sassatelli - sobrietà nei consumi, con l'attribuzione alla sobrietà di un valore estetico e non ascetico. Il posto
di un consumo vistoso, quello, per capirci, dell'epoca dell'edonismo reaganiano, è stato preso da un consumo
sottotono, understatement. Dall'orchidea si è passati alla margherita. Negli anni pre-crisi si compravano due,
tre paia di scarpe all'anno. Ora ne basta un paio». I consumi sono stati l'atto identificativo del ceto medio
novecentesco, ora segnano la metamorfosi.
Prendiamo la casa, che resta il possesso simbolo della classe media italiana. Tanto che la percentuale più
alta di spesa destinata all'abitazione si registra proprio tra gli appartenenti al ceto medio: il 38 per cento,
contro il 36,6 della borghesia e il 35,7 della classe operaia. La crisi ha rattrappito il mercato abitativo. Non
potendo comprare case più grandi, il ceto medio - si legge nella ricerca - ha risolto «il conflitto tra un desiderio
di spazio che supera le possibilità economiche, abbattendo le mura interne, eliminando la distinzione tra
cucina e tinello e ricorrendo ad arredamenti pensati ad aumentare la fruibilità dello spazio, come nel caso di
marchi di successo come Ikea e Habitat». E poi nell'arredamento si recuperano oggetti vecchi, usati, comprati
ai mercati, su Ebay, ricevuti da un parente, addirittura trovati per strada.
Spesso vengono riadattati, ridipinti. «Il fai-da-te e il low cost - affermano i tre ricercatori - diventano così
elemento personalizzante dell'ambiente domestico, metabolizzato come marca della propria
individualizzazione e competenza culturale».
Ed è proprio la cultura l'elemento qualificante del nuovo ceto medio urbano. Le spese per la cultura sono
scese ma la fruizione di cultura diventa il tratto distintivo. «Sono questi consumi più di altri ad essere indicati
(nelle interviste registrate durante la ricerca, ndr) come elementi caratterizzanti uno stile di vita, una identità».
È così che la middle class si avvicina alla classe superiore, in un processo di unificazione della classe media
impiegatizia, che in questo caso si distingue dalla cosiddetta "piccola borghesia autonoma" la quale finisce
per avere un approccio simile a quello degli operai.
Il nuovo ceto medio utilizza i diversi tasti per il consumo alimentare. Era stato «il protagonista della conquista
dell'abbondanza alimentare degli anni Sessanta con l'ascesa della carne rossa a principale fonte proteica»,
poi protagonista nelle trasformazioni alimentari all'insegna della praticità (dai supermarket al forno a
microonde). Oggi sceglie un mix per il suo approvvigionamento alimentare: va al discount (soprattutto per i
detersivi) e al supermercato; va dal contadino e nei piccoli negozi alla ricerca di qualità e autenticità dei
prodotti. Manifesta un consumo più consapevole del passato. Questo nuovo ceto medio non rinuncia,
dunque, a un ruolo da primo attore. Giuseppe De Rita ha scritto di un rinnovato protagonismo di questa fascia
sociale, di una «dinamica di massa», vede qui anche la genesi di una nuova classe imprenditoriale, un nuovo
processo di "cetomedizzazione", neologismo coniato dal fondatore del Censis. «In altre parole - pensa De
Rita - il ceto medio italiano è vivo e "lotta insieme a noi", partecipando alla faticosa uscita dalla crisi».
Le aspirazioni del ceto medio italiano nel 2015
Vorrei essere sicuro del mio lavoro Vorrei acquistare una nuova casa Vorrei vedere la crisi finire, anche per i
riflessi personali Vorrei guardarmi intorno per cambiare lavoro o attività, anche all'estero Vorrei essere
tranquillo che in pensione potrò essere indipendente economicamente Vorrei essere sicuro che le spese per i
figli (es., per l'istruzione) daranno loro un effettivo vantaggio
FONTE: INTESA SANPAOLO E CENTRO DI RICERCA E DOCUMENTAZIONE LUIGI EINAUDI
23/07/2015
Pag. 31
diffusione:556325
tiratura:710716
"Mai un incidente sui veicoli Fca ma il software è stato aggiornato"
VINCENZO BORGOMEO
«TUTTI I settori industriali sono potenziali bersagli di un attacco da parte di hacker, e quello dell'automobile
ovviamente non poteva fare eccezione»: è Gualberto Ranieri, capo della comunicazione Fca per i mercati
Nafta, a spiegare il punto di vista della Fca (Fiat Chrysler Aotomobiles) nel caso della violazione
"sperimentale" da parte di due hacker di una Jeep Cherokee per controllarne in remoto alcune funzioni.
Ma ci sono stati altri casi che riguardino vetture Fca? «No, non c'è stato un solo incidente nel mondo reale in
cui sia stato coinvolto un qualsiasi veicolo Fca a seguito di un'intrusione pirata nei suoi software».
E come avete reagito all'esperimento degli hacker raccontato da "Wired"? «Dopo aver capito che alcuni
modelli 2013 e 2014 con i sistemi touchscreen da 8.4 pollici erano vulnerabili abbiamo subito provveduto ad
aggiornare il software. Si scarica gratis a questo indirizzo: www.driveuconnect.com/software-update. In
sostanza, abbiamo lavorato insieme diversi fornitori per risolvere questo tipo di vulnerabilità sui modelli
2015».
Quali modelli sono coinvolti in questo problema delle falle telematiche? «Si tratta dei modelli Dodge Ram,
Viper, Durango, Jeep Grand Cherokee, e Cherokee del 2004 e anche di alcune Chrysler 200».
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/07/2015
48
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
L'INTERVISTA/R2
23/07/2015
Pag. 37
diffusione:556325
tiratura:710716
"Siamo vicini al solare economico"
"Sarà possibile creare anche in Africa centrali potenti come quelle nucleari ma che sfruttano una risorsa
gratuita"
VALERIA FRASCHETTI
«Abbiamo due sfide davanti a noi: de-carbonizzare il sistema energetico e, allo stesso tempo, far fronte a una
domanda globale di energia che al 2050 raddoppierà a causa della crescita demografica ed economica della
popolazione». Parola di Robert Armstrong, direttore del MIT Energy Initiative, l'iniziativa creata dal
Massachusetts Institute of Technology per contribuire a rendere più sostenibile il sistema mondialee alla
quale Eni aderisce dal 2008 come membro fondatore, sostenendo numerose ricerche.
Qual è il significato di questa partnership? «Fin dalla sua creazione il MIT Energy Initiative ha come obiettivo
la stretta collaborazione con l'industria dell'energia. Siamo convinti che questo legame permetta alla ricerca di
avere accesso all'expertise delle aziende e alle tecnologie sviluppate di trovare applicazione commerciale su
larga scala. Quella con Eniè una collaborazione coinvolgente con uno scambio continuo di esperienze e
competenze. In questi anni abbiamo ricevuto oltre 250 visite da dipendenti dell'azienda e 40 professori del
MIT sono stati coinvolti in vari progetti di ricerca».
Quali sono le principali linee di ricerca? «Nel campo degli idrocarburi studiamo tecnologie di aumento del
fattore di recupero del greggio. In particolare l'impiego di nanoemulsioni: dispersioni piccolissime di acqua in
olio che aiutano a catturare più petrolio dai giacimenti in uso. Un'applicazione che servirebbe anche a
minimizzare l'impatto ambientale delle operazioni di estrazione».
Mentre nell'ambito delle rinnovabili? «Abbiamo creato il Solar Frontiers Center per condurre ricerche su
materiali per lo sfruttamento del solare. Un obiettivo è andare oltre il silicio come tecnologia fotovoltaica e
sostituirlo con materiali organici. Puntiamo alla creazione di una nuova generazione di celle fotovoltaiche più
economiche di quelle attuali e, quindi, adatte in particolare allo sviluppo del solare anche in Africa, dove il
potenziale di quest'energia rinnovabile è enorme».
Quando sarà realtà il fotovoltaico a basso costo? «Materiali fotovoltaici avanzati potrebbero arrivare alla fase
di scale-up entro il 2040. Stiamo già facendo studi di fattibilità in Egitto e in Africa sub-sahariana».
La vostra ricerca guarda anche al solare a concentrazione. Che prospettive concrete intravede qui? «Sinora
il limite di questa tecnologia era il suo alto costo d'investimento. Così ci siamo concentrati sulla progettazione
di un prototipo di ricevitore parabolico economico e siamo riusciti a ridurre molto i costi. Se questo risparmio
potrà essere confermato su scala commerciale, si farà strada una distribuzione sostenibile del solare a
concentrazione, con centrali potenti come quelle nucleari ma che sfruttano una risorsa gratuita».
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/07/2015
49
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
INTERVISTA Robert Armstrong del Mit/Le Guide DI REPUBBLICA
23/07/2015
Pag. 1
diffusione:309253
tiratura:418328
MASSIMO RUSSO
Quando l'altro giorno il premier Matteo Renzi ha visitato l'università di Tel Aviv, ha lodato la capacità di
innovare di Israele, Paese trasformatosi in 30 anni da terra dei pompelmi in una delle capitali globali della
tecnologia. Uno Stato più piccolo della Lombardia che ha quotato più aziende al Nasdaq di tutto il continente
europeo. «Ho visto persone giovani, dinamiche, brillanti, che si muovono rapide », ha affermato Renzi. E ha
poi aggiunto: «Ho veramente apprezzato la chutzpah », termine ebraico che indica l'impertinenza e la
presunzione di essere i migliori, di intraprendere, di mettersi in gioco. C'è un corto circuito logico tra il premier
da esportazione, che vanta familiarità con gli startupper, sfoggia il laptop, proclama di voler rendere la
Penisola una «smart nation», e quello che in Italia progetta la grande riforma fiscale. Mentre il primo guarda
al ventunesimo secolo e si muove a suo agio nella città dove sono fiorite oltre 700 nuove aziende del digitale
e delle biotecnologie, il secondo è saldamente piantato nel '900. Nella promessa di abbattere la pressione
fiscale di 45 miliardi in tre anni, più o meno tre punti di Pil, al primo posto infatti c'è ancora una volta la casa,
con la cancellazione di Imu e Tasi Solo nel 2017 forse il «patto con gli italiani» (anche le parole sanno di
antico) penserà alle imprese e al lavoro con Ires e Irap, per concludersi poi nel 2018 con Irpef e pensioni. Sì
certo, direte voi, è un passo avanti rispetto a colleghi di partito come Pier Luigi Bersani o all'ex ministro
Vincenzo Visco, che continuano a sostenere che invece bisognerebbe colpire l'evasione fiscale, come se le
due cose fossero alternative. Ma il punto chiave è che ancora una volta le partite Iva possono attendere. Non
serve a nulla che l'attuale ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan nel 2013, da capoeconomista dell'Ocse,
avesse battezzato l'Imu come «l'ultima tassa da tagliare per stimolare la crescita». Al dunque Renzi si
comporta più o meno come il vituperato predecessore Enrico Letta che, quando due anni fa propose di
restituire l'Imu, venne accusato di farsi dettare la linea da Silvio Berlusconi. Ne l m o d o s t e s s o i n c u i
analisti ed esperti guardano alla questione sembra esserci un equivoco legato a schemi del secolo scorso,
quando si definiva conservatore chi tagliava le tasse e progressista chi faceva crescere la spesa. Una griglia
interpretativa da sempre poco utile in Italia, patria di familismo e clientele diffuse, più che di destra e sinistra.
In quel tempo, tifare per il «popolo delle partite Iva» era una scelta di campo precisa. Con il giro di boa del
millennio però è cambiato il lavoro. Nella società liquida le partite Iva sono i ragazzi che non aspettano di
essere assunti, ma si inventano il presente come autonomi, ditte individuali, consulenti nei servizi o impiegati
part-time nelle piattaforme digitali. Senza un ufficio né una scrivania, spesso avendo come unico capitale la
propria intelligenza, uno smartphone e una connessione a Internet, a volte un piccolo laborat o r i o d i m a n i
fat t u ra , u n esercizio o uno spazio di coworking . Pe rs o n e c h e o g n i mattina si svegliano con
l'imperativo «alzati e fattura» e che per 100 euro incassati a 90 giorni ne vedono sparire 50 in t a s s e e ad e
m p i m e n t i e s t e nuanti. Con la perenne angoscia di aver sbagliato qualcosa, di aver dimenticato l'ultima
circolare, confuso le cifre su un F24. Nel tempo sono stati compiuti alcuni interventi per le start-up e per le
piccole imprese innovative. Troppo poco. Nulla a che vedere con quel che Renzi ha sentito nelle due ore e
mezza dell'incontro di Tel Aviv, dove lo Stato ha investito in modo massiccio per stimolare imprenditorialità e
crescita. Niente di simile nemmeno a quel che accade in altri Paesi europei, dove semplificazione radicale
degli obblighi e detassazione sono una realtà per tutte le imprese. In Irlanda, ad esempio, l'aliquota è del
12,5%, e fino a 320 mila euro di fatturato non si pagano tasse per tre anni. È una scelta di campo. Si può
decidere di rimettere in moto l'ascensore sociale, di lasciar libera la crescita dei figli, oppure di premiare la
generazione dei padri e dei nonni, che poi passeranno la paghetta ai nipoti che non arrivano a fine mese e
non riescono a pagare l'affitto, figuriamoci la casa di proprietà. Legittimo che il presidente del Consiglio scelga
questa strada, per convinzione, beneficio nei sondaggi o calcolo elettorale. Ma almeno, per favore, ci risparmi
la retorica della «smart nation». Anche quella è passata di moda. @massimo_russo
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/07/2015
50
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
MA LA RIFORMA NON PENSA AI PIÙ GIOVANI
23/07/2015
Pag. 20
diffusione:309253
tiratura:418328
Carige nel risiko bancario guarda a Popolare Milano
Castelbarco: "Bpm è compatibile con noi"
GILDA FERRARI GENOVA
Pronti a sedersi al tavolo delle aggregazioni, ora che il rafforzamento patrimoniale ha reso Carige una banca
in grado di negoziare con «pari dignità» con gli altri istituti. A cominciare da Bpm, g i u d i c at a « a s s o l u t
a m e n t e compatibile», anche se «non è la sola tra le Popolari». Cesare Castelbarco Albani parla delle
nuove sfide della banca genovese, dicendosi convinto che Carige ha tutte le carte in regola per un rilancio
«alla grande». Presidente, anche il secondo aumento di capitale da 850 milioni è stato sottoscritto. «Il
mercato ha capito che il nostro progetto stava andando nella giusta direzione». Ma i piccoli azionisti hanno
avuto grande difficoltà, molti hanno venduto diritti per riuscire a sottoscrivere... « Ca p i s co c h e p e r i p i
cco l i azionisti sia stato un sacrificio, ma d'altronde con questa operazione Carige ha una dotazione
patrimoniale seconda solo a Intesa. Abbiamo solidità patrimoniale e forte liquidità, guardiamo avanti con
ottimismo. Il titolo va bene». Ci vorrà tempo per recuperare valore? «Le operazioni turnaround
(ristrutturazione profonda, ndr) sono tarate sui due anni. Alla lunga gli azionisti avranno soddisfazione». In
termini di azionariato Carige è un'altra banca. «Con questo investimento la famiglia Malacalza fa un servizio a
regione, città ed economia locale. Una dimostrazione lampante di impegno. Ma l'azionariato di Carige è forte
anche grazie agli altri azionisti e al patto tra Coop, Talea, Fondazioni Carrara e Savona». Aggregazioni:
arruolerete l'advisor. Perché già ora? «Il mercato ha iniziato una trasformazione dettata anche dalla riforma
delle popolari, dobbiamo attrezzarci con la nomina di 1 o 2 advisor, così da avere supporto per conoscere il
sistema. Abbiamo bisogno di qualcuno che, con visione a 360 gradi, analizzi le altre banche e la
trasformazione in corso». L'ad Piero Montani ha detto che Carige guarda al mercato. «Esatto, siamo pronti a
cogliere le opportunità di un mercato che si sta aprendo sempre più alla competizione». Tra due anni Carige
sarà insieme a un'altra banca? «Mi pare presto per dirlo, nonostante i rumors. Se ci saranno opportunità di
interesse per banca, azionisti, clienti e dipendenti saremo pronti a coglierle». Bpm è compatibile, in questi
termini, con Carige? «Assolutamente sì. Ma anche altre Popolari lo sono». Che cosa rende una banca
compatibile con Carige? «Il mercato di riferimento, le sovrapposizioni territoriali. Bpm sta in Lombardia,
territorio ricco e contiguo, ma non è l'unica Popolare che deve trasformarsi in Spa. L'importante è sedersi al
tavolo con pari dignità». Ci sono già stati contatti? «No, nessuno». Non è prematuro cercare l'advisor
dovendo ancora aumentare la redditività dell'azienda? «La ricerca dell'advisor non è un'accelerazione. Oggi
abbiamo patrimonio e liquidità ottimali (Cet1 12,4%): già questo ci permette di sederci a un tavolo con
assoluta tranquillità». Quanto tempo occorre per avere risultati di redditività? «Il turnaround richiede 2 anni,
noi stiamo lavorando da un anno. Siamo a buon punto». Carige ha scelto di non vendere banca Cesare
Ponti. «Ad aumento fatto, il beneficio patrimoniale della vendita non avrebbe giustificato il sacrificio della
vendita stessa. Il private della Cesare Ponti è un asset strategico, che intendiamo rilanciare». Uno dei
problemi sono i private banker non sufficientemente vincolati al gruppo? «Confermo. In passato non è stata
portata avanti una politica di patti e non concorrenza».
