cazzo bizzeffe

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cazzo bizzeffe
IL PROCESSO - Seduti prego. Allora abbiamo un processo per uso, consumo e detenzione
di sostanze stupefacenti, con una serie di aggravanti che poi esamineremo, a carico di
Damiano Pompa iscritto al registro 4428/2010. E’ presente l’imputato?
Damiano alzò la mano segnalando la sua presenza. Era in completo stato confusionale.
Non sapeva perché si trovava in quell’aula, perché era sotto processo e perché tanta
attenzione nei suoi confronti. Aveva il viso completamente logorato dall’ansia e dallo stress.
Aveva due borse sotto gli occhi delle stesse dimensioni delle due valigie che portava con sé.
- Signor Pompa, cosa contengono quelle due valigie che sono accanto a lei?
Damiano si volse verso il suo avvocato con gli occhi stralunati, di chi avrebbe volentieri
risposto: “ma chi è questo? chi lo ha visto mai! ma questo che cazzo vuole da me? ma che
cazzo te ne fotte a te di quello che c‘è in queste valigie?”.
- Vestiario, signor giudice, e qualche libro - rispose l’avvocato Filippo Salviati iniziando
la sequela di menzogne che avrebbe protratto fino al termine della sua arringa finale. Quando sarà il momento spiegheremo il perché di queste due valigie.
- Grazie avvocato. Bene … allora … il giudice che ha seguito la fase istruttoria del
processo ha già ammesso le costituzioni di parte civile degli enti e delle associazioni che ne
hanno fatto richiesta. Ci sono opposizioni da parte del Pubblico Ministero e della difesa?
Nessuna obiezione.
- Bene. Voglio essere chiaro fin dal principio per evitare fraintendimenti. Per un processo
del genere e per la gravità del reato contestato in media non vengono dedicati più di trenta
minuti. Quindi ci terrei che tutti noi ci attenessimo alla media dei tempi senza prolungarci
oltremodo in disquisizioni di carattere filosofico e metafisico. Ci sono obiezioni?
- Sì, signor giudice - rispose il Pubblico Ministero. - Qui non ci troviamo di fronte ad un
banale reato di uso, detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti. Se fosse così basterebbe
molto di meno per condannare o assolvere un imputato. Qui ci sono aggravanti che devono
essere considerate una a una come fatti di rilevanza penale. La presenza di un
narcotrafficante sudamericano, la specificità della sostanza stupefacente, i danni psicofisici
di un infante e della propria madre, nonché le varie richieste di costituzione di parte civile,
richiedono una serie di approfondimenti e di tempi di discussione molto più lunghi di quelli
che mediamente sono riservati a processi per il consumo di una canna di hashish. Inoltre
dobbiamo considerare la lunga serie di testimoni e deposizioni spontanee che potrebbero
venir fuori durante il processo, e le testimonianze, proprio per la rilevanza penale che
rivestono, devono essere assunte con la massima precisione e cautela.
- Pubblico Ministero, vuole insegnarmi il lavoro di giudice e come si conduce un processo?
Inaspettatamente l’avvocato Salviati prese le difese del Pubblico Ministero.
- Signor giudice, sono d’accordo anche io con il Pubblico Ministero. Prendiamoci tutto il
tempo che ci vuole senza porre alcun limite al tempo dei vari interventi. Io, per quanto mi
riguarda, formulerò una arringa di meno di dieci minuti, e quindi sono sicuro che durante
lo svolgimento del processo potremo recuperare tutto il tempo necessario per arrivare a una
sentenza nel primo pomeriggio di oggi.
Quella mossa mi spiazzò. L’avvocato della difesa che era d’accordo con l’accusa. Strano.
Anche Damiano trovò strano quel comportamento, tant’è che rimase per qualche secondo a
bocca aperta con lo sguardo di chi vorrebbe dire: “cazzo … cominciamo bene …. questi ci
stanno per fare un mazzo tanto e tu, invece di attaccarli, li difendi pure?”
E fu allora che l’avvocato Carlini chiese la parola e iniziò una di quelle pippe che non
finiscono mai sulla procedura processuale e sulla correttezza dei giudici. Quindici minuti di
allusioni nei miei confronti che lasciavano presagire una serie di attacchi che avrei dovuto
subire per l’intera giornata.
-Avvocato Carlini, lei è libero di prendersi tutto il tempo che vuole per le testimonianze, le
deposizioni e il suo intervento. Io, però, sarò libero di indispettirmi se poco poco mi
accorgo che si sta tirando alla lunga una situazione che può essere risolta in breve tempo.
Faccia come crede e io farò altrettanto.
Carlini incassò il colpo e si rimise a sedere con il capo chino. In poche parole, se si fosse
dilungato ove non sarebbe stato necessario, io ne avrei tenuto conto nella sentenza finale.
Piglia e porta a casa.
- Per quanto riguarda possiamo iniziare. Chiedo a tutti coloro che devono testimoniare e
deporre di uscire dall’aula. Saranno richiamati uno alla volta.
Prontamente si alzarono una quindicina di persone che lentamente uscirono dall’aula.
LA RELAZIONE DEL P. M. - Fu il Pubblico Ministero a dare il via alle danze. La sua
relazione introduttiva durò non più di quindici minuti. Evidentemente la mia richiesta di non
perdere tempo e non dilungarsi oltre il dovuto era stata pienamente accolta. La minaccia che
avrei potuto infastidirmi nei confronti di coloro che sarebbero stati ridondanti e pleonastici,
aveva funzionato.
Il P.M. fu breve e coinciso. Elencò in modo oggettivo e articolato tutti i capi di
imputazione relativi al processo di Damiano e non espresse alcun giudizio di merito sulla
vicenda, riservandosi nella requisitoria finale di formulare l’intera richiesta dell’accusa.
Sembrava oggettivo e imparziale e quel modo di proporsi mi confuse le idee. Non sapevo se
il P.M. fosse uno di loro o agisse secondo scienza e coscienza. Era la prima volta che lo
vedevo in azione e almeno fino a quel momento mi fece una buona impressione. Si attenne
esclusivamente a quanto riportato dai verbali della Polizia di Formia e della Polizia
Giudiziaria della procura. Raccontò effettivamente i fatti come erano andati secondo gli atti
depositati. Espresse il rammarico per la mancata comparizione di Damiano davanti
all’ufficiale di Polizia Giudiziaria per rendere sommarie informazioni e la contumacia
davanti al giudice delle indagini preliminari che lo rinviò a giudizio. In entrambi i casi la
colpa fu dell’avvocato Egidio Caracciolo Di Trorchiaro che non volle costituirsi per le
sommarie informazioni e non si presentò in aula durante il dibattimento dell’udienza
preliminare, ma il P.M. non conosceva questi particolari.
L’avvocato Filippo Salviati aveva le braccia e le gambe incrociate e ascoltava il P.M.
senza prendere appunti. Aveva le labbra a culo di gallina e non tradiva alcuna emozione.
Dalla mia postazione potevo vedere bene gli umori e le sensazioni dei partecipanti al
processo e devo dire che dalla parte degli scranni della difesa non veniva tradita alcuna
emozione. Damiano continuava ad essere stralunato e a chiedersi mentalmente con
insistenza dove il suo avvocato voleva andare a parare. Si aspettava che ci fosse qualche
interruzione da parte di Filippo e che si incazzasse quando il P.M. elencava quella serie di
falsità. Ma tutti sapevamo che il P.M. faceva solamente il suo dovere e che si atteneva
scrupolosamente agli atti giudiziari.
La telecamera che era posta alla mia sinistra e che riprendeva l’intero processo in diretta,
indugiava spesso sullo sguardo dell’avvocato di costituzione di parte civile. Me ne accorsi
perché il mio computer portatile era collegato proprio con uno dei siti web che
trasmettevano in diretta il processo e mi divertivo a seguire le riprese televisive e godere di
quelle immagini.
Il P.M. fu chiaro e determinato. Se veramente Damiano fosse stato innocente lo avrebbe
dovuto sostenere dinanzi al Giudice delle Indagini Preliminari, dove poteva dichiararsi
innocente e dimostrare la propria estraneità ai fatti. Quella mancata comparizione
rappresentava per il P.M. un oltraggio alla corte e un dispendio oneroso per il costo del
processo in corso. Il codice di procedura civile e le prescrizioni in esso contenute andavano
rispettate. La contumacia di Damiano doveva essere punita, altrimenti si sarebbe creato il
precedente secondo cui ognuno era libero di non comparire alle udienze prefissate.
Damiano maledì l’avvocato Caracciolo e gli augurò tutti i malanni previsti dal codice
nazionale delle bestemmie correnti. E la stessa sorte toccò al primo dei testimoni della
pubblica accusa.
GLI ISPETTORI MADONNA E PERCUOCO - Per primo entrò l’ispettore Madonna,
che era il più scaltro della coppia. Era proprio lui il fidato di Pappagogna, quello che si
prestò al gioco del progetto di “DISTRAZIONE DI MASSA” voluto dai consulenti del
sindaco. Tra i due era quello più duro, più spietato, con più esperienza e sfrontatezza.
L’ispettore Madonna aveva la faccia da sbirro, la pancia da sbirro, le mani da sbirro, lo
sguardo da sbirro, uno che in mezzo a mille persone riconosceresti come sbirro. Era nato per
fare lo sbirro. Ma non lo sbirro moderato, parco e riflessivo come dovrebbe essere qualsiasi
sbirro. Lui era sbirro nel sangue, di quelli che si vedono in televisione, che lottano per il
rispetto delle regole infrangendo tutte le regole, che non devono chiedere nulla a nessuno.
Si sedette sul banco dei testimoni, lesse il foglietto con la formula del giuramento e
iniziò a raccontare tutto quanto accadde quel pomeriggio di Pasquetta. Raccontò della
siringa di eroina, del criminale sudamericano e dei bambini che giocavano sereni nel sito
archeologico del porticciolo di Gianola. Al termine della sua deposizione volli fargli qualche
domanda.
- Ispettore Madonna, lei dice che era presente un delinquente sudamericano. Ma se
veramente era un pericoloso delinquente, perché non lo avete arrestato?
- Perché ci accorgemmo che era Pedro Alvarez solamente una volta tornati in ufficio, dopo
aver controllato nello schedario dei delinquenti. Non potevamo arrestarlo senza essere
sicuri che fosse lui.
- E perché non siete tornati sul posto per arrestarlo?
- Siamo tornati sul posto, ma lui, insieme ai tre ragazzi, era già andato via.
- Lo avete più incrociato per strada?
- No, altrimenti avremmo fatto il nostro dovere.
- E ora dov’è questo Pedro Alvarez?
- E’ uno dei dieci latitanti più pericolosi tra quelli ricercati dall’Interpool. Pensiamo che sia
fuggito all’estero.
Aveva imparato bene la lezioncina a memoria. Era preparato e addestrato, essenziale nelle
risposte, attento a non commettere errori. Dallo schermo del mio computer notavo che
l’avvocato Carlini annuiva a ogni sua risposta, come per guidarlo nelle risposte.
- Ispettore Madonna, come mai non avete provveduto a riscontrare le impronte digitali sulla
siringa che avete prodotto come referto processuale?
- Perché la siringa ci cadde nel pantano e fummo costretti a lavarla, e purtroppo le
impronte sono state cancellate.
- Capisco … Quanti erano i bambini presenti quel giorno al porticciolo romano di Gianola?
- Se non ricordo male c’erano in tutto quattro o cinque famiglie.
- Avete provveduto a identificare i presenti?
- No.
- Come mai?
- Non volevamo turbare la tranquillità di un giorno di festa, e poi pensavamo che non fosse
necessario. Se avessimo identificato subito il narcotrafficante ecuadoregno saremmo stati
sicuramente più attenti. Pensavamo che fossero solamente tre tossici di come se ne vedono
in strada tutti i giorni.
- Bene … Quanto tempo è durata l’identificazione dei tre ragazzi?
- Dieci minuti, non di più.
- Hanno opposto resistenza?
- No, ma ridevano in modo molto irriverente di me e dell’ispettore Percuoco.
- Come mai?
- Evidentemente stavano strafatti.
- Cioè?
- Erano ubriachi e pieni di droga nelle vene.
- Prima di andare via avete notato se ci fosse un bambino che più degli altri era rimasto
shoccato dai tre ragazzi drogati?
- Sì, vidi sulla sinistra un bambino che era ipnotizzato da tutta la vicenda.
- Dal verbale risulta che solamente Damiano Pompa è responsabile della vicenda, e che gli
altri due ragazzi erano vittime di forzature contro la propria volontà.
- Sì, tant’è che gli altri due si presentarono dopo qualche giorno in commissariato per
confermare di essere stati vittime di una forzatura da parte del signor Pompa.
Effettivamente era lui quel giorno che aveva in mano la “roba”.
- Per ora non ho altre domande. Se qualcuno vuole porre una domanda si accomodi pure.
Il P.M. si ritenne soddisfatto. L’avvocato Carlini, invece, si soffermò sui turbamenti della
mamma coraggio e del suo figlioletto in preda al panico. Chiese più volte all’ispettore
Madonna di descrivere il viso della donna e del suo figlioletto, nel tentativo di far emergere
il danno psicofisico del bambino.
Decisi di intervenire duramente.
- Avvocato Carlini, non mi risulta che l’ispettore Madonna abbia un qualche titolo
accademico di psichiatra. Le sue domande non sono pertinenti con il processo in corso.
- Signor Giudice, io sono l’avvocato di costituzione di parte civile. La madre del bambino
sotto shock mi ha conferito mandato per chiedere i danni derivanti dal trauma che il
pargolo ha subito.
- Ci sarà tempo per approfondire la questione. Tra i teste leggo il nome di un
neuropsichiatra che meglio di tutti potrà disquisire sull’argomento. L’ispettore Madonna
non ha titoli, né accademici né professionali per descrivere stati d’animo di persone di
qualsiasi natura.
- Mi permetto di far notare a questa Corte che anche le impressioni di un modesto ispettore
di Polizia possono servire a capire fino in fondo il danno che un innocente bambino ha
subito per colpa del delinquente che è imputato in questo processo. Voglio comunque che
sia verbalizzato quanto detto finora.
- Cos’è? Una minaccia?
- No, io non minaccio nessuno, tanto meno gli spettabili giudici come lei.
- Avvocato Carlini, siamo partiti male, molto male. Qui dobbiamo solamente appurare se
qualcuno il 5 aprile del 2010, a Formia, era in possesso di eroina, se l’ha spacciata, se l’ha
consumata, se ha costretto due ragazzi estranei a subire le sue forzature e se ci fossero o
meno un criminale sudamericano e una mamma con il suo bambino. Tutte le altre
circostanze legate alla costituzione di parte civile riguardano un altro processo civile,
quello che intenterete per risarcimento danni nel caso in cui Damiano Pompa sarà
condannato.
