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10 Settembre 2015
Ad ogni mamma
Ad ogni papà
Ci sono stanze colorate e disegni appesi alle pareti.
Ci sono finestre ovunque e luce che entra forte.
Così forte che sembra giorno e sembra luce anche quando non lo è.
Eppure non sono a nessuna festa di compleanno, né in una ludoteca.
Non so bene dove sono.
Ma so che il babbo e la mamma sono stati un po’ a parlare con quei signori
col camice bianco, che dopo essersi consultati a lungo, li hanno accolti in una
serenità fatta di tante parole.
Li ho visti sorridere sempre quei signori col camice bianco, anche quando avevo la
sensazione che le parole pronunciate non portassero con sé nessun dono di luce.
Ho visto anche la mamma e il babbo guardarsi negli occhi. E ho visto gli occhi della
mamma riempirsi di lacrime e le mani del babbo lasciar cadere le chiavi della bella
macchina rossa, che poco prima abbiamo lasciato in quel grande parcheggio.
Io intanto sono seduto sul mio passeggino.
Per ora gattono, muovo i primi passi, ma non sono ancora così sicuro.
Ed allora sto qui.
E mi piace pure.
Da qui vedo tutti i colori e i disegni alle pareti.
Mi tolgo il ciuccio, afferro l’ alluce del piede e me lo metto in bocca.
Ciucciare il pollicione è la mia passione. Ed il babbo tutte le volte si meraviglia di
come possa fare. Lui che ogni sera viene preso in giro, perché ci prova e ci riprova,
ma non riesce neppure a toccarsi con le mani la punta dei piedi.
Ma io babbo ho 10 mesi e tu???
Mi riconcentro sul mio pollicione, che ha un gusto che mi tranquillizza e mi
rassicura.
E poi così tolgo lo sguardo dagli occhi della mamma, che così bagnati non li avevo
mai visti prima.
I signori col camice bianco ci accompagnano per un lungo corridoio.
Vedo passare clown, una signora con un cesto pieno di peluche e in lontananza
persino un bel canone con la coda lunga.
Arriviamo in una stanza.
C’è già una bambina.
Molto più grande di me.
Lei già cammina e parla come i grandi. Però non ha capelli.
La guardo un po’ stranito, ma poi penso che è proprio bella. Si, mi piace.
C’è un lettino per me ed un altro vicino vicino. E questo mi basta per essere felice,
perché so che il babbo e la mamma staranno sempre lì.
Sento che domani mi devono operare.
Io boh. Non lo so bene cosa sia. Ma vedo il babbo e la mamma stringersi la mano
un po’ impauriti. E allora si avvicina un signore col camice bianco e senza dire
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nulla, riesce a dirgli di non temere, di cacciarla via quella paura.
E allora il babbo prende la mamma e l’abbraccia forte.
E le dice che sono nel posto giusto. Perché ora sa che il signore col camice bianco
farà tutto il possibile.
Poi mi addormento.
Mi risveglio.
E quando lo faccio ho cambiato stanza. È meno colorata dell’altra. Ma la luce la
vedo ancora. Quella c’è.
Vicino a me altre tre culle ed una donna. Come è bella. Ha i capelli gialli e gli
occhi blu. Ha denti bianchi e sorrisi rassicuranti. Non c’è sempre lei. A volte viene
un’altra. Che i capelli li ha neri e gli occhi verdi. Ma il sorriso è sempre lo stesso.
Io non so come siano gli angeli.
Li ho visti solo una volta disegnati nel librino che mi ha comprato la nonna, però
mi sembra proprio che assomiglino a loro.
Non so bene quanti giorni siano intanto passati. Ma so che la mamma è sempre
stata qui.
Una volta guardò l’angelo biondo e le disse che non sarebbe mai andata via.
Mai, senza di me.
Mai, prima di me.
Ora c’è anche il babbo, che dalla faccia stravolta con cui si è presentato, mi sa
tanto che ha lavorato fino a 5 minuti fa, per poi correre da me.
Ha gli occhi stanchi ed i capelli spettinati.
Ma quando mi stringe la mano ha la stessa forza di sempre. Quella che usa
quando mi getta in aria e mi riprende al volo. Ed io quanto rido. A bocca di gioia
spalancata, che mi si vedono perfettamente tutti e 6 i denti che ho già messo.
Si avvicina ora l’angelo moro. Mette una mano sulla spalla del babbo. E lo invita
ad andare a riposarsi un po’.
Il babbo alza lo sguardo stanco e chiede:
-Andrà tutto bene, vero?
E l’angelo moro risponde con serenità e delicatezza. Con voce bassa e tono
confortante. Come se dovesse rispondere a quella domanda per la prima volta.
Ed invece il babbo e la mamma sono mesi che lo chiedono.
