SOMMARIO n. 108 - Centro Studi Cinematografici

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SOMMARIO n. 108 - Centro Studi Cinematografici
SOMMARIO
n. 108
Anno XVI (nuova serie)
n. 108 novembre-dicembre 2010
Benvenuti al sud ................................................................................
26
Bruno .................................................................................................
8
Buried – Sepolto ................................................................................
35
Corsa a Witch Mountain ....................................................................
28
Doppia ora (La) ..................................................................................
3
Estate di Martino (L’) ..........................................................................
21
Figli delle stelle .................................................................................
16
Fiori di Kirkuk (I) ................................................................................
40
Harry Potter e i doni della morte – Parte1 ...........................................
6
In carne e ossa ..................................................................................
19
Karate Kid (The) – La leggenda continua ..........................................
34
Maschi contro femmine .....................................................................
17
Noi credevamo ...................................................................................
23
Notte da leoni (Una) ..........................................................................
25
Redazione:
Marco Lombardi
Alessandro Paesano
Carlo Tagliabue
Giancarlo Zappoli
Panico al villaggio ..............................................................................
4
Post Mortem ......................................................................................
32
Potiche – La bella statuina .................................................................
18
Hanno collaborato a questo numero:
Veronica Barteri
Elena Bartoni
Luca Caruso
Maria Cristina Caponi
Chiara Cecchini
Elena Mandolini
Diego Mondella
Fabrizio Moresco
Francesca Piano
Tiziana Vox
Precious .............................................................................................
30
Ritorno a Brideshead .........................................................................
13
Qualcosa di speciale .........................................................................
29
Segreto dei tuoi occhi (Il) ...................................................................
37
Social Network (The) .........................................................................
10
Superpoliziotto al supermercato (Il) ...................................................
9
Stanno tutti bene ...............................................................................
14
Ti presento un amico .........................................................................
15
Unstoppable – Fuori controllo ............................................................
31
20 sigarette ........................................................................................
2
Wall Street: il denaro non dorme mai ................................................
38
Winx Club 3D – Magica avventura ....................................................
7
Tutto Festival – Pesaro Film Festival 2010 ....................................
41
Tutto Festival – Venezia Film Festival 2010 ...................................
43
Bimestrale di cultura cinematografica
Edito
dal Centro Studi Cinematografici
00165 ROMA - Via Gregorio VII, 6
tel. (06) 63.82.605
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Si collabora solo dietro
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Cast e credit a cura di: Simone Emiliani
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Stampa: Tipostampa s.r.l.
Via dei Tipografi, n. 6
Sangiustino (PG)
Nella seguente filmografia vengono
considerati tutti i film usciti a Roma e
Milano, ad eccezione delle riedizioni.
Le date tra parentesi si riferiscono alle
“prime” nelle città considerate.
Film
Tutti i film della stagione
20 SIGARETTE
Italia, 2010
Supervisori effetti visivi: John Attard (Rebel Alliance), Pasquale Di Viccaro
Coordinatore effetti visivi: Virginia Cefaly
Suono: Mario Iaquone
Interpreti: Vinicio Marchioni (Aureliano Amadei), Carolina Crescentini (Claudia), Giorgio Colangeli (Stefano Rolla), Gisella
Burinato (Berta Ficuciello), Orsetta De Rossi (Carlotta), Alberto Basaluzzo (Massimo Ficuciello), Luciano Virgilio (generale Ficuciello), Edoardo Pesce (Tino), Duccio Camerini (padre di Aureliano), Massimo Popolizio (Storchi), Giovanni Carroni (generale Stano), Vanni Fois (colonnello Scalas), Nicola
Nocella (Cico), Rocco Capraro (Cintura), Silvio Laviano (Melis), Antonio Careddu (Mereu), Stefano Mereu (Piras), Andrea
Iaia (Olla), Antonio Gerardi (produttore), Desiree Noferini (Angela), Maurizio Romoli (ortopedico), Nicola D’Eramo (Ros 1),
Pietro Faiella (Ros 2), Harriet Mcmaster-Green, Awa Ly (infermiere)
Durata: 94’
Metri: 2600
Regia: Aureliano Amadei
Produzione: Claudio Bonivento, Tilde Corsi, Gianni Romoli per
R&C Produzioni/Rai Cinema/Alhambra Factory
Distribuzione: Cinecittà Luce
Prima: (Roma 8-9-2010; Milano 8-9-2010)
Soggetto: tratto dal libro Venti sigarette a Nassirya di Aureliano Amadei e Francesco Trento
Sceneggiatura: Gianni Romoli, Francesco Trento, Volfango De
Biasi, Aureliano Amadei
Direttore della fotografia: Vittorio Omodei Zorini
Montaggio: Alessio Doglione
Musiche: Louis Siciliano
Scenografia: Massimo Santomarco
Costumi: Catia Dottori
Produttore esecutivo: Hamid Basket
Direttore di produzione: Rocco Messere
Casting: Flaminia Lizzani
Aiuto regista: Samad Zarmandili
Trucco: Simona Castaldi
oma, novembre 2003. Aureliano
Amadei è un giovane anarchico
che frequenta i centri sociali, col
sogno di diventare un regista. L’occasione
gli si presenta quando un amico di famiglia, Stefano Rolla, gli propone di seguirlo in Iraq per girare un film.
Il ragazzo, a cui viene affidato il ruolo
di assistente, è entusiasta dell’idea, ma,
allo stesso tempo, è preoccupato per la pericolosità del viaggio. Per di più deve scontrarsi con lo scetticismo della fidanzata
brasiliana (che dice di avere uno strano
presentimento...), con la gelosia dell’altra
ragazza con cui si vede, Claudia, e, soprat-
R
tutto con la madre, che teme per la sua incolumità.
Tra dubbi e paure, Aureliano decide
alla fine di partire. Appena arrivato, i soldati impegnati nella missione di pace, che
hanno il compito di scortarlo in giro, lo
mettono in guardia sulle difficili condizioni in cui si troverà a lavorare.
Nella base italiana dell’Esercito può
contare sul capitano Massimo Ficucello,
con il quale stringe un rapporto di amicizia. 12 novembre: Amadei e Rolla vengono accompagnati nei luoghi dove devono
iniziare le riprese. Il militare che dovrebbe fare loro da guida è però assente e, non
potendo quindi raggiungere da soli le locations, si vedono costretti a deviare il percorso verso la caserma dei carabinieri a
Nassiriya.
Poco dopo il loro arrivo, un camion
cisterna carico di esplosivo si lancia contro l’edificio provocando la morte di 19
nostri connazionali. Aureliano è l’unico
a scampare all’attentato: malgrado sia
ferito, riesce a scavalcare la recinzione e
a mettersi al riparo grazie all’aiuto di un
gruppo di civili che lo trasportano in ospedale.
Quando torna in Italia, riabbraccia i
suoi genitori e Claudia, ma deve anche vedersela con chi vuole immeritatamente fregiarsi del titolo di eroe per averlo salvato.
A distanza di qualche anno da quella esperienza, Amadei sceglie di scrivere un libro
per raccontare la sua verità.
e dinamiche del cinema italiano
(produttive, distributive, promozionali) ci risultano oscure, per non
dire inspiegabili. Ci si lamenta da anni di
non riuscire a realizzare un prodotto che
possa avere un destino anche fuori dai
confini nazionali e poi, quando finalmente
si inverte la tendenza con un’opera di più
ampio respiro, non si fa nulla per valorizzarla. 20 sigarette ne è un esempio.
È stato giusto premiare l’esordio di
Aureliano Amadei e l’attore protagonista
Vinicio Marchioni nella sezione “Controcampo Italiano” della 67esima Mostra di
Venezia, (anche se avrebbe meritato un
posto nel concorso principale...).
L
2
Film
Un doppio riconoscimento come
questo, per quanto prestigioso, però,
non basta. Qualche settimana dopo, al
momento della scelta del candidato italiano agli Oscar 2011, la commissione
non ha avuto il coraggio di lanciare il
piccolo-grande film di Amadei verso un
successo già scritto presso le platee
d’oltreoceano.
La strada, che sembrava spianata, è
stata invece scioccamente interrotta a causa delle becere logiche – si badi bene –
tutte interne al mercato italiano, non a quello nordamericano che invece si ambisce a
conquistare... .
20 sigarette è costretto a pagare dazio per il fatto di non essere firmato da un
regista già affermato e di non avere una
solida copertura produttiva alle spalle? Se
così fosse, ci troviamo di fronte alla solita
anomalia italiana.
La storia ci insegna che altri paesi europei non sempre hanno scelto il loro rappresentante secondo il criterio della notorietà dell’autore; vengono infatti selezionate opere che abbiano precisi requisiti, tra
cui la riconoscibilità e la credibilità della
storia e dei personaggi, l’universalità delle
tematiche.
Tutte componenti che si possono rintracciare in 20 sigarette. Il registra mette
la sua impressionante esperienza di vita
al servizio del pubblico (fu lui stesso a salvarsi dalla strage di Nassiriya), incrociando i suoi personali ricordi, prima di incosciente e aspirante film-maker, poi di su-
Tutti i film della stagione
perstite, con una realtà molto più grande
di lui: la guerra.
Una questione, quest’ultima, degna di
attenzione soprattutto da parte di chi fa
cinema. L’ultimo caso di The Hurt Locker,
insignito della statuetta nel 2010, la dice
lunga sull’indice di gradimento che il conflitto in Iraq può vantare presso l’opinione
pubblica statunitense.
Il dramma di un nemico invisibile, eppure così pericolosamente vicino, la minaccia sempre più incombente di essere
colpiti alle spalle, anche in mezzo al deserto dove ci si illude di avere la situazione sotto controllo. Amadei è lucido e puntuale nel restituirci quegli attimi concitati
appena prima e un attimo dopo “la fine del
mondo”. Le sequenze post-attentato, girate con un ritmo coinvolgente, raccontano
la lotta per la sopravvivenza di un uomo
imprigionato in un “campo minato”, sempre più simile a un gorgo infernale.
Momenti vissuti sulla propria pelle e per
questo ancor di più autentici, vividi, palpabili e privi di ogni retorica. Anche quelli relativi alla convivenza nel campo militare
con i commilitoni, di cui conosciamo e
ammiriamo la generosità, l’umanità, la dignità e la compostezza nel portare avanti
il proprio improbo compito.
Guardando il film non si può non pensare a un’altra pagina di eroismo “a basso
profilo” come quella di Fortapàsc. Ma qui,
assistiamo ad una maggiore variazione di
toni che dona vivacità alla storia: dalla commedia scanzonata e allegra (accompagna-
ta da una brillante colonna sonora), nel finale, si vira verso la tragedia.
L’elemento però più disarmante, per la
sua contagiosa gioia di vivere, è il giovane
operatore Aureliano. E qui ritorna il paragone con il film di Marco Risi prima citato
e, in particolare col “mattatore gentile” Libero De Rienzo (Giancarlo Siani). Vinicio
Marchioni, già noto al pubblico per il ruolo
di “Il Freddo” nella serie Romanzo Criminale, gli somiglia davvero molto. Anche lui
è imbranato e un po’ pauroso. Ma sa essere anche spavaldo e straordinariamente autoironico.
Quest’ultima è la sua dote migliore: il
protagonista trova il modo di scherzare anche sotto i ferri o in fase di convalescenza
con i suoi genitori e la ragazza Claudia (una
gagliarda Carolina Crescentini). Ed in un
frangente così estremo come quello della
corsa in ospedale dopo l’attentato, in cui ha
una gamba maciullata ed il viso coperto di
sangue, riesce perfino ad accendersi un’ultima sigaretta! La ventesima appunto.
Quella scena così cruda, dove Amadei sostiene la testa di un bambino morto,
la ritroviamo anche nell’epilogo, sotto forma di ossessionante ricordo. Uno dei suoi
frequenti attacchi di panico lo riporta indietro a quel triste giorno, mentre, in braccio, stringe la figlia piccola. Nessuno ha
mai rivolto un pensiero alle vittime innocenti di Nassiriya. Il miglior film italiano del
2010 è qui per ricordarcelo.
Diego Mondella
LA DOPPIA ORA
Italia, 2009
Acconciature: Giorgio Gregorini
Supervisori effetti visivi: Rodolfo Migliari, Nicola Sganga
Suono: Alessandro Zanon, Silvia Moraes
Interpreti: Filippo Timi (Guido), Ksenia Rappoport (Sonia),
Antonia Truppo (Margherita), Gaetano Bruno (Riccardo), Fausto Russo Alesi (Bruno), Michele Di Mauro (Dante), Lorenzo
Gioielli (vice direttore albergo), Lidia Vitale (Rossa Speed
Date), Giampiero Iudica, Roberto Accornero (uomini Speed
Date), Lucia Poli (Marisa), Giorgio Colangeli (prete anziano),
Deborah Bernuzzi (hostess di terra), Barbara Braconi (receptionist), Federica Cassini (infermiera), Valentina Gaia (commessa gioielleria), Edoardo La Scala (Marco), Chiara Nicola
(ragazza suicida), Chiara Paoluzzi (cameriera albergo), Gilda
Postiglione Turco (medico sogno), Diegi Gueci, Simone Repetto, Fabrizio Rizzolo, Stefano Saccotelli (clienti Speed Date),
Antonio Sarasso (infermiere ospedale), Stefano Sardo (rapinatore), Paolo Maria Serra (neurologo)
Durata: 95’
Metri: 2605
Regia: Giuseppe Capotondi
Produzione: Francesca Cima, Nicola Giuliano per Indigo Film/
Medusa Film in collaborazione con Mercurio Cinematografica/Sky Cinema
Distribuzione: Medusa
Prima: (Roma 9-10-2009; Milano 9-10-2009)
Soggetto e sceneggiatura: Alessandro Fabbri, Ludovica
Rampoldi, Stefano Sardo
Direttore della fotografia: Tat Radcliffe
Montaggio: Guido Notari
Musiche: Pasquale Catalano
Scenografia: Totoy Santoro
Costumi: Roberto Chiocchi
Produttore esecutivo: Viola Prestieri
Produttore associato: Carlotta Calori
Organizzatore: Stefano Benappi
Casting: Annamaria Sambucco
Aiuto regista:Davide Bertoni
Arredatore: Carlotta Desmann
3
Film
onia è una ragazza dell’Est, impiegata in un elegante albergo di
Torino; fa le pulizie nelle camere. Una sera, nel corso di una seduta di “speed date”, conosce Guido, un habituè del locale per cuori solitari in cerca di un’anima
gemella e di facili avventure. Tra i due nasce
immediatamente un’intesa particolare.
Lui, vedovo e con un passato da poliziotto, è ora guardiano in una lussuosa villa
alle porte della città. Un giorno, la porta
a visitare il luogo dove lavora. Ma, mentre
sono a passeggio nel bosco, vengono aggrediti da una banda di ladri e fatti prigionieri. Nel tentativo di difendere Sonia dalle avance di uno dei delinquenti, Guido
viene ferito a morte, sotto gli occhi impietriti della donna, colpita invece soltanto di
striscio.
Questa ultima rimane a tal punto traumatizzata da questa tragica fatalità, che
rivede ovunque il fantasma dell’uomo. Ma
la sua vita si scopre non essere irreprensibile come sembra: mentre di giorno è
un’onesta lavoratrice, stimata e ben voluta sia dal personale che dai clienti dell’hotel, di nascosto, è complice di un pericoloso criminale. Lo stesso che ha messo a segno il colpo nella villa e che credeva di
aver ucciso il vigilantes Guido, il quale,
nel frattempo, ricompare... .
Col passare del tempo, l’ossessione
della donna non fa che crescere e, oltretutto, è messa sotto torchio dalle incalzanti domande del commissario Dante (ex collega di Guido), che la crede responsabile
di quanto è accaduto al suo amico.
Fino a quando, una mattina, Sonia si
risveglia in un letto di ospedale e si accorge che, a causa del forte shock subito a
seguito della rapina, ha vissuto per tre lunghi giorni un’esistenza immaginaria.
Quando lei torna alla vita normale, potrebbe finalmente riabbracciare l’uomo che
credeva morto e rimanere per sempre al
suo fianco; invece, decide di abbandonarlo. Raggiunge infatti il suo amante all’aeroporto e si imbarca (ore 20:20!), destinazione Buenos Aires. Guido, che la segue in
macchina, la lascia partire, rifiutandosi di
denunciarla alla polizia.
S
egreti, identità ambigue, personaggi sfuggenti. E ancora: allucinazioni, incubi e misteriosi suicidi. Sulla carta, La doppia ora promette
di essere un impeccabile campionario di
suspense... salvo poi perdersi in un pretenzioso quanto vacuo calderone di generi.
La strada maestra intrapresa dall’esordiente Giuseppe Capotondi è quella del
thriller psicologico (ardua e poco familiare
S
Tutti i film della stagione
al cinema italiano). Ma i suoi tre sceneggiatori si divertono, (troppo) spesso e volentieri, a dirottare la storia verso altri registri (dal noir addirittura all’horror!), finendo per snaturare l’originalità del soggetto.
L’idea di partenza della “doppia ora”,
che dà il titolo al film, sarebbe pure accattivante: quando le lancette dell’orologio
segnano ore e minuti identici accade sempre qualcosa di sinistro e di inaspettato,
come se incombesse sull’ignara (?) cameriera una sorta di maledizione.
Ma – bisogna ammetterlo – non è del
tutto nuova agli amanti del “brivido”, visto
che qualche anno fa il film Number 23, diretto da Joel Schumacher (con un paranoico Jim Carrey), metteva in scena una
simile fissazione per una cifra precisa, con
risvolti anche ben più cruenti e malefici.
Capotondi non ha avuto il coraggio di
condurre fino in fondo l’intricata matassa
con uno stile coerente e deciso. Insomma,
quando si vuole aderire a un genere ben
codificato e riconoscibile, sarebbe meglio
farlo in toto e non ad intermittenza... E,
soprattutto, è vivamente sconsigliato lasciarsi prendere la mano dal solito e atavico viziaccio del cinema di casa nostra: il
finale minimal-intimista!
Il risultato è un algido e ibrido rompicapo, privo di mordente, in cui i protagonisti “cambiano pelle” in continuazione, saltando a proprio piacere piani temporali e
passaggi logici. Della serie: nessuno è innocente, tutti sono colpevoli.
Ma il virtuosistico giochino del “Doppio” non ha nulla di innovativo o di sperimentale. Almeno se si prendono come riferimento le prove di registi come Hitchcock, Melville, Polanski (maestri nel
saper falsificare la percezione della realtà), inopinatamente tirati in ballo da molta
critica come termini di paragone.
Perfino gli attori non riescono a rendere sufficientemente credibile la scommessa “multi-genere”. Dopo l’ottimo debutto in
La Sconosciuta, Ksenia Rappoport conserva ancora il suo fascino enigmatico,
senza però lasciare una traccia rimarchevole con la sua recitazione (eccessivamente sommessa).
Mentre Filippo Timi, artista capace di
performance titaniche e fisicamente portentose (vedi Vincere di Bellocchio), appare quasi intrappolato in un ruolo che,
invece di valorizzare il suo istrionico talento, finisce per oscurarlo in un cono d’ombra.
Per non parlare degli altri interpreti.
Fra gli altri, ad esempio, il bravissimo Fausto Russo Alesi, uno dei volti più intensi
del teatro nostrano: nelle vesti di un serio
professionista che si trasforma in serialkiller, risulta essere, inspiegabilmente,
fuori posto. Anch’egli è un buco nero, un
tassello di puzzle che non combacia.
Come, purtroppo, ce ne sono tanti in questo film... .
Diego Mondella
PANICO AL VILLAGGIO
(Panique au village)
Belgio/Francia/Lussemburgo, 2009
Regia: Vincent Patar, Stéphane Aubier
Produzione: Philippe Kauffmann, Vincent Tavier per Gebeka Films/La Parti Productions/Made in PM/ Mélusine Productions/Beast Production
Distribuzione: Nomad Film
Prima: (Roma 25-6-2010; Milano 25-6-2010)
Soggetto: Vincent Patar, Stéphane Aubier
Sceneggiatura: Vincent Patar, Stéphane Aubier, Vincent Tavier, Guillaume Malandrin
Direttore della fotografia: Jan Vandenbussche
Montaggio: Anne-Laure Guégan
Musiche: Dionysos
Produttori associati: Guillaume Malandrin, Adriana Piasek-Wanski
Co-produttori: Xavier Diskeuve, Stéphane Roelants, Arlette Zylberberg
Direttore di produzione: Morgan Eches
Aiuto regista: Marianne Chazelas
Animazione: Stéphane Aubier, Marion Charrier, Zoé Goethgheluck, Florence Henrard, Vincent Patar
Responsabile animazione: Steven de Beul
Durata: 75’
Metri: 2060
4
Film
el Villaggio vivono in pacifica
coabitazione in una grande casa,
due uomini, Cowboy e Indiano,
con il loro amico Cavallo. Per il compleanno di quest’ultimo, Cowboy e Indiano
decidono di regalargli un barbecue. Per
costruirlo gli occorrono 50 mattoni. Decidono di ordinarli su un sito internet, ma,
per un accidentale errore di digitazione
di Cowboy che schiaccia inavvertitamente più volte il tasto zero, finiscono per
ordinarne 50 milioni. Nel frattempo Cavallo si reca al conservatorio dove si
iscrive a un corso di lezioni di pianoforte, rapito dal fascino dell’insegnante-cavalla, la signora Longrée. Intanto arrivano i mattoni e Indiano si accorge dell’errore quando legge sul foglio di ordine la
cifra iperbolica. Il paese è letteralmente
sommerso dai mattoni. Alla festa di compleanno di Cavallo, i due amici gli fanno
trovare un barbecue fuori dalla sua casa.
Ma, quella notte, la casa crolla sotto il
peso della gran quantità di mattoni accumulati e nascosti sotto il tetto. Il mattino
dopo, l’intero paese è bloccato dai mattoni: ingorghi per le strade e caos totale.
Cowboy e Indiano iniziano a ricostruire
la casa, i muri appena eretti vengono rubati. Ora il Poliziotto insieme a Cavallo,
Cowboy e Indiano è caccia al ladro di
muro, un certo Gérard. Durante un inseguimento, i tre finiscono per precipitare
in una voragine che li conduce verso il
centro della terra. Trovano un’uscita ma
si ritrovano in un Polo Nord pieno di neve
dove scorgono le impronte di Gérard. I
tre trovano rifugio in un mega-robot a
forma di pinguino, che lancia enormi
palle di neve e dove alcuni scienziati
svolgono strani esperimenti. Intanto l’intero villaggio viene tappezzato di cartelli con le facce dei tre scomparsi. Scappati dal mega-robot tra la neve, i tre precipitano negli abissi marini, dove trovano Gérard con la sua famiglia composta
da tre figlioletti, che si è costruito una
casa con i muri della casa di Cavallo. I
tre recuperano i muri, ma sono inseguiti
da un branco di barracuda e da mostri
marini. Dopo una rocambolesca fuga, i
tre riescono a tornare al villaggio attraverso il passaggio permesso dallo stagno
di Steven, vicino di casa di Cavallo, ma
vengono inseguiti da Gérard e dai suoi
che ora vogliono la casa di Steven. Ma
Steven gli scatena contro una mandria di
mucche. Cavallo torna al conservatorio
ma lo trova distrutto. È il caos.
Infine tutti festeggiano Cavallo men-
N
Tutti i film della stagione
tre la signora Longrée organizza una bella
festa da ballo per il festeggiato. Cowboy e
Indiano tirano fuori finalmente il loro regalo: è un razzo che esplode in un trionfo
di fuochi d’artificio.
l cinema può funzionare come
funziona la nostra immaginazione”. Queste parole, scritte nel
1916 da Hugo Munsterberg, docente ad
Harvard di psicologia e filosofia, calzano a pennello a questo divertissement
di produzione belga-francese-lussemburghese, ideato e diretto da Vincent
Patar e Stéphane Aubier, tratto da una
serie televisiva belga e girato con la tecnica fuori moda dello ‘stop-motion’ (più
nota come ‘passo-uno’) dove vecchi pupazzetti rigidi e monoespressivi sono animati con un movimento nevrotico, frenetico e barcollante. Se è vero, come scriveva ancora il filosofo, che il film obbedisce alle leggi della mente piuttosto che
a quelle del mondo esterno, è davvero
tutto possibile nel villaggio di Patar e
Aubier fatto di quattro case e incorniciato da verdi collinette al confine tra praterie e uno strano casello autostradale e
popolato da curiosi “abitanti”. Ci sono indiani che si asciugano le penne col phon,
cavalli che leggono il giornale, si fanno il
bagno nella vasca, si lavano i denti, guidano la macchina (e che macchina!) e si
innamorano, e poi mega-robot a forma
di panciuti pinguini, mostriciattoli marini
con le pinne attaccate alla testa e chi più
ne ha più ne metta.
Un universo folle, un viaggio in cui si
paga il debito al primo e più famoso viaggio nella fantasia del cinema, Il mago di
Oz e alla sua realtà fatta di splendidi colori
non naturalistici. Un mondo dipinto con
colori accesi come quello del “Villaggio”,
popolato da figurine, che altro non sono
che i vecchi pupazzetti di plastica col piedistallo tondo, dipinto di verde erba. Cavalli, cowboy, indiani, ma anche mucche,
maiali, galline che noi, bambini di una volta, avevamo in qualche vecchia colorata
fattoria. I bambini di oggi non li hanno sicuramente e forse si possono trovare ancora solo in qualche piccola e vecchia bottega.
La creatività folle e anarchica dei due
registi ha dato vita a un sogno alla maniera di Meliès, un regno della fantasia
assoluta che forse, davvero, non conosciamo più. È come nel mondo dei giochi dei bambini, tutto è semplice (il
cowboy si chiama appunto Cowboy,
“I
5
come l’Indiano e il Cavallo) tutto è indeterminato, tutto è possibile. Come nella
realtà onirica dei bambini in cui può davvero accadere di tutto e dove si può davvero volare, precipitare, esplodere, insomma dove si può andare ovunque in
un baleno, si, anche al centro della terra
o negli abissi marini.
Il trailer definisce il film “più terrificante di Psycho, più impressionante di Inferno di cristallo, più romantico di Lezioni di
piano, più sconvolgente de La marcia dei
pinguini, più spettacolare di Viaggio al
centro della terra”, quanta carne al fuoco!
Presentata al Festival di Cannes 2009
nella sezione “Proiezione di mezzanotte”
e poi ai César, l’opera ha vinto il premio
“Platinum Gran Prix” al Future Film Festival di Bologna del 2010.
Una risposta dal sapore autenticamente grezzo e artigianale (i pupazzetti
sono semplicemente appoggiati al loro
piedistallo e inquadrati frontalmente) all’imperante moda dei blockbuster di animazione digitali e supertecnologici, ricchi
di effetti speciali sempre più tridimensionali,
Il villaggio di Aubier e Patar ha un po’
la stessa funzione del sogno del mago di
Oz: dimostra a ciascuno che può trovare
in sé stesso quello che credeva di non avere. Anche noi, guardando questo viaggio
fantasmagorico capiamo che abbiamo un
universo dentro e forse che tutti sogniamo
un mondo un po’ folle “al di là dell’arcobaleno”.
A proposito di analogia tra cinema e
sogno, nel suo libro “Cinema e psicanalisi” il teorico e semiologo Christian Metz,
sintetizzando le differenze tra sognatore
(dormiente) e spettatore cinematografico
(sveglissimo), afferma che lo stato psichico più vicino a quello indotto dalla visione di un film non è tanto il sogno, quanto
piuttosto la fantasticheria, cioè un fantasma cosciente, un’attività dello stato di
veglia.
E, perfettamente svegli e coscienti dell’irrealtà dello spettacolo che ci si presentava, abbiamo gustato questa fantasticheria un po’demodé, questo balletto pirotecnico e assolutamente folle, un capolavoro
del nonsense, un piccolo gioiello di originalità.
Viva la fantasia, viva i sogni, viva il cinema.
Elena Bartoni
Film
Tutti i film della stagione
HARRY POTTER E I DONI DELLA MORTE: PARTE I
(Harry Potter and the Deathly Hallows: Part I)
Stati Uniti/Gran Bretagna, 2010
Regia: David Yates
Produzione: David Barron, David Heyman, J.K. Rowling per
Heyday Films/Warner Bros. Pictures
Distribuzione: Warner Bros. Pictures
Prima: (Roma 19-11-2010; Milano 19-11-2010)
Soggetto: tratto dall’ omonimo romanzo di J.K. Rowling
Sceneggiatura: Steve Kloves
Direttore della fotografia: Eduardo Serra
Montaggio: Mark Day
Musiche: Alexandre Desplat
Scenografia: Stuart Craig
Costumi: Jany Temime
Produttore esecutivo: Lionel Wigram
Co-produttori: Tim Lewis, John Trehy
Direttore di produzione: Simon Emanuel
Casting: Fiona Weir
Aiuti regista: Jamie Christopher, Stewart Hamilton, Mark
Cockren, Jane Ryan, Matthew Sharp, Eileen Yip
Operatori: David Morgan, Stefan Stankowski, Robert Stoneman
Art directors: Andrew Ackland-Snow, Alastair Bullock, Martin
Foley, Christian Huband, Molly Hughes, Hattie Storey, Gary
Tomkins
Arredatore: Stephanie McMillan
Effetti speciali trucco: Becky Cain, Valter Casotto, Vesna
Giordano, Barrie Gower, Nikkie Grimshaw, Waldo Mason, Jon
Moore, Robin Pritchard, Tristan Versluis, Valentina Visintin
Trucco: Alexys Becerra, Amanda Burns, Amy Byrne, Sarah
Downes, Charlotte Hayward, Belinda Hodson, Tracey Lee,
Claire Matthews, Jessica Needham, Sharon Nicholas, Charlotte Rogers, Steve Wood
Acconciature: Francesca Crowder, Charlotte Hayward, Stephen Rose, Sophie Slotover, Luca Vannella
Supervisore effetti speciali: Steve Hamilton
Supervisori effetti visivi: Florian Gellinger (RISE Visual
Effects), Nicolas Aithadi (MPC), Christian Manz (Frasmestore), Sean Mathiesen (Rising Sun Pictures), Olcun Tan (Gradient Effects), Matthew Twyford (Baseblack), David Vickery
(Double Negative), Tim Burke, John Moffatt, Chris Shaw
Coordinatori effetti visivi: Sophie Carroll, Daniel Booty,
Laia Alomar (Framestore), Helen Glover, Kingsley Cook (Warner Bros), Katy Mummery (Double Negative), Beau Parsons
ilente è morto. Gli uomini di Voldemort seminano terrore e distruzione nel mondo magico e in quello babbano. È il caos totale. Harry deve
riuscire a trovare tutti gli horcrux per poter sconfiggere definitivamente il Signore
Oscuro, ma senza la guida del suo maestro si sente sperduto e scoraggiato. Gli
amici di sempre Ron e Hermione gli sono
vicini e si offrono di intraprendere il viaggio assieme a lui alla ricerca di questi oggetti malefici. Prima di partire, però, ricevono in eredità tre doni dal defunto preside di Hogward: Hermione il libro di fiabe
di “Beda il Bardo”, Ron un deluminatore
e Harry il suo primo boccino d’oro e la
spada di Grifondoro che, però, è sparita.
Spiazzati dallo strano lascito i tre iniziano il loro incerto cammino.
S
(Switch VFX), Mark Webb (Baseblack), Clare Johanna Downie (Cinesite), Edward L. Dark, Jane Ellis, Chris Jestico, Ross
Johnson, Mel Martin, Sarah Middleton
Supervisori effetti digitali: Cam Langs (Rising Sun Pictures), Ed Hawkins
Supervisore musiche: Matt Biffa
Supervisori animazione: Ferran Domenech (MPC), Pablo
Grillo, Owen Klatte
Animazione personaggi: Mathieu Vig, Brad Silby, Mariano
Mendiburu, Laurent Laban, Antonin Herveet, Laurent Benhamo, Gabriel Gelade, Arslan Elver, Alexander Damm (Framestore), Jason Ivimey, Catherine Elvidge (Cinesite), Laurent
Laban, Alfonso Sicilia,
Animazione: Daniel Kmet, Bruno Simões (MPC), Neil Lim Sang
(Rising Sun Pictures), Samy Fecih (Double Negative), Florent
de La Taille, Angie Glocka, Stephen Jolley, Stafford Lawrence, Jason McDonald, Les Turner, Valentín Amador, Terence
Bannon, Dan Blacker, Simon Clark, Stuart M. Ellis, Emma
Ewing, Ben Hibon, James Humphries, Kristina Krebs, Paul
Lada, Christian Liliedahl, Michael Mellor, Asa Movshovitz,
Andrew Silke, Richard Spriggs, Steve Towrow, Arda Uysal,
Interpreti: Daniel Radcliffe (Harry Potter), Emma Watson (Hermione Granger), Rupert Grint (Ron Weasley), Michael Gambon (professor Silente), Alan Rickman (professor Severus Piton), Helena Bonham Carter (Bellatrix Lestrange), Jason Isaacs
(Lucius Malfoy), Clémence Poésy (Fleur Delacour), Ralph Fiennes (lord Voldemort), Tom Felton (Draco Malfoy), Bill Nighy
(Rufus Scrimgeour), John Hurt (Olivander), Ciarán Hinds (Aberforth Silente), Miranda Richardson (Rita Skeeter), Rhys Infans
(Xenophilius Lovegood), Robbie Coltrane (Rubeus Hagrid),
Imelda Staunton (Dolores Umbridge), Timothy Spall (Codaliscia), Geraldine Somerville (Lily Potter), Fiona Shaw (zia Petunia), Rade Serbedzija (Gregorovitch), David Ryall (Elphias
Doge), Carolyn Pickles (professoressa Charity Burbage), David O’Hara (Albert Runcorn), Chris Rankin (Percy Weasley),
Matthew Lewis (Neville Paciock), James Phelps (Fred Weasley),
Bonnie Wright (Ginny Weasley), Helen McCrory (Narcissa Black
in Malfoy), Harry Melling (Dudley Dursley)
Durata: 146’
Metri: 4000
La prima tappa è Grimmauld Place, qui
scoprono che il primo horcrux, il medaglione sottratto a Voldemort da Regulus Black,
è stato rubato e rivenduto al sottosegretario Dolores Umbridge. Con uno stratagemma, allora, i tre ragazzi entrano al ministero e riescono a prendere il gioiello dal collo della donna, ma una volta al sicuro non
riescono a distruggerlo e in attesa di trovare il modo di farlo lo indossano.
Il medaglione, intriso di magia nera,
però, rende irascibili; Ron, il più debole
del gruppo, ne subisce maggiormente gli
effetti e in un momento di rabbia abbandona i due amici.
Harry e Hermione rimasti soli sperano di trovare delle informazioni a Godric’s
Hollow, il paese dei Potter, ma anche di
Albus Silente. Qui scoprono un simbolo
6
molto inquietante su una tomba, presente
sia sul libro di fiabe di Beda il Bardo e,
sotto forma, di ciondolo al collo del signor
Lovegood, padre della loro amica Luna.
Intanto Harry fa strani sogni in cui vede
Voldemort alla ricerca disperata di una bacchetta. Una notte, proprio per trovare ristoro da queste visioni, esce a prendere una
boccata d’aria e incontra un patronus a forma di cervo che sembra indicargli la strada. Il ragazzo lo segue e si ritrova davanti a
un lago ghiacciato da cui si intravede la
spada di Grifondoro. Senza indugi Harry si
butta per recuperarla, ma rimane bloccato
in acqua. In suo aiuto arriva Ron che prontamente lo salva e distrugge con la spada il
medaglione stregato.
Riappacificati, i tre amici decidono di andare a casa del signor Lovegood a chiedere
Film
Tutti i film della stagione
spiegazioni sullo strano simbolo. L’uomo
confessa loro che è il simbolo dei doni della
morte: una bacchetta di sambuco invincibile, il mantello dell’invisibilità e la pietra della resurrezione, tre oggetti leggendari raccontati dalla fiaba di Beda il Bardo. Harry
Ron e Hermione, però, non fanno in tempo a
chiedere altro poiché vengono attaccati dai
Mangiamorte e portati al cospetto di Bellatrix Lestrange. Qui vengono rinchiusi in una
prigione in attesa di essere consegnati a Voldemort. Inaspettatamente, però, si materializza l’elfo Dobby che escogita un piano per
salvarli. Tutto va bene, i tre amici vengono
portati al sicuro, ma il coraggioso elfo rimane ferito da Bellatrix e muore. Harry, Ron e
Hermione in lacrime lo seppelliscono. Voldemort, intanto, profana la tomba di Silente
e trova quello che cercava da tempo: la bacchetta di sambuco.
ortare Harry Potter sul grande
schermo è un po’ come giocare
con il cubo di Rubik. Si può risolvere una facciata, ma appena si procede
con la successiva si rischia di rovinare tutto il lavoro appena svolto. Come nei libri
della Rowling, ogni singolo pezzo è intrecciato all’altro e ogni movimento necessita
attenzione e una certa dose di pazienza.
Proprio per questo i produttori della
saga cinematografica hanno deciso di far
uscire l’ultimo capitolo diviso in due parti.
Tralasciando la questione economica, era
veramente impossibile condensare tutti gli
avvenimenti di Harry Potter e i Doni della
Morte in due ore di pellicola. L’errore compiuto in passato di tagliare selvaggiamente pezzi di storia, nel finale, sarebbe risultato troppo marchiano anche per chi
non avesse mai aperto un libro del maghetto.
Eppure, nonostante i tempi dilatati,
Yates, ormai giunto alla terza regia “potteriana”, non riesce a ricreare la perfezione
narrativa dell’originale e abbandona lo
spettatore in un labirinto di intrecci, di situazioni sussurrate fra passato e presente, in cui difficilmente può orientarsi. Per
rimanere in tema, bisogna aver collezionato diversi G.U.F.O. per capirci qualcosa!
Trama ostica a parte, la pellicola si presenta avvolta da un sorprendente involucro di effetti speciali che si alternano ai
numerosi momenti di introspezione, dove
non c’è nulla di fantastico se non i personaggi e i loro sentimenti.
Harry, ormai adulto, dice addio ai colorati saloni di Hogward per rifugiarsi, insieme ai suoi amici, in boschi desolati dove
riflettere e far emergere tutte le insicurezze, i dubbi che hanno caratterizzato questi sette anni. È un Potter diverso da quel-
P
lo abituale; se in passato, infatti, il lato introspettivo veniva un po’ sacrificato in favore dell’azione, in quest’ultimo capitolo
prende decisamente il sopravvento tagliando definitivamente quelle catene che hanno relegato per troppo tempo la saga a
prodotto per l’infanzia o, peggio ancora, a
fenomeno pop senza contenuto.
Quest’ultima definizione, poi, fa sorridere perché invece di tematiche importanti
ce ne sono fin troppe, dalle più classiche
come amore, amicizia, gelosia fino al totalitarismo, la depressione e la morte. Tutti
terreni decisamente “fangosi” su cui Yates
riesce egregiamente a passeggiare, aiutato soprattutto da un cast di attori molto
amati dal pubblico. Attori che in definitiva
sono i personaggi e su cui ogni commento risulterebbe quasi inopportuno.
Per dare un giudizio esaustivo al settimo capitolo della trasposizione cinematografica di Harry Potter, però, occorre attendere
la seconda parte, quella ricca di colpi di scena e misteri svelati, per intenderci. Una cosa
va detta se le premesse sono queste i fan
della Rowling, intransigenti esclusi, rimarranno molto soddisfatti, agli altri, invece, non
resta che approfittare del lungo periodo fino
a luglio (data di uscita dell’episodio finale),
per leggersi il libro, così, magari, eviteranno
di disturbare il pubblico in sala con domande degne di Petunia Dursley.