- Quello che sta dicendo, signor giudice, può essere usato contro di lei. Vuole che non
conosca i codici di procedura processuale? Vuole che acquisisca agli atti le riprese
televisive di questo processo e faccia causa anche a lei?
- … ahahahahahahahah …. avvocato Carlini, stia al suo posto che è meglio … Avvocato
Salviati, lei ha domande da porre al testimone?
Fu a quel punto che l’avvocato Carlini si aggiustò la toga e provò ad alzare il tono della
voce.
- Signor Giudice, non ho ancora terminato il mio interrogatorio !!! Ho ancora altre
domande da fare!!!
- Prego avvocato Carlini …
Le domande continuarono a essere non pertinenti con l’oggetto del processo ma feci
finta di soprassedere. Del resto non volevo apparire troppo di parte. E’ vero che conoscevo
già tutta la storia di Damiano e le falsità che si abbattevano su di lui, ma decisi di far finta di
niente e tirare avanti. Damiano aveva un avvocato e sarebbe stato lui, eventualmente, a
opporsi alle domande non pertinenti.
- Terminato avvocato Carlini?
- Certo, non ho altre domande. Grazie.
- Avvocato Salviati ha domande da porre al test?
L’avvocato Filippo Salviati si alzò, si avvicinò al microfono e tenendo un foglio in mano
pose la domanda all’ispettore Madonna.
- Lei è residente a Formia, vero?
- Sì, sono residente a Formia.
- Abita in via Garibaldi numero dieci, vero?
- Sì.
- Lei è proprietario dell’immobile in cui abita?
- Sì, perché?
- Il perché non la riguarda. Possiede altre proprietà immobiliari o terreni o fabbricati?
- No, possiedo solo l’appartamento nel quale abito.
- Bene, non ho altre domande.
Un silenzio surreale fece da sfondo a quel piccolo interrogatorio di Salviati. Perché era
importante il luogo di residenza dell’ispettore Madonna? E cosa c’entrava la proprietà
dell’appartamento con il processo di Damiano?
Tutti i presenti si aspettavano un interrogatorio incalzante, uno di quegli interrogatori di
terzo grado che si vedevano in tutti i polizieschi televisivi, che inchiodano gli interrogati alle
loro contraddizioni. Tutti rimanemmo sorpresi di quelle tre domande insignificanti e senza
senso. Più di tutti Damiano, che rimase basito da quelle domande apparentemente prive di
alcun interesse processuale.
Eppure l’avvocato Carlini e il suo staff si erano dannati l’anima per valutare tutte le
domande che Salviati avrebbe potuto porre e tutte le risposte che bisognava dare per non
cadere in contraddizione o dire cose che potevano essere usate contro di loro. I testimoni
sapevano a memoria tutte le domande che gli avrebbero posto e tutte le risposte da dare,
comprese il non ricordo, oppure è passato troppo tempo, oppure ancora mi sembra, mi pare,
se non ricordo male.
- Ispettore Madonna, si tenga a disposizione fuori dall’aula per altre eventuali domande e
faccia entrare il suo collega Percuoco.
Anche Percuoco aveva studiato bene la sua parte e in più aveva assistito fuori dall’aula a
tutta la diretta televisiva dell’interrogatorio del suo collega. Percuoco non aveva la faccia da
sbirro. Penso che avesse scelto la carriera in Polizia solo per lo stipendio e la certezza del
posto di lavoro. Poi, è chiaro, a furia di praticare sbirri, chiunque assume le sembianze da
sbirro, ma Percuoco non fu mosso al mestiere da alcuna vocazione.
A Percuoco l’avvocato Carlini chiese di descrivere lo stato d’animo di Damiano Pompa.
Se durante il blitz di Pasquetta sembrava turbato, ansioso, sospettoso. Se le pupille degli
occhi fossero dilatate, se durante la redazione del verbale provasse una qualche aritmia
cardiaca e altre domande del genere. Prima che io lo redarguissi, l’avvocato Carlini precisò:
- Ispettore Percuoco, lei non ha una laurea in medicina o in neuropsichiatria. Però, diciamo
la verità, lei ogni giorno incontra decine di drogati vero?
- Sì, ne incontro a bizzeffe.
- Quindi sa riconoscere un drogato da eroina da uno da cannabis o da un ubriaco, vero?
- Sì, ne ho visti talmente tanti che li riconosco a chilometri di distanza.
- Bene, non ho altre domande.
Mi rivolsi all’avvocato Salviati per sapere se aveva domande da porre.
- Sì signor Giudice. Ispettore Percuoco, lei che è esperto in facce da drogati, io che faccia
ho? Drogato, alcolizzato, o altro?
Tutti coloro che erano in aula iniziarono a ridere fragorosamente. Lo interruppi.
- Avvocato Salviati non faccia lo spiritoso e si attenga alla solennità di questo processo.
- Scusate Giudice. Vengo subito alla mia domanda. Allora, ispettore Percuoco, lei è
residente a Formia, vero?
- Sì.
- E’ sposato?
- Sì, sono sposato.
- Abita in un appartamento in piazza della Rimembranza, vero?
- Sì.
- Lei è proprietario dell’immobile in cui vive?
- Sì.
- A dire il vero dal catasto risulta che lei è proprietario al 50% con sua moglie.
- Sì, è vero. Ma se lo sa già perché me lo chiede?
- Solo per avere un riscontro. Questo elenco patrimoniale risale a sei mesi fa. Può anche
darsi che in questi sei mesi lei abbia divorziato, oppure abbia acquistato l’intero immobile,
non trova?
- Sì, certo. Ma non capisco cosa c’entra la mia casa con il processo in corso.
- Ispettore Percuoco, lei non è qui per capire, ma solo per rispondere alle domande.
Chiaro? Siamo noi che dobbiamo capire, non lei!!!
Due testimoni e due richieste di conferme delle loro proprietà immobiliari. C’era da
aspettarsi che la stessa domanda l’avrebbe posta anche ai successivi testimoni, ma lo
avremmo scoperto da lì a qualche minuto.
- Bene, ispettore Percuoco, anche lei esca dall’aula e resti a disposizione ancora un po’ di
tempo. Potremmo anche chiamarla per ulteriori domande, ok?
- Va bene.
- Allora esca e chiami i due ragazzi testimoni che stavano con Damiano Pompa il giorno di
Pasquetta.
VALERIO E ARTURO - L’avvocato Salviati si alzò in piedi nella sua postazione e chiese la
parola.
- Giudice, se siamo tutti d’accordo possiamo anche evitare di ascoltare i due ragazzi.
Hanno già messo per iscritto quello che avevano da dire e quindi, per l’economia del
processo, se l’avvocato Carlini è d’accordo, possiamo anche evitare di ascoltarli.
L’avvocato Carlini chiese un paio di minuti di tempo per consultarsi con il suo staff e
decidere della proposta del suo avversario. Gli otto avvocati di Carlini sembravano spiazzati
dalla proposta di Salviati. Tutto il collegio accusatorio temeva le testimonianze di Valerio e
Arturo, sia perché erano amici dell’imputato e sia perché erano gli unici due a non essere
stati addestrati alle domande e alle risposte delle testimonianze. Carlini si aspettava che il
suo collega avversario avesse cercato proprio in Valerio e Arturo la possibilità di ribaltare il
processo, e temeva la possibilità che i due ragazzi fossero stati contattati da Damiano per
testimonianze blande e contraddittorie. C’era puzza di bruciato in quell’aula di tribunale e
Carlini iniziava a sentirne l’olezzo maleodorante.
- Va bene - rispose Carlini dopo cinque minuti - saltiamo gli interrogatori dei due ragazzi e
procediamo oltre.
Anche Valerio e Arturo stavano assistendo al processo fuori dall’aula di tribunale su un
computer portatile. Anche loro rimasero come interdetti dalla proposta di Salviati. Ma
come? Invece di approfittare della situazione, di ascoltarli nella speranza di qualche ancora
di salvataggio, quello rinunciava a due testimonianze di sicuro interesse?
In quell’aula eravamo almeno duecento persone, ma solo una, Filippo Salviati, sapeva
come sarebbe andata a finire. Lui aveva visto quei due luccichii al porticciolo romano di
Gianola due giorni prima e sapeva che utilizzo ne avrebbe fatto. Evidentemente le
testimonianze di Valerio e Arturo erano ininfluenti al fine del giudizio finale.
L’avvocato Carlini era contento per lo scampato pericolo al quale sarebbe incappato con
le testimonianze dei due amici di Damiano, anche se, però, non riusciva a capire bene come
Salviati glielo avrebbe messo a quel posto. Un processo da quattro soldi, con una sicura
sentenza favorevole, con parcelle che neanche Berlusconi pagava, con tutti gli elementi che
deponevano a suo favore, eppure sentiva che poteva perdere la causa.
Carlini aveva bisogno di rimettere a posto le idee. Iniziava a sudare freddo.
L’avvocatuncolo di provincia si comportava in modo difforme dal previsto. Non rispettava il
copione che Carlini si aspettava che seguisse. Cosa c’entrano i beni patrimoniali dei
testimoni? perché aveva in mano una copia dell’elenco di tutti gli immobili, terreni e
fabbricati dei testimoni? qual’era la sua strategia?
Per la prima volta Carlini si sentiva in difficoltà. Difficoltà che non aveva preventivato.
- Signor giudice, - disse Carlini - visto che si è fatta l’ora di pranzo, propongo una pausa di
una mezz’oretta per mangiare qualcosa.
- No. E’ ancora presto. Sentiamo un altro testimone e poi ci fermiamo.
LA MAMMA CORAGGIO - Il P.M. fece un breve resoconto della vicenda della mamma
coraggio e del figlio sotto shock, sempre secondo quanto allegato agli atti del processo.
Prese atto che la richiesta di costituzione di parte civile da parte della signora era già stata
accolta dal giudice che aveva seguito la fase istruttoria prima di me, puntualizzando che la
signora era anche indicata come testimone del processo di Damiano. Chiese cortesemente
alla mamma coraggio di raccontare quanto avvenuto quel giorno di Pasquetta al porticciolo
romano di Gianola, lasciando al neuropsichiatra tutte le valutazioni mediche del caso.
Il giorno di Pasquetta al porticciolo romano di Gianola non c’era alcuna mamma
coraggio, alcuna donna, alcun bambino e nessun altro oltre i tre ragazzi e i due ispettori di
Polizia. Tuttavia l’attricetta scritturata da Carlini narrò minuziosamente tutti i particolari del
luogo e delle circostanze, come se effettivamente fosse stata presente. Era una discreta
attrice che sapeva anche commuoversi e commuovere chi la ascoltava. Anche la mimica
facciale e quella corporea assecondavano perfettamente una recitazione melodrammatica di
mediocre fattura.
Dopo il P.M. toccò all’avvocato Carlini.
- Buongiorno signora - disse Carlini con un sorriso sdrammatizzante - Come sta?
- Bene grazie.
- E suo figlio.
La donna riabbassò lo sguardo con un chiaro automatismo recitativo e sospirò a pieni
polmoni.
- E’ ancora un po’ giù.
- Le faccio solo qualche domanda, perché immagino che rimestare nella memoria può solo
far male a chi ha assistito alla vicenda.
- Grazie avvocato.
- Fu veramente agghiacciante la scena alla quale assistette suo figlio?
- Sì, non solo per i bambini ma anche per noi adulti.
- Aveva mai assistito a scene come quella dell’iniezione di eroina in pubblico?
- No. Mai. Né io né mio figlio.
- Perché la scena era agghiacciante?
- Perché dai volti dei tre giovani traspariva dolore e sofferenza. Avevano gli occhi a palla e
urlavano con striduli acuti.
- Prima che glielo chieda l’avvocato della difesa, glielo chiedo io … perché non ha preso il
figlio e non è andata immediatamente via da quel posto?
La donna finse di pensare e di essere indecisa, ma in realtà quella domanda era già stata
concordata con lo staff di Carlini.
- Perché … non so … effettivamente io provai ad andare via … ma lui era avvinghiato a un
tubo di ferro vicino al braccio del porto ed era come ipnotizzato … con la bocca aperta …
con gli occhi spalancati … senza dire niente, come se avesse perso la parola … era come
paralizzato … ci vollero più di dieci minuti per distoglierlo da quella scena …
- Grazie signora … va bene così …
L’avvocato Filippo Salviati prese due fogli, si alzò e ricominciò la sua tiritera.
- Signora, lei abita a Terracina, vero?
- Sì.
- La casa in cui abita non è di sua proprietà, vero?
- Sì, sono in affitto.
- Lei non è proprietaria di alcun immobile, terreno o fabbricato?
- Esatto. Sono nullatenente.
- Bene. Lei lavora come cuoca in un ristorante di Gaeta?
- Sì.
- Ha debiti con qualche banca o società finanziaria?
- No.
- Grazie. Per me può andare.
In aula c’era l’aria condizionata a palla ma l’avvocato Carlini sudava in modo
inconsulto. Non era un deficiente e sapeva che le domande di Salviati avevano un fine ben
preciso. Un fine che gli sfuggiva.
Personalmente decisi di non porre alcuna domanda. Quella sceneggiata dei testimoni
falsi mi stava disgustando. Al punto da non avere neanche fame. Mantenni tuttavia la
promessa fatta all’avvocato Carlini di sospendere il processo per mezz’ora. Ne avrei
approfittato per un caffè e una puntatina in toilette.
L’INTERVALLO - La pausa fu burrascosa nella fazione di Carlini. Nell’aula che
utilizzarono per rifocillarsi, le urla si udirono fin nei corridoi.
- Voglio sapere quello stronzetto cosa ha in testa …. E voglio saperlo entro pochi minuti,
capito???!!!! … pensate, riflettete, ma trovate la soluzione … lo capite o no che quello ce lo
sta mettendo in culo? contattate tutti gli studi legali d’Italia con i quali collaboriamo,
raccontategli tutto e vedete di ottenere il massimo numero di risposte … se perdiamo questo
processo è la fine per tutti …
Qualche collaboratore provò a dare risposte approssimative, piene di sembra e forse. Ma
Carlini voleva sapere a tutti i costi cosa Salviati avesse in mente. Secondo i loro piani
avrebbe dovuto mettere sotto torchio i testimoni, cercare di farli cadere in contraddizione,
ascoltare Valerio e Arturo che erano gli unici che potevano salvarlo. E invece quello se ne
usciva con le proprietà immobiliari dei testimoni, con i debiti bancari della mamma
coraggio e con questioni che non erano state contemplate. Insomma, un processo che poteva
essere chiuso con estrema facilità, rischiava di trasformarsi in un processo dall’esito incerto,
con tutte le conseguenze d’immagine che lo studio legale Carlini avrebbe potuto patire.