Foto: Presidente Cesare Castelbarco Albani è al vertice di Banca Carige dalla fine del 2013
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/07/2015
51
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Intervista
23/07/2015
Pag. 23
diffusione:309253
tiratura:418328
STEFANO LEPRI
Tagliare le tasse e combattere l'evasione fiscale non sono affatto scelte alternative, nota il ministro
dell'Economia Pier Carlo Padoan. Ma, siccome da giovane si è formato nella sinistra, non dovrebbe
meravigliarsi che qualcuno le contrapponga. In un contesto da XX Secolo, la contrapposizione sinistra-destra
passa di lì. Alla destra non interessa la spesa sociale, vuole meno tasse per non intralciare l'attività
economica. La sinistra vuole che lo Stato spenda di più o per ridurre le disuguaglianze o per supplire alle
carenze dell'investimento privato, dunque ha bisogno di entrate fiscali e ne chiede a chi più ha. La sinistra,
nella immagine che la destra ne dà, «tassa di più per spendere di più». Difendendosi, ribatte che «per pagare
meno tasse, occorre che le paghino tutti»; e accusa la destra di voler ridurre le entrate allo scopo di tagliare le
prestazioni sociali ai più poveri. Rifacendosi a questo schema annoso, si capisce perché a Pierluigi Bersani la
promessa renziana di ridurre le tasse paia demagogica: lo fa temere per il livello della spesa pubblica. Nella
sua visione la spesa ha scopi sociali oppure di rilancio dell'economia; è dunque parte dell'identità storica della
sinistra. Negli Stati Uniti, quella contrapposizione resiste tuttora. Il carico fiscale è basso, spesso più lieve per
i ricchi (il numero uno dei redditi, Warren Buffett, ha ammesso di pagare una aliquota inferiore alla sua
segretaria); se si discute di tagli alla spesa si tratta perlopiù di meno welfare. Le disuguaglianze sociali sono
in forte crescita. Ma l'Italia? Non solo da noi la pressione fiscale è molto alta; studi dell'Ocse negli anni in cui
Padoan ne era capo economista mostrano che i suoi effetti redistributivi, seppur non trascurabili, sono più
modesti che in altri Paesi. Mentre una componente primaria della spesa, le pensioni, a ridurre le
disuguaglianze non contribuisce affatto. La cattiva qualità delle spese discrezionali degli enti la mostrano
giorno dopo giorno gli scandali di corruzione. Scarseggiano esempi di investimenti pubblici dai validi effetti di
sviluppo dopo i successi di 60 anni fa con acciaio, petrolio, autostrade. Paradossalmente, il record di crescita
della spesa appartiene agli anni in cui Silvio Berlusconi era più forte, 2001-2004. Che ridurre le tasse sia
benefico per l'economia italiana è oggi opinione prevalente tra gli esperti, in America invece divisissimi; le
differenze stanno nel quanto e soprattutto nel come. In passato Padoan, come Mario Draghi e tanti altri,
aveva ammonito che le imposte sulla casa sono tra le meno dannose rispetto al lavoro e all'attività delle
imprese. Nel dare priorità alla casa per ragioni di consenso elettorale, la somiglianza tra Renzi e Berlusconi
c'è. E purtroppo sottrarre ai Comuni entrate dirette, misurabili dagli elettori, per sostituirle con trasferimenti
dallo Stato centrale, rischia di aumentarne l'irresponsabilità nella spesa. A differenza della sinistra Pd, il
presidente del Consiglio pare convinto che i proclami contro l'evasione e i provvedimenti-spettacolo facciano
perdere voti. Tra le misure antifrode del suo governo alcune nascono addirittura dal Nens, il centro studi di
Bersani e di Vincenzo Visco; ma ha preferito non parlarne troppo. E poi, quale è il maggiore ostacolo alla lotta
all'evasione oggi? In uno dei molti processi autodistruttivi - che nessuno sa fermare - in corso dentro la nostra
burocrazia, ricorsi a catena, finiti in Corte Costituzionale, hanno reso illegittime 800 nomine di dirigenti
dell'Agenzia delle Entrate. Un enorme numero di accertamenti sarà annullato, di nuovi se ne fanno pochi.
Foto: Illustrazione di Irene Bedino
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/07/2015
52
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
PIÙ QUALITÀ NELLA SPESA PUBBLICA
23/07/2015
Pag. 1.3
diffusione:104189
tiratura:173386
Nokia manda in rosso Microsoft
Se le tlc si sono rivelate un vero disastro, ma la scommessa del ceo Nadella sul cloud computing inizia a
pagare, con crescite a doppia cifra nei servizi come Office 365 e Azure
Davide Fumagalli
Nokia continua a pesare sui conti di Microsoft, tanto da macchiare di rosso la trimestrale del colosso di
Redmond. La società guidata da Satya Nadella ha infatti chiuso il quarto trimestre dell'esercizio fiscale 201415 con una perdita di 3,2 miliardi di dollari rispetto all'utile di 4,61 miliardi di dollari di un anno fa per via di una
maxi-svalutazione degli asset acquistati da Nokia, ovvero la divisione telefonia. Un dato in larga misura
atteso, dal momento che all'inizio del mese Microsoft aveva comunicato un write off da 7,5 miliardi di dollari
relativo all'ex divisione dispositivi mobili di Nokia, a cui si dovranno aggiungere ulteriori oneri per un totale di
8,4 miliardi. Il titolo ha infatti contenuto le perdite a meno del 3%, intorno ai 46 dollari. In pratica, Microsoft ha
portato a zero il valore degli ex telefonini Nokia acquistati lo scorso aprile. Senza la maxi-svalutazione gli utili
di Microsoft avrebbero invece toccato i 62 centesimi per azione, valore superiore ai 58 centesimi stimati dagli
analisti. Il fatturato del trimestre chiuso il 30 giugno si è invece attestato a 22,2 miliardi di dollari, in calo del
5% rispetto ai 23,4 miliardi dello stesso periodo dell'anno precedente, ma leggermente superiori ai 22 miliardi
stimati dagli analisti, mentre a parità di valore del dollaro il calo dei ricavi si sarebbe limitato al 2%. Se quindi
molti osservatori cominciano a parlare apertamente di fallimento di Microsoft nel settore della telefonia, con
Windows Phone che si è ritagliato solo il 2,7% del mercato globale nonostante gli investimenti e le relative
perdite miliardarie, la strategia di Nadella centrata sul cloud comincia a dare i suoi frutti. Il nuovo ceo sta
infatti cercando di trasformare il modello di business di Microsoft da quello tradizionale, basato sulla vendita
di licenze software, a uno basato essenzialmente sulle sottoscrizioni di abbonamenti che permettono agli
utenti di Office, Windows e altri software di fruire sempre dell'ultima versione a fronte di un pagamento
mensile. Un approccio seguito anche da altri colossi software come Adobe, che comporta una diminuzione
del fatturato nel breve periodo a fronte però di una maggior costanza di ricavi e utili a lungo termine, anche
per via di una minore incidenza di pirateria informatica. «Il nostro approccio, investire nei settori in cui
possiamo differenziarci e dove ci sono opportunità, sta pagando con Surface, Xbox, Bing, Office 365, Azure e
Dynamics Crm Online, tutti cresciuti almeno a doppia cifra», ha affermato Nadella. Il declino delle vendite
delle licenze di Windows (-8%) e del pacchetto Office (-4%) sono state arginate proprio dal settore cloud,
dalle vendite di Xbox (+27%) grazie anche la recente calo di prezzo della consolle da gioco e del tablet
Surface (+117%). Previsto invece per il 29 luglio il lancio del nuovo sistema operativo, Windows 10, anche se
gli analisti prevedono che avrà un impatto minimo sulle vendite del settore dei pc, sempre in declino, e ancora
meno sui conti di Microsoft, dal momento che la società lo offrirà per la prima volta come aggiornamento
gratuito agli utenti in possesso delle ultime due versioni. La vera scommessa riguarda la capacità di Microsoft
di imporsi come un player credibile nel settore, strategico, della telefonia mobile. Lasciandosi alle spalle il
fallimento targato Nokia. (riproduzione riservata)
MICROSOFT 22 apr '15 22 lug '15 42 48 44 50 46 quotazioni in dollari
Foto: Satya Nadella
Foto: Quotazioni, altre news e analisi su www.milanofinanza.it/microsoft
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/07/2015
53
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
LA SVALUTAZIONE DA 8,4 MILIARDI DELLA DIVISIONE TELEFONIA NE HA AZZERATO IL VALORE
23/07/2015
Pag. 1.4
diffusione:104189
tiratura:173386
Debito su e produzione ferma
In un anno il peggioramento è stato di quasi 4 punti, e non è l'unica brutta notizia. Secondo l'Istat infatti il
fatturato industriale rimane ai livelli 2010. Ma per Confcommercio si possono tagliare 25 mld di spesa
Guido Salerno Aletta
Per l'economia italiana, ieri non è stata una giornata di notizie positive: debito pubblico che cresce,
produzione industriale in stallo, spesa pubblica locale che potrebbe essere ridotta di almeno una ventina di
miliardi, pur erogando a tutti i livelli di servizio più elevati. Per quanto riguarda l'andamento del debito
pubblico, L'Eurostat ha rilevato che, nei 12 mesi intercorrenti tra il primo trimestre 2014 e il primo trimestre di
quest'anno, l'Italia è stata seconda solo al Belgio nel peggioramento del rapporto debito/pil: siamo passati dal
131,2% al 135,1%, con un incremento del 3,9%. In valori assoluti, è passato da 2.119 miliardi di euro a 2.184
miliardi, con un aumento di 65 miliardi. Nello stesso periodo, però, le disponibilità liquide del Tesoro sono
aumentate di 17 miliardi, per cui il fabbisogno netto delle Pa ha inciso per 48 miliardi. Anche con questa
rettifica, il dato non è affatto confortante anche se i dati dell'ultimo Supplemento al Bollettino statistico della
Banca d'Italia, aggiornati a fine maggio, mostrano che il profilo del fabbisogno delle Pa si è contratto
ampiamente rispetto a quello del triennio 2012-2014, con un andamento migliore anche rispetto a quello dei
primi cinque mesi del 2011. L'Istat ha pubblicato i dati della produzione industriale a fine maggio. Evitando i
confronti con il mese di aprile, assai poco significativi, emerge una completa stagnazione: in termini di
fatturato, la variazione nel periodo gennaiomaggio 2014, corretto per gli effetti del calendario, e quello del
corrispondente periodo di quest'anno è stata pari a 0,0%. Rispetto al mese di maggio dell'anno scorso, il
fatturato è cresciuto del 2,4% mentre gli ordinativi sono calati dello 0,5%: sintesi di un aumento dello 0,3%
degli ordinativi interni e di un calo del 6,3% di quelli esteri. A maggio, l'indice destagionalizzato del fatturato
del settore manifatturiero, era ancora a quota 95,3 rispetto al valore 100 del 2010. Siamo in stallo, anche
rispetto a un anno che fu di recessione rispetto al 2007. Sempre ieri, il Presidente di Confcommercio Carlo
Sangalli ha chiesto al governo di ridurre tutte le cinque aliquote dell'Irpef dell'1%, invitandolo a «scommettere
sulla ripresa iniziando già dal prossimo anno un percorso certo, progressivo e sostenibile di riduzione della
pressione fiscale». Per dimostrare come si possa ridurre la spesa, ha illustrato uno studio in cui viene
analizzata la spesa locale del 2012, quella di Regioni, comuni e province: nelle regioni più piccole si spende
in media per ciascun abitante il 12,8% in più rispetto a quelle più grandi; in quelle a Statuto speciale il 35,6%
in più rispetto a quelle a Statuto ordinario. C'è una enorme disomogeneità nei servizi erogati: fatto 100 quelli
erogati in Lombardia, la Sicilia arriva appena a 30. Considerando che la spesa di 176,4 miliardi di euro, è
stato calcolato quanto costerebbero i servizi pubblici locali se fossero erogati ai prezzi della Lombardia: gli
eccessi lordi di spesa, visto che anche il livello di servizio è diverso, è di 74,1 miliardi, pari al 42%. Se si
volessero fornire in tutta l'Italia i servizi al livello della Lombardia, pagandoli ai prezzi di questa regione,
sarebbero necessari 51,2 miliardi: ne risulterebbe un risparmio di 22,9 miliardi. Questi sono gli sprechi da
tagliare per finanziare la riduzione delle tasse. Il ministro del Tesoro Pier Carlo Padoan, replicando a Sangalli,
