Manuale Fumo e Lavoro

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Manuale Fumo e Lavoro
OPUSCOLO PER I LAVORATORI FUMO E LAVORO – POSSIBILI RISCHI PER LA SALUTE ED OCCUPAZIONALI - PATOLOGIE CORRELATE
DOTT. SSA CIMMINO FRANCESCA
MEDICO-CHIRURGO SPECIALISTA IN MEDICINA DEL LAVORO TEL. 3405301939 TEL/FAX 0818725019
OPUSCOLO PER I LAVORATORI
FUMO E LAVORO
RISCHI PER LA SALUTE, RISCHI OCCUPAZIONALI
E PATOLOGIE CORRELATE
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OPUSCOLO PER I LAVORATORI FUMO E LAVORO – POSSIBILI RISCHI PER LA SALUTE ED OCCUPAZIONALI - PATOLOGIE CORRELATE
DOTT. SSA CIMMINO FRANCESCA
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TABAGISMO
TABAGISMO E I RISCHI OCCUPAZIONALI
L'abitudine al fumo tra i lavoratori
Analizzando le varie categorie lavorative è emerso che l’abitudine al fumo di tabacco è
maggiormente diffusa fra gli operai che hanno un basso livello di istruzione per i quali, in
genere, sono maggiori i rischi lavorativi ed infortunistici dovuti a sostanze pericolose (1,
2). Da un’ indagine ISTAT sulla salute ( 3 ) è emerso che per gli uomini è maggiormente
diffusa l’abitudine al fumo tra i lavoratori della chimica, i minatori e i cavatori. Seguono i
filatori, i tessitori e i finitori, i muratori, gli edili, i camerieri, i cuochi, i baristi, i lavoratori
dell’abbigliamento e dell’arredamento e infine i facchini e gli scaricatori. Hanno, invece,
una minore propensione a fumare i lavoratori del turismo e dello sport, gli insegnanti, i
lavoratori del legno, i pellettieri e calzolai, le professioni tecniche, gli infermieri e i tecnici
sanitari, gli avvocati, magistrati, notai, commercialisti, medici, dentisti, psicologi e
farmacisti, i lavoratori agricoli, gli allevatori, i forestali, gli impiegati di concetto e infine gli
impiegati esecutivi. Tra le donne le fumatrici hanno mostrato eccessi significativi tra le
cameriere, cuoche e bariste, tra le addette alle pulizie, le esercenti e le addette di servizi
alla persona e alle imprese. A questi gruppi di occupazioni sono da aggiungerne altre
meno diffuse nel genere femminile: le lavoratrici della chimica, le macellatrici, le
portalettere, le lavoratrici della plastica e le spedizioniere ( 3 ). Il fumo passivo nel luogo di
lavoro, spesso, somma o moltiplica i rischi lavorativi ed ha causato oltre 7.000 decessi nel
2002 in Europa, ovvero 1 ogni 17 minuti in un anno di lavoro di 50 settimane a 40 ore; in
particolare, tra i lavoratori di bar, ristoranti e pub uccide un individuo ogni giorno lavorativo
( 4 ).
Cosa contiene il fumo di tabacco
Nel fumo di tabacco sono contenute circa 4000 sostanze chimiche, di cui molte tossiche
(le più conosciute sono la nicotina, il monossido di carbonio, l’ammoniaca, il cianuro di
idrogeno, l’ ossido di azoto) e circa 60 cancerogene (benzene, cadmio, polonio-210,
arsenico, cromo esavalente, formaldeide, 1,3 butadiene, idrocarburi policiclici aromatici,
nitrosamine...) che, unite all’alta temperatura della combustione, sono estremamente
nocive per molti organi (polmoni, bronchi, congiuntive, arterie, cuore, cervello, reni,
fegato, sangue…) (5, 6) Alcune sostanze chimiche presenti nel fumo di tabacco e negli
ambienti di lavoro e loro effetti sulla salute. Alcuni studi hanno paragonato i livelli biologici
di alcuni agenti chimici nei fumatori e nei non fumatori. E’ stato riscontrato che i fumatori
hanno una concentrazione di polonio-210 quattro volte superiore rispetto ai non fumatori
( 7 ) , benzene nell’aria espirata dieci volte superiore ( 8 ) e livelli di cadmio nel sangue
doppi ( 9 ). Il cadmio riduce l’efficienza dei sistemi enzimatici che metabolizzano le
tossine contribuendo allo sviluppo delle patologie polmonari indotte dal fumo di sigaretta
(10).
Cause
L’abitudine al fumo si acquisisce in età adolescenziale ed è dovuta ad una forma di
trasgressione, appartenenza ad un gruppo, avere la sensazione di essere diventati adulti,
o per imitazione. Si parla di abitudine perché la nicotina contenuta nel tabacco da
dipendenza a cui vanno aggiunti fattori genetici e contesti sociale e ambientale. Si è visto
che esiste una correlazione tra fumo e povertà, ovvero maggiore è il grado di povertà
tanto più alta e l’abitudine al fumo.
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Norme di riferimento
Legge n. 3 del 16/01/2003, art. 51 (Tutela della salute dei non fumatori, in vigore dal
10/01/2005: Divieto di fumare nei locali chiusi ad eccezione di quelli privati non aperti ad
utenti o al pubblico e quelli riservati ai fumatori e come tali
Direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri 14 dicembre 1995 (in Gazz. Uff., 15
gennaio,n. 11). DIRPCONS 14/12/1995 Num. 37000
Divieto di fumo in determinati locali della pubblica amministrazione o dei gestori di servizi
pubblici
Divieto di fumare (modalità operative)
Con l’entrata in vigore delle nuove disposizioni riguardanti il divieto di fumare, si ritiene
utile individuare le principali infrazioni con le conseguenti sanzioni amministrative da
applicare.L’art. 51 della Legge 16 Gennaio 2003, n. 3, stabilisce che è vietato fumare nei
locali chiusi ad eccezione di quelli privati non aperti ad utenti o al pubblico e di quelli
riservati ai fumatori e come tali contrassegnati. Si rammenta al riguardo che, tra l’altro,
sono considerati locali chiusi i luoghi di lavoro pubblici e quelli privati aperti al pubblico o
ad utenti, comprendendo con tale accezione anche i lavoratori dipendenti.