- Quello ce lo sta mettendo in culo e noi navighiamo nel buio … porca puttana … ma chi
cazzo è questo avvocatuncolo da quattro soldi? È sicuro che è il suo primo processo?
Tutti confermarono che Salviati era al suo primo processo.
- Fate delle ricerche, trovate più informazioni su questo cazzo di Salviati. Voglio tutti i dati
prima della mia arringa. Voglio vedere se ha qualche nervo scoperto, qualche scheletro
nell’armadio, qualche zoccola sotto il letto. Chiamate i nostri collaboratori delle procure di
Napoli e Caserta e cercate di scoprire tutto su questo maledetto Salviati. Subitooooooo!!!!!!
Anche i collaboratori di Carlini sudavano freddo. Corsero fuori i corridoi, tutti con i
telefoni cellulari all’orecchio in cerca dei più importanti e bravi colleghi di Carlini. In pochi
minuti dovevano raccontare gli antefatti e trarre più informazioni possibili. Tutti i
collaboratori sapevano che la diretta televisiva e le attenzioni dei media avrebbero
determinato il più grande sputtanamento della storia dei tribunali italiani. Si sarebbe detto
che il grande studio legale Carlini perdeva un processo contro un avvocato alla sua prima
esperienza. Un processo che Carlini non poteva perdere.
Strano a dirsi ma anche Damiano sudava freddo. In quello scontro di alta ingegneria
giurisprudenziale lui non ci capiva un cazzo. Sapeva solo che l’unico a rischiare il carcere
era lui e prima di rientrare in aula pretese di sapere da Filippo qual’era la strategia difensiva.
Non poteva più restarne all’oscuro, valeva il suo futuro.
- Voglio sapere tutto - disse Damiano - e lo voglio sapere ora. Io non ci sto a capi’ un cazzo
e qui l’unico che rischia il culo sono io. Quindi voglio sapere per filo e per segno come
pensi di salvarmi la vita. Cazzo!!!
- Se io ti dico tutto, succede che poi tu cambi aspetto.
- Cioè?
- Per la buona riuscita del processo tu devi apparire turbato e isterico fino all’ultimo
minuto, altrimenti perdiamo.
- Cazzo!!! E se perdiamo? E se io avrei potuto aiutarti e non ho potuto farlo perché tu non
mi dici un cazzo?
- Ma non è vero … tu mi stai aiutando eccome !!! Devi solamente restare teso e nervoso
come stai in questo momento.
- Non ce la faccio più … sto scoppiando di brutto …
- Ma tu devi avere fiducia in me!
- Non posso. Io sto per finire in galera e non posso stare né tranquillo né fiducioso. E poi
come faccio ad avere fiducia in te. Solo un paio d’ore fa ho saputo che questo è il tuo primo
processo. Perché non me lo hai detto prima? Magari ti avrei affiancato a qualche avvocato
più esperto nelle procedure. O no?
- Ancora con questa storia?? Tu vincerai la causa con la formula “perché il fatto non
sussiste” e da stasera sarai libero e innocente. Credi in me.
- Ma l’hai visto Carlini? Lui è sicuro, fa le domande ai testimoni. Tu niente. Non apri
bocca, non contesti le falsità. Chiedi solo dove abitano. Che cazzo ce ne frega a noi di dove
abitano quei rottinculo pagati da Pappagogna? E poi vuoi dirmi a che cazzo servono quelle
due valigie che mi hai fatto portare?
Continuarono a discutere animatamente per altri cinque minuti. Damiano arrivò a
minacciare di togliergli il mandato legale durante il processo e chiedere la rappresentanza di
un legale d’ufficio. Non ci stava a perdere da coglione, con un avvocato che non sapeva fare
il suo mestiere.

Allora facciamo così. Tagliamo la testa al toro. Se putacaso tu dovessi perdere il
processo, io mi tirerò in disparte e tu sceglierai liberamente senza alcun vincolo il tuo
nuovo avvocato per l’appello? Ok?
IL MEDICO NEUROPSICHIATRA - L’udienza riprese alle 13,45 nell’aula affollatissima
di curiosi, giornalisti e fotografi. I lavori sarebbero proseguiti con l’ultima testimonianza del
medico neuropsichiatra e con le deposizioni spontanee degli attori della costituzione di parte
civile.
- Buongiorno dottore - dissi io. - Quindi lei è il famoso dottore che ha preso in cura il
ragazzo sotto shock?
- Si, sono io.
- Senta, e oggi come sta il bambino?
- Soffre di varie patologie di natura psichiatrica. Negli allegati al processo c’è la mia
relazione medico legale con la prognosi medica che ho redatto nei giorni scorsi. Il bambino
sta male e ci vorrà ancora un po’ di tempo prima che si riprenda.
- Bene. Cancelliere, mi passi la relazione del medico legale e vediamola un po’.
Rilessi quella marea di menzogne che il medico aveva scritto prima del processo. In
realtà esisteva un bambino sotto shock per motivi psichiatrici ed effettivamente risultarono
ricoveri, diagnosi e terapie. Ma quel bambino descritto nella relazione non era mai stato in
vita sua al porticciolo romano di Gianola. Era semplicemente un disgraziato che i consulenti
del sindaco trovarono in una clinica di Latina, dove era ricoverato già da tempo, e che
soffriva effettivamente di tutte le turbe denunciate dalla madre. Alla finta mamma coraggio
fu offerto il pagamento di tutte le prestazioni sanitarie in cambio di una testimonianza in
tribunale e il medico neuropsichiatra era complice e correo di tutta la situazione. A lui, al
medico, venne offerto il pagamento di tutte le parcelle e anche dieci consulenze medico
legali che Carlini gli avrebbe procacciato nelle future settimane, per un importo non
inferiore ai trentamila euro.
- Dottore, lei nella relazione non ha dubbi nel definire il principio di causa effetto.
Conferma?
- Sì, giudice, non ho dubbi.
- E queste turbe non potevano derivare da altre cause? Che so io, un film dell’horror visto
in televisione, ad esempio.
- Sì, anche alcuni film possono incidere profondamente sulla psicologia di un bambino di
otto anni, ma escludo che il caso in questione possa avere questa origine. Svolgo il mio
lavoro da oltre venti anni, sono primario di neuropsichiatria infantile, e posso assicurarle
che i sintomi che ho riscontrato nel fanciullo sono riconducibili essenzialmente alla visione
di un uomo intento a drogarsi con l’eroina. E nella relazione che ha davanti troverà tutte le
indicazioni che serviranno a decidere in merito alla richiesta dei danni che la madre
proporrà in corso di causa civile.
Finsi di leggere con attenzione la relazione del medico, ma in realtà non capivo nulla di
quanto scritto.
- Grazie dottore, avvocato Carlini … qualche domanda da porre?
- Certo, però prima vorrei allegare agli atti del processo un certificato di un altro medico
neuropsichiatra di Bologna che accerta le stesse circostanze denunciate dal dottore del
bambino. Se non ci sono eccezioni potrei avvicinarmi e consegnargliela.
- Avvocato, ma lei sa meglio di me che tutti gli elementi di prova e di riscontri devono essere
consegnati venti giorni prima del processo!!!
- Certo che lo so. Infatti ho premesso che la consegna sarebbe avvenuta se non ci fossero
state eccezioni.
- Avvocato Salviati, lei si oppone alla consegna fuori tempo massimo di nuovi e ulteriori
elementi di prova e di riscontri?
- Non ci penso proprio. Nessuna eccezione. Solo che gentilmente vorrei una copia con gli
estremi del medico che ha scritto questa relazione. Tutto qui.
- Lei quindi non si oppone.
- Esatto. Non mi oppongo.
Damiano stava scoppiando dalla rabbia. Ma come? puoi opporti e non lo fai? una volta
tanto che avresti ragione, ti tiri indietro? Sembrava incazzato come una bestia, ma del resto
era proprio quello che il suo avvocato voleva. Per la vittoria finale era necessario che
Damiano fosse visibilmente scosso. E lo era. Infatti la telecamera delle riprese televisive ora
indugiava spesso sul viso di Damiano, con primi piani di ottima qualità.
Anche Carlini non era tranquillo. Si aspettava, secondo una procedura consolidata, che
Salviati si opponesse alla consegna di quel documento, che sbraitasse, che inveisse contro di
lui. Invece niente. Non voleva neanche una copia della relazione, ma solo gli estremi di
identità del medico di Bologna. Cosa doveva farsene dell’indirizzo di quel medico? perché
gli interessava tanto conoscere le sue generalità e non cosa avesse scritto. Carlini sapeva che
stava perdendo la causa, ma per la prima volta in vita sua era completamente spiazzato. Non
conoscere la strategia del suo avversario lo poneva in una condizione di estrema difficoltà.
- Avvocato Salviati, ha domande da porre al testimone.
- Sì, la solita. Dottore lei abita a Latina, vero?
- Sì.
- Lei possiede un appartamento a Latina, uno a san Felice Circeo e anche lo studio di
ambulatorio è di sua proprietà, vero?
- Sì.
- Possiede anche una percentuale di proprietà in un casale ad Aosta, conferma?
- Sì, confermo.
- Grazie, non ho altre domande.
Subito dopo il glaciale e riflessivo avvocato Carlini sbottò.
- Giudice facciamola finita con questa messa in scena. L’avvocato Salviati deve dirci il
perché di queste sue domande. Per me e per l’accusa queste domande non sono pertinenti, a
meno che non si spieghino le ragioni delle stesse. Qui si sta superando ogni limite di
correttezza tra colleghi di lavoro. Non si può chiedere a ogni testimone il suo stato
patrimoniale e poi non dire il perché si pone questa domanda. Lei, giudice, deve porre fine
a questa buffonata e ripristinare un clima corretto di procedure processuali!!!
- Avvocato Carlini, sono sicuro che prima di stasera l’avvocato Salviati ci chiarirà la sua
linea difensiva. Vero avvocato Salviati?
- Ma certo. Se pongo queste domande qualche ragione ci sarà. Al termine del processo
svelerò il mio intendimento, ma non prima di aver concluso tutte le deposizioni. Dico
all’avvocato Carlini di stare tranquillo. Non sto violando alcun principio di correttezza
deontologica. A lui, - disse Salviati con sorriso beffardo - del resto, non ho mica chiesto
dove abita e quanti appartamenti ha.
Per la prima volta dall’inizio del processo Damiano sembrò cambiare espressione del
viso. Ascoltò con molta attenzione in battibecco tra Carlini e Salviati, e notare che il primo
era incazzato come una bestia, lo iniziava a tranquillizzare. Fu proprio Damiano, qualche
mese prima, a scegliere Salviati proprio perché aveva una faccia da puttana, ma talmente da
puttana che avrebbe fatto nero chiunque si fosse azzardato a mettersi di traverso. Gli venne
in mente lo scontro con i due ispettori quando cercarono di arrestare il clochard Renato in
piazza Mussolini, oppure quando si trovò a discutere con la segreteria della cancelleria. E
ora c’era l’avvocato Carlini in preda alle peggiori convulsioni isteriche che parlottava con i
componenti del suo staff con fare nervoso e concitato. Forse la strategia processuale di
Salviati prevedeva qualcos’altro oltre alla conoscenza diretta dello stato patrimoniale dei
testimoni.
PAPPAGONA E L’ASSESSORE ALLE POLITICHE GIOVANILI - Terminate le prove
testimoniali diedi l’avvio per l’ascolto delle deposizioni spontanee dei rappresentanti degli enti e
delle associazioni che avevano chiesto e ottenuto di costituirsi parte civile nel processo. Feci
entrare in aula il sindaco di Formia Carmine Pappagogna, e lo feci accomodare alla postazione
riservata ai testimoni.
- Signor Pappagogna, si accomodi.
- Grazie.
- Lei è qui per deporre spontaneamente nel processo contro Damiano Pompa?
- Sì.
- Prego.
- Allora innanzitutto grazie per avermi invitato e ….
- Signor Pappagogna, nessuno l’ha invitata. E’ lei che ha chiesto di essere sentito. Noi
siamo qui per ascoltarla.
- Ah scusi, vostra eccellenza.
- Vostra eccellenza. Chi è vostra eccellenza?
- Non so … è lei … forse ….
- Mi chiami signor giudice. E’ più che sufficiente.
- Ah, vabbè. Allora, io sono qui perché è giusto stare contro la droga e io infatti sto aprendo
un centro a Formia che poi ci metto la riabilitazione dei cosi … dei drogati perché Formia
non può …
- Signor Carmine Pappagogna, meglio che la interrompo ora così ci risparmiamo un sacco
di tempo. Allora, lei è qui perché ha chiesto e ottenuto di costituirsi parte civile nel
processo. Giusto?
- Chi?
- Lei.
- Lei io?
- Sì, lei lei.
- Ah.
- Bene, allora lei dovrebbe gentilmente elencare i danni che la città avrebbe eventualmente
subito dal comportamento di Damiano Pompa, e nella successiva udienza, nella quale si
discuterà del risarcimento danni, lei o il suo avvocato chiederete la cifra di risarcimento
che secondo voi è più congrua. Va bene?
- Chi?
- Lei.
- Ah. Quindi oggi non posso parlare.
- Certo che può parlare. Mi dovrebbe gentilmente elencare i danni di immagine che secondo
lei la città ha subito in questi ultimi tempi.
L’avvocato Salviati mi chiese di intervenire.
- Signor Giudice, io lascerei parlare il sindaco Carmine Pappagogna per ascoltare quello
che ha da dirci. Poi eventualmente gli avvocati utilizzeranno quelle parti discorsive che
riterranno utili alle proprie requisitorie. Altrimenti qui non ne usciamo più.
Pappagogna era in palla. Con lo sguardo cercava l’avvocato Carlini che proprio per la
figura di merda che gli stava facendo fare, finse di non conoscerlo. Anche l’avvocato Carlini
era in palla, perché Pappagogna gli stava mandando a puttane tutto il ricorso di costituzione
di parte civile per il quale era stato delegato. Nella deposizione spontanea, il sindaco elencò
le opere pubbliche stradali che aveva messo in cantiere, i tanti meriti della sua
amministrazione comunale e la volontà politica di ripulire la città da barboni, negri,
mendicanti e comunisti, cioè dai drogati. Tutte circostanze che nulla avevano a che fare con
l’oggetto del processo ma che per lui avevano una rilevanza particolare. La deposizione di
appena cinque minuti fu un' incredibile guerra contro la grammatica italiana e la sintassi.
