Le linee guida del Financial Stability Forum sui compensi dei

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Le linee guida del Financial Stability Forum sui compensi dei
Nicoletta Pagni
Le linee guida del Financial Stability Forum sui
compensi dei manager: spunti e criticità nell’ottica
giuslavorista.
L’attuale discussione internazionale sulla variabilità e discrezionalità delle remunerazioni dei
manager nasce dalle ceneri di un modello di governance basato su un sistema di retribuzione
del management delle imprese bancarie e finanziarie che, negli ultimi anni, ha incoraggiato il
perseguimento di risultati a breve termine senza considerare l’impatto sul grado di rischio
dell’attività di impresa.
Si è, infatti, consolidata l’idea che alcune delle cause dell’attuale crisi finanziaria vadano
ricercate in questo modello, che ha reso il sistema di incentivazione dei dirigenti
sostanzialmente insensibile ai rischi (divenuti negli ultimi anni incontrollati) sostenuti dalle
banche e dagli altri intermediari finanziari “sistemici” presso i quali il management era
impiegato.
Per tentare di superare questo modello di governance, nell’aprile 2009 il Financial Stability
Forum ha presentato il rapporto “Principles for Sound Compensation Practices”, che detta alcune
linee guida per una diversa regolazione dei compensi variabili e della supervisione aziendale
delle politiche retributive. Al rapporto hanno fatto seguito, nel contesto internazionale,
numerose misure di attuazione tra cui, in Italia, quelle della Banca d’Italia emanate
nell’ottobre 2009.
Le questioni che le linee guida e le misure attuative pongono e l’effettività delle proposte
presentate sono oggetti di indagine da parte degli studiosi di finanza e di corporate governance.
Non è ancora stata elaborata, invece, un’adeguata riflessione dal punto di vista
giuslavoristico. Il mio contributo, valendosi delle riflessioni svolte dai giuristi e dagli
economisti, soprattutto in Francia, nel Regno Unito e negli Stati Uniti, si propone di
suggerire alcuni spunti in quest’ambito.
In apparenza i nuovi criteri enfatizzano la necessità di collegare la retribuzione variabile al
grado di rischio delle operazioni intraprese dal dirigente. In concreto, però, le linee guida
evidenziano, soprattutto, un legame tra il compenso variabile e la performance finanziaria
della business unit cui il dirigente è preposto, nonché dell’impresa in generale.
Si pone, allora, una questione di “controllo” retributivo. Se, infatti, le scelte del dirigente
determinassero un risultato finanziario modesto o negativo, la “sanzione” prevista sarebbe
una contrazione della remunerazione variabile totale, anche a valere su somme già
corrisposte al manager, con la possibilità di emettere sanzioni a carico dello stesso e
prevedere la restituzione delle somme percepite.
Questo approccio solleva numerose questioni e dubbi interpretativi.
In primo luogo, si pone un interrogativo di carattere preliminare e generale sulla legittimità,
alla luce dell’art. 36 della Costituzione, della potenziale contrazione della retribuzione
variabile del manager in percentuali così elevate (si parla, per alcuni responsabili, di oltre il
60% della retribuzione), con possibile eliminazione o restituzione di quanto percepito a
titolo di bonus.
In secondo luogo, occorre interrogarsi su come inserire armonicamente nel sistema attuale
forme di variabilità della retribuzione che avvicinano la prestazione del manager ad una sorta
di obbligazione di risultato; risultato, peraltro, condizionato in ampia misura da fattori che
travalicano la bravura, la competenza e la meticolosità del manager, nonché – a dispetto dei
propositi – lo stesso grado di rischiosità della sua attività. Ciò potrebbe generare il rischio
che il lavoratore si trovi a sopportare parzialmente l’andamento del mercato finanziario
attraverso tecniche le tecniche di “controllo” proposte (differimento sul pagamento dei
bonus non inferiore a tre anni, restituzione di bonus percepiti, sanzioni e altre).
Ciò, inoltre, determina una grave incertezza in merito al quantum retributivo, non
giustificabile neppure se riferita alla retribuzione variabile.
Tali preliminari rilievi conducono la presente riflessione ad una prima considerazione: il
legame tra controllo e retribuzione in senso stretto è assai critico, mentre ci si potrebbe più
agevolmente rivolgere a forme alternative di compenso che permettano di accrescere la
partecipazione del managment al rischio di impresa. Occorrerebbe (ri)considerare, in
particolare, il ruolo di strumenti di fidelizzazione quali l’assegnazione di azioni (stock grants).
Gli stock grants, infatti, realizzano autonomamente lo spirito della linee guida, attuando un
meccanismo premiale legato alla fedeltà del manager all’impresa nonché al raggiungimento di
particolari risultati.
In terzo luogo, una così dettagliata disciplina dei sistemi di retribuzione costituisce una
nuova penetrante ingerenza del regolatore pubblico nell’autonomia organizzativa degli
intermediari finanziari. Come già nel 2008 in occasione dell’emanazione da parte della
Banca d’Italia delle disposizioni in tema di governo societario, occorre riflettere su quale sia
il confine tra l’autonomia organizzativa dell’intermediario, con il suo interesse ad attrarre i
manager migliori, e l’esigenza delle autorità di vigilanza di garantire il controllo del livello del
rischio del sistema finanziario.
A fianco di questi problemi di ordine generale si pongono numerose questioni applicative
che meritano di essere analizzate attentamente per comprendere l’operare in concreto di
queste nuove forme di regolazione del compenso.
Tra queste, segnalo i problemi che potrebbero nascere, ad esempio, al momento della
cessazione del rapporto di lavoro con il manager. Se, infatti, il controllo dell’organo di
vigilanza deve essere condotto soprattutto a lungo termine, potrebbe ciò comportare che il
manager, in caso di risultato finanziario modesto o negativo, sia chiamato, dopo lungo
tempo dalla cessazione del rapporto, a restituire quanto percepito.
Altri interrogativi, sempre di carattere applicativo, potrebbero poi collegarsi al problema
della ripartizione della responsabilità (e della conseguente decurtazione della retribuzione)
quando più manager sono coinvolti: ad esempio, nel caso in cui il manager faccia parte di un
consiglio di amministrazione o di un comitato aziendale, e le decisioni su alcune operazioni
rischiose non siano adottate dal singolo, ma collegialmente a maggioranza.
Dott.ssa Nicoletta Pagni
Dottoranda Università di Pavia Dipartimento Diritto del Lavoro e Relazioni Industriali