Francesca Piano
WINX CLUB 3D-MAGICA AVVENTURA
Italia, 2010
Regia: Iginio Straffi
Produzione: Iginio Straffi per Rainbow S.P.A.
Distribuzione: Medusa
Prima: (Roma 29-10-2010; Milano 29-10-2010)
Soggetto e sceneggiatura: Iginio Straffi, Francesco Artibani, Mauro Uzzeo
Direttore della fotografia: Gianmario Catania
Musiche: Paolo Baglio
Produttore esecutivo: Joanne Lee
Organizzatore generale: Grancesco Mastrofini
CG Supervisors: Gianmario Catania, Corrado Virgili
Direzione artistica per Rainbow S.P.A.: Vincenzo Nisco
Direzione artistica per Rainbow C.G.I.: Corrado Virgili, Marco Marini, Veronica
Aliprandi
Direttore di produzione: Gianni Travaglione
Aiuto regista: Mauro Uzzeo
Durata: 87’
Metri: 2630
7
Film
il primo giorno di scuola alla
scuola di fate di Alfea e il party
per l’inaugurazione viene interrotto dall’arrivo delle perfide Trix: Icy,
Darcy e Stormy. Le Winx, orfane di Bloom
che è rimasta su Domino, affrontano le
nemiche, che hanno trasformato tutti i presenti in rospi, mentre Darcy ruba una bussola in grado di individuare i luoghi più
sconosciuti e introvabili. Intanto Bloom è
felice su Domino, dove ha ritrovato i propri genitori e vive una vita da favola facendo la principessa, corteggiata da Sky,
che le chiede di sposarlo. Ma le tre Streghe Antenate sono tornate a portare scompiglio. Le Trix consegnano loro la bussola, così le streghe invadono il villaggio
delle Pixie, dove si trova l’Albero della vita,
in grado di mantenere l’equilibrio tra il
bene e il male. Il villaggio diventa un luogo dominato dalla magia negativa. Intanto Erendor, il padre di Sky, impone al figlio di non sposare Bloom, perché un segreto grava sul regno di Erklyon: Erendor
vive nel rimorso da quanto ha tradito il
padre di Bloom, Oritel, consegnando alle
Streghe Antenate il regno di Domino. L’incantesimo che ha colpito l’Alberto della
vita ha privato le Winx di tutti i loro poteri, proprio ora che devono affrontare nuovamente le Streghe Antenate. L’unica speranza è riuscire a ritrovare il luogo dove
cresce il germoglio del bene. A bordo di
una nave alata, Bloom, Stella, Aisha, Tec-
È
Tutti i film della stagione
na, Musa e Flora raggiungono la città fantasma di Avram. Inizia la battaglia. Grazie anche all’aiuto degli Specialisti, con
Erendor e Oritel. Sarà proprio Erendor a
sacrificarsi per proteggere Bloom, riscattandosi così davanti a tutti. Le Winx riescono a recuperare il loro poteri grazie al
polline benefico sprigionato dal fiore e
sconfiggono una volta per tutte le Streghe
Antenate e le Trix.
rimissimo film italiano girato in 3d,
per di più un film d’animazione,
genere raro nel cinema del nostro Paese. Dopo il trionfo della serie televisiva, dei fumetti, dei libri e di qualsiasi
altra forma di marketing legata al marchio,
Igino Straffi colpisce ancora, cercando di
bissare il successo del primo film delle
maghe più amate dalle bambine. Ma se
Winx - Il segreto del regno perduto aveva
dalla sua la novità dell’avventura sul grande schermo, Winx Club 3d - Magica avventura ha come unico motivo di interesse l’utilizzo della tecnologia tridimensionale. Il problema è che questo interesse si
esaurisce appena dopo i titoli di testa. Non
ci sarebbero state differenze sostanziali se
il film fosse stato girato con un “normalissimo” 2d, anche, perché l’orgia di colori psichedelici, propria della grafica di Straffi
basta già ad affascinare il pubblico infantile femminile, zoccolo duro dei fan della
serie. Quindi fallisce nell’impresa di appas-
P
sionare grazie alla tecnica, che era già uno
dei grossi limiti del primo film. La trama è
volutamente semplice ed elementare,
comprensibile a tutti e senza sorprese. Il
grande segreto che impedisce a Bloom e
Sky di sposarsi è solo un pretesto per
mandare avanti il plot. La vicenda non colpisce certo per originalità – e nessuno si
sarebbe aspettato il contrario –, ma non
convince il tentativo di rimpolparla con
quanti più elementi possibili (amori contrastati, difficoltà del rapporto tra genitori
e figli, passaggio all’età adulta, mantenere le amicizie malgrado le distanze, e così
via). Fortunatamente, gli sceneggiatori
hanno cercato di mantenere una continuità con il primo film e con le vicende della
serie. Winx Club 3d - Magica avventura inserisce infatti a ogni pie’ sospinto riferimenti
alle mirabolanti gesta compiute in precedenza dalle cinque fatine. Idee nuove, comunque, non ce ne sono. L’apatia di Bloom
una volta diventata principessa nel regno
incantato di Domino, infatti, rientra nel repertorio consolidato del cinema in generale. Da notare l’impegno di Straffi per superare la sconcertante banalità dei personaggi, ma l’impresa non può dirsi del tutto
riuscita. La superficialità di fondo è rimasta, nonostante gli sceneggiatori mettano
in bocca alle fatine delle battute di una ovvietà difficilmente sopportabile.
Chiara Cecchini
BRUNO
(Brüno)
Stati Uniti, 2009
Regia: Larry Charles
Produzione: Sacha Baron Cohen, Monica Levinson, Dan Mazer, Jay Roach per Universal Pictures/ Media Rights Capital/
Four by Two/ Everyman Pictures
Distribuzione: Medusa
Prima: (Roma 23-10-2009; Milano 23-10-2009) V.M.: 14
Soggetto: personaggio creato da Sacha Baron Cohen
Sceneggiatura: Sacha Baron Cohen, Peter Baynham, Anthony
Hines, Dan Mazer, Jeff Schaffer
Direttori della fotografia: Wolfgang Held, Anthony Hardwick
Montaggio: James Thomas, Scott M. Davids, Eric Jissack, Jon
Corn
Musiche: Erran Baron Cohen
Scenografia: Denise Hudson, David Maturana, Dan Butts
Costumi: Jason Alper
Produttori esecutivi: Anthony Hines, Asif Satchu, Modi
Wiczyk
Produttori associati: Jason Alper, Jonah Hill, Jeff Schaffer,
Dale Stern
Co-produttori: Jon Poll, Todd Schulman
Direttore di produzione: Francesco Marras
Aiuti regista: Miguel Lombardi, Eliot Mathews, Dale Stern
Operatori: Michael Alba, Nate Havens, Jon Myers, Mark
Schwartzbard, Owen A. Smith, Tim Walker
Operatore Steadicam: Marcus Pohlus
Art directors: Kate Bunch, Lisa Marinaccio
Arredatori: Britt Woods, Ute Bergk, Megan Malley
Supervisore effetti visivi: Scott M. Davids (Level 256)
Coordinatore effetti visivi: Miles DeLong (Modern Videofilm)
Supervisore costumi: Jennifer Starzyk
Supervisore musiche: Richard Henderson
Interpreti: Sacha Baron Cohen (Brüno), Gustaf Hammarsten
(Lutz), Clifford Bañagale (Diesel), Chibundu Orukwowu, Chigozie Orukwowu (O.J.), Josh Meyers (Kookus), Toby Hoguin,
Robert Huerta, Gilbert Rosales, Thomas Rosales Jr., Marco
Xavier (giardinieri messicani), Bono, Chris Martin, Elton John,
Slash, Snoop Dogg, Sting, Lloyd Robinson, Paula Abdul, Richard Bey, Harrison Ford, Brittny Gastineau, Ron Paul, Miguel Sandoval (se stessi), Domiziano Arcangeli (direttore di
uno show di moda), John Grant Gordon (modello tedesco),
David Hill (giornalista), Todd Christian Hunter (uomo nella stanza di albergo), Michelle McLaren (Dominatrix), Hugh B. Holub
Durata: 81’
Metri: 2240
8
Film
rüno Gehard è un presentatore
austriaco gay di un’importante
trasmissione di moda. Detta legge: quello che lui ama viene indossato,
mentre quello che odia viene bandito. Dopo
un clamoroso errore durante le sfilate della moda newyorkese, viene cacciato dalla
tv e scacciato da tutti i party più in della
città. Lasciato dal suo ragazzo, decide infine di riacquistare la notorietà andando
a Los Angeles. Lo segue il fedele assistente Lutz, innamorato di lui. Per prima cosa
si trova un agente, che gli procura l’occasione di realizzare la puntata pilota di un
nuovo programma tv: sarà un disastro.
Brüno pensa quindi di fare qualche opera
di beneficienza, anzi di portare la Pace in
medio oriente. Incontrerà uomini politici,
ma non riuscirà nell’intento. Tornando
verso Los Angeles, decide di fermarsi in
Africa per barattare il suo ipod con un
bambino: se Angelina Jolie ha acquistato
maggiore notorietà adottando più bambini, potrebbe accadere anche a lui. Inizialmente ha un riscontro positivo, ma, durante
una trasmissione talk in cui è ospite, emerge come è riuscito ad avere il bambino,
chiamato Mike Tyson, e come intende utilizzarlo: gli viene portato via. Bruno è realmente distrutto: si è era affezionato al
piccolo. Depresso, sfoga i suoi dispiaceri
nel cibo. Ubriaco di zucchero, si lascia
B
Tutti i film della stagione
andare alla passione con Lutz. Il giorno
dopo, però confessa che è stata solo una
sbandata. Offeso e indignato, Lutz decide
di abbandonarlo a se stesso. A quel punto,
Bruno ha l’ennesima illuminazione: forse
diventando etero, potrebbe tornare a essere famoso. Entra quindi in un gruppo di
sostegno religioso, ma inizialmente fallisce anche in questo proposito. Dopo svariato tempo, diventa l’idolo etero di uno
squallido spettacolo pseudo wrestling.
Durante una serata, compare Lutz: i due
si lasciano andare alla passione davanti a
tutto il pubblico che inneggia indignato
contro gli omosessuali. Bruno, Lutz e Mike
Tyson sono tornati tutti e tre assieme.
ronico, divertente ma anche dissacrante e squallido. C’era d’aspettarselo. Sacha Baron Cohen crea, dopo Borat, un altro paradossale personaggio: Brüno Gehard. E, se prima si parlava
di razzismo, antisemitismo e omofobia, ora
si parla dei pregiudizi legati all’omosessualità.
Come il precedente film, anche Brüno
è un falso documentario, mockumentary,
così realizzato per meglio cogliere reazioni il più sincere possibili da chiunque gli si
avvicini, polizia compresa. In questo caso,
è persino riuscito a farsi mandare allegramente a quel paese da Harrison Ford e
I
prendere per il naso importanti esponenti
politici.
Indubbiamente l’intera pellicola si fonda sull’abilità di Cohen di trasformare il
proprio corpo e voce e rendersi praticamene irriconoscibile. Nessuno, nonostante la notorietà dell’attore, lo ha mai riconosciuto. Il dubbio viene più che altro per i
titoli di coda, accompagnati dal video musicale di beneficenza in cui partecipano
Sting, Elton John e uno stralunato Bono.
Chissà se realmente non sapevano nulla
neanche loro.
Spunti di riflessione emergono per tutto il film, così anche frecciatine irriverenti
al mondo dello spettacolo, come le madri
che farebbero fare una liposuzione a dei
bambini pur di farli entrare nello show business. Si ride, a volte di gusto e altre per
imbarazzo. Inevitabile in alcune sequenze
l’irrefrenabile voglia di coprirsi gli occhi tanto si cade in basso. Una per tutte? La puntata pilota del nuovo programma di Bruno,
con tanto di pene in primo piano.
Si esce dal cinema fra la meraviglia e
il disgusto. Ma, d’altra parte, è proprio l’intento di Sacha Baron Cohen. Racconta
verità, con un nuovo stile che è ormai diventato sinonimo del suo stesso nome. A
modo suo un genio.
Elena Mandolini
IL SUPERPOLIZIOTTO DEL SUPERMERCATO
(Paul Blart: Mall Cop)
Stati Uniti, 2009
Trucco: Carla Antonino, Corrina Duran, Nichole Pleau, L. Sher
Williams
Acconciature: Cheryl Daniels, Brenda McNally, Jennie-kay
Murphy
Coordinatore effetti speciali: Ray Bivins
Supervisore effetti visivi: Geoff Leavitt (Framework Studios)
Coordinatore effetti visivi: David Langtry (Zoic Studios)
Supervisore costumi: Caroline Errington
Interpreti: Kevin James (Paul Blart), Keir O’Donnell (Veck
Sims), Jayma Mays (Amy), Raini Rodriguez (Maya Blart),
Shirley Knight (madre), Stephen Rannazzisi (Stuart), Peter
Gerety (capitano Brooks), Bobby Cannavale (comandante
Kent), Adam Ferrara (sergente Howard), Jamal Mixon (Leon),
Adhir Kalyan (Pahud), Erick Avari (Vijay), Gary Valentine (cantante del karaoke), Allen Covert (ragazzo della sicurezza), Mike
Vallely (Rudolph), Mike Escamilla (Blitzen), Jason Ellis (Prancer), Rick Thorne (Cupido), Victor T. Lopez (Donner), Mookie
Barker (signor Ferguson), Jackie Flynn (agente), Richie Minervini (dirigente di banca), Brie Hill Arbaugh (cassiera della
banca), Bernie McInerney (anziano sullo scooter), Steffiana
De La Cruz (cliente), Dylan Clark Marshall (Jacob), Jackie
Sandler,Natascha Hopkins, Jason Packham, Tyler Spindel
Durata: 91’
Metri: 2500
Regia: Steve Carr
Produzione: Doug Belgrad, Barry Bernardi, Todd Garner, Jack
Giarraputo, Kevin James, Adam Sandler, Matthew Tolmach
per Columbia Pictures/ Relativity Media/ Happy Madison Productions
Distribuzione: Sony Pictures Releasing Italia
Prima: (Roma 3-7-2009; Milano 3-7-2009)
Soggetto e sceneggiatura: Kevin James, Nick Bakay
Direttore della fotografia: Russ T. Alsobrook
Montaggio: Jeff Freeman
Musiche: Waddy Wachtel
Scenografia: Perry Andelin Blake
Costumi: Ellen Lutter
Produttore esecutivo: Jeff Sussman
Produttori associati: Gino Falsetto, Jason Taragan
Direttore di produzione: Pamela Thur
Casting: Nicole Abellera, Jeanne McCarthy, Anne Mulhall
Aiuti regista: Mark S. Constance, Greg Guzik, Marty Eli
Schwartz
Operatori: Terrence Hayes, Casey Hotchkiss, John Joyce
Operatore Steadicam: John Joyce
Art director: Alan Au
Arredatore: Tracey A. Doyle
Effetti speciali trucco: Rob Fitz, Ed French, Jeremy O’Neail
9
Film
l sogno di Paul Blart è entrare in
polizia, ma il suo fisico a dir poco
infelice glielo impedisce. Privato
delle sue ambizioni, Blart lavora come
addetto alla sicurezza in un grande centro
commerciale e vive a casa con la vecchia
madre e la figlia Maya, avuta dalla ex-moglie che l’ha abbandonato dopo aver avuto la carta verde. Un giorno, Blart nota
una nuova lavorante del centro commerciale, la dolce e tenera Amy, che però sembra più interessata al nuovo arrivato Veck.
Il giorno dell’inizio dei saldi invernali, una
gang di rapinatori penetra nel supermercato prendendo in ostaggio clienti e impiegati. Blart ingaggia una lotta in solitaria contro i ladri (dei quali fa parte anche
Veck), nonostante la polizia e la squadra
speciale SWAT, capitanata dal suo ex-compagno di scuola Kent, gli ordini di farsi da
parte. Blart riesce a catturare Veck, ma,
quando si rivolge a Kent, scopre che questi è in realtà complice nel tentativo di furto e viene minacciato con una pistola. L’intervento provvidenziale dei colleghi di
Blart riporta tutto alla normalità. Grazie
al successo dell’operazione, a Blart viene
offerto un posto in polizia ma decide di rinunciare per rimanere stabilmente al centro commerciale, insieme a Amy, che nel
frattempo si è innamorata di lui.
I
Tutti i film della stagione
estate porta sempre con sé commedia carine, leggere, facili da
vedere e altrettanto facili da dimenticare. Il superpoliziotto al supermercato (come al solito, tanti complimenti a chi
scegli i titoli italiani) è indubbiamente fra queste e, in patria, ha avuto un successo sorprendente, cosa quasi più di 146 milioni di
dollari di incasso. Il merito è sicuramente
della performance del suo attore protagonista, il corpulento attore comico Kevin James
(già visto di recente in Hitch – lui sì che le
capisce le donne e Io vi dichiaro marito ... e
marito, oltre che nelle fortunate serie tv Tutti
amano Raymond e The King of Queens),
che fa appunto della sua mole il proprio punto
di forza, basandosi su un tipo di comicità e
di gag nel più puro stile slapstick. La trama
esile (con prevedibile virata “gialla” e altrettanto prevedibile svolta villain di due fra i più
antipatici personaggi del film) è solo un pretesto per mostrare il protagonista Paul Blart
come il nuovo americano medio destinato a
diventare, suo malgrado, un eroe facendo il
proprio dovere e ricevendo alla fine, come
premio per il suo zelo e il suo altruismo, il
coronamento dei suoi sogni, professionali e
sentimentali. Campione nazionale di buoni
sentimenti, Blart sembra vivere infatti una vita
che non lo soddisfa, ma la porta avanti con
correttezza e senso del dovere. La bravura
L’
di Kevin James si rivela non solo nelle scene comicamente più fisiche (la sequenza da
ubriaco, l’inseguimento del vecchietto in carrozzina, il videogioco), quanto, soprattutto,
nei momenti in cui può dare uno spessore
al suo personaggio, facendone un gigante
buono, timido, sensibile e quasi tenero, nel
suo sognante vagheggiare. Il resto del cast
ha poco da fare e lo fa discretamente, anche perché il film riesce a vivere solo quando è presente sulla scena Kevin James. La
regia è professionale, senza nessun guizzo
particolare (anche se le scene “d’azione” non
sono poi tanto male) e si mette al servizio
del suo protagonista. Ottima, azzeccata e
divertente la colonna sonora vintage anni ’80.
Nonostante sia un film dichiaratamente comico e indirizzato a un pubblico poco più che
infantile (oppure per adulti in vena di regressione), Il superpoliziotto al supermercato
contiene anche delle larvate, ma comunque
percepibili, sfumature di critica sociale all’ecosistema chiuso dei grandi centri commerciali come pure alla odierna società dei
consumi (che ha il suo culmine in America
nel famoso Black Friday, il primo venerdì
dopo il Giorno del Ringraziamento che apre
ufficialmente la stagione dello shopping invernale prima del Natale).
Chiara Cecchini
THE SOCIAL NETWORK
(The Social Network)
Stati Uniti, 2010
Coordinatore effetti speciali: Steve Cremin
Supervisori effetti visivi: Adam Howard (Outback Post),
Charlie Iturriaga (Ollin Studio), Fred Pienkos (Eden FX), Edson Williams (Lola Visual Effects), James Pastorius
Coordinatori effetti visivi: Max Leonard, Miles Friedman
(Lola VFX), Elizabeth Asai, Damian O’Farrill
Supervisore costumi: Virginia Johnson
Interpreti: Jesse Eisenberg (Mark Zuckerberg), Andrew Garfield (Eduardo Saverin), Joseph Mazzello (Dustin Moskovitz),
Justin Timberlake (Sean Parker), Rooney Mara (Erica Albright), Malese Jow (Alice), Rashida Jones (Marylin Delpy), Max
Minghella (Divya Narendra), Brenda Song (Christy), Bryan Barter (Billy Olsen), Dustin Fitzsimons (presidente del Phoenix
Club), Patrick Mapel (Chris Hughes), Toby Meuli (membro del
club), Alecia Svensen (ragazza al Phoenix Club), Calvin Dean
(signor Edwards), Jami Owen, James Dastoli, Robert Dastoli,
Scotty Crowe, Jayk Gallagher (studenti che usano Facemash),
Marcella Lentz-Pope (compagna di Erica), Aria Noelle Curzon
(Laura), Barry Livingston (signor Cox), Marybeth Massett (signora Cox), Randy Evans (studente nell’ufficio delle comunicazioni), Denise Grayson (Gretchen), John Getz (Sy), Carrie Armstrong (reporter in tribunale), Henry Roosevelt (Henry), Armie Hammer (Cameron Winklevoss/Tyler Winklevoss), Josh
Pence (Tyler Winklevoss), David Selby (Gage), Trevor Wright
Durata: 120’
Metri: 3300
Regia: David Fincher
Produzione: Dana Brunetti, Ceán Chaffin, Michael De Luca,
Scott Rudin per Columbia Pictures/ Relativity Media/ Michael
De Luca Productions/ Scott Rudin Productions/ Trigger Street
Productions
Distribuzione: Sony Pictures Releasing Italia
Prima: (Roma 12-11-2010; Milano 12-11-2010)
Soggetto: tratto dal libro The Accidental Billionaires di Ben
Mezrich
Sceneggiatura: Aaron Sorkin
Direttore della fotografia: Jeff Cronenweth
Montaggio: Kirk Baxter, Angus Wall
Musiche: Trent Reznor, Atticus Ross
Scenografia: Donald Graham Burt
Costumi: Jacqueline West
Produttori esecutivi: Aaron Sorkin, Kevin Spacey
Produttore associato: Jim Davidson
Casting: Laray Mayfield
Aiuti regista: Allen Kupetsky, Christian Labarta, Neil Lewis,
Bob Wagner
Operatori: Colten Currey, Chaz Geisler, Peter Rosenfeld
Art directors: Curt Beech, Keith P. Cunningham, Robyn Paiba
Arredatore: Victor J. Zolfo
Trucco: Felicity Bowring, Heather Mages
Acconciature: Linda D. Flowers, Kelly Muldoon, Yesim ‘Shimmy’ Osman
10
Film
li studenti dell’università di Havard Erica Albright e Mark Zuckerberg siedono al tavolo di un
ristorante. Tra i giovani c’è empatia o – sarebbe più esatto dire – dovrebbe esserci, in
quanto i due hanno una relazione. E, invece,
al termine della cena Erica e Mark si mollano, dopo una poco decorosa rottura faccia a
faccia. Ritornato al dormitorio, il ragazzo da
in escandescenze a modo suo: si posiziona
davanti al monitor del suo pc e crea una pagina internet che mette a confronto tra di loro
tutte le ragazze del Campus. A definire la
chiave primaria della pagina telematica è,
però, il collega Eduardo Saverin, fornendo
a Mark l’algoritmo con cui riesce ogni volta
a definire il vincitore di una gara di scacchi.
Nel giro di poche ore, il sito ottiene un successo inaspettato, mandando in tilt l’intera
rete di Havard. Il rettore dell’Università si
dimostra poco tollerante e decide di fare una
bella lavata di capo all’alunno Zuckerberg;
ma, serve ben altro per frantumare l’animo
e l’ingegno del genio in erba. La rivincita
del nerd Mark arriva nell’esatto istante in
cui viene convocato al cospetto dei laureandi Divya Narendra, Cameron e Tyler Winklevoss. Il terzetto ha in mente di aprire un
social network riservato solo ed esclusivamente agli studenti di Havard. In Zuckerberg,
Narenda e i fratelli Winklevoss hanno intravisto un’ottima mente da programmatore che
potrebbe rivelarsi un aiuto non da poco per
la realizzazione del loro progetto. Il ragazzo
accetta immediatamente, promettendo ai suoi
neo-soci di tenerli informati riguardo allo
stato dei lavori. È una bugia, per giunta poco
innocente. Infatti, mentre dovrebbe soddisfare
i desideri dei Winklevoss & Co., Mark si adopera a impiantare The Facebook sulla rete,
offrendo l’opportunità all’amico Saverin di
assurgere al ruolo di direttore finanziario. Nel
frattempo, questa indole acutissima si sottrae dagli appelli via via più incalzanti dei
Winklevoss e di Narendra, che si sentono
gabbati e umiliati dalla strategia attuata dal
“loro” uomo. In seguito a un’email nella
quale Zuckerberg si tira fuori dal precedente affare, adducendo motivazioni poco plausibili, i due fratelli si appellano al Rettore
per far valere le loro ragioni. Il quadro che
viene a comporsi dopo il confronto proficuo
con la massima carica universitaria è certamente critico per Winklevoss: Harvard non
aprirà un canale privilegiato per loro. Questo significa – in altre parole – che Mark Zuckerberg non riceverà nessuna lettera formale di richiamo per il plagio di un’idea originale. Morta sul nascere la “minaccia Winklevoss”, The Facebook raddoppia giornalmente il numero dei propri contatti e ciò aumenta l’indice di popolarità della coppia di
fondatori, tanto che Eduardo inizia a frequen-
G
Tutti i film della stagione
tare la bella e disinibita Christy Lee. Intatto,
a migliaia di chilometri di distanza da Havard, un bel biondino si appresta a squagliarsela dal letto di una studentessa di Stampford,
abbordata la sera prima a una festa. Prima
di infilarsi i pantaloni e sbattere a sé la porta di casa, gli occhi del ragazzo si posano
sul monitor di quella perfetta sconosciuta,
rimasto aperto sulla pagina web di The Facebook. Al giovane amante frullano subito
per la testa una serie d’idee davvero interessanti. Quel ragazzo è Sean Parker. Se il nome
non vi fa venire nulla in mente, sappiate che
si tratta dell’artefice di “Napster”, il programma che ha dato vita al fenomeno del
file-sharing. Sean non perde tempo e si affretta a chiedere un appuntamento ai padri
del re dei social network. All’abboccamento
con Parker si presentano Mark e Eduardo
insieme alla sua fiamma. Il ragazzo che ha
scatenato il putiferio tra le case discografiche riesce ben presto a sedurre Mark con la
promessa di fama e denaro, a patto che si
trasferisca seduta stante in California. Invece, il giovanissimo direttore finanziario non
si lascia “infinocchiare” da quel tipo di allettanti miraggi e bolla l’estraneo che gli sta
di fronte come una persona sociopatica con
deliri di grandezza. Al ritorno a Havard, una
nube nera si addensa su Facebook (su consiglio di Sean è stato eliminato l’articolo
“the”). Difatti, sulla stampa locale Saverin
è additato come colpevole di crudeltà sugli
animali, giacché un giorno ha nutrito la propria gallina con i resti di un suo simile. In
verità, lo studente aveva agito in assoluta
buona fede, dando da mangiare al pennuto
gli avanzi del pasto servito alla mensa, senza sapere di cosa davvero si trattasse. Oltre
a difendersi da questa imputazione, l’universitario deve tenere testa al suo migliore ami-
11
co alle prese con i bagagli alla volta della
California. Tra Saverin e Zuckerberg l’aria
si potrebbe tagliare con il coltello; ma, alla
fine, il primo accetta la risoluzione del secondo e versa sul conto bancario intestato a
entrambi una quota che ammonta a circa
18.000 dollari. Appena trasferitosi nella costa sud del territorio statunitense in compagnia di un paio di stagisti, Mark scopre di
aver come proprio vicino di casa niente meno
che Sean Parker. I due diventano inseparabili: dove c’è Zuckerberg, state sicuri che si
trova pure Parker. Sennonché un giorno bussa alla porta della villetta di Zuckerberg,
l’amico di un tempo Saverin, venuto a vedere con i suoi occhi come procede il business
di Facebook. Non appena il leader di Napster lo accoglie sull’uscio, Eduardo avverte
un groppo in gola, poiché ha sentore che
qualcosa bolla in pentola. Effettivamente, la
mente finanziaria di Facebook non sbaglia:
Parker sta lavorando per soffiargli via di
dosso l’ambita nomina e – a quanto pare –
sta già a buon punto. Per questo motivo,
Eduardo prende la fastidiosa decisione di
congelare il fondo bancario e sale sul primo
volo diretto a New York. Ciò nonostante, anche a casa, il suo manifesto bisogno di rilassarsi viene frustrato dall’imprevista visita di
Christy, già sul piede di guerra. Praticamente
in contemporanea con una scenata di gelosia della sospettosa fidanzata, Saverin si vede
costretto a rispondere al telefono. Dall’altro
capo della cornetta vi è Mark, in attesa di
delucidazioni sulla manovra economica che
il socio ha attuato alla cassa di risparmio
senza il suo assenso. Nei minuti che seguono, Eduardo usa tutte le frasi che ha a disposizione per chiedere scusa al compagno e con
un secco «Non stiamo più insieme» tronca
qualsiasi rapporto con la partner. Saverin
Film
s’incammina di nuovo per la California, questa volta allo scopo di firmare dei documenti
che legittimino l’ammontare della partecipazione investita da parte dei singoli soci nell’affair Facebook. Secondo quegli atti, a
Eduardo spetterebbe una quota pari al 35%,
suscettibile però di possibili modifiche. Non
è finita qui: una piccola fetta di torta è prevista pure per Parker. Ratificando i seguenti
accordi, Eduard non sa che sta apponendo
una firma per la propria futura “condanna
a morte”. Il giovane studente di Havard lo
ignorerà di sana pianta, fino alla resa dei
conti che coincide con il giorno dedicato ai
festeggiamenti per il milionesimo “amico”
inscritto al social network. In quell’occasione, i legali di Mark renderanno noto a Eduardo che la sua posizione di socio è stata aggiornata a una cifra di azioni pari allo 0,3%
dell’intero pacchetto; mentre, le quote di
Mark & Co. non hanno subito la benché minima variazione. Di fronte all’ex collega d’affari, Eduardo afferma con ira che da questo
momento in poi si guarderà bene dal fidarsi
di nuovo degli amici e che lo trascinerà presto in un’aula di tribunale per farsi giustizia.
Dopo aver espresso la propria indignazione
per simile espressione della malvagità umana, Eduard lascia per sempre Mark a crogiolarsi nel suo brodo. Sfinito dall’alterco,
Zuckerberg evita persino di far festa, rimanendo a programmare. A fare gli onori di
casa a tutti gli ospiti del mega party è, invece, l’ideatore di Napster. Costui si lascia piacevolmente irretire dai piaceri di una serata
all’insegna di sesso, droga e rock’n’roll, almeno finché non arrivano i tutori dell’ordine costituito a porre la parola “fine” a tutto
quel chiasso. Quando i poliziotti fanno irruzione in quell’ambiente, li aspetta uno spettacolo poco decoroso, che viola qualsiasi
norma giuridica. Così, Parker e altri della
sua banda sono portati di corsa al commissariato più vicino, con l’accusa di abuso sessuale su minorenni e uso di sostanze stupefacenti. Il tempo che i giovani nerd rimangono dietro le sbarre è relativamente breve,
poiché Parker sborsa di tasca sua i soldi per
la cauzione. Qui termina la narrazione dei
fatti antecedenti alla guerra legale per il possesso di Facebook e si arriva a parlare dell’attualità. Al termine dell’udienza, le didascalie sovraimpresse alle immagini mettono
lo spettatore al corrente che Mark Zuckerberg ora è l’unico che può fregiarsi del titolo
di proprietario di Facebook, seppure abbia
dovuto pagare una penale nei confronti di
Eduardo Saverin, Divya Narendra e dei gemelli Winklevoss.
N
on c’è alcun dubbio: sesto potere dei nostri giorni è la piattaforma Facebook, che converge nel
Tutti i film della stagione
mare magnum di Internet. Nel media village ai tempi della rete, la stampa diventa
così semplice carta straccia e la tv è tenuta sotto tono, come se fosse impiegata solo
per illuminare le pareti di una stanza con
tonalità chiaroscurali e cicalii vari. La rivoluzione digitale propriamente detta è ora
un piccolo schermo dei sogni, costituito
dall’intreccio perpetuo di byte, megabyte
e gigabyte. L’utente onnipotente del social
network più famoso del pianeta non fa che
cercare in Facebook il déjà vu di un’amicizia di lunga data, o una conoscenza superficiale con estranei; il tutto a profitto
dell’immaginario.
Troppo irresistibile per il regista David
Fincher (Il curioso caso di Benjamin Button) la tentazione di realizzare un ritratto –
il più veritiero possibile – sul magnate USA
da venticinque miliardi di dollari. Per l’autore di Fight club, il futuro non è mai stato
una pagina molto importante da scrivere,
soprattutto se si abita dentro la cronaca di
una svolta epocale e si può guardare il cielo presente come un’ombra sbucata dal
passato. Misurarsi con una storia così talmente disincantata ha richiesto, però, un
giovane protagonista che segua al meglio
le direttive del maestro. Fincher l’ha trovato presto. Infatti, il newyorkese Jesse Eisenberg conosce il fatto suo, quando interpreta il lupo solitario Mark Zuckerberg
incapace di integrarsi in qualsiasi branco
e – allo stesso tempo – affetto da una grave forma di gigantismo egoistico. Ad adattare il libro di Ben Mezrich (pubblicato da
Sperling & Kupfer) dal titolo Miliardari per
caso. L’invenzione di Facebook: una storia
di soldi, sesso, genio e tradimento, il regista ha convocato alla sua corte il quarantanovenne Aaron Sorkin. Lo sceneggiatore di film di successo come A Few Good
Men-Codice d’onore, Il presidente-Una
storia d’amore e La guerra di Charlie Wilson ha deciso di realizzare la storia di citizen Zuckerberg in media res, con i personaggi principali riuniti il primo giorno di
seduta legale per il riconoscimento dei diritti su un capitalismo non più solo nordamericano, ma addirittura mondiale. Quello
che potrebbe essere la summa del cinema di Fincher ha un’impostazione quasi
teatrale, per via di un protagonista-sfinge
dall’innata vocazione a seguire l’esempio
degli anti-eroi shakespeariani. Zuckerberg,
come il Bruto di Giulio Cesare, ritiene infatti che sia “necessario e non maligno” l’atto di infliggere una pugnalata alle spalle al
proprio miglior amico. Se non fosse per
l’avvocato Marylin che gli dice «Non sei
veramente uno stronzo Mark, è solo che
cerchi disperatamente di sembrarlo», nessun’altra delle persone del suo entourage
12
capisce mai veramente cosa si cela dietro
a quel poppante genio ribelle, che abusa
della parola “amico” all’interno della galassia dalle tre w, ovvero il Word Wide Web.
Effettivamente, il concetto di fraternità nella
comunità virtuale di Facebook ha assunto
un senso ancora più astratto, collocandosi emblematicamente alla stregua di un’immagine riflessa della definizione che Zuckerberg ha dato per l’intero corso della sua
breve esistenza a questo termine. Nella
seconda parte del film, però, tutta la nostra simpatia va al personaggio di Eduardo Saverin (Andrew Garfield), quale principale vittima del traviato senso morale di
Zuckerberg.
The social network è uscito nelle sale
nazionali a una settimana esatta dalla presentazione dell’opera al Festival Internazionale del Film di Roma, nella sezione
eventi speciali. Geniale la frase di lancio
del film, che recita un laconico: «Non arrivi a 500 milioni di amici senza farti qualche nemico». Sdoganato come il lungometraggio di finzione che farà incetta di statuette d’oro alla prossima nottata degli
Oscar, The social network vanta pure una
strepitosa colonna sonora rock a cura di
Trent Reznor dei Nine Inch Nails. Tra gli
interpreti, il primo della classe è la pop star
Justin Timberlake che impersona il dandy
sesso-dipendente Sean Parker. Timberlake ha già alle spalle un’interpretazione
da urlo nella pellicola del 2005 Alpha Dog
di Nick Cassavetes. A breve, invece, Andrew Garfield sarà il nuovo Spiderman,
mentre Ronney Mara interpreterà il ruolo
di Lisbeth Salander nel rifacimento di Uomini che odiano le donne firmato da Fincher.
Magari, dalla mente di qualche regista, tra qualche tempo potrà scaturire un
lungometraggio che intenda sfruttare anche il redditizio giro di affari del maggiore
concorrente sulla piazza di Facebook:
Twitter. Certo, non si può dire che il servizio gratuito di social network e microblogging da 140 caratteri (twoosh) concepito
dalla Obvious Corporation di San Francisco nel 2006 non abbia già i suoi fan tra
le stelle del cinema, come, ad esempio,
la coppia glamour costituita da Demi Moore e Ashton Kutcher. Intanto, è in fase di
realizzazione un film sui due studenti di
Stampford, che nel 1999 lanciarono Google. Per il momento, l’unica cosa davvero sicura è che i produttori Michael London e John Morris hanno acquistato i diritti cinematografici del libro di Ken Auletta Googled: The End of the World as We
Know It. Il cerchio si chiude.