Una guerra spietata, vinta da Pappagogna, a suon di inutili intercalare e di distruzioni di
congiuntivi e condizionali. La platea rideva e rumoreggiava e io non feci nulla per sedare
quel chiacchiericcio che faceva da sottofondo all’intervento del sindaco.
Subito dopo Carlini cercò di metterci una pezza, chiedendo e ottenendo, con il permesso
straordinario di Salviati, di interrogare il depositante. Carlini elencò tutti i dati statistici ed
economici degli ultimi due anni evidenziando con numeri alla mano che tutti i settori
turistici avevano subito uno spaventoso tracollo. Riuscì a far dire a Pappagogna che quel
crollo era imputabile alla nomea che la città si era fatta perché piena di drogati, assassini e
narcotrafficanti, che tutta la colpa era di quelli come Damiano che con il loro modo di
comportarsi facevano scappare i turisti dalla città.
Infine, visto che Pappagogna se ne era dimenticato, Carlini gli chiese se era vera la storia
delle dimissioni in caso di vittoria processuale di Damiano e lui, che s’era studiato bene la
parte a casa, giurò solennemente, seppur non richiesto, che non sarebbe rimasto un minuto
di più alla guida di un comune dove i drogati possono girare indisturbati per le strade.
In genere non era consentito agli avvocati di interrogare coloro che rilasciavano
dichiarazioni spontanee, ma l’avvocato Filippo Salviati, nonostante potesse opporsi, non
oppose alcun diniego a ché Pappagogna fosse interrogato. Se si fosse opposto,
probabilmente la costituzione di parte civile da parte del Comune di Formia sarebbe stata
tragicamente affossata. Salviati, insomma, acconsentiva a tutte le deroghe che Carlini gli
chiedeva, sembrando più vicino all’accusa che alla difesa del suo assistito.
Subito dopo, ovviamente, anche Salviati chiese di interrogare Pappagogna, e Carlini non
poté opporsi.
- Buongiorno sindaco, anche a lei porrò la stessa domanda che ho posto a coloro che
l’hanno preceduta.
- Cioè? Anche da me vuole sapere dove abito e tutte quelle cose lì?
- Signor Pappagona, come fa a sapere che ai testimoni io ho chiesto dove abitano e tutte
quelle cose lì? Lei non era fuori dall’aula fino a dieci minuti fa? Come fa a sapere tutte
queste cose?
- No, è che io stavo fuori e dal computer vedevo tutto.
Carlini lo fulminò con lo sguardo.
Io ridevo divertito dentro di me. Salviati proseguì il suo interrogatorio come se nulla
fosse.
- Bene sindaco. Allora, dai documenti catastali in mio possesso risulta che lei abita in un
deposito agricolo di venticinque metri quadrati. Conferma?
Non poteva confermare. Lui viveva in una splendida villa di trecento metri quadrati in
collina costruita approfittando di una legge urbanistica che prevedeva la possibilità di
trasformare i depositi agricoli in abitazioni residenziali, senza però mutare la superficie
totale dell’immobile. Teoricamente Pappagogna abitava in una casetta di venticinque metri
quadrati, risparmiando così su tutti i tributi comunali e sul fisco. Ma lui non poteva
ammettere di non aver ancora provveduto all’accatastamento dell’immobile. Sarebbe stata
un' ammissione di colpevolezza. Tuttavia, pur di non fare la figura del miserabile, ammise di
vivere in un villone panoramico in collina. Rispose con indifferenza, dichiarando
spudoratamente che lo stesso villone gli era stato valutato oltre settecento mila euro
nonostante al fisco, agli uffici tributari e al catasto, risultasse ben più piccolo!
- Bene sindaco, quindi lei dichiara di vivere a Formia in via delle Pietre Bianche numero
58?
- Sì, confermo.
- Lei è anche proprietario di sette appartamenti nella lottizzazione Donnafresca srl. Vero?
- Sì, è vero. Ma li sto vendendo.
- Beh, con lo stipendio da sindaco di tremila euro mese, devo dire che lei fa molte economie,
vero?
- Le domande non sono pertinenti - disse l’avvocato Carlini -. Si ricorda che il signor
Pappagogna è qui in veste di rappresentante legale del Comune di Formia per la
costituzione di parte civile, e non in qualità di potenziale trasgressore di norme
urbanistiche. Chiedo a Pappagogna di non rispondere alle successive domande
dell’avvocato Salviati.
- Pappagogna può andare, e faccia entrare l’assessore alle Politiche Giovanili - dissi io con
un’aria molto stanca e rassegnata.
- Assessore, allora, ci dica. Lei rappresenta il Comune di Formia per la costituzione di
parte civile nel processo contro Damiano, giusto?
- Sì.
- Lei ha chiesto di essere ascoltato con dichiarazione spontanea, giusto?
- Sì.
- Bene, le concedo cinque minuti di tempo. Sia coinciso ed essenziale, possibilmente.
L’assessore alle Politiche Giovanili del Comune di Formia argomentò con molta
disinvoltura i reali motivi della deposizione. Aveva partecipato a tutte le fasi di
addestramento predisposte dallo studio Carlini, e quindi conosceva a memoria la parte che
avrebbe dovuto recitare. Sembrava una interrogazione delle scuole medie su Giacomo
Leopardi. Ripeteva la lezioncina impartita qualche ora prima ed esponeva il suo pensiero
con una credibilità pari a zero. Fece comunque una bella figura, tanto che l’avvocato Carlini
si ritenne soddisfatto della deposizione. Elencò tutti gli indici statici relativi al crollo del
turismo e delle imprese a esso collegato, snocciolando dati e numeri di una crisi economica
che nulla aveva a che fare con Damiano. Elencò i dati di differenziale con gli anni
precedenti, rimarcando gli aspetti negativi dei dati economici di alberghi, pensioni, ristorati,
bar e stabilimenti balneari. Secondo lui i turisti non venivano più a Formia perché si era
sparsa la voce che era piena di drogati che giravano impunemente per la città.
Anche all’assessore di Pappagogna toccò la stessa sorte dei precedenti. L’avvocato
Salviati non lo risparmiò.
- Assessore, lei abita ancora con i genitori, vero?
- Sì, vivo con mio padre e mia madre.
- Però lei è proprietario di un immobile dove insiste una palestra. Vero?
- Sì.
- E’ in via Garibaldi numero 12, vero?
- Sì.
- Di quanti metri quadrati è?
- Circa duecentocinquanta metri quadrati.
- E’ accatastato. Risulta anche dai miei riscontri. Non possiede niente altro oppure ha altri
immobili, fabbricati o terreni?
- No, non ho niente altro. Ma perché mi fa queste domande?
Già, perché? Ma soprattutto perché Salviati non si era opposto all’interrogatorio di
Carlini a Pappagogna. Se lo avesse fatto, la deposizione del sindaco di Formia sarebbe stata
assolutamente inutile. Aver concesso a Carlini di porre domande gli consentiva di aggiustare
la deposizione e utilizzarla in tutti i gradi del processo. E sarebbe risultata vana anche la
deposizione dell’assessore. Invece, ancora una volta, quel comportamento misterioso di
Salviati, che apparentemente favoriva l’accusa, fece crollare l’avvocato Carlini.
C’era bisogno di un’altra pausa di almeno mezz’ora per fare il punto della situazione con
il suo staff, e Carlini fece di tutto per convincermi. Addusse anche motivazioni fisiologiche
pur di staccare la spina per qualche minuto per sentirsi in privato con i suoi collaboratori.
Alla fine l’insistenza prevalse sulla mia pazienza e alle 15,10 sospesi il processo per
massimo mezz’ora. Del resto mancavano solamente la requisitoria finale del Pubblico
Ministero e le due arringhe di Carlini e Salviati. C’era tutto il tempo per chiudere il processo
entro il fine pomeriggio.
L’ULTIMA PAUSA DEL PROCESSO - Carlini si sedette a capo del tavolo della stanza
riservata agli avvocati e iniziò la riunione con i suoi collaboratori.
- Allora, proviamo a tirare le fila di questa giornata. Quel pezzo di merda di Salviati è
troppo sicuro di sé, e questa cosa mi mette addosso una certa inquietudine. A tutti quelli che
parlano gli chiede di confermare lo stato patrimoniale, che apparentemente non c’entra
nulla con il processo. Avrebbe potuto opporsi al mio interrogatorio con Pappagogna e
rendere vana la sua deposizione, invece niente. Avrebbe potuto opporsi in almeno un’altra
decina di circostanze, e non l' ha fatto. O è un idiota che non conosce le norme di procedura
dei processi, e io non ci credo, oppure ha in testa qualcosa che noi non sappiamo, e questo
ci pone in enorme svantaggio. Lui sarà l’ultimo a parlare, e questo è ciò che dice la legge, e
lui la legge la conosce bene. In questo modo nessuno di noi potrà replicare ai motivi che lo
stanno inducendo a chiedere i redditi e i patrimoni di tutti quanti.
Carlini aveva il viso contratto e gli occhi ben sgranati su tutto l’uditorio. Era
apparentemente calmo ma non rassegnato. Se avesse saputo prima cosa Salviati aveva in
testa, lo avrebbe distrutto.
Lui era uno dei migliori avvocati d’Italia, ma il fatto che
l’avversario giocasse a carte coperte lo irritava.
- L’avvocato Salviati conosce tutta la mia strategia. Sa che punto tutto sulle prove
testimoniali, e che la sola testimonianza dell’ispettore Madonna sarebbe stata più che
sufficiente per sbattere in galera chiunque. Lui, quella faccia di cazzo di Salviati, conosce in
anticipo ogni mia mossa, come è normale che sia, e sta continuando a giocare con i
testimoni e con la pubblica accusa come se fossimo una massa di cretini. Quindi, datemi
qualche indicazione prima di tornare in aula, altrimenti qui finite tutti in mezzo a una
strada.
Coloro che furono incaricati di scovare eventuali scheletri nell’armadio di Salviati,
ammisero che su di lui non c’era neanche una multa per divieto di sosta. Salviati era lindo e
immacolato come un lenzuolo bianco appena uscito dalla lavatrice. Su di lui non pendeva
nessuna accusa, nessun reato e nessun motivo di rivalsa personale. Salviati era il cittadino
esemplare per antonomasia. Fecero ricerche anche su come riuscì a vincere il concorso per
ricercatore a Perugia, ma anche in quel caso dovettero ammettere che con quel curriculum
Salviati avrebbe ottenuto cattedre universitarie in tutta Italia. Provarono anche a fare
ricerche sui comportamenti etici dei genitori, ma fu vano. Due genitori esemplari con vite al
di fuori di ogni sospetto.
Carlini non ce la faceva più. Aveva in tasca un’ultima carta e se la sarebbe giocata
appena rientrato in aula.
L’avvocato Filippo Salviati e Damiano Pompa invece trascorsero la mezz’ora di pausa di
fronte il tribunale. Bevvero due caffè e si sedettero al tavolino vicino la vetrata, da dove
potevano tranquillamente osservare l’ingresso del tribunale. Parlarono del gran caldo di
quella giornata e dell’estate che ancora tardava ad andarsene.
- Domani vorrei proprio andare al mare - disse Damiano con fare ironico. - Sempre
ammesso che stasera non vada a finire in galera.
- Domani potrai liberamente andare al mare. Stasera, né mai, sarai arrestato e sarai un
uomo libero e incensurato.
- Fili’, ma come fai a esserne così sicuro. Non hai spiaccicato una sola parola a mio favore
e pensi di vincere la causa?
- La causa non l‘hai ancora persa. Riusciremo a vincere solamente se durante la mia
arringa finale riuscirò a essere calmo e impassibile. Devo tenere i nervi saldi e non farmi
trascinare in battibecchi. Dovrò riuscire a essere credibile fino in fondo, altrimenti
potremmo rischiare di mandare tutto a puttane. Tra un’ora toccherà a me e alla prima
arringa difensiva della mia carriera. Se tu resterai fermo la tuo posto e io riuscirò a
conservare i nervi di ghiaccio, e a tutti quelli la dentro gli spaccheremo il culo.
- Ma tu hai sempre avuto i nervi di ghiaccio. Ti ho conosciuto che ti stavi incaprettando due
ispettori di Polizia e ora temi di perdere i nervi. Perché?
- Perché dovrò mentire sapendo di dover mentire. E qualcuno là dentro saprà che sto
mentendo. Ma ci sarà anche chi mi crederà, e dovrò far leva proprio tra coloro che
crederanno alla mia storia.
- Mentire? In che senso?
- Vuoi vincere il processo?
- E certo che lo voglio vincere.
- E allora dobbiamo mentire. Sia io che te.
- E il giudice ci crederà?
- No, non ci crederà. Il giudice non è un cretino, ma non potrà fare a meno di adeguarsi alle
circostanze.
- Sei sicuro?
- No, ma è l’unica possibilità che hai di essere assolto “perché il fatto non sussiste.”
- Cioè?
- Sarai assolto perché il 5 dicembre 2010, giornata di Pasquetta, al porticciolo romano di
Gianola non c’erano alcune mamme coraggio, alcun bambino, alcun narcotrafficante, e che
tu, Valerio e Arturo eravate soli. Ricordi che ti raccontai di due luccichii che intravidi due
giorni fa? Beh, quelle due folgorazioni mi sono servite per giungere alle mie conclusioni. Se
riusciremo a vincere questo cazzo di processo lo dobbiamo solamente al tenente Colombo.
- Tenente Colombo? Che cazzo c’azzecca il tenente Colombo?
- ahahahahah e lui che mi ha insegnato a non sottovalutare nessun particolare
investigativo. Se quel sopralluogo lo avessimo fatto tre mesi prima, forse ci saremmo
risparmiati un sacco di tempo inutile sprecato su ricerche giurisprudenziali e dottrinali.
Io invece, il giudice Sorrentino, più sommessamente, trascorsi quella mezz’ora di pausa
a rileggermi le carte processuali cercando di capire in anticipo quello che Salviati aveva in
mente. E forse forse avevo capito perché chiedeva a tutti i dati patrimoniali.
LA RIPRESA DEL PROCESSO - Sia l’avvocato Salviati che Carlini mi chiesero la parola
appena rientrati in aula. Diedi la parola alla difesa come è giusto che sia.
- Giudice, vorrei ascoltare anche la giornalista di Formia Oggi che ha seguito la cronaca
locale di questi ultimi due anni. Vorrei porre anche a lei un paio di domande che ho posto ai
testimoni e ai rappresentanti della costituzione di parte civile.
- Va bene - risposi. Guardia, faccia entrare la giornalista di Formia Oggi.
La giornalista era già in aula per rendicontare la cronaca del processo. Anche lei era
nell’elenco dei testimoni forniti dalla pubblica accusa, e quindi sarebbe dovuta uscire a
inizio udienza. Ma non lo fece. Per Salviati non c’erano problemi.