Ma l’angelo biondo e l’angelo moro non si stancano di rispondere. E spesso lo
fa anche il signore col camice bianco. Che proprio ieri ha abbracciato forte la
mamma. E le ha detto di avere coraggio. E lo ha detto con una voce così piena di
speranza che un po’ di coraggio mi è venuto anche a me.
Intanto la bambina della culla accanto alla mia, credo abbia qualcosa che non va.
Perché, nel silenzio assoluto, è partito quel pi pi, pi pi pi pi, da questi macchinari
che a volte si mettono a suonare, richiamando gli angeli, quello biondo e quello
moro e i signori col camice bianco.
Allora tutti i babbi e tutte le mamme magari si allontanano.
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E lo fanno con lo stesso passo e lo stesso amore.
Perché non importa se si tratta del tuo bambino o di quello di un altro.
In questo posto, ogni bambino, è il bambino di tutti.
È proprio piccola questa bimba vicino a me. Più piccola di me.
La sua mamma non credo stia in questa città. Perché non parla come il mio babbo.
Lei la C la pronuncia bene. Però ha un accento strano quando magari intona altre
parole.
È una donna esile e minuta. Eppure non crolla e non si abbatte mai. O tiene la
mano a sua figlia, o va in una stanza vicina a tirarsi il latte. Perché dice che così la
bimba sarà più forte e magari, chissà, guarirà più in fretta.
All’inizio non voleva farlo.
Il primo giorno ha pianto. Ha pianto e basta. Ma poi è arrivato un angelo biondo e
le ha spiegato che è nei momenti di dolore che bisogna reagire.
E lei non solo ha reagito. Ma lo sta facendo con un tale amore che solo una
mamma conosce.
Intanto il tempo passa.
Me ne accorgo perché sono entrato col sole. Ed ora, invece, dalle grandi finestre,
vedo piovere spesso. Ed ho visto le magliette lasciare spazio ai piumini.
Però ho sentito dire che domani cambio reparto.
Mi sa che passo in quello più colorato. Perché la mamma, quando il signore col
camice bianco glielo ha detto, si è riempita di colore. E si è colorata così tanto che
mi sembrava di rivederla, per un attimo, con gli occhi truccati e le labbra rosse.
Arriva domani.
E torniamo in reparto.
Io, la mamma e il babbo.
Torniamo perché qui, ogni passo lo abbiamo fatto noi tre.
Ogni puntura, ogni flebo ed ogni radiografia. Ogni buco, ogni tac, ogni risonanza.
Io il dolore l’ho sentito. Ma credo che il babbo e la mamma, lo abbiano sentito di
più.
Vola il tempo in reparto.
Tra cure e medicine.
Tra giochi e attese.
Perché in un baleno arriva quella mattina.
Nella notte appena trascorsa, c’è stato un grosso temporale, quelli che riportano
un po’ di fresco nel bel mezzo dell’estate.
Fa di nuovo caldo.
Ne sono certo, perché la mamma indossa un vestito bianco di lino. Corto e
sbracciato. Quant’è bella.
Il babbo una polo blu rigorosamente infilata nei bermuda verdi.
Ed entrambi un sorriso che non scorderò mai.
Percorriamo nuovamente il lungo corridoio.
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La stanza colorata ed i disegni alle pareti.
Rivedo i clown e la signora coi peluche.
Quella con la fisarmonica e quella che raccontava le storie della buonanotte.
Il Labrador color miele che, ogni volta che lo accarezzavo, si gettava a pancia in
su.
La ludoteca e la stanza dei film.
I signori col camice bianco.
L’angelo biondo e l’angelo moro.
La bambina senza capelli e quella con la mamma esile e minuta.
In fondo al corridoio una grande vetrata.
Quella che mi divideva dalla vita che tanto ho voluto riabbracciare.
Io ce l’ho fatta.
E attraverso anche l’ultima porta. Restando col cuore accanto a chi, invece, non
lo farà.
Ci lasciamo alle spalle la scritta “Meyer” ed all’ orizzonte ci accoglie un arcobaleno
bellissimo. Frutto di tanta pioggia, di tanto buio, di quell’ultimo temporale.
La mamma guarda il babbo ed indicandogli lo spettacolo colorato, gli chiede:
- Secondo te, se non si fosse chiamato arcobaleno, come si sarebbe potuto
chiamare?
Il babbo mi prende in braccio, lasciando alla sua destra il passeggino e ci stringe.
Insieme.
Forte.
Come in questi lunghi lunghi mesi.
Non risponde.
Ed allora mamma te lo dico io.
Io lo chiamo
Si.
Ho proprio deciso.
Da oggi, Noi, lo chiamiamo così.
Sara Gazzini
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