1 - L’inosservanza del divieto di cui sopra, da parte di un fumatore, comporta a suo
carico l’applicazione della sanzione amministrativa di cui all’art. 51 della Legge 3/03,
in relazione all’art. 7, 1° comma della Legge 584/75, con pagamento di una somma
da Euro 27,5 a Euro 275,00 (come aggiornata dalla Legge Finanziaria 2005), con
pagamento in misura ridotta di Euro 55,00 – pagamento Ufficio Contravvenzioni;
Autorità competente Sindaco (ciò poiché la legge finanziaria indica, per i proventi
relativi alle infrazioni accertate dalla Polizia Locale, la competenza alle Regioni e la
Regione Veneto, con la Legge 10/77 ha demandato queste ultime agli enti locali
comunali). N. B. La sanzione è raddoppiata qualora sia commessa in presenza di
una donna in evidente stato di gravidanza o di bambini di età inferiore ai 12 anni
(da Euro 55,00 a Euro 550,00 – pagamento in misura ridotta Euro 110,00).
2 - La legge prevede inoltre una responsabilità nei confronti dei soggetti deputati a far
rispettare il divieto. Per i pubblici esercizi questi sono individuati nel conduttore del locale
o in un suo collaboratore “formalmente delegato”. Potremo definire conduttore del locale
il titolare dell’attività o il soggetto che professionalmente gestisce il pubblico esercizio. Gli
obblighi a carico dei predetti consistono in attività di prevenzione e vigilanza. La legge
584/75, prevede l’obbligo di predisporre nei locali, in posizione visibile, cartelli indicanti
“Vietato Fumare”, e, ai sensi dell’allegato 1 al D.P.C.M. 23 Dicembre 2003, gli estremi
della norma di legge (art. 51 Legge 3/03 e art. 7 Legge 584/75), l’importo delle sanzioni
applicabili ai trasgressori e i soggetti cui spetta vigilare sull’osservanza del divieto e a cui
compete accertare le infrazioni. Tale adempimento (esposizione del cartello), così come
chiarito con propria circolare dal Ministero della Salute, non è più ritenuto, da solo,
sufficiente ad assolvere agli obblighi dovendo anche essere messe in atto azioni
dissuasive culminanti anche nella richiesta di intervento degli organi deputati
all’accertamento delle violazioni. Dipende quindi anche dalla sensibilità dell’agente
accertatore stabilire se il comportamento del responsabile è stato meramente passivo o
se invece lo stesso si sia in qualche modo attivato per far rispettare il divieto.
L’omessa collocazione dei cartelli di divieto ed il mancato intervento attivo di dissuasione,
comporta l’applicazione della sanzione amministrativa di cui all’art. 51 della Legge 3/03,
in relazione all’art. 7, 2° comma della Legge 584/75, con pagamento di una somma
da Euro 220,00 a Euro 2.200,00, comportando un pagamento in misura ridotta di Euro
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440,00 – pagamento Ufficio Contravvenzioni; Autorità competente Sindaco. Copia del
Rapporto dovrà essere inviata al Questore ai sensi dell’art. 5 della Legge 584/75 per
l’adozione delle misure di cui all’art. 140 del Regolamento T.U.L.P.S. (sospensione da tre
gg. a tre mesi o revoca della licenza di esercizio) e all’Autorità che ha rilasciato
l’autorizzazione nei casi soggetti e per i quali possano essere adottati provvedimenti
“accessori”. E’ facoltà e non obbligo dei gestori, riservare alcuni locali ai fumatori.
Ai sensi dell’art. 51, 3° c., della L. 3/03 negli esercizi di “ristorazione”, individuabili tra i
pubblici esercizi di tipo A) di cui all’art. 5 della Legge 287/91, la superficie di
somministrazione ove è consentito fumare deve essere inferiore a quella per cui vale il
divieto. Per la violazione a tale disposizione pare potersi applicare la sanzione indicata al
precedente punto 2 ed andranno fatte le segnalazioni ivi previste.
La Circolare interpretativa del Ministero della Salute estende il precetto anche a tutti gli
altri locali (a titolo di esempio citiamo: bar, sale gioco, discoteche, ecc.), ma, per il
principio di legalità sancito dall’art. 1 della L. 689/81, si ritiene che l’inottemperanza non
sia sanzionabile. Nel caso si dovesse riscontrare detta situazione ci si limiterà a
segnalare la “irregolarità” alla A.S.L. competente ed al Questore per i provvedimenti di
competenza. Qualora i gestori ritengano opportuno attrezzare locali riservati ai fumatori,
devono adeguarli ai requisiti tecnici previsti nel D.P.C.M. 23 Dicembre 2003.
3 - Chi non ottempera alle prescrizioni di cui al D.P.C.M. 23 Dicembre 2003 (ad esempio:
consenta di fumare nei locali attrezzati per fumatori ove gli impianti di condizionamento
non siano funzionanti o non siano condotti in maniera idonea o non siano perfettamente
efficienti o vi si ammetta più persone di quelle per cui sono agibili) soggiace alla sanzione
amministrativa di cui all’art. 51 della Legge 3/03, in relazione all’art. 7, 2° comma
della Legge 584/75, con pagamento di una somma da Euro 330,00 a Euro 3.300,00 pagamento in misura ridotta di Euro 660,00 all’Ufficio Contravvenzioni; Autorità
competente Sindaco. Copia del Rapporto dovrà essere inviata all’A.S.L. per gli aspetti
sanitari, al Questore ai sensi dell’art. 5 della Legge 584/75 per l’adozione delle misure di
cui all’art. 140 del Regolamento T.U.L.P.S. (sospensione da tre giorni a tre mesi o revoca
della licenza di esercizio) e all’Autorità che ha rilasciato l’autorizzazione nei casi soggetti
e per i quali possano essere adottati provvedimenti “accessori”.
Ulteriori approfondimenti potranno essere ricavati direttamente dalla normativa
di riferimento di seguito elencata:
-
Legge 11 Novembre 1975, n. 584;
D.P.C.M. 14 Dicembre 1995 – divieto fumo nei locali delle Pubbliche Amministrazioni;
Legge 28 Dicembre 2001, n. 448 – art. 52 – modifica art. 7 Legge 584/75;
Legge 16 Gennaio 2003, n. 3 – art. 51 – tutela della salute dei non fumatori;
D.P.C.M. 23 Dicembre 2003 – attuazione art. 51 Legge 3/03;
Decreto Legge 9 Novembre 2004, n. 266 – proroga/differimento termini;
Conferenza Stato Regioni del 16 Dicembre 2004;
Circolare Ministero della Salute del 17 Dicembre 2004;
Legge 30 Dicembre 2004, n. 311 (Finanziaria 2005).
