PDF2 - Vito Mancuso

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la Repubblica MARTEDÌ 23 DICEMBRE 2014
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I 15 PECCATI DELLA CHIESA SECONDO FRANCESCO
BUCCHI
<SEGUE DALLA PRIMA PAGINA
VITO MANCUSO
S
DIRITTO D’UNTORE
LA LOTTERIA
DEL QUIRINALE
GUIDO CERONETTI
E
ALLORA,
che facciamo?
Giochiamo a scegliere il
prossimo presidente della Repubblica; contribuirà a ravvivare la dispendiosa
istituzione. Avvertendo subito
che il gergo politico mediatico ha
da tempo trasformato persona e
funzione pubblica in un apprezzato rilievo geofisico della pianta
di Roma, così da, quale sia la nobile figura dell’eletto, essere designato di solito come “Il Colle”.
E il Colle manifesta moti, malumori, stanchezze, intenzioni,
captate prontamente dalle
Agenzie. Fa spesso, proprio il linguaggio del vizioso Pensiero Unico: riforme, fare presto, e con
speciale accanimento crescita,
ripartire, competere, investire,
trasparenza. Il Colle ideale (dunque mai l’avremo) sarebbe,
quanto a elogi del popolo italiano, estremamente parsimonioso: perché non potrebbe ignorare che non li merita, eccetto che
per la sua sbalorditiva pazienza.
Per me, avessi la sventura di
sedere sui chiodi vellutati delle
note Aule, il candidabile n. 1 sarebbe tuttora Emma Bonino, oggi semicancellata dalla politica
galvanica, cioè fintamente viva.
Lei ci guadagnerà in salute ma
l’Italia ci perde. L’idea renziana
di spedire sul podio quirinalizio
Riccardo Muti sarebbe tuttora
più che felice, se non fosse un
trucco da illusionista per far saltar fuori dal cilindro qualcun altro. E poi avrebbe i voti? Li avrebbe da tutta Italia e da tutto il
mondo dove si ama la musica con
qualche esito emolliente sulla
belvinità umana; lo rigetterebbero i tori di Bashan del serraglio
parlamentare. L’Italia, caro
Maestro, è un formidabile contenitore di essere e di civiltà, ma
una nazione moderna inautentica, abortita da ormai quasi due
secoli, con una diarchia — istituzioni e Papa — che blocca inesorabilmente l’accesso alla sovranità di una sola legge. E ancora,
povero grande Muti, dover subire incessantemente le note, impotentemente marziali, dell’Inno di Mameli, non sarebbe una
insopportabile tortura?
Vorrei estrarre dal silenzio il
nome di un uomo di coraggio, oggi dimenticato: il generale Franco Angioni. Sarebbe un bel guanto gettato all’Italia vile, all’Italia
dei vili. Sarebbe già un po’ oltre
l’età augurabile, ha da poco passato gli ottanta (è del 1933) ma
un parlamento autentico ne discuterebbe. Lo dò tra i voti intelligenti. Avrei nella manica un’altra carta: Ilda Boccassini. Conosce il diritto, molto diritta lei
stessa, e finora non ha mai detto
in pubblico job act e neppure
Rom. Chi contamina la lingua
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non è presidenziabile! Degli uomini di valore varrebbe sicuramente la pena non trascurare
Paolo Mieli, Sergio Romano, Salvatore Settis — tra i migliori possibili in Europa, e di rigorosa nonprovenienza politica o, peggio,
dal mondo degli affari. Naturalmente, vorrei da qualsiasi neoeletto una esplicita, nitida, inequivocabile dichiarazione NoTav. La cruna si fa stretta stretta,
ma non hanno l’idea fissa, nei loro calpestamenti del senso delle
parole, della Trasparenza? Facciamo trasparire fin dove si può
quel che uno destinato a rappresentarci abbia in cuore! E fin da
subito... Luoghi comuni no, no!
Ma perché la Emma potrebbe
essere vista, nonostante non sia
indenne dalla politica, come
“donna della Provvidenza”?
L’Europa, l’Occidente, hanno
quasi perso il loro migliore alleato, il loro, incuneato bene, migliore alleato mediterraneo.
Ambizioso e malcalcolante, l’Erdogan ci ha tolto di sotto la sedia
l’autentica e non piccola potenza
turca. Rifiutata dall’Europa
unionista, la Turchia, faro della
laicità ai confini dell’eccitato radicalismo e fanatismo islamico
(prevedibile, no? Ma serve a
qualcosa, a chi non vuol sentire,
tuonargli nelle orecchie?) appare poco vogliosa di contrastare
una minaccia che non si esorcizza con le parole. Avere la Bonino
al Quirinale sarebbe l’interlocutrice ideale coi turchi per avere
sempre voluto Ankara dentro la
marmitta europea, sottopatria
di confusione, superpotenza di
debolezza. Beh, non è poco! E anche in fatto di diritti umani stuprati nel mondo, di generose
campagne contro le immonde,
bestiali mutilazioni genitali femminili africane, Emma brilla come un diamante in questa opacità di complicità e d’insignificanza.
Se poi volessimo, per il vacante Colle, evocare una grande Ombra con passaporto italico la scelta sarebbe entusiasmante. Possiamo nominare Giustino Fortunato, Gaetano Salvemini, Nicola
Chiaromonte, Emilio Lussu, Giuseppe Rensi, Giani Stuparich,
Leonardo Sciascia, per restare
nel secolo XX... Da Cinecittà al
Colle dei Colli potrebbero pigliare il volo Blasetti, Genina, Rossellini, Fellini, Antonioni, Monicelli, Rosi...
A un presidente il meno possibile somigliante all’Italia presente, al più scarsamente disposto ad accettarla così moralmente e mentalmente disfatta, getto
questa massima dell’imperatore Marco Aurelio, lo sconosciuto
della statua equestre capitolina:
SE PUOI ISTRUISCILI, SE NON
PUOI SOPPORTALI.
EGUONO (2) “la malattia dell’eccessiva
operosità” e (3) “l’impietrimento mentale e spirituale”, intendendo con ciò
l’atteggiamento di coloro che “perdono
la vivacità e l’audacia e si nascondono sotto le
carte diventando macchine di pratiche”. Le altre malattie del potere, elencate dal Papa spesso con termini colorati, sono: (4) l’eccessiva
pianificazione, (5) il cattivo coordinamento
che trasforma una squadra in “un’orchestra
che produce chiasso”, (6) “l’Alzheimer spirituale” che fa perdere la memoria dell’incontro
con il Signore e consegna in balìa delle passioni, (7) la rivalità e la vanagloria, (8) la schizofrenia esistenziale che porta a vivere una doppia vita, di cui la seconda è all’insegna della dissolutezza, (9) le chiacchiere e i pettegolezzi
che arrivano a un vero e proprio “terrorismo”
delle parole, (10) la divinizzazione dei capi in
funzione del carrierismo, (11) l’indifferenza
verso i colleghi che priva della solidarietà e del
calore umano e che anzi fa gioire delle difficoltà altrui, (12) la faccia funerea di chi è duro
e arrogante e non sa che cosa siano l’umorismo
e l’autoironia, (13) il desiderio di accumulare
ricchezze, (14) i circoli chiusi e infine (15) l’e-
sibizionismo.
Queste sono le numerose malattie che secondo il Papa aggrediscono la Curia romana e
i suoi responsabili. Ma una domanda s’impone: è davvero così semplice separare il Pontefice dalla sua amministrazione? La Curia romana è una creatura dei Papi, è l’espressione
di ciò che per secoli è stato il Papato, governata dagli infallibili successori di Pietro dei quali
tra l’altro quasi tutti coloro che hanno regnato nel ‘900 sono stati proclamati santi o beati.
Com’è quindi possibile il paradosso di papi così vicini a Dio e tuttavia incapaci di mettere ordine tra i più stretti collaboratori, scelti da loro stessi? Come si concilia lo splendore dei pontefici canonizzati con una curia che dipende da
loro direttamente e che è così tanto malata?
La Curia romana non è piovuta in Vaticano
dal cielo, né è stata messa lì da qualche potentato straniero, ma è sorta quale logica emanazione della politica ecclesiastica papale che ha
fatto del Vaticano un centro di potere assoluto, e non un organo di servizio come vorrebbe
oggi papa Francesco. Se si vuole la coerenza
del ragionamento, indispensabile alla coerenza della vita giustamente tanto cara a papa
Francesco, occorre concludere che i mali della
Curia romana non possono non essere esattamente i mali dello stesso potere pontificio.
Il papato per secoli ha concepito se stesso come potere assoluto senza spazio per una minima forma di critica e meno che mai di opposizione, traducendo fisicamente questa impostazione in precisi segni di spettacolare effetto quali il bacio della pantofola, la sedia gestatoria, e la tiara pontificia detta anche triregno
tempestata di pietre preziose. Chi lavorava in
Curia respirava quotidianamente quest’aria e
non c’è nulla da meravigliarsi se poi, nella sua
vita privata, tendesse a riprodurne la logica
circondandosi a sua volta di lusso e di potere.
È stato così per secoli e, come fa intendere il discorso di papa Francesco, è così ancora oggi.
Emblematico è il caso del cardinal Bertone,
per anni a capo della Curia romana e ora autopremiatosi con un lussuoso superattico nel
quale probabilmente si aggira fiero contemplando i frutti di un fedele servizio alla logica
del potere.
L’impietrimento mentale e spirituale denunciato da papa Francesco come malattia n.
3 non è altro che la conseguenza di come nei secoli è stata interpretata la figura del successore di Pietro. Quindi la riforma della curia non
può che condurre a una riforma del papato.
Avrà la forza papa Francesco per intraprendere questa strada? La volontà, di sicuro, sì.
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Repubblica Nazionale 2014-12-23