Maria Cristina Caponi
Film
Tutti i film della stagione
RITORNO A BRIDESHEAD
(Brideshead Revisited)
Gran Bretagna, 2008
Operatore: Peter Robertson
Supervisore art director: Lynne Huitson
Art directors: Thomas Brown, Ben Munro
Arredatore: Caroline Smith
Trucco: Nuala Conway, Joan Giacomin, Piero Marsiglio, Lesley
Noble, Sharon O’Brien, Samantha Peluso, Sue Westwood,
Stephen Williams
Acconciature: Carla Carisi, Nuala Conway, Maurilio Lazzaro,
Lesley Noble, Sharon O’Brien, Carla Ruffert, Consuelo Vitturi, Sue Westwood, Stephen Williams
Supervisori effetti speciali: Mark Holt, Ian Rowley
Supervisore effetti visivi: Adam Gascoyne
Supervisori costumi: Anna Lombardi, Jessica O’Leary
Interpreti: Matthew Goode (Charles Ryder), Ben Whishaw
(Sebastian Flyte), Hayley Atwell (Julia Flyte), Emma Thompson (Lady Marchmain), Michael Gambon (Lord Marchmain),
Greta Scacchi (Cara), Jonathan Cake (Rex Mottram), Patrick
Malahide (Edward Ryder), Roger Walker (Lunt), Ed Stoppard
(Bridley Flyte), Joseph Beattie (Anthony Blance), Felicity Jones (Lady Cordelia Flyte), Geoffrey Wilkinson (Wilcox), Richard Teverson (cugino Jasper), Anna Madeley (Celia Ryder),
Niall Buggy (padre Mackay), Stephane Cornicard (dottor Henri), James Bradshaw (signor Samgrass), Thomas Morrison
(Hooper), Tom Wlaschiha (Kurt)
Durata: 132’
Metri: 3600
Regia: Julian Jarrold
Produzione: Robert Bernstein, Kevin Loader, Douglas Rae per
Ecosse Films/BBC Films/UK Film Council/ HanWay Films/ Screen Yorkshire/ 2 Entertain/ Mestiere Cinema/ Zak Productions
Distribuzione: Walt Disney Studios Motion Pictures
Prima: (Roma 26-6-2009; Milano 26-6-2009)
Soggetto: tratto dal romanzo Ritorno a Brideshead di Evelyn
Waugh
Sceneggiatura: Jeremy Brock, Andrew Davies
Direttore della fotografia: Jess Hall
Montaggio: Chris Gill
Musiche: Adrian Johnston
Scenografia: Alice Normington
Costumi: Eimer Ni Mhaoldomhnaigh
Produttori esecutivi: Nicole Finnan, Tim Haslam, Hugo
Heppell, David M. Thompson
Produttore associato: Joanna Anderson
Co-produttore: James Saynor
Line producer: Rosa Romero
Direttori di produzione: Laura Cappato, John Watson, Hamid Zoughi
Casting: Priscilla John
Aiuti regista: Jamal Belmejdoub, Jonny Benson, Juri Biasiato, Consuelo Bidorini, Dan Channing-Williams, Lucy Egerton,
Chris Gill, Karim Kahkhani, Sandrine Loisy, Barrie McCulloch, Kenneth Thompson Marchesi
l giovane borghese Charles Ryder
ottiene di poter studiare alla prestigiosa Università di Oxford. Lì
incontra il nobile e ricco Sebastian Flyte,
tanto bello quanto dissoluto e spregiudicato, del quale diventa prima amico e poi
amante. Durante una visita a Brideshead,
la fastosa dimora della famiglia Flyte, Charles fa la conoscenza della madre di Sebastian, la religiosissima Lady Marchmain e
delle sorelle di lui, Cordelia e Julia. Preoccupata per la deriva sempre più amorale e
autodistruttiva del figlio, Lady Marchmain
spinge Charles ad accompagnare l’amico
e la sorella Julia in visita a Venezia da Lord
Marchmain, che ormai risiede da anni nella città lagunare con la sua amante Cara. A
Venezia, Charles si innamora di Julia e viene sorpreso un giorno da Sebastian mentre
la bacia. Geloso, il giovane chiude l’amicizia con Charles e torna precipitosamente
in Inghilterra. Sconvolta dalla rivelazione
che Charles è un ateo, Lady Marchmain
spinge la figlia a troncare la relazione con
lui e a fidanzarsi con il canandese Rex Mottram. Dopo un litigio, Sebastian fugge in
Marocco,dove viene raggiunto dall’amico;
ormai malato, il giovane lord non può e non
vuole più far ritorno in Inghilterra. Anni
dopo, Charles e Julia si rincontrano e decidono di lasciare i rispettivi coniugi per an-
I
dare a vivere liberamente in Australia. Il
marito di Julia acconsente al divorzio solo
in cambio un alcuni dipinti di Charles, che
è diventato nel frattempo un pittore famoso. Inaspettatamente fa ritorno a Brideshead
lord Marchmain, che intende morire nella
sua dimora (nella quale non aveva più messo piedi a causa dei contrasti religiosi con
la moglie, ora defunta), convertendosi su
letto di morte al cattolicesimo, lui ateo convinto. Julia interpreta questo avvenimento
come un segno del destino e decide di rinunciare a Charles. La Seconda Guerra
Mondiale pone fine a tutte le loro speranze
e ai loro sogni, portando la decadenza a Brideshead.
era del glorioso film britannico in
costume, quello per interderci di
David Lean e del suo “erede” James Ivory, sembra ormai tramontata per
sempre. I loro film, monumentali ma riscaldati da sotterranee pulsioni tenute a bada
dall’estrema eleganza formale e dalle raggelate interpretazioni di attori di altri tempi
e di altre scuole, hanno lasciato il passo
ormai a uno spettacolo esangue che di monumentale ha soltanto la noia. Il confronto
tra la gloriosa miniserie anni ’80 Brideshead
Rivisited (di recente riproposta su numerosi canali satellitari), interpretata dal giova-
L’
13
ne Jeremy Irons e da leoni in inverno quali
Laurence Olivier e Claire Bloom, e questa
sua pallida riedizione, firmata dall’anonima
regia di Jullian Jarrold, è impietoso. Il romanzo simbolo della dorata gioventù britannica alle soglie della catastrofe rappresentata dalla Seconda Guerra Mondiale è
diventato uno scialbo fotoromanzo, nel quale si muovono senza vita personaggi di carta
velina, sottilmente compiaciuti di poter mostrare debolezze e omosessualità più o
meno latenti e segrete, fin troppo consapevoli di rappresentare metaforicamente il
declino della classe dominante inglese all’indomani della guerra. Chiedersi se il risultato sarebbe stato diverso se si fosse riuscito a ottenere il cast originariamente pensato per il film, cioè Paul Bettany, Jude Law
e Jennifer Connelly come protagonisti, per
la regia di David Yates, è una riflessione che
lascia un po’ il tempo che trova, ma appare
quasi inevitabile durante le due ore e mezzo del film. Ritorno a Brideshead riunisce
tutti quelli che erano i difetti dei film di James Ivory, senza averne i pregi: la riduzione in sceneggiatura del romando di Evelyn
Waugh povera e sminuente, una scenografia elegante ma smorta, interpretazioni rigide e controllate, quasi a incarnare il perfetto clichés dell’interprete britannico alla
Ben Kingsley o Anthony Hopkins del tem-
Film
po che fu. Convincono poco anche Michael Gambon e Emma Thompson come Lord
e Lady Marchmain. La rovinosa scelta di
far uscire il film in Italia a ridosso dell’estate
Tutti i film della stagione
peserà sicuramente sul rendimento della
pellicola, ma speriamo che i pochi fortunati
che avranno modo di assistervi sapranno
andare al di là dei difetti del film per coglier-
ne la vera essenza e, magari, andarsi a rileggere il romanzo di Waugh.
Chiara Cecchini
STANNO TUTTI BENE
(Everybody’s Fine)
Stati Uniti, 2009
Acconciature: Patricia Grande, Michelle Johnson, Jerry Popolis
Supervisore effetti speciali: Peter Kunz
Coordinatore effetti speciali: Johann Kunz
Supervisore effetti visivi: Lev Kolobov (Intelligent Creatures Inc.)
Coordinatore effetti visivi: Michelle Ledesma
Canzone estratta: ‘(I Want To) Come Home’ di Paul McCartney
Interpreti: Robert De Niro (Frank Goode), Drew Barrymore
(Rosie), Kate Beckinsale (Amy), Sam Rockwell (Robert), Lucian Maisel (Jack), Damian Young (Jeff), James Frain (Tom),
Melissa Leo (Colleen), Katherine Moenning (Jilly), Brendan
Sexton III (aggressore), James Murtaugh (Dr. Ed), Austin Lysy
(David), Chandler Frantz (David giovane), Lily Mo Sheen (Amy
giovane), Seamus Davey-Fitzpatrick (Robert giovane), Mackenzie Milone (Rosie giovane), Kene Holliday (macellaio), E.J.
Carroll (uomo del vino), Scott Cohen (conduttore), Lou Carbonneau (rappresentante della BBQ), Mandell Butler (addetto alle consegne), Caroline Clay (agente della ferrovia), Katy
Grenfell (giovane donna sul primo treno), Lynn Cohen (donna
anziana sul primo treno), Jayne Houdyshell (Alice), William J.
Slinsky Jr. (uomo sul binario), Kelly McAndrew (prostituta),
Jason Harris, Julián Rebolledo (tassisti), Ben Liff (giovane nel
vagone ristorante)
Durata: 95’
Metri: 2605
Regia: Kirk Jones
Produzione: Vittorio Cecchi Gori, Ted Field, Glynis Murray,
Gianni Nunnari per Miramax Films/Radar Pictures/ Hollywood Gang Productions
Distribuzione:Medusa
Prima: (Roma 12-11-2010; Milano 12-11-2010)
Soggetto: remake del film Stanno tutti bene (1989) di Giuseppe Tornatore
Sceneggiatura: Kirk Jones
Direttore della fotografia: Henry Braham
Montaggio: Andrew Mondshein
Musiche: Dario Marianelli
Scenografia: Andrew Jackness
Costumi: Aude Bronson-Howard
Produttori esecutivi: Craig J. Flores, Callum Greene, Mike
Weber
Co-produttore: Nathalie Peter-Contesse
Direttore di produzione: Callum Greene
Casting: Kerry Barden, Paul Schnee
Aiuti regista: Daniela Barbosa, Alexander H. Gayner, Damon
Michael Gordon, Peter Soldo, Doug Torres, Aurora Warfield
Operatori: Joe Collins
Operatore Steadicam: Ray Collins
Art director: Drew Boughton
Arredatore: Chryss Hionis
Trucco: Persefone Karakosta, Nuria Sitja, Vasilios Tanis, Carla
White
er tutta la vita Frank Goode ha
lavorato duro per non far mancare nulla alla propria famiglia,
in particolare ai suoi quattro figli, David,
Amy, Rosie e Robert. Per anni ha rivestito
i cavi del telefono di materiale isolante,
chilometri e chilometri di cavi che per decenni hanno messo in contatto le persone
tra loro. Adesso che è in pensione, però,
Frank ha difficoltà a restare in contatto con
i con i suoi figli, ormai trentenni, che si
sono sistemati e vivono dislocati negli Stati
Uniti. A mantenere i rapporti e la confidenza con i figli ci pensava la moglie di
Frank; ora che da pochi mesi la donna è
morta, la solitudine è diventata la sua compagna di vita. Insieme con i problemi al
cuore, che da tempo non lo abbandonano
e per cui è costretto a dipendere dalle medicine. Le sue giornate trascorrono lente,
una uguale all’altra, tra il giardinaggio e
il mantenimento di una casa, sempre troppo vuota. Frank inizia a sentirsi tagliato
fuori da un mondo che si è fatto troppo fre-
P
netico e indifferente. Così decide di riunire i suoi figli per un barbecue e organizza
un weekend. Inizialmente tutti danno il loro
benestare e così compra il meglio, una spesa che possa celebrare degnamente una
così tanto attesa riunione di famiglia. Tuttavia, uno dopo l’altro i figli di Frank, tranne uno che risulta irreperibile, danno forfait, perché troppo impegnati, almeno all’apparenza, per passare qualche giorno
con il proprio padre. Nonostante il divieto
del medico, l’uomo vuole affrontare la questione a modo suo. Non volendo rinunciare a vedere i figli, a loro insaputa, decide
di partire e di andare a trovarli uno per
uno, in un lungo viaggio in treno da una
parte all’altra degli States. Inizia con David. Dopo aver trascorso tutta la notte davanti la sua porta di casa e non essendo
possibile rintracciarlo, Frank gli lascia
una lettera. Poi è il turno di Rosie, che
anche di persona sembra assente, troppo
presa dal suo lavoro e turbata dal rapporto con il marito. Robert non sembra avere
14
un comportamento migliore della sorella.
Dopo aver confessato al padre di essere
un semplice percussionista e non un direttore d’orchestra (come Frank aveva sempre creduto) sostiene di dover andare in
tournee con la sua orchestra e di non poter dedicargli neanche una serata. Amy è
l’unica che accoglie Frank più calorosamente e si mette a sua disposizione, portandolo in quella che spaccia come la sua
casa. In realtà, la donna ha un bambino e
la casa le è soltanto stata prestata per l’occasione. L’unico di cui ancora Frank non
riesce ad avere notizie è David, che, da
quanto sanno i fratelli, si trova in Messico, dove è stato arrestato per droga. L’uomo, non avendo più le sue pasticche per il
cuore, perse durante un’aggressione, è
costretto a tornare a casa in aereo. Durante il volo ha un infarto. Risvegliatosi
nel letto di un ospedale l’uomo trova al suo
fianco tutti i figli, tranne David. I ragazzi
rivelano al padre che il fratello in realtà è
morto di overdose. Crollato il castello di
Film
Tutti i film della stagione
bugie dietro cui si rifugiavano da tempo, i
figli finalmente si ritrovano a sedere tutti
allo stesso tavolo con il padre in occasione del Natale.
emake dell’omonimo film di Giuseppe Tornatore, Stanno tutti
bene (Everybody’s Fine è il titolo
originale) è diretto dal regista Kirk Jones. Pur se meno triste dell’originale interpretato da Marcello Mastroianni, questa volta il film si concentra più sul personaggio principale, mettendo quasi in
disparte il ritratto sociale per mettere in
immagini una storia che, con aria malinconica, gioca quasi tutte le sue carte
sulla
for tissima
componente
emotiva. Robert De Niro si carica sulle
spalle tutto il peso del film e interpreta
con equilibrio un uomo anziano che è determinato a non lasciarsi soffocare dalla
solitudine e caparbiamente cerca di ritagliarsi un piccolo spazio nelle vite dei
propri figli. Frank è il classico padre, lavoratore modello che ha sacrificato la
sua vita per non far mancare nulla alla
famiglia, se non il tempo per dedicare
loro attenzione e affetto. Uno di quei padri, ai quali è meglio non dire nulla, per
non creare discussioni e per non vederlo soffrire. Un nucleo in cui invece il punto di riferimento affettivo è la madre, alla
quale si raccontano senza remore tutti i
problemi e tutti gli insuccessi. Perché
quel padre, fin troppo carico di aspettative, ripone nei suoi figli tutti i sogni che
di persona non è riuscito a realizzare,
perché assente e troppo preso dal suo
lavoro, vissuto come un dovere. Frank,
venuta a mancare la moglie, fulcro e punto di riferimento della famiglia si sente
dunque in difetto nei confronti di quelli
che chiama ancora i suoi “bambini”. Nel
corso del suo lungo viaggio, deve accettare il confronto con loro, spesso difficile
e doloroso. La propria ingenuità tuttavia
non gli impedisce di intuire che le scuse
avanzate dai figli nascondono esistenze
non perfette, segnate da problemi più o
meno gravi, che egli deve imparare a condividere. Dopo aver fatto i conti con se
stesso ed essersi rimproverato dei propri
errori, dovrà, suo malgrado, accettare l’imperfezione della condizione umana. Come
faranno d’altronde anche i suoi figli, consapevoli, infine, di non dover nascondere
il legame paterno dietro a delle rassicuranti bugie. La verità per genitore e figli
rappresenterà un mezzo per crescere e
al tempo stesso per ritrovarsi.
Importante il cast: a fianco a un grande e intenso De Niro, tra tutte le interpretazioni secondarie convince in particolare
R
quella di Drew Barrymore, nel ruolo di
un’artista di Las Vegas che accoglie suo
padre con affetto, ma in una vita che non
è la sua. A Kate Beckinsale e Sam
Rockwell toccano invece i ruoli di una donna che tenta di nascondere il recente divorzio, ma trova il modo di far conoscere
al padre il suo nuovo compagno e quello
di un musicista, che non riesce a dare or-
dine alla propria esistenza. Un tocco di
delicata ironia stempera l’intensità drammatica del racconto, che si conclude con
un finale sicuramente più conciliante e
meno amaro rispetto a quello della pellicola originale, senza tuttavia svilire la componente emozionale del film.
Veronica Barteri
TI PRESENTO UN AMICO
Italia, 2010
Regia: Carlo Vanzina
Produzione: Alessandro Fracassi per Media One S.P.A/Warner Bros. Entertainment
Distribuzione: Warner Bros. Pictures
Prima: (Roma 12-11-2010; Milano 12-11-2010)
Soggetto: Enrico Vanzina, Francesco Massaro
Sceneggiatura: Enrico Vanzina, Carlo Vanzina, Francesco Massaro
Direttore della fotografia: Carlo Tafani
Montaggio: Raimondo Crociani
Musiche: Federico De Robertis
Scenografia: Serena Alberi
Costumi: Daniela Ciancio
Organizzatore generale: Marco Alfieri
Aiuto regista: Giorgio Melidoni
Trucco: Simona Castaldi
Acconciature: Fabrizio Nanni
Supervisore effetti visivi: Stefano Marinoni
Coordinatore effetti visivi: Federica Nisi
Supervisore musiche: Giovanni Arcadu
Suono: Marco Grillo
Interpreti: Raoul Bova (Marco), Martina Stella (Gabriella), Sarah Felberbaum (Francesca), Kelly Reilly (Sarah), Barbora Bobulova (Giulia), Stefano Dionisi (Giorgio),
Carlo Giuseppe Gabardini (Riccardo), Paolo Calabresi (Tony Martini), Teco Celio
(Herr Volker), Fabio Ferri (Nicola), Alessandro Bolide (tassista)
Durata: 98’
Metri: 2700
15
Film
arco è un giovane italiano che
da un anno vive e lavora a Londra come vicedirettore marketing di un’azienda di cosmetici. È tempo di
crisi e ogni giorno vede licenziati molti colleghi; per questo la convocazione urgente
presso la sede centrale di Milano lo mette
in agitazione: pensa di perdere il posto. Tornato a casa, scopre che la compagna italiana con cui convive, perso il lavoro, ha deciso di tornare in Italia per assumere il ruolo
di moglie del suo “ex”. Spaesato, Marco
parte per Milano. Arrivato in aeroporto, trova una fila interminabile per i taxi. Fortunatamente, un’amica di un suo amico incontrato per caso gli dà un passaggio, evitandogli così di fare tardi e indispettire il
capo (tedesco e fissato con la puntualità).
La ragazza, Sarah, gli lascia il numero di
telefono. Diretto di corsa verso al stanza del
direttore, Marco scontra Giulia, collega e
capo del marketing in Italia, a cui Marco
scopre di aver involontariamente fatto le
scarpe quando il direttore gli comunica la
promozione a capo del marketing globale.
Primo compito nel nuovo ruolo sarà licenziare il più possibile, per far fronte alla crisi. Quella sera Marco decide di festeggiare
con Sarah. Al ristorante Sarah gli presenta
Gabriella, bella e speranzosa giornalista in
erba, il cui cellulare finisce sbadatamente
nella tasca di Marco. Tornato a casa, Marco riceve una telefonata di Giulia che lo
copre di insulti e minaccia il suicidio tanto
da spingere Marco a correre a casa sua per
salvarla. I due iniziano a litigare e finisco-
M
Tutti i film della stagione
no a letto insieme. Tornando in albergo a
notte fonda, Marco vede Sarah litigare con
l’uomo sposato di cui è amante. Ormai nel
letto, risponde al cellulare di Gabriella,
identico al suo, e scatena le ire del gelosissimo fidanzato pugliese di lei. Da qui in poi,
le vicende lavorative e gli affari (più o meno)
di cuore si intrecciano, mettendo Marco
sempre più in difficoltà: nel privato è circondato da donne che lo desiderano, ma
senza “intenzioni serie”, sul lavoro dovrebbe licenziare molti in azienda (Giulia in primis), ma la sua coscienza glielo impedisce.
Alla fine, si licenzia e torna a Londra, dove,
a spulciare annunci economici sulla panchina accanto a lui, incontra Francesca, una
neoassunta motivata e sensibile che non
aveva licenziato a Milano...
a commedia realizzata dalla premiata ditta Vanzina (Enrico alla
sceneggiatura e Carlo dietro la
macchina da presa) prova a respirare
un’aria internazionale, ritornando almeno
in parte alle atmosfere di South Kensington (2001), e a sposare un taglio semiimpegnato, proponendo come tema ricorrente quello della crisi. La situazione economica, tuttavia, resta davvero marginale
e viene usata come puro espediente, o
mero riempitivo, in una vicenda che è fatta
squisitamente di incontri e scontri personali tra i personaggi.
Marco, infatti, passa da una città all’altra, da una donna all’altra, senza dare segni di coinvolgimento o motivazione. Cer-
L
to, si comporta da gentiluomo, ha un cuore buono ed è generoso con tutti, ma come
protagonista appare del tutto in balia degli
eventi, o meglio del meccanismo della sceneggiatura. Un meccanismo semi-automatico, per cui ogni donna cade ai suoi piedi,
e lui, inspiegabilmente (od ovviamente, a
seconda dei punti di vista), ci sta. Imbelle
nella vita privata, il protagonista pare quindi
votato a vestire panni da “eroe” in quella
pubblica, dove sul lavoro si rifiuta di compiere i tagli sommari richiesi dalla direzione. Almeno uno scatto di orgoglio, MarcoBova al suo pubblico lo regala.
Tuttavia Marco, il cui ruolo di tagliatore
di teste è stato raccontato in modo assai
più credibile e approfondito da George Clooney in Tra le nuvole, è al centro di un
momento economicamente e socialmente difficile per tutti, ma solo a parole: non
c’è alcuna scena del film, infatti, in cui si
vedano le difficoltà vere di chi viene licenziato. E questo è tanto più irritante quanto
più spesso la parola “crisi” viene ripetuta
in battute prevedibili e poco incisive.
Indubbiamente ben confezionato con
musiche orecchiabili, cast ricco e location
piacevoli, Ti presento un amico è un girotondo di incontri pseudo-amorosi in tempi
di sedicente crisi. Senza ambizioni registiche, senza reali intenzioni di critica sociale, senza trovate originali in sceneggiatura, senza sottotesto nelle battute dei dialoghi, questa commedia non riesce a essere “brillante” come vorrebbe.
Tiziana Vox
FIGLI DELLE STELLE
Italia, 2010
Suono: Gianluca Costamagna
Canzone estratta: ‘Figli delle Stelle’ di Irene Grandi
Interpreti: Claudia Pandolfi (Marilù), Fabio Volo (Toni), Giuseppe Battiston (Bauer), Pierfrancesco Favino (Pepe), Giorgio Tirabassi (Stella), Paolo Sassanelli (Ramon), Teco Celio
(Martino), Fausto Maria Sciarappa (Umberto), Pietro Ragusa (Giambi), Camilla Filippi (Marta), Lydia Biondi (madre di
Pepe), Chiara Tomarelli (Alba), Antonello Piroso (se Stesso), Fabrizio Rondolino (Ministro Gerardi), Nicola Rondolino
(esperto di terrorismo), Teresa Acerbis (Carmen), Daniele
Ballicco (sindacalista), Valentina Fois (suora), Edoardo Gabbriellini (Edo), Anna Bellato (Romina), Nino Bernardini (zio
Pepe), Jacopo Bonvicini (Mario), Simona Nasi (moglie di
Stella), Francesco Rossini (Ivo), Luca Moretti (Ludo), Maria
Luisa Vola (Zoe)
Durata: 102’
Metri: 2800
Regia: Lucio Pellegrini
Produzione: Beppe Caschetto, Rita Rognoni per ITC Movie/
Pupkin Production/Warner Bros. Entertainment Italia in collaborazione con LA7
Distribuzione: Warner Bros. Pictures
Prima: (Roma 22-10-2010; Milano 22-10-2010)
Soggetto: Lucio Pellegrini
Sceneggiatura: Lucio Pellegrini, Francesco Cenni, Michele
Pellegrini
Direttore della fotografia: Gian Enrico Bianchi
Montaggio: Walter Fasano
Musiche: Giuliano Taviani
Scenografia: Roberto De Angelis
Costumi: Silvia Nebiolo
Direttore di produzione: Attilio Moro
Casting: Chiara Natalucci
Aiuti regista: Alessandro Casale, Jacopo Bonvicini, Fabio Mollo
T
oni operaio di Porto Marghera,
dopo la morte di un collega, decide di partecipare ad una tras-
missione televisiva per denunciare il cattivo operato del ministro Gerardi. Nonostante l’aiuto della giornalista Marilù, il ra16
gazzo si lascia vincere dalla timidezza e
scappa dallo studio senza dire nulla. Qualche giorno dopo, in strada, incontra Pepe,
Film
un professore precario e Ramon un ex carcerato, insieme decidono di avere la loro
giustizia privata rapendo il ministro.
Qualcosa va storto e a essere sequestrato è un semplice sottosegretario dalla
specchiata moralità.
I tre uomini, compreso l’errore decidono, comunque, di tenere l’ostaggio aiutati da Bauer, cugino di Pepe e rivoluzionario represso.
Il Paese è in preda al caos. Le forze
dell’ordine cercano ovunque il sottosegretario, mentre la popolazione teme un’altra ondata di violenza brigatista.
Alcuni amici di Toni sospettano il suo
coinvolgimento nel rapimento e con la forza lo riportano a Marghera.
Gli altri, intanto, commettono un errore dietro l’altro incluso dire la verità a
Marilù. La giornalista, spaventata, diventa loro complice e offre la sua casa sulle
Alpi come nascondiglio per il prigioniero.
Ma anche qui la farsa dura poco, vengono scoperti dagli abitanti del minuscolo
paesino che, inaspettatamente, si dicono
solidali con loro e collaborano in cambio
di una parte del riscatto.
La prigionia del sottosegretario non è
particolarmente dura, l’uomo ha la possibilità di chiacchierare con i suoi tanti carcerieri e in particolare con Pepe, a cui racconta di un progetto di legge per una cura innovativa e gratuita contro il cancro. Il ragazzo
è molto colpito, anche perché sua madre soffre di questa patologia, e gli strappa la promessa di un impegno concreto, dopo la sua
liberazione, in favore di questa legge.
Anche Bauer rimane colpito dalla signorilità del sottosegretario e dopo una chiacchierata con lui in preda all’emozione tele-
Tutti i film della stagione
fona al figlioletto a Roma. I carabinieri,
chiamati dalla moglie insospettita dalle stranezze del marito, intercettano la telefonata
e si dirigono per un controllo sulle Alpi.
Intanto arrivano i soldi del riscatto e
ciascuno prende la sua parte, ma l’arrivo
delle forze dell’ordine rovina i piani di gloria di tutti. Ramon ha un infarto e muore,
gli altri vengono tutti arrestati, incluso Toni
che, dopo tanto peregrinare era appena
riuscito a ritrovare gli amici. Solo Pepe
riesce a scappare.
Passa un anno. Il sottosegretario, ormai diventato ministro, va a mangiare in
un ristorante e a servirlo è proprio Pepe.
Il ragazzo finge di essere straniero e di non
conoscerlo. Quando, però, il ministro gli
chiede di sua madre, Pepe commosso cede
e gli dice che è morta poco tempo prima.
L’uomo, sinceramente, dispiaciuto gli dice
di aver mantenuto fede alla promessa e
aver fatto approvare la legge per le cure
oncologiche innovative.
recariato, morti bianche, politica
arraffona, ormai, sono termini
entrati con forza nel vocabolario
quotidiano. Per fortuna si riesce ancora a
pronunciarli con il dovuto sdegno, il che
lascia presumere che i cittadini non si siano arresi ad una situazione vigliacca e socialmente inaccettabile.
Come raramente accade, oltre a blaterare in molti propongono delle iniziative
per sollevare il problema “ai piani alti”, alcune veramente singolari come quella raccontata nel film Figli delle Stelle di Pellegrini, dove un gruppetto di disperati decide di rapire un politico disattento alle esigenze dei lavoratori.
P
Non c’è che dire, in un clima particolarmente “caldo”, il regista ha avuto coraggio a esporsi con una storia così delicata; il rischio è sempre quello di venire
additati come istigatori e in questo caso
essendo una commedia, anche di essere dissacranti.
Come per tutte le cose, il giudizio superficiale lascia il tempo che trova, basta,
vedere la pellicola per intuire la semplice
voglia di Pellegrini di raccontare l’Italia dei
senza gloria.
I quattro rapitori improvvisati, infatti, non
sono dei criminali, ma degli uomini esasperati che uniscono i loro guai per dare vita a
qualcosa di più grande di loro, un gigante
incontrollabile che inevitabilmente li schiaccerà nel finale. Non sono organizzati, non
hanno una chiara fede politica, ma agiscono in preda ad un impulso riformatore che
non ha bandiera. È il partito del nuovo millennio, in particolare di quei giovani che non
sono più schierati dietro barricate rosse o
nere, ma che vivono in una crescente comunione di idee, scambiata, purtroppo, con
inerzia o pigrizia intellettuale. Non è così e
Pellegrini lo dimostra in una pellicola ben
fatta e piacevole da vedere. Rimanendo fedele allo stile degli ultimi lavori, il regista
piemontese, si allontana progressivamente dalle soluzioni codificate nella commedia, per offrire allo spettatore degli squarci
di realtà, pulita, semplice e rigorosamente
imperfetta, a cui si unisce un cast attoriale
che non necessita di grandi elogi e che, nel
suo variegato parlare, dà forma e voce a
un’Italia palpitante, anche se, forse, troppo
sottovalutata.
Francesca Piano
MASCHI CONTRO FEMMINE
Italia, 2010
Aiuti regista: Eleonora Ceci, Angelo Licata, Alessandro Pascuzzo
Trucco: Marta Roggero
Supervisore effetti visivi: Angelo Licata
Suono: Marco Fiumara
Canzone estratta: ‘Maschi contro femmine’ di Francesco
Baccini
Interpreti: Paola Cortellesi (Chiara), Fabio De Luigi (Walter),
Sarah Felberbaum (Francesca), Chiara Francini (Marta), Lucia Ocone (Monica), Francesco Pannofino (Vittorio), Alessandro Preziosi (Diego), Paolo Ruffini (Ivan), Carla Signoris (Nicoletta), Nicolas Vaporidis (Andrea), Giorgia Wurth (Eva), Claudio Bisio (Marcello), Nancy Brilli (Paola), Giuseppe Cederna
(Renato), Luciana Littizzetto (Anna), Emilio Solfrizzi (Piero)
Durata: 113’
Metri: 3100
Regia: Fausto Brizzi
Produzione: Fulvio Lucisano, Federica Lucisano per Italian
International Film in collaborazione con RaiCinema
Distribuzione: 01 Distribution
Prima: (Roma 27-10-2010; Milano 27-10-2010)
Soggetto e sceneggiatura: Fausto Brizzi, Marco Martani,
Massimiliano Bruno, Pulsatilla
Direttore della fotografia: Marcello Montarsi
Montaggio: Luciana Pandolfelli
Musiche: Bruno Zambrini
Scenografia: Maria Stilde Ambruzzi
Costumi: Monica Simeone
Produttore esecutivo: Gianni Saragò
Produttore delegato: Giulio Steve
Casting: Costa & Loreti
17
Film
alter, allenatore di una squadra
di pallavolo femminile, è diventato padre di un bel bambino. La
sua felicità, però, è smorzata dai continui
rifiuti di Monica, sua moglie, ad avere rapporti sessuali con lui. Gli amici gli consigliano di farsi un’amante, ma il fedelissimo Walter esclude categoricamente questa possibilità. Questo fino a quando, durante una trasferta, si lascia sedurre da
Eva, una delle sue giocatrici. La ragazza,
follemente innamorata, è convinta che il
suo allenatore lascerà la moglie per lei e,
quando questo non avviene, furibonda racconta tutto alla rivale.
Monica sconvolta caccia il marito di
casa. Eva, però, capisce di aver sbagliato
e cerca di rimediare facendo tornare insieme Walter e sua moglie.
Diego e Chiara sono dei litigiosi vicini di casa. Caratterialmente molto diversi, donnaiolo e frivolo lui, rigorosa e convinta animalista lei, non perdono occasione per punzecchiarsi e rinfacciarsi i reciproci difetti. Una sera, però, Diego interpretando male una situazione ci prova con
Chiara. Lei lo rifiuta e da quel giorno l’uomo diventa impotente. Dopo aver escluso
la causa fisiologica, Diego va da uno psicoterapeuta che gli consiglia di fare del
sesso con la vicina per sbloccarsi. L’impresa è ardua e per riuscire nell’intento si
finge interessato alla questione animalista
e parte con lei per salvare le balene. Chiara è molto sospettosa, ma Diego con il suo
impegno le fa passare ogni dubbio. In realtà, durante la missione, i due si innamorano e tornati in patria iniziano una rela-
W
Tutti i film della stagione
zione. Tutto va bene, inclusi i problemi di
salute di Diego, fino a quando Chiara non
ascolta parzialmente una chiacchierata fra
il fidanzato e il terapista. Furibonda lo lascia e scappa per una impresa ambientalista. Diego la insegue, la rassicura e ritornano insieme.
Andrea e Marta sono grandi amici,
nonché coinquilini. Purtroppo si innamorano della stessa ragazza, Francesca, che,
indecisa su chi scegliere, innesca fra i due
una tremenda rivalità. L’amicizia si logora e termina quando Francesca decide di
mettersi con Andrea. Il ragazzo, però, ci
ripensa e la lascia, preferendo ricostruire
l’amicizia con Marta.
Nicoletta scopre che suo marito la tradisce. Lo caccia di casa e prova a rifarsi
una vita. Non più giovanissima è a disagio
negli ambienti mondani dove confonde le
attenzioni dei gigolò per reale interesse nei
suoi confronti. La donna in piena crisi si
sente vecchia e poco desiderabile. Un suo
collega di lavoro, Renato, però, è segretamente innamorato di lei e in attesa del
momento giusto per dichiararsi. L’occasione non arriva mai, per questo l’uomo,
con la complicità dei colleghi, finge un
blocco alla porta elettrica degli archivi
sotterranei proprio quando Nicoletta è con
lui e si dichiara. La donna, lusingata, accetta di iniziare una relazione con collega
e disdice l’appuntamento con il chirurgo
plastico.
N
uova commedia corale per Fausto Brizzi. Potrebbe bastare solo
questa frase per recensire Ma-
schi contro Femmine, ma il rischio, sempre
dietro l’angolo, di fuorviare il lettore, impone una spiegazione più esaustiva per questa radicale e ambivalente proposizione.
I film di Brizzi, a onor del vero, non sono
“scadenti” nel senso comune del termine,
anzi, sono colorati, spiritosi, non volgari e,
si potrebbe azzardare, perfetti per per una
serata non impegnativa con gli amici, ma
sono tutti uguali. Irrimediabilmente uguali.
Un girotondo di personaggi scialbi con
problemi sentimentali che strizzano l’occhio allo spettatore e lo coinvolgono in intrecci tanto frivoli quanto scontati.
Anche Maschi contro Femmine è
così. Due amici che litigano per la stessa ragazza, un marito fedigrafo con i sensi di colpa, una donna di mezza età tradita con una più giovane e una coppia di
vicini di casa indecisi se fare la guerra o
l’amore.
I dialoghi sono brillanti e qualche trovata esilarante, ma manca la sostanza. Il
gioco della lotta fra i sessi è gestito da dei
personaggi convenzionali e fin troppo caratterizzati, personaggi che negli ultimi anni
sono stati sfruttati inverosimilmente da un
cinema dal respiro corto che non ha voglia di andare “oltre”. Anche perché il pubblico fidelizzato non glielo permette.
La conferma a tutto ciò viene dall’uscita a breve di Femmine contro Maschi, una
scelta rischiosa riservata un tempo solo ai
grandi che, però, ora ha più le fattezze di
un metro che impietoso ci ricorda il livello
e la fame di Cinema nel nostro Paese.
Francesca Piano
POTICHE-LA BELLA STATUINA
(Potiche)
Francia, 2010
Regia: François Ozon
Produzione: Eric Altmeyer, Nicolas Altmeyer per Mandarin Films/FOZ/France 2 Cinéma/Mars Distribution/Wild Bunch/Scope Pictures; con la partecipazione di Canal+/TSP Star/France
Télévisions/Région Wallone
Distribuzione: BIM
Prima: (Roma 5-11-2010; Milano 5-11-2010)
Soggetto: tratto dall’ opera teatrale omonima di Pierre Barillet
e Jean-Pierre Grédy
Sceneggiatura: François Ozon
Direttore della fotografia: Yorick Le Saux
Montaggio: Laure Gardette
Musiche: Philippe Rombi
Scenografia: Katia Wyszkop
Costumi: Pascaline Chavanne
Co-produttore: Genevieve Lemal
Direttori di produzione: Roger Schins, Pierre Wallon
Casting: Sarah Teper
Aiuti regista: Hubert Barbin, Alexandra Gayzal
Trucco: Aurélie Elich
Acconciature: Jean-Jacques Puchu
Coordinatore effetti visivi: Berengere Dominguez
Suono: Pascal Jasmes
Interpreti: Catherine Deneuve (Suzanne Pujol), Gérard Depardieu (Maurice Babin), Fabrice Luchini (Robert Pujol), Karin Viard (Nadège), Judith Godrèche (Joëlle), Jérémie Renier
(Laurent), Sergi López (autista spagnolo), Evelyne Dandry
(Geneviève Michonneau), Bruno Lochet (André), Elodie Frégé
(Suzanne giovane), Gautier About (Babin giovane), Jean-Baptiste Shelmerdine (Robert giovane), Noam Charlier (Flavien),
Martin de Myttenaere (Stanislas)
Durata: 103’
Metri: 2830
18
Film
iamo nel 1977. Suzanne è una
bella signora dell’alta borghesia
di una cittadina francese. Suo
unico ruolo nel mondo è quello di essere la
moglie di Robert Pujol, proprietario di una
importante fabbrica di ombrelli (ereditata dal
suocero), e madre dei suoi due figli. Durate i
tumultuosi anni ’70, anche la fabbrica di
Robert è investita dagli scioperi, ma l’inflessibile imprenditore rifiuta qualsiasi forma di
dialogo con i lavoratori. La lotta sindacale
si fa dura, tanto da costringere il “padrone”
in un letto d’ospedale, occasione in cui le
redini dell’azienda vengono prese dalla moglie. Inizialmente (ma solo inizialmente) spaesata, Suzanne scopre gli errori del marito,
compresa la sua relazione con la segretaria.
In poco tempo però, a dispetto di ogni previsione e sotto gli occhi increduli dei familiari,
Suzanne si rivela un’imprenditrice abile e
capace (grazie anche a una vecchia romantica liaison con il sindaco di sinistra che le
fa da sponda nelle relazioni con i lavoratori). I figli in primis devono quindi ricredersi
sulla propria madre, considerata una “bella
statuina” e invece in grado, più del maschilista e autoritario padre, di poter risolvere il
contrasto interno alla fabbrica accordando
condizioni di lavoro più umane. Ma Suzanne
non si limita allo stretto necessario, anzi:
porta avanti gli affari avviando nuove linee
di produzione e registrando ottimi risultati.
Le cose si complicano quando Robert vuol
tornare al lavoro e Suzanne non vuole cedergli il posto. Così, tra un colpo di scena e
l’altro, il vecchio padrone riesce a riprendere lo scettro del comando, ma Suzanne, decisa a non restare più a margine della propria
vita, si tuffa in una nuova avventura.
Tutti i film della stagione
S
spirato all’opera teatrale omonima di
Pierre Barillet e Jean-Pierre Grédy,
Potiche è una commedia brillante, girata – sin dai titoli di testa – in stile
anni ’70. La protagonista, interpretata da
una formidabile Catherine Deneuve, prende pian piano coscienza delle proprie potenzialità e si affranca (sostenuta dalla partecipazione emotiva del pubblico) dal ruolo di moglie remissiva e madre scarsamente assertiva. Il racconto mette in scena la
trasformazione dell’eroina da insicura e remissiva “signora Pujol” a decisa e vincente manager in modo incisivo e credibile, e
si avvale di co-protagonisti ben descritti:
l’ex-amante di sinistra (l’ottimo Gerard Depardieu) e il marito despota e reazionario
(Fabrice Luchini) creano un triangolo dalle dinamiche classiche ma efficaci.
L’ambientazione, in certi frangenti palesemente kitsch, sottolinea le assurdità del
mondo maschilista contro cui la protagonista impara a lottare. Accanto al riscatto del-
I
la protagonista dal ruolo di “casalinga disperata” cui l’aveva relegata il marito, la
pellicola non manca, poi, di accennare alla
più ampia realtà di cambiamento sociale in
cui la storia di Suzanne ha luogo: le rivendicazioni degli operai, che diventano incidente scatenante per il percorso della protagonista, danno spessore maggiore a una
vicenda altrimenti del tutto privata. La capacità di Suzanne di conciliare le opportunità aziendali e le ragioni sindacali la rende
un’eroina attuale e con la cui storia lo spettatore empatizza immediatamente. Un’altra
caratteristica che fa della Deneuve-Suzanne un’eroina contemporanea, sta nel suo
mantenere il proprio status di classe e di
genere anche quando è a capo dell’azienda: incontrare i lavoratori in visone e gioielli
non è, come le fanno notare, un affronto
per gli operai, ma un riconoscere l’importanza che hanno per lei. Insomma, Suzanne è naif, ma vincente: non si omologa al
modello di direzione maschile (o maschilista) ma crea un suo stile. E funziona.
Dal punto di vista formale, François
Ozon firma un film in cui dialoghi, il ritmo e
le musiche ben si accordano per rendere
la pellicola godibile e divertente.