L’interazione fra abitudine al fumo di tabacco e rischi occupazionali
Il National Institute of Occupational Safety and Health (NIOSH) ha identificato alcune
modalità attraverso le quali il fumo di tabacco può interagire con gli altri agenti nocivi
presenti sul luogo di lavoro ( 1 )
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Patologie, rischi occupazionali e interazione con il fumo di tabacco
1) il fumo di tabacco può fungere da vettore di tossici presenti nell’ambiente di lavoro
(formaldeide, piombo, parathion ...) attraverso l’ inalazione, il contatto cutaneo e
l’ingestione; alcune sostanze chimiche depositate sulle sigarette possono essere
trasformate in sostanze più tossiche se fumate (es. politetrafluoroetilene …);
2) l’esposizione ad una stessa sostanza nociva contenuta nel fumo di tabacco e
nell’ambiente di lavoro può essere aumentata (monossido di carbonio, cadmio, benzene,
idrocarburi policiclici aromatici ...);
3) il fumo può provocare un effetto nocivo paragonabile a quello determinato dalla
sostanza presente nel luogo di lavoro (es. broncopneumopatia da polveri di cotone e
polveri di carbone);
4) il fumo può agire con meccanismo sinergico con l’agente occupazionale producendo
un danno maggiore di quello causato dal singolo agente considerato (asbesto, silice,
arsenico, 2-naftilammina, 4-amminodifenile, prodotti decadimento del radon …);
5) il fumo può contribuire ad aumentare gli incidenti e gli infortuni sul lavoro.
Patologie da contemporanea esposizione a tossici professionali e a fumo di tabacco
Patologie polmonari non oncogene. Alcune patologie polmonari correlate ai rischi
occupazionali possono essere influenzate dal tabagismo, in alcuni casi gli effetti dannosi
possono essere indipendenti, in altri casi possono condizionarsi a vicenda.
Asma bronchiale e allergie
Il fumo di tabacco non sembra essere la causa primaria di asma bronchiale. Si stima che
nei Paesi industrializzati i soggetti affetti da asma professionale siano il 5%-15% di tutti
quelli affetti da asma bronchiale in età lavorativa (Bardana, 2008). Pochi studi hanno
dimostrato una relazione fra tabagismo ed asma professionale. Alcuni hanno dimostrato
una maggiore prevalenza o incidenza di asma professionale tra i fumatori, mentre altri
hanno fornito risultati opposti. Analogamente, altri studi hanno dimostrato che l’abitudine
al fumo aumenta il rischio di sensibilizzazione in lavoratori esposti ad allergeni ad alto e
basso peso molecolare associati alla comparsa di asma professionale mentre altri hanno
fornito risultati discordanti (Siracusa et al., 2006). L’abitudine al fumo può accelerare,
tuttavia, il declino della funzionalità ventilatoria degli asmatici, aumentare la severità della
malattia ed il ricorso a farmaci bronco-dilatatori e rendere meno efficace la terapie con
corticosteroidi. Nei fornai è stata rilevata una sensibilizzazione cutanea più frequente nei
fumatori rispetto ai non fumatori, ma non per quanto riguarda la sintomatologia
respiratoria (11). Nell’asma allergico causato da anidridi acide (12) e sali di platino (13) è
stato riscontrato un effetto positivo del fumo di tabacco sull’incidenza dell’asma; mentre
nell’asma da dissocianti (catalizzatori chimici utilizzati nella produzione di schiume e
vernici al poliuretano) non è stata riscontrata alcuna interazione con l’abitudine al fumo di
tabacco e aumento del rischio di asma bronchiale (14) . Fra i lavoratori la cui asma è da
attribuire ad agenti ad alto peso molecolare (come enzimi, derivati epidermici di animali,
farine, cereali...) i fumatori sviluppano l’asma allergico occupazionale più rapidamente
rispetto ai non fumatori (15) mentre se la patologia è dovuta ad allergeni di origine
vegetale (polveri di grano e di caffè) i fumatori sviluppano sintomi respiratori più severi
rispetto ai non fumatori o una maggior positività ai prick-tests (16,17) . Il fumo è stato
anche associato al possibile sviluppo di allergie ad animali di laboratorio. In due ricerche
condotte da Venables nel 1988 una maggiore predisposizione a sviluppare allergia è
stata riscontrata in soggetti esposti a ratti, cavie, conigli e gatti (18,19).
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Bronchite cronica, Enfisema polmonare e BPCO
La bronchite cronica è definita come la presenza di tosse ed espettorazione per almeno 3
mesi l’anno per 2 anni consecutivi e non è necessariamente associata a limitazione al
flusso aereo, mentre l’enfisema polmonare è la distruzione degli alveoli polmonari con
molteplici anomalie strutturali. La bronchite cronica è una patologia comune fra i lavoratori
ed è associata all’esposizione a sostanze come la polvere di cemento, polveri minerarie,
polveri di origine organica o fumi di saldatura; è una delle prime e più frequenti patologie
associate all’abitudine al fumo di tabacco e può associarsi all’enfisema. Studi
epidemiologici hanno dimostrato un effetto additivo fra l’esposizione lavorativa a polveri,
gas e fumi e abitudine al fumo di tabacco nel determinare la frequenza e la severità della
bronchite nei lavoratori (20) . Sembra anche che esista un meccanismo additivo fra
abitudine al fumo di tabacco, esposizione a silice e sviluppo di bronchite (21, 22, 23) . In
esposti alla polvere di cotone, è stato riscontrato un maggior numero di casi di bronchite e
bissinosi nei soggetti fumatori (24, 25) . I fumi di cadmio, la silice libera cristallina e la
polvere di carbone sono in grado di determinare enfisema e ostruzione polmonare. I
fumatori che sono esposti a queste sostanze sul posto di lavoro sono maggiormente
suscettibili di sviluppare patologie polmonari più severe rispetto a chi è esposto solo al
fumo di tabacco o solo all’agente occupazionale (26, 27).
La broncopneumopatia cronico ostruttiva (BPCO), definita come malattia prevenibile e
trattabile con significativi effetti extrapolmonari che possono contribuire alla gravità della
patologia nei singoli pazienti, la componente polmonare è caratterizzata da una
persistente limitazione al flusso aereo generalmente progressiva e associata ad un’
abnorme risposta infiammatoria del polmone a gas o a particelle nocive.