- Signora buongiorno, come va? - chiese l’avvocato Salviati come se avessi voluto metterla
a proprio agio.
- Bene grazie, ma non credo che lei abbia chiesto di ascoltarmi per conoscere il mio sto di
salute.
- E perché no! Io auguro a tutti buona salute.
- E allora diciamo che l’augurio finora è servito a farmi stare bene.
- Bene. Allora, lei abita in via Angelini numero 14, vero?
- Certo, abito proprio all’indirizzo che lei ha sulle sue carte.
- Grazie. L’immobile è di sua proprietà?
- Non del tutto. Sto ancora pagando il mutuo.
- Peccato …
- Vuole aiutarmi lei a terminare di pagare il mutuo?
- No no … ognuno si faccia i mutui suoi. Senta, e quanto le resta ancora da pagare?
- Otto anni.
- Ma l’immobile è a garanzia del mutuo oppure ci sono altre garanzie.
L’avvocato Carlini interruppe quella specie di accertamento bancario. Anche il Pubblico
Ministero, questa volta, ebbe da ridire, e fu lui a chiedere la giudice di porre fine alla
sceneggiata.
- Giudice, o l’avvocato Salviati ci spiega i motivi della sua domanda o la smetta con questi
interrogatori senza senso.
- Giudice, non ho altre domande per la giornalista. La ringrazio per la disponibilità che
finora mi ha accordato. Non ho altre domande neanche per gli altri testimoni. Penso che sia
l’avvocato Carlini che io abbiamo tutti gli elementi necessari per la nostra arringa finale.
Fu a quel punto che l’avvocato Carlini tentò di giocarsi il jolly, ovvero della mossa a
sorpresa sulla quale puntava.
- Considerato che la difesa del suo assistito è apparsa alquanto originale, io le chiederei,
signor giudice, di cedere la precedenza dell’arringa finale a Salviati e di lasciare a me le
conclusioni finali. Se siamo tutti d’accordo questa deroga al procedimento può essere
accolta. Del resto, fino a questo momento, Salviati ha accolto tutte le mie richieste, e quindi
se siamo d’accordo, possiamo procedere con l’inversione delle arringhe finali.
Filippo Salviati sbottò in una crassa risata a bocca spalancata.
- ahahahahahah … ma no, avvocato Carlini, le do volentieri la precedenza … uno come lei
che ha già vinto questo processo, non deve preoccuparsi di eventuali sconfitte … e poi ha
una quindicina di collaboratori al seguito, non penso che si possa preoccupare di una mia
condotta originale del processo … chissà a quante condotte originali avrà assistito nella
sua folgorante carriera di avvocato … le lascio cordialmente la precedenza … non tema …
per lei non ci sarà alcuna ripercussione … la sua parcella dovrebbe essere assicurata …
vinca o perda il processo, sarà comunque pagato …. Quindi, dopo il Pubblico Ministero, le
cedo volentieri la parola … la ringrazio comunque per il favore che voleva accordarmi …
- Io non temo nulla avvocato Salviati. Non ho nulla da temere. I testimoni dell’accusa sono
stati chiari e particolarmente precisi e non vedo dove lei voglia andare a parare. Non può
ribaltare una sentenza che a mio avviso dovrebbe essere già stata scritta.
- Appunto. Allora andiamo avanti e facciamo uscire questa benedetta sentenza. Così la
facciamo finita una volta per tutte con questa pantomima.
Il battibecco durò ancora per cinque minuti, durante i quali decisi di non intervenire. Ma
quando l’avvocato Salviati mi esortò al mio ruolo di mediazione, non potetti fare altro che
chiedere il rispetto della procedura e a dare la parola al Pubblico Ministero per la
requisitoria finale.
L’aula del tribunale era ancora piena e il pubblico sembrava stregato dalle due montagne
che si stavano scontrando. L’avvocato Carlini, che giocava a carte scoperte utilizzando tutti i
testimoni a suo favore che fino a quel momento avevano svolto molto bene il loro ruolo; e
l’avvocato Filippo Salviati, che fino all’arringa finale non avrebbe scoperto la sua strategia
processuale, presagendo un colpo a sorpresa che avrebbe spiazzato chiunque.
E al centro io, il giudice Eduardo Sorrentino, a godermi quei due caratteri così diversi e
quelle due personalità tanto spiccate. Prima che il P.M. iniziasse la sua requisitoria, ero
fermamente convinto che avrei dovuto
condannare Damiano. Avrei usato la massima
clemenza possibile, tipo tre anni di carcere invece che sei, motivando questa scelta con il
fatto che Damiano fosse incensurato. Ma non sarei potuto scendere sotto i tre anni,
altrimenti sarei stato imparziale e ingiusto. Certo, se Filippo Salviati mi avesse aiutato sarei
potuto scendere anche fino a un anno invece che tre, ma evidentemente lui puntava alla
assoluzione totale, e su questo lo aspettavo al varco.
LA REQUISITORIA DEL P.M. E L’ARRINGA DELL’AVVOCATO CARLINI -Il
Pubblico Ministero prese la parola alle 16,05 e parlò per meno di dieci minuti. Fu obiettivo e
relativamente imparziale. Illustrò nuovamente il capo di imputazione, prese atto delle
deposizione dei testimoni e dei rappresentanti di costituzione di parte civile e provò a
tratteggiare il profilo di Damiano secondo gli atti in suo possesso e gli elementi emersi
durante le testimonianze. Si mantenne basso, senza enfatizzare comportamenti
delinquenziali e criminali senza esagerare nella retorica. Fu molto cauto nella requisitoria,
come se neanche lui credesse a ciò che diceva. Una cautela strana e fuori dall’ordinario per
un P.M. ripreso dalle televisioni locali e rappresentante dello Stato che faceva causa a un
tossicodipendente.
Una cautela dettata anche, forse, dal timore che Filippo Salviati incuteva un po’ a tutti.
Anche il P.M. avvertì la mala parata e per questo motivo riempì la sua requisitoria di
sembrerebbe, oppure parrebbe, piuttosto che stando agli atti e alle testimonianze, come se
volesse dissociarsi da tutto il risalto mediatico e le pressioni politiche che avevano preceduto
il processo.
Nelle conclusioni della requisitoria chiese proprio tre anni di carcere, mettendomi a
proprio agio nel caso che anche io avessi optato per la pena minima. La solennità con la
quale il P.M. chiese l‘arresto di tre anni rimbombò comunque nelle orecchie di Damiano,
facendolo cadere ancora di più nel baratro dello sconforto e della depressione. Il viso di
Damiano mi apparve più smunto e scolorito di quanto fosse a inizio processo, e la tensione
si stagliava sui suoi zigomi divenuti oramai di acciaio per la contrazione con i quali
digrignava i denti. Anche i suoi genitori, sorridenti e cortesi a inizio processo, si dimenavano
tra i banchi del pubblico rumoreggiando improperi e bestemmie alla volta del Pubblico
Ministero. Con il mio campanellino di ordinanza dovetti più volte chiedere il silenzio del
pubblico, ben sapendo che a fare casino erano solamente i due genitori in apprensione.
Del resto, come non comprenderli. Qualunque genitore, anche quello del peggior
camorrista, tiene a difendere i propri figli dalle grinfie di un carcere. I signori Pompa erano
incazzati neri con l’avvocato del figlio. Durante la seconda pausa si avvicinarono a Salviati
cercando di capire il suo silenzio e la sua apparente demenzialità nei confronti di Carlini,
dubitando del fatto che anche lui non fosse nel libro paga di Pappagogna. Salviati non ci
stava a passare per venduto ma davanti alle accuse dei signori Pompa decise di non
difendersi e di soprassedere alle accuse.
L’unica considerazione che fece il P.M., sempre nella sua requisitoria finale, fu di
carattere sociale. Richiamò il ruolo fondamentale dei genitori nell’educazione dei propri
figli, come elemento fondamentale di educazione e rispetto verso il prossimo e nei confronti
della società intera. E fu proprio questa considerazione a scatenare le ire dei genitori di
Damiano, sui quali indugiavano le telecamere della ripresa televisiva, e a renderli nervosi se
non irascibili.
Anche l’avvocato Stefano Carlini fu breve. Il suo intervento durò non più di 15 minuti,
ma furono 15 minuti di accuse pesanti. Si soffermò a lungo sulla questione del
narcotrafficante ecuadoregno e sullo shock che aveva subito il figlio della mamma coraggio.
Lui rappresentava le parti lese e dal suo intervento sarebbero dipese le successive richieste
di risarcimento danni. Fu inspiegabilmente duro anche con l’avvocato Salviati, che dal suo
banco si godeva beatamente e con un sorriso sulle labbra l’accanimento del suo avversario.
Sorrideva anche quando Carlini gli rinfacciava la questione deontologica degli avvocati e la
condotta per una buona difesa processuale. Come a dire, che se Damiano avesse perso il
processo la colpa sarebbe stata tutta sua.
Carlini comunque preannunciò ricorso in appello e cassazione nel caso in cui io avessi
assolto Damiano. Preannunciò che non si sarebbe fermato lì, come a mettere le mani avanti
per non cadere e poter eventualmente aver qualcosa da dire alla stampa per giustificare la
sua sconfitta.
L’ARRINGA FINALE DELL’AVVOCATO SALVIATI - Avvocato Salviati, prego.
- Grazie, signor giudice.
Salviati aveva lo sguardo basso sulle sue carte. Le girava e rigirava come se stesse
prendendo tempo per rimettere in ordine le idee. Rimase in silenzio per almeno una
quindicina di secondi, poi si alzò in piedi. Si aggiustò la spallina destra della toga, si
aggiustò gli occhiali, si avvicinò al microfono e volse lo sguardo verso il pubblico al quale
aveva dato le spalle fino a quel momento.
- Il mio cliente si dichiara innocente! Damiano Pompa è innocente! Quel giorno di
Pasquetta del 5 aprile del 2010, alle ore 17, insieme a Valerio e Arturo, era effettivamente
al porticciolo romano di Gianola. Con i due amici decise di fumarsi una canna, ovvero di
tenere un comportamento che per i ventenni della zona è una cosa assai normale. Ma mai e
poi mai era in compagnia di un narcotrafficante sudamericano e mai ha usato una siringa e
tanto mai dinanzi ad alcun bambino! Quel giorno al porticciolo c’erano solo cinque
persone: Damiano, Valerio, Arturo, e gli ispettori Madonna e Percuoco.
Il tono della voce era molto basso, come a cercare il massimo silenzio da parte del
pubblico. Continuava a guardare verso il pubblico perché, forse, cercava di impressionare
non me, ma solamente la platea. Scandiva le parole a una ad una, cadenzando i termini in
modo che nessuno potesse equivocare quanto stava dicendo. Era contratto in viso al punto
giusto e ogni tanto incrociava lo sguardo di dell’avvocato Carlini come a chiedergli di
comprendere bene tutto quanto quello che stava dicendo.
- Ai danni di Damiano Pompa si è mosso un sistema di linciaggio morale che non ha pari
nei tribunali italiani! Non esistono, infatti, a parte le testimonianze, alcuni elementi di
riscontro oggettivi, come, ad esempio, impronte digitali, traccia del DNA e altri elementi
utili alla ricostruzione della questione. Damiano Pompa non è un tossicodipendente! Ma
anche se lo fosse meriterebbe più comprensione e rispetto da parte di tutti noi. E non è
neanche uno spacciatore, perché spacciare droga, eroina non fa parte assolutamente parte
del suo modo né di pensare né di essere. E’ un bravo ragazzo, educato con serietà e
rettitudine dai propri genitori, e non farebbe del male a una mosca. E’ il figlio che ogni
genitore vorrebbe avere. E’ il nipote che ogni nonno vorrebbe avere. E’ l’amico che ogni
amico vorrebbe avere. E io, e lo dico in tutta sincerità, sono onorato di essere il suo
avvocato difensore.
La voce bassa, flebile e dolce di Salviati riecheggiava in un’aula piena ma silenziosa e
rispettosa, in attesa di conoscere lo sviluppo dell’arringa. Mano mano aumentavano anche i
silenzi, le pause, come se fossero studiate, come se gli stessi silenzi fossero utili alla
comprensione del discorso.
- Questo è il mio primo processo, e forse anche l’ultimo. Devo ammettere che aspettavo con
ansia di poter dibattere in un’aula di tribunale le ragioni degli ultimi, di coloro che sono
vittime di ingiustizie, di persone che pagano a proprie spese le ingiustizie della società.
Volevo diventare avvocato, e lo sono diventato! Pensavo che la legge, quella che dovrebbe
essere uguale per tutti, potesse rappresentare il momento più alto della convivenza civile.
Invece, mio malgrado, mi trovo oggi a sostenere le ragioni di un ragazzo ventiquattrenne,
incensurato, onesto, integro moralmente, che non ha commesso alcun reato, né a Pasquetta
e né durante la sua intera vita, senza avere un solo testimone a difesa e con la sua parola
contro quella di rispettabili ispettori di Polizia, sindaci, assessori, medici neuropsichiatri e
mamme disperate.
Quelli che avevano testimoniato nel processo erano entrati tutti in aula ad ascoltare la
deposizione di Salviati. E nell’elencarli li fissò a uno a uno negli occhi, ma senza alcuna
cattiveria.
- A nulla sarebbe valso interrogare i testimoni e farli cadere in contraddizione. Forse avrei
anche potuto farlo, ma avrei comunque sostenuto il gioco di un sistema che tende ad
annientare chiunque si discosti, anche solo minimamente, da costumi e consuetudini
compatibili con lo stesso sistema di riferimento. Oppure avrei potuto anche io “scritturare”
determinate persone, addestrarle, formarle, e fargli dire tutto quello che volevo. Ma così
sarei stato disonesto! E una vittoria processuale ottenuta con l'inganno è una sconfitta per
la giustizia e per l’intera società!
Carlini scattò repentinamente in piedi e iniziò a inveire.
- Avvocato Salviati, lei si assume tutte le responsabilità di quello che sta dicendo! Lei non
può affermare o alludere che qui dentro qualcuno abbia comprato i testimoni. E la smetta
con queste allusioni generiche che, queste sì, fanno male al sistema della giustizia.
L’avvocato Salviati aveva lo sguardo rivolto verso il basso e aggiustava nervosamente
una serie di fogli che aveva sul tavolo. Attese più di venti secondi prima di riprendere a
parlare, evitando di accavallare la sua voce con quella degli altri e creare il caos che lui non
voleva.
- Proprio per evitare ulteriori interruzioni, tengo a precisare che di tutto ciò che dirò mi
assumo tutta la responsabilità. Ma gradirei non essere più interrotto nei miei ragionamenti.