Tiziana Vox
IN CARNE E OSSA
Italia, 2008
Regia: Christian Angeli
Produzione: Patrizia Tallarico per Luna Film
Distribuzione: Iris Film
Prima: (Roma 5-11-2010; Milano 5-11-2010)
Soggetto e sceneggiatura: Gianni Cardillo, Christian Angeli
Direttore della fotografia: Giovanni Battista Marras
Montaggio: Giancarlo Torri
Musiche: Andrea Terrinoni
Scenografia: Carolina Ferrara
Costumi: Chiara Ferrantini
Casting: Jorgelina Depetris Pochintesta
Suono: Luca De Gregorio, Daniele Maraniello, Giovanni Paris
Interpreti: Alba Caterina Rohrwacher (Viola), Luigi Diberti (Edoardo), Maddalena
Crippa (Alice), Ivan Franek (François), Barbara Enrichi (pazìente di François), Lena
Reichmut (Chiara)
Durata: 81’
Metri: 2400
19
Film
iola è in casa, si lamenta di avere la nausea, nessun medico la
capisce e le gocce che le da il
padre non bastano. Lui diceva che sarebbe guarita, e invece lei nella malattia ci
sta sempre peggio.
La madre Alice suona il pianoforte. Il
padre Edoardo è ai domiciliari. I due si
approssimano alle nozze d’argento. La famiglia vive in una villa in mezzo al bosco.
Viola, che di anni ne ha 25, se ne sta chiusa
nella sua stanza. Attendono l’arrivo di
François, psichiatra francese cugino di Alice, per un consulto sulla ragazza. Edoardo
parla al telefono con Chiara Torre, un politico. Lui era molto amico di suo padre e ora
insiste perché lei gli offra una candidatura:
gli rimangono da scontare solo 4 mesi e alla
fine potrà sfruttare in campagna elettorale
tutto quello che ha subito. François è
l’amante della donna. All’arrivo dell’uomo,
Viola corre a chiudersi nella sua stanza.
Durante la cena, François s’informa di
Viola: la ragazza sta coi genitori da 7 anni,
da quando è morta la madre di Edoardo.
Hanno provato tanti specialisti. François
nota che, dalla documentazione, pare che
la ragazza soffra di anoressia, ma la patologia su cui intervenire è la depressione.
Alice sostiene che Viola rifiuta di curarsi,
che sta sempre male. François fa domande,
ma le risposte di Edoardo e Alice non sono
univoche. Anche nel periodo in cui viveva
con la nonna, Viola soffriva di disturbi, che
esplodevano allorquando, una volta al mese,
andava a stare con loro. In certi istanti Edoardo si annebbia e rimane immobile.
François va in camera di Viola, ma la
ragazza non gli apre, mentre scrive e fa
disegni, anche sul suo corpo. La mattina
dopo lo psichiatra trova per terra, a distanza l’uno dall’altro, una serie di libri
inquietanti, con alcune pagine in evidenza. Alice nota che Viola divora i libri; poi
esce a fare una passeggiata con François,
confessando che lei non voleva figli e il
marito invece subito. Per Alice fu un periodo durissimo, sia la gravidanza che il post
parto. Quando aveva 5 anni, hanno affidato Viola alla nonna. Alice si lamenta che
Edoardo, che ha sempre aizzato la figlia
contro di lei, l’abbia attratta con l’illusione di una vita felice, e invece hanno avuto
solo debiti e malattie. “Perché non vi siete
separati?” chiede François. “Non ci riusciamo”, risponde Alice. Edoardo, frattanto, preleva alcuni file dal portatile di
François. Alice continua il suo racconto:
suo padre affidò a Edoardo la direzione
della clinica, ma poi hanno dovuto venderla per pagare i debiti, in quanto il marito
fu accusato in un processo di aver praticato l’eutanasia sui malati terminali.
V
Tutti i film della stagione
Poiché Viola non si sente pronta a incontrarlo, François decide di ripartire, promettendo di tornare in seguito. Edoardo lo
invita a non credere a quanto afferma Alice: lui è un ottimo marito e lei la migliore
moglie possibile. Lungo il viale innanzi la
villa, sbuca all’improvviso Viola. François
la investe con l’auto e lei cade. La riporta a
casa e i due parlano. Viola dice che ha bisogno di lui, perché sta male. Afferma che
si vergogna a farsi vedere e che spera di
morire presto. François osserva che le medicine aiutano, ma non bastano, dev’essere
lei a decidere di guarire. Edoardo continua
le sue indagini su François, che è accusato
di aver praticato l’elettrochoc sulle sue pazienti. L’uomo intanto fa una passeggiata
nel bosco con Viola, affermando che il contatto con la natura e i propri sensi rende la
vita stimolante, che la creatività – scrivere,
dipingere – può salvare le persone. “Il mezzo più semplice per essere felici è proprio
amare” afferma poi François. Ma la ragazza non ha mai provato l’amore, l’entusiasmo, la passione. E lo invita ad avere compassione di lei.
Quella sera, Viola si accomoda nuovamente a tavola e riprende a mangiare. I
genitori ne sono sorpresi. Poi accusa la
madre di averle fatto credere di essere brutta fin da quando era piccola. Inizia a ingozzarsi e ferisce alla mano François, che
le aveva ordinato di fermarsi.
François telefona a Chiara, notando
che quello di Viola è un caso interessante,
ma complicato, l’anoressia è solo quello
che si vede... Il ruolo dell’amante inizia
intanto a farlo soffrire.
La mattina dopo, Viola spunta alle
spalle di François nel bosco, chiedendogli
con impeto di Chiara. Poi lo invita a strapparle un capello, così quando non ci sarà
più potrà ricordare di lei.
Edoardo guarda dei video: una donna
racconta di essere stata abusata sessualmente da François, ma a lei piaceva, la
faceva stare bene. Quindi telefona a Chiara, mettendola in guardia che se la faccenda di François con le sue pazienti finisce
sui giornali, insieme alla sua relazione con
l’uomo, sarebbe una catastrofe. Pertanto
è bene verificare le prove. Viola detta a
François una provocante lettera d’amore
rivolta a lei, quindi lo bacia e gli dichiara
il suo amore, ma lui la respinge, ama un’altra. Lei minaccia di ammazzarsi, lui la disarma e la schiaffeggia. Poi si rappacificano. Intanto anche i genitori si accorgono che Viola sta tentando di sedurre
François. Edoardo sviene, poi si riprende.
Secondo François potrebbe morire presto.
Gli consiglia pertanto di smettere di bere
e fumare.
20
François deve partire. Raccomanda a
Viola di seguire la cura che le ha prescritto, mentre per lo psicoterapeuta che deve
occuparsi del suo caso si farà sentire. L’uomo è in auto. Quando passa su una duna,
cade il sedile e scopre Viola nascosta nel
bagagliaio. La fa scendere sostenendo che
ha superato ogni limite, ma lei afferma che
lo ama e che quando sarà morta per lui lo
capirà. Viola torna a casa. Apre il cassetto
della scrivania del padre, in cui è riposta
una pistola. Si accende lo schermo del computer, ove la ragazza scopre uno scritto del
genitore, un romanzo-diario sulla storia di
lei, narrata proprio dal punto di vista della ragazza, dal titolo ‘Tua, malata’. Lei
legge e piange. Un passo recita: “Alcune
persone si ammalano, o fingono, per ottenere compassione, attenzioni, controllo
sugli altri. Si chiama sindrome di Munchausen. A me invece l’ha procurata mio
padre. Se chi ti vuole bene dice che sei
malata e continua a sottoporti a esami e
terapie, tu ti senti malata e stanca. Ero riuscita a realizzare il mio sogno di bambina:
diventare sottile come un foglio di carta
che il vento poteva portare via. Mi sentivo
così stanca da voler morire”.
François si vede con Chiara, ma non sa
che è l’ultima volta. La donna gli lascia infatti una lettera nella giacca. Viola sostiene
che la madre la odia e per suo padre è solo
una cavia: adesso che François se n’è andato è completamente sola. Così s’imbottisce di pillole. Il giorno dopo, richiamato da
Edoardo e Alice, fa ritorno François, perché la ragazza, dopo aver vomitato, non ha
fatto altro che chiedere di lui. L’uomo si
lamenta che gli ha rovinato la vacanza, ma
lei subito s’informa di Chiara.
Edoardo nota che, da quando è arrivato, Viola si è sforzata di apparire ogni giorno più normale. È bastato che se ne andasse, perché crollasse. Se l’uomo resta, c’è il
rischio che si illuda, se se ne va, quello che
ci riprovi... François trova la lettera con cui
Chiara lo lascia. La felicità esiste, ma lei
non se la può permettere, scrive la donna.
Forse la storia con le sue pazienti non è
vera, ma se quelle dichiarazioni diventassero pubbliche, lei non riuscirebbe a sopportare lo scandalo. Se fosse libera dalla
sua immagine pubblica, si ucciderebbe piuttosto che lasciarlo. Lui è stato tanto per lei,
non permetterà che diventi poco, preferisce
che sia nulla. L’uomo piange.
Durante la cena, François confessa che
Chiara lo ha piantato, e chiede se può restare lì qualche giorno. Edoardo e Alice
hanno un crudele diverbio verbale: lui sviene, lei prova a baciare François, mentre
Edoardo chiede aiuto a Viola, che non può
aiutarlo, sostenendo che è malata.
Film
Dopo un po’, François va in camera
di Viola e la trova a pregare, poi la possiede con violenza. Quindi è lei ad amarlo
con dolcezza. La mattina dopo, con pochi
bagagli in mano, i due sono pronti alla
fuga. I genitori se ne accorgono e provano
invano a bloccarli.
Edoardo telefona a Chiara: lei lo invita
a non farsi più sentire. Mentre suona, Alice
avverte uno sparo. Scende e trova Edoardo
alla scrivania, con la pistola puntata alla
testa e gli chiede: “Pensi che adesso ti farò
da infermiera?”. Lui la invita a organizzare la festa per le loro nozze d’argento.
Il film si conclude con Viola e François, sereni, in auto.
itratto dello sfacelo di una famiglia borghese, psicodramma in
salsa italiana, In carne e ossa è
un film della solitudine, dell’incomunicabilità, della disfatta esistenziale... Alice riesce a esprimersi solo con la musica. Nella
scena in cui, mentre suona, entra Viola,
sbaglia accordo appena percepisce la presenza della figlia alle sue spalle: è una delle
note stonate della sua vita. Edoardo, come
un burattinaio, s’illude di tenere in mano le
fila del mondo, della sua vita e di quella di
sua figlia, dallo spazio inviolabile e rassicurante di casa sua, tramite il cellulare o
via internet. L’uomo, contrariamente alla
moglie, tende a minimizzare la gravità della
malattia di Viola, forse perché, pur se difficile da credere, è stato proprio lui a provocarla e intende adesso mantenerla. Ritenendosi brutta e malata (il titolo fa riferimento alla sua condizione di anoressica),
e non riuscendo a trovare una propria identità, la propria libertà, Viola vede in François una possibilità di redenzione e vi si aggrappa, pur reagendo a suo modo. È l’unica che si salva dal frastagliato panorama
di violenze psicologiche nel quale è immersa. François infatti la aiuta e poi la porta
via con sé, in preda forse all’entusiasmo
di quei momenti, o dopo la struggente delusione dell’abbandono da parte della sua
amante, non si capisce bene verso quale
futuro. Durante un pasto, Alice aveva chiesto allo psichiatra se qualche donna lo
avesse amato solo per compassione. Lui
supponeva di sì, sentendosi pertanto in
dovere di amare a sua volta una donna di
cui avesse pietà. Forse è per questo che
si fa carico di Viola, o solamente per salvarla dalle sottili e devastanti lotte psicologiche dei genitori, delle quali la ragazza è
vittima e da cui senza dubbio scaturisce
anche parte dei suoi turbamenti.
Nella quieta apparenza di una vita che
scorre serena in una casa immersa tra i
boschi, v’è invece un ribollire interiore di
R
Tutti i film della stagione
sentimenti e desideri, ambizioni e frustrazioni. Il sesso, molto discusso e poco praticato, diviene un’ossessione asfittica. S’intuisce che la vita di Edoardo e Alice è costellata di fallimenti e tormentata dall’insoddisfazione, senza vie d’uscita: lei è una
pianista, ma suona solo per se stessa, mai
alludendo a una sua attività concertistica.
Lui ha portato al dissesto la clinica del suocero, è stato arrestato con l’accusa di aver
praticato l’eutanasia, vuole candidarsi in
politica ma la sua protettrice, interessata
solo alla carriera e alle apparenze, lo scarica, come pure molla il suo giovane amante François. Marito e moglie, che forse un
po’ si amano, o si sono amati; adesso per
lo più si disprezzano, ma non hanno il coraggio di separarsi. Viola è il frutto di questo interiore logorio: è sola, fragile, insicura, visitata da incubi e pensieri luttuosi. Le
fanno compagnia i libri, la musica, i suoi
pasti a base di biscotti e caffè, nel chiuso
della sua stanza, buia, nella quale impera, come in tutta la casa, una luce soffusa,
autunnale, decadente come l’animo dei
protagonisti.
Certo, temi tanto intensi quanto delicati come la malattia mentale e queste affliggenti dinamiche familiari avrebbero
meritato un approfondimento maggiore.
Rimane il tentativo di un film impegnato, a
tratti duro, veramente d’autore. Opera prima di Christian Angeli, ambientata all’interno di una villa isolata, ove tre esistenze, pur se a strettissimo contatto, proce-
dono parallele e ciascuna per binari suoi
propri, presenta lo sconvolgimento dell’arrivo di un ospite che turba i già precari
equilibri familiari. Il suo avvento, tuttavia,
non è casuale: Alice, che da lui si sente
attratta, attende lo stimolo per lasciare
definitivamente il marito. Edoardo, invece,
fruga tra i recessi oscuri dell’attività professionale dell’uomo, e nella memoria del
suo pc, per fornire prove della sua colpevolezza alla di lui amante, la politica Chiara Torre, e così arruffianarsela in vista di
una sua candidatura. Ma tra i due litiganti... gode solo la figlia. Quando infatti scopre, leggendo per caso il diario-romanzo
del padre, che la sua malattia è alimentata dai comportamenti del genitore (le inutili medicine somministrate, le parole che
le rivolgeva da bambina, i suoi atteggiamenti), si scatena in Viola, dopo lo choc,
la forza di emanciparsi sia dal ruolo di
malata, che da quello di figlia. La avvantaggia un’improvvisa e inattesa decisione
di Chiara, amante di François, ma implicitamente la aiuta il padre stesso, propiziando con la sua soffiata la rottura tra i due
amanti. Con la fuga, si apre alla ragazza
un nuovo orizzonte, la possibilità di una vita
luminosa, oltre la grigia cortina di casa sua,
ove il padre e la madre continueranno a
odiarsi rimanendo insieme. Adesso Viola
ha davvero in mano tutte le potenzialità
dell’esistenza.
Luca Caruso
L’ESTATE DI MARTINO
Italia, 2010
Regia: Massimo Natale
Produzione: Mario Mazzarotto per Movimento Film/Rai Cinema
Distribuzione: Movimento Film
Prima: (Roma 19-11-2010; Milano 19-11-2010)
Soggetto: tratto dalla sceneggiatura Luglio 80 di Giorgio Fabbri (Premio Solinas 2007)
Sceneggiatura: Giorgio Fabbri
Direttore della fotografia: Vladan Radovic
Montaggio: Paola Freddi
Musiche: Roberto Colavalle
Scenografia: Sabrina Balestra
Costumi: Alessia Condò
Produttore esecutivo: Linda Vianello
Direttore di produzione: Linda Vianello
Collaborazione artistica: Giuseppe Eusepi
Aiuto regista:Giuseppe Eusepi
Suono: Michele Tarantola, Luca Bertolin
Interpreti: Treat Williams (Capitano Jeff Clark), Luigi Ciardo (Martino), Matilde Maggio (Silvia), Pietro Masotti (Massimo), Matteo Pianezzi (Luca), Simone Borrelli (Andrea), Renata Malinconico (Serena), Benjamin Francorsi, David Hartcher (militari),
Silvia Delfino (madre di Martino), Marcello Prayer (padre di Martino)
Durata: 85’
Metri: 2330
21
Film
l 2 agosto del 1980 una ragazza
esile e dai lunghi capelli biondi
si appresta a scendere dal treno
alla stazione centrale di Bologna. Mancano pochi minuti alle 10:25, quando una
bomba rudimentale porrà fine all’esistenza di ottantacinque persone. Ma, prima che
l’esplosione provochi l’effetto distruttivo,
l’azione si blocca e inizia un lungo flashback, che porta lo spettatore su un anonimo litorale pugliese. È il 27 giugno dello
stesso anno, ossia il giorno del disastro
aereo di Ustica, dove persero la vita ottantuno individui. Su quella lingua di sabbia arsa dal sole, un adolescente di nome
Martino guarda al di la di una rete le onde
infrangersi sulla costa. Sebbene il cartello
posto in alto vieti a chiunque di oltrepassare quella delimitazione, la tentazione di
tuffarsi in acqua per il giovane è troppo
forte. Poco importa che per avverare il suo
desiderio debba effettuare un buco tra le
maglie della recinzione e varcare una zona
militare statunitense. Nel frattempo, la sua
mente si perde nei particolari di una vecchia storia che la madre defunta gli raccontava spesso da bambino, per farlo addormentare. La favola ruotava intorno al
coraggioso eroe Dragut, il quale per amore aveva sfidato il mare aperto, rifuggendo da qualsiasi porto o riparo sicuro. Tuttavia, l’emergere di quei ricordi infantili
viene interrotto bruscamente dalla comparsa all’orizzonte di Massimo, il fratello
maggiore di Martino. Costui, con fare piuttosto manesco, riaccompagna il minore a
casa. Qui li attende il genitore paterno: un
operaio comunista dal volto scavato e dagli occhi segnati dalla perdita della moglie e dai grattacapi che gli procura il secondogenito. La sera successiva, il piccolo protagonista si reca di nuovo sulla spiaggia riservata all’esercito americano, dove
incontra il fratello in compagnia della sua
fidanzatina Silvia e degli amici. A quanto
pare, i giovani sono intenti a preparare
l’occorrente per un falò. Appena Martino
incontra lo sguardo pieno di vita di un fiore raro come Silvia, se ne innamora perdutamente. Se Martino non può che ignorarlo, il pubblico – appena riconosce in
Silvia i tratti somatici della passeggera
scesa dal vagone ferroviario a Bologna –
sa già quale destino toccherà in sorte alla
fanciulla. La mattina dopo, Martino e Silvia si rincontrano sempre lungo quell’arenile, ora solcato dalle tavole da surf di tre
soldati U.S.A. Essendoci pure i compagni
della combriccola di Massimo, lo scontro
tra italiani di fede comunista e gli americani non tarda a scoppiare, dal momento
che le ragazze del gruppo sembrano piuttosto affascinate dagli addominali scolpiti
I
Tutti i film della stagione
di quei “danzatori sull’acqua”. A sedare
la rissa, interviene il capitano Jeff Clark,
cui in seguito Martino chiederà di insegnargli quello strano sport, finora pressoché sconosciuto sulla nostra penisola.
L’ufficiale della base NATO accetta di
aiutarlo a cavalcare le onde. Le lezioni
avranno luogo la mattina presto, preferibilmente alle sette. Per il protagonista l’impresa si rivela più difficile del previsto, tanto che, a volte, l’idea di abbandonare il progetto gli balena nel cervello. Ma, come gli
suggerisce lo stesso capitano, non c’è niente di meglio che rituffarsi subito in acqua
per dare un colpo di spugna a quei brutti
pensieri. Durante gli addestramenti, spesso l’adulto e il piccolo uomo si confessano i
propri pensieri e stati d’animo. Così, Martino viene a sapere che il capitano Clark ha
un figlio, dimessosi improvvisamente dall’esercito per cercare altrove il senso di una
vita, che non debba per forza assecondare
le aspettative nutrite dal padre. Seppure il
ragazzo non abbia molte esperienze sulle
spalle, riesce quantomeno a comunicare al
milite la sensazione di estraniamento che
provano molti giovani della sua generazione o di quella poco anteriore. L’amicizia
particolare nata fra i due potrebbe – però –
bruscamente si interrompe, allorché all’orecchio del genitore di Martino giungono strane voci. Pertanto, l’operaio lascia
la fabbrica durante l’orario di lavoro e si
precipita sulla spiaggia, per guidare il figlio fino all’appartamento. Non sarà comunque un pugno sferrato dal padre in un
attimo d’impazienza a distogliere l’adolescente dalla passione per il surf, soprattutto dopo che il capitano Clark fa dono al suo
nuovo confidente di una tavola delle dimensioni di un ragazzo. Nel frattempo, anche
sul fronte sentimentale la situazione migliora. Infatti, tra Martino e Silvia l’intimità
aumenta, nonostante lei non si sia ancora
decisa a rompere con Massimo. Una sera,
poco prima del ritorno in Emilia Romagna
della fanciulla, i due trascorrono intere ore
sulla costa, scambiandosi baci e carezze.
L’incanto termina la mattina seguente,
quando Massimo sull’arenile s’imbatte nel
fratello minore e in quella che – a tutti gli
effetti – è ancora la sua fidanzata. Massimo
stizzito da quell’ambigua circostanza, ipotizza a gran voce che entrambi l’hanno voluto fare becco alle sue spalle, ma Silvia con
fare tenero lo distoglie dalla realtà. Persuaso dalle parole della giovane donna, Massimo smette di vituperare contro la partner.
Diverso, invece, il modo con cui si relaziona con il fratello, reo colpevole – a suo parere – di avergli mentito. Stanco delle ripetute angherie di Massimo, Martino afferra
una pietra tra la sabbia e la scaglia contro
22
quel prepotente, procurandogli una ferita
per cui occorrono ben quindici punti di sutura. Piuttosto che andare a trovare Massimo all’ospedale dove è stato ricoverato,
Martino sceglie di dire addio al capitano
Clark, che di lì a qualche giorno farà ritorno in patria al fine di ritrovare suo figlio. Il
protagonista evita la solita cerimonia tragica fatta di abbracci, baci e lacrime, preferendo lasciare sulla rete di ferro una polaroid scattata da Silvia che ritrae Martino
insieme al graduato. A questo punto, termina il lungo flashback su cui si basa il lungometraggio e l’immagine ritorna a quel
drammatico 2 agosto 1980. Grazie a un finale puramente inventato, nessuna bomba
sconvolgerà la sala d’aspetto dello scalo
ferroviario di Bologna. A chilometri di distanza da lì, su quella ormai familiare spiaggia pugliese, Martino provocherà una deflagrazione portando a galla un vecchio
ordigno militare, risalente alla seconda
guerra mondiale.
’estate di Martino è la prima opera cinematografica del noto regista teatrale Massimo Natale, che
ha voluto dedicare il film alle ottantacinque vittime della strage di Bologna. Presentato nella sezione Alice del Festival Internazionale di Roma 2010, questo film a
low budget è la trasposizione sul grande
schermo dell’omonimo libro di Giorgio Fabbri, vincitore nel 2007 del prestigioso Premio Solinas.
Le difficoltà esistenziali di un ragazzo
che all’inizio degli Ottanta non aveva neppure quindici anni coabitano con una pagina inaccettabile della nostra epoca moderna, in cui perdura la famosa strategia
del terrore inaugurata dal caso Moro. I fantasmi storici delle stragi praticamente contemporanee di Ustica e di Bologna fiancheggiano e si confrontano con la scrittura poetica della favola di Dragut ma, sia
dal vero che dalla potenza del falso, trascende una certa tensione al malessere.
Su un duplice asse espressivo si colloca anche il rapporto che Martino instaura con l’Altro e con i compaesani che, non
appena si sentono bruciati nel vivo dell’esperienza personale, reagiscono cantando Bandiera Rossa. Aggredendo con
l’obbiettivo un oggetto come una semplice tavola di legno, l’autore punta su un protagonista che applica una rottura nel sistema, non facendo altro che un’azione
minima come perforare una rete. Alla maniera del celebre personaggio forgiato dalla
penna di Lewis Carroll, Martino si getta a
capofitto – si fa per dire – nell’oscuro e
misterioso “buco del coniglio”, penetrando in una sorta di zona di confine che lo
L
Film
spiazza e spazza via in un secondo tutte
le maldicenze raccontate dal padre sul
conto degli americani. Qualcosa del genere avviene pure per il capitano Clarck. Tra
le tante lezioni di surf che impartisce al
giovane, è proprio il taciturno militare a
beneficiare del precetto più importante: il
dialogo umano. A questo proposito, era
assolutamente necessario “sbattere” bene
in primo piano l’intensa intesa che si crea
Tutti i film della stagione
fra l’esordiente Luigi Ciardo e un attore
navigato come Treat Williams.
Bisogna ammettere che la pellicola di
Natale ha una struttura che, a prima vista,
potrebbe sembrare alquanto sgangherata, giacché paradossalmente poco dopo i
titoli di coda ci dice che il personaggio femminile principale perirà, per colpa di quelli
che ancora oggi – a venti anni esatti di differenza – sono ancora dei perfetti scono-
sciuti. Ma, nulla è mai chiaro e già dato
sembra suggerire il finale, essendo la componente naturalistica sostituita da una congiuntura poco plausibile eppur probabile.
Esattamente come l’americano Sliding
doors, L’estate di Martino permette di interrogarci su quanto il destino non sia altro che un cieco gioco d’incastri.
Maria Cristina Caponi
NOI CREDEVAMO
Italia, 2009
Regia: Mario Martone
Produzione: Carlo Degli Esposti, Conchita Airoldi, Giorgio
Magliulo per Palomar/ Les Films d’Ici in collaborazione con
Rai Cinema/Rai Fiction/Arte France Cinéma
Distribuzione: 01 Distribution
Prima: (Roma 12-11-2010; Milano 12-11-2010)
Soggetto: liberamente ispirato a vicende storiche realmente
accadute e al romanzo omonimo di Anna Banti
Sceneggiatura: Giancarlo De Cataldo, Mario Martone
Direttore della fotografia: Renato Berta
Montaggio: Jacopo Quadri
Musiche: Hubert Westkemper
Scenografia: Emita Frigato
Costumi: Ursula Patzak
Produttore associato: Carlo Cresto-Dina
Co-produttore: Serge Lalou
Line producer: Patrizia Massa
Direttore di produzione: Erik Paoletti
Organizzatore generale: Patrizia Massa
Casting: Paola Rota, Raffaele Di Florio
Aiuti regista:Paola Rota, Raffaele Di Florio, Sara Casani, Alice Filippi, David Maria Putorti, Vincenzo Rosa, Valérie Tristan
Operatore: Renaud Personnaz
Trucco: Vittorio Sodano, Federico Carretti, Alessandro D’Anna,
Rossella Gregorio, Katia Sisto
829. Davanti alla brutale uccisione dei banditi Capozzoli, promotori di una rivolta repressa nel
sangue dall’esercito borbonico, tre giovani, Domenico, Angelo e Salvatore, giurano di dedicare la propria vita alla libertà
e all’indipendenza dell’Italia. Qualche
anno dopo, i tre, lasciata la natia terra del
Cilento, si affiliano alla Giovine Italia di
Giuseppe Mazzini che è esiliato a Ginevra
nel 1831. I giovani si spostano a Parigi
dove frequentano Cristina di Belgiojoso,
principessa, convinta patriota, donna
emancipata, paladina dei diritti delle donne e del diritto all’istruzione per il popolo.
I tre partecipano al fallito tentativo di assassinare re Carlo Alberto, per il quale il
giovane rivoluzionario Antonio Gallenga
detto ‘Procida’ si ritirò all’ultimo momento, e ai moti savoiardi del 1834 organizzati da Mazzini. Ma, proprio il fallimento di
1
Acconciature: Aldo Signoretti, Luca Vannella
Ricerca iconografica e musicale: Ippolita Di Majo
Suono:Gaetano Carito, Maricetta Lombardo, Silvia Moraes
Musiche estratte: brani di Giuseppe Verdi, Vincenzo Bellini,
Gioacchino Rossini eseguite dall’Orchestra Sinfonica della Rai
di Torino diretta da Roberto Abbado
Interpreti: Luigi Lo Cascio (Domenico), Valerio Binasco (Angelo), Toni Servillo (Giuseppe Mazzini), Francesca Inaudi (Cristina di Belgiojoso giovane), Luca Barbareschi (Antonio Gallenga), Luca Zingaretti (Francesco Crispi), Guido Caprino (Felice Orsini), Renato Carpentieri (Carlo Poerio), Ivan Franek
(Simon Bernard), Anna Bonaiuto (Cristina di Belgiojoso), Pietro Manigrasso (detenuto), Pino Calabrese (maresciallo Del
Carretto), Enzo Salomone (Barone Pica), Andrea Bosca (Angelo giovane), Andrea Renzi (Sigismondo di Castromediano),
Franco Ravera (Antonio Gomez), Stefano Cassetti (Carlo
Rudio), Michele Riondino (Saverio), Roberto De Francesco
(Don Ludovico), Alfonso Santagata (Saverio o’trappetaro),
Peppino Mazzotta (Carmine), Giovanni Calcagno, Vincenzo
Pirrotta (attori della Vicaria), Edoardo Natoli (Domenico giovane), Luigi Pisani (Salvatore), Fiona Shaw (Emilie Ashurst
Venturi)
Durata: 170’
Metri: 4940
queste imprese, insinua nei giovani molti
dubbi. La crisi dei loro ideali acuisce anche le differenze di classe che dividono i
tre: da una parte Angelo e Domenico di
estrazione nobiliare e dall’altra Salvatore, di estrazione popolare. Domenico riprende l’attività rivoluzionaria cospiratoria, mentre Angelo abbraccia una visione
“demoniaca” e più violenta della rivoluzione e, in un accesso d’ira, uccide Salvatore accusandolo di essere divenuto una
spia. Passano diversi anni e, trascorso il
1848, cade la Repubblica romana. Sorpreso da un’imboscata dell’esercito borbonico, Domenico viene arrestato e condannato a una lunga pena. Nel carcere di Montefusco, le amicizie di uomini come il duca
Sigismondo di Castromediano lo aiutano
a superare momenti difficili. Col passare
del tempo, osservando i suoi compagni di
carcere, Domenico si rende conto che si
23
allarga sempre più l’abisso che divide i repubblicani dai monarchici e gli aristocratici dai poveri. Domenico capisce che, se e
quando ci sarà, l’unità non sarà di tutti gli
italiani. Da repubblicano, egli soffre nell’assistere al brindisi con il quale i patrioti reclusi giurano fedeltà alla monarchia.
Nel frattempo, Angelo, sempre più posseduto dal demone della violenza, si reca a
Londra dove, entrato in contatto con i circoli radicali ispirati dal repubblicano francese Simon Bernard, lascia il movimento
mazziniano e si lega a Felice Orsini. Quest’ultimo mette a punto un attentato a Napoleone III cui Angelo partecipa. L’attentato fallisce, ma le bombe esplose tra la
folla provocano otto morti e centocinquanta feriti. È il 1858. Angelo viene arrestato
e processato e muore sul patibolo accanto
a Orsini. Tra la folla che assiste all’esecuzione, c’è Domenico, nel frattempo uscito
Film
di prigione. Intanto l’astro di Mazzini è in
caduta libera anche tra i rivoluzionari europei e l’azione politica in Italia è passata
alla monarchia piemontese ispirata da
Cavour.
L’animo di Domenico è in subbuglio e
nemmeno l’unità d’Italia riesce a placarlo. Il Risorgimento si è risolto in una conquista di diverse parti della penisola da
parte dei piemontesi, il cui atteggiamento
è divenuto sempre più oppressivo nei confronti del sud. Domenico, ormai cinquantenne, ritorna nel suo sud dilaniato da una
sanguinosa guerra civile e tenta di aggregarsi alla spedizione di Garibaldi nel tentativo di conquistare Roma contro il volere del neoparlamento italiano. Nelle campagne del Cilento, unendosi alle truppe
garibaldine conosce il giovane Saverio che
scopre essere il figlio del suo vecchio amico Salvatore, ucciso da Angelo quasi
trent’anni prima. È il 1862. Fallita l’impresa sulle montagne dell’Aspromonte,
Domenico non riesce a impedire che Saverio muoia ad opera della violenta repressione dell’esercito piemontese. Giunto in
un parlamento popolato da ombre in cui
risuonano le parole di Francesco Crispi
che sancisce la definitiva rottura con gli
ideali mazziniani e repubblicani, Domenico medita tristemente sul perché l’Italia sia
nata così tragicamente.
na delle tante polemiche suscitate dall’opera di Martone ha riguardato Mazzini, l’unico dei padri nobili del Risorgimento che emerge con
una pennellata un po’ più decisa nel film,
dove sono quasi del tutto esclusi (fatta eccezione per un ambiguo Crispi, esempio
di trasformismo politico ante litteram) gli
altri grandi padri della nostra epopea uni-
U
Tutti i film della stagione
taria: di Garibaldi si intravede solo l’ombra
abbagliante tra le truppe di camicie rosse,
mentre Cavour è del tutto assente. Una
parte della critica ha parlato di un “Mazzini terrorista”, di un uomo che aveva legami con un personaggio controverso come
il conte Carlo Bianco di Saint-Jorioz, luogotenente dell’esercito piemontese membro della Carboneria internazionale, cospiratore e agente di collegamento con Mazzini, con il quale cooperò alla spedizione
in Savoia nel 1834. Ricordando una frase
lasciata dal padre della Giovine Italia nel
“Manuale pratico del rivoluzionario italiano” del Saint-Jorioz, in cui affermava che
“per ottenere la liberazione della patria
anche i mezzi ritenuti come barbari nelle
guerre regolari dovevano essere utilizzati
per atterrire, spaventare, distruggere il
nemico”, si è parlato di “strategia terroristica mazziniana”.
Mazzini terrorista e “cattivo maestro di
tattica stragista” o, per usare le parole di
Giancarlo De Cataldo, cosceneggiatore del
film di Martone e autore de “I traditori”, romanzo sui giovani padri della patria e “fratello” del film, “un tirannicida” a cui il terrorismo indiscriminato volto a seminare paura era però profondamente estraneo?
Questione di lana caprina se si pensa che
la storia della nascita di ogni nazione è
sempre stata segnata da un battesimo nel
sangue. È quindi errato pensare a un’eccezione italiana. Lo stesso regista ammette
di aver pensato al film interrogandosi sul
quel rapporto “quasi fisiologico” tra terrorismo e lotta per l’indipendenza.
La vera anima del film sta semmai altrove. Posto che il merito dell’opera non
sta tanto nel mostrare i lati oscuri e le contraddizioni del Risorgimento, già evidenziati in alcune opere di pregio del cinema
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italiano (un titolo su tutti, Allosanfàn dei
Taviani), la vera ombra che si allunga sul
film e sulle vicende dei protagonisti, che
vissero in modi diversi le lotte per l’unificazione della patria, sembra essere piuttosto quella di un’altra figura del nostro Risorgimento, Carlo Pisacane. Proprio l’eroe
di Sapri, cui il film riserva solo un cenno,
sembra invece essere la chiave di volta con
cui leggere in filigrana le vicende che sono
poste in primo piano nel film. Conviene
andare per ordine.
Con Noi credevamo Martone, con
l’aiuto di De Cataldo, sceglie di mettere
in luce tre figure “minori” del nostro Risorgimento (Domenico Lopresti, Giuseppe Andrea Pieri e Antonio Sciambra), attribuendo le loro vicende a tre personaggi di immaginazione. Uno dei tre personaggi, Domenico, è ispirato al protagonista del romanzo in cui Anna Banti racconta la storia del nonno cospiratore (Domenico Lopresti), “Noi credevamo” appunto,
titolo che è talmente piaciuto al regista
da farlo suo. Attorno alle vicende di Domenico, Angelo e Salvatore, che incarnano modi diversi di vivere l’esperienza della
cospirazione e della lotta armata, il regista ha costruito l’impalcatura del racconto composta di fatti presi dalla documentazione storiografica. Ponendo volutamente sullo sfondo quelle dei padri storici, le
storie di Domenico, Angelo e Salvatore
sono lo specchio attraverso cui Martone
rilegge i guasti e le radici già marce su
cui è nata l’unità d’Italia.
Una rivisitazione del nostro Risorgimento utile proprio in occasione del centocinquantenario dell’unità, che in ogni
angolo del paese ci si appresta a celebrare, un film decisamente politico sul fallimento di ogni utopia di vera democrazia.
Un’opera che, cogliendo l’occasione celebrativa, coglie la palla al balzo per porre
l’accento su scomode verità. I giovani cospiratori poco conosciuti accanto ai volti
appena accennati dei grandi del Risorgimento. Bel messaggio per le giovani generazioni. Peccato che ad affollare le sale,
gremite anche per colpa di una sciagurata
distribuzione in un numero irrisorio di copie, sia stato soprattutto un pubblico maturo. Un grande affresco, in cui, i momenti
più farraginosi, vengono ripagati dalla grande prova di un cast di attori eccellenti, dal
Domenico di Luigi Lo Cascio, al Mazzini di
Toni Servillo, al Crispi di Luca Zingaretti,
passando per le convincenti prove di Valerio Binasco, Guido Caprino, Luca Barbareschi. Una menzione a sé merita Francesca Inaudi nei panni dell’illuminata principessa di Belgiojoso.
Martone tocca gli interrogativi più ur-
Film
genti per coloro che pagarono col sangue l’unità del paese: un’Italia monarchica o repubblicana? Meridionale o piemontese? È un po’ la dialettica dei “due Risorgimenti” l’anima del film, che si sente
soprattutto nella parte centrale, la più verbosa e ostica ma la più interessante, quella in cui Domenico, in carcere, discute del
futuro dell’Italia con altri illustri patrioti prigionieri. L’Italia nasce divisa, chi la vuole
repubblicana, chi la vuole sotto la corona
del Piemonte, chi parla di comune sentire rivoluzionario, chi persegue solo l’annessione di un sud dilaniato da una scia
di sangue. Mazzini e l’idealismo tragicamente vissuto, Crispi e l’opportunismo
politico: dualismo, conflitti, divisioni, ieri
come oggi.
E proprio dalla vicenda di Domenico, il
più longevo dei tre, l’unico che riesce a
vedere l’Italia unita e vera anima morale
del film, appare chiara la silhouette del vero
fantasma che aleggia nel sentimento e
Tutti i film della stagione
nelle lacerazioni di un giovane rivoluzionario, Carlo Pisacane.
Se ripercorriamo tutta la vicenda del
giovane idealista cospiratore, poi uomo
maturo e disilluso all’indomani dell’unità
d’Italia (Noi credevamo appunto), risuonano le parole del testamento politico dell’eroe
di Sapri: “Alcuni dicono che la rivoluzione
deve farla il paese: ciò è incontestabile. Ma
il paese è composto d’individui e, poniamo
il caso che tutti aspettassero questo giorno
senza congiurare, la rivoluzione non scoppierebbe mai; invece se tutti dicessero: ‘la
rivoluzione deve farla il paese, di cui io sono
una particella infinitesimale, epperò ho anche io la mia parte infinitesimale da compiere, e la compio’ la rivoluzione sarebbe
immediatamente gigante”.
Uno dei grandi meriti dell’opera di Martone, che può vantare di aver evitato ogni
inutile e fumosa retorica e che può anche
permettersi il lusso di arditi e voluti anacronismi (come i piloni di cemento armato
che si ergono nell’aspra campagna meridionale), è proprio quello di dimostrare
come, alla conta dei fatti, il popolo fu più
spettatore che protagonista, con buona
pace delle convinzioni dell’eroe di Sapri,
fautore di una democrazia “diretta e integrale” e dell’esigenza di mobilitare i più
larghi strati popolari per portare avanti la
rivoluzione italiana verso sbocchi che non
la mortificassero.
Suggello perfetto per una “storia di idealità tradite” (così il regista ha parlato del
suo film riferendosi al collante che tiene
uniti i quattro capitoli in cui è diviso), quella scena finale che parla con potenza allo
spettatore. Il parlamento vuoto e le parole
di un Crispi Presidente del Consiglio trasformista, reazionario, autoritario, ex mazzinano divenuto filo monarchico: la morte
di uno, cento, mille ideali .... Ma non è la
storia di oggi?