Il fumo è il principale fattore di rischio per la BPCO nella popolazione generale e
responsabile di oltre il 70% dei decessi per BPCO nei Paesi industrializzati (28) .
In base alla carta del rischio di BPCO è stata riscontrata una maggiore probabilità di
ammalare di BPCO nei fumatori esposti a sostanze nocive (polveri, fumi, sostanze
chimiche) sul posto di lavoro (29) .
Infatti si stima inoltre che il 15-19% dei casi di BPCO nella popolazione generale siano
attribuibili ad esposizioni lavorative a polveri, gas, vapori e fumi (ad esempio, polveri di
silice, di carbone, di legno, fumi di saldatura, solventi) (Balmes et al., 2003; Hnizdo et al.,
2002; Meldrum et al., 2005). Un elevato rischio di BPCO è stato recentemente riscontrato
in fumatori professionalmente esposti a fumi di motori diesel, gas e vapori irritanti e polveri
minerali (Weinmann et al., 2008).
Studi epidemiologici ed istopatologici suggeriscono che l’esposizione professionale a silice
può indurre la comparsa di alterazioni ventilatorie ostruttive di tipo enfisematoso anche in
assenza delle alterazioni radiografiche tipiche della silicosi e che l’abitudine al fumo ne
potenzia l’effetto (Hnizdo e Vallyathan, 2003; Kreiss, 1989). Anche in lavoratori esposti a
cadmio sono state riscontrati alterazioni indicative di enfisema polmonare (Davison et al.,
1988; Kjuus et al., 1981). Il rischio di BPCO è risultato 6 volte superiore in lavoratori non
fumatori con elevata esposizione ad emissioni di cokeria e 58 volte superiore nei fumatori
con elevata esposizione rispetto ai lavoratori non fumatori non esposti ad emissioni di
cokeria (Hu et al., 2006). Uno studio svolto in Italia ha confermato che l’abitudine al fumo e
l’esposizione professionale a polveri, fumi e vapori sono fattori di rischio indipendenti per
la BPCO e che interagiscono in modo sinergico (Boggia et al., 2008). L’esposizione
corrente o pregressa a solventi organici raddoppia il rischio di bronchite cronica associato
al fumo di tabacco (Ebbehøj et al., 2008).
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Pneumoconiosi.
Sembra che possa esistere una interazione fra l’esposizione a polveri di carbone e
abitudine al fumo di tabacco (30, 31, 32) . L’inalazione di polveri di carbone può
determinare pneumoconiosi, bronchite e riduzione della funzionalità respiratoria. In
particolare, la bronchite è risultata essere più frequente fra i minatori fumatori per la
combinazione della ipersecrezione della mucosa dovuta alla polvere, l’alterazione della
clearance e l’infiammazione delle vie respiratorie causata dal fumo di tabacco (33) .
Fibrosi polmonare. L’abitudine al fumo di tabacco associata all’esposizione a polveri di
metalli presenti sul luogo di lavoro può favorire lo sviluppo di una pneumopatia
interstiziale (Usual Interstitial Pneumonia- UIP) nota anche come fibrosi polmonare
idiopatica (34) .
L’asbestosi (fibrosi polmonare da amianto)
Nei fumatori spesso si trova associata ad enfisema polmonare dovuto ad abitudine al
fumo di tabacco. Entrambi insorgono in genere progressivamente dopo diversi anni di
esposizione e causano una severa compromissione della funzione polmonare. I due
effetti sembrano indipendenti fra loro (35, 36) . L’ interazione fra asbesto e fumo di
tabacco aumenta l’incidenza di neoplasia polmonare ma non del mesotelioma e delle
placche pleuriche (37, 38, 39) .
Polmonite da ipersensibilità
E’ una malattia infiammatoria polmonare con interessamento dell’interstizio polmonare
ed è anche nota come alveolite allergica. In genere gli agenti occupazionali chiamati in
causa sono sostanze di origine biologica, batteri e muffe. Nei fumatori è stata riscontrata
una minore suscettibilità a sviluppare la patologia rispetto ai non fumatori. Il meccanismo
supposto è che il fumo di tabacco sia in grado di alterare la suscettibilità delle cellule del
sistema immunitario (40, 41) .
Patologie cardiovascolari
I meccanismi degli effetti cardiovascolari del fumo attivo e passivo si pensa siano
associati alla formazione di trombi e placche aterosclerotiche, oltre alla diminuzione della
quantità di ossigeno disponibile per il muscolo cardiaco.
Pochi studi hanno analizzato l’interazione fra il fumo di tabacco e i rischi lavorativi
cardiovascolari ( 1 ) ma si può ipotizzare che esista una interazione con i più comuni
come:
 la tensione nervosa sul posto di lavoro, associata spesso ad un aumento della
pressione arteriosa (42).
 il piombo (ipertensione) ( 1 ), il monossido di carbonio (ipossia) ( 1 ), il disolfuro di
carbonio (danni cardiaci, arteriopatia, incremento dei lipidi nel sangue e alterazioni
della pressione arteriosa) (43);
 gli esteri dei nitrati (come la nitroglicerina e l’etilenglicol dinitrato) possono essere
associati ad angina, morte improvvisa e variazioni della pressione arteriosa
conseguenti ad improvvisa cessazione dell’ esposizione; i possibili meccanismi
responsabili di questo effetto sono lo spasmo delle arterie coronarie e un aumento
della pressione diastolica;
 le particelle fini (PM 10 e PM 2.5) e l’ ozono hanno provocato alterazioni della
frequenza cardiaca in soggetti esposti; questi stessi effetti sono stati riscontrati in
fumatori, una possibili interazione è quindi probabile (44, 45);
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 La nicotina, che aumenta la frequenza cardiaca e la pressione arteriosa agendo come
vasocostrittore, si suppone possa innescare un meccanismo additivo nel determinare il
fenomeno di Raynaud o “fenomeno del dito bianco” (46) . E’ una manifestazione
episodica che produce attacchi intermittenti di vasospasmo a livello delle parti distali
delle dita delle mani associati spesso a dolore e rossore secondario. La causa sembra
essere un danno della parete dei vasi arteriosi digitali dovuto a microtraumi ripetuti
(indotti da strumenti vibranti tipo trapani, martelli demolitori, seghe circolari,
tagliaerba…) che determina uno spasmo delle arterie con conseguente comparsa di
pallore e cianosi seguito da rossore, dovuto invece alla vasodilatazione successiva.