L’avvocato Carlini sa che ha vinto il processo e quindi non vedo tutto questo nervosismo da
dove possa derivare.
C’era una strana calma nella voce di Salviati. Una calma che preannunciava una
tempesta improvvisa.
- Dicevamo di Damiano … Damiano questa sera sarà condannato a circa tre anni di
reclusione, e non opporrà alcuna resistenza al suo arresto.
Damiano sgranò gli occhi e pensò: arresto? Di quale arresto stai parlando? Ma come,
mezz’ora fa mi hai detto di non preoccuparmi e ora mi arrestano?
- Damiano Pompa ha portato con sé due valigie con alcuni indumenti e con gli effetti
personali e quindi è pronto per andare in carcere. Tra qualche minuto il giudice si riunirà
in camera di consiglio, scriverà la sentenza, la leggerà. Usciremo fuori dall’aula di
tribunale e Damiano andrà a costituirsi nel carcere di via Aspromonte. E lo farà con la
dignità e la nobiltà d’animo che dovrebbe contraddistinguere chiunque si trovi nelle sue
stesse condizioni. Damiano affronterà il carcere a testa alta e con la convinzione di essere
una persona onesta, vittima del sistema. Certo, potrebbe adire la Corte d’Appello, e poi
quella di Cassazione, e nel frattempo non fare neanche un giorno di carcere. Probabilmente
in Appello o in Cassazione potrebbe anche farla franca, oppure potrebbe avvalersi di
termini di prescrizioni che lo salveranno dal carcere, oppure può trovare un avvocato più
bravo di me che potrebbe riuscire a trovare qualche cavillo burocratico tale da far
annullare il processo, oppure confidare in un’amnistia o indulto che potrebbe arrivare da
un momento all’altro, oppure potrebbe patteggiare la pena e ottenere gli arresti domiciliari.
Insomma, se Damiano volesse, potrebbe non andare in galera. Ma non sarebbe giusto. Non
sarebbe giusto nei confronti della giustizia e della comunità. Sarebbe sempre un delinquente
che se l’è svignata con un buon avvocato. Sarebbe un furbetto che ha commesso crimini, ma
che è riuscito a scansare il carcere grazie al suo avvocato. Sarebbe in definitiva, uno uguale
agli altri, a tanti altri criminali che girano per strada impuniti, per il solo fatto di aver
avuto un buon avvocato difensore.
Salviati continuò per altri cinque minuti a spiegare la differenza tra i criminali che la
facevano franca, ma che restavano miserabili per sempre, e le persone innocenti che pur non
avendo commesso alcun crimine marcivano in galera mantenendo però grande dignità.
Damiano provò un senso di grande orgoglio nell’ascoltare il suo avvocato. Non che fosse
felice di andare a finire in galera, ma … cazzo …. quell’arringa così lucida e commovente lo
stava riempiendo di orgoglio.
Nell’aula, intanto, regnava un silenzio incredibile. Nessuno fiatava e tutti ascoltavano in
ossequioso silenzio le parole dell’avvocato Filippo Salviati. Anche i signori Pompa
sembravano commossi da quelle parole. Il figlio rischiava il carcere, ma almeno sarebbe
uscito dall’aula a testa alta.
L’avvocato Stefano Carlini, intanto, raccoglieva le sue carte dal tavolo dell’accusa
riponendole nelle sue valigie. Per lui il processo era terminato. Salviati stesso aveva
ammesso che io, il giudice Eduardo Sorrentino, avrei condannato Damiano per i capi
d’imputazione che gli erano stati ascritti. E anche tutti i consulenti dell’intero staff dello
studio legale Carlini sorridevano per la sicura vittoria processuale e per lo scampato pericolo
di ritrovarsi tutti disoccupati il giorno dopo.
- Quindi - proseguì Salviati con la sua flemma dibattimentale - il giudice non potrà non
condannare Damiano Pompa. E lo farà perché dagli atti in suo possesso e da quanto
emerso in questo processo, Damiano effettivamente quel giorno di Pasquetta del 2010, alle
ore 17 era al porticciolo di Gianola in compagnia di un narcotrafficante; forzava i suoi due
amici a farsi le pere di eroina; traumatizzava un bambino di otto anni e creava
irrimediabilmente dei danni significativi alla economia e all’immagine della città. E qui
avrei terminato la mia arringa, se non fosse che devo delle spiegazioni riguardo le insistenti
domande sullo stato patrimoniali dei testimoni e dei depositanti.
Cazzo!!! Finalmente verrà sciolto l’arcano del secolo: il mistero delle domande senza
senso. Finalmente sapremo tutti perché quell’avvocatuncolo da quattro soldi era riuscito a
far irritare uno dei migliori avvocati d’Italia.
- Ripeto, la mia arringa è finita e quindi lei, giudice Sorrentino, può tranquillamente
condannare il mio cliente. Anzi, sono io a chiederglielo con forza e determinazione. Il mio
cliente deve essere arrestato e deve scontare l’intera pena che lei riterrà di infliggerli. Eh
già, perché mentre Damiano Pompa prende le sue valigie e va in galera, io mi intrattengo
ancora qualche minuto in questo tribunale. Subito dopo la lettura della sentenza mi recherò
alla stanza 14, quella delle notifiche della cancelleria penale, e depositerò sette querele di
parte per falsa testimonianza, contro l’ispettore Madonna, l’ispettore Percuoco, il medico
neuropsichiatra, la mamma cosiddetta coraggio, il sindaco Pappagogna, l’Assessore alle
Politiche Giovanili del Comune di Formia e la giornalista di Formia Oggi. Dopodiché mi
recherò nella stanza dell’ufficiale giudiziario e chiederò il sequestro cautelare di tutti i beni
patrimoniali dei testimoni e dei depositanti, e depositerò gli atti di precetto e pignoramento
per tutti coloro che possiedono un reddito dichiarato.
Fu l’ispettore Madonna il primo a ridere a bocca aperta, con aria di sfida, come se la
querela annunciata da Salviati fosse una semplice minaccia senza riscontri.
- Denunciami pure, ragazzino, tanto il processo lo hai perso e ti fai in culo, tu e quel
drogato del tuo cliente. Non fai paura a nessuno. Capito!!!
Fui costretto a intervenire.
- Ispettore Madonna, la smetta di interrompere l’avvocato Salviati. Come si permette di
usare questi toni in un‘aula di tribunale?
- Giudice, è lui che ha iniziato. Ci tratta come criminali, e poi sarei io quello che usa toni
particolari in quest’aula!!! Lo dica a quella specie di avvocato di smetterla. Non fa paura a
nessuno, lui e quella sua spocchia da super intellettuale. Vada a fare in culo!!!!
- Appuntato, accompagni l’ispettore Madonna fuori dall’aula e si assicuri che non rientri.
Poi chiami altri due Carabinieri, quelli che sono all’ingresso, e gli dica di venire qui a
presidiare l’aula. Temo che ci serviranno. Avvocato Salviati, concluda brevemente il suo
intervento.
Il primo luccichìo.
- Dunque, insieme alle querele depositerò in allegato anche una copia per ciascuno di
questo CD per computer. In questo CD c’è la registrazione della telecamera di
videosorveglianza installata al porticciolo romano di Gianola. Nel filmato, che il mio
cliente ha richiesto alla ditta che ha installato la videosorveglianza a Formia, c’è la
registrazione integrale dalle ore 16,55 alle ore 17,20 del giorno 5 aprile 2010, dalla quale
risulta che a quell’ora, quel giorno, in quel posto, c’erano solo cinque persone, e che tutte
le testimonianze sono spudoratamente false. Per questo motivo denuncerò tutti i testimoni e
chiederò un cospicuo risarcimento danni per il mio cliente, pari a mille euro di danni per
ogni giorno di galera. E speriamo che lei, giudice, sia generoso e conceda tutti e sei gli
anni previsti dalla legge.
Quel luccichìo di vetro e ferro non era un lampione. Era una telecamera di
videosorveglianza. Damiano per poco non esplodeva dalla gioia, ma si ricordò per contratto
che doveva restare fermo e con la faccia da depresso. Lui, comunque, non sapeva niente
della telecamera della videosorveglianza, e né il giorno dopo né mai si era rivolto
all’azienda che installava le videocamere per ottenere la registrazione di quel giorno. Quei
CD, insomma, erano vuoti.
I signori Pompa si ritrovarono a guardarsi negli occhi e a sorridere.
Valerio e Arturo erano anch’essi pronti al boato.
Il pubblico rumoreggiava.
L’avvocato Carlini chiese la parola.
- Giudice, è vero che Salviati è al suo primo processo, ma già al secondo anno di università
ti insegnano che tutti gli elementi di prova di un processo, a favore e contro, devono essere
consegnati almeno venti giorni prima. Quindi, qualsiasi prova a favore dell’imputato è
nulla, e lei non deve tenerne conto, altrimenti commette un abuso che potrebbe pagare
duramente.
Rivolsi lo sguardo a Salviati, come per chiedergli: gli rispondi tu o io? Rispose Salviati.
- Signor giudice, qui fuori c’è un negozio che vende protesi acustiche, e chiunque,
soprattutto chi ha tanti soldi come Carlini, può acquistarne una. Ho detto che la mia
arringa è terminata, che Damiano Pompa deve andare in galera, che lei ha vinto il
processo. Cosa vuole di più? Che le paghi anche l’onorario? Sto solamente dicendo che i
miei elementi di prova ho deciso di usarli diversamente. Se li avessi prodotti come prova
probabilmente questo processo non si sarebbe mai tenuto e il mio cliente, senza scontare i
sei anni di carcere, avrebbe perso la bellezza di …. aspetta … di ben 2 milioni e
novecentomila
euro che I SUOI TESTIMONI DOVRANNO SBORSARE. UNO
SULL’ALTRO. FINO ALL’ULTIMO CENTESIMO DI EURO. Per questo chiederò il
sequestro di tutti i loro beni mobili e immobili.
Anche Carlini, finalmente, capì a cosa servivano quelle apparenti domande senza senso
che Salviati porgeva a tutti i suoi testimoni. Lui avrebbe vinto il processo, Damiano sarebbe
stato condannato, ma i suoi clienti sarebbero stati rovinati per sempre.
Dal fondo dell’aula la finta mamma, cosiddetta coraggio, iniziava a essere insofferente e
a dire qualcosa che somigliava molto a “vorrei ritrattare la mia testimonianza”.
Evidentemente Salviati si era rivolto fin dall’inizio della sua arringa proprio ai testimoni,
ovvero agli anelli deboli della catena. Ma Carlini non ci stava a farsi massacrare in quel
modo, e tentò un ultimo assalto.
- Bene Giudice, allora vediamo questi filmati e smettiamola con questa farsa. Chieda
all’avvocato Salviati di mostrarci il contenuto di quei CD in modo che tutti sappiano cosa
contengono.
Carlini era sicuro del bluff di Salviati. Sapeva che Damiano non aveva contattato alcuna
azienda di installazione per la videosorveglianza e non aveva mai chiesto e ottenuto la
registrazione del pomeriggio della giornata di Pasquetta. Sapeva del bluff ma sapeva anche
che non poteva tenere a freno tutti i testimoni. Rivolsi nuovamente lo sguardo verso Salviati
per ottenere una risposta alla richiesta di Carlini.
- Forse non ci siamo capiti. Mi spiego per la terza volta. Questi CD non sono elementi di
prova di questo processo, ma dei futuri processi per falsa testimonianza. Passerò le
prossime
settimane
economicamente
esclusivamente
a
cercare
di
rovinare
giudiziariamente
ed
TUTTI I TESTIMONI CHE HANNO DETTO IL FALSO. FARO’ DI
TUTTO PER MANDARLI SUL LASTRICO, SENZA ALCUNA PIETA’.
Quelle parole impressionarono anche la giornalista di Formia Oggi, che cercava di
comunicare con lo staff di Carlini per sapere a quali conseguenze poteva andare incontro.
Il secondo luccichìo.
- Comunque, - disse l’avvocato Filippo Salviati - per concludere, voglio mostrare in via non
ufficiale la seconda prova documentale che produrrò al processo per falsa testimonianza
contro i testimoni di questo processo.
Carlini sbiancò, il medico neuropsichiatra cominciava a dare di matto, l’ispettore
Percuoco senza Madonna si sentiva perso, io, dentro di me ridevo come un cretino,
Pappagogna cercava di informarsi se lui, non essendo testimone, correva gli stessi rischi dei
testimoni e l’avvocato Salviati, con una mossa da colpo di scena, estrasse due enormi
fotografie da dentro di uno dei suoi fascicoli e, tenendole bene in vista, le mostrò a Carlini e
al pubblico presente in aula.
- Queste foto sono state scattate dal satellite Landnewsat il giorno 5 ottobre 2010 alle ore
16,55. Da queste foto di vede che nel porticciolo romano di Gianola ci sono solamente tre
persone, Damiano, Valerio e Arturo. Non c’è nessuna mamma cosiddetta coraggio, nessun
bambino, nessun narcotrafficante. Solamente Damiano, Valerio e Arturo. Dopo cinque
minuti sarebbero arrivati anche i due solerti ispettori di Polizia per redigere il verbale di
constatazione allegato agli atti del processo. Qui nella foto numero due, c’è il parcheggio
del porticciolo, posto a ottocento metri circa dal luogo del presunto reato, e si notano
chiaramente due automobili: quella di Damiano e l’altra, presumibilmente, dell’ispettore
Madonna. E’ chiaro, quindi, che tutti i testimoni hanno dichiarato il falso
E IO MI
ACCANIRO’ CONTRO DI LORO CON TUTTI GLI STRUMENTI CHE LA LEGGE MI
METTE A DISPOSIZIONE, FINO A DISTRUGGERLI ECONOMICAMENTE. Qui nelle
cartelline ho già le denunce pronte. Attendo solo la sentenza e poi andrò a depositarle e
notificarle.
Il secondo luccichìo che Salviati vide due giorni prima del processo, rappresentava un
possibile satellite, di quelli che ogni tot minuti inviano foto alla terra. Le foto in possesso
dell’avvocato Salviati erano comunque false. Il giorno prima, a Napoli, grazie al suo amico
informatico e ai miracoli della tecnologia, era riuscito a trovare una foto satellitare del
porticciolo romano di Gianola e a taroccarla a dovere. Dal suo amico tipografo riuscì a farsi
stampare un paio di certificati falsi, con tanto di carta intestata e timbri, con
una
dichiarazione di una inesistente agenzia aerospaziale che attestava la veridicità dei dati
indicati dalle foto satellitari. Sempre a Napoli si fece stampare altri due documenti falsi
dell’azienda che installava impianti di sorveglianza, che certificavano che il filmato
contenuto nei CD era conforme al giorno e l’orario in cui Damiano, Valerio e Arturo furono
colti in flagranza a fumarsi una canna.