si è detto d'accordo con la linea del premier Matteo Renzi, non senza sottolineare che il taglio delle tasse e
l'aumento degli investimenti può avvenire solo «in un quadro in cui il debito scende e si rispettano le regole
comuni». Siamo alle prese con l'ennesima riforma della Pa, l'ennesima riforma della Scuola, l'ennesima legge
elettorale. La verità è che si rinviano i problemi da un anno all'altro: tanto, a settembre si sistema tutto con la
legge di Stabilità: un solo articolo, migliaia di commi, valanghe di tabelle. Tutto quadra, sempre. Si mette la
fiducia, e via. Per rimanere fermi. (riproduzione riservata)
RAPPORTO DEFICIT/PIL 0 4% 3% 2% 1% 5% '13 '14 '15 '16 '10 '11 '12 P M
PIL ITALIA -4% 0 -1% -2% -3% 3% 2% 1% '13 '14 '15 '16 '10 '11 '12 P B
RAPPORTO DEBITO/PIL 0 90 60 30 150 120 '13 '14 '15 '16 '17 '11 '12 Previsioni Prometeia
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/07/2015
54
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
SECONDO EUROSTAT IL RAPPORTO DELL'INDEBITAMENTO CON IL PIL È SALITO AL 135,1%
23/07/2015
Pag. 1.4
diffusione:104189
tiratura:173386
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Foto: Pier Carlo Padoan
Foto: Quotazioni, altre news e analisi su www.milanofinanza.it/debito
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/07/2015
55
23/07/2015
Pag. 6
diffusione:104189
tiratura:173386
Sace aggancia la ripresa export
Un buon biglietto da visita da presentare ai nuovi vertici di Cdp con cui presto si aprirà il confronto su banca
exim e ipo
Luisa Leone
Semestre da incorniciare per Sace. Il gruppo assicurativo guidato dall'amministratore delegato Alessandro
Castellano e dal presidente Giovanni Castellaneta ha archiviato i primi sei mesi dell'anno con un balzo
dell'utile del 52% a quota 308 milioni, contro i 202 milioni dello stesso periodo dello scorso anno. Un risultato
che arriva a pochi giorni dal ricambio al vertice della controllante Cassa Depositi e Prestiti, dove si sono
appena insediati il nuovo presidente Claudio Costamagna e il nuovo ad Fabio Gallia, e che potrebbe rivelarsi
un asso nella manica di Castellano. A breve infatti il manager dovrebbe incontrare i nuovi rappresentanti
dell'azionista per discutere del futuro di Sace. Come anticipato da MF-Milano Finanza lo scorso 13 giugno,
nelle settimane passate sotto la supervisione del viceministro Carlo Calenda, e su impulso del consulente del
premier, Andrea Guerra, Boston Consulting Group ha messo a punto un piano per il rilancio dell'export
italiano, che disegna un ruolo di primo piano per il gruppo assicurativo di Cdp. Piano che non potrà non
essere al centro dei confronti tra azionista e controllata, e che si basa sull'idea di riavviare il progetto
dell'import-export banca, in modo da consentire a Sace di affiancare ai servizi oggi offerti alle imprese che
vanno all'estero anche i finanziamenti diretti. Altro capitolo è poi quello dei rapporti con l'altra controllata di
Cdp, la Simest, che dovrebbero diventare molto più stretti sempre nell'ottica di fornire un portafoglio completo
di opzioni alle aziende italiane che scelgono di espandere l'attività all'estero. Insomma la questione sembra
essere importante per il governo, che ha voluto un cambiamento ai vertici di Cdp proprio per imprimere
un'accelerazione ai dossier che sono considerati prioritari. Per tutte queste ragioni, è immaginabile che un
primo confronto tra i vertici di Sace e quelli di Cdp non si farà attendere troppo, proprio per analizzare il
progetto elaborato da Boston Consulting e probabilmente riprendere in mano il dossier della privatizzazione
del gruppo assicurativo, al momento in stallo. Comunque i risultati positivi registrati nel semestre, se
confermati a fine anno, non potrebbero che spianare la strada a un eventuale percorso verso la borsa. Di
certo i dati dei primi sei mesi dell'anno rispecchiano anche la ripresa dell'export italiano, che da gennaio al
maggio scorso ha messo a segno un +4%, mentre l'incremento delle operazioni Sace assicurate nell'ambito
del sostegno all'export e all'internazionalizzazione è cresciuto di ben il 12%. Oil & gas, settore crocieristico, e
infrastrutture «si confermano i principali settori per esposizione (55,6% del portafoglio totale), mentre si rileva
particolare dinamismo nella filiera dell'automotive e nella meccanica strumentale», si legge nel comunicato
diffuso ieri. Più in generale, i sinistri sono diminuiti di ben il 42% a 136 milioni, mentre i premi lordi si sono
attestati a 252 milioni (+47%), con il portafoglio di operazioni assicurate che ha raggiunto per la prima volta il
valore di 76 miliardi (+6% rispetto a giugno 2014). Dal punto di vista patrimoniale, infine, il gruppo
assicurativo può contare su riserve tecniche per 2,3 miliardi, in crescita del 5% sullo stesso periodo dello
scorso anno, con un patrimonio netto in calo invece del 10% a quota 4,8 miliardi. Una diminuzione dovuta alla
riduzione del capitale per circa 800 milioni girata a Cdp nel semestre. (riproduzione riservata)
Foto: Alessandro Castellano
Foto: Quotazioni, altre news e analisi su www.milanofinanza.it/sace
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/07/2015
56
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
L'UTILE DEL SEMESTRE BALZA DEL 52% A 308 MILIONI. IN FORTE CALO (-42%) I SINISTRI
23/07/2015
Pag. 7
diffusione:104189
tiratura:173386
Angelo De Mattia
Un'intervista e un intervento pubblico: affinità e qualche lieve differenza. Finalmente, dopo alcuni giorni di
inspiegabile silenzio sull'operazione copernicana annunciata da Renzi in materia fiscale, anche il ministro
dell'Economia, Pier Carlo Padoan, ha cominciato a dire la sua. Lo ha fatto in una intervista sul Foglio di ieri in
cui inizialmente svolge alcune considerazioni sull'Unione europea sostenendo che il passaggio
all'integrazione fiscale, che comporta, dopo l'Unione bancaria, ulteriori cessioni di sovranità, non può avvenire
senza il presupposto della costituzione di un'autorità politica, democraticamente legittimata a decidere
almeno sugli ambiti che le saranno delegati. È, questa, una posizione che può essere condivisa. Ma essa
dovrebbe presupporre che, prima di avviarci per nuovi progetti, si riformino norme e politiche sinora adottate,
con riferimento, innanzitutto, al Patto di stabilità e al Fiscal compact, e alla coerenza, in specie per
quest'ultimo, con i Trattati fondativi. Prima di intraprendere questo viaggio, forti dell'esperienza vissuta, è
bene mettere ordine nell'Unione e nell'Eurozona e assumere le necessarie garanzie per il percorso che si
prospetta. Ma dopo queste iniziali considerazioni, Padoan ha risposto alle domande sulla riforma fiscale. Qui,
per la verità, un grosso contributo di chiarezza non è venuto, nonostante le domande incalzanti
dell'intervistatore. Una rivoluzione fiscale pianificata in più anni è utile, ma fino alla legge di Stabilità nel
prossimo autunno ci sarà tempo per lavorare sui numeri: insomma, una sorta di rinvio, dal momento che il
Ministro non è apparso in grado di stabilire quale delle tre strade possibili per le coperture - l'aumento di altre
tasse, la riduzione della spesa e l'aumento dell'indebitamento - sarà imboccata. A questo punto, si potrebbe
anche non proseguire, dal momento che un governo, prima di lanciare un ambiziosissimo piano, dovrebbe
avere un'idea, per quanto vaga, di quale delle strade menzionate scegliere. E, invece, nulla: «Stiamo
valutando», risponde il ministro dell'Economia. Poi assicura che la «local tax» non sarà il nuovo nome della
Tasi, che, dunque, non risorgerà sotto mentite spoglie, aggiungendo che comunque una revisione della
spesa è necessaria dovendosi disinnescare le clausole di salvaguardia: cosa che conoscevamo da tempo.
Ma, sempre ieri Padoan, intervenendo a un convegno della Confcommercio, è stato un po' più esplicito,
ricordando innanzitutto che egli è stato d'accordo con il piano lanciato da Renzi, che quella di Renzi non è
stata una decisione estemporanea, che il taglio delle tasse deve essere credibile e permanente e, perciò,
dovrebbe fondarsi su tagli di spesa e che la lotta all'evasione non è alternativa a questi tagli. Nell'intervista,
infine, Padoan ricorda l'esistenza della clausola europea sulla flessibilità per le riforme e da ciò si potrebbe
dedurre che, poiché l'anno prossimo l'obiettivo del deficit in rapporto al pil è fissato all'1,8%, mentre per
quest'anno sarà del 2,6%, allora il richiamo della predetta clausola potrebbe significare che si intenda
attestarsi su di una posizione intermedia, scavalcando l'obiettivo del 2016. Se consideriamo quello del
ministro Padoan come l'intervento che ha detto di più sulla presunta rivoluzione à la Copernico, dobbiamo
concludere confermando tutte le riserve, già espresse su questo giornale, a proposito della superficialità
dell'annuncio e della non esistenza di sufficienti indicazioni sulle coperture e sulle compensazioni. Viene
spontaneo, allora, chiedersi se ciò dipenda da una limitata partecipazione al progetto da parte del ministro e,
dunque, dal fatto che l'idea sia maturata ed elaborata a Palazzo Chigi ad opera di esperti che costituiscono
una sorta di pendant di Via XX Settembre, anche se poi condivisa da Padoan, oppure se l'indeterminatezza e
la genericità riguardino tutti i possibili «progettisti», con la conferma, allora, del netto prevalere dell'intento
comunicazionale. Come si possa sin d'ora pensare a un esame da parte della Commissione Ue è un mistero.
Se, dunque, l'argomento continuerà a tenere banco nel dibattito pubblico, allora, piuttosto che cedere a
improvvisazioni e mezze notizie, sarebbe necessario che il governo illustri il programma che intende
presentare. Sarebbe grottesco che, lanciato il sasso, ora si debba arrivare alla fine di settembre per saperne
di più su questioni nodali che sono rappresentate dalla crescita, dal deficit e dal debito. Quest'ultimo, stando
alle dichiarazioni del Premier, dovrebbe pure scendere (con il che si escluderebbe una delle tre vie) senza
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/07/2015
57
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
La politica degli annunci, senza informazioni vere, non va lontano
23/07/2015
Pag. 7
diffusione:104189
tiratura:173386
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/07/2015
58
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
tuttavia indicare come e di quanto, dovendosi comunque escludere che ciò possa avvenire per il solo
incremento della crescita la quale non sarà tale da influire significativamente nel relativo rapporto. Se questo
deciso passo avanti nella chiarificazione non verrà fatto, allora dovremmo essere autorizzati ad assumere le
dichiarazioni del Premier, prescindendo per ora dalla valutazione dell'opportunità di intervenire nei versanti
indicati della Tasi, di Ires e Irap e poi di Irpef, come semplici e vaghi desideri. (riproduzione riservata)
Foto: Il ministero del Tesoro in Via XX Settembre
23/07/2015
Pag. 1.7
diffusione:104189
tiratura:173386
L'export può crescere fino al 5,5%
Al momento l'Italia viaggia al ritmo del +4,5%, un punto in più sarebbe una performance straordinaria Nei
primi quattro mesi abbiamo guadagnato con gli Stati Uniti quanto perderemo con Mosca in un anno
Silvia Berzoni
«Penso che l'export italiano crescerà tra il 4,5%, che è più o meno il livello di incremento attuale, e il 5,5%
che diventerebbe una performance straordinaria». Il vice ministro dello Sviluppo Economico, Carlo Calenda,
ai microfoni di Class Cnbc, disegna un quadro piuttosto confortante dell'andamento delle esportazioni italiane
che quest'anno beneficiano di un cambio euro/dollaro favorevole, con il biglietto verde che potrebbe ancora
rafforzarsi in vista dell'aumento dei tassi che la Fed dovrebbe mettere in cantiere subito dopo l'estate.
«Veniamo», prosegue il vice ministro, «da una crescita media degli ultimi tre anni di circa il 2%. I francesi
sono allo 0,6% e i tedeschi al 2,3%. Quindi l'Italia parte già da un trend piuttosto netto. Tuttavia quest'anno ci
sarà un'accelerazione significativa, per merito soprattutto del commercio con gli Stati Uniti. Nei primi quattro
mesi del 2015 abbiamo recuperato con gli Usa tutto quello che perderemo in un anno con la Russia» e le
sanzioni sul Paese. «Stiamo parlando di un bacino straordinario su cui dobbiamo insistere perché è
complicatissimo, perché le leggi sono differenti e ci sono differenti standard». Secondo Calenda l'Italia è
anche il Paese che può trarre maggiori benefici dal Ttip, il Trattato transatlantico sul commercio e gli
investimenti, zona di libero scambio tra Europa e Stati Uniti in corso di negoziato. «Il Ttip non stravolgerà le
peculiarità dei vari Stati. Con questo accordo, ad esempio, non allenteremo in nessuno modo la nostra
contrarietà all'ingresso di Ogm. Gli Stati Uniti hanno un'agricoltura che è basata sugli Ogm, noi riteniamo che
questi siano dannosi per la biodiversità delle nostre coltivazioni. Dunque niente Ogm. E inoltre questo
accordo non toccherà i servizi pubblici e la cultura». In altre parole, sintetizza il vice ministro, «si tratta di
un'intesa dimensionata in maniera equa e corretta», finalizzata a «rimuovere le barriere che ci sono per
cercare di far convergere gli standard dei vari Stati». Calenda affrontato anche la questione Europa e della
sua unità venuta meno durante la crisi greca. «Che l'Europa si sia mossa male nei confronti di Atene è un
dato di fatto: c'è stato un gigantesco macello. La colpa non è della Germania ma della governance europea
che è farraginosa e complicatissima. Insomma, la vicenda greca è stato un buon esempio di tutto quello che
non funziona in Europa». Secondo il viceministro va rimarcato anche un altro aspetto: «Noi italiani stiamo
prestando soldi ai greci. Quindi se si presta del denaro occorre stabilire condizioni perché questo denaro
venga restituito attraverso un piano comunque sostenibile. E con l'obiettivo fermo di tenere Atene all'interno
dell'eurozona perché si tratta di un Paese che ha un valore che va oltre quello rappresentato dal suo pil. Allo
stesso tempo trovo risibile che si vada avanti ad affrontare le cose come si è fatto con Atene. Non possiamo
pensare che ci sia sempre la Bce a salvarci», ha concluso il vice ministro. (riproduzione riservata) CLASS
CNBC
Foto: Carlo Calenda
Foto: Quotazioni, altre news e analisi su www.milanofinanza.it/calenda
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/07/2015
59
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
PARLA IL VICEMINISTRO CALENDA TARGET POSSIBILE GRAZIE AGLI USA E AL DOLLARO FORTE
23/07/2015
Pag. 18
diffusione:104189
tiratura:173386
Renzi mette la sordina a Boeri sulle pensioni
Edoardo Narduzzi
Con un doppio colpo, il governo Renzi ha mandato al tappeto le proposte pensionistiche del presidente
dell'Inps, Tito Boeri. Ha iniziato sabato mattina proprio il premier, quando ha annunciato le linee guida di
politica economica fino a fine legislatura: di pensioni se ne riparla nel 2018. Tradotto in linguaggio pratico,
significa che dello sforzo propositivo riformista avanzato negli ultimi sette mesi da Boeri nulla diventerà legge.
Il presidente dell'Inps, gli ha comunicato Renzi, può smetterla di inondare i media di proposte di cambiamento
del sistema pensionistico italiano perché esse, stante l'agenda di governo, al massimo possono andare bene
per una sessione di lavoro al Festival dell'economia di Trento. Non è detto che la decisione di Renzi sia la più
giusta, perché le regalie retributive fatte negli ultimi decenni in Italia sono una delle grandi cause dell'attuale
disoccupazione giovanile di massa (alla quale il premier socialdemocratico, stranamente, non ha dedicato
alcuna attenzione all'assemblea del Pd, mentre dovrebbe essere il primo punto di un'agenda politica
riformista), ma le esigenze elettorali, cioè le amministrative del 2016, e l'andamento dei sondaggi hanno
suggerito a Renzi di congelare la riforma pensionistica. Ora Boeri deve iniziare a occuparsi della macchina
Inps, carrozzone che eroga servizi di qualità indegna dell'Eurozona. Per decenni tutto nell'Inps è stato
espressione dell'occupazione politicosindacale e la qualità dei servizi resi a chi ne pagava i costi un fattore
insignificante. Durante la presidenza Mastrapasqua si è raggiunta la sublimazione: gare pubbliche, anche in
settori chiave come la tecnologia, fatte in modo che a priori fosse tutto già definito o, almeno, questa era
l'impressione che il mercato aveva della gestione Inps, e senza alcuna strategia industriale. E i risultati delle
gare rafforzavano la convinzione. Boeri, da questa prospettiva, ha già innovato, nominando un direttore
generale fuori della tecnostruttura Inps, quella scelta dai sindacati. Una mossa nella direzione giusta.
Massimo Cioffi è stato un ottimo manager nel settore privato e il solito ricorso in tribunale contro la sua
nomina dovrebbe rinforzare le intenzioni dello stesso Boeri di dare carta bianca al nuovo dg per rompere gli
equilibri Inps, perché ora la priorità di Boeri fino al 2018 è migliorare il funzionamento dell'organizzazione.
Intanto Giuliano Poletti ha passato anche lui il Rubicone pensionistico. Non vuole più essere costretto a
commentare le proposte di Boeri lette sui giornali. Da qui al 2018 sarà lui che farà al Consiglio dei ministri le
proposte di riforma del sistema previdenziale e a questo scopo sta riorganizzando lo staff. Poletti ha ripreso le
redini delle pensioni che Boeri gli aveva sfilato. (riproduzione riservata)
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/07/2015
60
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
COMMENTI & ANALISI
23/07/2015
Pag. 18
diffusione:104189
tiratura:173386
ORA NON SI PERMETTA CHE IN GRECIA TORNI LA TENTAZIONE GREXIT
Un quotidiano greco sostiene che Alexis Tsipras vrebbe chiesto a Putin 10 miliardi di dollari per poter poi
procedere al ritorno alla dracma. La risposta russa non sarebbe stata negativa, ma si sarebbe controproposto
un anticipo di 5 miliardi come acconto per la partecipazione alla realizzazione del gasdotto South Stream;
Iran e Cina, che sarebbero stati del pari interpellati, non avrebbero dato seguito alla richiesta. Ovviamente si
tratta di notizie da prendere con il massimo del beneficio d'inventario, soprattutto ora che il ritorno alla moneta
nazionale è stato escluso in considerazione dell'accordo raggiunto con le istituzioni europee e con i creditori.
In queste stesse giornate, l'ipotesi del default (ed evidentemente del ritorno alla dracma) è stata rilanciata
come quella sostenuta da Yanis Varoufakis, dopo l'esito del referendum con la vittoria del no, che ora afferma
che un'altra via rispetto a quella imboccata da Tsipras era possibile, pur riconoscendo le pressioni e i vincoli
che il capo del governo ha dovuto subire e riconfermandogli la sua vicinanza. Da un altro versante, anche
Paul Krugman ritiene che un'uscita, anche temporanea, della Grecia dalla moneta unica avrebbe potuto
essere opportuna perché l'avrebbe messa in grado di risalire la china: da questo punto di vista l'opinione,
autorevole, del premio Nobel si affianca a quella, magari sostenuta con l'intento opposto -un'uscita
temporanea che poi diventa definitiva - di Wolfgang Schaeuble. Evidentemente, secondo un pensiero che
non è di pochissimi, una svalutazione controllata avrebbe potuto giovare. Ora, però, imboccata la strada
opposta, bisogna percorrerla con coerenza e decisione, nulla di peggio del rimanere nel guado, non
affrontare con convinzione il percorso che il governo si è impegnato a compiere dopo che, come ha ricordato
Jean-Claude Juncker, la paura dello sfascio della stessa Unione e dell'Eurozona sarebbe stata la ragione che
avrebbe, alla fine, prodotto l'intesa, evitando il peggio. Ma affrontare il nuovo percorso esige che si metta
mano al debito ellenico sin d'ora e non dopo una prima valutazione delle misure adottate da parte delle
istituzioni europee, come il medesimo Juncker ha detto. Debito e crescita sono due punti fondamentali, dai
quali dipende la stabilizzazione della situazione greca nella zona euro. Se non saranno affrontati subito, c'è il
rischio che ritorni l'ipotesi Grexit come scelta che potrebbe maturare progressivamente all'interno proprio
della Grecia. La possibilità che si debba tornare al voto popolare e i segnali contrapposti che vengono da
Atene -da un lato si parla di una maggiore coesione di Syriza, dall'altro, il dibattito parlamentare sulle misure
da adottare si fa spesso incandescente- mostrano un quadro politico-sociale fragile. E' una condizione che va
superata affrontando i problemi indicati e, in specie, quello degli investimenti per la crescita. Bisogna agire
rapidamente, anche per evitare disorientamenti, incertezze e, financo, degenerazioni concettuali, quale quella
che si è letta in un giornale italiano che manca poco per attribuire ai Nobel Krugman e Stiglitz e a qualche
altro economista la responsabilità della resistenza greca delle scorse settimane, perché essi avrebbero voluto
sperimentare su quella economia le loro tesi per poi trarne un vantaggio culturale e accademico.
Foto: Paul Krugman
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/07/2015
61
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
CONTRARIAN
23/07/2015
Pag. 121 N.30 - 29 luglio 2015
diffusione:446553
tiratura:561533
Ufficio stampa Inps
Con riferimento all'articolo «Lo strano caso dei pensionati fantasma all'estero»( Panorama n. 28), si precisa
che al fine di evitare la corresponsione di prestazioni indebite, l'Inps riceve le notizie di decesso dei
pensionati tramite tre canali: dai consolati; dalla campagna annuale di accertamento dell'esistenza in vita;
dalle istituzioni pubbliche estere con cui sono stati stipulati accordi di scambio delle informazioni di decesso.
Purtroppo la stipula di accordi bilaterali avviene soloa seguito di lunghi,e talvolta non facili, negoziati. Ufficio
stampa Inps
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/07/2015
62
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
L'Inps e le pensioni estere
23/07/2015
Pag. 22 N.30 - 29 luglio 2015
diffusione:446553
tiratura:561533
La sonora lezione greca per i populisti
È durato cinque mesi il braccio di ferro tra 18 Paesi dell'eurozona e Atene. Apparentemente per tornare alla
casella di partenza. Ma il lungo negoziato non è stato inutile: ha insegnato ai demagoghi che se è facile
vincere le elezioni promettendo la luna, mettersi contro le regole comuni porta all'isolamento. E invocare
flessibilità sarà più difficile.
Veronica De Romanis
Alexis Tsipras ha vinto le elezioni assicurando di cambiare un Paese che dopo cinque anni e due pacchetti di
salvataggio era ancora in piena crisi. Come prima mossa, ha dichiarato che non avrebbe rispettato gli accordi
presi dai precedenti esecutivi, venendo meno al principio costitutivo dell'Unione secondo cui tali accordi
impegnano non solo le persone che li siglano (i predecessori di Tsipras), ma anche i Paesi che
rappresentano (in questo caso la Grecia). È cominciato così il lungo braccio di ferro, durato ben cinque mesi,
in cui alle richieste del governo greco (culminate nella insana decisione di indire un referendum) gli altri 18
governi hanno risposto con fermezza e con un piano di aiuti ancor più duro dei precedenti: un mix di riforme e
tagli fiscali da implementare in un Paese già stremato dalla chiusura delle banche (forse Tsipras non aveva
calcolato fino in fondo l'impatto che ciò avrebbe avuto sull'economia) e dall'instabilità politica crescente. Il
premier è, infatti, costretto a far fronte alle proteste dell'ala più estremista del suo partito che non gli perdona
il voltafaccia dopo l'esito del referendum. In sostanza, ora la Grecia deve ricominciare da capo, ma con
un'economia più fragile, un governo più debole e creditori internazionali sfiduciati. Ma allora a cosa sono
serviti questi mesi di duro negoziato? È stato solo tempo perso? Forse no, perché si possono trarre alcune
lezioni. In primo luogo, per i movimenti populisti. Il caso Tsipras ha dimostrato che, se è facile farsi eleggere
promettendo la luna (a spese degli altri), negoziare ponendosi contro le regole comunemente accettate
conduce all'isolamento. Gli altri 18 paesi hanno, infatti, formato un blocco coeso nel rivendicare il rispetto
delle regole. Regole che, per inciso, servono anche a proteggere i Paesi più deboli: non va dimenticato che
una parte degli aiuti erogati alla Grecia per consentirle di ripagare il debito, frutto di anni di non rispetto delle
regole, è stata finanziata da nazioni piccole (e povere), come la Lettonia, che hanno fatto aggiustamenti ben
più duri di quelli richiesti oggi ad Atene. Proprio per questo, il terzo pacchetto di salvataggio include misure
come il rafforzamento dell'indipendenza dell'Istituto nazionale di statistica, reo per anni di aver prodotto dati
truccati. Dall'inizio della crisi, nessun governo, incluso quello attuale, aveva pensato di porre rimedio a questa
palese violazione. La seconda lezione è per chi continua a chiedere in Europa una maggior flessibilità delle
regole di bilancio come strumento per far ripartire la crescita. In un contesto di fiducia incrinata, anche a
causa delle interpretazioni «troppo flessibili» del passato, questa impostazione rischia di creare ulteriori
incomprensioni. Per ripristinare la fiducia, dopo questi anni difficili, bisogna ripartire dalle riforme. Al centro
dell'agenda politica va messa la competitività delle economie dei singoli Paesi e di quella europea nel suo
insieme, e non (solo) la flessibilità dei bilanci nazionali. Reuters/Alkis Konstantinidis
Foto: economista, autrice dei libri Il caso Germania e Il metodo Merkel (Marsilio)
Foto: Il primo ministro della Grecia Alexis Tsipras: gli altri 18 Paesi dell'Unione hanno fatto blocco nel
rivendicare il rispetto delle regole. Regole che, però, servono anche a proteggere le nazioni più deboli.
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/07/2015
63
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
L'ANALISI SCENARI ECONOMIA
23/07/2015
Pag. 24 N.30 - 29 luglio 2015
diffusione:446553
tiratura:561533
Embargo Ue-Russia: i numeri della crisi
Continua il braccio di ferro per la crisi ucraina iniziato il 7 agosto scorso. E per l'agroalimentare il conto sale.
Ma meno del previsto.