Impotenza. Effetti negativi del fumo sull’erezione maschile
Il fumo ha effetti negativi che sull’erezione maschile. Secondo i ricercatori il fumo incide
sull’ impotenza in maniera notevole e per chi soffre di questa condizione, la miglior cosa
sarebbe quella di smettere di fumare. L’ impotenza, come ormai è noto, è l’incapacità di
raggiungere o mantenere l’ erezione da parte dell’uomo. Nei casi di impotenza , l’ erezione
blanda o assente non permette un rapporto sessuale soddisfacente portando a
complicazioni di tipo psicologico nell’uomo che ne è affetto, nonché nella coppia.
Considerando che l’ impotenza colpisce indistintamente gli uomini tra i 18 ed i 70 anni, e
che i problemi di erezione riguardano oltre il 25% della popolazione maschile, questa
ricerca sembra essere davvero importante in quanto individua uno dei fattori negativi
nonché possibile causa della comparsa o dell’incremento dell’ impotenza maschile.
Fumo ed impotenza: la relazione esiste
Dalla ricerca condotta dall’ University’s School of Public Health and Nursing in
collaborazione con l’Università di Hong Kong è emerso chiaramente che il fumo non
danneggia solo diversi organi del corpo (cuore, polmoni, reni etc.) ma anche la sfera
sessuale di un uomo, incidendo significantemente sull’ erezione e sulle prestazioni
sessuali. Gli esperti hanno preso in esame 700 uomini in età compresa tra i 30 ed i 50
anni e con problemi di impotenza totale o insufficienza d’ erezione durante i rapporti
sessuali. Dopo aver monitorizzato i volontari, i ricercatori si sono resi conto che oltre il
53,8% di essi, dopo aver smesso di fumare, avevano migliorato le loro prestazioni. Alcuni
volontari hanno infatti dichiarato che smettere di fumare ha migliorato la loro erezione, altri
invece hanno confermato che eliminata la dipendenza dal fumo , l’impotenza è divenuto
un problema superato.
Il perché della correlazione fumo – erezione – impotenza
La correlazione tra fumo – erezione – impotenza risiede nel fatto che il fumo porta ad una
riduzione del flusso ematico nelle arterie che irrorano i corpi cavernosi del pene e che
sono indispensabili perché si verifichi l’erezione. Una eccessiva riduzione del flusso
ematico talvolta e a seconda dei soggetti, potrebbe determinare i problemi di impotenza
totale o di erezione insufficiente.
Dunque chi soffre di impotenza o scarsa erezione dovrebbe decidere di smettere di
fumare e cercare di riacquistare una sessualità quanto meno accettabile. In realtà
smettere di fumare non sempre basta a risolvere i problemi di impotenza , tuttavia uscire
dalla dipendenza dal fumo di certo non può che giovare alla salute.
Effetti del fumo in gravidanza
Le future mamme fumatrici che smettono con il vizio durante la gravidanza danno alla luce
bambini sani e con lo stesso peso di quelli nati da mamme non fumatrici. È quanto emerge
da uno studio presentato da Nick Macklon dell'University of Southampton (Regno Unito)
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nel corso dell'European Society of Human Reproduction and Embryology svoltosi a
Stoccolma(Svezia), da cui emerge che gli effetti negativi del fumo, per il bebè in arrivo, si
possono «cancellare» se si smette con il vizio durante la gestazione. Un ridotto peso alla
nascita è l'effetto più comune del fumo materno durante la gravidanza a cui si aggiungono,
in alcuni casi, anche il rischio di parti prematuri e di disturbi connessi allo sviluppo
cerebrale. Le madri fumatrici, spiegano i ricercatori, sono sempre state incoraggiate a
smettere di fumare una volta rimaste incinte anche se, fino ad oggi, c'erano poche
evidenze che rinunciare all'ultimo momento potesse avere effetti positivi sul nascituro. Il
risultato arriva da uno studio condotto su 50 mila donne in gravidanza seguite all'University
Medical Centre di Southampton tra il 2002 e il 2010: i ricercatori hanno identificato sette
gruppi di donne - non fumatrici, che avevano smesso da più di un anno prima del
concepimento, che avevano smesso da meno di un anno prima del concepimento, che
hanno smesso una volta che la gravidanza è stata confermata, che hanno continuato a
fumare 10 sigarette al giorno, tra le 10 e le 20 al giorno, più di 20 al giorno - e hanno
incrociato i dati raccolti con i parametri dei neonati. Dopo aver corretto i risultati ottenuti
per altri fattori noti per influenzare le caratteristiche dei neonati alla nascita - età
gestazionale, età e peso della madre e classe socio-economica - i ricercatori hanno
scoperto che i bambini le cui madri avevano smesso di fumare nel periodo
«periconcezionale» - ovvero intorno al momento in cui pensavano di essere rimaste
incinte o non appena la gravidanza è stata confermata - sono nati con un peso alla nascita
significativamente più alto dei bambini le cui mamme avevano continuato a fumare, e
paragonabile a quello dei nati da donne che non avevano mai fumato. «Non solo il peso
alla nascita era molto più alto di quanto non fosse nei bambini nati da madri che avevano
continuato a fumare - spiega Macklon - ma abbiamo anche scoperto che i neonati hanno
raggiunto la stessa età gestazionale e la medesima circonferenza della testa di quelli nati
da donne che non avevano mai fumato» (IL SOLE 24ORE).
Effetti del fumo in allattamento
Non solo durante la gravidanza bisogna smettere di fumare, meglio anche non
ricominciare neppure dopo il parto: la mamma che fuma allatta meno a lungo, quindi il
bimbo e' costretto a rinunciare prima al latte materno. E' quanto dimostrato in uno studio
apparso sull'American Journal of Public Health, diretto da Jihong Liu della University of
South Carolina . Gli esperti hanno considerato oltre 3000 donne seguendole nella
gravidanza e dopo nelle settimane di svezzamento. Di tutto il campione il 91% delle
neomamme allattava al seno. E' emerso che le mamme che fumano durante
l'allattamento smettono di allattare prima della decima settimana del bimbo con probabilità
doppia di quelle che non fumano mentre allattano. Il fatto che le fumatrici terminino
precocemente lo svezzamento naturale può essere spiegato in vario modo: innanzitutto la
sigaretta diminuisce le concentrazioni di prolattina, l'ormone dell'allattamento; poi il fumo
potrebbe alterare la composizione del latte materno rendendolo meno nutriente e povero
di grassi tale da indurre il pediatra a consigliare di terminare lo svezzamento al seno;
inoltre il bimbo che sugge il latte dal seno materno quando lei fuma soffre piu'
frequentemente di mal di pancia. Si ricorda più volte che il fumo in gravidanza fa male al
feto, ma poco si e' fatto per scoraggiare la neomamma a riprendere l'insana abitudine
dopo il parto. La scoperta che il fumo e' complice nell'accorciare il periodo di allattamento
al seno, unita alla conoscenza ormai diffusa dei benefici a lungo termine del latte
materno, deve dunque indurre la donna a non sottovalutare la cattiva abitudine anche
dopo il parto e spronare le istituzioni ad avvertire dell'ulteriore pericolo connesso col fumo
materno. (ANSA) - ROMA, 5 GEN
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Effetti del fumo passivo sul bambino durante l'infanzia.