- Questi due certificati inchioderanno i testimoni di questo processo e dimostreranno che
Damiano Pompa è innocente e vittima di una congiura. Ho tutti gli elementi a disposizione
per TRASCINARVI TUTTI IN GALERA E CAMPARE DI RENDITA CON LE VOSTRE
PROPRIETA’ IMMOBILIARI.
Il boato scoppiò nell’aula di tribunale. Un applauso spontaneo partì da Valerio e Arturo,
che ancora non sapevano se facevano parte di coloro che Salviati avrebbe massacrato o no.
Un applauso che coinvolse tutto il pubblico presente in aula e che per poco non coinvolse
anche me. I genitori di Damiano si alzarono in piedi e iniziarono a urlare parolacce alla volta
di Carlini e dei suoi testimoni. Damiano, anche lui in piedi, abbracciava e baciava sulle
guance il suo avvocato. La telecamera girava impazzita nell’aula di tribunale a registrare il
tutto, l’assessore alle Politiche Giovanili, che nella testa di Salviati doveva essere l’anello
debole della catena, iniziò a delirare per la possibile perdita della palestra.
- Io voglio ritrattare la mia testimonianza - urlava l’assessore alla volta dello staff di
Carlini.- Mi avevate detto che tutto sarebbe filato liscio e invece ora rischio di perdere la
mia attività. Giudice, io voglio parlare e voglio spiegare tutto.
- Assessore - risposi io tra il divertito e il rassegnato. - Lei ha già deposto e non può parlare
più. Intanto iniziamo a fare silenzio in aula e a rimettere a posto questo processo. Carlini, si
sieda e la smetta di chiedere la parola. Anche lei ha già parlato e ora devono tacere tutti,
almeno fino a quando Salviati non ci dirà che ha smesso. Carlini, la richiamo all’ordine. Si
sieda per favore. Carabinieri, fate uscire quel gruppetto lì in fondo a destra e vediamo un
po’ se riusciamo a ripristinare un minimo di serietà in aula. Carlini, le do venti secondi di
replica, anche se non dovuti, ma questa è l’ultima deroga che concedo. Prego avvocato
Carlini.
- Giudice, visto che abbiamo ancora un po’ di tempo, io chiedo di ricominciare il processo e
di acquisire agli atti le prove che l’avvocato ha con sé. L’accusa ha il diritto di visionare i
CD, le foto e i certificati, che Salviati ci ha mostrato poco fa. La scorrettezza di Salviati non
ha limiti. Lo denuncerò personalmente all’ordine degli avvocati di Napoli e chiederò la sua
sospensione immediata e la sua interdizione.
- Carlini, - risposi io a voce alta per cercare di soverchiare i rumori dell’aula - il processo è
terminato da un pezzo, come ha ammesso l’avvocato Salviati, e quindi non ricominciamo un
bel niente. Per me il processo è chiuso e io devo ritirarmi per deliberare. Se avete altre
denunce da farvi a vicenda o schermaglie da protrarre nel tempo, avete tutte le possibilità
di continuare le vostre beghe nei successivi processi che Salviati ha appena preannunciato
di promuovere. Quindi, ora ci risediamo tutti, ripristiniamo la calma e procediamo con la
parte conclusiva di questo processo. Assessore, se lei vuole ritrattare qualcosa si trovi un
buon avvocato e proceda secondo quanto previsto dal codice di procedura penale. Ispettore
Percuoco, la smetta di parlare al cellulare. Anzi, visto che ci siamo, spegnete tutti i
cellulari, perché questo non è un fronte di un porto, è un’aula di tribunale. Appuntato,
faccia rispettare questo mio ordine. Il prossimo che usa un telefono in quest’aula sia
allontanato immediatamente. E lei cosa vuole? Chi è lei? Adesso ci mettiamo tutti a
chiedere la parola? Ma siamo matti?
- Giudice, sono l’avvocato Palmieri, e da due minuti ho assunto la rappresentanza legale
dell’Assessore alle Politiche Giovanili del Comune di Formia. Il mio cliente chiede di
ritrattare la propria deposizione.
Praticamente Carlini non valeva più niente. Era incapace e inaffidabile ed era stato
sostituito sul campo con tanto di revoca del mandato e nuovo affidamento legale. Questa fu
la goccia che fece traboccare il vaso. Anche il medico neuropsichiatra e la comparsa che
rispondeva al ruolo della mamma cosiddetta coraggio, chiesero di essere riascoltati, e Carlini
iniziò a urlare come un forsennato che lui voleva riprendere il processo e richiamarli tutti sul
banco dei testimoni.
L’avvocato Filippo Salviati, invece, dovette fare enormi sforzi facciali per non scoppiare
a ridere. Aveva colpito nel segno. Aveva mentito, ma con estrema intelligenza e sagacia. Al
suo primo processo in tribunale aveva messo al tappeto uno degli avvocati più bravi e
stronzi d’Italia. Aveva distrutto l’intera classe politica dirigente di Formia. Stava, insomma,
per vincere il processo. Ma aveva bisogno di un aiuto da parte mia, dello scrivente giudice
Sorrentino, altrimenti Damiano sarebbe finito veramente in carcere. Dopo qualche minuto
l’avvocato Palmieri annunciò che anche la giornalista di Formia Oggi era pronta a
sottoscrivere un documento nel quale ritrattava alcuni suoi articoli, perché a suo dire anche
lei era stata tratta in inganno dal sistema. Cercai di ripristinare un minimo di silenzio in aula.

Allora, Carabinieri, visto che qui dentro c’è un baccano infernale, fate uscire il
pubblico e continuiamo questo processo a porte chiuse. Tanto c’è la diretta televisiva e
chiunque può assistere al processo anche fuori da quest’aula. Escano anche tutti i testimoni
e i depositanti. Fuori i giornalisti e i fotografi. Il cameraman può restare per effettuare le
riprese. Restino in aula: l’imputato e il suo avvocato, poi Carlini, l’avvocato Palmieri e
basta. Gli altri tutti fuori. Qualsiasi resistenza a lasciare quest’aula sia verbalizzata e
trasformata in resistenza alla Corte e a pubblico ufficiale. Chiaroooooo?
L’EPILOGO - Ci vollero appena un paio di minuti perché l’aula del tribunale tornasse a
essere vuota come in un qualsiasi processo per assegni a vuoto. Quelli che restarono in aula
si sedettero ognuno al proprio posto guardandosi in cagnesco, ma senza fiatare. La mia
collera era stata interpretata come motivo di insofferenza e intolleranza verso chiunque mi
avesse contraddetto.
Diedi inizio alla discussione. C’era l’avvocato Stefano Carlini senza il suo codazzo di
consulenti che si trascinava appresso da tribunale in tribunale. Aveva allentato la cravatta, si
era tolto la giacca e aveva ripiegate le maniche della camicia. Forse si era dimenticato che la
telecamera delle riprese televisive trasmetteva a inquadratura fissa tutti i momenti del
processo. Fuori dall’aula c’erano almeno una decina di computer portatili accessi, connessi
con la diretta televisiva. Poi c’era l’avvocato Palmieri, l’ultimo arrivato, che aveva con sé
due revoche del mandato legale conferito in precedenza a Carlini e due nuove deleghe,
quella dell’Assessore e quella della giornalista. La regolarità delle deleghe poteva essere
oggetto di impugnativa, ma nessuno, in quel momento, pensava a quelle quisquilie. Accanto
a Palmieri c’era Damiano, non più con il viso tumefatto dai cazzotti che aveva ricevuto
incessantemente fino ad allora, e con un ritrovato colorito della carnagione simile a chi
scoppiava di salute. In quel momento Damiano si stava accorgendo che la situazione poteva
essere ribaltata, e che il suo avvocato era il miglior avvocato del mondo. Pensò anche a
quanto fosse stato ingrato a non aver creduto in lui e alle sue capacità professionali. Sapeva
che quella sera poteva uscire dal processo come unico e vero vincitore. All’estremità destra
del tavolo c’era l’avvocato Filippo Salviati, intento a riporre tutti i falsi documenti in mezzo
ai faldoni, senza che nessuno, soprattutto Carlini, potesse verificare l’autenticità degli stessi
documenti. Alle spalle di Damiano erano seduti il cancelliere, che non sapeva se
verbalizzare o no quanto si fosse detto da lì in poi, e il Pubblico Ministero, in attesa di
conoscere le mie decisioni ed eventualmente decidere se proseguire nei gradi di giudizio
superiore o stendere un velo pietoso su quella vicenda. Due Carabinieri piantonavano la
porta d’ingresso e presidiavano l’intera aula del tribunale. Il cameraman continuava a
riprendere il proseguimento del processo.
Dunque, durante il suo sopralluogo Salviati si accorse che all’interno del porticciolo
romano di Gianola c’era una telecamera ad altezza di lampione. Il cavo di collegamento
della telecamera terminava in una cassetta elettrica con su segnate tutte le caratteristiche
dell’impianto e il nome della ditta che l’aveva installata. Più in basso c’era anche la data
dell’installazione, che risaliva al 2009. Quindi il giorno di Pasquetta del 2010 quell’impianto
doveva essere regolarmente funzionante. Ma in realtà quell’impianto, per mere ragioni
tecniche legate a problemi logistici, non entrò mai in funzione. Dagli articoli delle varie
conferenze stampa del sindaco e dell’assessore alle Politiche Giovanili risultava però che
tutti i siti archeologici che insistevano sul territorio comunale erano “coperti” dalla
videosorveglianza, e il luogo dove Damiano, Valerio e Arturo si incontrarono per fumarsi la
canna, era un sito archeologico. Tutti sanno, però, che i filmati registrati dalle telecamere di
videosorveglianza, durano massimo 48 ore, dopo di che vengono automaticamente
cancellati. Ma la mente di Salviati, davanti a quella telecamera, volò in alto, molto in alto,
tanto da pensare di utilizzarla come elemento di prova, per dimostrare che, quel giorno,
Damiano, Valerio e Arturo fossero soli, senza narcotrafficanti e mamme con bambini.
Già, ma se fosse stato costretto ad esibire il materiale di prova sarebbe stato in enorme
difficoltà. In nessuna parte del mondo esisteva una registrazione di un qualsiasi sistema di
videosorveglianza di due anni e mezzo prima. Era necessario, quindi, mentire e dire che
Damiano era in possesso di quella registrazione dall‘inizio delle sue peripezie giudiziarie.
Non poteva essere usata come mezzo di prova, ma solamente per instillare il dubbio nei falsi
testimoni. E fu in quel momento che elaborò mentalmente l’intera linea difensiva
processuale. Avrebbe lasciato che i testimoni deponessero il falso per poi annunciare che
esistevano mezzi di prova pronti a smentire tutte le accuse. Il giorno dopo il sopralluogo, a
Napoli, Salviati si recò personalmente alla sede della ditta che aveva installato il sistema di
videosorveglianza al porticciolo romano di Gianola e lì riscontrò che le registrazioni erano
conservate massimo per 48 ore. Riuscì anche a reperire un depliant con gli estremi della
ditta di installazione per poi produrre il falso certificato con il quale si attestava che i CD,
che erano allegati ai fascicoli delle querele, contenevano effettivamente la registrazione di
quanto avvenuto il giorno 5 aprile 2010 nelle ore in cui Damiano, Valerio e Arturo venivano
avvicinati dagli ispettori Percuoco e Madonna.
Ma le possibilità di usare la tecnologia non finivano là. Proprio tre giorni prima Salviati
si imbatté, durante una navigazione in internet, in un sito web che mostrava mappe e
immagini satellitari. Per qualche minuto si divertì a visualizzare la sua casa di Napoli vista
dall’alto e a sorridere del fatto che l’immagine fosse molto nitida, al punto che se qualcuno,
al momento dello scatto della foto satellitare, fosse stato sul terrazzo a fare sesso,
probabilmente l’avrebbe saputo mezzo mondo. Allora perché non sfruttare le foto che i
satelliti inviano periodicamente, come ulteriore prova del fatto che Damiano, Valerio e
Arturo fossero soli quel giorno di Pasquetta? Certo, ci sarebbe voluto un culo enorme per
trovare una qualsiasi foto satellitare di qualsiasi satellite, scattata il 5 aprile 2010 alle ore 17.
E, infatti, quella che si avvicinava di più a quella data e a quell’ora era del 5 aprile ma alle
ore 11, ovvero sei ore prima delle 17, ovvero inutile come elemento di prova. Per questo
motivo, sempre il giorno dopo e sempre a Napoli, si rivolse a quel suo ex compagno di
scuola che era diventato un buon informatico, e grazie ad alcuni stratagemmi di ingegneria
informatica, riuscirono a confezionare due foto dal formato gigante, che riproducevano il
porticciolo e il parcheggio delle auto del porticciolo stesso, completamente vuoti, e a fare in
modo che si vedessero solo due automobili e tre persone. Quelle due foto Salviati le esibì
durante il processo determinando il colpo di grazia alla tenuta psicologica dei testimoni. E il
certificato originale, ma anch’esso falso, di una vera agenzia satellitare, con tanto di timbro
e firme, chiuse il cerchio degli elementi probatori che Salviati avrebbe usato contro i
testimoni per denunciarli penalmente.
Insomma, Salviati aveva realmente trovato la chiave di volta del processo. Avrebbe finto
di non interessarsi alla condanna di Damiano, ma in realtà tutto era legato proprio
all’assoluzione di Damiano. Per questo mancava ancora l’ultimo tassello. Ero convinto,
almeno fino a quel momento, che Salviati cercasse l’annullamento del processo e il non
luogo a procedere per il suo cliente. Pensavo che avrebbe costretto il Pubblico Ministero a
chiedere la nullità del procedimento e l’avvocato Carlini a far firmare la ritrattazione delle
deposizioni di tutti i testimoni e a me a emettere una sentenza in favore di Damiano
Capuano “per mancanza di prove“. Ma mi sbagliavo. L’avvocato Filippo Salviati voleva
una assoluzione “perché il fatto non sussiste“, un'assoluzione con formula piena e
incondizionata e non si sarebbe fermato fino a quando non l’avrebbe ottenuta.
Fui io ad iniziare quella discussione extra-processuale.
- Allora, per quanto mi riguarda l’udienza è terminata, e io, in base agli atti processuali e
alle testimonianze che ho ascoltato, dovrò condannare Damiano Pompa ad almeno tre anni
di reclusione e a cinquecento euro di multa. Di quello che accadrà dopo, cioè delle rivalse
che ci saranno sui testimoni, a me non me ne frega un cazzo. Non sono problemi miei e ci
saranno altri giudici che decideranno in merito. Questa udienza si è protratta
abbondantemente oltre il dovuto, e per quanto mi riguarda io chiuderei qui la questione.
