La percezione del passato come strumento di crescita personale

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La percezione del passato come strumento di crescita personale
Jael Kopciowski
Psicologa, psicoterapeuta, Trieste
La percezione del passato come strumento di crescita personale
Nel 945 Viktor Frankl scrisse le sue memorie del periodo trascorso nei campi di
concentramento, Uno psicologo nei lager, in soli nove giorni, vendendo oltre nove
milioni di copie nel mondo.
Mentre si trovava nei lager, Frankl scelse di sfuggire agli orrori del presente volgendo la
mente al futuro. C’era un tipo di sofferenza che lui riteneva la peggiore in assoluto.
Anche se aveva sempre freddo, sapeva che stava lentamente morendo di fame e viveva
con la costante paura di morire, era soprattutto il tempo a terrorizzarlo. Scoprì che
ignorare per quanto sarebbe rimasto lì era insopportabile. Quella mancanza di un
orizzonte temporale futuro era la cosa più deprimente di tutte quelle che lo influenzavano.
Quando arrivavano i prigionieri dicevano di sapere che non avevano futuro. Alcuni se la
cavavano chiudendo gli occhi e vivendo perpetuamente nel passato, ma Frankl era
convinto che l’unico modo di sopravvivere fosse pianificare: avere degli obiettivi, così da
conservare una parvenza di futuro. In uno dei momenti più bui, mentre marciava al gelo
con le piaghe ai piedi, si costrinse a immaginare di essere in una calda sala conferenze a
parlare della psicologia dei campi di concentramento. Quel futuro di fantasia gli permise
di completare il percorso. Manipolava il proprio tempo mentale allo scopo di
sopravvivere.1
Il tempo è fondamentale per definire qualunque aspetto dell’Universo si prenda in considerazione. Il
tempo, più di qualsiasi altra dimensione, attribuisce agli eventi una specifica identità e li rende del
tutto unici: l'uomo esiste nel tempo e si evolve con esso.
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Tratto da: C. Hammond Il mistero della percezione del tempo, Einaudi, Torino 2013
La preoccupazione (di Frankl) di mantenere il controllo sul proprio stato mentale ha dato origine a un tipo di terapia
delle parole, detta logoterapia. Frankl ragionava che, se una persona che ha vissuto l‟orrore dell’Olocausto ha saputo
trovare un sistema per controllare la propria mente, allora si dovrebbe poterlo fare anche nella vita di tutti i giorni.
Secondo lui tra stimolo e reazione c’è uno spazio, in quello spazio sta il nostro potere di scegliere la reazione e nella
reazione stanno la nostra crescita e la nostra libertà.
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La mente ricorre tanto alla percezione spaziale quanto ai ricordi per creare un senso del futuro. Ed i
ricordi sono elementi costituenti la nostra personalità.
La relazione con il mondo passa attraverso gli organi di senso. Eppure la dimensione temporale non
fa capo in modo specifico a nessun organo di senso.
La memoria può essere considerata come un magazzino di informazioni messe da parte, a volte
profondamente sepolte, che tornano, misteriosamente alla mente indipendentemente dalla volontà di
chi le possiede. I ricordi sono come dei lampi, immagini che compaiono, se si è fortunati, quando li
si ricerca, se non si è fortunati quando vogliono loro: troppo spesso, oppure mai.
Secondo tale concezione la buona memoria, intesa come la capacità di riportare alla mente eventi,
abilità, conoscenze, nel momento in cui servono, è fondamentalmente un dono di natura con la
quale si nasce e, seppure esistono strumenti di potenziamento, hanno un’efficacia relativa.
L’essere umano è un passivo destinatario di informazioni che si accumulano a sua insaputa e su cui
ha poco potere di controllo.
Si può avere, invece, una concezione più attiva, e ritenere che la memoria e il ricordo possano
essere, almeno in parte, un atto volontario dinamico.
Il modo di considerare l‟apprendimento e la mediazione di questa capacità cambia completamente:
non dimenticare, memorizzare, ricordarsi, rievocare, recuperare ed esercitare la memoria si
tramutano in competenze raggiungibili, frutto di un percorso di acquisizione che può anche essere
lungo e faticoso, ma possibile.
Rielaborare, metabolizzare, tenere sotto controllo, positivizzare memorie traumatiche, un obiettivo
raggiungibile.