Sebbene anche il fumo del padre possa avere delle conseguenze, un bambino la cui
madre fuma presenta un rischio di ammalarsi molto più alto rispetto ai bambini non esposti
a fumo passivo. I bambini esposti al fumo passivo presentano spesso una diminuzione
delle funzioni respiratorie che non scompare neppure con l’età adulta. Così si spiega la
maggiore frequenza di malattie delle vie respiratorie, bronchiti, polmoniti, tosse e
catarro. Il rischio di contrarre malattie dell’orecchio è superiore alla norma del 40%. Nel
fumo del tabacco sono state identificate, finora, oltre 5.000 sostanze molte delle quali
dannose e radioattive (dall’ossido di carbonio al catrame, dal nichel al cloruro di vinile) che
comportano effetti quasi sempre cancerogeni e comunque assai negativi per l’organismo.
Il discorso vale anche per il fumo passivo.
Disturbi osteoarticolari
L’esposizione occupazionale a stressors muscolo scheletrici è la prima causa di patologia
lombare e le lombalgie sono uno dei principali motivi di perdita di giorni lavorativi e di
diminuzione di produttività. Il fumo di tabacco può interagire determinando: osteoporosi,
con un aumento delle microfratture nelle vertebre lombari, aumento della pressione intraaddominale per accentuazione della tosse, alterazione del trofismo dei dischi
intervertebrali (47) Rischi cancerogeni Il fumo può interagire con i cancerogeni
occupazionali modificando la dose di cancerogeno che raggiunge le cellule bersaglio o
alterando la vulnerabilità dell’ospite. Gli agenti cancerogeni possono essere iniziatori
(agiscono nelle prime fasi della cancerogenesi e possono esercitare l’effetto sulle cellule
bersaglio dopo una breve esposizione), promotori (agiscono sulle cellule iniziate per
causare neoplasia) o co-cancerogeni (agiscono solo in presenza di un altro agente).
I meccanismi della possibile interazione della esposizione ai cancerogeni occupazionali e
fumo di tabacco sono:
1) l’azione di promozione effettuata dai componenti del fumo di tabacco sulle cellule
iniziate dalle sostanze cancerogene occupazionali o viceversa;
2) aumento della dose di sostanze cancerogene che arrivano alla cellula bersaglio
attraverso:
 l’ alterazione della frazione di cancerogeno inalato o deposto o ritenuto nei polmoni;
 la modificazione della quantità di pro-cancerogeno attivato in cancerogeno;
 l’ aumento del trasferimento attraverso la mucosa e la membrana cellulare.
3) Il fumo di tabacco compromette la clearance mucociliare delle sostanze cancerogene
come l’asbesto. In più, alcune sostanze contenute nel fumo di tabacco (come gli
idrocarburi policiclici aromatici) possono essere assorbite sulle fibre di asbesto o di
altre particelle, aumentando così la dose di cancerogeni trasportata alle cellule
bersaglio. Le piccole particelle prodotte dal fumo di tabacco possono a loro volta
fungere da vettore per cancerogeni presenti sul luogo di lavoro come la formaldeide;
4) L’ esposizione al fumo di tabacco può alterare la vulnerabilità dell’ospite ad altri
cancerogeni ambientali attraverso l’ aumento delle cellule infiammatorie nel polmone e
l’induzione di sistemi enzimatici che funzionano da attivatori delle sostanze
cancerogene. Ad esempio gli effetti cancerogeni di sostanze come le amine
aromatiche, il butadiene e le nitrosamine possono essere modificate dalle ossidasi a
funzione mista indotte dal fumo di tabacco.
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Cataratta
Numerosi studi epidemiologici, trasversali e di coorte, hanno evidenziato una forte
associazione tra fumo di tabacco e cataratta nucleare (Kelly et al., 2005). In ambito
professionale, opacità del cristallino possono essere indotte dall’esposizione ad agenti
fisici quali radiazioni ionizzanti, laser e infrarosse.
Ipoacusia
L’età e l’esposizione professionale prolungata a rumore sono i principali determinanti di
ipoacusia neurosensoriale per le alte frequenze. Una recente meta analisi ha rivelato
un’associazione tra abitudine al fumo e riduzione della capacità uditiva (Nomura et al.,
2005). Uno studio multicentrico svolto su 4083 cittadini Europei di età compresa tra 53 e
67 anni ed altri recenti studi hanno dimostrato che l’abitudine al fumo può incrementare i
rischi di ipoacusia neurosensoriale per le alte frequenze dovuti all’esposizione
professionale a rumore (Fransen et al., 2008). Un elevato rischio di ipoacusia
neurosensoriale è stato riscontrato in operai metallurgici fumatori esposti a rumore;
l’interazione tra i due fattori di rischio era di tipo sinergico nei lavoratori di età compresa tra
20 e 40 anni (Ferrite e Santana, 2005).
Sostanze che possono interagire con il fumo di tabacco nel determinare neoplasie
Mentre è stata dimostrata l’interazione sinergica tra asbesto e fumo di tabacco nel
determinare neoplasia polmonare, per i tumori di esofago, faringe e bocca è stata
riconosciuta solo una possibile interazione dell’asbesto con l’abitudine al fumo di tabacco
(48, 49, 50) .
L’ arsenico agisce con meccanismo sinergico nel determinare il tumore polmonare (51) .
Il nickel sembra abbia un meccanismo additivo nel determinare displasia delle cavità
nasali in lavoratori fumatori esposti (52) . Un meccanismo additivo è stato ipotizzato nella
insorgenza del tumore della vescica nei lavoratori fumatori esposti a benzidina, 4amminodifenile e 2 naftilammina (53) , mentre un meccanismo moltiplicativo è stato
ipotizzato per la benzidina (54) . L’abitudine a fumo di tabacco e l’esposizione a
idrocarburi policiclici aromatici sono associati ad un maggior rischio di neoplasia
polmonare (55) e di neoplasia vescicale (56).
Il radon e il polonio sono sostanze radioattive; il polonio è presente soprattutto nei
fertilizzanti ricchi di fosfato e in minor misura nell’aria e viene intrappolato nelle foglie del
tabacco. In uno studio condotto nel 1980 è stata rilevata una concentrazione di polonio da
2 a 10 volte maggiore nei fumatori di quella trovata nell’epitelio bronchiale dei non
fumatori (57) . In uno studio condotto nel 1988 è stata riscontrato un maggior numero di
neoplasie polmonari nei minatori fumatori (58) .
Fumo, lavoro e neoplasie
L’abitudine al fumo e l’esposizione a fattori di rischio lavorativi possono interagire,
provocando effetti dannosi sulla salute in modo sia additivo che sinergico. Tra le più
comuni malattie correlate con il lavoro che possono essere concausate e/o aggravate
dall’abitudine al fumo figurano le neoplasie. L’abitudine al fumo di tabacco è un
importante fattore di rischio per le neoplasie del polmone, delle cavità nasali, dei seni
paranasali e della vescica (IARC, 2004). Il rischio di sviluppare queste neoplasie può
essere ulteriormente accresciuto dall’esposizione ad alcuni agenti cancerogeni nei luoghi
di lavoro. La maggior parte delle neoplasie polmonari indennizzate dall’INAIL è
attualmente correlabile ad una pregressa esposizione ad asbesto. Diverse ricerche, per lo
più relative ad elevate esposizioni lavorative occorse oltre 20-30 anni fa, hanno
documentato una chiaro sinergismo tra i due fattori di rischio (IARC, 1987). Studi più
recenti hanno fornito risultati in parte contrastanti ed attualmente non si ritiene possibile
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stimare accuratamente l’entità dell’interazione sinergica (IARC, 2004). Altri inquinanti dei
luoghi di lavoro ritenuti cancerogeni per il polmone sono: cromo esavalente, cadmio,
nichel, arsenico, berillio, clorometil(metil)etere e bis(clorometil)etere, materiali organici
contenenti idrocarburi policiclici aromatici (ad esempio, il catrame), radon, radiazioni
ionizzanti e silice; a tal riguardo, il rischio di tumore del polmone appare più elevato tra i
lavoratori già affetti da silicosi e con maggiore esposizione cumulativa (Cassidy et al.,
2007). I lavoratori esposti a polveri di legno duro, a cromo esavalente, a nichel ed ai suoi
composti o esposti a polveri di cuoio nell’industria pellettiera e calzaturiera presentano un
maggior rischio di neoplasie delle cavità nasali e dei seni paranasali. Il rischio di tumori
del nasofaringe è aumentato sia nei fumatori che negli esposti a formaldeide (IARC,
2006). Dopo l’abitudine al fumo, le esposizioni professionali sono il più importante fattore
di rischio per le neoplasie vescicali. Studi svolti in Italia hanno rilevato che l’esposizione
professionale a cancerogeni per la vescica comportava un rischio attribuibile nella
popolazione (PAR) pari al 4- 24% mentre studi svolti in Europa un PAR pari al 4- 7%
(Barone-Adesi et al., 2005). Il rischio di neoplasie vescicali è risultato più frequentemente
elevato in lavoratori esposti ad amine aromatiche e ad idrocarburi policiclici aromatici
(Jankovic e Radosavljevic, 2007).
Anche la leucemia mieloide negli adulti è causalmente associata al fumo attivo, per la
presenza nel fumo di tabacco di alcuni agenti noti leucemogeni, tra i quali il benzene;
questo idrocarburo aromatico mononucleare è un noto cancerogeno professionale per il
sistema emolinfopoietico, come pure lo sono l’ossido di etilene, il butadiene e le radiazioni
ionizzanti.
Effetti sulla salute del fumo passivo
Le conoscenze sugli effetti sulla salute provocati dal fumo passivo derivano da numerosi
studi svolti su non fumatori esposti ad ETS in ambito domestico, mentre sono meno
numerosi quelli riguardanti l’esposizione durante il lavoro. Quest’ultima può peraltro
risultare di durata ed entità pari o superiore rispetto a quella che si realizza in ambito
domestico. L’esposizione acuta e cronica a ETS sono causa di effetti nocivi sulla salute. Il
più comune effetto dell’esposizione acuta è il fastidio, il disturbo (“annoyance”) percepito
dal non fumatore esposto a ETS, associato a sintomi irritativi a carico dell’occhio e delle
prime vie aeree, tosse e raucedine. Soggetti affetti da BPCO o da rinite o asma bronchiale
presentano in genere una sintomatologia più precoce e accentuata. L’esposizione cronica
di non fumatori a ETS è stata associata all’insorgenza di tumori polmonari, di cardiopatie
ischemiche e di disturbi e patologie respiratorie non neoplastiche. L’ETS è considerato un
cancerogeno certo per l’uomo (IARC gruppo 1) (IARC, 2004). Il rischio di tumore del
polmone in non fumatori esposti in ambito domestico è risultato aumentato di circa il 30%
per i maschi e del 20% per le femmine; il rischio era correlato all’entità dell’esposizione a
ETS. In modo analogo, il rischio è risultato aumentato del 16-19% per i non fumatori
esposti a ETS sul luogo di lavoro (IARC, 2004). Il rischio di malattie coronariche fatali e
non fatali nei non fumatori esposti ad ETS aumenta di circa il 30% (Law e Wald, 1997). In
un recente studio prospettico, il rischio di coronaropatie nei non fumatori era correlato alle
concentrazioni della cotinina urinaria, indicative dell’esposizione a ETS; nei soggetti con
livelli di cotinina più elevati l’eccesso di rischio era comparabile a quello di modici fumatori
(Whincup et al., 2004). Studi sul rapporto tra esposizione a ETS nei luoghi di lavoro e
rischio di malattia coronarica hanno indicato un aumento del rischio simile a quello
riportato per le esposizioni in ambito domestico (Wells, 1998). Uno studio prospettico non
ha evidenziato un’associazione tra esposizione a ETS e rischio di ictus, diversamente da
quanto suggerito da un precedente studio caso-controllo (Whincup et al.,
2004).L’esposizione a ETS sul luogo di lavoro è stata correlata all’insorgenza di irritazione
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delle prime vie aeree (tosse, espettorazione), di dispnea, respirazione sibilante e disturbi
asmatici (Janson et al., 2001a e 2001b). Le terapie farmacologiche per l’asma bronchiale
sono risultate meno efficaci negli esposti a ETS (Jindal, 1994) ed è stato recentemente
descritto un caso di asma bronchiale acuta fatale insorta in una giovane cameriera
esposta a ETS nel bar in cui lavorava (Stanbury et al., 2007). Gli studi sugli effetti a lungo
termine dell’esposizione a ETS sulla funzionalità ventilatoria degli adulti hanno fornito
risultati contrastanti.L’esposizione a ETS nei luoghi di lavoro è risultata strettamente
associata con l’aumento dei giorni di assenza dal lavoro, del numero di visite mediche e
del consumo di farmaci (McGhee et al., 2000). Sembra esistere una sinergia tra fumo di
tabacco e perdita dell’udito in lavoratori esposti a rumore. Si suppone che il meccanismo
sia additivo (59, 60). Le sostanze chimiche implicate, presenti nel fumo, sembrano essere
il monossido di carbonio (meccanismo ipossico sulle cellule cocleari) e alcuni solventi
organici come lo stirene, lo xilene e il toluene (probabile meccanismo diretto sulle cellule
nervose) (61) .