Elena Bartoni
UNA NOTTE DA LEONI
(The Hangover)
Stati Uniti, 2009
Regia: Todd Phillips
Produzione: Daniel Goldberg, Todd Phillips per Warner Bros.
Pictures/ Legendary Pictures/ Green Hat Films/ IFP Westcoast Erste
Distribuzione: Warner Bros. Pictures
Prima: (Roma 19-6-2009; Milano 19-6-2009)
Soggetto e sceneggiatura: Jon Lucas, Scott Moore
Direttore della fotografia: Lawrence Sher
Montaggio: Debra Neil-Fisher
Musiche: Christophe Beck
Scenografia: Bill Brzeski
Costumi: Louise Mingenbach
Produttori esecutivi: Chris Bender, Scott Budnick, William
Fay, Jon Jashni, J.C. Spink, Thomas Tull
Co-produttori:David Siegel, Jeffrey Wetzel
Direttore di produzione: David Siegel
Casting: Juel Bestrop, Seth Yanklewitz
Aiuti regista: Kevin O’Neil, Paul Schneider, Jeffrey Wetzel
Operatori: Daniel C. Gold, Geoffrey Haley, Daniel Nichols,
Robert Petrin
Operatore Steadicam: Geoffrey Haley
Art directors: Andrew Max Cahn, A. Todd Holland
Arredatore: Danielle Berman
oug sta per sposarsi con Tracy.
Come addio al celibato il futuro
cognato Alan, gli amici Phil e Stu
lo portano per una notte a Las Vegas. Con
la Mercedes del suocero, Doug si mette alla
guida; durante il viaggio veniamo a scoprire che Phil è sposato con un figlio ed è un
po’ insoddisfatto della vita, mentre Stu convive con Melissa, donna proibitiva ma che
D
Trucco: Patricia Androff, Keith Sayer, Janeen Schreyer, Susan
Simone, Mary Kay Witt
Acconciature: Merribelle Anderson, Lori McCoy-Bell, Alicia M.
Tripi
Supervisore effetti visivi: Gray Marshall
Supervisori costumi: Charlene Amateau, Mitchell Ray Kenney
Supervisori musiche: George Drakoulias, Randall Poster
Interpreti: Bradley Cooper (Phil Wenneck), Ed Helms (Stu Price), Zach Galifianakis (Alan Garner), Justin Bartha (Doug Billings), Heather Graham (Jade), Sasha Barrese (Tracy Garner),
Jeffrey Tambor (Sid Garner), Ken Jeong (signor Chow), Rachael Harris (Melissa), Mike Tyson (se stesso), Mike Epps (Black
Doug), Jernard Burks (Leonard), Rob Riggle (agente Franklin),
Cleo King (agente Garden), Bryan Callen (Eddie Palermo), Matt
Walsh (dottor Valsh), Ian Anthony Dale, Michael Li (uomini di
Chow), Sondra Currie (Linda Garner), Gillian Vigman (Stephanie), Nathalie Fay (Lisa), Chuck Pacheco (cliente dell’hotel),
Jesse Erwin (cameriere hotel), Dan Finnerty (cantante di matrimoni), Keith Lyle (venditore del casino), Brody Stevens (agente
Foltz), Todd Phillips (signor Creepy), Mike Vallely (Neeco), James Martin Kelly (poliziotto), Murray Gershenz (Felix)
Durata: 100’
Metri: 2750
si concede appena può delle scappatelle. Arrivati a destinazione, prendono la suite superlusso del Caesars Palace. Alan si offre
di comprare gli alcolici. Tutti e quattro salgono sul tetto dell’hotel per il brindisi.
È il giorno seguente. Tutti si trovano nella suite tranne Doug che è scomparso. Al
suo posto i tre amici trovano una gallina
nel soggiorno, una tigre nel bagno e un bam-
25
bino nell’armadio. Nessuno si ricorda nulla della notte precedente. Il matrimonio sarà
il giorno dopo: parte la caccia a Doug.
Come una caccia al tesoro, iniziano la ricerca partendo dal braccialetto da ospedale che Phil si ritrova al polso. Non trovando
neanche la Mercedes, rubano una volante
della polizia. In ospedale, scoprono dalle
analisi del sangue di Phil, che a tutti è stato
Film
somministrato del rufilin; sostanza stupefacente utilizzata negli stupri perché cancella la memoria delle 24 ore successive alla
somministrazione. Spiegato il vuoto di memoria, il gruppo continua la ricerca nella
cappella dove, a detta del medico, Stu si è
sposato. Il ragazzo ha la conferma del suo
matrimonio con una certa Jade, presunta
madre del neonato che i tre hanno deciso di
non abbandonare. Dopo esser sfuggiti a due
forzuti malviventi, arrivano a casa della bella spogliarellista Jade, che si dimostra sinceramente presa da Stu. Irrompe la polizia:
vengono arrestati per il furto della volante.
Grazie alle doti oratorie di Phil, i tre vengono scagionati e recuperano la Mercedes,
miracolosamente intatta. Dal portabagagli
ne esce un cinese completamente nudo che
picchia i tre e fugge via. Alan confessa che
è stato lui a mettere la droga negli alcolici,
pensando però che fosse ecstasy. Decidono, alla fine, di tornare nella suite dove trovano Mike Tyson: la tigre è sua. I tre sono
costretti a riportare, con molta difficoltà, la
tigre alla villa di Tyson per salvarsi dalle ire
funeste dell’atleta. Fuori dalla villa, vengono ritrovati dai due bulli e dal loro capo malavitoso: il cinese. Il boss, pretende un’enorme somma di denaro in fish del casinò vinte
assieme ad Alan, che sarebbero state poi rubate da Alan stesso. In realtà, il cinese e
Alan, hanno semplicemente scambiato le
loro borse. Se gli riporteranno i soldi: in
cambio gli restituirà Doug, che i tre vedono
incappucciato dentro una macchina. Non
trovando la borsa, decidono di vincere
nuovamente i soldi giocando al casinò. Vincono e fanno lo scambio. Non è il loro Doug.
Tutti i film della stagione
Disperati non sanno più dove cercare. Proprio allora Stu ha un’illuminazione: lo ritrovano sul tetto del Caesars, con tanto di insolazione e la borsa con le fish. Giungono
in extremis alle nozze, che si concludono
bene. Stu, innamoratosi di Jade, lascia una
furente Melissa, mentre Phil capisce che solo
con sua moglie è veramente felice.
on lasciasi ingannare dalle apparenze: non è una parodia. Il disguido potrebbe nascere dall’infelice scelta della traduzione dal titolo originale The Hangover, letteralmente la sbornia, che ben poco ha in comune col film di
Nanny Loy, Un giorno da leoni.
Qui si parla della notte goliardica dell’addio al celibato. Tema già affrontato in
diversi film come Cose molto cattive
(1998), ambientato sempre a Las Vegas o
Addio al celibato, appunto, del 1984.
In Una notte da leoni mancano, per
fortuna, le estreme cadute in situazioni
troppo volgari come nel film degli anni Ottanta; però, per sfortuna, non ha neanche
quella venatura noir e grottesca, che tanto
aveva reso il film di Peter Berg, un piccolo
gioellino nel suo genere.
Nonostante ciò, la pellicola, diretta da
Todd Phillips, prosegue senza intoppi per
tutto il corso della sua durata. Tocca schemi già visti, come il matrimonio con la prostituta nella tipica cappella di Las Vegas, o
la scontata scelta del Caesars come punto di partenza per la scenografia, ma con
un piglio leggero e divertente che non annoia. Ben orchestrato il punto di vista dei
tre protagonisti, che ci accompagna per
N
tutto il film, in un continuo rimando a smemoratezze e buchi neri.
Stu, Phil ed Alan sono personaggi delineati con cura, che risultano perciò ben distinguibili in ogni situazione comica e non.
Si parte con Phil, finto playboy in realtà innamorato della vita che conduce, passando per il perbenista Stu che scoprirà la sfrenatezza, fino al bambinone Alan. Naturalmente il merito è anche dei tre attori in parte, rispettivamente da Bradley Cooper, Ed
Helms e Zach Galifianakis. La partecipazione di Tyson, che gioca con la sua stessa
immagine di uomo estremamente irascibile e duro, completa il quadro.
Altro fattore che contribuisce a rendere il film di facile fruizione è la scelta delle
musiche in puro stile pop: datate, ma perfettamente inserite nei giusti momenti
spensierati della storia.
Da un regista che si è divertito a rispolverare il mito immortale di Starsky & Hutch
(2004), non stupisce la scelta di inserire nel
film precise citazioni cinematografiche. Dal
più immediato Tre uomini e una culla (1985)
o Tre scapoli e un bebè (1987), alle elucubrazioni matematiche stile A beautiful mind
(2001) di Alan al tavolo di blackjack. Infine,
una vera chicca per i più cinefili: la sequenza di Rain man (1988), in cui Tom Cruise e
Dustin Hoffman scendono la scala mobile
per andare al casinò.
Da vedere anche i titoli di coda in cui
finalmente si scopre, attraverso le foto ritrovate, cosa abbiano realmente combinato i quattro bravi ragazzi.
Elena Mandolini
BENVENUTI AL SUD
Italia, 2010
Casting: Marita D’Elia, Claudia Marotti
Aiuto regista: Chantal Toesca
Operatore: Ivan Casagrande
Trucco: Raffaella Ragazzi
Acconciature: Fabio Lucchetti
Supervisore effetti speciali: Fabio Traversari
Supervisore effetti visivi: Stefano Marinoni
Coordinatore effetti visivi: Federica Nisi
Suono: Alessandro Bianchi
Interpreti: Claudio Bisio (Alberto), Alessandro Siani (Mattia),
Valentina Lodovini (Maria), Angela Finocchiaro (Silvia), Giacomo Rizzo (Costabile grande), Teco Celio (Gran Maestro),
Nando Paone (Costabile piccolo), Fulvio Falzarano (Mario),
Nunzia Schiano (signora Volpe), Alessandro Vighi (Chicco),
Francesco Albanese (centauro), Salvatore Misticone (signor
Scapece), Riccardo Zinna (vigile), Naike Rivelli (poliziotta)
Durata: 102’
Metri: 2800
Regia: Luca Miniero
Produzione: Riccardo Tozzi, Giovanni Stabilini, Marco Chimenz,
Francesca Longardi per Cattleya/Medusa Film
Distribuzione: Medusa Film
Prima: (Roma 1-10-2010; Milano 1-10-2010)
Soggetto: remake del film Giù al Nord – Bienvenue chez les
Ch’tis di Dany Boon (2009) con la sceneggiatura di Dany Boon,
Alexandre Charlot, Franck Magnier
Sceneggiatura: Massimo Gaudioso
Direttore della fotografia: Paolo Carnera
Montaggio: Valentina Mariani
Musiche: Umberto Scipione
Scenografia: Paola Comencini
Costumi: Sonu Mishra
Produttori esecutivi: Matteo De Laurentiis, Giorgio Magliulo
Produttori associati: Oliver Berger, Martin Moszkowicz
Direttore di produzione: Paolo Coppola
26
Film
lberto è il direttore di un ufficio
postale di una cittadina lombarda. Ha una bella famiglia con cui
condivide il sogno di trasferirsi a Milano.
L’occasione tanto ambita arriva grazie al
pensionamento di un collega, ma il posto
viene ceduto ad un disabile.
Alberto non si scoraggia e pur di lavorare a Milano si finge, a insaputa di sua
moglie, paraplegico. Durante una visita di
controllo di un funzionario, però, preso
dall’euforia si alza dalla carrozzina mostrando a tutti la sua truffa. Come punizione, i dirigenti delle Poste lo trasferiscono in una cittadina Campana, Castellabate, per due anni.
Alberto e la sua famiglia sono distrutti, per loro il sud è sinonimo di delinquenza, pericoli e clima torrido. Ma non ci sono
alternative; il capofamiglia armatosi di
buona volontà e giubbotto antiproiettile si
dirige verso il nuovo posto di lavoro.
L’impatto con il paese è pessimo nonostante l’accoglienza di Mattia, il postino, che lo ospita in casa sua per i primi
giorni. Alberto, fomentato da anni di pregiudizi, vede in ogni parola, in ogni oggetto, la conferma delle sue credenze. Anche
a lavoro la situazione non è migliore: l’ufficio postale sembra andare avanti per
inerzia con impiegati puntuali solo nelle
ripetute pause caffè.
Eppure dopo pochi giorni, Alberto inizia ad abituarsi a quella strana parlata,
all’invadenza bonaria dei suoi compaesani e comincia quasi a stare bene.
Ritornato per il week-end in Lombardia, però, non riesce a confessare alla
moglie Silvia e agli amici questa nuova
visione del meridione e per non “tradirli”
conferma ogni loro paura e convinzione.
Passano le settimane, Alberto è ormai
integrato completamente con i colleghi di
lavoro e gli abitanti del paese, è felice pur
continuando la farsa a telefono con la
moglie.
Quest’ultima, preoccupatissima dalle
notizie che riceve, decide un giorno di partire per confortare un po’ il marito. Alla
notizia l’uomo implora i colleghi di reggergli il gioco e di far finta che la cittadina sia un covo di criminali e accattoni.
Mattia e gli altri, in un primo momento, si
sentono offesi, poi aiutano il loro amico
nell’impresa ricreando un finto paese nelle campagne del Cilento.
Silvia, arrivata a destinazione scortata da finti carabinieri, rimane sconvolta da ciò che vede e prova una forte ammirazione per il coraggio del marito capace di vivere in un luogo simile per mantenere la famiglia. Ma la commedia dura
poco. La donna, dopo poche ore, si rendo
A
Tutti i film della stagione
conto di esser stata beffata e chiede spiegazioni al marito. Alberto le confessa tutto, le spiega di aver agito così per non
deluderla e ammette di trovarsi bene al
Sud. Silvia rincuorata dalle sue parole
decide di trasferirsi anche lei, con il figlio, a Castellabate.
Passano due anni, Alberto riceve una
lettera: è stato trasferito a Milano. Fra le
lacrime la famiglia prepara i bagagli e
saluta gli amici convinta che non sarà un
addio.
arrivo dei fratelli Caponi a Milano è una delle scene più famose
del cinema italiano. Vista e rivista all’infinito riesce sempre a scatenare
ilarità nello spettatore che fatica a credere
come l’ingenuità e il pregiudizio possano
condurre a situazioni così irrimediabilmente comiche.
Sono passati oltre cinquant’anni da
questa commedia di Camillo Mastrocinque
(Toto, Peppino e la Malafemmina) eppure
certi atteggiamenti, che sul grande schermo vengono derisi, mantengono, nella vita
reale, un rigore quasi dogmatico.
Si parla ovviamente del Nord visto da
un meridionale e viceversa. E, in questo
caso, non c’è istruzione, livello socio-culturale o età anagrafica che tenga, la frase
infelice scappa prima o poi a tutti. Ma consoliamoci, non siamo i soli, lo scenario è
comune anche agli altri Paesi.
Non a caso, qualche anno fa in Francia
uscì nelle sale un film molto grazioso di
Dany Boon, conosciuto da noi con il titolo
Giù al Nord, che giocava tutto proprio sul
pregiudizio di un provenzale costretto a trasferirsi per lavoro in una regione del nord.
L’
27
La pellicola, contro ogni previsione,
ottenne un successo tale da ingolosire il
cinema nostrano che ne ha girato un fedele remake ribattezzato Benvenuti al Sud.
Fedele sì, ma con un particolare, la vicenda è specularmente rovesciata: è un
lombardo doc, con la “Madunina”nel cuore ad andare a lavorare nel profondo Sud.
E non poteva essere altrimenti visto il
folclore che circonda determinate aree
dello stivale e che crea nella commedia
dei percorsi obbligati. Luca Miniero, il regista, fa il resto colorando gli stereotipi con
tinte buffe che mostrano un’Italia ottusa e
paradossalmente rassicurante.
Alberto, il protagonista interpretato da
Claudio Bisio, per esempio, parte per il
Cilento con il giubbotto antiproiettile e il
gorgonzola sottobraccio, mentre sua moglie, Angela Finocchiaro, snocciola un’infinità di raccomandazioni che, arrivato a
destinazione, si trasformano in lenti deformanti. Ma la realtà non è quella temuta e
ciò si rivela problematico, perché il pregiudizio, pur nella sua negatività, rafforza i
legami e, nel caso di Alberto, quelli coniugali. Dire “Abbiamo sbagliato” è difficile, più
facile invece creare una rete di menzogne
che vadano ad assecondare un pensiero
illogico, in cui però è facile smarrirsi.
Tradotto nel linguaggio cinematografico e più propriamente della commedia,
questo significa una serie di spassosissimi equivoci che rendono la pellicola leggera e piacevole da vedere.
Miniero abusa delle caratterizzazioni
regionali, le spinge all’eccesso, senza,
però, risultare offensivo per nessuna delle
parti; Meneghino e Pulcinella si litigano lo
scettro, uno scettro che perde valore con
Film
il passare dei minuti fino a diventare, nel
finale, un rottame da riporre in cantina.
È il trionfo del buonismo, si potrebbe
obiettare. Forse. Ma Miniero lo gestisce
senza essere stucchevole, affiancato da un
Tutti i film della stagione
cast di attori che, tra vecchie e nuove leve,
non fa rimpiangere i colleghi d’oltralpe.
Un’ unica critica: invece di rubare
l’idea ai francesi non potevamo inventarci noi qualcosa di originale? Dopotutto la
gara culturale con i nostri “cugini” è ancora aperta...
Ovviamente è una boutade.
Francesca Piano
CORSA A WITCH MOUNTAIN
(Race to Witch Mountain)
Stati Uniti, 2009
Supervisori effetti speciali: Werner Hahnlein, Lee McConnell
Coordinatori effetti speciali: Michael Heintzelman (Amalgamated Pixels), Mark R. Byers
Supervisori effetti visivi: David Lingenfelser (Furious FX),
Reid Paul (Amalgamated Pixels)
Coordinatori effetti visivi: Erika Abrams (Furious FX),
Patrice Goldman, Mindy Minkow
Supervisore musiche: Lisa Brown
Animazione: Tony Morrill, Christian Perry (Sandman Studios
Motion Graphics)
Interpreti: Dwayne Johnson “The Rock” (Jack Bruno), Anna
Sophia Robb (Sara), Alexander Ludwing (Seth), Carla Gugino
(dottoressa Alex Friedman), Ciarán Hinds (Henry Burke), Tom
Everett Scott (Matheson), Chris Marquette (Pope), Billy Brown
(Carson), Garry Marshall (dottor Donald Harlan), Kim Richards
(Tina), Ike Eisenmann (sceriffo Antony), Tom Woodruff Jr. (Siphon), John Duff (Frank), Bob Koherr (Marty), Kevin Christy
(Matt), Bob Clendenin (Lloyd), Sam Wolfson, Bryan Fogel (soldati imperiali), Robert Torti (Dominick), John Kassir (Chuck),
Beth Kennedy (Stenftenagel), Harry S. Murphy (dottor Pleasence), Ted Hartley (generale a quattro stelle Lewton), Jack
Eastland (generale Albert), Meredith Salenger (Natalie Gann),
Andrew Shaifer (Casey Taylor), Suzanne Krull (Gail Ross), Steve Rosenbaum (Oren Bergman),Christine Lakin (Sunday)
Durata: 103’
Metri: 2830
Regia: Andy Fickman
Produzione: Andrew Gunn per Walt Disney Pictures/Gunn Films
Distribuzione: Walt Disney Studios Motion Pictures
Prima: (Roma 29-5-2008; Milano 29-5-2008)
Soggetto:tratto dal romanzo Escape to Witch Mountain di
Alexander Key (1968)
Sceneggiatura: Matt Lopez, Mark Bomback
Direttore della fotografia: Greg Gardiner
Montaggio: David Rennie
Musiche: Trevor Rabin
Scenografia: David J. Bomba
Costumi: Genevieve Tyrrell
Produttori esecutivi: Mario Iscovich, Ann Marie Sanderlin
Casting: Sarah Finn, Randu Hiller
Aiuti regista: Ian Calip, Geoffrey Hansen, Scott Rogers, Sunday Stevens
Operatori: Sean McKelvey, Jody Miller, Bill O’Drobinak, Andres L. Porras
Operatore Steadicam: Jody Miller
Art director: John R. Jensen
Arredatori: Patrick Cassidy, Kara Lindstrom
Effetti speciali trucco: David A. Brooke, Brad Look
Trucco: Allan A. Apone, Camille Henderson, Louis Lazzara,
Susan Simone
Acconciature: Cheryl Eckert, Rhonda O’Neal, Rachel Solow,
Soo-Jin Yoon
ex carcerato Jack Bruno fa ora
il tassista a Las Vegas, vivendo
tranquillo tra una corsa e l’altra, inframmezzata dalle teorie della dottoressa Alex Friedman sull’esistenza degli alieni. Un giorno, salgono sul suo taxi due ragazzini, Sara e Seth. I due chiedono di essere
portati in un posto dai proprio genitori, pagandogli più di 15mila dollari. La destinazione è una cosa sperduta e lontana da tutto,
nella quale i due ragazzi prendono uno strano oggetto contenente materia aliena. Dopo
essere riusciti a sfuggire fortunosamente all’attacco micidiale di una strana creatura,
programmata per ucciderli, Jack ha la conferma ai proprio sospetti: Sara e Seth sono
due extraterrestri. Sono stati mandati sulla
Terra dai loro genitori per recuperare il risultato di un esperimento da loro condotto
tempo prima. Il loro pianeta sta morendo e i
suoi governamenti intendono attaccare e invadere la Terra per garantirsi la sopravvivenza, nonostante l’esperimento dimostri
quanto questo sia inutile e dannoso per tutti.
Per fermarli, il governo ha mandato un “sicario” per distruggerli, che non si arresterò
L’
fino a quando non avrà compiuto il suo compito. Ma il governo alieno non è il solo a
dare la caccia a Sara e Seth: anche il governo americano, dopo che il sindaco di Las
Vegas ha lanciato l’allarme sullo sbarco degli extraterrestri, è sulle loro tracce ed è riuscito a sequestrare la loro astronave, nascondendola nella base militare di Witch Mountain. Jack è l’unico che possa aiutare Sara e
Seth a recuperarla per poter tornare sul loro
pianeta. Aiutati dalla dott.ssa Friedman, il
gruppo di dirige verso la base, inseguiti dalle agenzie governative e dal sempre più minaccioso Siphon. Dopo essere stati catturati
dai militari, Sara e Seth sono liberati da Jack
e Alex; recuperata l’astronave, i due giovani
si battono con Siphon e lo sconfiggono definitivamente. È il momento di tornare a casa.
Seth e Sara ringraziano Jack e Alex per tutto
quello che hanno fatto, lasciando loro un dispositivo che li avvertirà quando staranno
per tornare.
R
emake del classico film Disney
per ragazzi Incredibile viaggio
verso l’ignoto (1975), ispirato al
28
romanzo dell’americano Alexander Key,
Corsa a Witch Mountain riprende i temi
dell’originale spingendo però il pedale sull’abbondanza di effetti speciali, corse mirabolanti e botte da orbi, e su una visione
generalmente più “dark” e pessimista. L’impianto della trama è rimasto pressoché invariato (il tema classico dell’eroe controvoglia, soliti militari modello “niente di quello che state per vedere è mai accaduto”,
etc etc), con l’aggiunta della creatura extraterrestre Siphon, un misto da Alien e Terminator programmata per uccidere i due
giovani protagonisti. Per poco più di un’ora
e mezza, il film scorre con ottimo ritmo senza annoiare mai, intervallando con mirabolanti inseguimenti prediche ecologiste e
familiari, il tutto diretto con mano sicura dal
veterano Andy Fickman e interpretato da
Dwayne “The Rock” Johnson, ormai anche lui specializzato in film e commedia
parentali targate Disney. Il regista si è trovato davanti alla sfida di rendere accettabile per il pubblico infantile e adolescenziale di oggi una storia scritta e pensata
più di trent’anni fa, con tutto il suo baga-
Film
glio culturale e sociale. Il risultato può dirsi
riuscito, soprattutto nell’attenta commistione tra vari generi, come l’action movie, per
l’ovvia presenza di Johnson, e la commedia sentimentale, visto il legame che si instaura nel corso del film tra i due protagonisti adulti. Per gli appassionati del genere
non può mancare il momento della cita-
Tutti i film della stagione
zione nelle sequenze ambientate durante
il congresso di appassionati di Sci-Fi: abbondano infatti, tra gli altri, i riferimenti alla
saga di Guerre Stellari, a Matrix e a Incontri ravvicinati del terzo tipo. Corsa a
Witch Mountain è un film divertente e senza pretese (nonostante la morale sul valore della famiglia e sul rispetto altrui), diret-
to con spigliatezza e recitato con brio dai
protagonisti, che ha come unico scopo il
pure piacere dello spettatore, pensato per
un pubblico giovanile che ha ancora voglia di storia fantascientifiche semplici ma
appassionanti.
Chiara Cecchini
QUALCOSA DI SPECIALE
(Love Happens)
Stati Uniti/Canada, 2009
Arredatore: Lesley Beale
Trucco: Elisabeth Fry, Whitney James, Connie Parker
Acconciature: Elisabeth Fry, Martin Samuel
Supervisore effetti speciali: Alex Burdett
Supervisore effetti visivi: Dennis Berardi
Coordinatori effetti visivi: Sarah Barber, Matt Glover
Supervisore costumi:Patti Bishop
Supervisore musiche:Kathy Nelson
Interpreti: Aaron Eckhart (Burke), Jennifer Aniston (Eloise
Chandler), Dan Fogler (Lane), John Carroll Lynch (Walter),
Martin Sheen (suocero di Burke), Judy Greer (Marty), Frances
Conroy (madre di Eloise), Joe Anderson (Tyler), Sasha Alexander (Jessica), Clyde Kusatsu (tassista), Michelle Harrison (Cynthia), Darla Fay (Beehive), Tom Pickett (Don), Patricia Harras
(Lorraine), Danielle Dunn-Morris (fan), Maxime Miller (Barbara), Ellie Harvie (Martha), Randall Newsome (cameriere), Carol Hodge (Becky), Craig Anderson (Ian), Brandon Jay McLaren (Mohawk), Rekha Sharma, Tim Henry, Aurelio Dinunzio,
Anne Marie DeLuise, Tyler McClendon, Panou, Michael Kopsa
Durata: 124’
Metri: 3400
Regia: Brandon Camp
Produzione: Mary Parent, Scott Stuber, Mike Thompson per
Universal Pictures/ Relativity Media/ Stuber Productions/ Camp
/ Thompson Pictures/ Scion Films/ Traveling Film Productions
Distribuzione: 01 Distribution
Prima: (Roma 20-8-2010; Milano 20-8-2010)
Soggetto e sceneggiatura: Mike Thompson, Brandon Camp
Direttore della fotografia: Eric Alan Edwards
Montaggio: Dana E. Glauberman
Musiche: Christopher Young
Scenografia: Sharon Seymour
Costumi: Trish Keating
Produttori esecutivi: J. Miles Dale, Ryan Kavanaugh, Richard Solomon
Produttori associati: Alexa Faigen, Nath V.G.
Direttori di produzione: Penny Gibbs, Eugene Mazzola
Casting: Deborah Aquila, Jennifer L. Smith, Mary Tricia Wood
Aiuti regista: James Bitonti, Jim Brebner, J. Miles Dale, Leonard Haggarty, Sebastian Mazzola, Megan M. Shank
Operatori: David Crone, Andrew D. Wilson
Art director: Kendelle Elliott
yan Burke è un giovane vedovo,
la cui moglie è morta in un incidente d’auto per evitare un cane.
A tre anni dalla disgrazia, Ryan è diventato
un guru dell’elaborazione del lutto, grazie
al suo manuale e diversi seminari che tiene
per tutta l’America. Giunto a Seattle, assieme al fedele amico e manager Lane, conosce casualmente la bella fioraia Eloise. La
donna, che cade ripetutamente in storie
d’amore tormentate, dalle quali esce sempre distrutta, decide di accettare l’invito di
Ryan. I due sono attratti l’uno dall’altra,
ma il loro rapporto resta sempre sul piano
platonico; Eloise, paradossalmente, aiuta
Ryan a superare realmente la perdita della
moglie e cerca di farlo riconciliare coi genitori della defunta, che vivono proprio a
Seattle. Intanto, Ryan, affronta anche il difficile caso di Walter, uno dei partecipanti al
suo seminario che non riesce a superare la
morte del piccolo figlio.
Lane confida a Eloise la verità sull’incidente d’auto: alla guida c’era proprio
Ryan, che non riesce a perdonarsi per l’accaduto. Augurandogli di ritrovare la giusta serenità, Eloise esce dalla sua vita, affermando che per loro è impossibile crea-
R
re una storia finchè si porterà questo peso
addosso. Dopo aver finalmente aiutato
Walter, Ryan trova il coraggio di raccontare il suo vero dolore nell’ultimo incontro
del seminario, al quale assiste anche il
padre della moglie; fra gli applausi dei
partecipanti i due uomini si riconciliano.
Ora che ha realmente elaborato il suo
lutto, Ryan corre da Eloise per iniziare una
nuova vita insieme.
n film che dovrebbe toccare le
corde più intime, emozionare
semplicemente accennando a
drammi personali, risulta molto freddo e
distaccato. Il giorno dopo aver visto Qualcosa di speciale, non si ricorda nessuno
scuotimento, nessuna riflessione, che invece una storia del genere dovrebbe suscitare. Un film ambizioso dal punto di vista registico, dove Brandon Camp tenta di
essere elegante sia nella messa in scena
che nelle atmosfere, ma vi riesce solo in
pochi momenti; uno su tutti la sequenza in
cui Ryan libera il pappagallo Rocky.
Il film si potrebbe suddividere in due
sottotrame: la storia d’amore fra Ryan ed
Eloise e quella del seminario. Il regista
U
29
Camp riesce a costruire in maniera accettabile la parte romantica della storia, facendola sorprendentemente rimanere su di un
piano platonico. Infatti, il tanto sospirato
bacio fra i due, che comunque aspetti, arriva solo nel finale: ottimo stratagemma per
non cadere in più cliché. Sicuramente, poi,
il forte paradosso in cui incappa Ryan, ovvero il saper aiutare gli altri, ma l’essere un
incapace nel salvare se stesso, contribuisce a creare un minimo di appeal.
Tutto all’inverso, invece, la parte del seminario costruita dalle tante piccole storie dei
diversi partecipanti, fra cui su tutti primeggia
Walter. Pur lanciando diverse perle di saggezza, il tutto appare finto col personaggio
di Ryan, interpretato da Aaron Eckhart, che
in più di un’occasione risulta enormemente
antipatico e saccente. Il fatto che Camp sia
un autore televisivo spiega non pochi elementi ridondanti del film: le scene da “guru”
con tanto di frasi ripetitive, praticamente degli slogan pubblicitari, gli applausi del pubblico/partecipanti al corso e l’esternazione
del proprio lutto come si fosse nel confessionale del Grande Fratello.
Il finale è proprio l’apoteosi della televisione, che sfocia in un pappone mieloso:
Film
Ryan, colto da improvvisa illuminazione, si
rivela ai suoi seminaristi, il padre della defunta moglie arriva fra le lacrime per l’abbraccio riconciliatore e Walter, finora il più
Tutti i film della stagione
credibile personaggio del film, irrompe con
un applauso. Come rovinare un film che
avrebbe potuto avere un minimo di dignità.
La deliziosa e brava Jennifer Aniston
non basta a rendere Qualcosa di speciale, un film che valga la pena d’esser visto.
Elena Mandolini
PRECIOUS
(Precious)
Stati Uniti, 2009
Arredatori: Kelley Burney, Paul Weathered
Trucco: Damaris Gandy, Tomasina Smith, Toy Van Lierop, Tobe
West, Ande Yung
Acconciature: Belinda Anderson, Nikki Tucker
Supervisori effetti speciali: Peter Kunz, Robert J. Scupp
Supervisori effetti visivi: Henrik Fett (LOOK!Effects), Dan
Schrecker
Supervisore musiche: Lynn Fainchtein
Interpreti: Gabourey Sidibe (Precious), Mo’Nique (Mary),
Paula Patton (signorina Rain), Mariah Carey (signora Weiss),
Sherri Shepherd (Cornrows), Lenny Kravitz (John), Stephanie Andujar (Rita), Chyna Layne (Rhonda), Amina Robinson
(Jermaine), Xosha Roquemore (Joann), Angelic Zambrana
(Consuelo), Aunt Dot (Tootsie), Nealla Gordon (signora Lichtenstein), Grace Hightower (assistente sociale), Barret Helms (Tom Cruise), Kimberly Russell (Katherine), Bill Sage (signor Wicher), Susan Taylor (fata buona), Kendall Toombs,
Alexander Toombs (Abdul appena nato), Cory Davis (Abdul a
9 mesi), Abigail Savage (Bunny), Rodney ‘Bear’ Jackson (Carl),
Linda Watson (impiegata), Emani Reid, Dashawn Robinson,
Ashley Livingston, Sapphire, Roy Anthony, Tarell
Harvey,Rochelle McNaughton
Durata: 109’
Metri: 3000
Regia: Lee Daniels
Produzione: Lee Daniels, Gary Magness, Sarah Siegel-Magness per Lee Daniels Entertainment/ Smokewood Entertainment Group
Distribuzione: Fandango
Prima: (Roma 26-11-2010; Milano 26-11-2010)
Soggetto: tratto dal romanzo Push di Sapphire
Sceneggiatura: Geoffrey Fletcher
Direttore della fotografia: Andrew Dunn
Montaggio: Joe Klotz
Musiche: Mario Grigorov
Scenografia: Roshelle Berliner
Costumi: Marina Draghici
Produttori esecutivi: Lisa Cortes, Tom Heller, Tyler Perry,
Andy Sforzini, Oprah Winfrey
Produttore associato: Asger Hussain
Co-produttore: Mark G. Mathis
Direttore di produzione: Tony Hernandez
Casting: Billy Hopkins, Jessica Kelly
Aiuti regista: Tracey Hinds, Michael A. Pinckney, Chip Signore
Operatori: Peter Agliata, Andrew Casey, Charles Libin, Tom
Weston, Todd Armitage
Operatore Steadicam: Denny Kortze
Art director: Matteo De Cosmo
besa, nera, semi-analfabeta e incinta del secondo figlio a 17 anni,
Claireece Precious Jones frequenta una scuola di Harlem senza successo e con ancora meno entusiasmo. Vessata
dalla madre, con cui vive, e abusata dal
padre (di cui è incinta), Precious di solito
siede in fondo all’aula e si perde in sogni
romantici durante le lezioni di matematica:
immagina di sposare il piacente e gentile
professore. Ma, proprio durante una di queste lezioni, la preside la chiama nel suo ufficio e, preoccupata dalla seconda gravidanza in poco tempo, la espelle dalla scuola
indirizzandola verso un’“istituzione di istruzione alternativa”, in grado di mettere a
frutto le sue capacità. Qui incontra Ms.
Rain, che le insegna a scrivere e, al tempo
stesso, a credere di poter cambiare il proprio destino. Nonostante la madre sia contraria a che Precious vada a scuola e nonostante il ritornello continuo che è soltanto
un’incapace, la ragazza pian piano migliora nel rendimento e inizia a fare qualcosa
per sé: denuncia le violenze subite, lascia
la casa della madre-padrona, decide di te-
O
nere con sé il piccolo appena nato e di riprendersi anche la prima figlia, handicappata, affidata a sua nonna. Ma, quando sembra che tutto vada bene, Preciuos deve affrontare l’ennesimo tiro mancino del destino: suo padre è morto di hiv. Fatto il test, la
ragazza scopre di essere sieropositiva. Ma,
anche allora, dopo un iniziale momento di
scoramento, trova la forza di lottare e andare avanti, grazie all’appoggio e all’amore di Ms. Rain e delle compagne di scuola.
a storia raccontata da Lee Daniels è una parabola esistenziale: dall’apatia della protagonista,
che non si stima ed è prigioniera di un destino di abusi e violenze, alla libertà
(pro)positiva di scegliere il proprio futuro e
di volersi bene, nonostante tutto. Il racconto
si focalizza su Precious in modo totale, dice
i suoi pensieri ad alta voce in voice over, li
rende sottotesto delle situazioni rappresentate. La drammaticità delle vicende narrate
non scade mai nel pietismo o nella retorica
di genere proprio grazie al punto di vista
adottato: la protagonista, infatti, non indulge
L
30
su se stessa compiangendosi. Ed è qui che
risiede l’originalità del film, altrimenti simile
ad altri nel sottolineare come l’istruzione sia
l’unica via di salvezza da una vita ai margini.
Dal punto di vista della tecnica del racconto, la regia mostra in montaggio alternato come a ogni momento squallido della
sua vita, Precious opponga proiezioni immaginarie di iperbolico successo, descritto
sulla falsa riga dei video di MTV e fatto di
paillettes e lustrini senza limiti di buon gusto. Unica via di fuga e possibilità di resistere all’annientamento della violenza quotidiana è per Precious proprio il rifugiarsi in
un mondo dove le brutture dell’esistenza si
trasformano in plateali successi: l’amore
vero che le manca nella realtà viene compensato con i fari della notorietà agognata.
Più è umiliante e insopportabile la realtà,
più accese le luci della ribalta immaginaria,
più drammatico ciò che lo spettatore vede.
Le fughe dalla realtà di Precious si interrompono quando la vita inizia a essere
accettabile, e addirittura soddisfacente. Ma
se la regia è brava a inquadrare la doppia
esistenza iniziale, manca nel focalizzare i
Film
Tutti i film della stagione
momenti in cui la protagonista cresce, gli
scarti progressivi che le permettono di
prendere coscienza delle proprie capacità, credere in se stessa e avere fiducia nel
futuro. Il racconto, infatti, procede senza
climax evidenti nell’evoluzione del personaggio, che pure c’è ed è significativa.
Meritorio l’intento del film, in un momento storico come quello attuale, di affermare
con forza che la base del riscatto sociale e
della realizzazione personale sia un livello
di alfabetizzazione che non può essere tralasciato in nessun caso e contesto.
Funziona bene, a riguardo, la figura
dell’insegnante, (Ms Rain/Paula Patton)
che vive il proprio lavoro come una missione, e insieme all’assistente sociale diventa il perno su cui Precious fa leva per
cambiare il proprio destino.
Tiziana Vox
UNSTOPPABLE-FUORI CONTROLLO
(Unstoppable)
Stati Uniti, 2010
Trucco: Diane Heller, Rachel Kick, Sandra Linn Koepper
Acconciature: Diane Dixon
Coordinatori effetti speciali: Rich E. Cordobes, Joe Pancake, Bruno Van Zeebroeck
Supervisori effetti visivi: Paul O’Shea, Nathan McGuinness (Asylum Visual Effects)
Coordinatori effetti visivi: Diana Cheng, Elayaraja
Supervisore costumi: Stacy Horn
Supervisore animazione: Michael Shelton (Asylum Fx)
Interpreti: Denzel Washington (Frank), Chris Pine (Will), Rosario Dawson (Connie), Ethan Suplee (Dewey), Kevin Dunn
(Galvin), Kevin Corrigan (ispettore Werner), Kevin Chapman
(Bunny), Lew Temple (Ned), T.J. Miller (Gilleece), Jessy
Schram (Darcy Colson), David Warshofsky (Judd Stewart),
Andy Umberger (Janeway), Elizabeth Mathis (Maya), Dylan
Bruce (Michael Colson), Jeff Hochendoner (Clark), Ryan
Ahern (Ryan Scott), Christopher Lee Philips (Baker), Kevin
McClatchy (Hoffman), Toni Saladna (assistente di Galvin),
Patrick McDane (capitano Allen), Bill Laing (camionista), Scott
A. Martin (Brewster Dispatcher), Richard Pelzman (Devereaux), Lissa Brennan (cameriera), Barry Ben Sr. (agente di
polizia), Heather Leigh (giornalista), Carla Bianco (proprietaria del caravan per cavalli), L. Derek Leonidoff, Keith Michael Gregory
Durata: 99’
Metri: 2720
Regia: Tony Scott
Produzione: Eric McLeod, Mimi Rogers, Tony Scott, Julie Yorn,
Alex Young per Twentieth Century Fox Film Corporation/Prospect Park/Scott Free productions/Firm Films/Millbrook Farm
Productions
Distribuzione: 20th Century Fox
Prima: (Roma 12-11-2010; Milano 12-11-2010)
Soggetto e sceneggiatura: Mark Bomback
Direttore della fotografia: Ben Seresin
Montaggio: Robert Duffy, Chris Lebenzon
Musiche: Harry Gregson-Williams
Scenografia: Chris Seagers
Costumi: Penny Rose
Produttori esecutivi: Chris Ciaffa, Jeff Kwatinetz, Rick Yorn
Co-produttori: Skip Chaisson, Diane L. Sabatini, Adam Somner, Lee Trink
Direttori di produzione: Scott Elias, Eric McLeod
Casting: Denise Chamian
Aiuti regista: Xochi Blymyer, Mikey Eberle, Staci Lamkin, Eric
Richard Lasko, Jeremy Marks, Brandy D. Pollard, Brett Robinson, Adam Somner, Angela C. Tortu
Operatori: John T. Connor, Peter Gulla, Mark Meyers, Darin
Moran, John Skotchdopole
Operatore Steadicam: Mark Meyers
Art directors: Julian Ashby, Drew Boughton, Dawn Swiderski
Arredatore: Rosemary Brandenburg
tanton, Pennsylvania. Suona la
sveglia e Will Colson esce per
andare al lavoro, dopo aver spiato il figlioletto che va a scuola, saluta la
moglie Darcy, che non gli risponde al telefono e alla quale lui non può avvicinarsi a
causa di un’ordinanza restrittiva. In stazione Will conosce Frank, il suo compagno di turno sul treno 1206. Will è il capo-
S
treno – ha finito la formazione da 4 mesi –
, Frank invece è il conducente, con 28 anni
di esperienza. Will riceve la telefonata del
fratello: la causa si sta mettendo bene, forse potrà tornare a casa. Frank telefona invece alla figlia, in ritardo per il suo compleanno, ma lei offesa non vuole parlargli; poi ha una discussione con Will, che
ritiene lo voglia mettere alla prova come
31
un novellino. In un’altra stazione arriva
una scolaresca, per un corso di sicurezza
ferroviaria e il macchinista Dewey ha l’incarico di spostare un convoglio di 39 vagoni, il 777. Ritenendo di averlo bloccato,
con una mossa imprudente salta giù dalla
cabina per attivare uno scambio, ma il treno gli sfugge. Dewey gli corre dietro, ma
invano. La capostazione Conny ordina a
Film
Dewey e al suo collega di raggiungere il
treno fuori controllo, che sfreccia contro
mano e rischia di scontrarsi col convoglio
sul quale viaggia la scolaresca. Non riescono a bloccarlo allo scambio, è troppo
veloce. Il treno coi bambini incrocia il 777,
evitandolo per un soffio. Dewey prova intanto a saltare sul treno in corsa, affiancandolo con un’auto, ma fallisce. Will riceve una nuova telefonata del fratello: è
andata male, dovrà rimanere altri 30 giorni
lontano da suo figlio. Poi litiga ancora con
Frank: ha attaccato 5 vagoni in più, e
Frank recrimina che nel loro lavoro, se si
sbaglia, si rischia di uccidere la gente. Ricevono frattanto l’ordine di deviare, perché un treno senza controllo viaggia contro di loro. Le vicende del 777, che trasporta sostanze chimiche tossiche e infiammabili, sono seguite in diretta da tutti i canali di news. La situazione è sempre più
grave, anche perché il treno sta per attraversare aree densamente popolate. Tutti i
passaggi vengono presidiati dalla polizia.
Conny consiglia di farlo deragliare in campagna, prima che inizi la serie di paesini,
ma la direzione non vuole distruggere un
proprio treno, finché può tentare di arrestarlo: il rischio è la perdita di oltre 100
milioni di dollari, e il crollo delle azioni,
oltre al fatto che ci sono 8 vagoni con sostanze che, se saltassero in aria, potrebbero decimare un’intera città, insomma un
disastro. Seguono momenti convulsi. Il treno viene agganciato con una locomotiva,
mentre fallisce il tentativo del saldatore Ridley di calarvisi in elicottero. La locomotrice però deraglia ed esplode, provocando
la morte del macchinista Judd Stewart, mentre il 777 continua la sua corsa, viaggiando
sullo stesso binario di quello guidato da
Frank e Will, rischiando lo scontro. I due
treni sono a pochi metri l’uno dall’altro, ma
Frank riesce a scambiare binario, anche se
la parte retrostante del suo treno viene travolta dal 777. La direzione vorrebbe adesso far deragliare il treno, ma Frank arresta
il suo convoglio e, ritenendo che il deragliamento non funzionerà, decide di procedere a marcia indietro e agganciare il
777 per provare a frenarlo. Frank parla
col direttore delle operazioni che, risoluto
a far deragliare il treno prima della curva
che porta a Stanton, troppo pericolosa per
affrontarla a quella velocità, licenzia lui e
Will. Ma loro intendono sacrificarsi e provare a fermare ugualmente il 777. Il deragliamento fallisce. Darcy, così come le figlie di Frank, apprendono dalla tv di quanto stia accadendo ai loro congiunti. Will,
pur se a fatica, riesce ad agganciare il 777,
rimanendo ferito a un piede, mentre sua
Tutti i film della stagione
moglie segue con apprensione le scene alla
tv. Il treno, tuttavia, procede a oltre 120
km/h e manca poco da Stanton. La frenata
non riesce: il convoglio è troppo pesante e
sta trascinando la locomotrice con Will e
Frank. Will propone di usare i freni dei vagoni merce. Frank vi si dirige e li attiva,
ed effettivamente il treno rallenta. Poi però
i freni si bruciano e il 777 riacquista velocità, in prossimità della curva, col rischio
di un’esplosione. Grazie al freno moderabile, riescono tuttavia a superare la curva
di Stanton, sotto lo sguardo di Darcy, che
è lì col suo bimbo. Al treno si affianca il
furgone di Ridley e Will vi salta su, correndo quindi verso la testa del treno. Will
riesce a salire e prende il controllo del mezzo. L’incubo è finito: Will può riabbracciare il suo bambino e sua moglie Darcy.
Il film si conclude con le interviste di rito e
una gran festa. Frank e Will mantengono
il loro lavoro. Conny raggiunge i due e
bacia Frank, sotto lo sguardo divertito
delle sue figlie, mentre Will bacia Darcy.
a disattenzione di un macchinista sta per provocare una tragedia. Il morto ci scappa, ma il bilancio poteva essere una vera ecatombe
nei paesini della Pennsylvania. In quella
che sembra una mattina di lavoro grigia e
ordinaria come tante, infatti, un treno lungo un chilometro sfugge al controllo di un
macchinista incosciente e corre senza freni
lungo i binari ferroviari.
Alla vicenda drammatica del 777, seguita in diretta da tutti i canali di news, si
affianca la loro storia quotidiana, familiare,
piena di difficoltà e sofferenza, ma che dà
L
loro la forza e la possibilità di riemergere,
aggrappandosi al pensiero delle figlie e
della moglie lontane. E gli affetti prevalgono infine sui biechi interessi di un’azienda
attenta solo al denaro e all’immagine, che
non ha fiducia in loro e minaccia di licenziarli. Temendo infatti, pur se in maniera
implicita, che le ripercussioni di un’esplosione potrebbero danneggiare le loro famiglie, i due si improvvisano eroi, riconquistando, complice anche la ribalta mediatica, la
gratitudine dei parenti, che li osservavano
ormai con occhi forse un po’ appannati.
Attori convincenti, anche se nel complesso il film fatica a decollare. Gli manca
quel guizzo adrenalinico che inchioda lo
spettatore, anzi, in certi passaggi è perfino lento e noioso. Dopo l’affresco dei personaggi, dei loro caratteri e delle loro storie di vita, avviene il passaggio graduale
verso l’azione, con una corsa contro il tempo dapprima per evitare l’impatto col 777;
poi, nel disperato tentativo di fermarlo.
S’impone a questo punto l’idea di un dinamismo crescente, veicolata dal treno in
corsa, dalle decine di auto della polizia al
suo fianco e dagli elicotteri che seguono e
filmano le operazioni, emblema di un onnipresente sistema mediatico, paradossalmente contrapposto alla fissità del conducente, che, pur in scene così convulse, rimane sempre seduto al suo posto di guida. Qualora non agisse in tal modo, accadrebbe quanto si è verificato già nelle prime scene dell’opera, col treno che sfugge
al controllo umano. Ma a quel punto questo film non ci sarebbe stato.
Luca Caruso
POST MORTEM
(Post Mortem)
Cile/Messico/Germania, 2010
Regia: Pablo Larraín
Produzione: Juan de Dios Larraín per Fabula/Canana/Autentika Production
Distribuzione: Archibald Enterprise
Prima: (Roma 29-10-2010; Milano 29-10-2010)
Soggetto e sceneggiatura: Pablo Larraín, Mateo Iribarren, Eliseo Altunaga
Direttore della fotografia: Sergio Armstrong
Montaggio: Andrea Chignoli
Musiche: Alejandro Castanos, Juan Cristóbal Meza
Scenografia: Polin Garbisu
Costumi: Muriel Parra
Casting: Paula Leoncini
Aiuto regista: Rosario Onetto
Interpreti: Alfredo Castro (Mario Cornejo), Antonia Zegers (Nancy Puelmas), Jaime Vadell (Dott. Castillo), Amparo Noguera (Sandra), Marcelo Alonso (Victor), Marcial Tagle (capitano Montes)
Durata: 98’
Metri: 2700
32
Film
antiago del Cile, 1973. Mario
Cornejo è un uomo di mezza età,
impiegato come dattilografo presso l’obitorio della capitale, dove trascrive
le relazioni delle autopsie realizzate dai
medici legali. Di fronte alla sua casa abita
una donna bellissima, Nancy Puelmas, che
fa la ballerina di cabaret.
Lui, che la osserva sempre dalla finestra, un giorno decide di andare a vedere
il suo spettacolo al locale Bim Bam Bum:
qui, dopo averla raggiunta in camerino, le
offre un passaggio in macchina. Ma, durante il tragitto, l’auto si ritrova bloccata
in mezzo a una manifestazione del partito
socialista. La donna fugge via assieme a
un amico che partecipa al corteo.
Mario e Nancy si rincontrano e, da
semplici dirimpettai, diventano prima buoni amici e poi amanti, (anche se solo per
una notte). Entrambi si scoprono due persone solitarie e insoddisfatte della propria
vita: l’uomo è obbligato a fare un mestiere
che non gli piace (in seguito al golpe, viene informato di far parte dell’Esercito del
Cile); mentre la donna è disperata e sembra non aver più prospettive dopo essere
stata licenziata dal proprietario del cabaret dove ballava, don Patricio.
Con il colpo di stato, la situazione precipita. Nancy, figlia di un dirigente comunista,
riesce a scampare a un blitz dei militari nella sua abitazione e, grazie all’aiuto di Mario, si rifugia in un nascondiglio nel suo giardino. L’obitorio in cui lavora il dattilografo,
intanto, si trasforma in una specie di fossa
comune, dove ogni giorno vengono scaricati
centinaia e centinaia di cadaveri.
Lo staff del dottor Castillo, corrotto dai
colonnelli, inizia a rendersi conto dello scempio che si sta compiendo. Cornejo è il primo
a rifiutarsi di copiare i referti falsati dagli
uomini del generale Pinochet (ma rimane al
suo posto). E, poco dopo, anche l’assistente
Sandra si ribella agli ordini delle autorità.
Dopo aver scoperto che Nancy lo tradisce
con il dimostrante Víctor, Mario mura il covo
dove sono rinchiusi i due amanti con alcuni
mobili in legno e appicca il fuoco.
S
Tutti i film della stagione
Assistiamo, a sorpresa, perfino all’autopsia del Presidente Allende, il cui decesso dell’11 settembre 1973 viene fatto passare per un suicidio dalla nuova giunta
militare al potere, schierata al gran completo come un plotone d’esecuzione. Questo curioso episodio che, come vuole il
protocollo, si svolge nel più totale anonimato, restituisce appieno la cifra di un film
ambiguo e asettico, statico e nebuloso, in
cui i personaggi vivono, o meglio, sopravvivono, come sospesi in un eterno limbo.
A partire da Cornejo: l’uomo, al pari delle salme che trasporta, veglia e di cui annota anche i particolari più raccapriccianti, è
una persona priva di una vita vera. Un morto che cammina. Gli fa degnamente compagnia la sua amata Nancy che, da quando
diventa una ricercata dalla polizia, è costretta a nascondersi, a fingersi appunto morta.
Due condannati in attesa di giudizio, due
figure invisibili in cerca di complicità e di calore umano provano a riscattare le rispettive
squallide esistenze abbandonandosi l’uno
nelle braccia dell’altra (in una scena di sesso tra le più disperate e infelici che si siano
mai viste negli ultimi anni). Non prima, però,
di aver sfogato tutta la loro amarezza e frustrazione con un pianto liberatorio.
L’utopia di un amore si sovrappone e si
fonde con quella di una società libera e democratica: la Storia con la maiuscola e la storia di tutti i giorni finiscono per assomigliarsi
nel comune quanto vano tentativo di conciliare realtà e ideale, necessità e arbitrio.
Qualche stagione fa abbiamo assistito
a un dilemma simile nel fortunato film tedesco Le vite degli altri. Se in quella circostanza, però, l’agente della Stasi era pronto a sacrificare la propria posizione di potere per il bene di una donna, qui, invece,
n un’edizione della Mostra del cinema di Venezia, come quella del
2010, in cui il tema unificante del
“corpo” è stato declinato sotto le più svariate
forme, anche Post Mortem ha segnato una
tappa significativa di questo percorso tematico. Dopo il corpo mastodontico de La Venere Nera di Kechice, fatto oggetto di spettacolo (e poi di studio scientifico), o quelli
troppo magri o troppo pingui degli adolescenti inquieti de La solitudine dei numeri primi di
Costanzo, il cileno Pablo Larraín mette in scena corpi inanimati destinati alla dissezione.
I
33
il “becchino di regime” sposa senza batter
ciglio la causa della forza (uniformandosi
così ai suoi colleghi), pur di salvaguardare la sua rassicurante non-vita.
L’incertezza, l’ambiguità e il mistero di
questo “uomo senza qualità” si incarnano
nel volto di Alfredo Castro. Il suo sguardo
abulico e trasognato è l’impronta del fallimento di un intero popolo.
Il tenebroso attore cileno, già protagonista del bellissimo Tony Manero (premiato come miglior film al Festival di Torino
del 2008), questa volta supera se stesso
e ci regala un personaggio lontano dagli
stereotipi e con un fondo di verità tutto da
scoprire. Uno spirito cupo, malato, ma indifeso, al punto che, nel finale, ci riesce
quasi naturale solidarizzare con lui e con
la sua disgrazia sentimentale.
Il sogno abortito di una nazione assetata soltanto di sangue e di potere prende
forma invece attraverso il corpo non più elegante, appesantito e finanche volgare della ballerina. La malinconia della sua interprete, Antonia Zegers (perfetta per un dramma almodovariano) è lancinante, ci tocca
nel profondo come uno sfregio dell’anima.
Post Mortem non sarà certamente
un’opera di facile impatto (la materia narrativa è greve, l’andamento ha delle evidenti fasi di stanca, la fotografia di Sergio
Armstrong indugia sul grigiore degli ambienti) e, in alcune situazioni, Pablo Larraín spinge forse un po’ troppo l’acceleratore in direzione dell’assurdo. Ciononostante, siamo più che mai convinti che, in
futuro, sentiremo ancora parlare di questo
esuberante regista e della sua consolidata squadra di lavoro.
Diego Mondella
Film
Tutti i film della stagione
THE KARATE KID-LA LEGGENDA CONTINUA
(The Karate Kid)
Stati Uniti, 2010
Operatore: Man-Ching Ng
Art director: Second Chan
Acconciature: Camille Friend
Supervisore effetti visivi: Rocco Passionino
Coordinatore effetti visivi: Joey Bonander
Supervisore costumi: Jack Tung
Supervisore musiche: Pilar McCurry
Interpreti: Jaden Smith (Dre Parker), Jackie Chan (signor Han),
Taraji P. Henson (Sherry Parker), Wenwen Han (Meiying),
Rongguang Yu (maestro Li), Zhensu Wu (padre di Meiying),
Zhiheng Wang (madre di Meiying), Zhenwei Wang (Cheng),
Jared Minns (amico di Dre), Shijia Lü (Linag), Yi Zhao (Zhuang),
Bo Zhang (Song), Luke Carberry (Harry), Cameron Hillman
(Mark), Ghye Samuel Brown (Oz), Rocky Shi (Ur Dang), Ji
Wang (signora Po), Harry Van Gorkum (maestro di musica),
Tess Liu (insegnante di storia), Xinhua Guo (dottore al torneo), Yanyan Wu (signorina Xie), Tao Ji (annunciatore), Wentai Liu (tizio di Detroit), Geliang Liang (giocatore di ping pong),
Xu Ming (Bao), Hannah Joy (Diane), Chen Jing, Jijun Zhai,
Shun Li
Durata: 140’
Metri: 3850
Regia: Harald Zwart
Produzione: James Lassiter, Jada Pinkett Smith, Will Smith,
Ken Stovitz, Jerry Weintraub per Columbia Pictures/China Film
Group/ Jerry Weintraub Productions/ Overbrook Entertainment
Distribuzione: Sony Pictures Releasing Italia
Prima: (Roma 3-9-2010; Milano 3-9-2010)
Soggetto: remake del film The Karate Kid-Per vincere domani
(1984) di John G. Avildsen con la sceneggiatura di Robert
Mark Kamen
Sceneggiatura: Christopher Murphey
Direttore della fotografia: Roger Pratt
Montaggio: Joel Negron
Musiche: James Horner
Scenografia: François Séguin
Costumi: Han Feng
Produttori esecutivi: Susan Ekins, Sanping Han, Dany Wolf
Co-produttore: Solon So
Line producers: Chiu Wah Lee, Er-Dong Liu
Direttore di produzione: Dany Wolf
Casting: PoPing AuYeung, Zoe Thompson
Aiuti regista: Lemon Liu, Han Niu, Marty Eli Schwartz, Fei
Wong
tati Uniti, il dodicenne Dre
Parker è costretto a trasferirsi da
Detroit in Cina a causa del lavoro della mamma Sherry. Per il ragazzino, ambientarsi alla nuova realtà, così
diversa da quella cui è abituato, è davvero difficile. Nel parco sotto casa, Dre
simpatizza con Mei Yin, una ragazzina
solitaria che studia musica, ma viene
subito minacciato da Cheng, un bullo
prodigo del kung-fu geloso del sentimento del ragazzino per la graziosa studentessa. Il suo primo giorno di scuola, Dre
è di nuovo vittima di provocazioni da
parte di Cheng. Uscito da scuola, Dre
viene attratto da un solenne palazzo che
altro non è che la sede dell’Accademia
di kung-fu, dove tra gli allievi scorge
proprio Cheng. Il giorno dopo, Cheng e
i suoi amici inseguono Dre e lo picchiano selvaggiamente nel cortile di casa,
dove, proprio nel momento più brutto,
viene salvato dal custode del condominio, il signor Han. Colpito dalla forza e
dall’abilità che si nasconde sotto le dimesse spoglie di un addetto alla manutenzione di mezza età, Dre gli chiede di
insegnargli i segreti del kung-fu. Dopo
una serie di titubanze, Han finisce per
accettare, non prima di essersi recato all’Accademia di kung-fu ed essersi fatto
promettere da Cheng e compagni di lasciare in pace Dre fino al torneo, giorno
in cui Dre si batterà.
S
Dre inizia il suo apprendistato con
Han. Ma, durante le prime lezioni e con
sua grande sorpresa, il maestro non gli
insegna nulla del combattimento ma piuttosto lo abitua a una estenuante ripetizione di semplici e banali gesti quotidiani
utili a insegnarli cos’è la vera disciplina. Intanto il legame tra Dre e la piccola Mei è sempre più forte, dopo che i due
hanno trascorso una bella giornata alla
festa dello Qi Xi, il San Valentino cinese. Han prosegue il suo apprendistato
portando il giovane allievo alla Grande
Muraglia e poi sul monte Wudang, dove
gli mostra le origini del kung-fu. Dre è
ipnotizzato da alcuni guerrieri in fase di
allenamento che dimostrano il grande
potere della concentrazione. Tornato a
Pechino, Dre trascorre un allegro pomeriggio con Mei ma i due vengono interrotti da una telefonata del padre che comunica che alla ragazzina che la sua
audizione all’Accademia di Musica di
Pechino è stata anticipata. Mei si reca
all’audizione dove fa sfoggio di un’ottima prova, ma, all’uscita, comunica a Dre
che d’ora in poi non potranno più vedersi. Tornato a casa, Dre trova Han completamente ubriaco e in preda a una violenta crisi di nervi. L’uomo non è mai
riuscito a superare il trauma della perdita della moglie e del figlio in un incidente di cui si sente responsabile. Il suo
piccolo allievo lo aiuta a risollevarsi e a
34
trovare la forza per andare avanti. È il
giorno del torneo; dopo aver convinto il
padre di Mei ad acconsentire che la figlia sia presente alla competizione, Dre
esce vittorioso da diversi scontri arrivando alla finale decisiva con Cheng. Resistendo al dolore di un brutto colpo ricevuto in semifinale, Dre trova il coraggio
di combattere e, anche grazie alla forza
della concentrazione, riesce a battere il
suo rivale e a sconfiggere le sue paure.
a vita può mandarci al tappeto, spetta a noi scegliere di rialzarci” parola di Jackie Chan,
non un qualunque allenatore di ‘kung fu’.
E così sia, dunque rimettiamoci il giacchetto, pardon il kimono. Grande fan del
primo cult The Karate Kid, pellicola di
grande successo (ebbe tre seguiti) del
1984 interpretata dal giovane Ralph Macchio e da Noriyuki Pat Morita, il piccolo
Jaden Smith, che non è proprio un ragazzino qualunque (vanta già nel suo
curriculum un ruolo di primo piano nel
film La ricerca della felicità, regia del
nostro Muccino e con papà Will protagonista), ha visto realizzato il suo sogno di
interpretare il remake del suo film preferito grazie ai due genitori premurosi e
famosi come Will Smith e Jada Pinkett
Smith. Trasferita la storia originale in
Cina, il piccolo jankee può vantare l’onore di recitare accanto al mitico Jackie
“L
Film
Chan. Siamo al quinto capitolo della serie che in realtà non è niente di più che
una scopiazzatura del primo film, meglio
noto in Italia con il sottotitolo Per vincere domani di cui segue passo passo il
plot. E ci risiamo con la solita immagine
del bambino campione che riesce a
sconfiggere le sue paure, sul ring e nella vita. Unico cambiamento, un tormentone per un altro: al “togli la cera, metti
la cera”, ora abbiamo un insistito “togli il
giacchetto, metti il giacchetto”. Lo spostamento in Cina dell’azione ha reso necessario concentrarsi sul ‘kung fu’ piuttosto che sul ‘karate’, che ha origini in
Giappone, a Okinawa. Infatti in una scena i “bulletti” di turno deridono Dre chiamandolo “karate kid”, perché esegue il
karate nella terra del ‘kung fu’. Per sopravvivere, il piccolo dovrà imparare il
Tutti i film della stagione
‘kung fu’, che in realtà è un termine cinese piuttosto generico che indica abilità e in particolare l’abilità nelle arti marziali. In particolare, nel film il ragazzo
apprenderà il ‘wushu’, una disciplina
sportiva fisicamente impegnativa (che
alla lettera vuol dire “arte della guerra”,
wu-shu).
Al di là del plot arcinoto e svolto con
banalità sconcertante, il vero fascino del
film risiede nell’ambientazione. Con grande furbizia ma soprattutto grazie a grandi
mezzi, la produzione ha potuto girare in
luoghi splendidi: la porta di Tiananmen e
l’immensa Città Proibita (l’ultima troupe
autorizzata a girare in questo luogo magico era stata più di vent’anni fa quella da
L’ultimo imperatore di Bertolucci), così
come la Beijng Shaolin Wushu School, con
i suoi allievi vestiti con il tradizionale “gi”
rosso, ma soprattutto la Grande Muraglia
e il monte Wudang sulla sommità del quale ha luogo una delle scene più accattivanti del film, quando il piccolo allievo è
incantato da una donna che, grazie alla
forza della concentrazione, riesce a controllare i movimenti di un cobra.
“Ogni uomo ha dentro di sé delle forze
immense. Il segreto è prenderne coscienza” diceva il sensei di arti marziali a Kim
Rossi Stuart in Il ragazzo dal kimono d’oro,
remake ‘made in Italy’ del celebre Karate
Kid, girato nel 1987 dal nostrano Larry
Ludman-Fabrizio De Angelis con un Rossi Stuart ragazzino carino e promettente.
Lezioncina sempre valida, ricetta sempre
buona per i palati facili. Per bambini di tutte le età.
Elena Bartoni
BURIED-SEPOLTO
(Buried)
Spagna, 2010
Regia: Rodrigo Cortés
Produzione: Adrián Guerra, Peter Safran per Versus Entertainment/The Safran Company/Dark Trick Films/Studio 37
Distribuzione: Moviemax
Prima: (Roma 15-10-2010; Milano 15-10-2010)
Soggetto e sceneggiatura: Chris Sparling
Direttore della fotografia: Eduard Grau
Montaggio: Rodrigo Cortés
Musiche: Víctor Reyes
Scenografia: María de la Cámara, Gabriel Paré
Costumi: Elisa de Andrés
Produttori esecutivi: Rodrigo Cortés, Alejandro Miranda
Produttori associati: Tom Drumm, Miguel Nadal, Víctor Reyes
ttobre 2006. Buio. Paul Conroy
si ritrova chiuso in una bara, imbavagliato. Ansima, prova a urlare, mentre la luce di un accendino illumina il suo volto disperato. Libera la
bocca e urla ‘Aiuto!’. Tossisce, si dimena. Inutilmente prova a spingere il legno
che lo sovrasta. Squilla un cellulare, che
è impostato in lingua araba. Riesce a telefonare a un numero di emergenza. Dice
di trovarsi in una bara di legno, che qualcuno ve lo ha messo dentro. Lui è un autotrasportatore americano in servizio in
Iraq. Racconta che è stato attaccato insieme ai suoi colleghi e che gli altri sono
stati uccisi tutti. Poi chiama casa, ma risponde la segreteria telefonica. Chiama
quindi l’Fbi. Riferisce che fa l’autista ed
O
Co-produttore: Ken Hirsh
Line producer: Oriol Maymó
Aiuti regista: Manel Martínez, Nicolás Umpiérrez
Operatore: Pau Esteve
Supervisore effetti visivi: Alex Villagrasa
Interpreti: Ryan Reynolds (Paul Conroy), Robert Paterson
(Dan Brenner), José Luis García Pérez (Jabir), Stephen Tobolowsky (Alan Davenport), Samantha Mathis (Linda Conroy), Warner Loughlin (Donna Mitchell/Maryanne Conroy),
Ivana Miño (Pamela Lutti), Erik Palladino (agente speciale
Harris)
Durata: 94’
Metri: 2600
è in Iraq da nove mesi. Era in coda a un
convoglio, quando dei ragazzi hanno iniziato a tirare sassi contro i camion, poi
è esploso un ordigno, quindi è spuntata
della gente (ribelli? terroristi?) che sparava all’impazzata. Lui crede di essere
stato colpito da un sasso ed essere svenuto, è l’ultima cosa che ricorda. Adesso si ritrova in una cassa sepolta in mezzo al deserto. Chiama la sua società,
chiedendo che mandino qualcuno ad aiutarlo, che non riesce a respirare... Con
una matita ricopia dei numeri sulla cassa, e scrive ‘Aiuto?’. Si mette in contatto con un arabo, che pretende 5 milioni
di dollari di riscatto entro la sera, dalla
famiglia o dall’ambasciata americana,
altrimenti lui rimarrà lì. La telefonata si
35
conclude e Paul cancella la parola ‘Aiuto’. Telefona al Dipartimento di Stato,
che lo scongiura di non contattare la
stampa e lo rimanda all’agente Dan
Brandan, il quale assicura che stanno lavorando per tirarlo fuori da lì. Non c’è
molto tempo. Dato che riesce a utilizzare il cellulare, non può essere ad una profondità superiore a un metro: proveranno a rintracciarne il segnale. Telefona
di nuovo il sequestratore, che gli chiede
di realizzare un video per il riscatto,
mentre la posta scende da cinque a un
milione di dollari. Dan osserva che il riscatto non può essere pagato e che non
sarà semplice trovare Paul, ma gli proibisce di realizzare il video. Dice che i
ribelli hanno sequestrato per ottenere dei
Film
soldi decine di giornalisti, contractors,
soldati... Loro non ne hanno salvati molti... Paul gli chiede il nome di qualcuno
che hanno messo in salvo, per capire se
realmente si interessi a lui. Dan scandisce: “Marc White”, assicurandogli che
lo salveranno, una squadra sta raggiungendo la zona. Lo invita pertanto a stare
calmo e a risparmiare ossigeno e batteria del cellulare, raccomandandogli di
tenere duro. Paul telefona alla madre
malata, notando che potrebbe essere l’ultima volta che si sentono. Gli arriva quindi un mms con la foto di una donna imbavagliata: se Paul non realizza il video,
la donna sarà uccisa. Paul registra il
video e lo invia. Nella bara entra poi un
serpente, mentre Paul rimane immobile
e gli da fuoco. La batteria del cellulare
intanto si sta esaurendo. Paul riceve un
filmato, nel quale la donna afferma che
le richieste dei sequestratori non sono
state esaudite, prima di essere uccisa a
bruciapelo. Nella testa di Paul risuonano tutte le voci che ha sentito al telefono
in queste ore di disperazione. Parla ancora con Dan: il suo video sta circolando in tutto il mondo. Si avverte un’esplosione, mentre nella cassa inizia a entrare della sabbia. Gli telefona il direttore
del personale della sua azienda, comunicandogli che, a causa della sua relazione con un’altra dipendente (Pamela,
la donna uccisa), esplicitamente vietata
dal regolamento, il suo contratto è ufficialmente risolto. Siccome l’incidente ed
il sequestro sono avvenuti dopo la risoluzione del contratto, l’azienda non ne è
responsabile e non è tenuta a pagare l’assicurazione alla sua famiglia.
Sono le 20.30, alle 21 scade l’ultimatum dei sequestratori. Paul sente Dan: il
quartiere è stato raso al suolo, i sequestratori sono morti. Adesso possono solo provare a rintracciare il segnale del suo cellulare. Paul capisce che è finita e registra
il suo testamento. Si fa vivo il sequestratore, minacciando di colpire la famiglia di
Paul in America, mentre la sabbia sta seppellendo l’uomo, che ormai, in preda alla
disperazione, piange e ride contemporaneamente.
Paul sogna: sente delle voci che dicono ‘Continuate a scavare’... Quindi viene
tolta la lastra che chiude la cassa e riappare la luce... Telefona Dan, che gli dice:
“Stiamo venendo a prenderti, sappiamo
dove sei. Un ribelle sciita catturato dalle
forze della coalizione sapeva dov’era se-
Tutti i film della stagione
polto vivo un americano e lo ha rivelato in
cambio della libertà”. Paul li scongiura
di fare in fretta, perché sta entrando la sabbia. Gli rimane solo un istante per sentire
la moglie e tranquillizzarla. Pare che sia
ormai in salvo...
“Stiamo per tirarti fuori, ci siamo quasi...” urla al telefono Dan, che è esagitato,
ma poi si placa e dice: “Oh mio Dio! Mi
dispiace tanto Paul... È Marc White, ci ha
portato da Marc White... Mi dispiace
Paul”. La sabbia riempie la cassa, il cellulare è sommerso e si spegne... È finita.
rovate sempre nuove consentono a un film ardito e rischioso –
gli ultimi, fitti 90 minuti di vita di
un uomo chiuso in una cassa – di non annoiare e avvincere lo spettatore, su quale
sarà la sorte di Paul Conroy, che misteriosamente si trova sepolto vivo in mezzo al
deserto iracheno, non si sa per mano di
chi, non si capisce neanche per quale ragione: solo per un riscatto milionario?
Estremo, quasi immobile, con inquadrature e possibilità d’azione circoscritte a una cassa, eppure questo film presenta sempre nuovi slanci di regia e di
sceneggiatura: totali, primi piani, panoramiche su un corpo disteso, luci di fiamma, luci al neon, luce dallo schermo del
cellulare, un serpente che s’insinua, la
sabbia che s’infiltra e che soffoca, telefonate a un ampio ventaglio di persone,
urla, silenzi, risate e pure un sogno che
un istante dopo si tramuta in incubo. Può
piacere o meno, si segnalano comunque
l’originalità dell’idea e l’abile concretizzazione.
Vittima degli errori del suo Paese,
che espia alla fine con la propria vita,
Paul lotta in maniera inesausta, servendosi dei pochi oggetti che trova nella
cassa (che rispondono all’opera di un
manovratore che rimane ignoto), per tentare in ogni modo di mettere in salvo la
sua vita. Ma si trova a scontrarsi, in una
maniera davvero snervante e claustrofobica, con difficoltà logistiche (il buio,
l’assenza di campo per il cellulare, la cui
batteria si va inoltre esaurendo) e barriere burocratiche incomprensibili e inaccettabili per lui, che sta morendo in una
bara. Chiede disperatamente aiuto e si
sente domandare il codice della sua polizza assicurativa. Non può neanche
morire in pace: con uno stratagemma
malvagio, la sua azienda gli nega l’assicurazione sulla vita, mentre il suo seque-
T
36
stratore minaccia ritorsioni sulla sua famiglia in America.
Chi ha messo Paul lì dentro? Chi si
sta attivando per tirarlo fuori? Delle voci...
Eppure quest’impalpabile immaterialità
dei protagonisti pare quasi di non percepirla. È come se gli attori fossero presenti, condividendo nei toni delle conversazioni il dramma che si consuma, anche se per parti opposte, e per opposta
colpevolezza: il sequestratore ha infatti
la responsabilità materiale della morte di
Paul, il soccorritore quella morale, per
non essere riuscito a fornirgli l’aiuto più
urgente.
È il dramma della guerra, che da sistemico si fa quotidiano ed entra con violenza dirompente e omicida nella vita delle persone, che, a loro volta, sono di certo espressione del sistema, ma al contempo sue inermi vittime. Non è Paul a
decidere le politiche dell’America, ma è
lui a lavorare sul pericoloso territorio di
un popolo minacciato da morte e guerra,
che non è abituato a fare tante sottigliezze sui responsabili della propria miseria
e del proprio massacro. E che, rapendo
cittadini americani e condannandoli a una
morte senza pietà, insidia la potenza dell’impero oltreoceano e ne logora i nervi e
l’opinione pubblica. Non è casuale, infatti, che l’agente con cui Paul si mette in
contatto lo inviti caldamente a non realizzare il video. Qualora venga diffuso, infatti, costringerebbe i sequestratori ad
attuare fino in fondo i loro proclami (che
comportano l’eliminazione di Paul), dando però visibilità planetaria – ed è il dettaglio che Dan sottace – alle carenze e
all’impotenza dell’intelligence americana.
Dan, preposto all’aiuto di questi casi
disperati, appare sincero nel suo impegno a distanza, anche se tutto culmina
poi in tragedia. Due le incongruenze che
lasciano qualche perplessità. Come fa
Paul a contattare il primo numero che
compone, se questo è raggiungibile solamente dal suolo americano e lui ritiene
di trovarsi in Iraq? Come fa la donna del
Dipartimento che risponde a un’altra sua
chiamata a sapere il suo nome, se lui non
si è ancora presentato? Interrogativi che
alimentano teorie da complotto... Di certo, però, v’è solo il dramma di claustrofobia e di morte, che nessuno potrebbe invidiare, di un uomo abbandonato al suo
destino.
Luca Caruso
Film
Tutti i film della stagione
IL SEGRETO DEI SUOI OCCHI
(El secreto de sus ojos)
Argentina/Spagna, 2009
Casting: Walter Rippell
Aiuti regista: Marisol Freites, Glenda Heevel
Art director: Marcelo Pont Vergés
Trucco: Lucila Robirosa
Acconciature: Osvaldo Esperón
Effetti: Rodrigo S. Tomasso
Suono: José Luis Díaz
Interpreti: Ricardo Darín (Benjamín Espósito), Soledad Villamil (Irene Menéndez Hastings), Pablo Rago (Ricardo Morales), Javier Godino (Isidoro Gómez), Guillermo Francella (Pablo Sandoval), José Luis Gioia (Ispettor Báez), Carla Quevedo (Liliana Coloto), Rudy Romano (Ordóñez), Mario Alarcón
(Juez Fortuna Lacalle), Alejandro Abelenda (Mariano), Sebastián Blanco (Tino), Mariano Argento (Romano), Juan José
Ortíz (Agente Cardozo), Kiko Cerone (Molinari), Fernando
Pardo (Sicora)
Durata: 129’
Metri: 3550
Regia: Juan José Campanella
Produzione: Mariela Besuievski, Juan José Campanella, Carolina Urbieta per 100 Bares/ Canal+ España/Haddock Films/
Tornasol Films; con la partecipazione di Televisión Española
(TVE) e in associazione con Televisión Federal (Telefe)
Distribuzione: Lucky Red
Prima: (Roma 4-6-2010; Milano 4-6-2010)
Soggetto: tratto dal romanzo La pregunta de sus ojos di Eduardo Sacheri
Sceneggiatura: Eduardo Sacheri, Juan José Campanella
Direttore della fotografia: Félix Monti
Montaggio: Juan José Campanella
Musiche: Juan Federico Jusid
Scenografia: Marcelo Pont Vergés
Costumi: Cecilia Monti
Produttori esecutivi: Gerardo Herrero, Vanessa Ragone
Produttore associato: Axel Kuschevatzky
Direttori di produzione: Muriel Cabeza, Federico Posternak
999. Benjamín Espósito ha lavorato per anni come assistente al
Pubblico Ministero. Ora è in pensione e sta scrivendo un romanzo. La sua
mente è ancora ossessionata dal caso Morales, ormai archiviato dalla polizia, ma
ancora vivo nella sua memoria. A quel tempo, Espósito aveva indagato sull’omicidio
di Lilliana Morales avvenuto nel giugno
del 1974 in un sobborgo di Buenos Aires,
una giovane donna che era stata prima violentata e poi uccisa. Il marito Ricardo, affranto dal dolore e assetato di vendetta,
ha ora come unico scopo quello di trovare
l’assassino e consegnarlo alla giustizia.
Nelle indagini Espósito viene aiutato
dall’assistente Pablo Sandoval e da Irene
Menendez-Hastings, il nuovo cancelliere
da cui resta subito affascinato. A casa di
Morales, trova qualche indizio guardando
delle foto in cui c’è spesso un uomo che
sembra guardare la vittima in modo sospetto. Si tratta di Isidoro Gómez. L’uomo,
però, sparisce prima di essere rintracciato. Con Sandoval entra di nascosto nella
casa della madre del sospettato che si trova a Chivilcoyy (la stessa città di Lilliana)
e prende con sé delle lettere. Questa azione, però, appare inutile, visto che non trovano indizi. Inoltre ha creato dei problemi
con i superiori perché l’operazione è illegale. Il caso viene così chiuso.
Passa circa un anno. Espósito rivede
Morales e scopre che il marito della ragazza uccisa passa gran parte del tempo
libero nelle stazioni ferroviarie di Buenos
Aires alla ricerca di Gómez. Colpito dalla
sua determinazione, riesce a convincere
1
Irene a riaprire l’inchiesta. A sua volta,
Sandoval. grazie a un amico del bar (l’uomo è infatti vittima di alcolismo), riconosce alcuni nomi scritti nelle lettere prese
da casa della madre di Gómez e si tratta
di alcuni calciatori del Racing Club de
Avellaneda. Pensando così che il sospetto
sia un tifoso della squadra di calcio, vanno a vedere diverse partite del Racing sperando di trovarlo. Una volta, lì allo stadio, finalmente, riescono a riconoscerlo.
Lui scappa e dopo un inseguimento viene
catturato dalla polizia. Nell’interrogatorio
Irene ed Espósito riescono a farlo confessare. Viene così processato e condannato.
Dopo poco tempo, però, è liberato da Romano, collega con cui Espósito ha frequenti
scontri, e lo fa lavorare come guardia del
corpo del Presidente Isabel Péron. I tentativi per ottenere giustizia si rivelano inutili e, a Espósito non resta che informare
Morales che Gómez, pur condannato all’ergastolo, ora è libero. Nel frattempo,
Sandoval viene trovato assassinato nell’appartamento di Espósito che, a questo punto, sentendosi in pericolo, decide di andare in esilio a malincuore perché si allontana dalla donna che ama, Irene. Si trasferisce così a Juijuy. Quando torna a Buenos
Aires dopo molti anni, Romano è stato ucciso durante la dittatura del 1976, Irene si
è sposata con due figli e di Gómez si sono
perse le tracce.
Ora nel 1999, mentre sta scrivendo il
libro, ritrova anche Irene. Poi va a trovare
Morales che si è trasferito da molto tempo
in una casa di campagna alla periferia di
Buenos Aires. L’incontro, inizialmente pia-
37
cevole, si carica di un’inspiegabile tensione. Il marito della donna uccisa anni prima confessa di aver prima sequestrato poi
ucciso Gómez. Espósito però ha dei dubbi. Torna così di nascosto a casa di Morales e scopre che in una cella nell’oscurità
c’è un uomo vecchio e malconcio. Si tratta
di Gómez. Tornato poi a Buenos Aires, va
alla tomba di Sandoval poi da Irene, riuscendo finalmente a dirle ciò che prova per
lei. La donna, felice, lo invita a rimanere
in ufficio e a chiudere la porta.
el ventre della memoria. Un viaggio nel buio Il segreto dei suoi
occhi che parte come un noir
classico (l’indagine su un omicidio) poi vira
verso il melodramma nel modo in cui vengono mostrati gli sguardi e le parole mai dette
tra Benjamin e Irene e, infine, termina come
un thriller con la vendetta del marito vedovo
che tiene sequestrato l’assassino della moglie. Tratto dal romanzo di Eduardo Sancheri, Il segreto dei suoi occhi da forma a molteplici ossessioni nel modo più tradizionale
possibile. Forse per questo ha fatto storcere
il naso il fatto che sia stato premiato nel 2010
con l’Oscar come miglior film straniero al posto del troppo acclamato Haneke di Il nastro
bianco e dello straordinario carcerario Audiard di Il profeta (quello sì che lo meritava).
Eppure è un film lineare nel suo genere, capace di accendersi a intermittenza e non in
modo costante come invece la ricchezza
della materia narrativa poteva promettere. Il
film dell’argentino Juan José Campanella
(del quale in Italia si è visto Il figlio della sposa del 2001, che ottenne la nomination al-
N
Film
l’Oscar) gioca essenzialmente sull’alternanza di due piani temporali diversi: il 1974, data
dell’omicidio, e il 1999, momento in cui nella
mente di Benjamín riprende forma il caso
Morales. Il passato è rivissuto attraverso i
suoi occhi. Potrebbe essere alterato, manipolato, frutto di una fantasia individuale, o
una personale lotta contro i propri demoni. Il
film, però, non lascia questa ambiguità ma
preferisce soffermarsi su un racconto teso e
ben ritmato, che sa utilizzare anche delle
tracce visive evidenti (la presenza delle fo-
Tutti i film della stagione
tografie), all’interno delle quali la macchina
da presa sembra voler sprofondare per poi
animarle e farle riprendere vita. Uno schema, questo, che a volte si vede anche in
alcune serie tv statunitensi, alcune anche
di ottima fattura. Del resto Campanella ha
anche diretto alcuni episodi di Law & Order
e Dr. House e si vede che ha una mano
abile nel costruire la tensione, nel mostrare
i suoi protagonisti in uno stato di continuo
pericolo. Non vuole sembrare una provocazione, ma, forse, per Il segreto dei suoi
occhi doveva emergere l’anima più televisiva del regista piuttosto che quella più autoriale. Il film ha una raffinatezza visiva (le
inquadrature negli interni, l’utilizzo di tonalità neutre, l’indugiare sui primi piani dei protagonisti) che finisce per trattenerlo eccessivamente quando invece era potenzialmente esplosivo. Di conseguenza, tende a
ripulire il suo essere torbido, quasi sporco
e a tenere a troppa distanza le ombre della
dittatura evidenti solo in isolate azioni o in
una partenza che lascia una consistente
frattura temporale. Eppure nell’opera ci sono
anche degli slanci improvvisi (il modo in cui
viene inquadrato Gómez, quasi una specie
di diavolo che prende provvisoriamente una
forma umana), momenti di gran bel cinema
(il piano-sequenza allo stadio) e la bravura
di attori come Ricardo Darín e Soledad Villamil, che ha già diretto insieme in El mismo amor, la misma lluvia del 1999 e lui da
solo proprio in Il figlio della sposa e in Luna
de avellaneda del 2004. Il cuore melò, però,
ha un battito regolare che accelera solo
nella scena del treno. Se avesse preso un
andamento irregolare, forse ora staremmo
a parlare di un capolavoro e non solo di un
discreto film. Potrebbe bastare, ma nel caso
di Il segreto dei suoi occhi resta maggiormente il rimpianto per come sarebbe potuto essere.
Simone Emiliani
WALL STREET: IL DENARO NON DORME MAI
(Wall Street 2: Money Never Sleeps )
Stati Uniti, 2010
Acconciature: Chris Clark, Suzy Mazzarese-Allison, Silvie
Salle, Kerrie Smith
Supervisori effetti visivi: David Burton (With A Twist Studio), Eric Bruneau, Paul Graff
Coordinatori effetti visivi: Matt Kushner, Andy Simonson
(Look FX)
Interpreti: Michael Douglas (Gordon Gekko), Shia LaBeouf
(Jake Moore), Josh Brolin (Bretton James), Carey Mulligan
(Winnie Gekko), Eli Wallach (Jules Steinhardt), Susan Sarandon (madre di Jake), Frank Langella (Louis Zabel), Austin Pendleton (dottor Masters), John Bedford Loyd (Bill Clark), Vanessa Ferlino (Audrey), John Buffalo Mailer (Robby), Jason Clarke
(capitano della polizia federale), Maria Bartiromo (conduttrice
televisiva), Waltrudis Buck (segretario di Zabel), Alice Burla (pianista tredicenne), Anthony Cochrane (rappresentante di Londra), Frank Ciornei (proprietario di casa), Michael Genet (maggiordomo di James), Harry Kerrigan (guardia della prigione),
Edmund Lyndeck (paziente), Tom Mardirosian (procuratore distrettuale), Sylvia Miles (agente immobiliare), Manu Narayan
(analista), Julianne Michelle (Natasha), Nan Lu, Sondra James,
Limor Hakim, Edward Henzel, Richard Green, Christian Baha
Durata: 127’
Metri: 3500
Regia: Oliver Stone
Produzione: Eric Kopeloff, Edward R. Pressman, Oliver Stone
per Edward R. Pressman Film
Distribuzione: 20th Century Fox
Prima: (Roma 22-10-2010; Milano 22-10-2010)
Soggetto: Bryan Burrough, Stephen Schiff
Sceneggiatura: Allan Loeb, Stephen Schiff
Direttore della fotografia: Rodrigo Prieto
Montaggio: David Brenner, Julie Monroe
Musiche: Craig Armstrong
Scenografia: Kristi Zea
Costumi: Ellen Mirojnick
Produttori esecutivi: Alessandro Camon, Celia D. Costas,
Alex Young
Direttore di produzione: Deb Dyer
Casting: Kathleen Chopin, Sarah Finn
Aiuti regista: David Fischer, Chris Gibson, Adrian Grunberg,
Peter Thorell
Operatore Steadicam: Maceo Bishop
Art director: Paul D. Kelly
Arredatore: Diane Lederman
Trucco: Jane Choi, Leslie Fuller, Mindy Hall, Gabriel Solana,
Mary Anne Spano, Ande Yung
38
Film
001: Gordon Gekko, speculatore,
affarista, mente diabolica della
Borsa di New York degli anni ’80,
esce dalla prigione dove ha scontato otto anni
per “insider trading” e altri reati finanziari.
Non trova nessuno ad attenderlo, tantomeno
sua figlia Winnie che lo considera colpevole
delle sofferenze inflitte alla madre e della
morte del fratello per overdose. Gekko passa quindi il suo tempo scrivendo libri (la gente
fa la fila per avre la firma autografa sul suo
memoriale “L’avidità è buona?”) e tenendo
conferenze all’università.
Altri anni passano e tempi sempre più
duri si delineano all’orizzonte per la finanza, l’economia e le tasche della gente, stretta
tra la disoccupazione, le case che non valgono nulla con le rate di mutuo però sempre
uguali e che in tanti non pagano più. Conseguenza: i debiti sono cartolarizzati, trasformati in titoli, i cosiddetti “tossici” che le
banche d’affari si passano l’una con l’altra
fino a che qualcuna non rimane col cerino in
mano e soccombe. È il caso della Zabel Bank,
il cui amministratore, Lewis Zabel è la guida e il paterno maestro di Jake Moore, giovane rampante che tenta la scalata al successo nel mondo finanziario per sostenere un’
azienda amica specializzata nella green economy e nelle energie alternative.
Il momento diventa bruciante e doloroso: Lewis, sotto la pressione del suo avversario Bretton James, anima nera della finanza sporca che ha messo in giro voci sulla scarsa tenuta della sua banca, si uccide.
Jake è disperato ma vuole continuare a lavorare nell’ambiente che divora i più deboli per vendicare il vecchio Zabel: avvicina
Gekko, con la cui figlia, guarda caso, è fidanzato e come realizzazione di un sogno
nefasto incomincia a lavorare proprio per
la banca di Bretton. Gekko vuola da James
l’aiuto per riavvicinarsi alla figlia, cosa che
avviene alla fine di alcuni incontri apparentemente fortuiti, ma in realtà preparati
dai due. La vendetta per Jake arriva presto: Bretton James cade sotto le voci messe
sul tappeto da una congiura di borsa, di cui
Gekko e il giovane sono gli artefici.
Manca un ultimo tassello: Gekko rivela
che in Svizzera ci sono dei fondi da lui occultati ai tempi d’oro, cento milioni di dollari, basta una firma di Winnie per sbloccarli
ed entrarne in possesso a sostegno delle sue
campagne sociali e ambientaliste sul suo blog
“di sinistra”. In realtà è un inganno: una
firma di Winnie e i soldi, come per magia,
ritornano in mano proprio a Gekko che riapre ufficialmente e clamorosamente la sua
attività in borsa, a dimostrazione che lui è
sempre e ancora il più forte. Per Jake e Winnie è una ferita dolorosissima che li divide e
sembra inaridire ogni sentimento. Jake prova il colpo gobbo: porta a Gekko un’ecografia che rivela Winnie essere incinta di un bimbo, suo nipote. La durezza del finanziere si
2
Tutti i film della stagione
sgretola, i cento milioni andranno per il futuro del piccolo Gekko e per le iniziative sociali di Winnie: il vecchio squalo ha rinfoderato i denti, forse, per sempre.
liver Stone è un regista d’impeto
e anche qui conferma la sua
fama e il suo modo di girare affrontando una materia vasta e corposa per
metterci dentro tanto e alla sua maniera: l’avidità, naturalmente, il denaro e il suo potere
sulla ingenuità degli uomini, la consapevolezza che l’essere umano non è mai cambiato nel corso dei secoli e mai cambierà,
come mosso e continuamente depredato da
una maledizione biblica che non lascia scampo e che a cadenze cicliche riappare immutabile, persecutoria e divoratrice. È, in fin dei
conti, il monolite di Kubrick alla rovescia, lì
portatore di una misteriosa fonte di intelligenza capace di accompagnare l’evoluzione, qui pietra tombale su un essere vivente
la cui caratteristica principale è la rapacità,
la stupidità senza via d’uscita. Naturalmente
c’è anche molto altro, a cominciare dal rapporto padri e figli per esempio, dilatato a superare lo stretto legame dei protagonisti per
caratterizzare altri piani narrativi: Jake e
Lewis, Jake e Gekko, Gekko e Winnie ma
anche Jake e Bretton e Bretton e il vecchio
banchiere Steinhard (un monumento a se
stesso fatto da un sublime e quasi centenario Eli Wallach). E sempre a significare la
stessa cosa: un padre incombente, onnivoro, divoratore della realtà e dei propri figli,
crudele, minaccioso, spaventevole quando
è grande; disponibile all’affetto, umanamente e normalmente vulnerabile quando cade
in una discesa, che, a sua volta, provoca
ancora dolore. Per superare quaesta doppia forma che il dolore prende prima e dopo,
l’uomo si ubriaca nella sopraffazione, nell’avidità, conferisce al denaro quel potere che
O
39
non è stato in grado di costruirsi con la propria personalità mancante. Questa è la macchina della storia, questo è ciò che l’uomo
ancora non comprende.
Stone inquadra tutto ciò secondo due
architetture narrative e d’ambiente: i protagonisti, le loro storie, il loro dibattersi; intorno i personaggi della finanza, della borsa,
dei consigli di amministrazione, delle sale
delle contrattazioni, degli alberghi, dei ricevimenti, degli uffici. Dei primi praticamente
sappiamo tutto e nulla ci meraviglia, dalle
scene tenute con solida conduzione registica alla forte professionalità degli interpreti
basata soprattutto sulla contrapposizione
tra la padronanza luciferina del vecchio
Douglas e il sincero slancio dei due giovani
Shia Labeouf (Jake) e Carey Mulligan (Winnie). È particolarmente affascinante invece
la composizione dell’ambiente che fa da
contorno alla storia primaria, sia nella caratterizzazione degli attori, di grandissimo
mestiere anche nelle partecipazioni più brevi come nella precisazione delle note scenografiche più strettamente d’interni: Stone ci consegna uno scenario di spettri di
cui mette in evidenza con disprezzo e una
condanna senza appello ogni crudeltà, ogni
bassezza nel calpestare la dignità umana;
gli stereotipi del linguaggio, dei comportamenti, del vestiario borsistico d’ordinanza,
delle espressioni convenzionali sono rappresentati con la spietatezza del giustiziere e la fantasia di un grande cineasta.
Chissà se la rabbiosa distruzione di un
preziosissimo quadro di Francisco Goya e
delle mostruosità in esso rappresentate a
opera di Bretton James sia la strada auspicata dal regista: fare piazza pulita di tutta
questa serie di mostri che hanno portato il
genere umano sull’orlo del baratro.
Fabrizio Moresco
Film
Tutti i film della stagione
I FIORI DI KIRKUK
(Golakani Kirkuk)
Italia/Svizzera, 2010
Operatore: Marco Carosi
Arredatore: Malakdjahan Khazai
Trucco: Ronald Haldimann
Acconciature: Simona Marra
Fonico: (presa diretta) Patrick Becker
Effetti speciali: Fernando Sabelli
Interpreti: Morjana Alaoui (Najla ), Ertem Eser (Sherko),
Mohammed Zaoui (Mokhtar), Mohammed Bakri (Sherko 20
anni dopo), Maryam Hassouni (Rim), Ashraf Hamdi (Rasheed), Falah Fleyeh (zio), Shilan Rahmani (Bayan), Sarkaw
Gorany (Karim), Fehd Benchemsi (Hashem)
Durata: 115’
Metri: 3150
Regia: Fariborz Kamkari
Produzione: Fabrizia Falzetti, Marcel Hoehn, Dorotea Morlicchio,
Francesca Morlicchio, Claudio Tesauro, Carlo Nizzo, Michelangelo Morlicchio, Giulia Fretta per Far Out Films/T&C Film AG
Distribuzione: Medusa
Prima: (Roma 19-11-2010; Milano 19-11-2010)
Soggetto e sceneggiatura: Fariborz Kamkari, Naseh Kamkari
Direttore della fotografia: Marco Carosi
Montaggio: Marco Spoletini
Musiche: Orchestra di Piazza Vittorio
Scenografia: Malak D. Khazai, Sima Yazdanfar
Costumi: Malakdjahan Khazai, Simona Marra
Direttore di produzione: Sabina Tranquilli
988: Najla, giovane dottoressa irachena laureatasi a Roma torna nel
suo Paese per avere notizie di Sherko, medico curdo, suo grande amore, ritornato precipitosamente a Kirkuk e di cui
non sa più nulla. Najla trova una realtà
ben diversa da quella sperata: la famiglia
dello zio (i genitori di lei non ci sono più)
si considera depositaria dei valori del clan
fermo nei secoli; il cugino è un despota,
fautore della sottomissione completa della donna al marito, al padre, al maschio.
Sherko è entrato prima come fiancheggiatore poi direttamente nella lotta partigiana dei curdi di cui Saddam Hussein ha avviato lo sterminio; per questo ha voluto troncare ogni rapporto con Najla per non comprometterla insieme alla sua famiglia. A questo, si aggiunge il corteggiamento di Mokhtar,
ufficiale dell’esercito regolare che vuole sposare Najla, i cui rifiuti lo fanno diventare sempre più ossessivo e insidioso. Per tenere lontano tutto ciò e per potere gestire almeno una
parte della propria libertà, Najla decide di
diventare guardia medica nell’esercito: può
così aiutare la causa curda dall’interno e stare vicino a Sherko.
1
Tutto questo però non basta; le vicissitudini si accavallano, la morsa di Saddam
si chiude intorno ai curdi; Najla riesce a
fuggire insieme Sherko utilizzando un lasciapassare rubato a Mokhtar; lei è presa e
fucilata, solo lui riesce a mettersi in salvo.
2003: Saddam è caduto e con lui le sue
statue, la persecuzione è finita, Sherko può
finalmente portare un fiore sul campo pieno di tombe dove Najla riposa insieme ad
altri martiri.
piani narrativi sono due: la storia privata dei due protagonisti, il loro amore, il ritorno, il riprendere contatto con
una realtà che stando lontani sembrava
impossibile che esistesse ancora; l’incapacità di restare fuori dalla mischia e il
profondo dovere morale di partecipare
alla resistenza contro la persecuzione fino
al sacrificio finale di cui tutti e due sono
consapevoli. La storia pubblica con i suoi
orrrori, le torture, le armi chimiche sulle
popolazioni inermi, il genocidio e poi la
caduta del dittatore e del suo regime di
cortigiani e generali inetti.
Due considerazioni di base da cui non
I
si può prescindere, indipendentemente dai
giudizi e dalle idee che tutti liberamente
possono avre su tutto e quindi anche su di
un film: non basta la nobiltà civile di un
argomento, né l’onestà delle intenzioni registiche per fare un buon film, tantomeno
un bel film; i due piani narrativi, cui accennavamo prima, non si compenetrano mai,
non concorrono a comporre un’unica figura umana, inquadrata nella sua evoluzione storica come persona capace di sentimenti e di azioni contro i soprusi di un regime. Il film, quindi, risulta sempre sbilanciato, a favore di una o dell’altra narrazone, privo di quel respiro drammaturgico
completo, capace di coinvolgere l’attenzione e l’animo dello spettatore.
Tecnicamente poi la conduzione delle immagini avviene in maniera primitiva,
come il compitino di un giovane operatore alle prime armi e questo non conferisce al lavoro nemmeno quella spontaneità
un po’ naif forse ricercata ma solo la penuria di competenza, di soluzioni, di fantasia.
Fabrizio Moresco
VALUTAZIONI PASTORALI
Benvenuti al sud – consigliabile / brillante
Bruno – sconsigliato-non utilizzare / volgarità
Buried – Sepolto – complesso-problematico / dibattiti
Corsa a Witch Mountain – consigliabile /
semplice
Doppia ora (La) – consigliabile / problematico
Estate di Martino (L’) – n.c.
Figli delle stelle – consigliabile / brillante
Fiori di Kirkuk (I) – consigliabile-problematico / dibattiti
Harry Potter e i doni della morte – Parte1 – consigliabile / problematico
In carne e ossa – n.c.
Karate Kid (The) – La leggenda continua – futile / superficialità
Maschi contro femmine – futile / scabrosità
Noi credevamo – consigliabile-problematico / dibattiti
Notte da leoni (Una) – futile / grossolanità
Panico al villaggio – n.c.
Post Mortem – consigliabile-problematico
/ dibattiti
Potiche – La bella statuina – consigliabile
/ brillante
Precious – Complesso-problematico / dibattiti
Ritorno a Brideshead – n.c.
Qualcosa di speciale – consigliabile / problematico
40
Segreto dei tuoi occhi (Il) – n.c.
Social Network (The) – consigliabile / realistico
Superpoliziotto al supermercato (Il) –
n.c.
Stanno tutti bene – consigliabile / semplice
Ti presento un amico – consigliabile /
semplice
Unstoppable – Fuori controllo –
consigliabile / semplice
20 sigarette – consigliabile / realistico
Wall Street: il denaro non dorme mai –
consigliabile / problematico
Winx Club 3D – Magica avventura –
consigliabile / semplice
Film
Tutti i film della stagione
PESARO 2010:
IL “NUOVO” CINEMA È VIVO
A cura di Flavio Vergerio
La Mostra Internazionale del Nuovo cinema di
Pesaro, giunta alla sua 46.a edizione, continua
a essere, per l’attenzione a cineasti “fuori dal
coro” e per la ricchezza documentaria con cui
da alcuni anni ripropone le maggiori figure del
nostro cinema, la manifestazione più significativa del nostro panorama festivaliero, seconda
solo a Torino e a Venezia. Anche quest’anno il
programma, molto ricco e stimolante, presentava molteplici motivi d’interesse: accanto a un
Concorso migliorato di livello (senza alcune
concessioni del passato al pubblico distratto
delle proiezioni all’aperto) è stata proposta una
corposa ricognizione del nuovo cinema russo,
con autori di grande interesse, un gruppo significativo di opere di cinema “di ricerca” nella
sezione evocativa dello spirito cinema della
Nouvelle Vague, “Bande à part”, una retrospettiva completa di Carlo Lizzani, grande testimone di sessant’anni di vita italiana, con un importante volume curato da Vito Zagarrio. La
Mostra, come da sua specifica tradizione, ha
inoltre pubblicato una raccolta di saggi critici
del suo fondatore, Lino Micciché, utile documentazione per ripercorrere il dibattito culturale italiano fra il 1930 e il 1980.
IL CONCORSO
Il film premiato dalla Giuria, Eighteeen (ma il
titolo originale suona Hoe-ori Ba-ram, che significa “Uragano”) del sud-coreano Jang Kunjae è una meditazione poetica e sofferta sulla
“dolce ala della giovinezza”. Due diciottenni
vivono un delicato idillio in una breve vacanza invernale in riva al mare, ma al loro ritorno
a casa i genitori di lei le proibiscono duramente
di rivedere l’amico. La ragazza ubbidisce e al
giovane innamorato non resta che una dolorosa riflessione sulla fine dei sogni e sul ritorno
all’ordine. Sospeso fra realismo e tempi morti
della riflessione il film si segnala per la convincente indagine psicologica.
Più ambizioso, ma meno riuscito per l’eccesso di verbosità e la meccanica velocizzazione delle immagini ritmate dalla musica rocchettara pop da videoclip, il film premiato
dalla giuria alternativa formata da studenti
dell’Università di Urbino, Kislorod (Oxygen)
del giovane siberiano Ivan Vyrypayev. In uno
studio di registrazione musicale due presentatori commentano il dettato dei Dieci Comandamenti, messi a confronto con la ricerca esistenziale di una giovane coppia. Ma
senza l’Ossigeno - il Verbo - moriranno…
Memore di atmosfere rarefatte alla Antonioni, El Pasante (The Intern) della trentenne esordiente argentina Clara Picasso descrive gli impacci amorosi di uno stagista e della sua formatrice, una scialba receptionist in un grande
albergo. I due osservano la vita segreta e illusoria dei clienti e finiscono per essere coinvolti nella misteriosa scomparsa di un cliente.
Il film parla di difficoltà comunicativa, di vita
affettiva bloccata, di rapporti fra vita privata e
vita sociale. Buono lo stile, poco convincente
il plot. Il secondo film sudamericano, Vaho
(Becloud, ovvero confuso) di un altro esordiente, il messicano Alejandro Gerber Bicecci, intreccia diverse storie in un complesso andirivieni cronologico sullo sfondo della rappresentazione popolare della Passione di Cristo a
Iztapalpa. Tre ragazzi diciottenni sono lacerati dal senso di colpa per non essere intervenuti
anni prima per salvare un bambino loro coetaneo. Il regista vuole denunciare l’incapacità
di fare chiarezza nella propria esistenza, condizionata dall’emarginazione sociale (si prega perché l’acqua torni a sgorgare da una sorgente rinsecchita) e dalla solitudine.
Miyoko Asagaya Kibun (Miyoko) di un altro
giovane, il giapponese Yoshifumi Tsubota,
descrive l’ossessione erotica del disegnatore
di fumetti manga Abe Shinichi, che cerca disperatamente di trarre ispirazione dalla sua
musa e modella Miyoko. L’artista vive tutte
le tappe dell’artista maledetto, diviso fra abiezione bohemienne e successo, amore e violenza, produzione artistica e blocchi creativi.
Storia narrata infinite volte, ma qui nobilitata dalla qualità delle immagini e dal rapporto
problematico fra realtà e rappresentazione.
Film violentemente pessimista come viene
confermato dalla battuta finale dell’artista che
appare alla fine del film in prima persona:
“Diventa buio così velocemente…”.
NUOVO CINEMA RUSSO
La censura del mercato ha prodotto una visione distorta della cultura e del cinema russi
contemporanei, affidata ai nomi prestigiosi
ed elitari, da tempo fiore all’occhiello di molti
festival nel mondo, di Sergej Bodrov (Il prigioniero del Caucaso), Pavel Lungin (Taxi
blues, Le nozze), Andrej Konèalovskij (Il
proiezionista, La casa dei matti), Alexander
Sokurov (Madre e figlio, L’arca russa, Il
41
sole), oltre al più popolare Nikita Michalkov
(Sole ingannatore, 12). Così almeno tre nomi
significativi della nuova generazione sono
sconosciuti in Italia: Aleksej German jr., Boris Chlebnikov e Aleksej Popogrebeskij.
La “liberalizzazione” post-comunista, oltre a
un iniziale impoverimento della popolazione,
ha portato alla dissoluzione delle strutture delle
cinematografia di stato, alla chiusura dei rapporti con l’estero e alla paralisi della produzione. Per merito dello sfruttamento degli immensi giacimenti di petrolio e di idrocarburi,
e quindi con grandi possibilità finanziarie, la
Russia ha ripreso lentamente e con molte contraddizioni la sua rinascita economica e sociale. Permane tuttavia una grande disparità fra i
grandi ricchi e una massa enorme di popolazione ridotta alla povertà. Ma si è anche formato un ceto medio che inizia a godere del
benessere consumistico di stampo occidentale. Di questa “rinascita” hanno beneficiato
anche le nuove case di produzione, che hanno
usufruito di notevoli contributi statali, diminuiti solo negli ultimi due anni a causa delle
crisi globale. Nel 2009 sono stati prodotti in
Russia 107 film e alcuni di essi sono riusciti a
scalare le vette del box-office, su un totale di
300 film distribuiti. Al maggio 2010 risultavano operanti 2155 schermi in 802 cinema
moderni, in un territorio vastissimo e su una
popolazione di 142 milioni di abitanti. In questo panorama ha ripreso spazio e vigore il cinema d’autore, di cui ha dato significativo
conto la mostra di Pesaro con una cospicua
rassegna di una ventina di film realizzati negli
ultimi dieci anni. La nuova generazione dei
cineasti russi indipendenti ci offre uno sguardo sghembo e trasversale sulla complessa e
difficile società russa. I giovani registi si sono
allontanati dalle grandi città, Mosca e San Pietroburgo, dai centri del potere politico e dei
nuovi oligarchi e mafiosi corrotti, per andare
a cercare l’anima di una possibile nuova Russia nei piccoli villaggi agricoli persi nella steppa, con la loro piccola umanità, la loro genuina moralità, le loro rissose e bonarie relazioni
interpersonali e i suoi riti religiosi (o alcolisti), il loro fatalismo, il loro profondo rapporto con la terra. I loro film spesso studiano il
rapporto fra passato e presente, raccontandoci
storie di conflitti generazionali, di ribellioni
dei figli e di confessioni dei padri.
Assieme a Il ritorno di Andrej Zviagincev, Roa-
Film
ds to Koktebel (t.l. Strade per Koktebel) di Aleksej Popogrebskij e Boris Boris Klebnikov, realizzati nello stesso anno, il 2003, segna la nascita del nuovo movimento, dando origine alla
vivace casa di produzione Koktebel. Si tratta di
un road movie carico di simbolismi. Un ingegnere, rimasto vedovo, abbandona Mosca per
raggiungere la sorella a Koktebel sul Mar Nero.
Lo accompagna il figlio undicenne, che vuole
raggiungere rapidamente la costa per vedere
volare gli alianti. L’uomo è amareggiato, nasconde nel profondo dell’animo e della memoria molti ricordi tristi; privo di autostima, ha un
rapporto difficile col figlio. Se per l’uomo il
viaggio rappresenta una sorta di purificazione
e di ricostruzione di una nuova vita, per il figlio
il mare e gli alianti rappresentano la ricerca di
indipendenza e l’inizio dell’età adulta. Il viaggio segnala anche la presenza desolata della
Russia profonda, con la sua miserie e la sua
violenza. All’ultimo, l’uomo sembra rinunciare alla meta, innamorandosi di una dottoressa
che l’ha curato. Il ragazzo raggiunge invece su
una collina a picco sul mare il monumento al
deltaplano tanto agognato, lotta con un gabbiano che lo assale (il volo solitario è una conquista difficile) e finisce con perdere il suo sguardo sull’orizzonte infinito, gravido di speranze
e di interrogativi. Il padre è infine accanto a lui:
lo sguardo comune e la consapevolezza di un
destino incerto forse apriranno un dialogo difficile.
I rapporti fra padri e figli, lo scontro generazionale, la rivisitazione di un passato drammatico
dei padri e il loro senso di colpa nei confronti
dei figli è tema ricorrente in altri film. Si veda il
doloroso percorso verso l’annullamento di sé
di una cantante lirica che rinuncia alla propria
carriera dopo la scomparsa del figlio “ribelle”
per dedicarsi ai diseredati del suo villaggio natale (Yuri’s Day/Il giorno di Yuri di Kiril Serebrennikov) oppure la difficile convivenza fra
un esperto metereologo e un giovane neolaureato in una sperduta stazione d’osservazione fra
i ghiacci del circolo polare (How I Ended This
Summer/Come ho passato quest’estate di Aleksey Popogrebsky), situazione narrativa che ricorda Il tempo si è fermato di Ermanno Olmi.
L’altro tema significativo è il rapporto fra città
e campagna, ben illustrato da Granny/(Nonnina) di Lidya Bobrova in cui una vecchietta
è costretta a cercare rifugio in città, salvo poi
fuggirne per tornare al suo mondo rurale.
Arioso e sorridente, malgrado il desolante
contesto sociale, è apparso Travelling with
Pets (Viaggio con animali domestici) di Vera
Storozheva, ritratto di una donna brutalizzata dalla vita e dagli uomini, che riesce a costruirsi una nuova identità, tornando all’orfanotrofio da cui proviene e adottandovi un
bambino, dopo aver rifiutato il matrimonio
con un buon uomo, ma fondamentalmente
maschilista. Anche in questo film la campagna e il lento scorrere delle acque che l’ attraversano è il luogo simbolico della rinascita e della riconquista della propria umanità.
La campagna non è sempre un luogo idillico
e pacificato, ma spesso è il deserto in cui si
Tutti i film della stagione
muovono i fantasmi dei personaggi: si veda
Morphia/Morfina di Aleksey Balabanov, tratto da Appunti di un giovane medico di Bulgakov, in cui un giovane medico operante in
un villaggio sperduto cerca di vincere le proprie insicurezze cadendo progressivamente
nel baratro della droga.
Alcune donne registe (e non solo) stanno sviluppando una significativa riflessione sulla
condizione della donna in Russia: basti citare
il durissimo Tale in the Darkness/Racconto nel
buio di Nikolay Khomeriki, amaro ritratto di
una donna poliziotto che cerca inutilmente di
sfuggire alla sua solitudine in un rapporto con
un collega maschilista e violento.
Una rappresentazione “al nero” della vita urbana a Mosca, tra violenza, scontri fra bande
malavitose e polizia corrotta, spaccio di droga e prostituzione è il tema di Bumer di Pyotr Buslov. Un gruppo di giovani sbandati si
dedica a furti di poco conto, ma cade progressivamente in una spirale di azioni sempre più pericolose e violente, soccombendo
negli scontri a fuoco. Il protagonista, malgrado i tentativi di tornare a una vita normale
accanto alla sua donna, finirà per morire da
solo su una potente BMW nera impantanata
in una strada di campagna, ai margini della
notte. Più metafisico l’amaro ritratto, in Simple Things (Piccole cose) di Aleksey Popogrebsky, di un modesto anestesista costretto
alla convivenza con un autista e un’anziana
donna malata. Per integrare il magro stipendio si prende cura di un noioso vecchio attore, per il quale ipotizza l’eutanasia (metafora
forse della morte dell’arte). Finirà sotto
un’auto inseguendo la figlia adolescente in
fuga da casa. Il film si segnala per la sottile
ironia e il distacco impassibile con cui il regista osserva i suoi personaggi.
E non si creda che il nuovo cinema russo sfugga al dovere della denuncia politica diretta,
come dimostra Captive/ Prigioniero di Aleksey Uchitel in cui si narra un atroce episodio
della guerra cecena, in cui un gruppo di soldati russi assolda una guida locale e finisce
per ucciderla per sfuggire alla cattura da parte del “nemico”.
BANDE À PART.
La sezione “sperimentale” (o più semplicemente curiosa e innovativa) della Mostra ha
offerto alcuni sguardi non riconciliati con il
mondo complesso e drammatico in cui viviamo.
Budrus di Julia Bacha, una co-produzione fra
Israele, Palestina e USA, descrive l’attività
poco nota, ma foriera di nuove prospettive di
pacificazione, di un movimento non-violento palestinese indipendente dagli altri partiti
politici, fondato dall’attivista sociale Ayed
Morrar. Il documentario, dotato di una forte
immediatezza e impatto emotivo, descrive la
sorprendente lotta vittoriosa della popolazione di un villaggio destinato alla distruzione
con la costruzione del Muro israeliano.
Il redivivo regista lituano di “culto” Sharunas Bartas propone in Eastern Drift (Indige42
no d’Eurasia) un viaggio estremo verso l’autodistruzione e la morte di un uomo che tenta
di ribellarsi alla mafia russa con cui è in affari. La lunga fuga fra pianure innevate e laghi
gelati, complicata da una doppia storia
d’amore, si concluderà tragicamente per
mano del fratello in un’isola francese. Il regista ha inteso mostrare la lotta dell’uomo per
la vita in condizioni estreme,“situazioni in cui
l’istinto è la forza trainante e le regole della
società civilizzata non hanno più senso”.
La berlinese di origine giamaicana Cynthia
Beatt ha proposto con Cycling The Frame
del 1988 e The Invisible Frame del 2009 due
lunghi percorsi ciclistici (la ciclista muta è
la carismatica Tilda Swinton) lungo il Muro,
prima e dopo la sua caduta. Se il primo film
costituiva uno sguardo inedito sulla Berlino
Est vista da Ovest, il secondo va alla scoperta di nuovi percorsi al di qua e al di là di
ciò che rimane del Muro, denunciando l’insorgenza di nuove interruzioni e impedimenti. Abbattuto un muro, se ne ricostituiscono
molti altri, invisibili ma altrettanto insidiosi.
Non per nulla, il film è dedicato al popolo
palestinese.
Daniel Schmid – Le chat qui pense é uno straordinario ritratto del regista svizzero deceduto nel 2006 (autore di opere barocche e surreali quali La Paloma o Violanta), dei compatrioti Pascal Hofman e Benny Jaberg. Gli
autori attraverso locations a Flims, nei luoghi che hanno ispirato l’opera di Schmid, interviste allo stesso regista scomparso e a suoi
collaboratori e amici, hanno ricostruito in
modo empatico le origini culturali del regista, figlio di albergatori in un grande hotel in
stile Belle Epoque, ove la vita era già rappresentazione e finzione.
Indecifrabile rappresentazione di un incubo
appare Symbol dell’ex-comico giapponese
Hitoshi Matsumoto. Un uomo si sveglia (ma
forse continua a sognare), ma si ritrova travestito da clown in una stanza bianca da cui
non riesce a fuggire. Porte si aprono e si chiudono, impenetrabili, alle pareti appaiono simboli fallici. Ma l’incubo è correlato alla vita
circense di una povera famiglia messicana,
con il padre costretto a varie comparsate
umilianti (ad esempio diventa la vittima in
un combattimento di boxe). Il film si conclude paradossalmente in una cosmogonia cristologica con l’uomo-clown posto di fronte
alla propria origine.
Da segnalare infine il nuovo inquietante
exploit del filmaker francese Jean-Gabrile
Périot che in L’art délicat de la matraque
(L’arte delicata del manganello) ci propone
un breve martellante montaggio di immagini
di repertorio su pestaggi della polizia nei confronti di dimostranti civili. Ironicamente
Périot fa precedere il suo film dalla citazione
dell’art.12 della Costituzione Francese del
1789: “La garanzia dei diritti dell’uomo e del
cittadino necessita di una forza pubblica: questa forza è dunque costituita per il vantaggio
di tutti e non per l’utilità particolare di coloro ai quali è affidata”.
Film
Tutti i film della stagione
MOSTRA DEL CINEMA
DI VENEZIA 2010,
EDIZIONE 67
A cura di Flavio Vergerio con il contributo di Simone Emiliani,
Silvio Grasselli, Luisa Ceretto, Davide Di Giorgio
UNA BUONA SELEZIONE
E NUOVE PROSPETTIVE
Siamo alle solite. Se si dovesse tenere
conto delle cronache giornaliere dei quotidianisti, l’edizione ’67 della Mostra sarebbe stata ancora una volta deludente,
priva di capolavori, segnata da molteplici incidenti di percorso (il “buco” del
futuro nuovo Palazzo del Cinema, la
chiusura del Des Bains..), del resto indipendenti dalla volontà dei responsabili
artistici. Prima della manifestazione i
gazzettieri si sono concentrati sui “pericoli” cinefilici derivanti dalla nomina a
Presidente della Giuria dell’imprevedibile Quentin Tarantino e sull’esclusione
dalla competizione del film di Pupi Avati (in verità anche troppo presente in passato a Venezia). Una sconfinata giovinezza è un film dignitoso, un poco prevedibile e senza grandi invenzioni di regia.
Accusare i selezionatori di parzialità mi
è sembrato un atto di presunzione. A chiusura del festival, si è invece scatenata la
polemica contro Tarantino che avrebbe
imposto per il Leone d’Oro Somewhere
della compatriota Sofia Coppola (ma
possibile che gli altri giurati non abbiano aperto bocca?). Il film potrà piacere o
meno, ma manifesta una precisa idea di
regia, e non si deve liquidarlo frettolosamente. Malgrado la discutibile uscita
giornalistica di Salvatores che ha accusato i quattro colleghi italiani di incapacità di emozionare il pubblico e di insufficienze di scrittura, mi sembra che Martone, Mazzacurati, Celestini e persino il
più discutibile Costanzo abbiano offerto
uno sguardo inedito e stimolante sulla
nostra storia e sui nostri problemi sociali. Piuttosto ho qualche dispiacere che
non sia stato possibile dare spazio al delicato e commovente Notizie dagli scavi
di Emidio Greco, relegato allo spazio indefinibile del Fuori Concorso, all’inquietante L’amore buio di Antonio Capuano
(ceduto alle Giornate degli Autori), alla
dichiarazione di intimità autoriale di Sorelle Mai di Marco Bellocchio (Fuori
Concorso). Ma mi rendo conto che l’ulteriore affollamento di opere italiane sarebbe stato indifendibile… Ciò che mi
sconcerta sempre nelle cronache dal Festival dei quotidiani è la quasi totale assenza di stimoli alla comprensione critica dei film, l’invito motivato ai lettori alla
scoperta delle opere più innovative, dando invece spazio alle polemichette del
giorno per giorno e ai relativi gossip.
La selezione offriva poi l’occasione di
ritrovare grandi registi che credevamo
perduti e che sono invece lucidi e vitali:
Monte Hellman, Paul Morissey, Jerzy
Skolimowski, Jan Swankmajer (f.c.).
Belle conferme anche dal cileno Pablo
Larrain, dal giapponese Miike Takashi,
dal sempre innovativo François Ozon, dal
radicale Kelly Reichardt. E alcune sorprese: la rivisitazione in chiave malinconica dell’anarchico Le margheritine della ceca Chytillovà, proposto dal greco
Attenberg di Athina Rachel Tsangari, la
ricerca di un rapporto profondo con la
natura oltre la morte in Silent Souls del
russo Aleksei Fedorchenko, la terribile
denuncia degli orrori dei campi di “rieducazione” maoisti di Il fosso di Wang
Bing.
La volontà di Marco Müller, giunto al suo
settimo anno di direzione, di non limitarsi all’ovvio e al prevedibile (cioè alla
conferma dei soliti noti, i classici autori
da festival), ma di interrogare tutti gli
aspetti dell’odierna produzione, molto
diversificata nell’inarrestabile corsa a
nuove tecnologie e mezzi di trasmissione, ben lungi dall’essere omologata come
pensano inguaribili mass-mediologi catastrofisti e vetero-ideologici si è manifestata nella cospicua rassegna di opere
di ricerca-sprimentazione nella rinnovata sezione Orizzonti.
Continuo invece ad avere qualche dubbio sull’utilità della rivisitazione del ci43
nema italiano di serie B (o C), quest’anno dedicati ai comici nostrani (Marco
Giusti li definisce “maggiori”, a me sembrano “minori”, se si escludono Totò e
pochi altri). Se si tratta di capire il rapporto fra il cinema popolar-commerciale
e il cinema d’autore, si faccia un convegno, o una serie di convegni, e si appronti
documentazione funzionale allo scopo.
Mi sembra invece un’operazione terroristica “occupare” la Sala Volpi mettendo sullo stesso piano l’epocale Guardie
e ladri e, ad esempio, il noiosissimo
L’eroe sono io di Carlo Ludovico Bragaglia, con un insipido Renato Rascel. Nella
mia inguaribile cinefilia di serie A continuo a rimpiangere le grandi retrospettive veneziane dedicate a Mizoguchi o a
Buñuel... Ma so di prediligere una linea
passatista e me ne scuso.
Flavio Vergerio
CONCORSO
Ha vinto Somewhere di Sofia Coppola,
con code polemiche al seguito. C’è infatti chi ha accusato il Presidente della
giuria Quentin Tarantino di essere stato
di parte, c’è addirittura chi è sceso in campo come il Ministro Bondi per sottolineare che bisogna ‘controllare’ le scelte dei
giurati. Al di là di tutti i rumori post-Festival, ci è sembrato di vedere le cose da
un’altra prospettiva. Un ottimo film ha
vinto in un’ottima competizione. Certo,
i Leoni d’Oro potevano essere altri, dal
potentissimo Essential Killing di Jerzy
Skolimowski, alle macerie del passato di
Post Mortem del cileno Pablo Larraín.
In ogni caso, se fossero stati premiati
anche uno di questi due film, ci sarebbe
stato probabilmente qualcuno che avrebbe avuto da ridire. Un dato salta comunque all’occhio. Questa 7° edizione dell’era Müller ha confermato come il concorso veneziano sia enormemente cresciuto nel corso degli anni, superando
non solo quello troppo grigio di Berlino,
Film
ma anche il più prestigioso Festival di
Cannes. Peccato che le strutture che dovrebbero accoglierlo adeguatamente non
siano all’altezza (si è in attesa del nuovo
palazzo del cinema) e che la stampa quotidiana (tranne qualche eccezione) preferisce il tiro al bersaglio suggerendo e
sponsorizzando il Festival di Roma. Somewhere, quarto lungometraggio della
regista, riprende luoghi e atmosfere di
Lost in Translation. Lì Tokyo, qui Los
Angeles. Il rapporto padre-figlia porta
quasi a rimandi autobiografici e dentro
ci sono omaggi al cinema di Francis, soprattutto per il nomadismo di Non torno
a casa stasera e la sperimentazione sonora di La conversazione. In Somewhere
aleggiano anche i fantasmi anni ’70 di
Monte Hellman, Russ Meyer e Frank
Perry. Soprattutto dentro ‘un viaggio nel
vuoto’ tra alberghi, giorni che si consumano nelle inquadrature fisse, c’è una
potenza alienante che apre all’opera della cineasta nuove strade, tra le più interessanti del cinema americano di oggi.
Piuttosto deludente l’apertura del festival con Black Swan di Darren Aronofsky
che proprio qui al Lido due anni fa vinse
il Leone d’Oro per The Wrestler con un
grande Mickey Rourke. Echi di Michael
Powell (tra Scarpette rosse e L’occhio che
uccide) entrano in questo thriller psicologico ambientato nel mondo del balletto newyorkese, dove la protagonista, una
danzatrice che aspira al ruolo da protagonista per Il lago dei cigni, deve confrontarsi con il suo doppio. La stessa
Natalie Portman appare a disagio in un
ruolo che finisce per soffocarla. Si tratta
di uno dei pochissimi nei del concorso
(anche se un film come Black Swan, al
di là del valore qualitativo, qualunque
selezionatore l’avrebbe preso) assieme al
pessimo Miral di Julian Schnabel, tratto
dal libro La strada dei fiori di Miral della sua compagna Rula Jebreal, kolossal
ambientato dal 1948 ai giorni nostri, che
tratteggia il continuo stato di tensione
Israele-Palestina dove il cineasta sembra
volerci indottrinare con un furore e una
passione che, al di là dei nobili temi, finisce fuori strada a causa del suo illimitato egocentrismo. Nell’elenco delle pellicole meno convincenti vanno inclusi
anche Venus noir di Abdellatif Kechiche,
altro cineasta di talento ma schiavo anche lui del suo narcisismo, che porta sullo schermo il caso della Venere ottentotta all’inizio dell’800, con la macchina da
presa attaccata ai corpi ‘fino all’ultimo
respiro’, che però qui diventa pura maniera, quasi esibizione. Oltre a questi, risulta forzata la metafora circo-guerra ci-
Tutti i film della stagione
vile spagnola in Balada triste de trompeta dell spagnolo Alex de la Iglesia, il
calligrafico e didascalico western Meek’s
Cutoff di Kelly Richard con immaginario pittorico annacquato in un respiro artificiale che vorrebbe riprodurre quello
del cinema di Gus Van Sant, e Drei del
tedesco Tom Tykwer, rapporto a tre con
deriva omosessuale, raccontato con una
pesantezza emotiva che toglie ogni slancio e che mostra come il regista si sia
perso da qualche anno dopo essersi fatto
conoscere per il dinamismo contagioso
di Lola corre e le pulsioni improvvise
dello straordinario Heaven.
Tra gli altri grandi film di questa competizione, si parlava di Post Mortem di Pablo Larraín, ossia il ‘coma del Cile’ dal
settembre del 1973 dopo la morte di Allende (gli effetti della dittatura di Pinochet si erano già visti nel precedente Tony
Manero) in cui attraverso la figura apparentemente impassibile del dattilografo
di un obitorio (interpretato da Alfredo
Castro, già protagonista del film precedente) si assiste a una progressiva chiusura materializzata dal bellissimo finale
e di Essential Killing, grande ritorno del
polacco Jerzy Skolymowski in cui, attraverso il martirio di Mohammed (uno strepitoso Vincent Gallo, Coppa Volpi come
miglior attore), catturato dai soldati statunitensi, si assiste a un film puramente
fisico che fa avvertire il dolore fisico, il
freddo con una visionarietà così potente,
che elimina anche le parole dal suo protagonista, che esiste solo attraversi i rumori prodotti dai suoi movimenti e le
urla. Ed è proprio Gallo regista che ha
dato vita al film più detestato dalla critica, Promises Written in Water, invece
esempio di un grandissimo cinema che
non ha paura di sperimentare e di mettersi in gioco, mostrando autopsie voyueristiche in cui la macchina da presa si
spinge a filmare oltre, con un bianco e
nero da ‘New American Cinema’ e con
quella rabbia repressa che poi diventa
esplosiva come in Cassavetes. La pellicola viene plasmata da Gallo, proprio
come materia e si assiste all’atto della
creazione dell’opera nel momento in cui
la si sta guardando. Chissà quando questo film e il precedente del regista, The
Brown Bunny verranno rivalutati. Non è
mai troppo tardi.
Ma sono molte le variabili impazzite e
attraenti di questo concorso: la teatralità
che diventa musical-politico nel folgorante Potiche di François Ozon, la malattia e l’amore oltre la morte del vibrante Norvegian Wood del vietnamita Tran
Anh-hung (Leone d’Oro nel 1995 per
44
Cyclo) dal romanzo cult di Haruki Murakami capace di riscaldarsi progressivamente frantumando la sua apparente bellezza figurativa, un campo di lavoro cinese luogo in cui un apparente documentarismo politico si trasforma in un horror
nello sconvolgente The Ditch di Wang
Bing, il ‘cinema nel cinema’ di Road to
Perdition di Monte Hellman che è forse
una delle opera più avanzate da un punto
di vista teorico e che sembra far dichiarare al cineasta stesso l’impossibilità di
fare cinema oggi; il rituale e struggente
Silent Souls di Aleksei Fedorchenko, in
cui il paesaggio ha una funzione espressiva notevole, l’irregolare e intimo Barney’s Version di Richard J. Lewis, rafforzato anche dalla prova di Paul Giamatti
e Dustin Hoffman, il classico e sanguinario 13 Assassins di Miike Takashi remake di un classico jiidaigechi del 1963
di Eichi Kudo, le coreografie frantumate
ed esplosive di Detective Dee and the
Mistery of Phantom Flame di Tsui Hark
e le coinvolgenti alienazioni e attese del
greco Attenberg di Athina Rachel Tsangari, con cui la protagonista Ariane Labed ha vinto la Coppa Volpi per l’interpretazione femminile.
E il cinema italiano? Forse dei quattro,
chi poteva competere maggiormente è
Noi credevamo di Mario Martone che
recupera in modo sublime la lezione rosselliniana che, nel dare forma ad alcune
pagine oscure del processo risorgimentale per l’Unità d’Italia in quattro episodi, è profondamente umanista nella
forma e nello spirito. Ascanio Celestini
con La pecora nera lascia emergere la
realtà dei manicomi attraverso un’opera soggettiva, di voci fuori-campo, odori, ricordi, con frammenti dal passato di
Pasolini e ancora più di Sergio Citti che
cresce sempre di più nel corso del tempo. La solitudine dei numeri primi di
Saverio Costanzo, dal best-seller di Paolo Giordano è balbettante e attraente e
aumenta d’intensità nella seconda parte
quando si affida a una potenza visiva
anche incontrollata, ma che trascina dentro. Ci mette un po’ troppo a decollare
invece La passione di Carlo Mazzacurati. Orlando è spaesato, Guzzanti incontrollato e solo Battiston lo trascina con
generosità. Si avverte ancora la sofferenza del regista ogni volta che si confronta con le forme della commedia
grottesca. Con la rappresentazione della ‘Passione’, il film cambia marcia e
sembra di assistere a un’opera finalmente più libera. Sfortunatamente l’inversione è arrivata troppo tardi.
Simone Emiliani
Film
ORIZZONTI
La rinnovata sezione ha presentato un programma “monstre”: ben 68 titoli fra corti,
medi e lunghi, generi diversi (documentari, fiction, animazione, sperimentazione pura, interventi su nervi scoperti della
nostra società interconnessa, riflessioni
“teoriche” sulle forme del linguaggio visivo, rivisitazioni critiche del cinema
“classico”), quasi una dimostrazione dell’infinita capacità del cinema di rinnovarsi e di rinnovare il suo sguardo sul mondo. Marco Müller, nella sua introduzione
alla “Guida” al programma spiega che la
sezione intendeva documentare la progressiva “liberazione da ogni definizione che
li costringeva entro contorni angusti” i linguaggi. A suo avviso le nuove tecnologie
mass-mediatiche hanno prodotto nuove
forme espressive. Il possibile rinnovamento, che sempre più spesso si manifesta
anche nelle produzioni destinate al grande pubblico, è memore di una “rottura”,
che si è manifestata più volte nella storia
del cinema, dalle avanguardie storiche alle
nouvelles vagues degli anni ’60. La “modernità” nel cinema continua a cercare
nuove strade nella sua ricerca di distruzione di linguaggi falsificanti e di nuove
contaminazioni. “Motore di un rivolgimento tecnico-estetico che ha azzerato
tutti gli antichi criteri qualitativi (dalla fattura alla firma d’autore), con la sua apparizione aveva fatto saltare le paratie che
dovevano salvaguardare e regolare lo statuto di opera, dalle condizioni di produzione ai valori attribuiti alla sua fruizione”. Secondo Müller questa distruzione
dello statuto dell’ “opera” ha prodotto
nuovi campi di sperimentazione, di cui la
sezione ha fornito una straordinaria documentazione. Alcuni titoli esemplificativi,
nell’impossibilità di dar conto di tutto.
The Nine Muses del documentarista anglo-ghanese John Akomfrah mette in rapporto testi di Omero, della Bibbia, di
Emily Dickinson, Nietzche, Dylan Thomas, Milton, Joyce, Beckett, Dante,
Shakespeare dedicati al tema del viaggio con immagini di lavori umilianti di
immigrati africani in Inghilterra e inquadrature fisse di uomini di colore posti di
fronte a paesaggi innevati, fiordi congelati, porti battuti dal vento e dalle onde.
Il risultato è un poema di grande impatto
emozionale, in cui il tema dell’immigrazione viene descritto come storia di solitudine e di spaesamento. “Nessuno, neanche il poeta, può misurare cosa prova
l’animo umano”, commenta la voce narrante.
Tutti i film della stagione
Il talentuoso spagnolo José Luis Guerin
in Guest (un visitatore di passaggio, estraneo) ci ha offerto uno straordinario viaggio attorno a un mondo percorso da mille inquietudini e povertà. Guerin segue
il suo ultimo film precedente, En la ciudad de Sylvia, da un festival all’altro, da
Venezia a Cannes, New York, San Paolo, Cuba, Gerusalemme. Il regista esce
dalle stanze dorate dei festival per scoprire dietro l’angolo una realtà ben diversa, incontrando mendicanti, predicatori, gente comune che parla di politica e
di economia. Gente pronta a parlare e
incontrare l’estraneo, con immediatezza
e ingenua disponibilità A New York intervista Jonas Mekas che descrive il suo
metodo di lavoro in rapporto a una realtà
apparentemente indifferente, a Venezia
raccoglie le affermazioni di Chantal Ackerman circa il rapporto inestricabile fra
fiction e documentario; e la proibizione
divina di adorare l’immagine.
Appunti di viaggio che segnalano la confusa attesa di un diluvio universale, l’ansia di giustizia di masse diseredate di
fronte ai sempre nuovi colonialismi e ai
muri che il potere erige attorno a sé. Piena di suggestioni simboliche l’ultima inquadratura del film, girata a Venezia in
occasione della Biennale 2008, con la
statua equestre del Colleoni del Verrocchio a Campo San Giovanni e Polo, sotto una pioggia battente, a segnalare forse una tempesta incombente.
Jean-Gabriel Périot, ormai impostosi all’attenzione critica per i suoi fulminanti
montaggi subliminali, ha proposto con il
breve pamphlet Les Barbares un nuovo
attacco radicale al sistema dei media che
cerca inutilmente di occultare le tensioni
sociali provocate dalla crisi economica.
Périot si riferisce al testo di Pierre Brossaud sulla “resistenza infinita” sostituendo alle foto ufficiali del potere quelle inquietanti, ma rivelatrici, di manifestazioni
e sommosse di piazza.
La giuria ha premiato Verano de Goliat
del giovane messicano Nicolas Pereda,
una rigorosa e inquietante docu-fiction,
descrizione della violenza che progressivamente riduce allo stato ferino gli abitanti di un remoto villaggio. Una donna
va alla ricerca del marito scomparso, ma
scopre invece un groviglio inestricabile
di risentimenti e di odi, storie di morti
misteriose, atteggiamenti intimidatori dei
soldati. La violenza del quotidiano diventa così segno di una condizione esistenziale e sociale più generale.
Straordinario l’impianto narrativo di Bet45
ter Life dell’inglese Isaac Julien che a
partire dalla morte per annegamento di
un gruppo di raccoglitori di frutti di mare
cinesi in Inghilterra, ne ricostruisce la
cultura e l’immaginario attraverso l’intreccio di diversi piani di rappresentazione. Julien mescola immagini della Shanghai moderna, quelle degli studi cinematografici della stessa città e il racconto di
una favola cinese del XV secolo secondo le convenzioni mélo del cinema di
Tsui Hark (fra magia, amore e morte). Il
regista tenta di scoprire così quali siano i
sogni e i desideri di colore che sfidano
l’ignoto per una “vita migliore”.
Posso solo citare, per brevità, pochi altri
film degni di attenzione. Caracremada
dello spagnolo Lluis Galter, un amaro
ritratto alla Bresson di un resistente anarchico antifranchista che da solo sui Pyrenei, al confine con la Francia, compie
inani azioni di sabotaggio. Il capo del filmaker ravennate Yury Ancarani: metafisica rappresentazione de lavoro dei cavatori di pietra di Carrara. Casus Belli
del greco Yorgos Zois: un carrello della
spesa in un supermercato lanciato a tutta
velocità sconvolge le abitudini consumistiche dei clienti. El sicario – Stanza 164
dell’eritreo-americano Gianfranco Rosi:
registrazione di un lungo monologo di
un killer ex-poliziotto affiliato al cartello dei trafficanti di droga di Medellin. Il
killer, ora pentito, descrive le terribile
atrocità di cui è stato protagonista a volto coperto, aiutandosi con il disegno. Il
film, oltre a informarci sulla forza invasiva della criminalità organizzata, ci coinvolge poco alla volta nell’inestricabile
interpellazione del rapporto fra finzione
e realtà. Impossibile poi dimenticare il
fascino che promana dal corto I pannelli
di San Vicente de Fora, una visione poetica del centenario Manoel De Oliveira:
un dipinto goticheggiante del XVI secolo, in cui si affollano santi, clero, nobiltà
e popolo, si anima con l’irruzione di doppi, impersonati da attori, per proporre una
pacificazione del consesso umano, quale si proponevano i grandi navigatori
portoghesi. De Oliveira dimostra una
volta di più che le forme del cinema sono
inesauribili, se create in funzione dell’infinita significazione della realtà, della sua
ambiguità e ricchezza.
Flavio Vergerio
CONTROCAMPO ITALIANO
La Mostra Internazionale del Cinema di
Venezia ha presentato per il secondo anno
consecutivo “Controcampo Italiano”,
Film
selezione che, inevitabilmente senza pretese di esaustività, prova a dar conto –
come recita il sottotitolo ufficiale della
sezione – delle “nuove linee di tendenza
del cinema italiano”.
Gli esordi sono una delle direttrici fondamentali della sezione. A ottenere il primo premio è stato proprio un esordio, 20
sigarette, il lungometraggio autobiografico di Aureliano Amadei, unico superstite civile all’attentato portato nell’autunno del 2003 contro la base italiana dei
Carabinieri presso Nassiriya, in Iraq. Il
film – che viene dopo la pubblicazione
di Einaudi del quasi omonimo resoconto
diaristico - mostra fino in fondo la scarsa
esperienza del regista, le grosse incertezze della sua regia, disordinata, imprecisa
e per lo più inadatta, l’insostenibile pochezza di una scrittura approssimativa,
ammiccante, retorica. La colpa peggiore
di Amadei però è altrove, sta prima: invece di seguire regola di austerità dei
mezzi espressivi, laconicità dei toni ed
essenzialità nella costruzione dei dialoghi - sulla via di una coerenza indispensabile al progetto, vista la delicatezza
della vicenda e la sua vicinanza nel tempo -, il non più giovane neo-regista tenta
di imitare la commedia, si cimenta spregiudicatamente nell’uso di trucchi grossolani e fuori tema, cerca senza pudore
l’approvazione del pubblico e, peggio
ancora, la chiusura di un facile teorema
sugli orrori della guerra. Invece di usare
la forza del proprio ruolo di testimone
(o, al contrario, di lavorare coraggiosamente sulla sua lacunosità), Amadei si
lascia prendere la mano dalla ricerca dell’effetto. E, così facendo incontra, il favore della giuria.
Su tutt’altro fronte – e fuori dalla selezione del concorso – hanno lavorato altri
due esordienti, Antonio Di Trapani e
Marco De Angelis, non solo registi e sceneggiatori, ma anche montatori, fonici e
direttori della fotografia di Tarda estate,
percorso di scoperta e dissolvimento di
un vecchio giapponese che, dopo un lungo periodo in Italia, ritrova la propria
identità dimenticata attraverso un viaggio memoriale nella patria d’origine. Il
film rappresenta un caso interessante a
più livelli. Per prima cosa si tratta dell’ultimo e più ambizioso progetto uscito
da una delle poche – forse l’unica –
factory universitarie italiane: il Centro
Produzioni Audiovisivi del Dipartimento di Comunicazione e Spettacolo dell’Università di Roma Tre, al quale si è
affiancato anche Gianluca Arcopinto. Di
Tutti i film della stagione
Trapani e De Angelis, senza mostrare alcun timore, hanno scelto di ambientare
la maggior parte del racconto in Giappone, dove poi effettivamente hanno girato
il film. Sul piano delle scelte di stile, Tarda estate dichiara fin troppo la densa
consapevolezza cinefila dei due autori:
il modo d’inquadrare, la scrittura dei dialoghi, la durata delle inquadrature, ma
anche i raccordi di montaggio, riecheggiano i modelli alti del cinema internazionale del passato. Se, da una parte, dunque, il film evita tutti – o quasi – i vizi
peggiori del cinema italiano di questi
anni, dall’altra procede fino alla fine senza mai innescare un discorso, trovare un
verso forte al racconto: sembra che, oltre la finitura dei singoli pezzi, manchi
un’idea precisa sui motivi della loro forma, e, più in là, sul principio che li tiene
insieme.
Un altro esordio che guarda al passato è
Il primo incarico, per il quale Giorgia
Cecere si è guadagnata come protagonista Isabella Ragonese, madrina di Venezia 67. Ragonese veste perfettamente
i panni di una giovane maestra elementare di famiglia poverissima, culturalmente redenta dal fidanzato ricco e bello, dal quale è costretta a separarsi per
rispondere alla chiamata in ruolo in un
villaggio sperduto nelle campagne pugliesi. Inizialmente concreto, compatto
e felicemente concentrato sui dettagli
che distinguono e separano classi, gruppi sociali e contesti antropologici, il film
si perde con l’avanzare del racconto,
scompaginandosi del tutto poco prima
del finale, risolto con un happy ending
trattenuto.
Tra i non esordienti sta invece Salvatore
Mereu che con Tajabone racconta, a metà
tra documentario e finzione, la quotidianità dentro e fuori la scuola, di alcuni studenti della periferia cagliaritana. In principio, doveva essere un laboratorio audiovisivo, poi Mereu – che è insegnante
di scuola media –, scegliendo come stella polare Diario di un maestro di Vittorio De Seta, prende Bellas Mariposas,
racconto di Sergio Atzeni, e ne trae un
modello per provare a raccontare pensieri
parole, gioie e affanni delle più giovani e meno ascoltate – generazioni. Un esperimento esteticamente e tecnicamente
molto povero, che però trova la sua efficacia proprio sul piano della relazione tra
obiettivo e piccoli interpreti, costruendo
una narrazione anti-istituzionale autenticamente vicina ai tempi e ai modi
espressivi dei protagonisti.
46
Una semplice menzione la dedichiamo a
Ma che storia, film di montaggio di Gianfranco Pannone che tagliando e incollando i materiali più vari tenta di ricostruire
il tortuoso e doloroso sentiero che ha
condotto all’unità d’Italia. Una ricostruzione che invece di produrre analisi finisce per limitarsi a una composta celebrazione.
A guardare l’insieme dei titoli scelti sembra che a tenere insieme le esperienze
diverse, i nomi vecchi e quelli nuovi, le
opere prime e gli esperimenti dei professionisti più navigati sia una comune vecchiaia. Vecchiaia dei modelli retorici, dei
riferimenti narrativi ed estetici; vecchiaia delle storie e del modo di metterle in
scena: un malsano ristagno di pratiche e
di pensieri. E l’evidenza più paradossale
è che a occupare le posizioni più arretrate ci siano proprio i nuovi autori, quelli
che, in un orizzonte sano e vitale, dovrebbero invece portare avanti le istanze di
riforma e di cambiamento.
Silvio Grasselli
SETTIMANA INTERNAZIONALE
DELLA CRITICA
Anche quest’anno la “Settimana Internazionale della Critica” ha proposto una
panoramica di lungometraggi di registi
emergenti: sette le opere presentate in
concorso in prima mondiale, in prevalenza di origine europea, ma anche extraeuropea.
Ad inaugurare la venticinquesima edizione, un esordio eccellente, fuori concorso, Notte italiana, il film programmato
alla Settimana della Critica nel 1987, una
pellicola che segna l’inizio di un percorso autoriale e coerente. A distanza di più
di vent’anni, l’opera prima di Carlo Mazzacurati supera infatti egregiamente la
prova del tempo, offrendo, sullo sfondo
del paesaggio del nord est italiano, una
riflessione acuta sui mali e le contraddizioni della nostra penisola pre - Mani
Pulite.
Scorrendo il programma, in questa edizione è prevalsa l’attenzione per tematiche legate alle urgenze di una contemporaneità problematica, con particolare
riguardo alla sfera privata, al nucleo familiare e alle sue “variazioni sul tema”.
Cominciamo con il film che è stato premiato, Svinalängorna (Tit. int. Beyond,
Svezia, 2010, 92’), firmato dall’attrice
bergmaniana, Pernilla August, che ricordiamo in Una soluzione razionale, presentato lo scorso anno alla SIC.
Tratto dall’omonimo testo di Susanna
Film
Alakoski, il film ritrae una donna, interpretata da Noomi Rapace – che ha dato
vita al problematico personaggio di Lisbeth Salander in Uomini che odiano le
donne, tratto dall’omonimo romanzo di
Stieg Larsson –, felicemente coniugata e
madre di due figli. Una telefonata dall’ospedale con cui apprende che la propria madre è in fin di vita, costringe la
protagonista a fare i conti con un passato
rimosso. Filmato in stile Dogma, la pellicola, ottimamente interpretata, è un intenso kammerspiel che si svolge tra le
mura della casa, quindi dell’ospedale e
ancora della camera d’albergo. Flashback che rimandano agli anni Settanta,
frammenti di memorie d’infanzia che ricompongono il doloroso ritratto di una
famiglia disfunzionale, si intrecciano con
i nostri giorni.
Hora Proelefsis (Tit. int. Terra madre,
Grecia, 2010) è un intenso affresco familiare firmato dal cineasta di Salonicco Syllas Tzumerkas, che ha al suo attivo la direzione di show e serie tv, oltre
alla regia di due cortometraggi, The Devouring Eyes e Rain, vincitori di premi
prestigiosi.
Sullo sfondo di trent’anni di storia greca, dove scorrono immagini dagli anni
del consolidamento della democrazia alle
recenti manifestazioni di piazza relative
alla crisi economica, la mdp insegue i
percorsi di una famiglia afflitta da verità
non dette, ferite mai rimarginate. Un quadro composito raccontato con un montaggio sostenuto, talvolta eccessivamente insistente, eppure non privo di efficacia dove inesorabilmente le responsabilità dei padri ricadono sui figli.
Il “piccolo” film sloveno, O A (Tit. int.
Papà, Slovenia, 2010, 70’), racconta il
rapporto padre e figlia, scegliendo il lirismo di un suggestivo ed essenziale susseguirsi di immagini che hanno per scenario i silenzi e la bellezza di una natura
incontaminata, in contrapposizione con
la durezza della quotidianità, le difficoltà lavorative, il distacco dall’amato/odiato genitore.
Il film introduce un’altra tematica che
costituisce il fil rouge tra alcuni titoli presentati, la disoccupazione e le implicazioni psicologiche che ne derivano.
Martha, pellicola firmata dal messicano
Marcelino Islas Hernandes (Martha id,
Messico, 2010, 77’), racconta di una donna che vive all’estrema periferia di Città
del Messico, che per trentaquattro anni
ha occupato la stessa scrivania in una
compagnia di assicurazione e che d’un
Tutti i film della stagione
tratto si trova rimpiazzata da un computer e da una giovane segretaria. Coniugando commedia nera col grottesco e il
dramma, il film riesce piuttosto bene a
cogliere la vertigine della disfatta esistenziale, il senso alienante di perdita di ogni
riferimento. Brava l’attrice, Magda
Vizcaino, nel caratterizzare la psicologia
della protagonista.
Firmato da Massimo Coppola, Hai paura del buio (Italia, 2010, 90’) intreccia i
percorsi di due figure di giovani donne,
una rumena e una italiana. Eva, all’indomani della chiusura della fabbrica dove
lavora, decide di lasciare il proprio paese e di raggiungere Melfi, dove trova
ospitalità a casa di Anna. Ben presto si
comprenderanno le ragioni che l’hanno
spinta a recarsi in Italia, la ragazza è in
cerca della madre che non vede da diversi anni. Girato in uno stile essenziale,
fatto di pedinamenti discreti ma ostinati,
il film cerca di interpretare le incertezze
e le difficoltà dell’Italia di oggi.
Esordio nel lungometraggio del regista
televisivo Eitan Zur, Hitparzut X (Tit. int.
Naomi, Israele-Francia, 2010, 102’) è un
riuscito noir tratto dall’omonimo racconto di Edna Mazaya. Un noto docente agée
di astrofisica dell’Università di Haifa è
sposato con la giovane e bella illustratrice di libri, Naomi. L’uomo scopre di essere tradito e si trova ad affrontare
l’amante della moglie. Un inatteso avvenimento ribalterà la situazione, con un
finale a sorpresa.
Per chi cerca un happy end, ma non solo,
Angèle et Tony (Idem, Francia, 2010, 85’)
è certamente il titolo giusto, la conferma
del buono stato di salute della cinematografia francese. Il giovane Alix Delaporte coniuga egregiamente l’osservazione
del reale ( la vicenda si svolge sullo sfondo di una Francia di provincia, dura e
difficile) con l’analisi dei sentimenti - due
percorsi solitari, due figure ai margini,
un pescatore e una ex detenuta in cerca
di un lavoro, e il loro trovarsi.
Il filippino Limbunan (Tit. int. La stanza
della sposa, Filippine, 2010, 82’) è
l’evento di chiusura, il film fuori concorso della SIC per la regia di Gutierrez
Mangansakan II. La sedicenne Ayesah
viene promessa in sposa, suo malgrado,
al figlio di una famiglia potente della
zona. L’ultimo mese prima del matrimonio la ragazza è segregata nella propria
camera da letto. Il film offre una riflessione sulla condizione della donna, la
constatazione dell’osservanza di tradizioni che costringono la donna ad accettare
47
un destino imposto dai propri familiari,
senza tuttavia prendere posizione, confidando nel potere evocativo delle immagini.
Un esordio intenso, che sullo sfondo di
un dramma personale, accenna a un momento storico travagliato, ad un tragico
attacco nella città di Ampatuan avvenuto nel 2009, dove furono rapite e brutalmente giustiziate più di cinquanta persone.
Luisa Ceretto
RETROSPETTIVA CINEMA
COMICO E FUORI CONCORSO:
IL CINEMA CHE GUARDA
AL PASSATO
C’è aria di passato alla Mostra del Cinema di Venezia. Da un po’ di anni a
questa parte, infatti, la mission che le
retrospettive veneziane si sono poste è
quella di esplorare e rivalutare il cinema
italiano più “a latere”, quello solitamente destinato a rimanere fuori dalle classificazioni storiche ufficiali, per ribadirne
i fermenti e, perché no, i legami con gli
esempi più “alti” della nostra storia produttiva. Fra “Italian Kings of the B’s”,
Western e “Questi fantasmi”, l’idea si
è articolata in un percorso a metà strada fra il piacere collettivo di rivedere
su schermo classici altrimenti destinati alle nicchie del mercato DVD (pensiamo a certi titoli di Fulci, Dallamano, Corbucci) e la rivalutazione forzata. È rimasto quasi sempre schiacciato
fra queste istanze il tentativo più interessante e coraggioso di riflettere secondo una prospettiva culturale cosa realmente questo cinema “dimenticato” abbia seminato nell’immaginario globale
e quanto esso fosse in linea con il resto
della produzione europea. La retrospettiva 2010, “La situazione comica (19341988)” denuncia in pieno tutti i limiti di
questo approccio, lasciando allo spettatore la domanda su quale sia il senso
di proporre in una sede come Venezia
titoli come Fracchia la belva umana,
Eccezziunale veramente o Il ragazzo di
campagna. Non per snobismo nei confronti di queste opere, si badi, ma semplicemente perché appare chiara la deriva sistemica di una rivalutazione a tutto campo che non contempla più il piacere della scoperta, ma soltanto quello
del recupero fine a se stesso. Non è un
caso che questi titoli siano anche quelli
che più hanno finito per catalizzare l’attenzione, impedendo una serena trattazione dell’argomento comicità lungo i
Film
decenni. E che per questo sia rimasto
un sostanziale piacere per pochi la visione dei titoli più interessanti presenti
nel mucchio di proposte (ovviamente in
tutto questo bisognerebbe seriamente
aprire una discussione sul senso di queste retrospettive-monstre dove l’unica
direttiva sembra quella di rimpinguare
il programma dando forma a un elenco
infinito che lo spettatore non riuscirà
mai materialmente a seguire per intero).
Utili esempi sono il bellissimo Casotto
(1977) del dimenticato Sergio Citti, mirabile gioiello di economizzazione del
set che riesce a diventare crocevia dell’italietta e manuale perfetto di tipizzazione dei vizi nostrani; oppure Il mantenuto, diretto e interpretato nel 1961 da
quell’Ugo Tognazzi che, già grandissimo attore, merita ancora di essere analizzato e riscoperto adeguatamente nelle vesti di regista dal gusto acre e assolutamente non consolatorio nei confronti delle cattive abitudini e delle
aspirazioni sbagliate dell’italiano medio.
In questo senso il vero cortocircuito si
attua quando i fratelli Vanzina risultano
più interessanti nelle vesti di presentatori del film Guardie e ladri, diretto nel
1951 dal padre Steno insieme a Mario
Tutti i film della stagione
Monicelli, piuttosto che in quelle di autori dei loro film. È una sorta di chiusura
del cerchio perché permette alle loro figure di farsi veicolo delle istanze del cinema italiano nel suo periodo più articolato e di tributare anche a Steno quella
rivalutazione che, come ricordava Lucio
Fulci, non era mai arrivata paradossalmente nemmeno dai figli. In questi momenti, riusciamo finalmente a trovare il
senso di una retrospettiva come questa,
curata, come gli appuntamenti passati, da
Marco Giusti.
Il tentativo veneziano di guardare indietro si sposa poi con alcune proposte votate proprio al recupero del cinema che
fu, in questa perenne rincorsa al classico che nei casi più virtuosi diventa
omaggio a chi ha dato tanto alla storia
del cinema, oppure occasione per riflettere sul fluire del tempo che ci ha portato ai tempi presenti. Basta scorrere i titoli di alcuni lavori presentati nella sezione Fuori Concorso: Vittorio racconta Gassman, La prima volta a Venezia,
1960, Dai nostri inviati – La Rai racconta la mostra del Cinema 1954-1967,
Come siamo come eravamo e le canzoni di Luciano Ligabue; a questi aggiungiamo il Michele Placido di Vallanzasca, che nel raccontare la storia di un
noto rapinatore riflette sul concetto di
antieroe/divo nell’era mediale. E poi il
dittico di Zebraman, realizzato dal giapponese Takashi Miike fra il 2004 e il
2010, in cui un modesto impiegato decide di diventare un supereroe sulla scorta delle serie tv anni Settanta di cui è
appassionato. Sembra insomma che uno
dei modi prediletti per rileggere il nostro presente sia attraverso la continua
rivalutazione e ricontestualizzazione del
passato. A questo proposito, ci piace
chiudere questa riflessione con la scheggia impazzita di The Last Movie (Fuga
da Hollywood), film con il quale il compianto Dennis Hopper sanciva nel 1971
la propria estraneità dai meccanismi del
cinema suo contemporaneo e cercava
nuove strade nella decostruzione dei linguaggi. Ecco, è sintomatico che sia un
autore ormai scomparso a tracciare la via
più virtuosa e a fornire il commento più
puntuale, rispetto a questa tendenza.
Forse il bello del cinema di ieri era proprio che partiva dal proprio presente per
andare avanti, mentre oggi spesso accade il contrario. Peccato che il film l’abbiano visto in pochi, a causa dell’orario
scomodo.
Davide Di Giorgio
IL RAGAZZO SELVAGGIO è l’unica rivista in Italia che si occupa di
educazione all’immagine e agli strumenti audiovisivi nella scuola. Il suo
spazio d’intervento copre ogni esperienza e ogni realtà che va dalla scuola
materna alla scuola media superiore. È un sussidio validissimo per insegnanti e alunni interessati all’uso pedagogico degli strumenti della comunicazione di massa: cinema, fotografia, televisione, computer. In ogni
numero saggi, esperienze didattiche, schede analitiche dei film particolarmente significativi per i diversi gradi di istruzione, recensioni librarie
e corrispondenze dell’estero.
Il costo dell’abbonamento annuale è di euro 30,00 - periodicità bimestrale.
SCRI
VERE
di Cinema
direttore Carlo Tagliabue
SCRIVERE DI CINEMA
Ogni anno nel nostro paese escono più libri riguardanti il cinema che
film. È un dato curioso che rivela l’esistenza di un mercato potenziale di
lettori particolarmente interessati alla cultura cinematografica.
ScriverediCinema, rivista trimestrale di informazione sull’editoria cinematografica, offre la possibilità di essere informati e aggiornati in
questo importante settore, segnalando in maniera esaustiva tutti i libri di
argomento cinematografico che escono nel corso dell’anno.
La rivista viene inviata gratuitamente a chiunque ne faccia richiesta al
Centro Studi Cinematografici, Via Gregorio VII, 6 - 00165 Roma Telefono e Fax: 06.6382605. e-mail: [email protected]
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