Farei rientrare il pubblico, leggerei il dispositivo di sentenza, ed entro massimo venti giorni
ognuno di voi avrà la copia delle motivazioni della sentenza, che sarà molto scarna, in
quanto gli elementi processuali propendono per la condanna dell’imputato. Io mi atterrò a
quanto ascoltato in quest’aula, fino al punto in cui l’avvocato Salviati ha detto che il suo
cliente doveva essere condannato. Rispetto a quanto ha detto successivamente alla sua
ammissione di reato, io non verbalizzerei nulla, così come non verbalizzerei questa
discussione e mi atterrei solamente alle parti essenziali del processo. L’avvocato Salviati
non è stato in grado di dimostrare l’innocenza del suo cliente, anzi, non ha fatto nulla per
dimostrarlo, e quindi direi che si possa procedere alla lettura del dispositivo di sentenza. Se
qualcuno di voi ha qualcosa da dire, lo faccia ora o taccia per sempre, altrimenti la mia
irritazione potrebbe raggiungere cime molto elevate e a quel punto sarei proprio io a
scrivere all’Ordine degli Avvocati e a chiedere di assumere provvedimenti disciplinari nei
vostri confronti. Chiaro?
Sì, ero stato molto chiaro. Da quel momento in poi non avrei ammesso altre cazzate
procedurali e sostanziali. Sarei stato severo con chiunque avesse ostacolato il cammino della
giustizia. Non avrei accettato rinvii o aggiornamenti di udienze, e neanche ulteriori pause e
sospensioni.
- Allora chi inizia? Prego avvocato Carlini.
- Chiedo innanzitutto di sospendere le riprese televisive.
- E perché?
- Beh, lei stesso ha detto che il processo è terminato, o no?
- Non so. Sentiamo anche gli altri. Siamo tutti d’accordo a sospende le riprese televisive?
Tutti d’accordo. Il cameraman spense la telecamera e uscì sommessamente dall’aula. Nei
corridoi, intanto, i fischi e le urla di quelli che attendevano gli sviluppi del processo e di
quelli che ne erano direttamente coinvolti, si fecero assordanti.
- Bene, allora chi inizia?
Silenzio. Nessuno voleva commettere errori e tutti aspettavano la mossa dell’avversario.
- Salviati? Ha qualcosa da dire?
- Io quello che avevo da dire l’ho detto nella mia arringa. Non ho null’altro da aggiungere.
- Avvocato Palmieri, lei che è l’ultimo arrivato, vuole provare a rompere il ghiaccio?
- No, aspetto di conoscere le vostre intenzioni.
- Le mie intenzioni? Cioè state aspettando che io, il giudice di turno, vi tolga le castagne del
fuoco? Eh no, cari amici, siete voi che dovete dirmi come devo proseguire. Io la sentenza ce
l’ho già in testa. Dovete solo dirmi se devo pronunciarla o no. Se siamo tutti d’accordo io
riapro il portone dell’aula, faccio entrare tutti dentro, e leggo il dispositivo di sentenza.
Dovete solo dirmi cosa avete deciso.
Carlini aspettava Salviati e Salviati aspettava Carlini. Carlini aspettava che Salviati
chiedesse l’annullamento del processo e Salviati aspettava che Carlini riconoscesse la falsità
delle deposizioni e mettesse a verbale che tutti i testimoni erano falsi.
Per uscire dall’impasse non restava che proporre un lodo arbitrale che definisse la
questione. Ma ci vollero più di due ore affinché Salviati e Carlini cedessero a una proposta
transattiva.
GIOVEDI’ 22 SETTEMBRE 2011 - IL GIORNO DOPO DEL PROCESSO -Sulla
pagina di Formia Oggi capeggiava un titolo sensazionale: TRE MILIONI DI EURO. E’
QUANTO HA PAGATO UN EDITORE ISRAELIANO PER GLI APPUNTI DI SUOR
ELENA SU SANT’AGOSTINO.
Quando suor Elena morì lasciò a Salvatore Cazzullo un paio di scatoloni con tremila
fogli scritti a penna con gli appunti di uno studio su sant’Agostino, che a sua volta vendette
quegli appunti per la straordinaria cifra di cinquemila euro a un giovane professore precario
di Filosofia di Caserta. Per Cazzullo cinquemila euro per alcuni faldoni dal contenuto
incomprensibile erano un affare da non perdere, tanto che con quei soldi poté pagare la
parcella a un avvocato per impugnare la seconda parte del testamento di suor Elena, quella
che prevedeva la donazione di un casale in collina dal valore di duecentomila euro
all’associazione “LIBERA contro le mafie”. Cazzullo, attraverso una serie di espedienti e di
imbrogli tra notai e avvocati, riuscì a vincere la causa e a ottenere la proprietà del casale, ma
l’associazione “LIBERA contro le mafie” riuscì ad ottenne l’affidamento e l’usufrutto
gratuito dell‘immobile. In tal modo Salvatore Cazzullo divenne proprietario di un bene
immobile che non avrebbe mai potuto vendere e utilizzare, almeno fino a quando
l‘associazione fosse rimasta in vita. Ovvero per almeno i successivi trent’anni.
La notizia dei tre milioni di euro pagati per gli appunti di suor Elena su sant’Agostino
fece il giro del mondo. Effettivamente si trattava di un prezioso e completo studio
bibliografico e di una serie di appunti su studi ermeneutici, filologici ed esegetici che la
suora aveva trascritto in cinquant’anni di clausura. Un’opera straordinaria e completa, con
tutti i riferimenti storiografici della vita di sant’Agostino, attraverso gli scritti de “Le
Confessioni”, le “Ritrattazioni” e la “Vita di Sant’Agostino” di Possodio. C’erano le
traduzioni originali dal latino delle opere del vescovo di Ippona e una serie di annotazioni
che potevano in qualche modo stravolgere in alcuni punti il suo pensiero filosofico.
L’opera letteraria di suor Elena conteneva l’intera vita del santo; ne descriveva in modo
meticoloso l’infanzia e la crescita, il periodo della “crisi” cartaginese,
l’approdo al
manicheismo, il periodo dell’insegnamento, il suo incontro con il vescovo Ambrogio, i
travagli degli studio neoplatonici e cristiani, il periodo della conversione e dell’episcopato,
la sua nomina a vescovo, oltre che agli appunti sugli scritti della controversia manichea, il
problema del “male” e, infine, la controversia pelagiana e quella ariana. Tra i tremila fogli
c’erano molte copie di grande pregio scovate nelle varie biblioteche del mondo con le quali
intratteneva una fitta corrispondenza cartacea. Negli ultimi tempi, grazie ad internet, la suora
di clausura intensificò le ricerche dei testi antichi di sant’Agostino e si dedicò a ricercare
soprattutto le opere secondarie, quelle sottovalutate dagli esperti, ma di importanza
fondamentale per uno studio approfondito, serio e completo del pensiero filosofico del
vescovo d’Ippona.
Riuscì a creare un’opera straordinaria e dal grandissimo valore letterario e spirituale. Ma
l’impresa di suor Elena fu quella di riscrivere l’Ortensio, il testo di Cicerone andato perso
almeno millecinquecento anni fa, che sant’Agostino ritenne essere il testo della sua
conversione. L’Ortensio di suor Elena, scritto integralmente in latino, fu considerato il testo
che verosimilmente si avvicinava di più a quello che Cicerone avrebbe scritto duemila anni
prima. Anche molti professori universitari europei studiosi di Cicerone ammisero che la
mole di riferimenti bibliografici e di congetture filosofiche a supporto del libro, potevano
rappresentare la ricostruzione fedele dell’opera di Cicerone, o perlomeno la ricostruzione
più vicina.
Un saggio inedito che qualsiasi editore avrebbe pubblicato senza esitazioni, con un
guadagno molto più redditizio dei tre milioni di euro spesi per l’acquisto dei diritti esclusivi
del testo. Un saggio che poteva diventare un best seller ma che Salvatore Cazzullo neanche
considerò. Quei tremila fogli scritti a penna li mise all’asta su ebay con un prezzo di
partenza di duecento euro, che lui già considerava altissimo. A fine serata l’opera di suor
Elena fu acquistata da un giovane professore di filosofia di Caserta che aveva fiutato
l’affare. Per non correre rischi piombò a Formia la sera stessa, con l’assegno di cinquemila
euro, a prendere i tre scatoloni pieni di carte. Evidentemente sapeva che in varie parti del
mondo c’erano amatori e studiosi di documenti medievali che avrebbero pagato qualsiasi
cifra per entrare in possesso di quel materiale prezioso. Ma neanche il professore di Caserta
si aspettava di trovarsi di fronte a un tesoro dal valore così eccezionale. Rimase incantato ad
ammirare quella grafia così composta e ordinata, la minuziosità degli accorgimenti stilistici
delle note e la fedele riproduzione fotostatica di tutti i documenti tratti dai testi originali.
Inizialmente pensava di piazzare quegli appunti a centocinquantamila euro. Costruì un
apposito sito internet con la minuziosa descrizione delle parti degli scritti e, come previsto,
si scatenò una guerra tra le più importanti casi editrici internazionali specializzate in saggi
medievali. Riuscì a spuntarla un editore israeliano.
Molti editori cercarono di acquistare solo il saggio finale di suor Elena a un prezzo più
contenuto, ma il professore di Filosofia, seppur precario, non si fece abbindolare da soldi
facili e immediati. Sapeva che il blocco valeva molto di più e che stralciare solo il saggio
finale equivaleva a far perdere il valore intrinseco all’intera opera.
Ma si sa, suor Elena era anche una mattacchiona. Il suo saggio su sant’Agostino e la
ricostruzione dell’Ortensio si concludeva con una paginetta di poche righe, scritte qualche
ora prima di morire, nelle quali aveva previsto quanto avvenne in quei giorni:
“Lascio questa mia opera in eredità a mio nipote Salvatore Cazzullo che ora è in carcere.
Ma questo non è un semplice lascito, ma una prova di carattere. Se Salvatore saprà
valorizzare i miei scritti, potrà vivere di rendita e godersi i miei sacrifici di una vita intera.
Se, invece, non saprà apprezzare le vere ricchezze che la vita può offrire, cestinerà questi
appunti maledicendomi per non avergli lasciato un volgare e spoglio casolare di collina. Io
spero tanto che Salvatore legga questi appunti, e che in essi possa trovare il giusto ristoro
dalla sua fame di ricchezza. Possa cogliere l’essenza di uno dei più grandi filosofi della
storia e trarne l’insegnamento di cui ogni uomo nelle sue condizioni necessita. Sono sicura
che Salvatore non leggerà queste righe, e che cercherà di sbarazzarsi al più presto di questi
fogli scritti da una vecchia rimbambita. Ma se qualcuno un giorno dovesse venirne in
possesso e leggesse queste righe scritte a penna, abbia la compiacenza di condividerle con
lui, perché capisca che la vita non è fatta solo di soldi, macchine di lusso e abiti firmati. Ti
lascio, caro Salvatore, queste poche righe scritte da sant’Agostino appena 1600 anni fa, ma
che dovrebbero riguardare chi, come lui, in tarda età e dopo una vita dissipata, scopre in
Dio la bellezza dell’Amore:
“Tardi ti ho amato, Bellezza così antica e tanto nuova, tardi ti ho amato.
Sì, perché tu eri dentro di me ed io fuori: lì ti cercavo.
Deforme, mi gettavo sulle sue sembianza delle tue creature.
Eri con me, ma io non ero con te.
Mi tenevano lontano da te le tue creature, inesistenti se non esistessero in te.
Mi chiamasti, e il tuo gridò sfondò la mia sordità; balenasti, e il tuo splendore dissipò la
mia cecità; diffondesti la tua fragranza, respirai ed ora anelo verso di te; ti gustai e ora ho
fame e sete di te; mi toccasti, e arsi dal desiderio della tua pace”
Tra qualche ora, al massimo tra qualche giorno, morirò. E voglio che Salvatore, mio nipote,
legga questa lettera, affinché anche lui possa ascoltare il grido che sfonda la sordità di chi
ha difficoltà ad ascoltare.
Ciao Salvatore.
Il professore di Filosofia di Caserta fotocopiò questa pagina e cercò di farla arrivare a
Salvatore Cazzullo. Per evitare di incontrare due volte un pregiudicato agli arresti
domiciliari e di passare per ricettatore, decise di inviarla a Formia Oggi, che ovviamente
non la pubblicò. Ma quando la notizia dell’acquisto dell’opera di suor Elena divenne di
dominio pubblico, tanto da finire su tutti i giornali nazionali, il direttore di Formia Oggi si
decise a pubblicarla. E fu anche uno scoop sensazionale di Formia Oggi, che era l’unico
giornale ad avere la copia della lettera di suor Elena indirizzata a suo nipote.
Inutile dire che Salvatore Cazzullo si mangiò le palle. Era proprietario di un casolare in
collina ma solo sulla carta e aveva appena perso tre milioni di euro per una errata
valutazione di un bene ereditato. Non gli restava che il rimpianto di aver potuto condurre
una vita onesta e non averlo fatto.
Sempre su Formia Oggi, quel giorno, mancava la notizia delle dimissioni da sindaco di
Formia Carmine Pappagogna. Damiano Pompa aveva vinto il processo, ma Pappagogna
ovviamente addusse una serie di ragioni sconclusionate che lo rimettevano in gioco e lo
mantenevano sullo scranno più alto della Giunta Municipale di Formia.
Secondo Formia Oggi Damiano aveva vinto il processo non perché fosse onesto e non
avesse commesso alcun reato, ma solo per motivazioni tecniche procedurali che lo
avrebbero salvato dal sicuro carcere a vita.
In realtà il dispositivo di sentenza che lessi il giorno prima non lasciava spazio a
equivoci: “P.Q.M. Assolvo Damiano Capuano perché il fatto non sussiste e per non aver
commesso alcun reato.” Una sentenza con formula piena che restituiva libertà e dignità a un
ragazzo buono e onesto.
Ma non fu facile. Ci furono diversi momenti nei quali si rischiò di andare a sentenza
senza soluzione di compromesso, e in quel caso avrei dovuto condannare Damiano senza
che il suo avvocato potesse esibire elementi di prova certi e documentati. I CD erano vuoti e
le foto erano palesemente taroccate, e quindi il bluff sarebbe emerso ancora prima di iniziare
qualsiasi nuovo procedimento penale. Io comunque feci di tutto per favorire Damiano,
stando ben attento a non apparire di parte.
- