Confimi Apindustria Bergamo
Transcript
Confimi Apindustria Bergamo
CONFIMI Rassegna Stampa del 23/07/2015 La proprietà intellettuale degli articoli è delle fonti (quotidiani o altro) specificate all'inizio degli stessi; ogni riproduzione totale o parziale del loro contenuto per fini che esulano da un utilizzo di Rassegna Stampa è compiuta sotto la responsabilità di chi la esegue; MIMESI s.r.l. declina ogni responsabilità derivante da un uso improprio dello strumento o comunque non conforme a quanto specificato nei contratti di adesione al servizio. INDICE CONFIMI 23/07/2015 Gazzetta di Mantova - Nazionale Un master per l'export per uno sbocco al lavoro 7 CONFIMI WEB 22/07/2015 www.ilgazzettino.it 14:40 Beozzo presidente veneto di Confimi: 3600 imprese, oltre 40 mila addetti «Vogliamo fare sistema a Nordest» 9 22/07/2015 www.ilsussidiario.net 19:11 Pmi: alzano la voce, nasce Confimi Industria Veneto 10 22/07/2015 www.iltempo.it 19:10 Pmi: alzano la voce, nasce Confimi Industria Veneto 11 22/07/2015 www.iltempo.it 19:10 Pmi: alzano la voce, nasce Confimi Industria Veneto (2) 12 22/07/2015 www.arezzoweb.it 18:57 Pmi: alzano la voce, nasce Confimi Industria Veneto 13 22/07/2015 www.arezzoweb.it 18:57 Pmi: alzano la voce, nasce Confimi Industria Veneto (2) 14 22/07/2015 www.padovanews.it 19:57 Pmi: alzano la voce, nasce confimi industria veneto (2) 15 22/07/2015 www.wallstreetitalia.com 21:13 Pmi: alzano la voce, nasce Confimi Industria Veneto (2) 16 22/07/2015 www.sardegnaoggi.it 19:14 Pmi: alzano la voce, nasce Confimi Industria Veneto 17 22/07/2015 www.sardegnaoggi.it 21:17 Pmi: alzano la voce, nasce Confimi Industria Veneto (2) 18 22/07/2015 www.vicenzapiu.com 17:31 Il vicentino William Beozzo primo presidente della neonata Confimi Veneto 19 21/07/2015 regione.abruzzo.it REGIONE: GLI APPUNTAMENTI DEL PRESIDENTE D'ALFONSO 20 22/07/2015 vvox.it 19:07 Vicenza, nasce Comfimi Industria Veneto 21 22/07/2015 www.guidasicilia.it 18:30 Pmi: alzano la voce, nasce Confimi Industria Veneto 22 22/07/2015 www.guidasicilia.it 18:30 Pmi: alzano la voce, nasce Confimi Industria Veneto (2) 23 SCENARIO ECONOMIA 23/07/2015 Corriere della Sera - Nazionale Le condizioni dell'Europa sulla riduzione delle tasse 25 23/07/2015 Corriere della Sera - Nazionale Sanità, a rischio i 2,3 miliardi di risparmi previsti per quest'anno 27 23/07/2015 Il Sole 24 Ore Spesa locale, possibili 23 miliardi di risparmi 28 23/07/2015 Il Sole 24 Ore Il debito e il veleno delle opposte narrazioni 29 23/07/2015 Il Sole 24 Ore Piano Juncker, via libera ai primi cinque progetti 31 23/07/2015 Il Sole 24 Ore La «mela» che rischia di avvelenare Wall Street 33 23/07/2015 Il Sole 24 Ore «Taglio tasse stimolo per la crescita» 34 23/07/2015 Il Sole 24 Ore Tra Ilva e magistratura qualche prova di dialogo 36 23/07/2015 Il Sole 24 Ore Entra in vigore la Volcker Rule per le banche 38 23/07/2015 Il Sole 24 Ore «Abbiamo bisogno dell'expertise italiana» 39 23/07/2015 Il Sole 24 Ore Multinazionali, vince la «new economy» 40 23/07/2015 La Repubblica - Nazionale Intesa Sanpaolo volta pagina Avrà un solo cda e tutte le funzioni al suo interno 42 23/07/2015 La Repubblica - Nazionale Whirlpool firma l'intesa "Italia ancora appetibile in ripresa le vendite" 43 23/07/2015 La Repubblica - Nazionale I lavori della rete stradale Anas finanziati con la benzina 45 23/07/2015 La Repubblica - Nazionale La resistenza del ceto medio 46 23/07/2015 La Repubblica - Nazionale "Mai un incidente sui veicoli Fca ma il software è stato aggiornato" 48 23/07/2015 La Repubblica - Nazionale "Siamo vicini al solare economico" 49 23/07/2015 La Stampa - Nazionale MA LA RIFORMA NON PENSA AI PIÙ GIOVANI 50 23/07/2015 La Stampa - Nazionale Carige nel risiko bancario guarda a Popolare Milano 51 23/07/2015 La Stampa - Nazionale PIÙ QUALITÀ NELLA SPESA PUBBLICA 52 23/07/2015 MF - Nazionale Nokia manda in rosso Microsoft 53 23/07/2015 MF - Nazionale Debito su e produzione ferma 54 23/07/2015 MF - Nazionale Sace aggancia la ripresa export 56 23/07/2015 MF - Nazionale La politica degli annunci, senza informazioni vere, non va lontano 57 23/07/2015 MF - Nazionale L'export può crescere fino al 5,5% 59 23/07/2015 MF - Nazionale Renzi mette la sordina a Boeri sulle pensioni 60 23/07/2015 MF - Nazionale ORA NON SI PERMETTA CHE IN GRECIA TORNI LA TENTAZIONE GREXIT 61 23/07/2015 Panorama L'Inps e le pensioni estere 62 23/07/2015 Panorama La sonora lezione greca per i populisti 63 23/07/2015 Panorama Embargo Ue-Russia: i numeri della crisi 64 23/07/2015 Panorama LOOK-DOWN GENERATION 66 23/07/2015 Panorama FLAT TAX SOGNO POSSIBILE 69 23/07/2015 Panorama Una proposta che funziona 72 23/07/2015 Panorama L'INGEGNERE, LA CENTRALE E LA VERITÀ DIETRO IL FUMO 73 23/07/2015 Panorama E LA REPUBBLICA SI ACCORSE DI VADO 75 SCENARIO PMI 23/07/2015 Il Foglio EUROPA E ITALIA. VISCO A TUTTO CAMPO* 77 CONFIMI 1 articolo 23/07/2015 Pag. 12 diffusione:33451 tiratura:38726 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato Un master per l'export per uno sbocco al lavoro Università e Camera di commercio lanciano un corso per ventidue persone Zanini: «Una specializzazione che fa crescere la competitività delle aziende» Un master per l'export per uno sbocco al lavoro Un master per l'export per uno sbocco al lavoro Università e Camera di commercio lanciano un corso per ventidue persone Zanini: «Una specializzazione che fa crescere la competitività delle aziende» Acquisire le conoscenze teorico e pratiche delle tecniche del commercio internazionale per gestire le procedure burocratiche legate a trasporti, normative doganali, contrattualistica, pagamenti e tanto altro ancora. Competenze sempre più richieste dalle aziende che esportano prodotti e servizi all'estero e che possono rappresentare un ideale viatico per il mondo del lavoro. Questo l'obiettivo del Master in commercio estero promosso dalla Fondazione università insieme ad Azienda speciale di Camera di Commercio in collaborazione al team per l'internazionalizzazione composto oltre che dall'ente camerale anche da Provincia, Api, Confartigianato, Confindustria, Agenzia delle Dogane e Mantova Export. Le iscrizioni al corso di formazione, della durata di 3 mesi (da ottobre a dicembre) per un totale di 360 ore (8 ore al giorno dal lunedì al venerdì), sono già aperte e dovranno essere inviate a Mantova Export entro il 15 settembre. La documentazione completa è disponibile sui siti della Fondazione università e su quelli dei soggetti partner. Per potere partecipare è necessario avere al massimo 29 anni ed essere diplomati o laureati. La conoscenza della lingua Inglese (scritto e parlato) rappresenterà titolo preferenziale durante le selezioni, in quanto al Master accederanno 22 allievi. I costi per ciascun candidato saranno di 200 euro, mentre il restante 80% (800 euro per ogni iscritto) lo stanzierà la Camera di Commercio, facendosi quindi quasi completamente carico dell'iniziativa, giunta alla terza edizione. Lo scorso anno l'80% dei frequentanti ha trovato lavoro. «Avere nella propria azienda una persona capace di sbrigare le pratiche con l'estero significa aumentare il tasso di competitività -ha affermato ieri Marco Zanini, segretario della Camera di Commercio durante la presentazione-. Eroghiamo una somma che riuscirà ad abbattere i costi di iscrizione degli allievi. Per la prima volta il Master sarà gestito dalla Fondazione università». Al termine del percorso di studio verrà rilasciato un attestato di frequenza, accessibile soltanto se si saranno effettuate almeno il 75% delle ore complessive. «Andiamo da un minimo di 15 persone ad un massimo di 22 - ha spiegato Michele Minervino, direttore della Fondazione università di Mantova-. Ci aspettiamo partecipanti anche da fuori provincia». Il direttore di Mantova Export, Alessandro Dotti, ha sottolineato che dopo il corso si sarà in grado di entrare in azienda ed essere immediatamente operativi, senza periodi di formazione ulteriori o affiancamento, «che di solito durano un anno». Alla presentazione c'era, inoltre, Renato Dal Cero, presidente di Mantova Export. Graziella Scavazza CONFIMI - Rassegna Stampa 23/07/2015 7 CONFIMI WEB 15 articoli 22/07/2015 14:40 Sito Web www.ilgazzettino.it La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato Beozzo presidente veneto di Confimi: 3600 imprese, oltre 40 mila addetti «Vogliamo fare sistema a Nordest» pagerank: 6 L'imprenditore della Farm di Tezze sul Brenta eletto all'unanimità. Ora cercherà sinergie con friulani e trentini William Beozzo, imprenditore bassanese, presidente veneto di di Claudio Strati BASSANO - Dalla guida del mandamento alla presidenza regionale. Ma restando però sempre vicino alle imprese bassanesi e vicentine. William Beozzo, imprenditore della Farm di Tezze sul Brenta, azienda del settore scaffalature metalliche, è il nuovo presidente di Confimi Industria Veneto. Ed è anche, eletto all'unanimità, il primo presidente, perché con il suo arrivo alla presidenza prende forma pure la confederazione regionale, che finora non era stata costituita. Continua così la crescita della Confimi, nata da una scissione dalla Confapi vicentina. "Non ci trovavamo bene e qualche anno fa abbiamo deciso di uscire - spiega Beozzo - e d'accordo con Vicenza fecero lo stesso anche Bergamo, Modena e Verona. Oggi siamo già in 28 realtà provinciali a comporre la Confimi nazionale. E ora diamo rappresentanza a Confimi Industria Veneto. Il nostro presidente nazionale Paolo Agnelli ha sottolineato l'importanza di attivare questa rappresentanza regionale veneta". William Beozzo ora guida circa 3600 aziende venete, con oltre 40 mila addetti. "Formiamo un'associazione snella, giovane, operativa sulle nuove tecnologie - dice Beozzo - che non vuole pesare con nuovi costi sugli associati. Per questo non farò il 'palazzinaro', ovvero non mi lancio in operazioni per costruzioni o acquisizioni di nuove sedi. La centrale operativa resterà qui, flessibile e 'leggera', dalle sedi di Bassano e Vicenza, sviluppando idee, servizi e attività per tutto il territorio veneto. Ricordo che la nostra sede di Vicenza già svolge le funzioni sindacali, industriali e fiscali per tutte le imprese della regione". Le aziende Confimi sono per il 70/80 per cento provenienti dal settore meccanico. Ma vi sono rappresentate tutte le categorie. Vicentini sono il presidente nazionale dell'alimentare, Riccardo Boscolo, e i vicepresidenti nazionali della chimica, Riu Raimondo, e del legno. Nelle linee guida del nuovo presidente regionale c'è la voglia di fare sistema a Nordest: "Intendiamo allargare le nostre relazioni ad est, verso il Friuli Venezia Giulia, approcciando la Confapi friulana: se intendono collaborare con il nostro contesto, siamo qui. Lo stesso faremo verso il Trentino: con la sede bassanese abbiamo già dei soci trentini, ma intendiamo fare massa critica a Nordest collegandoci al progetto di Alpe Adria. Io cercherò di essere attento alle mie imprese venete così come faccio con quelle del mio mandamento". CONFIMI WEB - Rassegna Stampa 23/07/2015 9 22/07/2015 19:11 Sito Web www.ilsussidiario.net La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato Pmi: alzano la voce, nasce Confimi Industria Veneto pagerank: 6 Vicenza, 22 lug. (AdnKronos) - È nata Confimi Industria Veneto, nuova rappresentanza delle piccole e medie imprese che unirà le forze di tutte le associazioni provinciali aderenti alla confederazione nazionale Confimi Industria, tra le quali Apindustria Vicenza. L'iniziativa nasce dalla volontà di assicurare alle attività produttive una rappresentanza innovativa, capace di sfruttare le nuove tecnologie insieme alle migliori competenze professionali, anche esterne, oltre che alle energie di menti giovani, brillanti e dinamiche. Il primo Presidente di Confimi Veneto sarà William Beozzo, già alla guida di Apindustria Bassano e Vicepresidente provinciale, che ha accettato con entusiasmo l'incarico conferitogli per acclamazione da tutti i referenti territoriali delle Confimi. "Con senso di responsabilità accolgo una sfida importante - spiega Beozzo - perché mi sento costruttore di una realtà nuova, che non prende spunto da esperienze già esistenti, e vuole essere un riferimento per tutto ciò che le attività produttive della Regione si aspettano di rappresentare, ricevere e realizzare in un determinato momento. Non stiamo dando vita ad una struttura che risponderà a schemi fissi, ma ad un'entità malleabile, adattabile, in continua evoluzione, capace di dare una voce univoca e forte a tutte le Pmi del Veneto, ma anche di espandere quei servizi di qualità che vengono garantiti a tutti gli iscritti nelle sedi decentrate del territorio" CONFIMI WEB - Rassegna Stampa 23/07/2015 10 22/07/2015 19:10 Sito Web www.iltempo.it pagerank: 6 Pmi: alzano la voce, nasce Confimi Industria Veneto Vicenza, 22 lug. (AdnKronos) - È nata Confimi Industria Veneto, nuova rappresentanza delle piccole e medie imprese che unirà le forze di tutte le associazioni provinciali aderenti alla confederazione nazionale Confimi Industria, tra le quali Apindustria Vicenza. L'iniziativa nasce dalla volontà di assicurare alle attività produttive una rappresentanza innovativa, capace di sfruttare le nuove tecnologie insieme alle migliori competenze professionali, anche esterne, oltre che alle energie di menti giovani, brillanti e dinamiche. Il primo Presidente di Confimi Veneto sarà William Beozzo, già alla guida di Apindustria Bassano e Vicepresidente provinciale, che ha accettato con entusiasmo l'incarico conferitogli per acclamazione da tutti i referenti territoriali delle Confimi. "Con senso di responsabilità accolgo una sfida importante - spiega Beozzo - perché mi sento costruttore di una realtà nuova, che non prende spunto da esperienze già esistenti, e vuole essere un riferimento per tutto ciò che le attività produttive della Regione si aspettano di rappresentare, ricevere e realizzare in un determinato momento. Non stiamo dando vita ad una struttura che risponderà a schemi fissi, ma ad un'entità malleabile, adattabile, in continua evoluzione, capace di dare una voce univoca e forte a tutte le Pmi del Veneto, ma anche di espandere quei servizi di qualità che vengono garantiti a tutti gli iscritti nelle sedi decentrate del territorio". Adnkronos CONFIMI WEB - Rassegna Stampa 23/07/2015 11 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato Pmi: alzano la voce, nasce Confimi Industria Veneto 22/07/2015 19:10 Sito Web www.iltempo.it pagerank: 6 22/07/2015 19:10 (AdnKronos) - (Adnkronos) - "Confimi Industria Veneto non sarà nemmeno l'ennesima sovrastruttura di organismi già esistenti, che appesantisce il sistema con nuove sedi e cariche gravando sulle quote associative degli imprenditori: Non ci saranno nuove indennità perché verranno sfruttate al meglio tutte le risorse materiali, professionali e umane già presenti attraverso le associazioni provinciali e i mandamenti di Confimi Industria", assicura William Beozzo, che manterrà la carica di presidente per quattro anni, poi rinnovabili per un altro quadriennio. Gli uffici di Confimi Veneto saranno ospitati invece nella nuova sede di Apindustria a Bassano, e in quella centrale di Vicenza."Anche parlando con una sola voce in tutta la Regione - promette il Presidente - resteremo sempre vicini agli imprenditori e alla gente, affrontando i problemi reali delle imprese ma anche le questioni di grande rilevanza sociale per le quali sentiamo una responsabilità , come la disoccupazione o i drammi vissuti dalle vittime di una crisi economica che ancora non ci siamo lasciati alle spalle. Saremo inoltre una voce libera, capace di andare anche oltre gli schemi consolidati nei rapporti con la politica e le banche, e non avremo paura di metterci in contrasto con il sistema, se sarà necessario. Mentre le istituzioni abbandonano spesso i territori e la gente, Confimi Industria Veneto si prepara invece a dar loro una voce più forte". Adnkronos CONFIMI WEB - Rassegna Stampa 23/07/2015 12 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato Pmi: alzano la voce, nasce Confimi Industria Veneto (2) 22/07/2015 18:57 Sito Web www.arezzoweb.it pagerank: 5 Posted on 22 luglio 2015 by Adnkronos in Economia-adn, Nazionali Vicenza, 22 lug. (AdnKronos) - È nata Confimi Industria Veneto, nuova rappresentanza delle piccole e medie imprese che unirà le forze di tutte le associazioni provinciali aderenti alla confederazione nazionale Confimi Industria, tra le quali Apindustria Vicenza. L'iniziativa nasce dalla volontà di assicurare alle attività produttive una rappresentanza innovativa, capace di sfruttare le nuove tecnologie insieme alle migliori competenze professionali, anche esterne, oltre che alle energie di menti giovani, brillanti e dinamiche. Il primo Presidente di Confimi Veneto sarà William Beozzo, già alla guida di Apindustria Bassano e Vicepresidente provinciale, che ha accettato con entusiasmo l'incarico conferitogli per acclamazione da tutti i referenti territoriali delle Confimi. "Con senso di responsabilità accolgo una sfida importante - spiega Beozzo - perché mi sento costruttore di una realtà nuova, che non prende spunto da esperienze già esistenti, e vuole essere un riferimento per tutto ciò che le attività produttive della Regione si aspettano di rappresentare, ricevere e realizzare in un determinato momento. Non stiamo dando vita ad una struttura che risponderà a schemi fissi, ma ad un'entità malleabile, adattabile, in continua evoluzione, capace di dare una voce univoca e forte a tutte le Pmi del Veneto, ma anche di espandere quei servizi di qualità che vengono garantiti a tutti gli iscritti nelle sedi decentrate del territorio". CONFIMI WEB - Rassegna Stampa 23/07/2015 13 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato Pmi: alzano la voce, nasce Confimi Industria Veneto 22/07/2015 18:57 Sito Web www.arezzoweb.it pagerank: 5 Posted on 22 luglio 2015 by Adnkronos in Economia-adn, Nazionali (AdnKronos) - (Adnkronos) - "Confimi Industria Veneto non sarà nemmeno l'ennesima sovrastruttura di organismi già esistenti, che appesantisce il sistema con nuove sedi e cariche gravando sulle quote associative degli imprenditori: Non ci saranno nuove indennità perché verranno sfruttate al meglio tutte le risorse materiali, professionali e umane già presenti attraverso le associazioni provinciali e i mandamenti di Confimi Industria", assicura William Beozzo, che manterrà la carica di presidente per quattro anni, poi rinnovabili per un altro quadriennio. Gli uffici di Confimi Veneto saranno ospitati invece nella nuova sede di Apindustria a Bassano, e in quella centrale di Vicenza. "Anche parlando con una sola voce in tutta la Regione - promette il Presidente - resteremo sempre vicini agli imprenditori e alla gente, affrontando i problemi reali delle imprese ma anche le questioni di grande rilevanza sociale per le quali sentiamo una responsabilità , come la disoccupazione o i drammi vissuti dalle vittime di una crisi economica che ancora non ci siamo lasciati alle spalle. Saremo inoltre una voce libera, capace di andare anche oltre gli schemi consolidati nei rapporti con la politica e le banche, e non avremo paura di metterci in contrasto con il sistema, se sarà necessario. Mentre le istituzioni abbandonano spesso i territori e la gente, Confimi Industria Veneto si prepara invece a dar loro una voce più forte". CONFIMI WEB - Rassegna Stampa 23/07/2015 14 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato Pmi: alzano la voce, nasce Confimi Industria Veneto (2) 22/07/2015 19:57 Sito Web www.padovanews.it pagerank: 5 veneto_economia_4.jpg (AdnKronos) - "Confimi Industria Veneto non sara' nemmeno l'ennesima sovrastruttura di organismi gia' esistenti, che appesantisce il sistema con nuove sedi e cariche gravando sulle quote associative degli imprenditori: Non ci saranno nuove indennita' perch eacute; verranno sfruttate al meglio tutte le risorse materiali, professionali e umane gia' presenti attraverso le associazioni provinciali e i mandamenti di Confimi Industria ", assicura William Beozzo, che manterra' la carica di presidente per quattro anni, poi rinnovabili per un altro quadriennio. Gli uffici di Confimi Veneto saranno ospitati invece nella nuova sede di Apindustria a Bassano, e in quella centrale di Vicenza. "Anche parlando con una sola voce in tutta la Regione " promette il Presidente " resteremo sempre vicini agli imprenditori e alla gente, affrontando i problemi reali delle imprese ma anche le questioni di grande rilevanza sociale per le quali sentiamo una responsabilita', come la disoccupazione o i drammi vissuti dalle vittime di una crisi economica che ancora non ci siamo lasciati alle spalle. Saremo inoltre una voce libera, capace di andare anche oltre gli schemi consolidati nei rapporti con la politica e le banche, e non avremo paura di metterci in contrasto con il sistema, se sara' necessario. Mentre le istituzioni abbandonano spesso i territori e la gente, Confimi Industria Veneto si prepara invece a dar loro una voce piu' forte ". (Adnkronos) CONFIMI WEB - Rassegna Stampa 23/07/2015 15 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato Pmi: alzano la voce, nasce confimi industria veneto (2) 22/07/2015 21:13 Sito Web www.wallstreetitalia.com pagerank: 5 (AdnKronos) - (Adnkronos) - "Confimi Industria Veneto non sarà nemmeno l'ennesima sovrastruttura di organismi già esistenti, che appesantisce il sistema con nuove sedi e cariche gravando sulle quote associative degli imprenditori: Non ci saranno nuove indennità perché verranno sfruttate al meglio tutte le risorse materiali, professionali e umane già presenti attraverso le associazioni provinciali e i mandamenti di Confimi Industria", assicura William Beozzo, che manterrà la carica di presidente per quattro anni, poi rinnovabili per un altro quadriennio. Gli uffici di Confimi Veneto saranno ospitati invece nella nuova sede di Apindustria a Bassano, e in quella centrale di Vicenza."Anche parlando con una sola voce in tutta la Regione - promette il Presidente - resteremo sempre vicini agli imprenditori e alla gente, affrontando i problemi reali delle imprese ma anche le questioni di grande rilevanza sociale per le quali sentiamo una responsabilità , come la disoccupazione o i drammi vissuti dalle vittime di una crisi economica che ancora non ci siamo lasciati alle spalle. Saremo inoltre una voce libera, capace di andare anche oltre gli schemi consolidati nei rapporti con la politica e le banche, e non avremo paura di metterci in contrasto con il sistema, se sarà necessario. Mentre le istituzioni abbandonano spesso i territori e la gente, Confimi Industria Veneto si prepara invece a dar loro una voce più forte". CONFIMI WEB - Rassegna Stampa 23/07/2015 16 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato Pmi: alzano la voce, nasce Confimi Industria Veneto (2) 22/07/2015 19:14 Sito Web www.sardegnaoggi.it pagerank: 4 Vicenza, 22 lug. (AdnKronos) - È nata Confimi Industria Veneto, nuova rappresentanza delle piccole e medie imprese che unirà le forze di tutte le associazioni provinciali aderenti alla confederazione nazionale Confimi Industria, tra le quali Apindustria Vicenza. L'iniziativa nasce dalla volontà di assicurare alle attività produttive una rappresentanza innovativa, capace di sfruttare le nuove tecnologie insieme alle migliori competenze professionali, anche esterne, oltre che alle energie di menti giovani, brillanti e dinamiche. Il primo Presidente di Confimi Veneto sarà William Beozzo, già alla guida di Apindustria Bassano e Vicepresidente provinciale, che ha accettato con entusiasmo l'incarico conferitogli per acclamazione da tutti i referenti territoriali delle Confimi. "Con senso di responsabilità accolgo una sfida importante ? spiega Beozzo ? perché mi sento costruttore di una realtà nuova, che non prende spunto da esperienze già esistenti, e vuole essere un riferimento per tutto ciò che le attività produttive della Regione si aspettano di rappresentare, ricevere e realizzare in un determinato momento. Non stiamo dando vita ad una struttura che risponderà a schemi fissi, ma ad un'entità malleabile, adattabile, in continua evoluzione, capace di dare una voce univoca e forte a tutte le Pmi del Veneto, ma anche di espandere quei servizi di qualità che vengono garantiti a tutti gli iscritti nelle sedi decentrate del territorio". CONFIMI WEB - Rassegna Stampa 23/07/2015 17 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato Pmi: alzano la voce, nasce Confimi Industria Veneto 22/07/2015 21:17 Sito Web www.sardegnaoggi.it pagerank: 4 (AdnKronos) - (Adnkronos) - "Confimi Industria Veneto non sarà nemmeno l'ennesima sovrastruttura di organismi già esistenti, che appesantisce il sistema con nuove sedi e cariche gravando sulle quote associative degli imprenditori: Non ci saranno nuove indennità perché verranno sfruttate al meglio tutte le risorse materiali, professionali e umane già presenti attraverso le associazioni provinciali e i mandamenti di Confimi Industria", assicura William Beozzo, che manterrà la carica di presidente per quattro anni, poi rinnovabili per un altro quadriennio. Gli uffici di Confimi Veneto saranno ospitati invece nella nuova sede di Apindustria a Bassano, e in quella centrale di Vicenza. "Anche parlando con una sola voce in tutta la Regione ? promette il Presidente ? resteremo sempre vicini agli imprenditori e alla gente, affrontando i problemi reali delle imprese ma anche le questioni di grande rilevanza sociale per le quali sentiamo una responsabilità, come la disoccupazione o i drammi vissuti dalle vittime di una crisi economica che ancora non ci siamo lasciati alle spalle. Saremo inoltre una voce libera, capace di andare anche oltre gli schemi consolidati nei rapporti con la politica e le banche, e non avremo paura di metterci in contrasto con il sistema, se sarà necessario. Mentre le istituzioni abbandonano spesso i territori e la gente, Confimi Industria Veneto si prepara invece a dar loro una voce più forte". Ultimo aggiornamento: 22-07-2015 18:57 CONFIMI WEB - Rassegna Stampa 23/07/2015 18 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato Pmi: alzano la voce, nasce Confimi Industria Veneto (2) 22/07/2015 17:31 Sito Web www.vicenzapiu.com pagerank: 4 L'annuncio di Apindustria Vicenza È nata Confimi Industria Veneto, nuova rappresentanza delle piccole e medie imprese che unirà le forze di tutte le associazioni provinciali aderenti alla confederazione nazionale Confimi Industria, tra le quali Apindustria Vicenza. L'iniziativa nasce dalla volontà di assicurare alle attività produttive una rappresentanza innovativa, capace di sfruttare le nuove tecnologie insieme alle migliori competenze professionali, anche esterne, oltre che alle energie di menti giovani, brillanti e dinamiche. Il primo Presidente di Confimi Veneto sarà William Beozzo, già alla guida di Apindustria Bassano e Vicepresidente provinciale, che ha accettato con entusiasmo l'incarico conferitogli per acclamazione da tutti i referenti territoriali delle Confimi. «Con senso di responsabilità accolgo una sfida importante - spiega Beozzo - perché mi sento costruttore di una realtà nuova, che non prende spunto da esperienze già esistenti, e vuole essere un riferimento per tutto ciò che le attività produttive della Regione si aspettano di rappresentare, ricevere e realizzare in un determinato momento. Non stiamo dando vita ad una struttura che risponderà a schemi fissi, ma ad un'entità malleabile, adattabile, in continua evoluzione, capace di dare una voce univoca e forte a tutte le Pmi del Veneto, ma anche di espandere quei servizi di qualità che vengono garantiti a tutti gli iscritti nelle sedi decentrate del territorio». Confimi Industria Veneto non sarà nemmeno l'ennesima sovrastruttura di organismi già esistenti, che appesantisce il sistema con nuove sedi e cariche gravando sulle quote associative degli imprenditori: «Non ci saranno nuove indennità perché verranno sfruttate al meglio tutte le risorse materiali, professionali e umane già presenti attraverso le associazioni provinciali e i mandamenti di Confimi Industria» assicura William Beozzo, che manterrà la carica di presidente per quattro anni, poi rinnovabili per un altro quadriennio. Gli uffici di Confimi Veneto saranno ospitati invece nella nuova sede di Apindustria a Bassano, e in quella centrale di Vicenza. «Anche parlando con una sola voce in tutta la Regione - promette il Presidente - resteremo sempre vicini agli imprenditori e alla gente, affrontando i problemi reali delle imprese ma anche le questioni di grande rilevanza sociale per le quali sentiamo una responsabilità , come la disoccupazione o i drammi vissuti dalle vittime di una crisi economica che ancora non ci siamo lasciati alle spalle. Saremo inoltre una voce libera, capace di andare anche oltre gli schemi consolidati nei rapporti con la politica e le banche, e non avremo paura di metterci in contrasto con il sistema, se sarà necessario». Mentre le istituzioni abbandonano spesso i territori e la gente, Confimi Industria Veneto si prepara invece a dar loro una voce più forte. CONFIMI WEB - Rassegna Stampa 23/07/2015 19 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato Il vicentino William Beozzo primo presidente della neonata Confimi Veneto 21/07/2015 Sito Web regione.abruzzo.it (REGFLASH) Pescara, 21 lug. Gli appuntamenti odierni del presidente Luciano D'Alfonso: ore 9:00 a L'AQUILA, presso Palazzo Silone, incontro di lavoro avente ad oggetto "Programmazione Fondo Aree Sottoutilizzate 2000-2006. Ricognizione economie di spesa maturate sugli APQ. Sono stati invitati il Direttore Generale C.Gerardis, i Direttori Savini, Primavera, Zappacosta, Muraglia, Di Rino e il Dirigente Cipollone; ore 10:00 a L'AQUILA, presso Palazzo Silone, incontro incontro con arch. Maria Giulia Picchione Soprintendente Belle arti e paesaggio dell'Abruzzo; ore 10:30 a L'AQUILA, presso Palazzo Silone, incontro con il Prof. Giuseppe Cleofe; ore 11:30 ad AVEZZANO, presso la sala ex ARSSA, sottoscrizione di un Protocollo d'Intesa per la valorizzazione del Palazzo e del Parco Torlonia. Il protocollo sarà sottoscritto dal Sindaco di Avezzano Giovanni Di Pangrazio, dal Presidente del Consiglio Regionale Giuseppe Di Pangrazio e dal Presidente Luciano D'Alfonso; ore 16:00 a PESCARA, presso il Porto Turistico, Assemblea dei Presidenti Regionali italiani di Confimi Industria alla presenza del Presidente Nazionale Dott. Paolo Agnelli e del Presidente Nazionale Aniem Ing. Dino Piacentini; ore 16:30 a CHIETI, presso la Cattedrale di San Giustino, esequie funebri per Nicola Cucullo; ore 17:30 a PESCARA, in viale Bovio n. 425, riunione operativa per Progetto Marsica. Sono stati invitati il Presidente Di Pangrazio, il Direttore Generale Cristina Gerardis, il Direttore del Dipartimento della Presidenza dr. Giovanni Savini e il dr. Patrizio Tomassetti; ore 18:15 a PESCARA, in viale Bovio n. 425, incontro di lavoro avente ad oggetto "Chiusura del ciclo di programmazione dei fondi strutturali 2007/2013". Sono stati invitati il Vice Presidente Lolli e i Direttori Savini e Di Rino; ore 19:00 a PESCARA, in viale Bovio n. 425, seduta di Giunta Regionale. (REGFLASH) US/15/07/21 Nella foto Luciano D'Alfonso CONFIMI WEB - Rassegna Stampa 23/07/2015 20 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato REGIONE: GLI APPUNTAMENTI DEL PRESIDENTE D'ALFONSO 22/07/2015 19:07 Sito Web vvox.it È nata Confimi Industria Veneto, nuova rappresentanza delle piccole e medie imprese che unirà le forze di tutte le associazioni provinciali aderenti alla confederazione nazionale Confimi Industria, tra le quali Apindustria Vicenza. «L'iniziativa - spiega una nota -nasce dalla volontà di assicurare alle attività produttive una rappresentanza innovativa, capace di sfruttare le nuove tecnologie insieme alle migliori competenze professionali, anche esterne, oltre che alle energie di menti giovani, brillanti e dinamiche». Il primo Presidente di Confimi Veneto sarà William Beozzo, già alla guida di Apindustria Bassano e Vicepresidente provinciale. «Non ci saranno nuove indennità perché verranno sfruttate al meglio tutte le risorse materiali, professionali e umane già presenti attraverso le associazioni provinciali e i mandamenti di Confimi Industria», assicura Beozzo. Gli uffici di Confimi Veneto saranno ospitati invece nella nuova sede di Apindustria a Bassano, e in quella centrale di Vicenza. CONFIMI WEB - Rassegna Stampa 23/07/2015 21 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato Vicenza, nasce Comfimi Industria Veneto 22/07/2015 18:30 Sito Web www.guidasicilia.it Vicenza, 22 lug. (AdnKronos) - È nata Confimi Industria Veneto, nuova rappresentanza delle piccole e medie imprese che unirà le forze di tutte le associazioni provinciali aderenti alla confederazione nazionale Confimi Industria, tra le quali Apindustria Vicenza. L'iniziativa nasce dalla volontà di assicurare alle attività produttive una rappresentanza innovativa, capace di sfruttare le nuove tecnologie insieme alle migliori competenze professionali, anche esterne, oltre che alle energie di menti giovani, brillanti e dinamiche. Il primo Presidente di Confimi Veneto sarà William Beozzo, già alla guida di Apindustria Bassano e Vicepresidente provinciale, che ha accettato con entusiasmo l'incarico conferitogli per acclamazione da tutti i referenti territoriali delle Confimi. "Con senso di responsabilità accolgo una sfida importante ? spiega Beozzo ? perché mi sento costruttore di una realtà nuova, che non prende spunto da esperienze già esistenti, e vuole essere un riferimento per tutto ciò che le attività produttive della Regione si aspettano di rappresentare, ricevere e realizzare in un determinato momento. Non stiamo dando vita ad una struttura che risponderà a schemi fissi, ma ad un'entità malleabile, adattabile, in continua evoluzione, capace di dare una voce univoca e forte a tutte le Pmi del Veneto, ma anche di espandere quei servizi di qualità che vengono garantiti a tutti gli iscritti nelle sedi decentrate del territorio". CONFIMI WEB - Rassegna Stampa 23/07/2015 22 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato Pmi: alzano la voce, nasce Confimi Industria Veneto 22/07/2015 18:30 Sito Web www.guidasicilia.it (AdnKronos) - (Adnkronos) - "Confimi Industria Veneto non sarà nemmeno l'ennesima sovrastruttura di organismi già esistenti, che appesantisce il sistema con nuove sedi e cariche gravando sulle quote associative degli imprenditori: Non ci saranno nuove indennità perché verranno sfruttate al meglio tutte le risorse materiali, professionali e umane già presenti attraverso le associazioni provinciali e i mandamenti di Confimi Industria", assicura William Beozzo, che manterrà la carica di presidente per quattro anni, poi rinnovabili per un altro quadriennio. Gli uffici di Confimi Veneto saranno ospitati invece nella nuova sede di Apindustria a Bassano, e in quella centrale di Vicenza. "Anche parlando con una sola voce in tutta la Regione ? promette il Presidente ? resteremo sempre vicini agli imprenditori e alla gente, affrontando i problemi reali delle imprese ma anche le questioni di grande rilevanza sociale per le quali sentiamo una responsabilità, come la disoccupazione o i drammi vissuti dalle vittime di una crisi economica che ancora non ci siamo lasciati alle spalle. Saremo inoltre una voce libera, capace di andare anche oltre gli schemi consolidati nei rapporti con la politica e le banche, e non avremo paura di metterci in contrasto con il sistema, se sarà necessario. Mentre le istituzioni abbandonano spesso i territori e la gente, Confimi Industria Veneto si prepara invece a dar loro una voce più forte". CONFIMI WEB - Rassegna Stampa 23/07/2015 23 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato Pmi: alzano la voce, nasce Confimi Industria Veneto (2) SCENARIO ECONOMIA 35 articoli 23/07/2015 Pag. 1,15 diffusione:619980 tiratura:779916 Le condizioni dell'Europa sulla riduzione delle tasse Il bonus L'Italia è il primo Paese che ha beneficiato della flessibilità con un «bonus» di 6 miliardi Francesca Basso Prima casa, imprese, dipendenti e pensionati: i tagli alle tasse dovranno essere di qualità, ossia misurati sul programma di riforme e sulla sostenibilità delle misure. Così le condizioni di Bruxelles sul piano annunciato dal premier Renzi per l'autunno. Il ministro Padoan: giù la spesaalle pagine 14 e 15 Sensini I paletti della Ue per un fisco più leggero Moscovici: «Le misure del governo italiano valutate in base alle nostre regole sulla flessibilità» A settembre la soluzione per le coperture dei tagli. Il pacchetto entrerà nella legge di Stabilità DALLA NOSTRA INVIATA BRUXELLES Le regole non cambiano. La Commissione europea su questo punto è chiarissima. E l'annuncio improvviso da parte del premier Matteo Renzi del taglio delle tasse unito all'ipotesi di un ulteriore ricorso alla flessibilità, prevista in alcuni casi dal patto di Stabilità, viene liquidato dal commissario agli Affari Economici Pierre Moscovici con un «è presto per una reazione dettagliata, non c'è stato scambio con il governo italiano». Moscovici ha spiegato che la Commissione «esaminerà le misure che proporrà il governo italiano alla luce delle nostre regole sulla flessibilità». «Non abbiamo ancora ricevuto una comunicazione» da parte di Roma ha detto Moscovici, ricordando che «la comunicazione che c'è stata è quella sulla flessibilità della Commissione europea» del 13 gennaio scorso, che «dice che un Paese, che si trova nel braccio preventivo del patto di Stabilità e che investe deve essere incoraggiato, che un Paese che fa riforme strutturali può ottenere più tempo e deve essere incoraggiato e che infine bisogna tenere conto del ciclo economico e che quindi gli sforzi richiesti non sono gli stessi». Che margine di manovra ha il nostro Paese? A Roma fanno notare che la soluzione per le coperture al taglio delle tasse è allo studio e verrà definita a settembre, ma soprattutto che il pacchetto sarà inserito nella legge di Stabilità 2016 che l'Italia presenterà entro metà ottobre, come tutti gli Stati membri, alla Commissione Ue. La prassi ufficiale non prevede altre comunicazioni, mentre quella informale contempla contatti tecnici in caso di dubbi sulla compatibilità con le regole Ue delle soluzioni individuate. La legge di Stabilità deve rispettare il patto di Stabilità e crescita e dunque il governo italiano per tagliare le tasse dovrà trovare le coperture per rimanere nei vincoli europei, tenuto conto che il nostro debito pubblico è altissimo, ben al di sopra del 60% previsto dai parametri di Maastricht: è al 135,1% del Pil nel primo trimestre 2015, pari a 2.184 miliardi, come rilevava ieri Eurostat. Non siamo sotto procedura perché rispettiamo la parte preventiva del patto di Stabilità e la Commissione ritiene che abbiamo una velocità sufficiente di riduzione del deficit strutturale. Ma siamo sotto monitoraggio. L'Italia è il primo Paese, osservano a Bruxelles, che ha beneficiato della clausola di flessibilità del patto di Stabilità, ottenendo in primavera un «bonus » da 6 miliardi. Non era un candidato naturale, ma sulla base del piano dettagliato di riforme presentato dal ministro Pier Carlo Padoan, all'Italia è stato concesso un aggiustamento di bilancio inferiore rispetto a quanto avrebbe dovuto. In via teorica non è escluso un accumulo di flessibilità, ma la Commissione Ue dovrà valutare in che misura il piano fiscale sia compatibile con i vincoli Ue e andrà combinato con la riduzione delle spese primarie. Bruxelles fa anche presente che oltre alla quantità è importante la qualità del taglio delle tasse, perché l'analisi sarà fatta in relazione alla sfida economica che l'Italia si pone di raggiungere. Un esempio: la riduzione delle imposte sul lavoro ha un legame con la competitività e la creazione di occupazione. Mentre un eventuale taglio delle tasse non sui fattori di produzione ma sugli immobili verrà valutato se coerente. I vincoli e i margini di manovra sono limitati. Di ogni azione sarà valutata la compatibilità con l'equilibrio generale. Quanto all'ipotesi di ricorrere alla clausola sugli investimenti per ottenere la flessibilità, viene osservato che non è stata mai usata ed è abbastanza restrittiva. Una via per aumentare lo spazio d'azione è quella di attuare in modo rapido il programma di privatizzazioni, come la Commissione Ue ci ha raccomandato a primavera. Non si riduce il deficit ma lo stock di debito. Finora Bruxelles si è concentrata sul dossier Grecia. Nelle prossime settimane SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/07/2015 25 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato Casa e Irpef Padoan: ci saranno anche tagli alla spesa 23/07/2015 Pag. 1,15 diffusione:619980 tiratura:779916 SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/07/2015 26 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato l'attenzione tornerà anche sull'Italia. Negli ultimi 12 mesi l'atteggiamento nei nostri confronti è cambiato, ha osservato il ministro Padoan. Non i paletti della Ue, quelli restano. Il profilo il francese Pierre Moscovici, 57 anni, commissario Ue agli Affari economici e monetari I conti della Grecia Il sistema bancario (dati in miliardi di euro) L'andamento del debito pubblico (dati in miliardi di euro) Fonti: Ocse, Istituto greco di statistica CdS 100 80 60 40 20 0 Alpha Bank Piraeus Bank Euro-Bank NBG 2012 2013 2014 2015 Q1 68,3 36,3 14,5 88,5 46,5 18,6 77,5 34,3 13,7 119,3 60,4 24,2 Attivi Depositi Depositi al di sopra dei 100 mila euro 330 320 310 300 290 280 270 260 Q2 Q3 Q4 Q1 Q2 Q3 Q4 Q1 Q2 Q3 Q4 Q1 301,5 miliardi 168,8% sul Pil 0,7 per cento la stima di crescita del Pil previste nel Def per il 2015 50 miliardi La riduzione delle tasse indicata da Renzi in 5 anni 23/07/2015 Pag. 14 diffusione:619980 tiratura:779916 Sanità, a rischio i 2,3 miliardi di risparmi previsti per quest'anno Melania Di Giacomo Roma Mentre il governo è a caccia di 10 miliardi per la spending review del 2016, il servizio Bilancio del Senato solleva pesanti dubbi sui tagli alla spesa sanitaria previsti per quest'anno. Si tratta di un risparmio già calcolato nella spending review 2015, un taglio netto di 2,3 miliardi sul Fondo sanitario nazionale, sfruttando le leve messe a punto dall'Intesa tra Stato e Regioni. Uno dei punti è la rinegoziazione dei contratti con i fornitori. Per attuare le misure previste dall'intesa il governo ha presentato un emendamento al decreto enti locali in discussione al Senato. Ma i tecnici di Palazzo Madama segnalano come ci siano «difficoltà di conseguire un risparmio in corso d'anno». Visto che siamo già a fine luglio. Tra gli strumenti a disposizione delle Regioni ci sono, tra le altre cose, la definizione di standard qualitativi e la riduzione delle centrali del 118. Ma anche la «razionalizzazione della spesa per beni e servizi, dispositivi medici e farmaci», con una riduzione su base annua del 5% del valore complessivo dei contratti. Una misura che ha suscitato le proteste di Assobiomedica, le aziende che producono beni e servizi per la sanità, dalle siringhe alle tac. Dovrebbe portare un risparmio per l'anno 2015 di 788 milioni di euro e di 805 milioni di euro a decorrere dall'anno 2016. Un taglio che però, visti i tempi, appare a rischio. Il dossier ricorda che anche la Ragioneria dello Stato ha evidenziato che gli effetti stimati per il 2015 potrebbero essere a rischio. Per non parlare della possibilità «dell'insorgere di contenziosi in materia» e che le aziende forniscano «prodotti di minore qualità». Dubbi sui risparmi per quest'anno vengono anche dalla riduzione dei ricoveri ospedalieri e delle prescrizioni diagnostiche inappropriate. Le associazioni dei medici protestano, anche perché la norma prevede il taglio degli stipendi per i camici bianchi inadempienti. © RIPRODUZIONE RISERVATA SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/07/2015 27 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato I tecnici del Senato 23/07/2015 Pag. 1 diffusione:334076 tiratura:405061 Spesa locale, possibili 23 miliardi di risparmi Rossella Bocciarelli Spesa locale, possibili 23 miliardi di risparmi pagina 7 ROMA pIn Italia sarebbero possibili risparmi sulla spesa pubblica locale per un ammontare di circa 23 miliardi l'anno senza tagliare i servizi ai cittadini, anzi migliorando quelli delle regioni che oggi offrono i livelli peggiori. È quanto si ricava da un rapporto dell'ufficio studi di Confcommercio presentato ieri dal suo direttore, Mariano Bella. La spesa pubblica locale ammonta complessivamente a 176,4 miliardi ma, è il ragionamento di Confcommercio, ne basterebbero 102 perché ciascuna regione possa offrire gli stessi servizi ai prezzi migliori (quelli della Lombardia, secondo lo studio). Dunque 74,1 miliardi di spesa, pari al 42% del totale, sono in eccesso. Posto che per portare tuttii servizi al livello della regione più efficiente bisognerebbe comunque reinvestire 51,2 miliardi, circa 23 miliardi di spesa di regioni, provincee comuni sono «del tutto ingiustificati» e rinunciarvi consentirebbe un cospicuo spazio per una riduzione di imposte, assolutamente necessaria per il rilancio della crescita in Italia. «Le imposte - ha detto ieri il chief economist della Confcommercio- sono tutte nemiche della crescita, ci sono quelle più nocive e quelle meno nocive». Quindi, ha aggiunto, «al di là di fare giochini sul mix di reddito bisogna ridurre la pressione fiscalee per ridurre la pressione fiscale bisogna ridurre la spesa pubblica». Lo studio muove da una prima ripartizione della spesa pubblica regionale (o locale, cioè riferita a tutti gli enti locali, regione inclusa, residenti nella regione stessa): attorno a una spesa media di 2.963 euro, la Puglia presenta la minore spesa pro capite in assoluto, seguita dalla Lombardia, che nella ricerca viene assunta come il benchmark per il calcolo degli sprechi, perché presenta livelli di servizio superiori a tutte le altre regioni. Quanto agli standard dei servizi offerti, infatti, la Lombardia, nella scala messaa punto da Confcommercio viene uguagliata a 1 e in fondo alla classifica c'è la Sicilia, con 0,30. Gli «eccessi» di spesa pubblica locale sono particolarmente evidenti nelle regioni a statuto speciale, in quelle del Sud e in quelle più piccole, che a parità di altre condizioni sprecano di più di quelle grandi per diseconomie di scala. Le regioni a statuto speciale spendono ben più delle altre, mediamente 3.814 euro, cioè il 28,7% sopra la media dell'Italia e il 36% in più rispetto alle regionia statuto ordinario (2.812 euro). Nelle regionia statuto speciale, su 34,4 miliardi di spesa l'anno, 21,9 sono ingiustificati (il 63,6% della spesa contro il 36,8% registrato nelle regioni a statuto ordinario). «Queste regioni, salvo la Sicilia, offrono dei servizi ottimi, ma a prezzi troppo alti rispetto a quelli della regione di riferimento», ha sintetizzato Bella. Basti pensare che la spesa pubblica locale per abitante in Val d'Aosta o in Trentino Alto Adige è più che doppia rispetto a quella del Paese (rispettivamente 6.943 e 6.273 euro contro una media di 2.963 euro). Un altro tema rilevante riguarda la dimensione delle regioni: nelle tre più piccole a statuto ordinario, Umbria, Molise e Basilicata, la spesa pro capite (3.137 euro) supera del 5,8% la media: dunque la "scala"conta, ai fini dei risparmi di spesa, perché le regioni grandi sprecano meno, a parità di altre condizioni.Nelle regioni del Sud, l'eccesso di spesa ammonta al 63,9% del totale contro il 30,7% registrato in quelle del centro-nord. Cheè come dire che nel Sud si potrebbero risparmiare 1.859 euro a testa per ottenere la stessa quantitàe qualità di servizi pubblici attuali. Il gap da colmare Sud Italia Centro-Nord Altre Regioni Risorse da reinvestire Regioni grandi Eccesso netto di spesa pubblica locale 19,7 16,1 31,5 6,8 40,5 11,8 51,2 22,9 10,7 11,1 1,5 1,0 16,4 4,2 33,3 17,7 Regioni piccole a statuto ordinario Regioni a statuto speciale Regioni a statuto ordinario Risorse da reinvestire per raggiungere il livello di servizio della Lombardia ai prezzi della Lombardia. Dati in miliardi di euro SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/07/2015 28 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato RAPPORTO CONFCOMMERCIO 23/07/2015 Pag. 1 diffusione:334076 tiratura:405061 Il debito e il veleno delle opposte narrazioni Gianni Toniolo Continua u pagina 23 Con il trattato di Versailles fu imposto al Reich sconfitto un pesante debito a titolo di riparazioni di guerra. I tedeschi si proclamarono, e si ritennero sinceramente, vittime di vincitori arroganti, insensibili alle sofferenze del popolo e incapaci di comprendere l'insostenibilità economica del peso che caricavano sulle loro spalle. Da parte sua, la Francia (in posizione per qualche aspetto analoga a quella della Germania odierna) ricordava che nel 1815 e nel 1871 aveva onorato, senza tante storie, i propri debiti di guerra, addirittura prima della scadenza, a costo di pesanti ipoteche sulla propria finanza pubblica. Un debito è un debito, dicevano, e va onorato oggi come noi lo onorammo allora, costi quel che costidel creditore. Nacquero due narrazioni diverse, entrambe non prive di fondamento, ma tra loro inconciliabili. Anche perché le due storie erano narrate soprattuttoa beneficio di ciascuna opinione pubblica interna. I politici di Weimar per indicare nello straniero il responsabile delle misere condizioni di vita di molti, anche nella classe media, l'accresciuta povertà, l'iperinflazione. La classe dirigente francese, per parte sua, aveva basato la propaganda bellica sullo slogan "I crucchi (si può forse tradurre così il dispregiativo le Bosche) pagherà e l'opinione pubblica si aspettava esattamente questo da loro, insieme al riconoscimento della "colpa" unilaterale e totale della Germania per la tragedia della guerra. Dal punto di vista del benessere complessivo dell'Europa, come scrisse Keynes, i tedeschi avevano buone ragioni: era autolesionista l'impoverire la Germania. Ma Berlino non mancò di usare l'argomento a fini propagandistici, esagerando le proprie difficoltà. Il debito tedesco fu spalmato su un gran numero di anni e pagato, finché durò, con un flusso di capitali privati. Nel 1931 fu dapprima sospeso poi cancellato. Sul debito privato vi fu un parziale default. Succede, quando i debiti sono economicamente o socialmente insostenibili. L'analogia tra l'Europa degli anni venti e quella di oggi sconta, per fortuna, molte differenza, prima tra tutte il fatto che allora il debito fu imposto dai vincitori ai vinti con il trattato di pace mentre i debiti attuali furono assunti volontariamente dai vari paesi. Resta, mi pare, nei due casi l'analoga presenza di due opposte narrazioni dell'origine della crisi che si riflettono in opposte visioni sul come uscirne, entrambe - oggi come allora - connotate di valenze etiche, di principi irrinunciabili. Per la Germania (nella posizione della Francia degli anni Venti), il dovere di ripagare i debiti è obbligo morale imprescindibile. L'Unione Europea non può sussistere senza lo scrupoloso rispetto da parte di tutti degli impegni liberamente assunti. Siano essi derivanti da contratti bi-multi laterali (tali sono i debiti) sia dalla firma di trattati (per esempio l'obbligo di mantenere il disavanzo pubblico entro limiti prefissati). Senza il rispetto degli impegni assunti, dicono i tedeschi, si sgretola la fiducia reciproca, essenziale collante dell'Unione. In Grecia prevale una narrazione della crisi diametralmente opposta: il debito fu originariamente subìto (2010) per imposizione dei più forti in- u Continua da pagina 1 tenti solo a salvare le proprie banche, inoltre c'è un limite invalicabile ai sacrifici che si possono imporre ad un popolo in nome della santità degli impegni assunti (si aggiungono, come sappiamo, altri argomenti, meno ragionevoli e plausibili). Esigere solidarietà e riduzione del debito da parte dei creditori è solo esigere giustizia. Ciascuna "narrazione" della crisi e del modo di superarla riflette sentimenti radicati nelle opinioni pubbliche. Le opposte visioni sono state esasperate dalle vicende delle ultime settimane. Si riflettono tanto nell'inusitata durezza di taluni passaggi del documento ufficiale sull'accordo raggiunto il 12 luglio al Consiglio Europeo quanto nell'incredibile accusa di terrorismo lanciata da un ministro in carica nei confronti delle controparti in una difficile trattativa. Le narrazioni fanno parte di una propaganda che, come negli anni Venti e Trenta, può avvelenare i pozzi degli accordi lungo il futuro cammino dell'Europa, impedendo l'attenzione alle ragioni degli altri, senza la quale trattare diventa terribilmente difficile. Sarà difficile ripartire nella costruzione dell'unità europea senza tornare a narrazioni meno apodittiche e virulente delle posizioni e ragioni di ciascuno. Ma qualcosa va fatto in proposito. Un contributo importante devono darlo gli opinon makers: chi parla in televisione, scrive su giornali e blogs, twitta, insegna nelle scuole e nelle università. Ma ancora più devono fare i politici di governo e opposizione SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/07/2015 29 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato IERI E OGGI 23/07/2015 Pag. 1 diffusione:334076 tiratura:405061 SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/07/2015 30 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato bandendo dalla quotidiana dialettica l'uso a fini di polemica interna interni di visioni esasperate e distorte di torti e ragioni nella politica europea. Ha molto danneggiato la reputazione delle istituzioni europee, delle quali abbiamo più che mai bisogno, l'avere giustificato ogni scelta indispensabile ma impopolare dicendo "ce lo impone l'Europa" invece che "ce lo impone l'interesse nazionale, dobbiamo cambiare sia che l'Europa lo chieda sia che non lo chieda". 23/07/2015 Pag. 2 diffusione:334076 tiratura:405061 Piano Juncker, via libera ai primi cinque progetti APPROVATI Risparmio energetico ed energie rinnovabili al centro dei programmi al debutto, in Francia, Germania, Regno Unito e Olanda Giuseppe Chiellino pSono stati approvati dalla Bei i primi cinque progetti garantiti dal "Piano Juncker" che, a questo punto, potrebbero partire in autunno. Ieri infatti, a Bruxelles, la Commissione europea e la Bei hanno firmato l'intesa per la costituzione e la governance del Fondo europeo per gli investimenti strategici (Feis),lo strumento finanziario del piano. Nell'accordo sono state confermate le linee guida per la gestione dei contributi degli Stati membri, conferiti tramite le "banche nazionali promotrici" (per l'Italia la Cdp) e l'esclusione dei contributi "una tantum" dal computo del deficit ai fini del Patto di Stabilità e di crescita. La comunicazione, compresa nell'accordo di ieri, sul ruolo delle banche promotrici definisce i compiti di tali istituti e chiarisce che i finanziamenti attraverso il Feis non saranno considerati aiuti di Stato. La partecipazione dell'Italia, attraverso la Cdp, è di 8 miliardi di euro, come quella di Germania, Francia, Polonia e Regno Unito. I pri- mi cinque progetti finanziati dalla Bei con il sostegno del "Piano Juncker" riguardano l'introduzione su vasta scala di contatori intelligenti per migliorare la gestione dei consumi energetici nel Regno Unito, finanziamenti per facilitare l'accesso al credito per piccoli progetti che utilizzano le energie rinnovabili in Germania e in Francia, investimenti per riqualificare le vie navigabili interne olandesi. Il cda della Bei ha approvato anche il sostegno a due fondi per l'energia rinnovabile, che finanzieranno piccoli progetti in Francia e in Europa e che «sono stati destinati al sostegno del Feis . Istituito in seno alla Bei, il Feis gestirà la garanzia del bilancio dell'Unione europea di 16 miliardi di euro cui si aggiunge il contributo Bei di 5 miliardi: obiettivo del Piano Juncker è mobilitare, attraverso questa base, investimenti pubblici e privati per 315 miliardi di euro nel prossimo triennio. Obiettivo, questo, considerato molto ambizioso e su cui aleggia un discreto scetticismo. Non ha mancato di sottolinearlo Yanis Varoufakis, all'indomani delle sue dimissioni da ministro dell'Economia della Grecia. «La maggior parte dei ministri dell'Eurozona lo definisce un "piano fantasma"» ha scritto Varoufakis commentando il passaggio dell'accordo raggiunto all'Euro Summit il 12 luglio scorso, che faceva riferimento al Piano Juncker come uno degli strumenti europei in grado di far ripartire la crescita in Grecia. Ovviamente di tale scetticismo non c'è traccia nelle dichiarazioni ufficiali dopo la firma di ieri. «Quando si tratta di impiegare gli investimenti in tutta Europa, è essenziale reagire con rapidità. La Commissione, il Consiglio, il Parlamento europeo e la banca dell'Ue hanno lavorato bene e con celerità» ha affermato Werner Hoyer, presidente della Bei, il quale ha sottolineato come «per la prima volta c'è un cambiamento fondamentale nell'uso del bilancio Ue, che passa dai fondi alle garanzie, dai sussidi ai prestiti». Ciò che manca, ora, per «assicurare il successo del Piano», in «parallelo al Feis, è la realizzazione delle altre componenti del piano Juncker, tra cui la riforma della regolamentazione, fondamentale per rendere l'Unione europea più accogliente per investitori e imprenditori». Commissione e Bei hanno intanto nominato i membri dello Steering board del Feis (quattro, tre della Commissione e uno della Bei), i cui direttore e vicedirettore, in carica per tre anni rinnovabili una sola volta, verranno scelti a settembre previa audizione dell'Europarlamento. Sono invece in corso di selezione i membri del Comitato per gli investimenti (otto, saranno professionisti). L'Europarlamento avrà un ruolo di monitoraggio e supervisione, insieme alla Corte dei conti Ue. IL PIANO JUNCKER 315 miliardi Obiettivo ambizioso Il Piano Juncker, lanciato dal presidente della Commissione europea in contemporanea con la sua nomina nell'autunno del 2014, si pone l'obiettivo di far ripartire la crescita e soprattutto l'occupazione. Il piano ha l'ambizione di mobilitare investimenti pubblici e privati per 315 miliardi di euro nei prossimi tre anni ma con una dote di partenza di soli 21 miliardi di euro (16 dal bilancio Ue e 5 della SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/07/2015 31 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato Investimenti in Europa. Commissione e Bei firmano l'intesa per la nascita del Fondo che gestirà i finanziamenti 23/07/2015 Pag. 2 diffusione:334076 tiratura:405061 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato Bei) che saranno utilizzati come garanzia. La scommessa è su un effetto moltiplicatore pari a 15. Foto: L'autore . Jean-Claude Juncker Foto: .@chigiu SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/07/2015 32 23/07/2015 Pag. 5 diffusione:334076 tiratura:405061 La «mela» che rischia di avvelenare Wall Street Maximilian Cellino Apple pubblica l'ennesima trimestrale da record, supera le previsioni degli analisti, ma il mercato non si accontenta di tanta abbondanza: penalizza in modo sonoro i titoli dell'azienda di Cupertino e con essi anche il resto dei tecnologici Usa. Anzi, non si ferma lì visto che a caduta soffre tutta Wall Street. Non c'è molto da stupirsi in tutto questo, perché è noto che gli investitori guardano al futuro (o almeno dovrebbero farlo) piuttosto che al passato e hanno ravvisato note poco rassicuranti sui ricavi e sulle prospettive di vendita degli iPhone, che resta poi di gran lunga l'attività principale per Apple. E non sorprende neanche la reazione a catena innescata dal tonfo delle azioni della mela, perché è risaputo il peso che queste hanno a Wall Street. Può essere però ugualmente utile soffermarsi su qualche dato per capire quanto conti davvero Apple: qualche giorno fa gli analisti di Factset ricordavano non solo che la società californiana fornisce il principale contributo alla crescita degli utili del settore tecnologico, ma anche che se si sottraesse il suo apporto i guadagni realizzati dall'hightech made in Usa nel primo trimestre del 2015 sarebbero scesi del 5,3% e non cresciuti dello 0,7% rispetto all'anno precedente. E per il trimestre successivo, stando ai bilanci già comunicati e alle attese per quelli che ancora devono arrivare, l'impatto secondo Factset è altrettanto rilevante: con Apple gli utili aumentano su base annua dello 0,2%, senza precipiterebbero addirittura del 6 per cento. In altre parole, la crescita imponente del settore tecnologico che ha contribuito a riportare l'indice Nasdaq sui livelli dello scoppio della bolla del 2000 si basa essenzialmente sulla sola società fondata da Steve Jobs e Steve Wozniak: se il suo motore si dovesse improvvisamente inceppare i pessimisti che pensano che si stia creando un nuovo castello di carta proprio come 15 anni fa potrebbero davvero non avere tutti i torti. Anche al cospetto dell'intera Wall Street la rilevanza di Apple impressiona e inquieta allo stesso tempo: poco dopo la diffusione dei dati trimestrali il Wall Street Journal ricordava non solo che, prima dello scivolone di ieri, quasi un terzo della performance positiva del 3,5% realizzata da inizio anno dall'indice S&P 500 fosse legata alle performance del titolo del gruppo californiano. Ma sottolineava anche che ormai da quattro anni il contributo di Apple al monte utili complessivo a stelle e strisce non scende sotto il 3%, cioè il doppio rispetto all'apporto di big del calibro di Jp Morgan, Microsoft o Ibm. Ancora la stessa Factset rincara la dose avvertendo che se Apple non esistesse, la contrazione degli utili che ci si attende dalla corporate Usa nel secondo trimestre 2015 sarebbe del 6,7% e non del 3,5% appena. Gli investitori hanno dunque evidenti motivi per preoccuparsi se le cose per Apple dovessero smettere di girare per il verso giusto. E anche per dare un'occhiata sospettosa a ciò che sta avvenendo a Shanghai e sui suoi mercati: dopotutto la Cina resta il principale acquirente di iPhone al di fuori degli Stati Uniti. SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/07/2015 33 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato L'ANALISI 23/07/2015 Pag. 1.7 diffusione:334076 tiratura:405061 «Taglio tasse stimolo per la crescita» Il piano di Renzi «Se non lo avessi condiviso non sarei più ministro, non è messaggio estemporaneo ma tassello di una strategia» Clausole di salvaguardia Padoan assicura: «Per il 2016 già previste riduzioni di spesa necessarie a disinnescarle» Padoan: bisogna intervenire sulla spesa - Sangalli: riduzione Irpef da 8 miliardi «La spesa pubblica in Italia pesa 350 miliardi, tra le più basse d'Europa, la Franciaèa quota 650. Abbiamo un problema di efficienza, ma ci si può lavorare» Rossella Bocciarelli GUTGELD pIl taglio delle tasse «è efficace se è credibile ed è credibile se è permanente: deve perciò derivare da tagli di spesa». Per spiegare la filosofia della riduzione fiscale annunciata dal presidente del Consiglio il ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, ha colto ieri l'occasione del convegno Confcommercio sulla politica di bilancio. Il presidente dell'Associazione dei commercianti, Carlo Sangalli, aveva infatti ricordato che l'Italia ha una pressione fiscale al 43,6% edè al quarto posto frai paesi con il più alto peso del fisco: «Un carico insopportabile per famiglie e imprese, incompatibile con qualsiasi realistica possibilità di crescita del Paese» aveva detto, chiedendo «un percorso certo, progressivo e sostenibile di riduzione della pressione fiscale.È necessario ridurre di un punto le5 aliquote Irpef, un intervento che costa meno di8 miliardi». Padoan ha chiarito, per prima cosa, che l'annuncio sulle tasse di Renziè stato dato in piena sintonia con Via XX Settembre: «Se non avessi condiviso prima l'annuncio del presidente del Consiglio, oggi sarei lo stesso qui ma probabilmente con un altro mestiere». Poi, ha tenutoa sottolineare che non siè trattato di un messaggio estemporaneo ma di un tassello di una strategia di medio termine già in atto da tempo,che comprende anche la spending review e l'attuazione di un processo di riforme «che non ha uguali in Europa». Non si tratta, insomma, solo di una riduzione dell'imposizione sulla casa, perché c'è una sequenza di interventi che il governo intende rispettare (prima la tassazione sugli immobili, poi, nel 2017, l'Irape nel 2018 un alleggerimento sulla tassazione delle famiglie). Anche se oggi, secondo il ministro, gli spazi per un intervento di questo tipo ci sono, perché la tassazione sulla casa dell'Italia è più bassa della Francia ma più alta di quella tedesca e spagnola. «Una componente della strategia di riduzione delle tasse deve toccare anche quelle sulla casa, perché la domanda interna deve essere stimolata». Secondo Padoan, il setto- re dell'edilizia «ha risentito molto della crisi e deve essere sostenuto: l'eliminazione della tassa sulla prima casa nonè sufficiente- ha dettoma va in questa direzione». Le cose già fatte dal governo, ha poi affermato, insieme alla discesa dell'euro, hanno consentito un recupero di competitività .«Oggi anche l'Italia ha un surplus di partite correnti nella bilancia dei pagamenti, non solo la Germania». E, sempre in tema di fisco, il ministro ha detto che «si deve intensificare lo sforzo di lotta all'evasione. Non capisco le affermazioni che dicono che invece che tagliare le tasse bisogna aumentare la lotta all'evasione. Bisogna fare tuttee due, non sono alternative, sono complementari, perché così si aiuta la compliance ». Tuttavia, Padoan è stato altrettanto chiaro sul fatto che anche i tagli di spesa pubblica, necessari per garantire un adeguato spazio fiscale alla riduzione d'imposte, dovranno avere carattere permanente «per non essere costrettia tornare indietroea subire un danno reputazionale. La spending review, dunque, non può essere un episodio, ma è continua». Inoltre «la sostenibilità della riduzione delle tasseè una componente della sostenibilità della finanza pubblica che comporta, soprattutto per chi ha un alto debito come il nostro, la conquista e il mantenimento di una fiducia che ha richiesto grandi sforzi. E il Governo continuerà in questa direzione». Nel suo intervento, il ministroè tornato ad assicurare che per il 2016 sono già previsti i tagli di spesa necessaria "disinnescare" le clausole di salvaguardia. Dal canto suo, il commissario per la spending review, Yoram Gutgeld, ha confermato che già la prossima settimana sarà pronto il menù necessario per definire un ammontare superiorea 10 miliardi di tagli di spesa pubblicae che questi tagli negli anni successivi saranno incrementati. Però, ha precisato «la spesa per la macchina pubblica ammonta in Italia a 350 miliardi contro i 650 miliardi della Francia ed «è tra le più basse d'Europa con la Spagna. Ha un problema di efficienza, ma ci si può lavorare molto». Infine, Gutgeld ha sostenuto che «nel 2017 l'Italia passerà dall'essere uno fra i Paesi meno SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/07/2015 34 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato Le vie della ripresa VERSO LA LEGGE DI STABILITÀ 23/07/2015 Pag. 1.7 diffusione:334076 tiratura:405061 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato convenienti a uno fra i più convenienti in Europa in termini di tassazione di impresa». Foto: Confcommercio. Il ministro Pier Carlo Padoan con Carlo Sangalli SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/07/2015 35 23/07/2015 Pag. 9 diffusione:334076 tiratura:405061 Tra Ilva e magistratura qualche prova di dialogo Domenico Palmiotti Tra Ilva e magistratura qualche prova di dialogo pagina 10 TARANTO pTrovare in tempi rapidi una soluzione al problema dell'altoforno2 dell'Ilva che la Procura di Taranto ha sequestrato senza facoltà d'uso dopo un incidente mortale accaduto a giugno; ripresa del confronto tecnico-giuridico con l'azienda; doppia sottolineatura circa il fatto che non c'è, da parte dei magistrati, "accanimento giudiziario" verso l'Ilvae che la gestione dei commissari di Stato non è quella dei Riva. Un incontro avvenuto in mattinata a Lecce - capofila del distretto giudiziario del Salento- tra la Procura generalee quella di Taranto,e un altro svoltosi nel pomeriggio a Taranto tra Procura, Ilva e Carabinieri, provano di nuovoa far calare la tensione attorno al caso del siderurgico. Risalita dopo che lunedì scorso il custode giudiziario dell'impianto sequestrato, andando all'Ilva («ma mandata dal gipe non da noi» osserva la Procura), ha intimato all'azienda lo spegnimento immediato, e in sicurezza, dell'altofornoe chiesto di avere entro il 24 luglio il cronoprogram- ma delle operazioni di fermata. Intanto, l'imminente conversione in legge del decreto del4 luglio, quello che ha scongiurato che il6 luglio l'altoforno fosse spento e stabilito la continuità dell'attività di impresa pur col sequestro, potrebbe già rappresentare un passo avanti. Perché viene a decadere anche l'eccezione di incostituzionalità che il gip Martino Rosati ha posto alla Consulta sospendendo il giudizio. Il gip l'ha infatti sollevata sul decreto. Nel mo- mento in cui c'è la legge, il gip non solo deve sollevare una nuova eccezione ma deve esserci anche un procedimento che consenta di farlo. Col decreto è accaduto perché l'azienda ha chiesto al giudice l'uso dell'altofornoe il magistrato gliel'ha negato ritenendo che il provvedimento del Governo vada contro la Costituzione. Adesso con la legge lo scenario cambia e le norme sulla continuità dell'impresa si rafforzano. È stata la Camera a inserire le nuove norme Ilva nel dl fallimenti sul quale il Governo ha poi posto la fiducia. Il voto della Camera arriverà tra oggie domani, dopodiché ci sarà l'ultimo passaggio al Senato. «Ho chiesto la massima urgenza- dice il procuratore generale Giuseppe Vignola dopo l'incontroa Lecce -. Ognuno di noi ha espresso il proprio orientamento per un provvedimento che, sebbene spetti alla Procura di Taranto, sarà adottato con la convergenza piena di tutti per andare incontro a quelle che sono le due esigenze primarie: il diritto alla salutee il mantenimento del posto di lavoro». E il successivo incontro in Procura a Taranto ha avviato l'approfondimento. In altri termini, si vuole trovare un percorso per raffreddare il conflitto. Lo spazio ci sarebbe. Perchéè vero che il 24 l'Ilva deve presentare al custode giudiziario il piano di fermata dell'altoforno 2, ma da allora servono almeno 15 giorni per giungere allo stop effettivo.E nel frattempo non solo il decreto sarà diventato legge ma anche l'Ilva sarà sul punto di riaccedere l'altoforno1 (è previsto per i primi di agosto) dopo i lavori ambientali. Questo non la sguarnirà produttivamente. E dalla Procura arriva una doppia apertura verso l'azienda. La prima: il verbale di accesso all'altoforno2 del custode giudiziario Barbara Valenzano- accesso avvenuto lunedì - offre all'azienda la possibilità di confrontarsi con la Procura. Come dire, si osserva, «che non c'è nessuna preclusione e nessun rifiuto ad ascoltare le tesi dell'Ilva e a vagliarle con attenzione». La seconda: al contrario dell'Ilva gestita dai Riva, quella dei commissari straordinari «sta collaborando con l'autorità giudiziaria». Tant'è, si evidenzia, «che quando è stato ordinato il sequestro senza facoltà d'uso dell'altoforno 2, la stessa Ilva ha presentato il cronoprogramma della fermata e avviato tutte le operazioni». Oggi la vicenda Ilva presenta un doppio appuntamento. Il gup Wilma Gilli deciderà, nel processo "Ambiente Svenduto" (quello per il disastro ambientale), sulle 47 richieste di rinvioa giudizioe sulle5 richieste di condanna formulate dalla Procura (per gli imputati che hanno scelto il patteggiamento). Davanti alle commissioni Ambiente e Attività produttive della Camera, invece, audizione dei commissari dell'Ilva su piano industriale e piano ambientale. Che a fine mese dovrà vedere adottate da parte dell'azienda l'80% delle prescrizioni. I numeri dell'Ilva SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/07/2015 36 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato IL CASO TARANTO 23/07/2015 Pag. 9 diffusione:334076 tiratura:405061 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato 47 Richieste di rinvio a giudizio Il gup dovrebbe decidere oggi nel processo "Ambiente svenduto" 120 Il risanamento Sono 120 le aziende al lavoro per i cantieri legati all'Aia Foto: Sotto tensione. Lo stabilimento di Taranto legato alle sorti dell'altoforno 2 SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/07/2015 37 23/07/2015 Pag. 22 diffusione:334076 tiratura:405061 Entra in vigore la Volcker Rule per le banche Stefania Spatti Da ieri è entrata in vigore negli Stati Uniti la «Volcker Rule», la legge che impedisce alle grandi banche di Wall Street il cosiddetto proprietary trading, ossia l'acquisto e/o la vendita di azioni, bond, valute, materie prime e derivati attingendo al loro stesso denaro. Pensata per entrare in vigore cinque anni fa come parte del DoddFrank Wall Street Reform and Consumer Protection Act - la riforma finanziaria su cui il presidente Barack Obama mise la firma il 21 luglio del 2010 - la «Volcker Rule» ha l'obiettivo di frenare il tipo di hedging che lederebbe i consumatori provocando una crisi finanziaria simile a quella che nel 2008 mise in ginocchio l'America. È forse una delle nuove restrizioni più stringenti dalla Grande Depressione degli anni 30 ma è stata accolta senza troppo rumore tra i big del settore. Il motivo? Dopo avere trascorso anni per cercare di cambiarne il contenuto, hanno avuto tempo di adeguarsi. Istituti di credito come Citigroup, Bank of America, Morgan Stanley e Goldman Sachs hanno eliminato una serie di pratiche che potrebbero rientrare nella norma chiamata come chi l'ha voluta, l'ex presidente della Federal Reserve Paul Volcker che guidò il team di esperti economici voluti dalla Casa Bianca nel 2009 per mettere a punto una strategia di ripresa dell'economia. Il "prop desk", come lo chiamano a Wall Street, di Goldman per esempio è finito a KKR nel 2010. Dal canto suo JP Morgan, come spiegato recentemente dal suo direttore finanziario Marianne Lake, ha cambiato le proprie attività abbastanza da non doversi aspettare «un impatto diretto sul trading nel breve-termine». Inoltre, negli ultimi mesi si sono accentuate le vendite di CLO ( collateralised loan obligation ). C'è comunque chi, nel comparto, vede la Volcker Rule come qualcosa che andrà a impegnare sempre di più avvocati ed esperti di compliance. Anche perché ancora non si può immaginare quali altri cambiamenti implicherà, tanto più che le banche hanno fino al 2018 per vendere certi fondi di investimento. Intanto il governo si affretta a formare gli esperti che dovranno esaminare le attività dei gruppi bancari, determinando per esempio come calcolare i limiti a certe attività di trading. E poi servono analisti che passino al vaglio i dati sul trading consegnati dai gruppi ai regolatori. Non a caso le autorità competenti hanno diffuso 16 domande pensate per aiutare le banche nell'implementazione della regola. Si vedrà a fine estate cosa emergerà dai primi controlli. SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/07/2015 38 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato USA - RIMEDI ANTICRISI 23/07/2015 Pag. 15 diffusione:334076 tiratura:405061 «Abbiamo bisogno dell'expertise italiana» «Stiamo riducendo i costi di impresa, puntiamo a un accordo di libero scambio con l'Europa» Mi.Pi. BLOOMBERG pAustralia chiama Italia, grazie a un legame storico consolidato - sono circa 900mila gli abitanti di origini italiane - e alle ottime prospettive in un settore, quello delle costruzioni, in cui già le nostre aziende sono molto attive. Questo in sintesi il messaggio di Mathias Cormann, 45 anni, ministro delle Finanze australiano, che ha guidato la missione in Europa con tappa a Milano. Ministro, il Paese cresce da 23 anni: che intendete fare per continuare su questa strada? Stiamo riducendo il carico fiscale e i costi della burocrazia per le imprese, finora di oltre due miliardi all'anno, investendo a livelli record nelle infrastrutture, e migliorando l'accesso ai nostri mercati chiave. La nostra economia, fortemente orientata all'export, attraversa una fase di transizione, dopo un decennio in cui abbiamo beneficiato in maniera significativa dei prezzi alti di materie prime chiave, come i minerali ferrosi e il carbone. Ma la crescita rimane alta rispetto agli altri Paesi sviluppati (+0,9% nel solo primo trimestre, nonostante i prezzi in picchiata dei minerali ferrosi). Significa che altri settori hanno preso il testimone. Come vi state muovendo per attrarre gli investitori e posizionarvi al meglio per il futuro? Ci stiamo concentrando sulla nostra competitività internazionale e la riduzione dei costi di impresa. Nell'ultimo budget abbiamo ridotto l'imposta societaria per le piccole imprese, stiamo cercando di incentivare gli investimenti, soprattutto da parte delle Pmi, abbiamo concordato sforzi per ridurre gli oneri normativi, stiamo attuando un ambizioso piano infrastrutturale di investimenti. Infine abbiamo un'agenda commerciale molto ambiziosa: siamo riusciti a finalizzare tre accordi di libero scambio con Cina, Giappone e Corea del Sud. E ora vogliamo concluderlo con l'Europa, nostro secondo partner commerciale e principale fonte di investimenti. Pensa che sia possibile concluderne uno analogo? Noi lo speriamo davvero, siamo molto interessati a discuterne. Crediamo che ci sia l'opportunità di vantaggi reciproci. C'è inoltre un precedente: l'intesa quadro tra Europa e Canada nell'ambito delle trattative per un Fta, che può essere un buon punto di partenza.I negoziati non sono ancora partiti ma abbiamo avviato un dialogo. Ha citato molti vantaggi del mercato australiano. Parliamo di rischi: l'aumento del costo del lavoro minaccia la vostra competitività e attrattività? È vero che nel contesto di un aumento dei prezzi delle materie prime e del boom delle costruzioni collegato ci sono state pressioni al rialzo sui salari che, combinate con la forza del dollaro australiano, hanno avuto un impatto sulla nostra competitività, ma ora è in corso un aggiustamento. Quali sono i settori con più opportunità per gli investitori stranieri, in particolare italiani? Quello delle costruzioni e ingegneristico grazie al programma di investimenti infrastrutturali. In questo settore ci sono già diverse imprese molto attive come Ghella, Salini Impregilo, Rizzani de Eccher e, in prospettiva, c'è una pipeline ben definita di progetti di qualità per la quale cerchiamo aziende con un'appropriata expertise. Non c'è il rischio di una bolla immobiliare? Nel Paese c'è dibattito su questo tema, ma il Governo vede una dinamica corretta di mercato, che funziona come deve funzionare: l'aumento dei prezzi in alcuni mercati, in particolare a Sidney e Melbourne, è dovuto al fatto che la domanda supera l'offerta. Inoltre notiamo che la pressione al rialzo si accompagna a investimenti nel settore, che avranno un impatto nel tempo sui prezzi. Foto: Mathias Cormann, 45 anni SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/07/2015 39 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato Mathias Cormann Ministro delle Finanze INTERVISTA 23/07/2015 Pag. 25 diffusione:334076 tiratura:405061 Multinazionali, vince la «new economy» Antonella Olivieri Sono più di 400 le multinazionali censite da R&SMediobanca, ma le italiane sono sempre le stesse e soffrono del confronto con le cugine di Germania e Francia per redditività, solidità e produttività. Nessuna delle multinazionali della Penisola opera nel settore software e web che è la vera rivelazione degli ultimi anni: a distanza vincono i campioni della new economy. Le 21 società del comparto individuate nell'indagine hanno triplicato le loro dimensioni nell'ultimo quinquennio, mantenendo una redditività doppia rispetto alle altre multinazionali, capacità di innovazione, solidità patrimonia- le e abbondanza di liquidità (utile per lo shopping) di molto superiore alla norma. In quest'ambito il panorama è ancora dominato dalle aziende Usa con quasi 300 miliardi di giro d'affari complessivo, ma le cinesi (42,5 miliardi a fine 2014) stanno avanzando a ritmo vertiginoso. pagina 28 pQuello delle grandi multinazionali è un universo relativamente chiuso. Di anno in anno cambia poco, anche se l'indagine di R&S-Mediobanca oggi, per la prima volta, ne conta più di 400. Ma il vero fenomeno, in un quadro relativamente statico,è quello delle software & web companies che sono cresciutea palla negli ultimi anni finoa imporsi sulle altre sotto tutti i profili. Nell'universo censito, R&S-Mediobanca ne ha individuate 21: mediamente sono ancora relativamente "piccole" rispetto alle multinazionali tradizionali, ma negli ultimi cinque anni hanno allargato molto più velocemente le loro dimensioni, sia in termini di giro d'affari che di occupati. Naturalmente più "giovani", investono di più in ricerca e godono di una migliore redditività. Non solo, sono anche patrimonialmente più solide e più liquide. Un mondo - idealmente quello nato da chi ha vinto la sfida della new economy, cheè ancora dominato dalle società statunitensi, incalzate però a distanza dalle cinesi che- tuttoè relativo- si muovono ancora più velocemente delle altre. L'aggregato Nel gruppo delle 21 società individuate otto si occupano di commercio elettronico (Amazon in testa con 73,4 miliardi di euro di giro d'affari), sei sono produttrici di software (per fatturato la prima è Microsoft con 71,5 miliardi di euro), cinque sono Internet companies (la primaè Google con 54,4 miliardi di ricavi), due sviluppano software per l'entertainment interattivo (la giapponese Nintendo con 3,8 miliardi di entrate. poco avanti la statunitense Activision Blizzard che fattura 3,6 miliardi). Con 298,5 miliardi di giro d'affari complessivo il panorama è dominato dagli Usa. Segue, a distanza, la Cina (42,5 miliardi). La Germania, con la sola Sap (fondata da quattro ex Ibm), movimenta 17,5 miliardi. Infine, c'è il Giappone con 7,9 miliardi. La classifica Per giro d'affari Amazon (73,4 miliardi) nel 2014 ha scalzato dal gradino più alto del podio Microsoft (71,5), nonostante la creatura di Bill Gates si sia allargata a ricomprendere i telefonini di Nokia che, con 9,6 miliardi, contribuiscono al 13,4% dei ricavi complessivi del gruppo. In terza posizione, stabile, Google (54,4). Nella top 10, con 10,3 miliardi di euro di fatturato, entra Facebook, che guadagna due posizioni salendo al nono posto. Fuori classifica i giganti Apple e Samsung, che per dimensioni se la giocano (la prima lo scorso anno ha fatturato 150,6 miliardi di euro, la seconda 155,7). "Scorpo- rando la divisione software della Apple (14,9 miliardi di euro di ricavi) si otterrebbe la settima società in graduatoria (l'azienda coreana, invece,a riguardo non fornisce dettagli sufficienti). Mettendo in fila le società per redditività (il parametroè il margine operativo netto sul fatturato) la classifica si rivoluziona: primaè Facebook con un margine operativo del 40,1%, penultima Amazon con appena lo 0,2%. Per la cronaca, Apple (28,5% di margine)è più redditizia di Samsung (13,4%). In generale primeggiano le software houses (31,1% il margine settoriale), a seguirei servizi Internet (27,1%), poi il comparto entertainment (15,4%)e infine l'e.commerce (7%). La crescita Negli ultimi cinque anni le software & web companies hanno triplicato le loro dimensioni (+219,6% il totale dell'attivo tangibile). Le cinesi, per l'appunto, crescono più velocemente. Basti pensare che le società di e.commerce Alibaba e JD.com negli ultimi tre anni hanno aumentato l'attivo tangibile, rispettivamente, del 484,2% e del 438,2%, il motore di ricerca Baidu del 293,5%. In cinque annii ricavi dell'aggregato sono aumentati del 145,2%, contro il 58,9% delle società dell'energia, il 32,5% delle manifatturiere, il 19,4% delle utilities, il 14,2% delle tlc. Stessa storia sul fronte occupazionale: SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/07/2015 40 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato R&S Mediobanca. In 5 anni i big del settore hanno triplicato le dimensioni 23/07/2015 Pag. 25 diffusione:334076 tiratura:405061 SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/07/2015 41 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato 477mila assunzioni nel quinquennio per le software& web companies, con un incremento dell'organico del 109,3%. Confronto impietoso rispetto alle altre: +14,1% le industriali, +4,7% le energetiche, -1,8% le tlc, -9,3% le utilities. Qualche incidente di percorso comunque c'è: per esempio Microsoft nell'ultimo anno ha lasciato a casa il 20% della forza lavoro (molto è legato all'acquisizione di Nokia, che nonè stata ben digerita). Una crescita che in generale non ha sacrificato la redditività (21,1% il margine operativo netto sul fatturato 2014, ancora il doppio delle altre, seppure all'interno di un trend calante negli ultimi anni), l'innovazione (13,3% l'incidenza delle spese di ricerca e sviluppo sul fatturato del 2014, dietro solo al 14,2% della farmaceutica), la solidità patrimoniale (capitale netto, al top, pari al 316,5% dei debiti finanziari),e la cassa (con una liquidità paria oltre due volte il debito, staccano nettamente le altre per capacità di fare shopping). In Borsa Prevalentemente matricole recenti, le software & web companies per crescere hanno confidato nel mercato più che nelle banche. Ma in Borsa i fondatori non hanno perso il controllo. Google ha fatto scuola con le azionia voto multiplo e,a seguire, tutte le altre Ipo l'hanno imitata. Cosa c'è in Italia Prevalentemente a Milano e dintorni ci sono le propaggini delle grandi software & web companies che, complessivamente, producono 1,2 miliardi di ricavi (lo 0,3% del totale globale)e occupano 4.200 addetti. La fotografia delle multinazionali eBay (US) Rakuten (JP) Oracle (US) Google (US) Amazon.com (US) Microsoft (US) Facebook (US) Alibaba Group (CN) Autmatic Data Processing (US) Tencent Holdings (CN) LA TOP 10 MONDIALE Attivo tangibile in miliardi di euro SOFTWARE & WEB INDUSTRIAApple (US) BP (UK) Chevron (US) Gazprom (RU) ExxonMobil (US) Petrobras (BR) PetroChina (CN) Volkswagen (DE) Toyota Motor (JP) Royal Dutch Shell (UK)NTT (JP) At&t (US) Vodafone (UK) Telefonica (ES) Softbank (JP) China Telecom (CN) Verizon Commun. (US) China Mobile (CN) Deutsche Telekom (DE) China Unicom (CN)E.ON (DE) Edf (FR) Enel (IT) Iberdrola (ES) RWE (DE) Vattenfall (SE) National Grid (GB) GDF Suez (FR) Hydro Québec (CA) Midamerican Energy Holding (US)109,8 Note: Fatturato 2013 LE MULTINAZIONALI ITALIANE Fatturato in miliardi di euro nel 201421,1 8,4 7,7 6,8 6,0 6,0 5,4 4,3 4,2 4,1 3,6 3,3 3,3 Enel 74,3 15,7 14,7 Ferrero Prada Barilla Telecom Italia Tenaris+ Ternium Luxottica Fincantieri Italcem enti Finmeccanica Marcegaglia * A controllo statale A.Menarini * Prysmian Pirelli STM Parmalat 23/07/2015 Pag. 22 diffusione:556325 tiratura:710716 Intesa Sanpaolo volta pagina Avrà un solo cda e tutte le funzioni al suo interno La decisione verrà ratificata a fine mese e varata nel 2016 Sarà determinante lo statuto GIOVANNI PONS MILANO. Intesa Sanpaolo è pronta ad abbandonare il sistema di governance dualistico, quello che aveva permesso la fusione tra Milano e Torino nell'ormai lontano 2007. Una riunione informale del Consiglio di Sorveglianza di ieri ha esaminato le proposte della Commissione governance presieduta da Giovanni Bazoli (nella foto) e ha deciso che l'attuale sistema è ancora valido ma vi sono ostacoli normativi importanti alla sua evoluzione. In particolare le ultime disposizioni rendono difficile per Intesa andare a formare un consiglio di gestione formato esclusivamente da manager, come è invece possibile nel sistema tedesco. E poi risulta difficile colmare la "distanza" informativa tra il consigliere delegato che siede nel Consiglio di gestione e il Consiglio di Sorveglianza. La banca ha dunque scelto di adottare il sistema monistico, cioè il sistema molto in voga nel mondo anglosassone che prevede un consiglio di amministrazione unico che incorpori anche le funzioni di controllo, senza collegio sindacale. Una formula che in Italia non è stata ancora sperimentata da nessuna società quotata ma di cui Intesa Sanpaolo si fa promotrice, un po' come fu otto anni fa con il dualistico. La sfida sarà quella di conciliare la maggiore efficienza di un Cda che avrà tutte le funzioni al suo interno con un'adeguata efficacia dei controlli i quali non saranno più delegati a un organo esterno. Si tratterà, dicono gli esperti di diritto che hanno seguito la vicenda, di stendere bene lo statuto dove verranno contemperate queste due esigenze di maggiore efficienza ma non minore controllo. Certo, la scelta implica anche un buon numero di poltrone in meno, e dunque meno spazio per i rappresentanti dei soci all'interno del futuro organo di governo. Ma in periodo di austerity questo dovrebbe essere il minore dei problemi. Ca va sans dire. SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/07/2015 42 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato IL PUNTO 23/07/2015 Pag. 22 diffusione:556325 tiratura:710716 Domani accordo con i sindacati. Il presidente area Europa: "Due obiettivi per evitare i tagli nel 2018" "Il vostro Paese è forte per la professionalità nella produzione di alta gamma" LUISA GRION ROMA. Poteva essere un caso lacrime e sangue - 2070 esuberi e due stabilimenti chiusi - è diventato un modello da copiare: domani a Palazzo Chigi si firma l'accordo fra la multinazionale Whirlpool e i sindacati, una firma che darà il via ad un piano industriale sul quale l'azienda investirà 513 milioni di euro nei prossimi quattro anni, senza chiusura di siti e senza esuberi. Soddisfatta l'azienda, soddisfatta la base (il referendum sull'accordo è passato con un "sì" all'80 per cento), soddisfatto il governo. Non tutto è rosa e fiori, sia chiaro: gli 815 dipendenti del sito di Carinaro, nel casertano - per esempio - passeranno da 815 a 320, pur se con il supporto degli ammortizzatori sociali. E l'impegno della azienda a non licenziare è valido fino al 2018 (ma era la stessa data sulla quale, nel precedente piano di salvataggio, si era impegnata l'ex Indesit, che Whirlpool ha acquisito la scorsa estate). I cinque siti italiani, quindi, dovranno conquistarsi la posizione sul mercato, puntare sul recupero di efficienza e competitività, sperare che il settore si riprenda e che il cambio euro-dollaro non produca effetti negativi sui bilanci della multinazionale. Esther Berrozpe, la presidente Whirlpool per Europa, Medio Oriente e Africa (area Emea) pone due condizioni sulle performance italiane. Due risultati da raggiungere per evitare che nel 2018 scattino i licenziamenti: "Le sinergie fra l'integrazione di Whirlpool e Indesit dovranno produrre risparmi per 400 milioni di dollari e il margine operativo lordo dovrà crescere almeno del 6 per cento. Ma è un approccio conservativo, in realtà ci aspettiamo un 7-8 per cento: sono due obiettivi sui quali mi sento ottimista". I conti del secondo trimestre, resi pubblici ieri, dicono che a livello globale la multinazionale tiene: ha totalizzato utili netti stabili (177 milioni di dollari contro i 179 del periodo precedente) e vendite in aumento dell'11 per cento. Una tendenza positiva, quella sulle vendite, che si registra nell'area Emea (Russia e Ucraina a parte) e pure sul mercato italiano. "Vediamo la ripresa, ma sarà lenta" commenta la Berrozpe. I prossimi quattro anni, quelli del piano industriale, saranno decisivi, ma la visione che Whirlpool ha dell'Italia - tiene a precisare la multinazionale - non è cambiata fra la prima e la seconda versione del piano. «La filosofia è la stessa: l'efficienza dei siti va aumentata, la capacità produttiva, oggi al 50 per cento, deve arrivare al 70. Per farlo ogni sito deve dedicarsi ad una specifica produzione, ma l'impegno era ed è rimasto quello di ridurre al minimo l'impatto sociale del piano. C'è stato semmai un riposizionamento fra i siti stessi facilitato dagli ammortizzatori sociali». Fra un piano e l'altro, in realtà, ci sono 2070 esuberi e i due siti che sembravano da chiudere. Erano una minaccia fatta al governo?«Non abbiamo fatto alcuna minaccia. La mediazione del governo è stata di fondamentale importanza, ma non abbiamo chiesto e ottenuto condizioni speciali. In Italia usiamo gli strumenti che a la legge ci consente» puntualizza la presidente. Come non c'è stato alcun effetto positivo legato al Jobs act. «Il suo varo non ha in alcun modo condizionato le nostre decisioni» precisa Esther Berrozpe. Se Whirlpool ha deciso di restare con tutti i siti in Italia,e investirci sopra, non lo ha quindi fatto per via delle riforme. Semmai perché l'Italia, precisa Whirlpool resta un paese appetibile: «Non per il costo del lavoro, perché da quel punto di vista la Polonia, la Turchia e ancor più l'India offrono condizioni migliori - afferma la presidente dell'area Emea - ma il costo del lavoro è solo una delle variabili da considerare. L'Italia è appetibile per la competenza e la professionalità nella produzione di alta gamma, per la ricerca e il design. Il Nord in particolare gode di una posizione strategica privilegiata, soprattutto pensando a Germania e Francia, i mercati interessati alla produzione di alta qualità». Il Sud quindi resterà marginale? «No, a Napoli si producono lavatrici al top e vi abbiamo indirizzato ulteriori investimenti». Resta il fatto che il futuro di Whirlpool in Italia è legato al raggiungimento di quei due obiettivi. E se così non dovesse essere ?«Il SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/07/2015 43 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato Whirlpool firma l'intesa "Italia ancora appetibile in ripresa le vendite" 23/07/2015 Pag. 22 diffusione:556325 tiratura:710716 SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/07/2015 44 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato problema andrà al di la della dimensione Italia, sarà un problema per tutta Whirlpool ». I PUNTI INVESTIMENTI E POSTI C'è l'impegno a investire 513 milioni nei prossimi 4 anni. Nessuna chiusura, gli 815 dipendenti di Carinaro passeranno a 320 con gli ammortizzatori sociali RISPARMI I risparmi attesi dall'integrazione con Indesit dovranno essere di 400 milioni di dollari. Altrimenti nel 2018 scatteranno i licenziamenti MARGINE OPERATIVO L'altra condizione è che il margine operativo lordo deve crescere di almeno il 6 per cento, ma si attende un più 7-8 per cento Foto: LA CRISI Un operaio al lavoro in uno stabilimento della Whirlpool A sinistra, il presidente per l'Europa, Esther Berrozpe 23/07/2015 Pag. 22 diffusione:556325 tiratura:710716 I lavori della rete stradale Anas finanziati con la benzina Entrate certe attraverso una "tariffa", che tuttavia non peserà sulle tasche dei contribuenti LUCA PAGNI MILANO. Finanziare i lavori di manutenzione della rete stradale affidati all'Anas attraverso una "tariffa", in modo che non pesino più sui conti dello Stato. Una tariffa che verrebbe pagata dai cittadini mentre fanno il pieno di benzina, ma che non peserà sul rialzo dei prezzi al distributore e, soprattutto, non avrà effetti inflattivi. Perché, contestualmente, il governo sterilizzarà il possibile aumento rinunciando a una quota corrispondente delle accise, ma recuperando i fondi che ogni anno vengono versati all'Anas per le opere pubbliche. Secondo quanto ha potuto ricostruire Repubblica, è questo il piano al quale stanno lavorando i nuovi vertici di Anas di concerto con Palazzo Chigi. E che, in parte, ha anticipato il neo amministratore delegato dell'Azienda Autonoma Nazionale Strade, Gianni Armani, arrivato da Terna, la società controllata dal Tesoro che gestisce le reti ad alta tensione, durante una audizione in commissione Ambiente e Lavori Pubblici della Camera. Proprio prendendo spunto da quanto accaduto per le reti elettriche (ma allo stesso modo per le reti del gas e dell'acqua), si sta studiando la possibilità di assegnare ad Anas ricavi certi nel tempo e indipendenti da quelli che ogni anno vengono versati dallo Stato (oltre 2 miliardi). In questo modo, si otterrebbero due vantaggi. Come ha spiegato lo stesso Armani da una lato «si consentirebbe allo Stato di risparmiare senza oneri aggiuntivi alla popolazione senza più versare i contributi in conto capitale» e con i lavori di Anas che uscirebbero così dal perimetro della fiscalità generale. E dall'altra «Anas potrà attingere al mercato dei capitali direttamente senza pesare sul debito pubblico nel finanziamento delle opere infrastrutturali come avviene per le utility». Secondo questo schema, i privati saranno incentivati a finanziare le opere di Anas proprio perché avranno la garanzia che la società ha enttare certe e garantite, trasformando la manutenzione strade in una sorta di attività regolata. Con costi da imputare «a chi usufruisce del servizio e in ragione del grado di utilizzo, secondo criteri di mercato». La scelta di puntare a una "tariffa" da applicare alla pompa di benzina è stata preferita alla soluzione adottata in altri paesi quali la Svizzera e la Slovenia, dove il contributo dei cittadini viene pagato attraverso la tassa di circolazione. Per il semplice fatto che l'evasione del "bollo" (così come quella dell'assicurazione obbligatoria) in Italia è molto più alta rispetto al resto dei Paesi Ue. ziare le opere di Anas proprio perché avranno la garanzia che la società ha enttare certe e garantite, trasformando la manutenzione strade in una sorta di attività regolata. Con costi da imputare «a chi usufruisce del servizio e in ragione del grado di utilizzo, secondo criteri di mercato». La scelta di puntare a una "tariffa" da applicare alla pompa di benzina è stata preferita alla soluzione adottata in altri paesi quali la Svizzera e la Slovenia, dove il contributo dei cittadini viene pagato attraverso la tassa di circolazione. Per il semplice fatto che l'evasione del "bollo" (così come quella dell'assicurazione obbligatoria) in Italia è molto più alta rispetto al resto dei Paesi Ue. Foto: Gianni Armani Foto: Gianni Armani SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/07/2015 45 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato IL CASO 23/07/2015 Pag. 1.28 diffusione:556325 tiratura:710716 La resistenza del ceto medio Più sobria nei consumi, attenta alla qualità dei prodotti alimentari, non disdegna low cost né fai-da-te. Ecco la nuova middle class italiana Sopravvissuta alla lunga recessione, si riscopre cambiata. E fa della cultura il proprio tratto distintivo Così la descrivono gli ultimi studi degli esperti In casa si recuperano oggetti vecchi, usati, comprati su Ebay o trovati per strada ROBERTO MANIA IL CETO medio ha resistito alla lunga recessione. Non è morto - come in molti preconizzavano - ma è cambiato. La fine del ceto medio non c'è stata; c'è, invece, "un nuovo ceto medio". Più sobrio nei consumi, attento alla qualità e autenticità dei prodotti alimentari, capace di rinunciare al superfluo e anche più, ricco di "capitale culturale" meno di "capitale economico", fruitore del low cost e protagonista del fai-da-te, cosa che solo negli anni Ottanta e Novanta avrebbe evitato accuratamente di mostrare. Altra epoca. La polarizzazione sociale, in alto e in basso, non si è realizzata in Italia, nonostante la doppia recessione, l'impennata della disoccupazione e la conseguente caduta complessiva del reddito disponibile. Chi sta nel mezzo (circa 34 milioni di persone) difende con orgoglio la propria appartenenza di ceto perché il ceto - come sosteneva Max Weber - è quel che gli altri ti riconoscono, per questo è diverso dalla classe sociale. Sia chiaro, il nuovo ceto medio ha grande paura di scivolare in basso, ma non vuole confondersi con i ceti popolari o le classi sociali inferiori, punta, piuttosto, a mischiarsi sul piano culturale con quelli che stanno in alto. E marca pure le distanze da quella parte dello stesso ceto medio ora in ascesa (non stabilizzato, dunque), debole sul versante culturale - parvenu, insomma - , che non esita a definire con un po' di disprezzo "tamarro" o "maraglio". Perché l'indagine sul nuovo ceto medio (la prima di questo tipo) è stata condotta a Milano e Bologna da tre sociologi, Roberta Sassatelli, Marco Santoro e Giovanni Semi e pubblicata ora in un volume ( Fronteggiare la crisi, il Mulino). Bisogna sentirsi ceto medio, certo, ma anche esserlo. E esserlo si traduce nello stare a metà dal punto di vista economico, del reddito disponibile, del patrimonio posseduto, dei consumi. La profondità della crisi economica e la sua inedita durata (quasi sette anni) hanno accresciuto le distanze ma non hanno svuotato il bacino di chi sta in mezzo che è rimasto uguale. La depressione di questo secolo, infatti, ha trascinato verso il basso sia una quota di appartenenti ai ceti superiori sia una quota del ceto medio, lasciando così inalterato dal punto di vista quantitativo (dal 1985, secondo l'Istat) la fascia mediana della popolazione, e soprattutto dei consumatori. Che, tuttavia, sente un terreno instabile sotto in piedi. Tant'è che nelle ultime indagini di Ilvo Diamanti la percentuale di chi si sente ceto medio è progressivamente diminuita: era il 53 per cento nel 2006, è passata al 48 nel 2008 per scendere al 42 nel 2015. L'ultima inchiesta del Centro Einaudi con Intesa Sanpaolo dice che il ceto medio è sceso sotto il 40 per cento, al 38,5. Nello stesso tempo il livello della spesa delle famiglie italiane è diminuito di più tra le famiglie borghesi (-7 per cento) rispetto a quello della classe media impiegatizia ( -3) e della piccola borghesia autonoma ( -2,5) che hanno subito una discesa simile alla classe operaia (-3,3). Conferma queste tendenze uno studio di un economista della Banca d'Italia Andrea Brandolini (I bilanci delle famiglie italiane dopo la Grande recessione) nel quale si dimostra che mentre dal 2003 al 2007, il quinquennio precedente il fallimento della Lehman Brothers che ha scatenato la tempesta finanziaria e sociale in mezzo globo, è cresciuta del 4,2 per cento in maniera uniforme tra i gradini della scala sociale, dal 2008 al 2012 (gli anni della crisi) la caduta (-10,4 per cento) è stata condivisa a tutti i livelli «ma è stata minore per quelli centrali e maggiore per quelli sia in basso sia in alto». Aggiunge Brandolini: «L'approssimativa simmetria delle variazioni spiega perché l'indice di Gini, una misura sintetica della disuguaglianza, sia rimasto virtualmente costante al 31 per cento». Insomma la nostra middle class ha mantenuto la sua centralità, e i passaggi dall'alto verso il centro e dal centro verso il basso si sono compensati lasciando apparentemente inalterato il tasso di diseguaglianza. SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/07/2015 46 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato R2 23/07/2015 Pag. 1.28 diffusione:556325 tiratura:710716 SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/07/2015 47 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato La polarizzazione, allora, non c'è stata. Ma c'è stato e c'è un cambiamento nei consumi del ceto medio che ha fatto i conti con la crisi. E quel che accade nel ceto medio rende più evidente quel che si realizza nel ventre profondo della società. «Consumi meno vistosi e più di nicchia, più selezionati», spiega la Sassatelli, docente di Consumer culture, contemporary sociological theory e Sociologia dei processi culturali all'Università di Milano. «C'è - dice Sassatelli - sobrietà nei consumi, con l'attribuzione alla sobrietà di un valore estetico e non ascetico. Il posto di un consumo vistoso, quello, per capirci, dell'epoca dell'edonismo reaganiano, è stato preso da un consumo sottotono, understatement. Dall'orchidea si è passati alla margherita. Negli anni pre-crisi si compravano due, tre paia di scarpe all'anno. Ora ne basta un paio». I consumi sono stati l'atto identificativo del ceto medio novecentesco, ora segnano la metamorfosi. Prendiamo la casa, che resta il possesso simbolo della classe media italiana. Tanto che la percentuale più alta di spesa destinata all'abitazione si registra proprio tra gli appartenenti al ceto medio: il 38 per cento, contro il 36,6 della borghesia e il 35,7 della classe operaia. La crisi ha rattrappito il mercato abitativo. Non potendo comprare case più grandi, il ceto medio - si legge nella ricerca - ha risolto «il conflitto tra un desiderio di spazio che supera le possibilità economiche, abbattendo le mura interne, eliminando la distinzione tra cucina e tinello e ricorrendo ad arredamenti pensati ad aumentare la fruibilità dello spazio, come nel caso di marchi di successo come Ikea e Habitat». E poi nell'arredamento si recuperano oggetti vecchi, usati, comprati ai mercati, su Ebay, ricevuti da un parente, addirittura trovati per strada. Spesso vengono riadattati, ridipinti. «Il fai-da-te e il low cost - affermano i tre ricercatori - diventano così elemento personalizzante dell'ambiente domestico, metabolizzato come marca della propria individualizzazione e competenza culturale». Ed è proprio la cultura l'elemento qualificante del nuovo ceto medio urbano. Le spese per la cultura sono scese ma la fruizione di cultura diventa il tratto distintivo. «Sono questi consumi più di altri ad essere indicati (nelle interviste registrate durante la ricerca, ndr) come elementi caratterizzanti uno stile di vita, una identità». È così che la middle class si avvicina alla classe superiore, in un processo di unificazione della classe media impiegatizia, che in questo caso si distingue dalla cosiddetta "piccola borghesia autonoma" la quale finisce per avere un approccio simile a quello degli operai. Il nuovo ceto medio utilizza i diversi tasti per il consumo alimentare. Era stato «il protagonista della conquista dell'abbondanza alimentare degli anni Sessanta con l'ascesa della carne rossa a principale fonte proteica», poi protagonista nelle trasformazioni alimentari all'insegna della praticità (dai supermarket al forno a microonde). Oggi sceglie un mix per il suo approvvigionamento alimentare: va al discount (soprattutto per i detersivi) e al supermercato; va dal contadino e nei piccoli negozi alla ricerca di qualità e autenticità dei prodotti. Manifesta un consumo più consapevole del passato. Questo nuovo ceto medio non rinuncia, dunque, a un ruolo da primo attore. Giuseppe De Rita ha scritto di un rinnovato protagonismo di questa fascia sociale, di una «dinamica di massa», vede qui anche la genesi di una nuova classe imprenditoriale, un nuovo processo di "cetomedizzazione", neologismo coniato dal fondatore del Censis. «In altre parole - pensa De Rita - il ceto medio italiano è vivo e "lotta insieme a noi", partecipando alla faticosa uscita dalla crisi». Le aspirazioni del ceto medio italiano nel 2015 Vorrei essere sicuro del mio lavoro Vorrei acquistare una nuova casa Vorrei vedere la crisi finire, anche per i riflessi personali Vorrei guardarmi intorno per cambiare lavoro o attività, anche all'estero Vorrei essere tranquillo che in pensione potrò essere indipendente economicamente Vorrei essere sicuro che le spese per i figli (es., per l'istruzione) daranno loro un effettivo vantaggio FONTE: INTESA SANPAOLO E CENTRO DI RICERCA E DOCUMENTAZIONE LUIGI EINAUDI 23/07/2015 Pag. 31 diffusione:556325 tiratura:710716 "Mai un incidente sui veicoli Fca ma il software è stato aggiornato" VINCENZO BORGOMEO «TUTTI I settori industriali sono potenziali bersagli di un attacco da parte di hacker, e quello dell'automobile ovviamente non poteva fare eccezione»: è Gualberto Ranieri, capo della comunicazione Fca per i mercati Nafta, a spiegare il punto di vista della Fca (Fiat Chrysler Aotomobiles) nel caso della violazione "sperimentale" da parte di due hacker di una Jeep Cherokee per controllarne in remoto alcune funzioni. Ma ci sono stati altri casi che riguardino vetture Fca? «No, non c'è stato un solo incidente nel mondo reale in cui sia stato coinvolto un qualsiasi veicolo Fca a seguito di un'intrusione pirata nei suoi software». E come avete reagito all'esperimento degli hacker raccontato da "Wired"? «Dopo aver capito che alcuni modelli 2013 e 2014 con i sistemi touchscreen da 8.4 pollici erano vulnerabili abbiamo subito provveduto ad aggiornare il software. Si scarica gratis a questo indirizzo: www.driveuconnect.com/software-update. In sostanza, abbiamo lavorato insieme diversi fornitori per risolvere questo tipo di vulnerabilità sui modelli 2015». Quali modelli sono coinvolti in questo problema delle falle telematiche? «Si tratta dei modelli Dodge Ram, Viper, Durango, Jeep Grand Cherokee, e Cherokee del 2004 e anche di alcune Chrysler 200». SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/07/2015 48 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato L'INTERVISTA/R2 23/07/2015 Pag. 37 diffusione:556325 tiratura:710716 "Siamo vicini al solare economico" "Sarà possibile creare anche in Africa centrali potenti come quelle nucleari ma che sfruttano una risorsa gratuita" VALERIA FRASCHETTI «Abbiamo due sfide davanti a noi: de-carbonizzare il sistema energetico e, allo stesso tempo, far fronte a una domanda globale di energia che al 2050 raddoppierà a causa della crescita demografica ed economica della popolazione». Parola di Robert Armstrong, direttore del MIT Energy Initiative, l'iniziativa creata dal Massachusetts Institute of Technology per contribuire a rendere più sostenibile il sistema mondialee alla quale Eni aderisce dal 2008 come membro fondatore, sostenendo numerose ricerche. Qual è il significato di questa partnership? «Fin dalla sua creazione il MIT Energy Initiative ha come obiettivo la stretta collaborazione con l'industria dell'energia. Siamo convinti che questo legame permetta alla ricerca di avere accesso all'expertise delle aziende e alle tecnologie sviluppate di trovare applicazione commerciale su larga scala. Quella con Eniè una collaborazione coinvolgente con uno scambio continuo di esperienze e competenze. In questi anni abbiamo ricevuto oltre 250 visite da dipendenti dell'azienda e 40 professori del MIT sono stati coinvolti in vari progetti di ricerca». Quali sono le principali linee di ricerca? «Nel campo degli idrocarburi studiamo tecnologie di aumento del fattore di recupero del greggio. In particolare l'impiego di nanoemulsioni: dispersioni piccolissime di acqua in olio che aiutano a catturare più petrolio dai giacimenti in uso. Un'applicazione che servirebbe anche a minimizzare l'impatto ambientale delle operazioni di estrazione». Mentre nell'ambito delle rinnovabili? «Abbiamo creato il Solar Frontiers Center per condurre ricerche su materiali per lo sfruttamento del solare. Un obiettivo è andare oltre il silicio come tecnologia fotovoltaica e sostituirlo con materiali organici. Puntiamo alla creazione di una nuova generazione di celle fotovoltaiche più economiche di quelle attuali e, quindi, adatte in particolare allo sviluppo del solare anche in Africa, dove il potenziale di quest'energia rinnovabile è enorme». Quando sarà realtà il fotovoltaico a basso costo? «Materiali fotovoltaici avanzati potrebbero arrivare alla fase di scale-up entro il 2040. Stiamo già facendo studi di fattibilità in Egitto e in Africa sub-sahariana». La vostra ricerca guarda anche al solare a concentrazione. Che prospettive concrete intravede qui? «Sinora il limite di questa tecnologia era il suo alto costo d'investimento. Così ci siamo concentrati sulla progettazione di un prototipo di ricevitore parabolico economico e siamo riusciti a ridurre molto i costi. Se questo risparmio potrà essere confermato su scala commerciale, si farà strada una distribuzione sostenibile del solare a concentrazione, con centrali potenti come quelle nucleari ma che sfruttano una risorsa gratuita». SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/07/2015 49 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato INTERVISTA Robert Armstrong del Mit/Le Guide DI REPUBBLICA 23/07/2015 Pag. 1 diffusione:309253 tiratura:418328 MASSIMO RUSSO Quando l'altro giorno il premier Matteo Renzi ha visitato l'università di Tel Aviv, ha lodato la capacità di innovare di Israele, Paese trasformatosi in 30 anni da terra dei pompelmi in una delle capitali globali della tecnologia. Uno Stato più piccolo della Lombardia che ha quotato più aziende al Nasdaq di tutto il continente europeo. «Ho visto persone giovani, dinamiche, brillanti, che si muovono rapide », ha affermato Renzi. E ha poi aggiunto: «Ho veramente apprezzato la chutzpah », termine ebraico che indica l'impertinenza e la presunzione di essere i migliori, di intraprendere, di mettersi in gioco. C'è un corto circuito logico tra il premier da esportazione, che vanta familiarità con gli startupper, sfoggia il laptop, proclama di voler rendere la Penisola una «smart nation», e quello che in Italia progetta la grande riforma fiscale. Mentre il primo guarda al ventunesimo secolo e si muove a suo agio nella città dove sono fiorite oltre 700 nuove aziende del digitale e delle biotecnologie, il secondo è saldamente piantato nel '900. Nella promessa di abbattere la pressione fiscale di 45 miliardi in tre anni, più o meno tre punti di Pil, al primo posto infatti c'è ancora una volta la casa, con la cancellazione di Imu e Tasi Solo nel 2017 forse il «patto con gli italiani» (anche le parole sanno di antico) penserà alle imprese e al lavoro con Ires e Irap, per concludersi poi nel 2018 con Irpef e pensioni. Sì certo, direte voi, è un passo avanti rispetto a colleghi di partito come Pier Luigi Bersani o all'ex ministro Vincenzo Visco, che continuano a sostenere che invece bisognerebbe colpire l'evasione fiscale, come se le due cose fossero alternative. Ma il punto chiave è che ancora una volta le partite Iva possono attendere. Non serve a nulla che l'attuale ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan nel 2013, da capoeconomista dell'Ocse, avesse battezzato l'Imu come «l'ultima tassa da tagliare per stimolare la crescita». Al dunque Renzi si comporta più o meno come il vituperato predecessore Enrico Letta che, quando due anni fa propose di restituire l'Imu, venne accusato di farsi dettare la linea da Silvio Berlusconi. Ne l m o d o s t e s s o i n c u i analisti ed esperti guardano alla questione sembra esserci un equivoco legato a schemi del secolo scorso, quando si definiva conservatore chi tagliava le tasse e progressista chi faceva crescere la spesa. Una griglia interpretativa da sempre poco utile in Italia, patria di familismo e clientele diffuse, più che di destra e sinistra. In quel tempo, tifare per il «popolo delle partite Iva» era una scelta di campo precisa. Con il giro di boa del millennio però è cambiato il lavoro. Nella società liquida le partite Iva sono i ragazzi che non aspettano di essere assunti, ma si inventano il presente come autonomi, ditte individuali, consulenti nei servizi o impiegati part-time nelle piattaforme digitali. Senza un ufficio né una scrivania, spesso avendo come unico capitale la propria intelligenza, uno smartphone e una connessione a Internet, a volte un piccolo laborat o r i o d i m a n i fat t u ra , u n esercizio o uno spazio di coworking . Pe rs o n e c h e o g n i mattina si svegliano con l'imperativo «alzati e fattura» e che per 100 euro incassati a 90 giorni ne vedono sparire 50 in t a s s e e ad e m p i m e n t i e s t e nuanti. Con la perenne angoscia di aver sbagliato qualcosa, di aver dimenticato l'ultima circolare, confuso le cifre su un F24. Nel tempo sono stati compiuti alcuni interventi per le start-up e per le piccole imprese innovative. Troppo poco. Nulla a che vedere con quel che Renzi ha sentito nelle due ore e mezza dell'incontro di Tel Aviv, dove lo Stato ha investito in modo massiccio per stimolare imprenditorialità e crescita. Niente di simile nemmeno a quel che accade in altri Paesi europei, dove semplificazione radicale degli obblighi e detassazione sono una realtà per tutte le imprese. In Irlanda, ad esempio, l'aliquota è del 12,5%, e fino a 320 mila euro di fatturato non si pagano tasse per tre anni. È una scelta di campo. Si può decidere di rimettere in moto l'ascensore sociale, di lasciar libera la crescita dei figli, oppure di premiare la generazione dei padri e dei nonni, che poi passeranno la paghetta ai nipoti che non arrivano a fine mese e non riescono a pagare l'affitto, figuriamoci la casa di proprietà. Legittimo che il presidente del Consiglio scelga questa strada, per convinzione, beneficio nei sondaggi o calcolo elettorale. Ma almeno, per favore, ci risparmi la retorica della «smart nation». Anche quella è passata di moda. @massimo_russo SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/07/2015 50 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato MA LA RIFORMA NON PENSA AI PIÙ GIOVANI 23/07/2015 Pag. 20 diffusione:309253 tiratura:418328 Carige nel risiko bancario guarda a Popolare Milano Castelbarco: "Bpm è compatibile con noi" GILDA FERRARI GENOVA Pronti a sedersi al tavolo delle aggregazioni, ora che il rafforzamento patrimoniale ha reso Carige una banca in grado di negoziare con «pari dignità» con gli altri istituti. A cominciare da Bpm, g i u d i c at a « a s s o l u t a m e n t e compatibile», anche se «non è la sola tra le Popolari». Cesare Castelbarco Albani parla delle nuove sfide della banca genovese, dicendosi convinto che Carige ha tutte le carte in regola per un rilancio «alla grande». Presidente, anche il secondo aumento di capitale da 850 milioni è stato sottoscritto. «Il mercato ha capito che il nostro progetto stava andando nella giusta direzione». Ma i piccoli azionisti hanno avuto grande difficoltà, molti hanno venduto diritti per riuscire a sottoscrivere... « Ca p i s co c h e p e r i p i cco l i azionisti sia stato un sacrificio, ma d'altronde con questa operazione Carige ha una dotazione patrimoniale seconda solo a Intesa. Abbiamo solidità patrimoniale e forte liquidità, guardiamo avanti con ottimismo. Il titolo va bene». Ci vorrà tempo per recuperare valore? «Le operazioni turnaround (ristrutturazione profonda, ndr) sono tarate sui due anni. Alla lunga gli azionisti avranno soddisfazione». In termini di azionariato Carige è un'altra banca. «Con questo investimento la famiglia Malacalza fa un servizio a regione, città ed economia locale. Una dimostrazione lampante di impegno. Ma l'azionariato di Carige è forte anche grazie agli altri azionisti e al patto tra Coop, Talea, Fondazioni Carrara e Savona». Aggregazioni: arruolerete l'advisor. Perché già ora? «Il mercato ha iniziato una trasformazione dettata anche dalla riforma delle popolari, dobbiamo attrezzarci con la nomina di 1 o 2 advisor, così da avere supporto per conoscere il sistema. Abbiamo bisogno di qualcuno che, con visione a 360 gradi, analizzi le altre banche e la trasformazione in corso». L'ad Piero Montani ha detto che Carige guarda al mercato. «Esatto, siamo pronti a cogliere le opportunità di un mercato che si sta aprendo sempre più alla competizione». Tra due anni Carige sarà insieme a un'altra banca? «Mi pare presto per dirlo, nonostante i rumors. Se ci saranno opportunità di interesse per banca, azionisti, clienti e dipendenti saremo pronti a coglierle». Bpm è compatibile, in questi termini, con Carige? «Assolutamente sì. Ma anche altre Popolari lo sono». Che cosa rende una banca compatibile con Carige? «Il mercato di riferimento, le sovrapposizioni territoriali. Bpm sta in Lombardia, territorio ricco e contiguo, ma non è l'unica Popolare che deve trasformarsi in Spa. L'importante è sedersi al tavolo con pari dignità». Ci sono già stati contatti? «No, nessuno». Non è prematuro cercare l'advisor dovendo ancora aumentare la redditività dell'azienda? «La ricerca dell'advisor non è un'accelerazione. Oggi abbiamo patrimonio e liquidità ottimali (Cet1 12,4%): già questo ci permette di sederci a un tavolo con assoluta tranquillità». Quanto tempo occorre per avere risultati di redditività? «Il turnaround richiede 2 anni, noi stiamo lavorando da un anno. Siamo a buon punto». Carige ha scelto di non vendere banca Cesare Ponti. «Ad aumento fatto, il beneficio patrimoniale della vendita non avrebbe giustificato il sacrificio della vendita stessa. Il private della Cesare Ponti è un asset strategico, che intendiamo rilanciare». Uno dei problemi sono i private banker non sufficientemente vincolati al gruppo? «Confermo. In passato non è stata portata avanti una politica di patti e non concorrenza». Foto: Presidente Cesare Castelbarco Albani è al vertice di Banca Carige dalla fine del 2013 SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/07/2015 51 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato Intervista 23/07/2015 Pag. 23 diffusione:309253 tiratura:418328 STEFANO LEPRI Tagliare le tasse e combattere l'evasione fiscale non sono affatto scelte alternative, nota il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan. Ma, siccome da giovane si è formato nella sinistra, non dovrebbe meravigliarsi che qualcuno le contrapponga. In un contesto da XX Secolo, la contrapposizione sinistra-destra passa di lì. Alla destra non interessa la spesa sociale, vuole meno tasse per non intralciare l'attività economica. La sinistra vuole che lo Stato spenda di più o per ridurre le disuguaglianze o per supplire alle carenze dell'investimento privato, dunque ha bisogno di entrate fiscali e ne chiede a chi più ha. La sinistra, nella immagine che la destra ne dà, «tassa di più per spendere di più». Difendendosi, ribatte che «per pagare meno tasse, occorre che le paghino tutti»; e accusa la destra di voler ridurre le entrate allo scopo di tagliare le prestazioni sociali ai più poveri. Rifacendosi a questo schema annoso, si capisce perché a Pierluigi Bersani la promessa renziana di ridurre le tasse paia demagogica: lo fa temere per il livello della spesa pubblica. Nella sua visione la spesa ha scopi sociali oppure di rilancio dell'economia; è dunque parte dell'identità storica della sinistra. Negli Stati Uniti, quella contrapposizione resiste tuttora. Il carico fiscale è basso, spesso più lieve per i ricchi (il numero uno dei redditi, Warren Buffett, ha ammesso di pagare una aliquota inferiore alla sua segretaria); se si discute di tagli alla spesa si tratta perlopiù di meno welfare. Le disuguaglianze sociali sono in forte crescita. Ma l'Italia? Non solo da noi la pressione fiscale è molto alta; studi dell'Ocse negli anni in cui Padoan ne era capo economista mostrano che i suoi effetti redistributivi, seppur non trascurabili, sono più modesti che in altri Paesi. Mentre una componente primaria della spesa, le pensioni, a ridurre le disuguaglianze non contribuisce affatto. La cattiva qualità delle spese discrezionali degli enti la mostrano giorno dopo giorno gli scandali di corruzione. Scarseggiano esempi di investimenti pubblici dai validi effetti di sviluppo dopo i successi di 60 anni fa con acciaio, petrolio, autostrade. Paradossalmente, il record di crescita della spesa appartiene agli anni in cui Silvio Berlusconi era più forte, 2001-2004. Che ridurre le tasse sia benefico per l'economia italiana è oggi opinione prevalente tra gli esperti, in America invece divisissimi; le differenze stanno nel quanto e soprattutto nel come. In passato Padoan, come Mario Draghi e tanti altri, aveva ammonito che le imposte sulla casa sono tra le meno dannose rispetto al lavoro e all'attività delle imprese. Nel dare priorità alla casa per ragioni di consenso elettorale, la somiglianza tra Renzi e Berlusconi c'è. E purtroppo sottrarre ai Comuni entrate dirette, misurabili dagli elettori, per sostituirle con trasferimenti dallo Stato centrale, rischia di aumentarne l'irresponsabilità nella spesa. A differenza della sinistra Pd, il presidente del Consiglio pare convinto che i proclami contro l'evasione e i provvedimenti-spettacolo facciano perdere voti. Tra le misure antifrode del suo governo alcune nascono addirittura dal Nens, il centro studi di Bersani e di Vincenzo Visco; ma ha preferito non parlarne troppo. E poi, quale è il maggiore ostacolo alla lotta all'evasione oggi? In uno dei molti processi autodistruttivi - che nessuno sa fermare - in corso dentro la nostra burocrazia, ricorsi a catena, finiti in Corte Costituzionale, hanno reso illegittime 800 nomine di dirigenti dell'Agenzia delle Entrate. Un enorme numero di accertamenti sarà annullato, di nuovi se ne fanno pochi. Foto: Illustrazione di Irene Bedino SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/07/2015 52 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato PIÙ QUALITÀ NELLA SPESA PUBBLICA 23/07/2015 Pag. 1.3 diffusione:104189 tiratura:173386 Nokia manda in rosso Microsoft Se le tlc si sono rivelate un vero disastro, ma la scommessa del ceo Nadella sul cloud computing inizia a pagare, con crescite a doppia cifra nei servizi come Office 365 e Azure Davide Fumagalli Nokia continua a pesare sui conti di Microsoft, tanto da macchiare di rosso la trimestrale del colosso di Redmond. La società guidata da Satya Nadella ha infatti chiuso il quarto trimestre dell'esercizio fiscale 201415 con una perdita di 3,2 miliardi di dollari rispetto all'utile di 4,61 miliardi di dollari di un anno fa per via di una maxi-svalutazione degli asset acquistati da Nokia, ovvero la divisione telefonia. Un dato in larga misura atteso, dal momento che all'inizio del mese Microsoft aveva comunicato un write off da 7,5 miliardi di dollari relativo all'ex divisione dispositivi mobili di Nokia, a cui si dovranno aggiungere ulteriori oneri per un totale di 8,4 miliardi. Il titolo ha infatti contenuto le perdite a meno del 3%, intorno ai 46 dollari. In pratica, Microsoft ha portato a zero il valore degli ex telefonini Nokia acquistati lo scorso aprile. Senza la maxi-svalutazione gli utili di Microsoft avrebbero invece toccato i 62 centesimi per azione, valore superiore ai 58 centesimi stimati dagli analisti. Il fatturato del trimestre chiuso il 30 giugno si è invece attestato a 22,2 miliardi di dollari, in calo del 5% rispetto ai 23,4 miliardi dello stesso periodo dell'anno precedente, ma leggermente superiori ai 22 miliardi stimati dagli analisti, mentre a parità di valore del dollaro il calo dei ricavi si sarebbe limitato al 2%. Se quindi molti osservatori cominciano a parlare apertamente di fallimento di Microsoft nel settore della telefonia, con Windows Phone che si è ritagliato solo il 2,7% del mercato globale nonostante gli investimenti e le relative perdite miliardarie, la strategia di Nadella centrata sul cloud comincia a dare i suoi frutti. Il nuovo ceo sta infatti cercando di trasformare il modello di business di Microsoft da quello tradizionale, basato sulla vendita di licenze software, a uno basato essenzialmente sulle sottoscrizioni di abbonamenti che permettono agli utenti di Office, Windows e altri software di fruire sempre dell'ultima versione a fronte di un pagamento mensile. Un approccio seguito anche da altri colossi software come Adobe, che comporta una diminuzione del fatturato nel breve periodo a fronte però di una maggior costanza di ricavi e utili a lungo termine, anche per via di una minore incidenza di pirateria informatica. «Il nostro approccio, investire nei settori in cui possiamo differenziarci e dove ci sono opportunità, sta pagando con Surface, Xbox, Bing, Office 365, Azure e Dynamics Crm Online, tutti cresciuti almeno a doppia cifra», ha affermato Nadella. Il declino delle vendite delle licenze di Windows (-8%) e del pacchetto Office (-4%) sono state arginate proprio dal settore cloud, dalle vendite di Xbox (+27%) grazie anche la recente calo di prezzo della consolle da gioco e del tablet Surface (+117%). Previsto invece per il 29 luglio il lancio del nuovo sistema operativo, Windows 10, anche se gli analisti prevedono che avrà un impatto minimo sulle vendite del settore dei pc, sempre in declino, e ancora meno sui conti di Microsoft, dal momento che la società lo offrirà per la prima volta come aggiornamento gratuito agli utenti in possesso delle ultime due versioni. La vera scommessa riguarda la capacità di Microsoft di imporsi come un player credibile nel settore, strategico, della telefonia mobile. Lasciandosi alle spalle il fallimento targato Nokia. (riproduzione riservata) MICROSOFT 22 apr '15 22 lug '15 42 48 44 50 46 quotazioni in dollari Foto: Satya Nadella Foto: Quotazioni, altre news e analisi su www.milanofinanza.it/microsoft SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/07/2015 53 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato LA SVALUTAZIONE DA 8,4 MILIARDI DELLA DIVISIONE TELEFONIA NE HA AZZERATO IL VALORE 23/07/2015 Pag. 1.4 diffusione:104189 tiratura:173386 Debito su e produzione ferma In un anno il peggioramento è stato di quasi 4 punti, e non è l'unica brutta notizia. Secondo l'Istat infatti il fatturato industriale rimane ai livelli 2010. Ma per Confcommercio si possono tagliare 25 mld di spesa Guido Salerno Aletta Per l'economia italiana, ieri non è stata una giornata di notizie positive: debito pubblico che cresce, produzione industriale in stallo, spesa pubblica locale che potrebbe essere ridotta di almeno una ventina di miliardi, pur erogando a tutti i livelli di servizio più elevati. Per quanto riguarda l'andamento del debito pubblico, L'Eurostat ha rilevato che, nei 12 mesi intercorrenti tra il primo trimestre 2014 e il primo trimestre di quest'anno, l'Italia è stata seconda solo al Belgio nel peggioramento del rapporto debito/pil: siamo passati dal 131,2% al 135,1%, con un incremento del 3,9%. In valori assoluti, è passato da 2.119 miliardi di euro a 2.184 miliardi, con un aumento di 65 miliardi. Nello stesso periodo, però, le disponibilità liquide del Tesoro sono aumentate di 17 miliardi, per cui il fabbisogno netto delle Pa ha inciso per 48 miliardi. Anche con questa rettifica, il dato non è affatto confortante anche se i dati dell'ultimo Supplemento al Bollettino statistico della Banca d'Italia, aggiornati a fine maggio, mostrano che il profilo del fabbisogno delle Pa si è contratto ampiamente rispetto a quello del triennio 2012-2014, con un andamento migliore anche rispetto a quello dei primi cinque mesi del 2011. L'Istat ha pubblicato i dati della produzione industriale a fine maggio. Evitando i confronti con il mese di aprile, assai poco significativi, emerge una completa stagnazione: in termini di fatturato, la variazione nel periodo gennaiomaggio 2014, corretto per gli effetti del calendario, e quello del corrispondente periodo di quest'anno è stata pari a 0,0%. Rispetto al mese di maggio dell'anno scorso, il fatturato è cresciuto del 2,4% mentre gli ordinativi sono calati dello 0,5%: sintesi di un aumento dello 0,3% degli ordinativi interni e di un calo del 6,3% di quelli esteri. A maggio, l'indice destagionalizzato del fatturato del settore manifatturiero, era ancora a quota 95,3 rispetto al valore 100 del 2010. Siamo in stallo, anche rispetto a un anno che fu di recessione rispetto al 2007. Sempre ieri, il Presidente di Confcommercio Carlo Sangalli ha chiesto al governo di ridurre tutte le cinque aliquote dell'Irpef dell'1%, invitandolo a «scommettere sulla ripresa iniziando già dal prossimo anno un percorso certo, progressivo e sostenibile di riduzione della pressione fiscale». Per dimostrare come si possa ridurre la spesa, ha illustrato uno studio in cui viene analizzata la spesa locale del 2012, quella di Regioni, comuni e province: nelle regioni più piccole si spende in media per ciascun abitante il 12,8% in più rispetto a quelle più grandi; in quelle a Statuto speciale il 35,6% in più rispetto a quelle a Statuto ordinario. C'è una enorme disomogeneità nei servizi erogati: fatto 100 quelli erogati in Lombardia, la Sicilia arriva appena a 30. Considerando che la spesa di 176,4 miliardi di euro, è stato calcolato quanto costerebbero i servizi pubblici locali se fossero erogati ai prezzi della Lombardia: gli eccessi lordi di spesa, visto che anche il livello di servizio è diverso, è di 74,1 miliardi, pari al 42%. Se si volessero fornire in tutta l'Italia i servizi al livello della Lombardia, pagandoli ai prezzi di questa regione, sarebbero necessari 51,2 miliardi: ne risulterebbe un risparmio di 22,9 miliardi. Questi sono gli sprechi da tagliare per finanziare la riduzione delle tasse. Il ministro del Tesoro Pier Carlo Padoan, replicando a Sangalli, si è detto d'accordo con la linea del premier Matteo Renzi, non senza sottolineare che il taglio delle tasse e l'aumento degli investimenti può avvenire solo «in un quadro in cui il debito scende e si rispettano le regole comuni». Siamo alle prese con l'ennesima riforma della Pa, l'ennesima riforma della Scuola, l'ennesima legge elettorale. La verità è che si rinviano i problemi da un anno all'altro: tanto, a settembre si sistema tutto con la legge di Stabilità: un solo articolo, migliaia di commi, valanghe di tabelle. Tutto quadra, sempre. Si mette la fiducia, e via. Per rimanere fermi. (riproduzione riservata) RAPPORTO DEFICIT/PIL 0 4% 3% 2% 1% 5% '13 '14 '15 '16 '10 '11 '12 P M PIL ITALIA -4% 0 -1% -2% -3% 3% 2% 1% '13 '14 '15 '16 '10 '11 '12 P B RAPPORTO DEBITO/PIL 0 90 60 30 150 120 '13 '14 '15 '16 '17 '11 '12 Previsioni Prometeia SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/07/2015 54 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato SECONDO EUROSTAT IL RAPPORTO DELL'INDEBITAMENTO CON IL PIL È SALITO AL 135,1% 23/07/2015 Pag. 1.4 diffusione:104189 tiratura:173386 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato Foto: Pier Carlo Padoan Foto: Quotazioni, altre news e analisi su www.milanofinanza.it/debito SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/07/2015 55 23/07/2015 Pag. 6 diffusione:104189 tiratura:173386 Sace aggancia la ripresa export Un buon biglietto da visita da presentare ai nuovi vertici di Cdp con cui presto si aprirà il confronto su banca exim e ipo Luisa Leone Semestre da incorniciare per Sace. Il gruppo assicurativo guidato dall'amministratore delegato Alessandro Castellano e dal presidente Giovanni Castellaneta ha archiviato i primi sei mesi dell'anno con un balzo dell'utile del 52% a quota 308 milioni, contro i 202 milioni dello stesso periodo dello scorso anno. Un risultato che arriva a pochi giorni dal ricambio al vertice della controllante Cassa Depositi e Prestiti, dove si sono appena insediati il nuovo presidente Claudio Costamagna e il nuovo ad Fabio Gallia, e che potrebbe rivelarsi un asso nella manica di Castellano. A breve infatti il manager dovrebbe incontrare i nuovi rappresentanti dell'azionista per discutere del futuro di Sace. Come anticipato da MF-Milano Finanza lo scorso 13 giugno, nelle settimane passate sotto la supervisione del viceministro Carlo Calenda, e su impulso del consulente del premier, Andrea Guerra, Boston Consulting Group ha messo a punto un piano per il rilancio dell'export italiano, che disegna un ruolo di primo piano per il gruppo assicurativo di Cdp. Piano che non potrà non essere al centro dei confronti tra azionista e controllata, e che si basa sull'idea di riavviare il progetto dell'import-export banca, in modo da consentire a Sace di affiancare ai servizi oggi offerti alle imprese che vanno all'estero anche i finanziamenti diretti. Altro capitolo è poi quello dei rapporti con l'altra controllata di Cdp, la Simest, che dovrebbero diventare molto più stretti sempre nell'ottica di fornire un portafoglio completo di opzioni alle aziende italiane che scelgono di espandere l'attività all'estero. Insomma la questione sembra essere importante per il governo, che ha voluto un cambiamento ai vertici di Cdp proprio per imprimere un'accelerazione ai dossier che sono considerati prioritari. Per tutte queste ragioni, è immaginabile che un primo confronto tra i vertici di Sace e quelli di Cdp non si farà attendere troppo, proprio per analizzare il progetto elaborato da Boston Consulting e probabilmente riprendere in mano il dossier della privatizzazione del gruppo assicurativo, al momento in stallo. Comunque i risultati positivi registrati nel semestre, se confermati a fine anno, non potrebbero che spianare la strada a un eventuale percorso verso la borsa. Di certo i dati dei primi sei mesi dell'anno rispecchiano anche la ripresa dell'export italiano, che da gennaio al maggio scorso ha messo a segno un +4%, mentre l'incremento delle operazioni Sace assicurate nell'ambito del sostegno all'export e all'internazionalizzazione è cresciuto di ben il 12%. Oil & gas, settore crocieristico, e infrastrutture «si confermano i principali settori per esposizione (55,6% del portafoglio totale), mentre si rileva particolare dinamismo nella filiera dell'automotive e nella meccanica strumentale», si legge nel comunicato diffuso ieri. Più in generale, i sinistri sono diminuiti di ben il 42% a 136 milioni, mentre i premi lordi si sono attestati a 252 milioni (+47%), con il portafoglio di operazioni assicurate che ha raggiunto per la prima volta il valore di 76 miliardi (+6% rispetto a giugno 2014). Dal punto di vista patrimoniale, infine, il gruppo assicurativo può contare su riserve tecniche per 2,3 miliardi, in crescita del 5% sullo stesso periodo dello scorso anno, con un patrimonio netto in calo invece del 10% a quota 4,8 miliardi. Una diminuzione dovuta alla riduzione del capitale per circa 800 milioni girata a Cdp nel semestre. (riproduzione riservata) Foto: Alessandro Castellano Foto: Quotazioni, altre news e analisi su www.milanofinanza.it/sace SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/07/2015 56 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato L'UTILE DEL SEMESTRE BALZA DEL 52% A 308 MILIONI. IN FORTE CALO (-42%) I SINISTRI 23/07/2015 Pag. 7 diffusione:104189 tiratura:173386 Angelo De Mattia Un'intervista e un intervento pubblico: affinità e qualche lieve differenza. Finalmente, dopo alcuni giorni di inspiegabile silenzio sull'operazione copernicana annunciata da Renzi in materia fiscale, anche il ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, ha cominciato a dire la sua. Lo ha fatto in una intervista sul Foglio di ieri in cui inizialmente svolge alcune considerazioni sull'Unione europea sostenendo che il passaggio all'integrazione fiscale, che comporta, dopo l'Unione bancaria, ulteriori cessioni di sovranità, non può avvenire senza il presupposto della costituzione di un'autorità politica, democraticamente legittimata a decidere almeno sugli ambiti che le saranno delegati. È, questa, una posizione che può essere condivisa. Ma essa dovrebbe presupporre che, prima di avviarci per nuovi progetti, si riformino norme e politiche sinora adottate, con riferimento, innanzitutto, al Patto di stabilità e al Fiscal compact, e alla coerenza, in specie per quest'ultimo, con i Trattati fondativi. Prima di intraprendere questo viaggio, forti dell'esperienza vissuta, è bene mettere ordine nell'Unione e nell'Eurozona e assumere le necessarie garanzie per il percorso che si prospetta. Ma dopo queste iniziali considerazioni, Padoan ha risposto alle domande sulla riforma fiscale. Qui, per la verità, un grosso contributo di chiarezza non è venuto, nonostante le domande incalzanti dell'intervistatore. Una rivoluzione fiscale pianificata in più anni è utile, ma fino alla legge di Stabilità nel prossimo autunno ci sarà tempo per lavorare sui numeri: insomma, una sorta di rinvio, dal momento che il Ministro non è apparso in grado di stabilire quale delle tre strade possibili per le coperture - l'aumento di altre tasse, la riduzione della spesa e l'aumento dell'indebitamento - sarà imboccata. A questo punto, si potrebbe anche non proseguire, dal momento che un governo, prima di lanciare un ambiziosissimo piano, dovrebbe avere un'idea, per quanto vaga, di quale delle strade menzionate scegliere. E, invece, nulla: «Stiamo valutando», risponde il ministro dell'Economia. Poi assicura che la «local tax» non sarà il nuovo nome della Tasi, che, dunque, non risorgerà sotto mentite spoglie, aggiungendo che comunque una revisione della spesa è necessaria dovendosi disinnescare le clausole di salvaguardia: cosa che conoscevamo da tempo. Ma, sempre ieri Padoan, intervenendo a un convegno della Confcommercio, è stato un po' più esplicito, ricordando innanzitutto che egli è stato d'accordo con il piano lanciato da Renzi, che quella di Renzi non è stata una decisione estemporanea, che il taglio delle tasse deve essere credibile e permanente e, perciò, dovrebbe fondarsi su tagli di spesa e che la lotta all'evasione non è alternativa a questi tagli. Nell'intervista, infine, Padoan ricorda l'esistenza della clausola europea sulla flessibilità per le riforme e da ciò si potrebbe dedurre che, poiché l'anno prossimo l'obiettivo del deficit in rapporto al pil è fissato all'1,8%, mentre per quest'anno sarà del 2,6%, allora il richiamo della predetta clausola potrebbe significare che si intenda attestarsi su di una posizione intermedia, scavalcando l'obiettivo del 2016. Se consideriamo quello del ministro Padoan come l'intervento che ha detto di più sulla presunta rivoluzione à la Copernico, dobbiamo concludere confermando tutte le riserve, già espresse su questo giornale, a proposito della superficialità dell'annuncio e della non esistenza di sufficienti indicazioni sulle coperture e sulle compensazioni. Viene spontaneo, allora, chiedersi se ciò dipenda da una limitata partecipazione al progetto da parte del ministro e, dunque, dal fatto che l'idea sia maturata ed elaborata a Palazzo Chigi ad opera di esperti che costituiscono una sorta di pendant di Via XX Settembre, anche se poi condivisa da Padoan, oppure se l'indeterminatezza e la genericità riguardino tutti i possibili «progettisti», con la conferma, allora, del netto prevalere dell'intento comunicazionale. Come si possa sin d'ora pensare a un esame da parte della Commissione Ue è un mistero. Se, dunque, l'argomento continuerà a tenere banco nel dibattito pubblico, allora, piuttosto che cedere a improvvisazioni e mezze notizie, sarebbe necessario che il governo illustri il programma che intende presentare. Sarebbe grottesco che, lanciato il sasso, ora si debba arrivare alla fine di settembre per saperne di più su questioni nodali che sono rappresentate dalla crescita, dal deficit e dal debito. Quest'ultimo, stando alle dichiarazioni del Premier, dovrebbe pure scendere (con il che si escluderebbe una delle tre vie) senza SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/07/2015 57 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato La politica degli annunci, senza informazioni vere, non va lontano 23/07/2015 Pag. 7 diffusione:104189 tiratura:173386 SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/07/2015 58 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato tuttavia indicare come e di quanto, dovendosi comunque escludere che ciò possa avvenire per il solo incremento della crescita la quale non sarà tale da influire significativamente nel relativo rapporto. Se questo deciso passo avanti nella chiarificazione non verrà fatto, allora dovremmo essere autorizzati ad assumere le dichiarazioni del Premier, prescindendo per ora dalla valutazione dell'opportunità di intervenire nei versanti indicati della Tasi, di Ires e Irap e poi di Irpef, come semplici e vaghi desideri. (riproduzione riservata) Foto: Il ministero del Tesoro in Via XX Settembre 23/07/2015 Pag. 1.7 diffusione:104189 tiratura:173386 L'export può crescere fino al 5,5% Al momento l'Italia viaggia al ritmo del +4,5%, un punto in più sarebbe una performance straordinaria Nei primi quattro mesi abbiamo guadagnato con gli Stati Uniti quanto perderemo con Mosca in un anno Silvia Berzoni «Penso che l'export italiano crescerà tra il 4,5%, che è più o meno il livello di incremento attuale, e il 5,5% che diventerebbe una performance straordinaria». Il vice ministro dello Sviluppo Economico, Carlo Calenda, ai microfoni di Class Cnbc, disegna un quadro piuttosto confortante dell'andamento delle esportazioni italiane che quest'anno beneficiano di un cambio euro/dollaro favorevole, con il biglietto verde che potrebbe ancora rafforzarsi in vista dell'aumento dei tassi che la Fed dovrebbe mettere in cantiere subito dopo l'estate. «Veniamo», prosegue il vice ministro, «da una crescita media degli ultimi tre anni di circa il 2%. I francesi sono allo 0,6% e i tedeschi al 2,3%. Quindi l'Italia parte già da un trend piuttosto netto. Tuttavia quest'anno ci sarà un'accelerazione significativa, per merito soprattutto del commercio con gli Stati Uniti. Nei primi quattro mesi del 2015 abbiamo recuperato con gli Usa tutto quello che perderemo in un anno con la Russia» e le sanzioni sul Paese. «Stiamo parlando di un bacino straordinario su cui dobbiamo insistere perché è complicatissimo, perché le leggi sono differenti e ci sono differenti standard». Secondo Calenda l'Italia è anche il Paese che può trarre maggiori benefici dal Ttip, il Trattato transatlantico sul commercio e gli investimenti, zona di libero scambio tra Europa e Stati Uniti in corso di negoziato. «Il Ttip non stravolgerà le peculiarità dei vari Stati. Con questo accordo, ad esempio, non allenteremo in nessuno modo la nostra contrarietà all'ingresso di Ogm. Gli Stati Uniti hanno un'agricoltura che è basata sugli Ogm, noi riteniamo che questi siano dannosi per la biodiversità delle nostre coltivazioni. Dunque niente Ogm. E inoltre questo accordo non toccherà i servizi pubblici e la cultura». In altre parole, sintetizza il vice ministro, «si tratta di un'intesa dimensionata in maniera equa e corretta», finalizzata a «rimuovere le barriere che ci sono per cercare di far convergere gli standard dei vari Stati». Calenda affrontato anche la questione Europa e della sua unità venuta meno durante la crisi greca. «Che l'Europa si sia mossa male nei confronti di Atene è un dato di fatto: c'è stato un gigantesco macello. La colpa non è della Germania ma della governance europea che è farraginosa e complicatissima. Insomma, la vicenda greca è stato un buon esempio di tutto quello che non funziona in Europa». Secondo il viceministro va rimarcato anche un altro aspetto: «Noi italiani stiamo prestando soldi ai greci. Quindi se si presta del denaro occorre stabilire condizioni perché questo denaro venga restituito attraverso un piano comunque sostenibile. E con l'obiettivo fermo di tenere Atene all'interno dell'eurozona perché si tratta di un Paese che ha un valore che va oltre quello rappresentato dal suo pil. Allo stesso tempo trovo risibile che si vada avanti ad affrontare le cose come si è fatto con Atene. Non possiamo pensare che ci sia sempre la Bce a salvarci», ha concluso il vice ministro. (riproduzione riservata) CLASS CNBC Foto: Carlo Calenda Foto: Quotazioni, altre news e analisi su www.milanofinanza.it/calenda SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/07/2015 59 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato PARLA IL VICEMINISTRO CALENDA TARGET POSSIBILE GRAZIE AGLI USA E AL DOLLARO FORTE 23/07/2015 Pag. 18 diffusione:104189 tiratura:173386 Renzi mette la sordina a Boeri sulle pensioni Edoardo Narduzzi Con un doppio colpo, il governo Renzi ha mandato al tappeto le proposte pensionistiche del presidente dell'Inps, Tito Boeri. Ha iniziato sabato mattina proprio il premier, quando ha annunciato le linee guida di politica economica fino a fine legislatura: di pensioni se ne riparla nel 2018. Tradotto in linguaggio pratico, significa che dello sforzo propositivo riformista avanzato negli ultimi sette mesi da Boeri nulla diventerà legge. Il presidente dell'Inps, gli ha comunicato Renzi, può smetterla di inondare i media di proposte di cambiamento del sistema pensionistico italiano perché esse, stante l'agenda di governo, al massimo possono andare bene per una sessione di lavoro al Festival dell'economia di Trento. Non è detto che la decisione di Renzi sia la più giusta, perché le regalie retributive fatte negli ultimi decenni in Italia sono una delle grandi cause dell'attuale disoccupazione giovanile di massa (alla quale il premier socialdemocratico, stranamente, non ha dedicato alcuna attenzione all'assemblea del Pd, mentre dovrebbe essere il primo punto di un'agenda politica riformista), ma le esigenze elettorali, cioè le amministrative del 2016, e l'andamento dei sondaggi hanno suggerito a Renzi di congelare la riforma pensionistica. Ora Boeri deve iniziare a occuparsi della macchina Inps, carrozzone che eroga servizi di qualità indegna dell'Eurozona. Per decenni tutto nell'Inps è stato espressione dell'occupazione politicosindacale e la qualità dei servizi resi a chi ne pagava i costi un fattore insignificante. Durante la presidenza Mastrapasqua si è raggiunta la sublimazione: gare pubbliche, anche in settori chiave come la tecnologia, fatte in modo che a priori fosse tutto già definito o, almeno, questa era l'impressione che il mercato aveva della gestione Inps, e senza alcuna strategia industriale. E i risultati delle gare rafforzavano la convinzione. Boeri, da questa prospettiva, ha già innovato, nominando un direttore generale fuori della tecnostruttura Inps, quella scelta dai sindacati. Una mossa nella direzione giusta. Massimo Cioffi è stato un ottimo manager nel settore privato e il solito ricorso in tribunale contro la sua nomina dovrebbe rinforzare le intenzioni dello stesso Boeri di dare carta bianca al nuovo dg per rompere gli equilibri Inps, perché ora la priorità di Boeri fino al 2018 è migliorare il funzionamento dell'organizzazione. Intanto Giuliano Poletti ha passato anche lui il Rubicone pensionistico. Non vuole più essere costretto a commentare le proposte di Boeri lette sui giornali. Da qui al 2018 sarà lui che farà al Consiglio dei ministri le proposte di riforma del sistema previdenziale e a questo scopo sta riorganizzando lo staff. Poletti ha ripreso le redini delle pensioni che Boeri gli aveva sfilato. (riproduzione riservata) SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/07/2015 60 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato COMMENTI & ANALISI 23/07/2015 Pag. 18 diffusione:104189 tiratura:173386 ORA NON SI PERMETTA CHE IN GRECIA TORNI LA TENTAZIONE GREXIT Un quotidiano greco sostiene che Alexis Tsipras vrebbe chiesto a Putin 10 miliardi di dollari per poter poi procedere al ritorno alla dracma. La risposta russa non sarebbe stata negativa, ma si sarebbe controproposto un anticipo di 5 miliardi come acconto per la partecipazione alla realizzazione del gasdotto South Stream; Iran e Cina, che sarebbero stati del pari interpellati, non avrebbero dato seguito alla richiesta. Ovviamente si tratta di notizie da prendere con il massimo del beneficio d'inventario, soprattutto ora che il ritorno alla moneta nazionale è stato escluso in considerazione dell'accordo raggiunto con le istituzioni europee e con i creditori. In queste stesse giornate, l'ipotesi del default (ed evidentemente del ritorno alla dracma) è stata rilanciata come quella sostenuta da Yanis Varoufakis, dopo l'esito del referendum con la vittoria del no, che ora afferma che un'altra via rispetto a quella imboccata da Tsipras era possibile, pur riconoscendo le pressioni e i vincoli che il capo del governo ha dovuto subire e riconfermandogli la sua vicinanza. Da un altro versante, anche Paul Krugman ritiene che un'uscita, anche temporanea, della Grecia dalla moneta unica avrebbe potuto essere opportuna perché l'avrebbe messa in grado di risalire la china: da questo punto di vista l'opinione, autorevole, del premio Nobel si affianca a quella, magari sostenuta con l'intento opposto -un'uscita temporanea che poi diventa definitiva - di Wolfgang Schaeuble. Evidentemente, secondo un pensiero che non è di pochissimi, una svalutazione controllata avrebbe potuto giovare. Ora, però, imboccata la strada opposta, bisogna percorrerla con coerenza e decisione, nulla di peggio del rimanere nel guado, non affrontare con convinzione il percorso che il governo si è impegnato a compiere dopo che, come ha ricordato Jean-Claude Juncker, la paura dello sfascio della stessa Unione e dell'Eurozona sarebbe stata la ragione che avrebbe, alla fine, prodotto l'intesa, evitando il peggio. Ma affrontare il nuovo percorso esige che si metta mano al debito ellenico sin d'ora e non dopo una prima valutazione delle misure adottate da parte delle istituzioni europee, come il medesimo Juncker ha detto. Debito e crescita sono due punti fondamentali, dai quali dipende la stabilizzazione della situazione greca nella zona euro. Se non saranno affrontati subito, c'è il rischio che ritorni l'ipotesi Grexit come scelta che potrebbe maturare progressivamente all'interno proprio della Grecia. La possibilità che si debba tornare al voto popolare e i segnali contrapposti che vengono da Atene -da un lato si parla di una maggiore coesione di Syriza, dall'altro, il dibattito parlamentare sulle misure da adottare si fa spesso incandescente- mostrano un quadro politico-sociale fragile. E' una condizione che va superata affrontando i problemi indicati e, in specie, quello degli investimenti per la crescita. Bisogna agire rapidamente, anche per evitare disorientamenti, incertezze e, financo, degenerazioni concettuali, quale quella che si è letta in un giornale italiano che manca poco per attribuire ai Nobel Krugman e Stiglitz e a qualche altro economista la responsabilità della resistenza greca delle scorse settimane, perché essi avrebbero voluto sperimentare su quella economia le loro tesi per poi trarne un vantaggio culturale e accademico. Foto: Paul Krugman SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/07/2015 61 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato CONTRARIAN 23/07/2015 Pag. 121 N.30 - 29 luglio 2015 diffusione:446553 tiratura:561533 Ufficio stampa Inps Con riferimento all'articolo «Lo strano caso dei pensionati fantasma all'estero»( Panorama n. 28), si precisa che al fine di evitare la corresponsione di prestazioni indebite, l'Inps riceve le notizie di decesso dei pensionati tramite tre canali: dai consolati; dalla campagna annuale di accertamento dell'esistenza in vita; dalle istituzioni pubbliche estere con cui sono stati stipulati accordi di scambio delle informazioni di decesso. Purtroppo la stipula di accordi bilaterali avviene soloa seguito di lunghi,e talvolta non facili, negoziati. Ufficio stampa Inps SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/07/2015 62 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato L'Inps e le pensioni estere 23/07/2015 Pag. 22 N.30 - 29 luglio 2015 diffusione:446553 tiratura:561533 La sonora lezione greca per i populisti È durato cinque mesi il braccio di ferro tra 18 Paesi dell'eurozona e Atene. Apparentemente per tornare alla casella di partenza. Ma il lungo negoziato non è stato inutile: ha insegnato ai demagoghi che se è facile vincere le elezioni promettendo la luna, mettersi contro le regole comuni porta all'isolamento. E invocare flessibilità sarà più difficile. Veronica De Romanis Alexis Tsipras ha vinto le elezioni assicurando di cambiare un Paese che dopo cinque anni e due pacchetti di salvataggio era ancora in piena crisi. Come prima mossa, ha dichiarato che non avrebbe rispettato gli accordi presi dai precedenti esecutivi, venendo meno al principio costitutivo dell'Unione secondo cui tali accordi impegnano non solo le persone che li siglano (i predecessori di Tsipras), ma anche i Paesi che rappresentano (in questo caso la Grecia). È cominciato così il lungo braccio di ferro, durato ben cinque mesi, in cui alle richieste del governo greco (culminate nella insana decisione di indire un referendum) gli altri 18 governi hanno risposto con fermezza e con un piano di aiuti ancor più duro dei precedenti: un mix di riforme e tagli fiscali da implementare in un Paese già stremato dalla chiusura delle banche (forse Tsipras non aveva calcolato fino in fondo l'impatto che ciò avrebbe avuto sull'economia) e dall'instabilità politica crescente. Il premier è, infatti, costretto a far fronte alle proteste dell'ala più estremista del suo partito che non gli perdona il voltafaccia dopo l'esito del referendum. In sostanza, ora la Grecia deve ricominciare da capo, ma con un'economia più fragile, un governo più debole e creditori internazionali sfiduciati. Ma allora a cosa sono serviti questi mesi di duro negoziato? È stato solo tempo perso? Forse no, perché si possono trarre alcune lezioni. In primo luogo, per i movimenti populisti. Il caso Tsipras ha dimostrato che, se è facile farsi eleggere promettendo la luna (a spese degli altri), negoziare ponendosi contro le regole comunemente accettate conduce all'isolamento. Gli altri 18 paesi hanno, infatti, formato un blocco coeso nel rivendicare il rispetto delle regole. Regole che, per inciso, servono anche a proteggere i Paesi più deboli: non va dimenticato che una parte degli aiuti erogati alla Grecia per consentirle di ripagare il debito, frutto di anni di non rispetto delle regole, è stata finanziata da nazioni piccole (e povere), come la Lettonia, che hanno fatto aggiustamenti ben più duri di quelli richiesti oggi ad Atene. Proprio per questo, il terzo pacchetto di salvataggio include misure come il rafforzamento dell'indipendenza dell'Istituto nazionale di statistica, reo per anni di aver prodotto dati truccati. Dall'inizio della crisi, nessun governo, incluso quello attuale, aveva pensato di porre rimedio a questa palese violazione. La seconda lezione è per chi continua a chiedere in Europa una maggior flessibilità delle regole di bilancio come strumento per far ripartire la crescita. In un contesto di fiducia incrinata, anche a causa delle interpretazioni «troppo flessibili» del passato, questa impostazione rischia di creare ulteriori incomprensioni. Per ripristinare la fiducia, dopo questi anni difficili, bisogna ripartire dalle riforme. Al centro dell'agenda politica va messa la competitività delle economie dei singoli Paesi e di quella europea nel suo insieme, e non (solo) la flessibilità dei bilanci nazionali. Reuters/Alkis Konstantinidis Foto: economista, autrice dei libri Il caso Germania e Il metodo Merkel (Marsilio) Foto: Il primo ministro della Grecia Alexis Tsipras: gli altri 18 Paesi dell'Unione hanno fatto blocco nel rivendicare il rispetto delle regole. Regole che, però, servono anche a proteggere le nazioni più deboli. SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/07/2015 63 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato L'ANALISI SCENARI ECONOMIA 23/07/2015 Pag. 24 N.30 - 29 luglio 2015 diffusione:446553 tiratura:561533 Embargo Ue-Russia: i numeri della crisi Continua il braccio di ferro per la crisi ucraina iniziato il 7 agosto scorso. E per l'agroalimentare il conto sale. Ma meno del previsto. (Anna Maria Angelone) Esportazioni quasi dimezzate e perdita di svariati milioni di euro per molti prodotti agroalimentari europei. Un anno dopo l'inizio dell'embargo russo, scattato il 7 agosto 2014 come ritorsione alle sanzioni economiche imposte a Mosca da Ue, Usa e altri paesi in seguito all'abbattimento del volo MH17 Amsterdam-Kuala Lampur, la conta dei danni non è indolore. Anche se inferiore alle previsioni. Secondo i calcoli di Bruxelles forniti a Panorama, da agosto 2014 ad aprile 2015 (ultimo dato disponibile), l'export verso il mercato russo è calato del 42 per cento. A soffrire di più sono stati formaggi, burro, carne, pesce e ortofrutta. Soprattutto, in termini di quantità, le mele: è mancato all'appello un consumo di almeno 790 mila tonnellate all'anno. In valore, le importazioni di Mosca sono scese a 5 miliardi di euro in nove mesi. Mentre, nei primi sette mesi del 2014, erano state di 8,6 miliardi. Nel 2013, ultimo anno senza embargo, il valore era stato di 11,3 miliardi di euro. E la tensione non si allenta. Non appena l'Ue ha deciso di allungare fino a gennaio 2016 le sanzioni economiche decise al culmine della crisi ucraina, immediata è arrivata la reazione del governo di Vladimir Putin: «niet» alle merci agroalimentari dell'Ue già colpite dall'embargo russo esteso fino a giugno 2016, oltre alla minaccia di vietare anche cioccolato e fiori freschi (un colpo per praline di Francia e Belgio e per i tulipani olandesi). Il conto della bilancia commerciale, però, presenta qualche sorpresa: il mancato export verso quello che finora era il secondo mercato per l'agroalimentare Ue è stato compensato da un inatteso aumento delle importazioni di Usa, Cina (con un 26 per cento in più ha ora rimpiazzato Mosca), Corea del Sud e Turchia. Aiutato da un euro più «leggero», l'agroalimentare ha guadagnato, in totale, il 5 per cento in più. Ma non si può eslcudere che, senza il blocco di Mosca, la crescita sarebbe maggiore. Ria Novosti / Reuters - (Ap Photo/Efrem Lukatsky Le tappe dei «divieti» incrociati 31 luglio 2014 Dopo il disastro aereo, a Mosca vengono imposte sanzioni finanziarie, restrizioni su servizi e tecnologia energetica, divieto di import-export di armi, materiali o prodotti di uso militare. Quanto ci è costato finora? 5 miliardi di euro è il valore dell'export agroalimentare dall'Ue verso la Russia da agosto 2014 (inizio dell'embargo) ad aprile 2015. Solo nei primi sette mesi del 2014, invece, era stato di 8,6 miliardi di euro. I più colpiti - 480 milioni di euro la perdita per frutta e verdura a danno, soprattutto, di mele e pomodori. - 392 milioni di euro la perdita per i formaggi. Cerimonia all'ambasciata olandesea Kiev per le 298 vittime del Boeing 777 (Amsterdam-Kuala Lumpur) abbattuto in Ucraina il 17 luglio 2014. -42% il calo dell'export dell'agroalimentare dell'Ue verso Mosca causato dall'embargo fra l'agosto 2014 e l'aprile 2015. 7 agosto 2014 La risposta russa non si fa attendere: il governo di Putin decide di sospendere, per un anno, le importazioni di alcuni agroalimentari dai 28 paesi Ue. L'embargo colpisce anche Norvegia, Usa, Canada e Australia. 8 settembre 2014 L'Ue decide di prolungare di altri sei mesi le restrizioni contro la Russia. Nel frattempo, sono limitati anche i visti alla circolazione delle persone. 4 giugno 2015 Mosca reagisce allungando la durata dell'embargo in vigore e inserendo nella lista delle merci vietate anche i prodotti ittici in scatola. Un danno soprattutto per i paesi baltici. 17 giugno 2015 L'Ue decide di estendere ancora le sanzioni economiche contro la Russia. La scadenza si sposta, dunque, al 31 gennaio 2016. 24 giugno 2015 Mosca non resta a braccia conserte e annuncia che il mercato russo sarà chiuso ai prodotti agroalimentari Ue fino a giugno 2016, minacciando di ampliare la «black list» a nuove merci. E l'italia? - 34% calo dell'export dell'agroalimentare «made in Italy» verso Mosca. 20 milioni di euro al mese la perdita, in valore, subita da produttori e allevatori italiani secondo un calcolo di Coldiretti. +30% crescita degli alimenti «falsi» (stimata da Coldiretti) prodotti direttamente in Russia dall'entrata in vigore dell'embargo. Si SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/07/2015 64 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato MONDO SCENARI 23/07/2015 Pag. 24 N.30 - 29 luglio 2015 diffusione:446553 tiratura:561533 SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/07/2015 65 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato tratta, per lo più, di formaggio. Per il Grana Padano, indotto compreso, un danno di 65 milioni di euro dal mancato import russo. Foto: Vladimir Putin ha imposto un embargo che ha colpito anche le carni Ue, di cui la Russia era il primo importatore. 23/07/2015 Pag. 1.42 N.30 - 29 luglio 2015 diffusione:446553 tiratura:561533 LOOK-DOWN GENERATION Social network. Applicazioni. Messaggini. Chat. I nostri occhi, ormai, sono quasi sempre rivolti all'ingiù: verso lo schermo di un telefonino. Che sta modificando profondamente abitudini, ritmi esistenziali, rapporti e perfino patologie. Viaggio oltre la nuova frontiera umana. Guido Castellano Una cosa di cui sono certo è che nel 2019, ovunque volgeremo lo sguardo, verremo assaliti dagli schermi» aveva profetizzato nel 1982 il regista Ridley Scott parlando del suo Blade Runner, film destinato a diventare un cult della fantascienza. Lo scenario del rapporto asfissiante tra uomo e tecnologia preconizzato dall'obiettivo di Scott è arrivato prima delle sue stesse previsioni. Lo stiamo vivendo già oggi. Con un'aggravante: non sono gli schermi ad aggredire noi, ma noi ad esserne totalmente dipendenti. Quasi intossicati. Sono ovunque, in casa, in metropolitana, nei negozi, nelle piazze, ma soprattutto in tutte le tasche. I cellulari connessi al web sono 25 milioni in Italia, 2,7 miliardi nel mondo. Ormai sono una protesi del nostro corpo. Accorciano le distanze, permettono di essere sempre raggiungibili e raggiunti da migliaia di notifiche, di sapere tutto degli altri senza incontrarli di persona. Sono nati per renderci liberi, sono ovviamente utilissimi, ma si sono conquistati uno spazio così importante nel nostro cervello da riuscire a distoglierci dalla realtà: non ci fanno vivere «l'attimo fuggente» perché ci forzano a tenere il capo chino a contemplarli. Sempre. Così il popolo degli schermi touch è già stato catturato in una definizione: «look-down generation»: la generazione di chi ha gli occhi sempre rivolti verso il basso. I NUMERI DI UNA GENERAZIONE Ormai guardiamo più lo smartphone della televisione (in media 3,4 ore al giorno, contro 2,8): proprio agli inizi del 2015 è avvenuto lo storico sorpasso. Nell'arco di 24 ore lo consultiamo fino a 150 volte: al ristorante (anche durante un primo appuntamento), a letto (persino durante i rapporti sessuali), in bagno, a scuola, in auto, metropolitana, ufficio e anche in chiesa ( vedere lo schema a pagina 44-45 ). Ovunque siamo, basta alzare la testa per accorgersi di quanti sono ipnotizzati dallo smartphone. Secondo il Global mobile survey realizzato dalla società di consulenza Deloitte, il 35 per cento degli italiani consulta il telefonino entro i primi 5 minuti dal risveglio (il 55 per cento entro un quarto d'ora). La luce azzurrina di un piccolo video catalizza la nostra attenzione anche prima di chiudere gli occhi. Il 90 per cento di quanti hanno tra 18 e 29 anni portano con sé il cellulare a letto. È l'ultima cosa che spegniamo (dopo aver fatto un ultimo check sui social network) dopo tv e abat-jour. Sta diventando il surrogato dell'orsetto di pezza per giovani e adulti. Ma non fa bene al nostro sonno. Secondo il professor George Brainard, neurologo alla Thomas Jefferson university di Philadelphia, al contrario, «lo smartphone osservato al buio sopprime in parte la produzione di melatonina, crendo disturbi del sonno, anche gravi». I «mobile addict», le persone così dipendenti da smartphone e tablet da aprire un'applicazione almeno 60 volte al giorno (e fino a 150: dopo è la follia), sono sempre di più. Stando ai ricercatori di Flurry, società di proprietà di Yahoo, tra il secondo trimestre 2014 e lo stesso periodo del 2015 sono aumentati a livello globale del 59 per cento, passando da 176 a 280 milioni. Se fossero un Paese, sarebbero il quarto al mondo. Ma la distinzione in categorie della look-down generation non si ferma ai soli «dipendenti». È un popolo composto anche dai «super user»: sono 590 milioni gli utenti assidui che aprono un'app tra le 16 e le 60 volte al giorno (più 34 per cento rispetto al 2013) seguiti dai «regolar user» che consultano lo smartphone fino a 16 volte al giorno. In un anno sono passati da 784 a 985 milioni, il 25 per cento in più. DISTRAZIONE DI MASSA Al Massachusetts institute of technology di Boston, in uno studio pubblicato il 18 maggio scorso, hanno definito lo smartphone come «arma di distrazione di massa». Secondo Earl Miller, che al Mit insegna scienze neurali, leggere una notifica di Facebook o Twitter durante l'orario di lavoro riduce notevolmente la produttività. «Ogni volta che usiamo lo smartphone, interrompendo quello che stiamo facendo, il cervello inciampa e richiede tempo per tornare alla situazione iniziale» spiega Miller. «Servono 15-25 minuti per tornare operativi e concentrati». IL TRILLO CHE UCCIDE È sufficiente lo squillo di un sms, una vibrazione, o il suono di una mail in arrivo per distrarci, così come una telefonata. A rivelarlo è una ricerca condotta SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/07/2015 66 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato COPERTINA 23/07/2015 Pag. 1.42 N.30 - 29 luglio 2015 diffusione:446553 tiratura:561533 SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/07/2015 67 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato dall'Università di Stato della Florida, pubblicata sul Journal of experimental psychology.È facile immaginare che cosa succede se lo smartphone viene utilizzato in auto. Il risultato è un record di incidenti stradali: secondo i dati diffusi da Aci e Istat, in Italia, il 20,1 per cento degli scontri automobilistici del 2014 (36 mila su 181 mila), è stato causato proprio dall'uso illecito del telefonino, che batte ebbrezza e velocità come causa di incidentalità. Per leggere un messaggio Whatsapp, cioè sbloccare il cellulare, mettere a fuoco lo schermo ed eventualmente rispondere, ci vogliono circa dieci secondi.È un tempo in cui il conducente perde di vista la strada per un tratto di almeno 300 metri. Anche negli Stati Uniti la quota d'incidenti dovuta all'uso di un cellulare mentre si guida è alta: il 21 per cento, ossia 1,2 milioni di collisioni. Va ricordato che gli incidenti non sono generati da conversazioni telefoniche, ma da attività molto più distraenti come inviare sms, controllare Facebook e Twitter, spedire un'email, navigare sul web, scattare un «selfie», guardare un video e partecipare a una videochat. Basterebbe tenere lo schermo spento per evitare una collisione su cinque. MALATTIE COLLEGATE Gli schermi touch hanno innescato, in maniera irreversibile, anche nuovi comportamenti globali che oltre a ridisegnare (probabimente in peggio) le relazioni sociali stanno creando un popolo di ammalati digitali. Creano ansia, dolori alle mani, alle braccia e alla colonna vertebrale e sono responsabili del calo della vista nonché del desiderio sessuale, a sua volta alla base delle crisi di coppia. Due studi pubblicati dalla rivista americana Pediatrics descrivono come patologico il controllo sfrenato di social network e dello smartphone per scattare «selfie»: un modo di agire che ingenera ansia e paura. La parola che definisce questa situazione emotiva è appena stata inserita nell'Oxford dictionary ed è «Fomo» ossia Fear of missing out, paura di essere esclusi. Per il dizionario inglese descrive «l'ansia che qualche evento eccitante o interessante stia succedendo da qualche parte (non dove siamo noi) e che stia avendo successo sui social media». Ma la psiche non è l'unica a subire gli attacchi dello smartphone. Anche se i nuovi supertelefonini sono leggerissimi, è dimostrato che un loro uso prolungato può imprimere al tratto cervicale un carico di 27 chili di pressione. Lo sostiene uno studio di Kenneth Hansraj, primario di chirurgia spinale al New York spine surgery and rehabilitation medicine. Il peso imposto al collo dipende dall'inclinazione del capo: un'angolazione di 15 gradi equivale a 12 chili di sofferenza; 30 gradi a 18 chili, 45 gradi a 22 chili. La lookdown generation arricchirà anche oculisti e ottici: dovranno ringraziare gli schermi intelligenti per aver trasformato milioni di persone in altrettanti presbiti. Una ricerca del College di optometria di New York incolpa di questa nuova patologia globale la distanza dagli occhi a cui teniamo lo smartphone: di molto inferiore rispetto a quella tenuta quando si legge un libro o un giornale. Il 90 per cento di chi fa un largo uso di schermi digitali, nel medio periodo, sarà inevitabilmente soggetto a sviluppare fastidi come mal di testa, secchezza oculare, affaticamento della vista e difficoltà a mettere a fuoco. IL NEMICO DEL SESSO La look-down generation è anche meno attiva sessualmente. Negli anni Novanta, i rapporti al mese (in media) erano cinque. Oggi sono scesi a tre. La colpa? Buona parte è dello schermo touch che s'insinua come un'amante sotto le lenzuola. «Il 90 per cento delle coppie in crisi che si rivolgono a un terapeuta hanno problemi di distrazione cronica nel momento in cui vanno a letto» sostiene Vito Frugis, sessuologo veronese esperto in terapia della coppia. «Si preferisce chattare o navigare al fare l'amore. Nella maggior parte dei casi, è la donna a lamentarsi di questo problema, con l'uomo che si scusa adducendo motivazioni di lavoro per stare attaccato allo schermo». La look-down generation è avvisata. Chissà se, prima o poi, su ogni smartphone non dovrà essere scritta per legge la medesima frase che oggi troviamo sulle sigarette: «Nuoce gravemente alla salute». Probabilmente, continueremo a comprarlo, forti del motto che rende sicuri di sé i tabagisti: «Smetto quando voglio». ( Twitter: @Hobisognoditech) Fotografie di Alberto Bernasconi, Illustrazioni Francesco Poroli, AP Photo/Cliff Owen PIÙ TELEFONO CHE TV Confronto tra l'utilizzo medio in ore dei due media, in Italia, durante una giornata. 3,4 lo smartphone 2,8 la televisione GIOVANI DIPENDENTI Le ore quotidiane di uso del cellulare in media, in Italia. Da 18 a 24 anni 5,2 da 25 a 34 anni 3,5 da 35 a 44 anni 3,4 da 45 a 54 anni 2,9 sopra i 55 anni 2,0 MALATI DI TABLET Le ore quotidiane di uso del tablet in media, in Italia, e per fascia di età. Da 18 a 24 anni 3,7 da 25 a 34 anni 3,1 da 35 a 44 anni 3,1 da 45 a 54 anni 3,4 sopra i 55 anni 2,2 23/07/2015 Pag. 1.42 N.30 - 29 luglio 2015 diffusione:446553 tiratura:561533 SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/07/2015 68 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato UNA GIORNATA SEMPRE CON LA TESTA IN GIÙ Le 24 ore tipo dell'italiano medio, dai 14 ai 65 anni. I telefoni intelligenti nel nostro Paese sono 25 milioni e si calcola vengano consultati da 50 a 150 volte al dì. Gli iscritti a social network sono 28 milioni, quelli che si collegano in mobilità sono 22. 12 9 3 6 ore 7 La sveglia Il 35% degli italiani controlla il cellulare entro i primi 5 minuti dal risveglio, il 55% lo fa entro i primi 15 minuti. ore 7,30-8 La colazione Il 72% delle persone comincia la sua attività online. I giovani vanno sui social, gli adulti invece preferiscono news ed email. ore 8 Andando in ufficio o a scuola In automobile 7 persone su 10 sono connesse al web con lo smartphone per leggere email, chat e social. Sui mezzi pubblici la quota sale all'84 per cento. ore 9-13 In ufficio o a scuola In ufficio smartphone e iPad sono usati dall'89 per cento degli utenti. Non solo per lavoro, ma anche per essere sempre sui social senza usare i computer aziendali: una misura salva-posto di lavoro, ora che il Jobs act è operativo. Anche a scuola gli apparecchi non restano spenti: il 60% degli studenti medi e delle medie superiori lo usano in classe. ore 13-14 Si mangia La pausa pranzo è uno dei momenti di picco per chi ama cinguettare su Twitter: chi «posta» tra le 13 e le 15 ha più possibilità di essere letto. Lo smartphone si affianca al sandwich nell'81 per cento dei casi. ore 14-18 Il dopopranzo L'ora migliore su Facebook è alle 16, con i post più letti. È anche l'ora in cui i gruppi di Whatsapp sono più attivi, e il momento in cui si organizza il programma della sera. ore 18-20 Il dopolavoro Lo smartphone non ci abbandona nemmeno in palestra. Serve per controllare calorie bruciate e km percorsi. ore 20-22 Aperitivo e cena È uno dei momenti in cui vengono scattati più «selfie» e si scatenano le condivisioni istantanee. Lo usa l'81 per cento degli utenti. ore 22-23 Tutti a letto L'ultima occhiata prima di dormire va al cellulare, anche dopo aver spento la tv. In Italia il 90% delle coppie in crisi denuncia, tra le cause di calo del desiderio, la distrazione da smartphone. 24 DOVE SIAMO CONNESSI Quota di utilizzatori di smartphone nelle diverse situazioni, in tutto il mondo. 96% Al lavoro 93% Nelle attività all'aperto 84% In autobus, metro, treno 81% Al bar, nei locali notturni 75% In bagno 72% In casa, a colazione e a cena 71% Al ristorante 70% In auto, alla guida 67% Al primo appuntamento galante 45% Al cinema e a teatro 33% In chiesa Promette di lasciare il telefono nella borsa e liberare la mente. Si chiama Ringly ed è un gioiello intelligente da mettere al dito. Si collega allo smartphone senza fili e s'illumina solo se arriva una chiamata o un messaggio veramente importante. Il gioiello costa 190 euro. Ci sono poi due applicazioni per aiutarci a tener lo smartphone spento: Offtime limita l'uso delle app cui siamo più addicted; Moment istiga gli utenti a gareggiare tra loro a chi usa di meno il cellulare. CHE COSA CI FACCIAMO IN AUTO Sette conducenti su 10 usano il cellulare, e non per telefonare: in Italia un incidente stradale su cinque è causato dal cellulare. 17% selfie 12% video 33% email 10% video chat 61% sms 40% social network 28% web Foto: Fonti: Deloiite Global mobile survey, Flurry Yahoo!, Comscore, Salesforce Mobile behaviour report, Prosper mobile insights, WeAreSocial Foto: LE ULTIME NOVITÀ PER CHI VUOLE USCIRE DAL TUNNEL La corsia dedicata ai «grandi utilizzatori» di smartphone, aperta nel 2014 a Washington: accesso esclusivo a rischio e pericolo degli utilizzatori. Anversa, in Belgio, ha da poco fatto la stessa scelta «social». Foto: Anche tu, ormai, fai parte della look-down generation? Di' la tua sulla pagina Facebook di Panorama. 23/07/2015 Pag. 58 N.30 - 29 luglio 2015 diffusione:446553 tiratura:561533 FLAT TAX SOGNO POSSIBILE Matteo Renzi promette la rivoluzione copernicana del fisco. Forza Italia e Lega ripropongono un'aliquota unica sui redditi (flat tax). Ma come ridurre e semplificare le tasse senza scassare i conti pubblici? Panorama lo ha chiesto al centro studi ImpresaLavoro. Risultato: un'Irpef con due soli gradini... Gianni Zorzi* Il tema del fisco è tornato di grande attualità Non solo per gli annunci di Matteo Renzi, che promette di rivoluzionare le tasse partendo dall'abolizione delle imposte sulla prima casa. Ma anche perché sono ricomparse nel dibattito politico italiano alcune proposte sulla possibile introduzione di una «flat tax» sui redditi personali. Questo sistema di tassazione, già attivo in una quarantina di Paesi (e diffuso soprattutto nell'Europa dell'Est), consisterebbe nell'applicazione di un'aliquota unica sui redditie condurrebbe alla rottamazione del complesso di aliquote marginali, deduzioni e detrazioni che caratterizzano il calcolo dell'Irpef odierna. Gli obiettivi principali dichiarati dai sostenitori della flat tax sono almeno tre: a) semplificare il calcolo delle imposte a beneficio del contribuente; b) ridurre la pressione fiscale e aumentare il reddito disponibile come incentivo agli investimenti e alla crescita; c) favorire il riemergere di redditi nascosti all'erario garantendo una maggiore equità fiscale. La flat tax nella sua accezione più pura nasce come tassa proporzionale poiché colpisce il reddito con la stessa intensità dal primo all'ultimo centesimo dichiarato. In effetti, abbandonare ogni tipo di deduzione e detrazione e fissare un'aliquota unica del 19 per cento sarebbe sufficiente in Italia a garantire lo stesso gettito fiscale che attualmente incassa lo Stato sull'Irpef. Ogni punto di aliquota inferiore a questa metterebbe invece a repentaglio circa 8,1 miliardi di gettito: a meno di confinarne drasticamente la portata una flat tax pura del 15 per cento potrebbe costare all'erario fino a 32,5 miliardi, e del 10 per cento fino a 73,2 miliardi. Il 19 per cento equivale infatti al dato medio, arrotondato per eccesso, delle imposte nette (153,7 miliardi di euro inclusa la cedolare secca) che provengono dal reddito personale complessivo dichiarato dagli italiani (810 miliardi nel 2014). L'Irpef come la conosciamo è però un'imposta fortemente progressiva e mentre sotto i 10 mila euro di reddito i contribuenti mediamente versano oggi il 2,8 per cento, tra i 10 mila e i 20 mila sono colpiti per oltre l'11,1 per cento, e nella fascia tra 20 e 29 mila euro di reddito pagano in media il 16,4 per cento. Queste categorie risulterebbero evidentemente svantaggiate da un passaggio all'aliquota proporzionale. Ben diverso il discorso per chi oggi ad esempio guadagna 50 mila euro (con un'imposta effettiva superiore al 25 per cento), 80 mila euro (oltre il 30 per cento di imposta netta), oppure più di 300 mila euro (con un'imposizione media del 39,48 per cento). E si pensi che già dai 28 mila euro di reddito, l'attuale Irpef impone che ogni euro di reddito addizionale dichiarato costi tra i 38 e i 43 centesimi, senza contare le addizionali locali che pesano in media per un altro 2,1 per cento. Per queste categorie l'incentivo all'evasione è dunque oggi molto elevato, e potrebbe ridursi notevolmente proprio con l'adozione della flat tax. Nel contempo però, appare irrinunciabile la garanzia di una esenzione sui primi redditi, che eviti almeno alle fasce più deboli di farsi carico della riduzione di gettito operata su quelli più elevati. Nella pratica esistono versioni progressive o marginali della flat tax che colpiscono solamente la parte di reddito che supera la soglia di esenzione, a sua volta definita come «no-tax area». Al di là dei tecnicismi, il nostro Paese può realisticamente sostenere il passaggio a questo sistema? E in caso di risposta positiva, quale combinazione di aliquote e deduzioni fisse può essere stabilita, al fine di contenere entro una determinata soglia i rischi di minori introiti per l'erario? Ad esempio, secondo le elaborazioni di ImpresaLavoro, con una no-tax area fissa da tremila euro a contribuente e con un'aliquota del 15 per cento il disavanzo complessivo potrebbe superare i 55 miliardi. La parità di gettito si raggiungerebbe con certezza, a fronte di tremila euro di deduzione per contribuente, solo con un'aliquota del 22 per cento, mentre non si potrebbe andare sotto il 24 per cento se i tremila euro fossero estesi anche ai familiari a carico. Diversamente, bisognerebbe sperare in una massiccia emersione del «nero»: agli occhi del fisco dovrebbero però comparire, anche nella migliore delle ipotesi, nuovi redditi per almeno 413 miliardi. Questo obiettivo SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/07/2015 69 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato GRANDI RIFORME 23/07/2015 Pag. 58 N.30 - 29 luglio 2015 diffusione:446553 tiratura:561533 SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/07/2015 70 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato appare quantomai ambizioso, dal momento che corrisponderebbe a un incremento di oltre il 50 per cento dei redditi attualmente portati in dichiarazione. È chiaro quindi che una grossa fetta delle risorse andrebbe necessariamente ricercata altrove, ed in particolare nella riduzione della spesa pubblica che di per sé risulta, come si sa, sempre incerta e difficoltosa. C'è poi il problema delle fasce deboli, per le quali le deduzioni di tremila euro non sarebbero sufficienti a scongiurare l'aggravio fiscale: sotto i 10mila euro potremmo assistere, bene che vada, addirittura a un raddoppio delle imposte, mentre tra i 10mila e i 20mila il gettito rimarrebbe nella media invariato. Diversi tentativi di declinare il binomio aliquota unica-deduzione fissa possono portare a soluzioni meno costose per i redditi più bassi. Aumentare la no tax area a seimila euro oppure a ottomila euro per contribuente determinerebbe però la necessità di portare l'aliquota unica rispettivamente al 26 oppure al 29 per cento al fine di garantire la stabilità dei conti pubblici. Se la deduzione arrivasse a 13 mila euro, una flat tax al 30 per cento potrebbe costare al fisco ben 35 miliardi,e ogni ulteriore punto di riduzione altri 3,9. Secondo le nostre elaborazioni, almeno in un primo momento garantire tutti gli obiettivi della flat tax con un'aliquota unica e relativamente bassa potrebbe essere in effetti poco realistico. Abbassare le deduzioni danneggerebbei redditi più modesti mentre incrementare l'aliquota svilirebbe lo shock fiscale desiderato; qualunque intervento nelle direzioni opposte, invece, potrebbe mettere in tensione i conti dello Stato. Il vero nodo nel breve periodoè soprattutto l'incertezza sul gettito concretamente recuperabile dalla riemersione dei redditi nascosti. Tale incertezza però potrebbe essere testata, per esempio, con una prima riforma meno ambiziosa e audace di quelle sinora proposte: se l'esperimento andasse a buon fine e le dichiarazioni dei redditi potessero confermarlo, in un secondo momento il taglio delle tasse potrebbe essere ben più deciso e corposo. Un esempio plausibile, secondo i nostri numeri, potrebbe essere quello di una no tax area di ottomila euro con una flat tax (impropria) a due stadi: per esempio del 20 per cento fino a 29 mila euro di reddito, e del 27 per cento oltre i 29 mila euro. Non si tratterebbe dunque di una imposta realmente «piatta» ma porterebbe con sé molti dei benefici attesi dai sostenitori dell'aliquota unica. Con questa soluzione le tasse calerebbero in media per tutti i livelli di reddito, anche sui più bassi, mentre il calcolo delle tasse risulterebbe notevolmente semplificato con l'eliminazione di tutto l'attuale sistema di deduzioni e detrazioni e la riduzione a due sole aliquote. Nel contempo, il possibile disavanzo fiscale che ne conseguirebbe (che stimiamo prudenzialmente in 21,4 miliardi) sarebbe interamente recuperabile con l'emersione di 130 miliardi di euro di redditi non dichiarati: obiettivo che corrisponde al più 16 per cento rispetto alle attuali dichiarazioni e che sarebbe comunque favorito da un abbattimento consistente del prelievo soprattutto sui redditi medio-alti. Il tentativo così delineato potrebbe estendersia una revisionee semplificazione delle addizionali locali Irpef, oltre che al reddito d'impresa (a cui potrebbe accompagnarsi finalmente l'abolizione dell'Irap, come propone Renzi per il 2017),e ad altre forme di prelievo come quello sui redditi finanziari, per arrivare sino all'Iva. In tutti i casi, con la flat tax il contribuente potrebbe finalmente ritrovarsi un fisco più semplice e trasparente, oltre che meno vorace e più equo. * docente di finanza dell'impresa e dei mercati, consulente per l'area finanza di ImpresaLavoro Illustrazione: Stefano Carrara Quanto guadagnerebbero in più gli italiani con la doppia aliquota Con un'aliquota del 20% fino a 29 mila euro e del 27% oltre i 29 mila euro (e con i redditi sotto gli 8 mila euro non tassati), chi guadagna 60 mila euro all'anno si troverebbe in tasca 7 mila euro in più. +560 REDDITO LORDO ANNUO 20.000 REDDITO NETTO ATTUALE 17.040 REDDITO NETTO CON LE NUOVE ALIQUOTE 17.600 +3.280 40.000 30.320 33.600 +7.030 60.000 42.570 49.600+16.720 80.000 48.880 65.600 +15.930 100.000 65.670 81.600 +38.930 200.000 122.670 161.600 +61.930 300.000 179.670 241.600 +107.930 500.000 293.670 401.600 Come cambierebbero le aliquote con la flat tax Fasce di reddito lordo annuo Imposizione media effettiva con il sistema attuale Flat tax del 15% con no-tax area fino a 3mila euro estesa ai familiari Flat tax del 24% con no-tax area fino a 3mila euro estesa ai familiari La nuova proposta Due aliquote del 20% fino a 29mila euro di reddito, e del 27% oltre i 29mila euro, con no-tax area fino a 8mila euro. Fino a 10.000 2,8% 5,4% 8,6% 0,7% Da 10.000 a 20.000 11,1% 10,8% 17,3% 9,4% Da 20.000 a 29.000 16,4% 12,4% 19,8% 13,3% Da 29.000 a 23/07/2015 Pag. 58 N.30 - 29 luglio 2015 diffusione:446553 tiratura:561533 SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/07/2015 71 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato 50.000 22,0% 13,2% 21,2% 22,6% Da 50.000 a 80.000 28,4% 14,0% 22,4% 24,4% Da 80.000 34,6% 14,5% 23,3% 25,8% Diff. gettito in miliardi -55,1 4,1 -21,4 Foto: Riuscirà Renzi a ridurre la tasse? Di' la tua sulla pagina Facebook di Panorama. 23/07/2015 Pag. 61 N.30 - 29 luglio 2015 diffusione:446553 tiratura:561533 Massimo Blasoni* La pressione dell'insieme di imposte e tasse sul nostro Pil è passata dal 20 per cento del 1975 al 50 per cento, in termini reali, del 2015. Un aumento enorme sia delle imposte dirette sia di quelle indirette che non ha lasciato indenni né la casa né i nostri risparmi. Dal 2010 ad oggi le tasse sulle abitazioni sono passate da 32 a 50 miliardi e quelle sul risparmio da 9 a 16. La Total tax rate sulle imprese è tra le più alte al mondo e raggiunge il 65,4 per cento dei redditi prodotti dalle nostre aziende. È indifferibile, quindi, un'azione di contenimento del carico fiscale, almeno sui redditi delle persone. La flat tax, anche in una versione «italiana» a due aliquote, rappresenta certamente una strada utile ma soprattutto percorribile, come è dimostrato dal nostro studio. *Imprenditore e presidente del Centro studi ImpresaLavoro SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/07/2015 72 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato Una proposta che funziona 23/07/2015 Pag. 62 N.30 - 29 luglio 2015 diffusione:446553 tiratura:561533 L'INGEGNERE, LA CENTRALE E LA VERITÀ DIETRO IL FUMO Quando nel 2013 scoppiò il caso dell'impianto inquinante di Vado Ligure, Carlo De Benedetti negò che il gruppo Cir avesse un ruolo nella sua gestione. Oggi si scopre che i suoi manager facevano pressioni sul governo Renzi per ottenere leggi di favore. Antonio Rossitto Avvelenati. L'inchiesta che imbarazza De Benedetti». Era il 26 settembre 2013 quando Panorama, in una storia di copertina, raccontava una vicenda ancora poco nota: l'indagine sull'inquinamento, le malattie e i morti causati dalla centralea carbone di Vado Ligure, alle porte di Savona. L'impianto in quel momento è della Tirreno Power, società controllata dal gruppo francese Gdf Sueze partecipata al 39 per cento da Sorgenia, la malandata azienda energetica della famiglia di Carlo De Benedetti, poi ceduta lo scorso marzo alle banche, dal 2007 al 2011 azionista di maggioranza della centrale di Vado. La reazione dell'Ingegnere fu dura: smentite, comunicati e una richiesta di risarcimento da 1 milione di euro. Forse allora De Benedetti non pensava che l'inchiesta rivelata da Panorama avrebbe preso velocità, verifica giudiziaria dopo verifica giudiziaria, finoa essere ripresa da tuttii quotidiani italiani. Compreso il suo: La Repubblica. Che il 15-16 luglio 2015 ( vedere anche l'articoloa pag. 64) ha finalmente raccontato dell'inchiesta e dell'intercettazione in cui Andrea Mangoni, allora amministratore delegato di Sorgenia, fa pressioni su Claudio De Vincenti, ex viceministro dello Sviluppo economico e ora sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Dalla storia di copertina di Panorama sono passati quasi due anni. Il 18 giugno 2015 la Procura di Savona, guidata da Francantonio Granero, ha notificato la conclusione delle indagini preliminari a 86 persone. I reati contestati vanno dal disastro ambientale doloso al disastro sanitario colposo, dall'abuso d'ufficio all'omicidio colposo plurimo. Secondo l'accusa,i fumi delle ciminiere avrebbero causato enormi danni alla salute: dai 298 ai 433 bambini ammalati, dai 2.161 ai 2.233 ricoveri di adulti per malattie cardiovascolari e respiratorie, dai 657 ai 427 morti per le stesse patologie. Tra gli indagati ci sono: l'ex giunta regionale ligure al completo, molti amministratori locali, tecnici ministeriali e regionali. E ben 40 dirigenti e membri del consiglio d'amministrazione della Tirreno Power, tra cui diversi manager della galassia debenedettiana. Eppure il 26 settembre 2013, dopo l'uscita di Panorama, una nota della Cir, la holding di famiglia dell'Ingegnere, chiariva sdegnata: «La centrale non è di Carlo De Benedetti. Né lui né alcun rappresentante di Cir hanno ruoli in Tirreno Power. Uno degli azionisti, con una quota di minoranza del 39 per cento detenuta indirettamente, è Sorgenia, controllata da Cir.E Sorgenia non gestisce in alcun modo la centrale di Vado Ligure». Infine, l'annuncio: «Il gruppo Cir tutelerà la propria immagine in tutte le sedi competenti». La querelaa Panorama arriva il 24 febbraio 2014: gli articoli pubblicati avrebbero leso «l'onore, la reputazione e l'immagine pubblica» del querelante. A pagina 25, in grassetto, si legge: «Né l'ingegnere De Benedetti né la Cir hanno mai svolto attività di gestione della Tirreno Powere tanto meno della centrale di Vado Ligure». Si sottolinea poi che la «riconduzione» dell'impianto alla famiglia «è fondata su presupposti fattuali falsi». Sedici mesi dopo, le intercettazioni dell'inchiesta savonese, diffuse alla metà di questo mese, dimostrano il contrario. Alcuni manager di Cire Sorgenia non solo si sarebbero occupati della centrale. Ma avrebbero cercato, tramite l'ex viceministro De Vincenti e alcuni parlamentari del Pd, di stravolgere norme, fare pressioni sul ministero dell'Ambiente, aggirare le leggi. Il 29 aprile 2014, due mesi dopo la querela, i carabinieri del Noe di Genova intercettano una telefonata di Francesco Dini, direttore degli affari generali della Cir e membro del consiglio d'amministrazione dell' Espresso, con il direttore generale di Tirreno Power, Massimiliano Salvi. Dini non è un dirigente qualsiasi, è direttore degli affari generali della Cir dal marzo 2004. È soprattutto un top manager cresciuto all'interno del gruppo, e che da oltre un decennio gode della piena fiducia dell'Ingegnere. Nell'intercettazione, il direttore generale della Cir riferisce il suo attivismo per far adottare una «leggina» che favorisca Tirreno Power. Dini, al telefono, rivendica: «Sono stato il primoa sostenere questa cosa in una riunione lì al ministero». E ancora: «Io, infatti, il discorso che mi sono preparato per questa sera per De SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/07/2015 73 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato IL CASO TIRRENO POWER 23/07/2015 Pag. 62 N.30 - 29 luglio 2015 diffusione:446553 tiratura:561533 SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/07/2015 74 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato Vincentiè quello di fare la norma interpretativa...». Anche i vertici di Sorgenia si spendono per la causa. Eppure, nella nota inviataa Panorama, la Cir garantiva il contrario: «Sorgenia non gestisce in alcun modo la centrale di Vado Ligure». Ma il 25 novembre 2014 l'ex amministratore delegato di Sorgenia, Mangoni, chiama De Vincenti al ministero: «Noi stiamo finendo i nostri giri, diciamo sia in loco che a Roma» lo informa. E gli avanza «una richiesta molto forte di aver un segnale da parte del governo». Riferisce di «nostri» parlamentari del Pd. De Vincenti si dice d'accordo, però spiega: «Devo evitare di dare l'impressione d'ingerenza». Intanto, in campo giudiziario, le accuse sono sempre gravi. Il procuratore Granero e il pm Chiara Maria Paolucci, nell'avviso di conclusione delle indagini, accusano: «La società provocava emissioni massicce di macroinquinanti, con un quadro emissivo peggiorativo rispettoa quello conseguito nella gestione Enel fino alla fine degli anni Novanta». Un minor rispetto dell'ambiente che coincide con il periodo in cui la centrale, nel 2002, è acquisita da una cordata guidata dalla Cir. I magistrati scrivono che sono anni caratterizzati da modesti investimenti per l'ambiente: manutenzione ridotta, gestione illecita delle ceneri, materie prime scarse. Ma anche da profitti favolosi: «Tra il 2002 e il 2013 i gruppi a carbone hanno contribuito per oltre 1 miliardo di euro al margine di contribuzione della società».E «tra il 2006e il 2009», gran parte del periodo in cui Sorgeniaè l'azionista di maggioranza, «la distribuzione effettiva di utili ai soci è pari ad almeno 700 milioni di euro». Più immaginifico Giulio Rolandino, dirigente di Mediobanca, al telefono con Mangoni il 18 settembre del 2014: «Se non fossero stati portati via 700 milioni di dividendi si poteva rifare la centrale d'oro». Luca Zennaro, Imagoeconomica La centrale a carbone della Tirreno Power a Vado Ligure (Savona): dal 2013 è al centro di un'inchiesta per disastro ambientale. 19 settembre 2013 Esplode il caso dell'inchiesta della Procura di Savona sulla centrale Tirreno Power a Vado Ligure, costruita nel 1971 e di proprietà di Gdf, Sorgenia (controllata dalla Cir), Iren ed Hera. L'accusa: disastro ambientale e omicidio colposo. 18 febbraio 2014 Il procuratore di Savona, Francantonio Granero, dichiara: «Possiamo addebitare alla centrale circa 450 vittime». 11 marzo 2014 Il Tribunale di Savona ordina alla Tirreno Power di chiudere l'impianto di Vado per violazione delle norme sull'inquinamento. Aprile 2014 La Procura indaga oltre 50 persone: tra di loro l'ex governatore della Liguria, Claudio Burlando. 28 marzo 2015 La Cir cede alle banche creditrici la sua quota in Sorgenia, indebitata per quasi 900 milioni. 18 giugno 2015 La Procura chiude le indagini. Gli indagati sono in totale 86. Foto: «NÉ LA CIR NÉ CARLO DE BENEDETTI HANNO RUOLI IN TIRRENO POWER» (da una nota della Cir del 26 settembre 2013) 23/07/2015 Pag. 64 N.30 - 29 luglio 2015 diffusione:446553 tiratura:561533 Quasi due anni di silenzio sull'inchiesta. Poi la Cir vende Sorgenia. Allora... Annalisa Chirico La Repubblica «scopre» il caso Vado Ligure. Dopo averlo ignorato per due anni, lo scorso 15 luglio il quotidiano di Carlo De Benedetti rompe il silenzio, riportando a pagina 20 notizie sull'inchiesta della magistratura savonese sulla centrale a carbone Tirreno power. Ma il fascicolo è noto alle cronache sin dall'ottobre 2013, quando era esploso il disastro ambientale che, secondo la Procura di Savona, avrebbe causato alcune centinaia di morti. Come si spiega la svolta giornalistica? Forse con l'entità delle indagini (86 indagati)? A pensar male, anche a costo di fare peccato, c'è da rilevare che dallo scorso marzo la proprietà della centrale elettrica non ha più niente a che fare con la famiglia De Benedetti (proprietaria della Repubblica ). Fino a quattro mesi fa, invece, la centrale di Vado era per metà di Gdf Suez e per metà di Energia italiana, una società partecipata al 78 per cento da Sorgenia, l'azienda di produzione di energia elettrica controllata dalla Cir dei De Benedetti. Sorgenia però naviga nei debiti e quando le banche sottoscrivono un aumento di capitale, in marzo la Cir si tira fuori. Così, dopo la fuoriuscita dell'editore, il dossier bollente può essere reso noto ai lettori della Repubblica. Con alcune accortezze, ça va sans dire. Il cognome della famiglia viene riportato con estrema parsimonia. Grande risalto hanno invece le intercettazioni dell'allora viceministro Claudio de Vincenti, non indagato, che dovendo per mestiere risolvere crisi industriali svela una scontata familiarità con i dirigenti di un'azienda sotto sequestro. Non pare meritino diffusione invece le intercettazioni, riportate dagli altri giornali, tra l'ex amministratore di Sorgenia e un dirigente di Mediobanca dove, a detta dei magistrati, «viene espressa la consapevolezza che se i soci non si fossero divisi interamente gli utili maturati negli anni addietro ci sarebbero di fatto stati i fondi da investire nelle migliorie ambientali della centrale termoelettrica». Una cifra non da ridere: 700 milioni di dividendo. Su questo cala il silenzio. Forse perché l'utile è entrato in parte nella pancia di Cir? In attesa di una risposta, centinaia di operai sono comunque in cassa integrazione. SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/07/2015 75 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato E LA REPUBBLICA SI ACCORSE DI VADO SCENARIO PMI 1 articolo 23/07/2015 Pag. 1 diffusione:25000 EUROPA E ITALIA. VISCO A TUTTO CAMPO* "L'euro non può rimanere senza uno stato". E poi il dopo Grecia, le tasse e le ragioni (anche culturali) di una ripresa ancora lenta. DI CLAUDIO CERASA E MARCO VALERIO LO PRETE Roma. Ignazio Visco riceve il Foglio quando si è appena conclusa la conference call dei Governatori del Consiglio direttivo della Banca centrale europea. L'Istituto presieduto da Mario Draghi, il suo predecessore al vertice della Banca d'Italia, ha deciso di alzare nuovamente, a 900 milioni di euro, i fondi della liquidità d'emergenza (Ela) per le banche greche. La conversazione con il Governatore, dunque, non può che iniziare dallo stato attuale dell'unione monetaria, per poi arrivare a tutto il resto: l'euro come moneta senza stato, la lezione per l'Italia che arriva dalla Grecia, i criteri giusti per ragionare sul taglio delle tasse e sulla revisione della spesa pubblica e gli indicatori giusti da osservare per capire la direzione imboccata dal nostro paese. Cominciamo subito da un tema che il Governatore non ha ancora affrontato pubblicamente: una valutazione rispetto a quanto accaduto negli ultimi sei mesi in Europa. Domanda: l'area dell'euro esce indebolita o rafforzata dalla prova greca? "Per ora, più consapevole - si limita a dire Visco - L'integrazione europea ha proceduto storicamente per fasi. Dai disastri del Dopoguerra è cresciuta con l'aspirazione della pace, della giustizia, della libertà. A lungo abbiamo concentrato l'attenzione sulla capacità di sviluppo economico dell'area che, anche grazie all'integrazione stessa, è oggi elevata. Prima è venuto il mercato interno, poi la moneta unica. E già al momento della nascita dell'euro Tommaso Padoa-Schioppa - di cui il Governatore conserva uno degli ultimi libri sulla scrivania nell'ufficio di via Nazionale - sosteneva che una moneta senza stato non può essere sostenibile a lungo". Un insegnamento ancora valido, secondo il Governatore: "Se l'integrazione è un processo, l'unione politica dev'esserne l'esito. Nelle tappe intermedie s'incontrano rischi, e oggi il rischio è costituito dalla diffidenza tra nazioni che è emersa prepotentemente negli ultimi mesi". Visco precisa di riferirsi tanto alla crisi greca, quanto alla possibilità di un Brexit del Regno Unito. E quanto ad Atene, lo sboom finanziario è stato solo il detonatore di una situazione accumulata negli anni, "con una crescita economica non sostenuta da un aumento della produttività, con una spesa al di là delle proprie possibilità e il conseguente crescente squilibrio di bilancio". Adesso, "la questione del debito greco andrà affrontata, anche allungandone ulteriormente nel tempo le scadenze, ma è evidente che questo non sarà sufficiente a superare le difficoltà del paese. Il costo del debito per la Grecia è già basso, il rimborso è diluito nel tempo". La conclusione che il Governatore trae è la seguente: "Una moneta non può rimanere senza stato, punto". Per convincere della solidità della costruzione europea non basta l'unione bancaria: "All'apice della crisi del debito sovrano le tensioni riflettevano non solo i rischi di default dei singoli stati, ma anche la preoccupazione per un eventuale "rottura" della moneta unica. Molto è stato fatto da allora, ma serve di più, bisogna pensare a introdurre nell'area dell'euro elementi formativi di uno stato". Il riferimento di Visco è "all'unione politica, che non può che passare attraverso la tappa intermedia dell'unione di bilancio". Il Governatore non nomina gli Eurobond ma cita piuttosto gli studi di alcuni ricercatori di Palazzo Koch sulla possibilità di mettere in comune una parte dell'assicurazione contro la disoccupazione e dei trattamenti previdenziali. Necessaria armonizzazione della giustizia "A voler guardare ancora più in là, c'è la questione dell'armonizzazione dei sistemi nazionali della giustizia. O, se volete, bisognerebbe riflettere sulla tempistica dei vari voti nazionali che si potrebbe uniformare per evitare quel clima da campagna elettorale permanente che si respira in Europa. Senza accantonare, poi, l'idea di una difesa unica. E se mi consentite la provocazione, vi direi che oggi per salvaguardare l'integrazione europea una difesa unica sarebbe persino più efficace, per certi versi, di una moneta unica". Se non sono gli Stati Uniti d'Europa, poco ci manca: "Per fare tutto questo i leader dovrebbero affrontare costi politici importanti ma ne riceverebbero benefici altrettanto importanti. Il senso dell'Europa in fondo è questo: accettare di ridurre la sovranità nazionale in cambio di SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 23/07/2015 77 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato Intervista col Governatore di Bankitalia 23/07/2015 Pag. 1 diffusione:25000 SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 23/07/2015 78 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato condivisione delle responsabilità". Le opinioni pubbliche però scalpitano, ne è un esempio la retorica anti banche e anti finanza che ha colonizzato negli ultimi tempi gran parte del dibattito mediatico. "Il Premio Nobel Amartya Sen giustamente si è chiesto: 'Come è possibile che una attività tanto utile come la finanza sia stata giudicata così dubbia sotto il profilo etico?". Solone che nella Grecia antica proibisce il credito, Gesù che caccia i mercanti dal tempio, di esempi Visco ne cita a iosa, poi si ferma: "Episodi, comportamenti censurabili ci sono stati, ma la finanza ben regolata serve. Trasferisce risorse nello spazio e nel tempo, dunque ha un compito vitale per tutti noi". E poi sulla situazione delle banche greche, aggiunge: "Si dice, tra le altre cose, che gli aiuti europei sono andati a sostituire i crediti privati. In parte è vero, ma è anche servito a evitare gravi conseguenze per la stabilità finanziaria della Grecia e dell'area". Le Banche centrali europee sono ovviamente consapevoli dell'importanza del sistema finanziario, perciò, continua Visco, "dall'inizio dell'anno fino alla settimana pre referendum, l'Eurosistema ha dato 90 miliardi di liquidità alle banche greche; a questi si aggiungono altri 40 miliardi di liquidità concessa nelle altre operazioni di rifinanziamento. In tutto 130 miliardi, quasi quanto tre quarti del pil greco". Krugman e le spinte anti euro Sulla strada dell'integrazione politica s'incontreranno sempre più spesso critiche severe anche da opinionisti quotati, come un altro Premio Nobel, Paul Krugman. Governatore, nota un accanimento anti euro da parte dei liberal anglosassoni? "Queste critiche non provengono soltanto dai liberal. C'è Krugman, ma c'è anche Martin Feldstein. Sono critiche non di oggi, mosse anche prima dell'avvio della moneta unica, e in ultima analisi riconducibili alla tesi secondo cui le economie europee hanno fatto male a privarsi dello strumento del cambio. Si potrebbe rispondere con i vantaggi che discendono dalla moneta unica, ad esempio per gli scambi commerciali all'interno dell'area, ma soprattutto osservo che lo stesso Krugman riconosce, nelle sue ricerche, che nel lungo periodo quello che conta è il cambio reale, non quello nominale. E il cambio reale dipende dalla produttività di un paese". Dall'Europa arriviamo dunque al nostro paese e il Governatore comincia a ragionare partendo da qui. Continua il governatore Ignazio Visco: "L'Italia è una realtà diversissima dalla Grecia. Ma rimane una lezione quella di dover aumentare la produttività". Quando deve spiegare ai suoi interlocutori internazionali il perché della nostra perdurante lentezza nella ripresa, come risponde? "In sintesi: per arretratezza tecnologica e per il contesto relativamente sfavorevole in cui operano le imprese, a cui contribuisce in maniera determinante ma non esclusiva la corruzione". La prima: "Quando era noto che avremmo perso il controllo del cambio, con annessa possibilità di svalutazioni competitive, le imprese avrebbero dovuto investire di più sulla propria produttività. Invece, in media, sono rimaste indietro nell'uso delle tecnologie, non solo di quelle dell'informazione e non solo nella manifattura. Ancora oggi, l'Italia è indietro nella spesa per la ricerca, soprattutto per la ricerca finanziata dai privati". Un inciso: Visco non è tra quanti credono alla teoria della "stagnazione secolare", in voga soprattutto in America: "Semplicemente perché ritengo che esistano ancora capacità inesplorate e molto elevate di far crescere la produttività, pure negli Stati Uniti". Sul contesto sfavorevole alle imprese, Visco cita per primo il caso della giustizia civile, "troppo lenta e farraginosa", poi la qualità dei servizi offerti dalla Pubblica amministrazione, quindi la stabilità e la chiarezza delle regole. "La Pa ha innanzitutto un problema organizzativo. Semplificare le regole che si sono andate stratificando farebbe già tanto". La spending review aiuterebbe, ma continua ad arenarsi con qualsiasi governo, non trova? "La revisione della spesa ha senso se non equivale soltanto a tagliare la spesa - dice Visco - Non dimentichiamo infatti che uno stato di qualità richiede un capitale umano di maggiore qualità. Servono investimenti su scuola, università, ricerca". E per una sana spending review, "dalle corrette analisi di tipo 'macro' si deve passare al dettaglio 'micro'. A quel punto è necessario mettere in rilievo le priorità, identificando i singoli uffici e meccanismi che non funzionano a dovere. Rendendo più produttiva invece la spesa che c'è". Le ultime due Considerazioni finali di Visco, secondo molti osservatori, hanno dedicato ampio spazio al ruolo della "domanda", dopo anni di insistenza sulle riforme dal lato dell'offerta. Chiediamo al Governatore un giudizio su questa lettura: "Non vedo contraddizione tra i due approcci - dice Visco - Dopo una giusta insistenza sulle grandi riforme necessarie per aggredire i problemi di cui abbiamo appena parlato, ho voluto sottolineare che sono necessari gli investimenti proprio per cogliere le opportunità 23/07/2015 Pag. 1 diffusione:25000 SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 23/07/2015 79 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato create dalle riforme. Che non sono state poche in questi ultimi cinque anni, a partire da quella delle pensioni, per finire a quelle del mercato del lavoro. Se per quindici anni la produttività complessiva del paese è stagnante, non dipende sicuramente dalla domanda. E pensare che qualcuno mi rimproverò quando anni fa scrissi del rischio di 'declino' della nostra economia". Poi però, prosegue il ragionamento di Visco, "se non c'è domanda non c'è reddito disponibile e non ripartono i consumi. A loro volta gli investimenti dipendono dalla domanda attesa per il futuro". Diminuire le tasse, meglio ancora se con misure shock come quelle annunciate dal governo in questi giorni, potrebbe rilanciare la domanda? Il Governatore premette di non voler commentare provvedimenti che ancora non conosce. Perciò fa solo un ragionamento più generale: "Quando si riducono le tasse ci sono due considerazioni basilari da compiere. Le tasse servono a pagare servizi: se si riducono, come si pagheranno questi servizi? Inoltre le tasse sono necessarie a mantenere l'ordine dei conti pubblici, a non incorrere in ulteriore deficit: se si tagliano, sarà necessario trovare le necessarie coperture, anche per non turbare le condizioni del mercato del debito sovrano". L'abolizione dell'imposta sulla casa? "Quale delle tante imposte che vi gravano?", replica provocatorio Visco. "In generale la casa è un asset che, a livello internazionale, viene normalmente tassato. Perché è un cespite che non si sposta, e perché la casa solitamente sfrutta servizi pubblici basilari che devono essere finanziati". L'urgenza, piuttosto, il Governatore la rintraccia in una necessaria "semplificazione" per i contribuenti, a partire dalla "denuncia dei redditi". Il pil italiano ha smesso di affondare in terreno negativo. Visco però, dal suo osservatorio privilegiato, assieme ai suoi collaboratori scruta l'andamento di tre indicatori utili a valutare la resilienza di una ripresa dell'economia, cioè investimenti, credito e occupazione. "Durante la crisi gli investimenti sono caduti di oltre un quarto rispetto ai livelli del 2007. Il segno 'più' del primo trimestre, per questo, è molto rassicurante. E le intenzioni delle imprese restano positive". Sul credito, Visco fa la distinzione tra "l'erogazione di nuovi crediti, che sta migliorando" e "il totale dei crediti, inclusi quelli in essere, che sono ancora in discesa". L'Italia nel 2011 è state investita da un forte credit crunch, Visco non lo nega, e finché non vedrà un segno positivo anche qui non starà tranquillo: "Con il Quantitative easing della Bce, però, i tassi sul credito alle imprese si sono ridotti. Adesso si sta vedendo anche per le piccole imprese". C'è chi sostiene che senza la costituzione di una bad bank che aiuti gli istituti a liberarsi dei crediti deteriorati, il settore non si riprenderà mai del tutto: "Bad bank è espressione imprecisa. L'Italia sta lavorando alla costituzione di una società che gestisca crediti deteriorati, visto che nessuna delle banche italiane è stata a rischio di fallimento come quelle di altri paesi che hanno necessitato di una bad bank. Abbiamo avuto una esperienza al riguardo con la Sga nel 1996 per il Banco di Napoli. In ogni caso non si tratta di un regalo alle banche. Senza una soluzione per i prestiti deterioratie, però, è più difficile liberare risorse per il credito". Bruxelles continua a mostrare un volto arcigno, nota il Foglio, e viene il dubbio che Roma si sia mossa tardi: "Siamo più vicini di sei mesi fa a un'intesa. Nelle discussioni con la direzione Concorrenza della Commissione va sottolineato che non si tratta di aiuti di stato". Intanto però, sulle stesse banche, si esercita la pressione dei regolatori nazionali ed europei affinché accrescano la loro dotazione di capitale. Non solo: in Europa si discute di assegnare un certo rischio di credito ai titoli di stato, così spesso presenti nei bilanci degli istituti: "Negli ultimi quattro, cinque anni, l'aumento di capitale delle banche italiane è stato notevole. Il rapporto tra capitale e attivo è aumentato nettamente. Ed è aumentata anche la qualità del capitale a disposizione. Sui titoli di stato, la crisi greca ha dimostrato che effettivamente non sono risk free, come ripete sempre il mio collega tedesco Jens Weidmann. Vero, appunto. Ora però si apre il dibattito: chi valuta il rischio di questi titoli? Le agenzie di rating? E con quale tempistica introduciamo queste valutazioni del rischio? Oggi è il momento migliore per farlo?". Alla fine della conversazione, riavvolgendo il nastro dei primi quattro anni passati a via Nazionale da Governatore, chiediamo a Visco di ragionare su quello che ci sembra essere un punto centrale della nostra epoca: la possibilità o meno per i governi di diverso colore politico di poter avere una propria specifica autonomia rispetto alle scelte di politica economica. Su queste scelte è un errore divedersi ancora tra destra e sinistra? "In generale mi verrebbe da dire che, specie in periodi in cui l'economia va fatta ripartire, non esistono direzioni di destra e di sinistra, esistono solo direzioni di buon senso". 23/07/2015 Pag. 1 diffusione:25000 SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 23/07/2015 80 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato Foto: IGNAZIO Foto: VISCO Foto: Ignazio Visco è nato a Napoli il 21 novembre 1949. E' governatore della Banca d'Italia dal 1º novembre 2011