Da decenni si fanno ricerche sul funzionamento della memoria, ma l’interesse sul pensiero futuro è
un campo di studi recentissimo.
Facciamo una piccola prova:
Pensate a qualcosa che sicuramente farete la settimana prossima, ma che non si ripete
ogni settimana. Adesso cercate di crearvi un’immagine dettagliata di quell’evento.
Si svolge al chiuso? Come è la stanza? Se c’è gente come è vestita?
Osservate con attenzione i particolari che avete costruito apparentemente dal nulla: con
ogni probabilità scoprirete che si basano su ricordi del passato.
La scoperta più significativa a proposito delle ricerche sul pensiero futuro è stata che esso si affida
moltissimo al viaggio del tempo in senso opposto, ovvero al passato. La nostra memoria deve essere
un processo ricostruttivo, per di più flessibile e addirittura inaffidabile, per consentirci di
immaginare il futuro.
Contemplare il futuro è mettere in default la nostra mente: pensiamo al futuro almeno 59 volte al
giorno, 1 volta ogni 16 minuti di veglia. E’ interessante constatare che chi ha memoria biografica
povera fatica a immaginare il futuro2. Le zone cerebrali utilizzate per richiamare il passato si
sovrappongono a quelle utilizzate per immaginare il futuro. L'ippocampo è la chiave dell'identità di
una persona: regola la memoria, l'apprendimento, il linguaggio e le emozioni. Allo stesso tempo, è
proprio l'ippocampo che si attiva quando ci proiettiamo in avanti, e lo fa con energia proporzionale
alla “distanza” nel futuro che vogliamo raggiungere mentalmente.
Senza la percezione del passato non è possibile visualizzare il futuro né vivere in maniera
equilibrata il presente.
La memoria è essenzialmente un processo di ricostruzione; quando vogliamo rivivere un ricordo
non lo cerchiamo in biblioteca. Lo ricostruiamo e lo alteriamo, le nuove informazioni di cui siamo
in possesso possono mutare il nostro punto di vista.
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(percorso di accompagnamento di bambini in situazione di affido etero-familiare o percorso adottivi)
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Associando di volta in volta ricordi vecchi, siamo in grado di proiettarci nel futuro: creiamo infinite
combinazioni e scegliamo la più plausibile. Usare questi ricordi mescolati e virtualmente rivissuti,
ci permette di prevedere eventi futuri all’interno di una finestra mentale.
Ma … come si formano in ricordi? Quale “spazio” occupano nella nostra mente? Come si
concretizzano, come si solidificano, si organizzano e si rendono recuperabili per il futuro?
Elkhonon Golberg, figura di primo piano della neuropsicologia, nel suo libro Il paradosso della
Saggezza come la mente migliora quando il cervello invecchia3 fornisce indicazioni molto chiare e
precise:
Un nuovo ricordo inizia a formarsi nel momento in cui entrate in contatto con ciò che state
imparando: una nuova faccia, un nuovo fatto, un nuovo suono. L’informazione in entrata
impegna le parti del vostro cervello che hanno la responsabilità dei sensi e poi alcuni sistemi
cerebrali di ordine superiore che si occupano di analizzare ed elaborare l’informazione nuova e
di collegarla ad un’altra acquisita in precedenza. Questa attività modifica il meccanismo neurale
impegnato nel processo e il cambiamento che risulta nelle reti neurali coinvolte nel ricevere ed
elaborare le nuove informazioni è la memoria. Il processo di formazione della memoria è
cominciato. Nuove proteine vengono sintetizzate, nuove sinapsi (i collegamenti tra le cellule
nervose, i neuroni) vengono sviluppate e altre vengono rafforzate in relazione alle sinapsi
circostanti. Questa è l’essenza della formazione di nuove memorie.
La prima osservazione che possiamo fare è che i ricordi si formano nelle stesse strutture cerebrali e
coinvolgono le stesse reti neurali che partecipano all’elaborazione dell’informazione, e ciò avviene
proprio quando tale informazione arriva alla mente.
Si è a lungo ritenuto che esistessero “archivi di memoria” nel cervello, ipotizzando in qualche modo
“luoghi” separati molto differenti dalle regioni cerebrali coinvolte in origine nell’elaborazione
dell’informazione memorizzata.
Quanto Goldberg ci trasmette come frutto delle ricerche in ambito neuro-scientifico, invece, è che
non esistono tali aree e che non c’è alcun “treno della memoria” che porta l’informazione da un
luogo A ad un luogo B.
In altre parole, citando nuovamente Goldberg:
la percezione di una certa cosa e il suo ricordo condividono lo stesso territorio corticale.
[…] I cambiamenti che si verificano nel cervello quando si forma un ricordo non avvengono in
maniera istantanea, ci vuole tempo e necessitano di molto aiuto.
Ma un altro elemento la cui conoscenza è assodata, è che gli aspetti emozionali incidono in modo
determinante sulla creazione del ricordo e sulla sua profondità e persistenza.
Provate a chiudere gli occhi e tornare indietro nel tempo, più lontano che potete.
Pensate a quando eravate piccoli …
… ancora più piccoli …
…. Indietro, indietro, indietro …
Andate a recuperare il ricordo più vecchio che la vostra mente vi mette a disposizione …
….
… Bene ora cercate di cogliere l’atmosfera di quel momento, il suo “sapore” emotivo,
il contesto in cui è avvenuto.
Sentite su di voi questa atmosfera . . . . percepitela nella ricaduta personale.
Come sentite il collo e le spalle? E lo stomaco? Come stanno le vostre mani?
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E. Golberg esercita alla New York University School of Medicine, dove dirige l’Institute of Neuropsychology and
Cognitive Performance
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Ebbene, nella maggior parte dei casi i ricordi più antichi sono legati a sensazioni emotive forti,
perché le emozioni fanno da catalizzatori del ricordo.
Non entriamo qui nel caso della rimozione, cioè del mascheramento di ricordi troppo forti per
essere accettati consapevolmente, quindi virtualmente dimenticati. Questi ricordi sono comunque
presenti, anche se profondamente nascosti, ed incidono su comportamenti e stati d’animo.
Alcuni ricordi non lasciano traccia razionale e consapevole, per i motivi più diversi. Il più semplice
e comune riguarda i ricordi legati alla nostra primissima infanzia, alla fase pre-verbale della nostra
vita. A volte si parla di memorie senza ricordo cioè di situazioni che incidono su di noi, sui nostri
gusti, sugli atteggiamenti sulle scelte, ma lo fanno senza che ne abbiamo la piena consapevolezza.
Desidero chiudere il mio piccolo contributo a questo convegno proponendo la lettura di un brano
biblico in chiave di elaborazione del trauma. Ne ho individuato uno particolarmente significativo,
forse quello che presenta l’evento più traumatico per la mente umana: l‟immaginare di essere
l’artefice del sacrificio di proprio figlio: Akedat Izchak.
Una piccola parentesi a proposito di questo evento l‟idea che il Signore abbia chiesto un sacrificio
umano può sembrare molto lontano dall’insegnamento biblico. Va invece vista come un chiaro
avvertimento: non esiste motivo sufficiente perché il sacrificio umano sia compiuto. Per quanto
forte ci possa sembrare il richiamo che ci spinge a farlo, il dono della vita che il Signore ci ha dato è
comunque più importante.
Ma quanto vedo profondamente collegato al nostro tema, è l’insegnamento di resilienza che ne
possiamo trarre.
Il midrash si sofferma sul nome di Isacco. Non si accontenta della spiegazione relativa alla risata di
Sara e Abramo all’annuncio della nascita di un figlio nonostante la loro tarda età, ne vuole dare
un’altra.
Quando Abramo accompagna il figlio sul monte Moria, è come se accompagnasse tutte le
generazioni future, che spesso hanno dovuto sacrificare la propria vita in nome della loro fede in
Dio. Isacco è il primo “sopravvissuto” della storia ebraica. Il suo nome, e la sua stessa vita spesa in
serenità, sono un insegnamento a tutti i sopravvissuti delle generazioni future: è possibile ritrovare
la forza e la gioia di vivere anche dopo le esperienze più traumatizzanti.
Si suona lo shofar, in ricordo del corno del montone sacrificato al posto di Isacco, proprio a Rosh
ha-shanà, capo d’anno, in cui si solennizza la creazione del mondo.
Il suono dello shofar è un monito ed un’ispirazione. Nel momento in cui ci prepariamo all’arrivo del
nuovo anno lo facciamo con la piena consapevolezza che il passato è quanto ci permette di
proiettarci nel futuro. I traumi (il corno dello shofar) possono essere portatori di energia come gli
elementi più dinamici (la creazione del mondo).
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