Gli incidenti, gli infortuni e il fumare
L’abitudine al fumo è stata correlata ad un maggior rischio di infortuni sul lavoro, di
incendi ed esplosioni. I fumatori infatti hanno un maggior rischio di incidenti e infortuni
sul lavoro rispetto ai non fumatori (1,4 -2,5 volte) e si assentano in genere dal lavoro per
malattia con maggiore frequenza. Oltre alla possibilità di innesco di incendi ed esplosioni
sono più frequenti gli incidenti automobilistici (autotrasportatori, rappresentanti, addetti ad
attività di pattugliamento, autisti e conduttori di veicoli di cantiere, betoniere, mezzi
agricoli, escavatori …) che sembrano essere correlati con (62, 63, 64, 65) :
1. azione tossica diretta del fumo di tabacco con riduzione dell’attenzione, dei riflessi,
della visione notturna (anche per l’ aumento della carbossiemoglobina per il fumo attivo
e passivo in luoghi ristretti e poco ventilati);
2. irritazione degli occhi da fumo con maggiore frequenza di ammiccamento;
presenza di patologie associate con l’abitudine al fumare (bronchite con accessi di
tosse, cardiopatie, lacrimazione, etc.);
3. maggiore distrazione alla guida per fumare (accendere e tenere in mano la sigaretta;
guardare dove cade la brace; tenere il volante con una mano sola...);
personalità più propensa a comportamenti a rischio (uso di droghe e alcol).
Uno studio effettuato su 726 operai di un’industria chimica indiana (Saha et al., 2008) ha
evidenziato che fumare e masticare tabacco sono risultati associati ad un elevato rischio di
infortuni (OR 7,3, IC 3,9-9,3). L’abitudine al fumo è risultata tra i determinanti di infortuni
lavorativi in uno studio su 2174 lavoratori del Nord Italia nei soggetti che fumavano fino a
20 sigarette al giorno (OR=2,3) ed in quelli che fumavano più di 20 sigarette al giorno
(OR=3,8) (Mastrangelo et al., 2008). In altri studi, l’incidenza di infortuni professionali è
risultata all’incirca doppia nei fumatori rispetto ai non fumatori (Sacks e Nelson, 1994).
L’abitudine al fumo può anche favorire il verificarsi di infortuni professionali di natura non
traumatica, ad esempio di coronaropatie acute. In uno studio svolto negli Stati Uniti su un
gruppo di vigili del fuoco, l’abitudine al fumo è risultata tra i fattori predittivi di una
coronaropatia acuta fatale durante l’attività lavorativa (OR=3,68) (Geibe et al., 2008).
Conclusioni
Da quanto riportato scaturisce l’importanza dell’applicazione del divieto di fumo nei luoghi
di lavoro, dell’informazione sui rischi da fumo attivo e passivo e di un’attenzione
particolare da parte delle figure aziendali deputate alla prevenzione e tutela dei lavoratori
nei luoghi di lavoro. Smettere di fumare conviene perché comporta una serie di vantaggi:
per la salute: come già ampiamente trattato;
estetici: con la pelle meno rugosa e alito non sgradevole;
economici: costo elevato del pacchetto di sigaretta.
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31 Maggio 2011 - Fumo: polonio radioattivo nelle 'bionde', indagine iss su 10
marche sigarette fumarne 20 al giorno per un anno e' come fare 25 radiografie al
torace
Roma, 31 mag. - (Adnkronos/Adnkronos Salute) - Il nuovo allarme sulla pericolosità delle
sigarette e' rappresentato dal polonio, uno dei più potenti agenti cancerogeni del fumo di
tabacco. Un'analisi sulle dieci marche di 'bionde' più vendute in Italia svolta dall'Istituto
superiore di sanita' (Iss), in collaborazione con l'Università di Bologna e l'Enea, ha infatti
svelato che il polonio radioattivo e' presente nelle sigarette, tanto da portare gli esperti a
paragonare il rischio biologico di un fumatore di 20 sigarette al giorno per un anno, a circa
25 radiografie al torace eseguite in antero-posteriore. Lo studio e' stato illustrato oggi a
Roma nella sede dell'Iss.
Ma l'agente killer come finisce nelle sigarette? Il polonio alfa-radioattivo 210 si trova nei
fertilizzanti usati nelle piantagioni di tabacco, i quali sono ricchi di polifosfati contenenti
radio e piombo. Poi, con la combustione delle sigarette, il fumo diventa radioattivo, piombo
e polonio raggiungono l'apparato broncopolmonare fissandosi soprattutto nelle biforcazioni
dei bronchi segmentari.
Qui, in combinazione con altri agenti, si manifesta la sua attività cancerogena. Le marche
analizzate sono: Chesterfield rosse, Winston blue, Diana blu, Diana rosse, Merit gialle,
Camel blu, MS gialle, MS rosse, Marlboro gold e Marlboro rosse. Il polonio 210 si può
trovare anche nel fumo passivo, si legge nell'analisi, poiché parte dell'agente si diffonde
nell'ambiente circostante durante la combustione del tabacco. (Sof/Adnkronos Salute) 31MAG-11 11:57
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