(Anna Maria Angelone)
Esportazioni quasi dimezzate e perdita di svariati milioni di euro per molti prodotti agroalimentari europei. Un
anno dopo l'inizio dell'embargo russo, scattato il 7 agosto 2014 come ritorsione alle sanzioni economiche
imposte a Mosca da Ue, Usa e altri paesi in seguito all'abbattimento del volo MH17 Amsterdam-Kuala
Lampur, la conta dei danni non è indolore. Anche se inferiore alle previsioni. Secondo i calcoli di Bruxelles
forniti a Panorama, da agosto 2014 ad aprile 2015 (ultimo dato disponibile), l'export verso il mercato russo è
calato del 42 per cento. A soffrire di più sono stati formaggi, burro, carne, pesce e ortofrutta. Soprattutto, in
termini di quantità, le mele: è mancato all'appello un consumo di almeno 790 mila tonnellate all'anno. In
valore, le importazioni di Mosca sono scese a 5 miliardi di euro in nove mesi. Mentre, nei primi sette mesi del
2014, erano state di 8,6 miliardi. Nel 2013, ultimo anno senza embargo, il valore era stato di 11,3 miliardi di
euro. E la tensione non si allenta. Non appena l'Ue ha deciso di allungare fino a gennaio 2016 le sanzioni
economiche decise al culmine della crisi ucraina, immediata è arrivata la reazione del governo di Vladimir
Putin: «niet» alle merci agroalimentari dell'Ue già colpite dall'embargo russo esteso fino a giugno 2016, oltre
alla minaccia di vietare anche cioccolato e fiori freschi (un colpo per praline di Francia e Belgio e per i tulipani
olandesi). Il conto della bilancia commerciale, però, presenta qualche sorpresa: il mancato export verso
quello che finora era il secondo mercato per l'agroalimentare Ue è stato compensato da un inatteso aumento
delle importazioni di Usa, Cina (con un 26 per cento in più ha ora rimpiazzato Mosca), Corea del Sud e
Turchia. Aiutato da un euro più «leggero», l'agroalimentare ha guadagnato, in totale, il 5 per cento in più. Ma
non si può eslcudere che, senza il blocco di Mosca, la crescita sarebbe maggiore. Ria Novosti / Reuters - (Ap
Photo/Efrem Lukatsky
Le tappe dei «divieti» incrociati 31 luglio 2014 Dopo il disastro aereo, a Mosca vengono imposte sanzioni
finanziarie, restrizioni su servizi e tecnologia energetica, divieto di import-export di armi, materiali o prodotti di
uso militare.
Quanto ci è costato finora? 5 miliardi di euro è il valore dell'export agroalimentare dall'Ue verso la Russia
da agosto 2014 (inizio dell'embargo) ad aprile 2015. Solo nei primi sette mesi del 2014, invece, era stato di
8,6 miliardi di euro. I più colpiti - 480 milioni di euro la perdita per frutta e verdura a danno, soprattutto, di
mele e pomodori. - 392 milioni di euro la perdita per i formaggi. Cerimonia all'ambasciata olandesea Kiev per
le 298 vittime del Boeing 777 (Amsterdam-Kuala Lumpur) abbattuto in Ucraina il 17 luglio 2014.
-42% il calo dell'export dell'agroalimentare dell'Ue verso Mosca causato dall'embargo fra l'agosto 2014 e
l'aprile 2015.
7 agosto 2014 La risposta russa non si fa attendere: il governo di Putin decide di sospendere, per un anno, le
importazioni di alcuni agroalimentari dai 28 paesi Ue. L'embargo colpisce anche Norvegia, Usa, Canada e
Australia. 8 settembre 2014 L'Ue decide di prolungare di altri sei mesi le restrizioni contro la Russia. Nel
frattempo, sono limitati anche i visti alla circolazione delle persone. 4 giugno 2015 Mosca reagisce
allungando la durata dell'embargo in vigore e inserendo nella lista delle merci vietate anche i prodotti ittici in
scatola. Un danno soprattutto per i paesi baltici. 17 giugno 2015 L'Ue decide di estendere ancora le sanzioni
economiche contro la Russia. La scadenza si sposta, dunque, al 31 gennaio 2016. 24 giugno 2015 Mosca
non resta a braccia conserte e annuncia che il mercato russo sarà chiuso ai prodotti agroalimentari Ue fino a
giugno 2016, minacciando di ampliare la «black list» a nuove merci.
E l'italia? - 34% calo dell'export dell'agroalimentare «made in Italy» verso Mosca. 20 milioni di euro al mese la
perdita, in valore, subita da produttori e allevatori italiani secondo un calcolo di Coldiretti. +30% crescita degli
alimenti «falsi» (stimata da Coldiretti) prodotti direttamente in Russia dall'entrata in vigore dell'embargo. Si
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/07/2015
64
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
MONDO SCENARI
23/07/2015
Pag. 24 N.30 - 29 luglio 2015
diffusione:446553
tiratura:561533
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/07/2015
65
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
tratta, per lo più, di formaggio.
Per il Grana Padano, indotto compreso, un danno di 65 milioni di euro dal mancato import russo.
Foto: Vladimir Putin ha imposto un embargo che ha colpito anche le carni Ue, di cui la Russia era il primo
importatore.
23/07/2015
Pag. 1.42 N.30 - 29 luglio 2015
diffusione:446553
tiratura:561533
LOOK-DOWN GENERATION
Social network. Applicazioni. Messaggini. Chat. I nostri occhi, ormai, sono quasi sempre rivolti all'ingiù: verso
lo schermo di un telefonino. Che sta modificando profondamente abitudini, ritmi esistenziali, rapporti e perfino
patologie. Viaggio oltre la nuova frontiera umana.
Guido Castellano
Una cosa di cui sono certo è che nel 2019, ovunque volgeremo lo sguardo, verremo assaliti dagli schermi»
aveva profetizzato nel 1982 il regista Ridley Scott parlando del suo Blade Runner, film destinato a diventare
un cult della fantascienza. Lo scenario del rapporto asfissiante tra uomo e tecnologia preconizzato
dall'obiettivo di Scott è arrivato prima delle sue stesse previsioni. Lo stiamo vivendo già oggi. Con
un'aggravante: non sono gli schermi ad aggredire noi, ma noi ad esserne totalmente dipendenti. Quasi
intossicati. Sono ovunque, in casa, in metropolitana, nei negozi, nelle piazze, ma soprattutto in tutte le tasche.
I cellulari connessi al web sono 25 milioni in Italia, 2,7 miliardi nel mondo. Ormai sono una protesi del nostro
corpo. Accorciano le distanze, permettono di essere sempre raggiungibili e raggiunti da migliaia di notifiche,
di sapere tutto degli altri senza incontrarli di persona. Sono nati per renderci liberi, sono ovviamente utilissimi,
ma si sono conquistati uno spazio così importante nel nostro cervello da riuscire a distoglierci dalla realtà:
non ci fanno vivere «l'attimo fuggente» perché ci forzano a tenere il capo chino a contemplarli. Sempre. Così
il popolo degli schermi touch è già stato catturato in una definizione: «look-down generation»: la generazione
di chi ha gli occhi sempre rivolti verso il basso. I NUMERI DI UNA GENERAZIONE Ormai guardiamo più lo
smartphone della televisione (in media 3,4 ore al giorno, contro 2,8): proprio agli inizi del 2015 è avvenuto lo
storico sorpasso. Nell'arco di 24 ore lo consultiamo fino a 150 volte: al ristorante (anche durante un primo
appuntamento), a letto (persino durante i rapporti sessuali), in bagno, a scuola, in auto, metropolitana, ufficio
e anche in chiesa ( vedere lo schema a pagina 44-45 ). Ovunque siamo, basta alzare la testa per accorgersi
di quanti sono ipnotizzati dallo smartphone. Secondo il Global mobile survey realizzato dalla società di
consulenza Deloitte, il 35 per cento degli italiani consulta il telefonino entro i primi 5 minuti dal risveglio (il 55
per cento entro un quarto d'ora). La luce azzurrina di un piccolo video catalizza la nostra attenzione anche
prima di chiudere gli occhi. Il 90 per cento di quanti hanno tra 18 e 29 anni portano con sé il cellulare a letto.
È l'ultima cosa che spegniamo (dopo aver fatto un ultimo check sui social network) dopo tv e abat-jour. Sta
diventando il surrogato dell'orsetto di pezza per giovani e adulti. Ma non fa bene al nostro sonno. Secondo il
professor George Brainard, neurologo alla Thomas Jefferson university di Philadelphia, al contrario, «lo
smartphone osservato al buio sopprime in parte la produzione di melatonina, crendo disturbi del sonno,
anche gravi». I «mobile addict», le persone così dipendenti da smartphone e tablet da aprire un'applicazione
almeno 60 volte al giorno (e fino a 150: dopo è la follia), sono sempre di più. Stando ai ricercatori di Flurry,
società di proprietà di Yahoo, tra il secondo trimestre 2014 e lo stesso periodo del 2015 sono aumentati a
livello globale del 59 per cento, passando da 176 a 280 milioni. Se fossero un Paese, sarebbero il quarto al
mondo. Ma la distinzione in categorie della look-down generation non si ferma ai soli «dipendenti». È un
popolo composto anche dai «super user»: sono 590 milioni gli utenti assidui che aprono un'app tra le 16 e le
60 volte al giorno (più 34 per cento rispetto al 2013) seguiti dai «regolar user» che consultano lo smartphone
fino a 16 volte al giorno. In un anno sono passati da 784 a 985 milioni, il 25 per cento in più. DISTRAZIONE
DI MASSA Al Massachusetts institute of technology di Boston, in uno studio pubblicato il 18 maggio scorso,
hanno definito lo smartphone come «arma di distrazione di massa». Secondo Earl Miller, che al Mit insegna
scienze neurali, leggere una notifica di Facebook o Twitter durante l'orario di lavoro riduce notevolmente la
produttività. «Ogni volta che usiamo lo smartphone, interrompendo quello che stiamo facendo, il cervello
inciampa e richiede tempo per tornare alla situazione iniziale» spiega Miller. «Servono 15-25 minuti per
tornare operativi e concentrati». IL TRILLO CHE UCCIDE È sufficiente lo squillo di un sms, una vibrazione, o
il suono di una mail in arrivo per distrarci, così come una telefonata. A rivelarlo è una ricerca condotta
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/07/2015
66
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
COPERTINA
23/07/2015
Pag. 1.42 N.30 - 29 luglio 2015
diffusione:446553
tiratura:561533
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/07/2015
67
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
dall'Università di Stato della Florida, pubblicata sul Journal of experimental psychology.È facile immaginare
che cosa succede se lo smartphone viene utilizzato in auto. Il risultato è un record di incidenti stradali:
secondo i dati diffusi da Aci e Istat, in Italia, il 20,1 per cento degli scontri automobilistici del 2014 (36 mila su
181 mila), è stato causato proprio dall'uso illecito del telefonino, che batte ebbrezza e velocità come causa di
incidentalità. Per leggere un messaggio Whatsapp, cioè sbloccare il cellulare, mettere a fuoco lo schermo ed
eventualmente rispondere, ci vogliono circa dieci secondi.È un tempo in cui il conducente perde di vista la
strada per un tratto di almeno 300 metri. Anche negli Stati Uniti la quota d'incidenti dovuta all'uso di un
cellulare mentre si guida è alta: il 21 per cento, ossia 1,2 milioni di collisioni. Va ricordato che gli incidenti non
sono generati da conversazioni telefoniche, ma da attività molto più distraenti come inviare sms, controllare
Facebook e Twitter, spedire un'email, navigare sul web, scattare un «selfie», guardare un video e partecipare
a una videochat. Basterebbe tenere lo schermo spento per evitare una collisione su cinque. MALATTIE
COLLEGATE Gli schermi touch hanno innescato, in maniera irreversibile, anche nuovi comportamenti globali
che oltre a ridisegnare (probabimente in peggio) le relazioni sociali stanno creando un popolo di ammalati
digitali. Creano ansia, dolori alle mani, alle braccia e alla colonna vertebrale e sono responsabili del calo della
vista nonché del desiderio sessuale, a sua volta alla base delle crisi di coppia. Due studi pubblicati dalla
rivista americana Pediatrics descrivono come patologico il controllo sfrenato di social network e dello
smartphone per scattare «selfie»: un modo di agire che ingenera ansia e paura. La parola che definisce
questa situazione emotiva è appena stata inserita nell'Oxford dictionary ed è «Fomo» ossia Fear of missing
out, paura di essere esclusi. Per il dizionario inglese descrive «l'ansia che qualche evento eccitante o
interessante stia succedendo da qualche parte (non dove siamo noi) e che stia avendo successo sui social
media». Ma la psiche non è l'unica a subire gli attacchi dello smartphone. Anche se i nuovi supertelefonini
sono leggerissimi, è dimostrato che un loro uso prolungato può imprimere al tratto cervicale un carico di 27
chili di pressione. Lo sostiene uno studio di Kenneth Hansraj, primario di chirurgia spinale al New York spine
surgery and rehabilitation medicine. Il peso imposto al collo dipende dall'inclinazione del capo:
un'angolazione di 15 gradi equivale a 12 chili di sofferenza; 30 gradi a 18 chili, 45 gradi a 22 chili. La lookdown generation arricchirà anche oculisti e ottici: dovranno ringraziare gli schermi intelligenti per aver
trasformato milioni di persone in altrettanti presbiti. Una ricerca del College di optometria di New York incolpa
di questa nuova patologia globale la distanza dagli occhi a cui teniamo lo smartphone: di molto inferiore
rispetto a quella tenuta quando si legge un libro o un giornale. Il 90 per cento di chi fa un largo uso di schermi
digitali, nel medio periodo, sarà inevitabilmente soggetto a sviluppare fastidi come mal di testa, secchezza
oculare, affaticamento della vista e difficoltà a mettere a fuoco. IL NEMICO DEL SESSO La look-down
generation è anche meno attiva sessualmente. Negli anni Novanta, i rapporti al mese (in media) erano
cinque. Oggi sono scesi a tre. La colpa? Buona parte è dello schermo touch che s'insinua come un'amante
sotto le lenzuola. «Il 90 per cento delle coppie in crisi che si rivolgono a un terapeuta hanno problemi di
distrazione cronica nel momento in cui vanno a letto» sostiene Vito Frugis, sessuologo veronese esperto in
terapia della coppia. «Si preferisce chattare o navigare al fare l'amore. Nella maggior parte dei casi, è la
donna a lamentarsi di questo problema, con l'uomo che si scusa adducendo motivazioni di lavoro per stare
attaccato allo schermo». La look-down generation è avvisata. Chissà se, prima o poi, su ogni smartphone
non dovrà essere scritta per legge la medesima frase che oggi troviamo sulle sigarette: «Nuoce gravemente
alla salute». Probabilmente, continueremo a comprarlo, forti del motto che rende sicuri di sé i tabagisti:
«Smetto quando voglio». ( Twitter: @Hobisognoditech) Fotografie di Alberto Bernasconi, Illustrazioni
Francesco Poroli, AP Photo/Cliff Owen
PIÙ TELEFONO CHE TV Confronto tra l'utilizzo medio in ore dei due media, in Italia, durante una giornata.
3,4 lo smartphone 2,8 la televisione GIOVANI DIPENDENTI Le ore quotidiane di uso del cellulare in media, in
Italia. Da 18 a 24 anni 5,2 da 25 a 34 anni 3,5 da 35 a 44 anni 3,4 da 45 a 54 anni 2,9 sopra i 55 anni 2,0
MALATI DI TABLET Le ore quotidiane di uso del tablet in media, in Italia, e per fascia di età. Da 18 a 24 anni
3,7 da 25 a 34 anni 3,1 da 35 a 44 anni 3,1 da 45 a 54 anni 3,4 sopra i 55 anni 2,2
23/07/2015
Pag. 1.42 N.30 - 29 luglio 2015
diffusione:446553
tiratura:561533
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/07/2015
68
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
UNA GIORNATA SEMPRE CON LA TESTA IN GIÙ Le 24 ore tipo dell'italiano medio, dai 14 ai 65 anni. I
telefoni intelligenti nel nostro Paese sono 25 milioni e si calcola vengano consultati da 50 a 150 volte al dì. Gli
iscritti a social network sono 28 milioni, quelli che si collegano in mobilità sono 22. 12 9 3 6 ore 7 La sveglia Il
35% degli italiani controlla il cellulare entro i primi 5 minuti dal risveglio, il 55% lo fa entro i primi 15 minuti. ore
7,30-8 La colazione Il 72% delle persone comincia la sua attività online. I giovani vanno sui social, gli adulti
invece preferiscono news ed email. ore 8 Andando in ufficio o a scuola In automobile 7 persone su 10 sono
connesse al web con lo smartphone per leggere email, chat e social. Sui mezzi pubblici la quota sale all'84
per cento. ore 9-13 In ufficio o a scuola In ufficio smartphone e iPad sono usati dall'89 per cento degli utenti.
Non solo per lavoro, ma anche per essere sempre sui social senza usare i computer aziendali: una misura
salva-posto di lavoro, ora che il Jobs act è operativo. Anche a scuola gli apparecchi non restano spenti: il
60% degli studenti medi e delle medie superiori lo usano in classe. ore 13-14 Si mangia La pausa pranzo è
uno dei momenti di picco per chi ama cinguettare su Twitter: chi «posta» tra le 13 e le 15 ha più possibilità di
essere letto. Lo smartphone si affianca al sandwich nell'81 per cento dei casi. ore 14-18 Il dopopranzo L'ora
migliore su Facebook è alle 16, con i post più letti. È anche l'ora in cui i gruppi di Whatsapp sono più attivi, e il
momento in cui si organizza il programma della sera. ore 18-20 Il dopolavoro Lo smartphone non ci
abbandona nemmeno in palestra. Serve per controllare calorie bruciate e km percorsi. ore 20-22 Aperitivo e
cena È uno dei momenti in cui vengono scattati più «selfie» e si scatenano le condivisioni istantanee. Lo usa
l'81 per cento degli utenti. ore 22-23 Tutti a letto L'ultima occhiata prima di dormire va al cellulare, anche dopo
aver spento la tv. In Italia il 90% delle coppie in crisi denuncia, tra le cause di calo del desiderio, la distrazione
da smartphone. 24
DOVE SIAMO CONNESSI Quota di utilizzatori di smartphone nelle diverse situazioni, in tutto il mondo. 96%
Al lavoro 93% Nelle attività all'aperto 84% In autobus, metro, treno 81% Al bar, nei locali notturni 75% In
bagno 72% In casa, a colazione e a cena 71% Al ristorante 70% In auto, alla guida 67% Al primo
appuntamento galante 45% Al cinema e a teatro 33% In chiesa
Promette di lasciare il telefono nella borsa e liberare la mente. Si chiama Ringly ed è un gioiello intelligente
da mettere al dito. Si collega allo smartphone senza fili e s'illumina solo se arriva una chiamata o un
messaggio veramente importante. Il gioiello costa 190 euro. Ci sono poi due applicazioni per aiutarci a tener
lo smartphone spento: Offtime limita l'uso delle app cui siamo più addicted; Moment istiga gli utenti a
gareggiare tra loro a chi usa di meno il cellulare.
CHE COSA CI FACCIAMO IN AUTO Sette conducenti su 10 usano il cellulare, e non per telefonare: in Italia
un incidente stradale su cinque è causato dal cellulare. 17% selfie 12% video 33% email 10% video chat 61%
sms 40% social network 28% web
Foto: Fonti: Deloiite Global mobile survey, Flurry Yahoo!, Comscore, Salesforce Mobile behaviour report,
Prosper mobile insights, WeAreSocial
Foto: LE ULTIME NOVITÀ PER CHI VUOLE USCIRE DAL TUNNEL La corsia dedicata ai «grandi
utilizzatori» di smartphone, aperta nel 2014 a Washington: accesso esclusivo a rischio e pericolo degli
utilizzatori. Anversa, in Belgio, ha da poco fatto la stessa scelta «social».
Foto: Anche tu, ormai, fai parte della look-down generation? Di' la tua sulla pagina Facebook di Panorama.
23/07/2015
Pag. 58 N.30 - 29 luglio 2015
diffusione:446553
tiratura:561533
FLAT TAX SOGNO POSSIBILE
Matteo Renzi promette la rivoluzione copernicana del fisco. Forza Italia e Lega ripropongono un'aliquota
unica sui redditi (flat tax). Ma come ridurre e semplificare le tasse senza scassare i conti pubblici? Panorama
lo ha chiesto al centro studi ImpresaLavoro. Risultato: un'Irpef con due soli gradini...
Gianni Zorzi*
Il tema del fisco è tornato di grande attualità Non solo per gli annunci di Matteo Renzi, che promette di
rivoluzionare le tasse partendo dall'abolizione delle imposte sulla prima casa. Ma anche perché sono
ricomparse nel dibattito politico italiano alcune proposte sulla possibile introduzione di una «flat tax» sui
redditi personali. Questo sistema di tassazione, già attivo in una quarantina di Paesi (e diffuso soprattutto
nell'Europa dell'Est), consisterebbe nell'applicazione di un'aliquota unica sui redditie condurrebbe alla
rottamazione del complesso di aliquote marginali, deduzioni e detrazioni che caratterizzano il calcolo dell'Irpef
odierna. Gli obiettivi principali dichiarati dai sostenitori della flat tax sono almeno tre: a) semplificare il calcolo
delle imposte a beneficio del contribuente; b) ridurre la pressione fiscale e aumentare il reddito disponibile
come incentivo agli investimenti e alla crescita; c) favorire il riemergere di redditi nascosti all'erario
garantendo una maggiore equità fiscale. La flat tax nella sua accezione più pura nasce come tassa
proporzionale poiché colpisce il reddito con la stessa intensità dal primo all'ultimo centesimo dichiarato. In
effetti, abbandonare ogni tipo di deduzione e detrazione e fissare un'aliquota unica del 19 per cento sarebbe
sufficiente in Italia a garantire lo stesso gettito fiscale che attualmente incassa lo Stato sull'Irpef. Ogni punto
di aliquota inferiore a questa metterebbe invece a repentaglio circa 8,1 miliardi di gettito: a meno di
confinarne drasticamente la portata una flat tax pura del 15 per cento potrebbe costare all'erario fino a 32,5
miliardi, e del 10 per cento fino a 73,2 miliardi. Il 19 per cento equivale infatti al dato medio, arrotondato per
eccesso, delle imposte nette (153,7 miliardi di euro inclusa la cedolare secca) che provengono dal reddito
personale complessivo dichiarato dagli italiani (810 miliardi nel 2014). L'Irpef come la conosciamo è però
un'imposta fortemente progressiva e mentre sotto i 10 mila euro di reddito i contribuenti mediamente versano
oggi il 2,8 per cento, tra i 10 mila e i 20 mila sono colpiti per oltre l'11,1 per cento, e nella fascia tra 20 e 29
mila euro di reddito pagano in media il 16,4 per cento. Queste categorie risulterebbero evidentemente
svantaggiate da un passaggio all'aliquota proporzionale. Ben diverso il discorso per chi oggi ad esempio
guadagna 50 mila euro (con un'imposta effettiva superiore al 25 per cento), 80 mila euro (oltre il 30 per cento
di imposta netta), oppure più di 300 mila euro (con un'imposizione media del 39,48 per cento). E si pensi che
già dai 28 mila euro di reddito, l'attuale Irpef impone che ogni euro di reddito addizionale dichiarato costi tra i
38 e i 43 centesimi, senza contare le addizionali locali che pesano in media per un altro 2,1 per cento. Per
queste categorie l'incentivo all'evasione è dunque oggi molto elevato, e potrebbe ridursi notevolmente proprio
con l'adozione della flat tax. Nel contempo però, appare irrinunciabile la garanzia di una esenzione sui primi
redditi, che eviti almeno alle fasce più deboli di farsi carico della riduzione di gettito operata su quelli più
elevati. Nella pratica esistono versioni progressive o marginali della flat tax che colpiscono solamente la parte
di reddito che supera la soglia di esenzione, a sua volta definita come «no-tax area». Al di là dei tecnicismi, il
nostro Paese può realisticamente sostenere il passaggio a questo sistema? E in caso di risposta positiva,
quale combinazione di aliquote e deduzioni fisse può essere stabilita, al fine di contenere entro una
determinata soglia i rischi di minori introiti per l'erario? Ad esempio, secondo le elaborazioni di
ImpresaLavoro, con una no-tax area fissa da tremila euro a contribuente e con un'aliquota del 15 per cento il
disavanzo complessivo potrebbe superare i 55 miliardi. La parità di gettito si raggiungerebbe con certezza, a
fronte di tremila euro di deduzione per contribuente, solo con un'aliquota del 22 per cento, mentre non si
potrebbe andare sotto il 24 per cento se i tremila euro fossero estesi anche ai familiari a carico.
Diversamente, bisognerebbe sperare in una massiccia emersione del «nero»: agli occhi del fisco dovrebbero
però comparire, anche nella migliore delle ipotesi, nuovi redditi per almeno 413 miliardi. Questo obiettivo
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/07/2015
69
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
GRANDI RIFORME
23/07/2015
Pag. 58 N.30 - 29 luglio 2015
diffusione:446553
tiratura:561533
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/07/2015
70
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
appare quantomai ambizioso, dal momento che corrisponderebbe a un incremento di oltre il 50 per cento dei
redditi attualmente portati in dichiarazione. È chiaro quindi che una grossa fetta delle risorse andrebbe
necessariamente ricercata altrove, ed in particolare nella riduzione della spesa pubblica che di per sé risulta,
come si sa, sempre incerta e difficoltosa. C'è poi il problema delle fasce deboli, per le quali le deduzioni di
tremila euro non sarebbero sufficienti a scongiurare l'aggravio fiscale: sotto i 10mila euro potremmo assistere,
bene che vada, addirittura a un raddoppio delle imposte, mentre tra i 10mila e i 20mila il gettito rimarrebbe
nella media invariato. Diversi tentativi di declinare il binomio aliquota unica-deduzione fissa possono portare a
soluzioni meno costose per i redditi più bassi. Aumentare la no tax area a seimila euro oppure a ottomila euro
per contribuente determinerebbe però la necessità di portare l'aliquota unica rispettivamente al 26 oppure al
29 per cento al fine di garantire la stabilità dei conti pubblici. Se la deduzione arrivasse a 13 mila euro, una
flat tax al 30 per cento potrebbe costare al fisco ben 35 miliardi,e ogni ulteriore punto di riduzione altri 3,9.
Secondo le nostre elaborazioni, almeno in un primo momento garantire tutti gli obiettivi della flat tax con
un'aliquota unica e relativamente bassa potrebbe essere in effetti poco realistico. Abbassare le deduzioni
danneggerebbei redditi più modesti mentre incrementare l'aliquota svilirebbe lo shock fiscale desiderato;
qualunque intervento nelle direzioni opposte, invece, potrebbe mettere in tensione i conti dello Stato. Il vero
nodo nel breve periodoè soprattutto l'incertezza sul gettito concretamente recuperabile dalla riemersione dei
redditi nascosti. Tale incertezza però potrebbe essere testata, per esempio, con una prima riforma meno
ambiziosa e audace di quelle sinora proposte: se l'esperimento andasse a buon fine e le dichiarazioni dei
redditi potessero confermarlo, in un secondo momento il taglio delle tasse potrebbe essere ben più deciso e
corposo. Un esempio plausibile, secondo i nostri numeri, potrebbe essere quello di una no tax area di
ottomila euro con una flat tax (impropria) a due stadi: per esempio del 20 per cento fino a 29 mila euro di
reddito, e del 27 per cento oltre i 29 mila euro. Non si tratterebbe dunque di una imposta realmente «piatta»
ma porterebbe con sé molti dei benefici attesi dai sostenitori dell'aliquota unica. Con questa soluzione le
tasse calerebbero in media per tutti i livelli di reddito, anche sui più bassi, mentre il calcolo delle tasse
risulterebbe notevolmente semplificato con l'eliminazione di tutto l'attuale sistema di deduzioni e detrazioni e
la riduzione a due sole aliquote. Nel contempo, il possibile disavanzo fiscale che ne conseguirebbe (che
stimiamo prudenzialmente in 21,4 miliardi) sarebbe interamente recuperabile con l'emersione di 130 miliardi
di euro di redditi non dichiarati: obiettivo che corrisponde al più 16 per cento rispetto alle attuali dichiarazioni e
che sarebbe comunque favorito da un abbattimento consistente del prelievo soprattutto sui redditi medio-alti.
Il tentativo così delineato potrebbe estendersia una revisionee semplificazione delle addizionali locali Irpef,
oltre che al reddito d'impresa (a cui potrebbe accompagnarsi finalmente l'abolizione dell'Irap, come propone
Renzi per il 2017),e ad altre forme di prelievo come quello sui redditi finanziari, per arrivare sino all'Iva. In tutti
i casi, con la flat tax il contribuente potrebbe finalmente ritrovarsi un fisco più semplice e trasparente, oltre
che meno vorace e più equo. * docente di finanza dell'impresa e dei mercati, consulente per l'area finanza di
ImpresaLavoro Illustrazione: Stefano Carrara
Quanto guadagnerebbero in più gli italiani con la doppia aliquota
Con un'aliquota del 20% fino a 29 mila euro e del 27% oltre i 29 mila euro (e con i redditi sotto gli 8 mila euro
non tassati), chi guadagna 60 mila euro all'anno si troverebbe in tasca 7 mila euro in più. +560 REDDITO
LORDO ANNUO 20.000 REDDITO NETTO ATTUALE 17.040 REDDITO NETTO CON LE NUOVE
ALIQUOTE 17.600 +3.280 40.000 30.320 33.600 +7.030 60.000 42.570 49.600+16.720 80.000
48.880 65.600 +15.930 100.000 65.670 81.600 +38.930 200.000 122.670 161.600 +61.930 300.000 179.670
241.600 +107.930 500.000 293.670 401.600
Come cambierebbero le aliquote con la flat tax Fasce di reddito lordo annuo Imposizione media effettiva con
il sistema attuale Flat tax del 15% con no-tax area fino a 3mila euro estesa ai familiari Flat tax del 24% con
no-tax area fino a 3mila euro estesa ai familiari La nuova proposta Due aliquote del 20% fino a 29mila euro di
reddito, e del 27% oltre i 29mila euro, con no-tax area fino a 8mila euro. Fino a 10.000 2,8% 5,4% 8,6% 0,7%
Da 10.000 a 20.000 11,1% 10,8% 17,3% 9,4% Da 20.000 a 29.000 16,4% 12,4% 19,8% 13,3% Da 29.000 a
23/07/2015
Pag. 58 N.30 - 29 luglio 2015
diffusione:446553
tiratura:561533
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/07/2015
71
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
50.000 22,0% 13,2% 21,2% 22,6% Da 50.000 a 80.000 28,4% 14,0% 22,4% 24,4% Da 80.000 34,6% 14,5%
23,3% 25,8% Diff. gettito in miliardi -55,1 4,1 -21,4
Foto: Riuscirà Renzi a ridurre la tasse? Di' la tua sulla pagina Facebook di Panorama.
23/07/2015
Pag. 61 N.30 - 29 luglio 2015
diffusione:446553
tiratura:561533
Massimo Blasoni*
La pressione dell'insieme di imposte e tasse sul nostro Pil è passata dal 20 per cento del 1975 al 50 per
cento, in termini reali, del 2015. Un aumento enorme sia delle imposte dirette sia di quelle indirette che non
ha lasciato indenni né la casa né i nostri risparmi. Dal 2010 ad oggi le tasse sulle abitazioni sono passate da
32 a 50 miliardi e quelle sul risparmio da 9 a 16. La Total tax rate sulle imprese è tra le più alte al mondo e
raggiunge il 65,4 per cento dei redditi prodotti dalle nostre aziende. È indifferibile, quindi, un'azione di
contenimento del carico fiscale, almeno sui redditi delle persone. La flat tax, anche in una versione «italiana»
a due aliquote, rappresenta certamente una strada utile ma soprattutto percorribile, come è dimostrato dal
nostro studio. *Imprenditore e presidente del Centro studi ImpresaLavoro
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/07/2015
72
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Una proposta che funziona
23/07/2015
Pag. 62 N.30 - 29 luglio 2015
diffusione:446553
tiratura:561533
L'INGEGNERE, LA CENTRALE E LA VERITÀ DIETRO IL FUMO
Quando nel 2013 scoppiò il caso dell'impianto inquinante di Vado Ligure, Carlo De Benedetti negò che il
gruppo Cir avesse un ruolo nella sua gestione. Oggi si scopre che i suoi manager facevano pressioni sul
governo Renzi per ottenere leggi di favore.
Antonio Rossitto
Avvelenati. L'inchiesta che imbarazza De Benedetti». Era il 26 settembre 2013 quando Panorama, in una
storia di copertina, raccontava una vicenda ancora poco nota: l'indagine sull'inquinamento, le malattie e i
morti causati dalla centralea carbone di Vado Ligure, alle porte di Savona. L'impianto in quel momento è della
Tirreno Power, società controllata dal gruppo francese Gdf Sueze partecipata al 39 per cento da Sorgenia, la
malandata azienda energetica della famiglia di Carlo De Benedetti, poi ceduta lo scorso marzo alle banche,
dal 2007 al 2011 azionista di maggioranza della centrale di Vado. La reazione dell'Ingegnere fu dura:
smentite, comunicati e una richiesta di risarcimento da 1 milione di euro. Forse allora De Benedetti non
pensava che l'inchiesta rivelata da Panorama avrebbe preso velocità, verifica giudiziaria dopo verifica
giudiziaria, finoa essere ripresa da tuttii quotidiani italiani. Compreso il suo: La Repubblica. Che il 15-16 luglio
2015 ( vedere anche l'articoloa pag. 64) ha finalmente raccontato dell'inchiesta e dell'intercettazione in cui
Andrea Mangoni, allora amministratore delegato di Sorgenia, fa pressioni su Claudio De Vincenti, ex
viceministro dello Sviluppo economico e ora sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Dalla storia di
copertina di Panorama sono passati quasi due anni. Il 18 giugno 2015 la Procura di Savona, guidata da
Francantonio Granero, ha notificato la conclusione delle indagini preliminari a 86 persone. I reati contestati
vanno dal disastro ambientale doloso al disastro sanitario colposo, dall'abuso d'ufficio all'omicidio colposo
plurimo. Secondo l'accusa,i fumi delle ciminiere avrebbero causato enormi danni alla salute: dai 298 ai 433
bambini ammalati, dai 2.161 ai 2.233 ricoveri di adulti per malattie cardiovascolari e respiratorie, dai 657 ai
427 morti per le stesse patologie. Tra gli indagati ci sono: l'ex giunta regionale ligure al completo, molti
amministratori locali, tecnici ministeriali e regionali. E ben 40 dirigenti e membri del consiglio
d'amministrazione della Tirreno Power, tra cui diversi manager della galassia debenedettiana. Eppure il 26
settembre 2013, dopo l'uscita di Panorama, una nota della Cir, la holding di famiglia dell'Ingegnere, chiariva
sdegnata: «La centrale non è di Carlo De Benedetti. Né lui né alcun rappresentante di Cir hanno ruoli in
Tirreno Power. Uno degli azionisti, con una quota di minoranza del 39 per cento detenuta indirettamente, è
Sorgenia, controllata da Cir.E Sorgenia non gestisce in alcun modo la centrale di Vado Ligure». Infine,
l'annuncio: «Il gruppo Cir tutelerà la propria immagine in tutte le sedi competenti». La querelaa Panorama
arriva il 24 febbraio 2014: gli articoli pubblicati avrebbero leso «l'onore, la reputazione e l'immagine pubblica»
del querelante. A pagina 25, in grassetto, si legge: «Né l'ingegnere De Benedetti né la Cir hanno mai svolto
attività di gestione della Tirreno Powere tanto meno della centrale di Vado Ligure». Si sottolinea poi che la
«riconduzione» dell'impianto alla famiglia «è fondata su presupposti fattuali falsi». Sedici mesi dopo, le
intercettazioni dell'inchiesta savonese, diffuse alla metà di questo mese, dimostrano il contrario. Alcuni
manager di Cire Sorgenia non solo si sarebbero occupati della centrale. Ma avrebbero cercato, tramite l'ex
viceministro De Vincenti e alcuni parlamentari del Pd, di stravolgere norme, fare pressioni sul ministero
dell'Ambiente, aggirare le leggi. Il 29 aprile 2014, due mesi dopo la querela, i carabinieri del Noe di Genova
intercettano una telefonata di Francesco Dini, direttore degli affari generali della Cir e membro del consiglio
d'amministrazione dell' Espresso, con il direttore generale di Tirreno Power, Massimiliano Salvi. Dini non è un
dirigente qualsiasi, è direttore degli affari generali della Cir dal marzo 2004. È soprattutto un top manager
cresciuto all'interno del gruppo, e che da oltre un decennio gode della piena fiducia dell'Ingegnere.
Nell'intercettazione, il direttore generale della Cir riferisce il suo attivismo per far adottare una «leggina» che
favorisca Tirreno Power. Dini, al telefono, rivendica: «Sono stato il primoa sostenere questa cosa in una
riunione lì al ministero». E ancora: «Io, infatti, il discorso che mi sono preparato per questa sera per De
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/07/2015
73
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
IL CASO TIRRENO POWER
23/07/2015
Pag. 62 N.30 - 29 luglio 2015
diffusione:446553
tiratura:561533
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/07/2015
74
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Vincentiè quello di fare la norma interpretativa...». Anche i vertici di Sorgenia si spendono per la causa.
Eppure, nella nota inviataa Panorama, la Cir garantiva il contrario: «Sorgenia non gestisce in alcun modo la
centrale di Vado Ligure». Ma il 25 novembre 2014 l'ex amministratore delegato di Sorgenia, Mangoni, chiama
De Vincenti al ministero: «Noi stiamo finendo i nostri giri, diciamo sia in loco che a Roma» lo informa. E gli
avanza «una richiesta molto forte di aver un segnale da parte del governo». Riferisce di «nostri» parlamentari
del Pd. De Vincenti si dice d'accordo, però spiega: «Devo evitare di dare l'impressione d'ingerenza». Intanto,
in campo giudiziario, le accuse sono sempre gravi. Il procuratore Granero e il pm Chiara Maria Paolucci,
nell'avviso di conclusione delle indagini, accusano: «La società provocava emissioni massicce di
macroinquinanti, con un quadro emissivo peggiorativo rispettoa quello conseguito nella gestione Enel fino alla
fine degli anni Novanta». Un minor rispetto dell'ambiente che coincide con il periodo in cui la centrale, nel
2002, è acquisita da una cordata guidata dalla Cir. I magistrati scrivono che sono anni caratterizzati da
modesti investimenti per l'ambiente: manutenzione ridotta, gestione illecita delle ceneri, materie prime scarse.
Ma anche da profitti favolosi: «Tra il 2002 e il 2013 i gruppi a carbone hanno contribuito per oltre 1 miliardo di
euro al margine di contribuzione della società».E «tra il 2006e il 2009», gran parte del periodo in cui
Sorgeniaè l'azionista di maggioranza, «la distribuzione effettiva di utili ai soci è pari ad almeno 700 milioni di
euro». Più immaginifico Giulio Rolandino, dirigente di Mediobanca, al telefono con Mangoni il 18 settembre
del 2014: «Se non fossero stati portati via 700 milioni di dividendi si poteva rifare la centrale d'oro». Luca
Zennaro, Imagoeconomica La centrale a carbone della Tirreno Power a Vado Ligure (Savona): dal 2013 è al
centro di un'inchiesta per disastro ambientale.
19 settembre 2013 Esplode il caso dell'inchiesta della Procura di Savona sulla centrale Tirreno Power a Vado
Ligure, costruita nel 1971 e di proprietà di Gdf, Sorgenia (controllata dalla Cir), Iren ed Hera. L'accusa:
disastro ambientale e omicidio colposo. 18 febbraio 2014 Il procuratore di Savona, Francantonio Granero,
dichiara: «Possiamo addebitare alla centrale circa 450 vittime». 11 marzo 2014 Il Tribunale di Savona ordina
alla Tirreno Power di chiudere l'impianto di Vado per violazione delle norme sull'inquinamento. Aprile 2014 La
Procura indaga oltre 50 persone: tra di loro l'ex governatore della Liguria, Claudio Burlando. 28 marzo 2015
La Cir cede alle banche creditrici la sua quota in Sorgenia, indebitata per quasi 900 milioni. 18 giugno 2015
La Procura chiude le indagini. Gli indagati sono in totale 86.
Foto: «NÉ LA CIR NÉ CARLO DE BENEDETTI HANNO RUOLI IN TIRRENO POWER» (da una nota della
Cir del 26 settembre 2013)
23/07/2015
Pag. 64 N.30 - 29 luglio 2015
diffusione:446553
tiratura:561533
Quasi due anni di silenzio sull'inchiesta. Poi la Cir vende Sorgenia. Allora...
Annalisa Chirico
La Repubblica «scopre» il caso Vado Ligure. Dopo averlo ignorato per due anni, lo scorso 15 luglio il
quotidiano di Carlo De Benedetti rompe il silenzio, riportando a pagina 20 notizie sull'inchiesta della
magistratura savonese sulla centrale a carbone Tirreno power. Ma il fascicolo è noto alle cronache sin
dall'ottobre 2013, quando era esploso il disastro ambientale che, secondo la Procura di Savona, avrebbe
causato alcune centinaia di morti. Come si spiega la svolta giornalistica? Forse con l'entità delle indagini (86
indagati)? A pensar male, anche a costo di fare peccato, c'è da rilevare che dallo scorso marzo la proprietà
della centrale elettrica non ha più niente a che fare con la famiglia De Benedetti (proprietaria della Repubblica
). Fino a quattro mesi fa, invece, la centrale di Vado era per metà di Gdf Suez e per metà di Energia italiana,
una società partecipata al 78 per cento da Sorgenia, l'azienda di produzione di energia elettrica controllata
dalla Cir dei De Benedetti. Sorgenia però naviga nei debiti e quando le banche sottoscrivono un aumento di
capitale, in marzo la Cir si tira fuori. Così, dopo la fuoriuscita dell'editore, il dossier bollente può essere reso
noto ai lettori della Repubblica. Con alcune accortezze, ça va sans dire. Il cognome della famiglia viene
riportato con estrema parsimonia. Grande risalto hanno invece le intercettazioni dell'allora viceministro
Claudio de Vincenti, non indagato, che dovendo per mestiere risolvere crisi industriali svela una scontata
familiarità con i dirigenti di un'azienda sotto sequestro. Non pare meritino diffusione invece le intercettazioni,
riportate dagli altri giornali, tra l'ex amministratore di Sorgenia e un dirigente di Mediobanca dove, a detta dei
magistrati, «viene espressa la consapevolezza che se i soci non si fossero divisi interamente gli utili maturati
negli anni addietro ci sarebbero di fatto stati i fondi da investire nelle migliorie ambientali della centrale
termoelettrica». Una cifra non da ridere: 700 milioni di dividendo. Su questo cala il silenzio. Forse perché
l'utile è entrato in parte nella pancia di Cir? In attesa di una risposta, centinaia di operai sono comunque in
cassa integrazione.
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/07/2015
75
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
E LA REPUBBLICA SI ACCORSE DI VADO
SCENARIO PMI
1 articolo
23/07/2015
Pag. 1
diffusione:25000
EUROPA E ITALIA. VISCO A TUTTO CAMPO*
"L'euro non può rimanere senza uno stato". E poi il dopo Grecia, le tasse e le ragioni (anche culturali) di una
ripresa ancora lenta.
DI CLAUDIO CERASA E MARCO VALERIO LO PRETE
Roma. Ignazio Visco riceve il Foglio quando si è appena conclusa la conference call dei Governatori del
Consiglio direttivo della Banca centrale europea. L'Istituto presieduto da Mario Draghi, il suo predecessore al
vertice della Banca d'Italia, ha deciso di alzare nuovamente, a 900 milioni di euro, i fondi della liquidità
d'emergenza (Ela) per le banche greche. La conversazione con il Governatore, dunque, non può che iniziare
dallo stato attuale dell'unione monetaria, per poi arrivare a tutto il resto: l'euro come moneta senza stato, la
lezione per l'Italia che arriva dalla Grecia, i criteri giusti per ragionare sul taglio delle tasse e sulla revisione
della spesa pubblica e gli indicatori giusti da osservare per capire la direzione imboccata dal nostro paese.
Cominciamo subito da un tema che il Governatore non ha ancora affrontato pubblicamente: una valutazione
rispetto a quanto accaduto negli ultimi sei mesi in Europa. Domanda: l'area dell'euro esce indebolita o
rafforzata dalla prova greca? "Per ora, più consapevole - si limita a dire Visco - L'integrazione europea ha
proceduto storicamente per fasi. Dai disastri del Dopoguerra è cresciuta con l'aspirazione della pace, della
giustizia, della libertà. A lungo abbiamo concentrato l'attenzione sulla capacità di sviluppo economico
dell'area che, anche grazie all'integrazione stessa, è oggi elevata. Prima è venuto il mercato interno, poi la
moneta unica. E già al momento della nascita dell'euro Tommaso Padoa-Schioppa - di cui il Governatore
conserva uno degli ultimi libri sulla scrivania nell'ufficio di via Nazionale - sosteneva che una moneta senza
stato non può essere sostenibile a lungo". Un insegnamento ancora valido, secondo il Governatore: "Se
l'integrazione è un processo, l'unione politica dev'esserne l'esito. Nelle tappe intermedie s'incontrano rischi, e
oggi il rischio è costituito dalla diffidenza tra nazioni che è emersa prepotentemente negli ultimi mesi". Visco
precisa di riferirsi tanto alla crisi greca, quanto alla possibilità di un Brexit del Regno Unito. E quanto ad
Atene, lo sboom finanziario è stato solo il detonatore di una situazione accumulata negli anni, "con una
crescita economica non sostenuta da un aumento della produttività, con una spesa al di là delle proprie
possibilità e il conseguente crescente squilibrio di bilancio". Adesso, "la questione del debito greco andrà
affrontata, anche allungandone ulteriormente nel tempo le scadenze, ma è evidente che questo non sarà
sufficiente a superare le difficoltà del paese. Il costo del debito per la Grecia è già basso, il rimborso è diluito
nel tempo". La conclusione che il Governatore trae è la seguente: "Una moneta non può rimanere senza
stato, punto". Per convincere della solidità della costruzione europea non basta l'unione bancaria: "All'apice
della crisi del debito sovrano le tensioni riflettevano non solo i rischi di default dei singoli stati, ma anche la
preoccupazione per un eventuale "rottura" della moneta unica. Molto è stato fatto da allora, ma serve di più,
bisogna pensare a introdurre nell'area dell'euro elementi formativi di uno stato". Il riferimento di Visco è
"all'unione politica, che non può che passare attraverso la tappa intermedia dell'unione di bilancio". Il
Governatore non nomina gli Eurobond ma cita piuttosto gli studi di alcuni ricercatori di Palazzo Koch sulla
possibilità di mettere in comune una parte dell'assicurazione contro la disoccupazione e dei trattamenti
previdenziali. Necessaria armonizzazione della giustizia "A voler guardare ancora più in là, c'è la questione
dell'armonizzazione dei sistemi nazionali della giustizia. O, se volete, bisognerebbe riflettere sulla tempistica
dei vari voti nazionali che si potrebbe uniformare per evitare quel clima da campagna elettorale permanente
che si respira in Europa. Senza accantonare, poi, l'idea di una difesa unica. E se mi consentite la
provocazione, vi direi che oggi per salvaguardare l'integrazione europea una difesa unica sarebbe persino più
efficace, per certi versi, di una moneta unica". Se non sono gli Stati Uniti d'Europa, poco ci manca: "Per fare
tutto questo i leader dovrebbero affrontare costi politici importanti ma ne riceverebbero benefici altrettanto
importanti. Il senso dell'Europa in fondo è questo: accettare di ridurre la sovranità nazionale in cambio di
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 23/07/2015
77
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Intervista col Governatore di Bankitalia
23/07/2015
Pag. 1
diffusione:25000
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 23/07/2015
78
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
condivisione delle responsabilità". Le opinioni pubbliche però scalpitano, ne è un esempio la retorica anti
banche e anti finanza che ha colonizzato negli ultimi tempi gran parte del dibattito mediatico. "Il Premio Nobel
Amartya Sen giustamente si è chiesto: 'Come è possibile che una attività tanto utile come la finanza sia stata
giudicata così dubbia sotto il profilo etico?". Solone che nella Grecia antica proibisce il credito, Gesù che
caccia i mercanti dal tempio, di esempi Visco ne cita a iosa, poi si ferma: "Episodi, comportamenti censurabili
ci sono stati, ma la finanza ben regolata serve. Trasferisce risorse nello spazio e nel tempo, dunque ha un
compito vitale per tutti noi". E poi sulla situazione delle banche greche, aggiunge: "Si dice, tra le altre cose,
che gli aiuti europei sono andati a sostituire i crediti privati. In parte è vero, ma è anche servito a evitare gravi
conseguenze per la stabilità finanziaria della Grecia e dell'area". Le Banche centrali europee sono
ovviamente consapevoli dell'importanza del sistema finanziario, perciò, continua Visco, "dall'inizio dell'anno
fino alla settimana pre referendum, l'Eurosistema ha dato 90 miliardi di liquidità alle banche greche; a questi
si aggiungono altri 40 miliardi di liquidità concessa nelle altre operazioni di rifinanziamento. In tutto 130
miliardi, quasi quanto tre quarti del pil greco". Krugman e le spinte anti euro Sulla strada dell'integrazione
politica s'incontreranno sempre più spesso critiche severe anche da opinionisti quotati, come un altro Premio
Nobel, Paul Krugman. Governatore, nota un accanimento anti euro da parte dei liberal anglosassoni?
"Queste critiche non provengono soltanto dai liberal. C'è Krugman, ma c'è anche Martin Feldstein. Sono
critiche non di oggi, mosse anche prima dell'avvio della moneta unica, e in ultima analisi riconducibili alla tesi
secondo cui le economie europee hanno fatto male a privarsi dello strumento del cambio. Si potrebbe
rispondere con i vantaggi che discendono dalla moneta unica, ad esempio per gli scambi commerciali
all'interno dell'area, ma soprattutto osservo che lo stesso Krugman riconosce, nelle sue ricerche, che nel
lungo periodo quello che conta è il cambio reale, non quello nominale. E il cambio reale dipende dalla
produttività di un paese". Dall'Europa arriviamo dunque al nostro paese e il Governatore comincia a ragionare
partendo da qui. Continua il governatore Ignazio Visco: "L'Italia è una realtà diversissima dalla Grecia. Ma
rimane una lezione quella di dover aumentare la produttività". Quando deve spiegare ai suoi interlocutori
internazionali il perché della nostra perdurante lentezza nella ripresa, come risponde? "In sintesi: per
arretratezza tecnologica e per il contesto relativamente sfavorevole in cui operano le imprese, a cui
contribuisce in maniera determinante ma non esclusiva la corruzione". La prima: "Quando era noto che
avremmo perso il controllo del cambio, con annessa possibilità di svalutazioni competitive, le imprese
avrebbero dovuto investire di più sulla propria produttività. Invece, in media, sono rimaste indietro nell'uso
delle tecnologie, non solo di quelle dell'informazione e non solo nella manifattura. Ancora oggi, l'Italia è
indietro nella spesa per la ricerca, soprattutto per la ricerca finanziata dai privati". Un inciso: Visco non è tra
quanti credono alla teoria della "stagnazione secolare", in voga soprattutto in America: "Semplicemente
perché ritengo che esistano ancora capacità inesplorate e molto elevate di far crescere la produttività, pure
negli Stati Uniti". Sul contesto sfavorevole alle imprese, Visco cita per primo il caso della giustizia civile,
"troppo lenta e farraginosa", poi la qualità dei servizi offerti dalla Pubblica amministrazione, quindi la stabilità
e la chiarezza delle regole. "La Pa ha innanzitutto un problema organizzativo. Semplificare le regole che si
sono andate stratificando farebbe già tanto". La spending review aiuterebbe, ma continua ad arenarsi con
qualsiasi governo, non trova? "La revisione della spesa ha senso se non equivale soltanto a tagliare la spesa
- dice Visco - Non dimentichiamo infatti che uno stato di qualità richiede un capitale umano di maggiore
qualità. Servono investimenti su scuola, università, ricerca". E per una sana spending review, "dalle corrette
analisi di tipo 'macro' si deve passare al dettaglio 'micro'. A quel punto è necessario mettere in rilievo le
priorità, identificando i singoli uffici e meccanismi che non funzionano a dovere. Rendendo più produttiva
invece la spesa che c'è". Le ultime due Considerazioni finali di Visco, secondo molti osservatori, hanno
dedicato ampio spazio al ruolo della "domanda", dopo anni di insistenza sulle riforme dal lato dell'offerta.
Chiediamo al Governatore un giudizio su questa lettura: "Non vedo contraddizione tra i due approcci - dice
Visco - Dopo una giusta insistenza sulle grandi riforme necessarie per aggredire i problemi di cui abbiamo
appena parlato, ho voluto sottolineare che sono necessari gli investimenti proprio per cogliere le opportunità
23/07/2015
Pag. 1
diffusione:25000
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 23/07/2015
79
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
create dalle riforme. Che non sono state poche in questi ultimi cinque anni, a partire da quella delle pensioni,
per finire a quelle del mercato del lavoro. Se per quindici anni la produttività complessiva del paese è
stagnante, non dipende sicuramente dalla domanda. E pensare che qualcuno mi rimproverò quando anni fa
scrissi del rischio di 'declino' della nostra economia". Poi però, prosegue il ragionamento di Visco, "se non c'è
domanda non c'è reddito disponibile e non ripartono i consumi. A loro volta gli investimenti dipendono dalla
domanda attesa per il futuro". Diminuire le tasse, meglio ancora se con misure shock come quelle annunciate
dal governo in questi giorni, potrebbe rilanciare la domanda? Il Governatore premette di non voler
commentare provvedimenti che ancora non conosce. Perciò fa solo un ragionamento più generale: "Quando
si riducono le tasse ci sono due considerazioni basilari da compiere. Le tasse servono a pagare servizi: se si
riducono, come si pagheranno questi servizi? Inoltre le tasse sono necessarie a mantenere l'ordine dei conti
pubblici, a non incorrere in ulteriore deficit: se si tagliano, sarà necessario trovare le necessarie coperture,
anche per non turbare le condizioni del mercato del debito sovrano". L'abolizione dell'imposta sulla casa?
"Quale delle tante imposte che vi gravano?", replica provocatorio Visco. "In generale la casa è un asset che,
a livello internazionale, viene normalmente tassato. Perché è un cespite che non si sposta, e perché la casa
solitamente sfrutta servizi pubblici basilari che devono essere finanziati". L'urgenza, piuttosto, il Governatore
la rintraccia in una necessaria "semplificazione" per i contribuenti, a partire dalla "denuncia dei redditi". Il pil
italiano ha smesso di affondare in terreno negativo. Visco però, dal suo osservatorio privilegiato, assieme ai
suoi collaboratori scruta l'andamento di tre indicatori utili a valutare la resilienza di una ripresa dell'economia,
cioè investimenti, credito e occupazione. "Durante la crisi gli investimenti sono caduti di oltre un quarto
rispetto ai livelli del 2007. Il segno 'più' del primo trimestre, per questo, è molto rassicurante. E le intenzioni
delle imprese restano positive". Sul credito, Visco fa la distinzione tra "l'erogazione di nuovi crediti, che sta
migliorando" e "il totale dei crediti, inclusi quelli in essere, che sono ancora in discesa". L'Italia nel 2011 è
state investita da un forte credit crunch, Visco non lo nega, e finché non vedrà un segno positivo anche qui
non starà tranquillo: "Con il Quantitative easing della Bce, però, i tassi sul credito alle imprese si sono ridotti.
Adesso si sta vedendo anche per le piccole imprese". C'è chi sostiene che senza la costituzione di una bad
bank che aiuti gli istituti a liberarsi dei crediti deteriorati, il settore non si riprenderà mai del tutto: "Bad bank è
espressione imprecisa. L'Italia sta lavorando alla costituzione di una società che gestisca crediti deteriorati,
visto che nessuna delle banche italiane è stata a rischio di fallimento come quelle di altri paesi che hanno
necessitato di una bad bank. Abbiamo avuto una esperienza al riguardo con la Sga nel 1996 per il Banco di
Napoli. In ogni caso non si tratta di un regalo alle banche. Senza una soluzione per i prestiti deterioratie,
però, è più difficile liberare risorse per il credito". Bruxelles continua a mostrare un volto arcigno, nota il
Foglio, e viene il dubbio che Roma si sia mossa tardi: "Siamo più vicini di sei mesi fa a un'intesa. Nelle
discussioni con la direzione Concorrenza della Commissione va sottolineato che non si tratta di aiuti di stato".
Intanto però, sulle stesse banche, si esercita la pressione dei regolatori nazionali ed europei affinché
accrescano la loro dotazione di capitale. Non solo: in Europa si discute di assegnare un certo rischio di
credito ai titoli di stato, così spesso presenti nei bilanci degli istituti: "Negli ultimi quattro, cinque anni,
l'aumento di capitale delle banche italiane è stato notevole. Il rapporto tra capitale e attivo è aumentato
nettamente. Ed è aumentata anche la qualità del capitale a disposizione. Sui titoli di stato, la crisi greca ha
dimostrato che effettivamente non sono risk free, come ripete sempre il mio collega tedesco Jens Weidmann.
Vero, appunto. Ora però si apre il dibattito: chi valuta il rischio di questi titoli? Le agenzie di rating? E con
quale tempistica introduciamo queste valutazioni del rischio? Oggi è il momento migliore per farlo?". Alla fine
della conversazione, riavvolgendo il nastro dei primi quattro anni passati a via Nazionale da Governatore,
chiediamo a Visco di ragionare su quello che ci sembra essere un punto centrale della nostra epoca: la
possibilità o meno per i governi di diverso colore politico di poter avere una propria specifica autonomia
rispetto alle scelte di politica economica. Su queste scelte è un errore divedersi ancora tra destra e sinistra?
"In generale mi verrebbe da dire che, specie in periodi in cui l'economia va fatta ripartire, non esistono
direzioni di destra e di sinistra, esistono solo direzioni di buon senso".
23/07/2015
Pag. 1
diffusione:25000
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 23/07/2015
80
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Foto: IGNAZIO
Foto: VISCO
Foto: Ignazio Visco è nato a Napoli il 21 novembre 1949. E' governatore della Banca d'Italia dal 1º novembre
2011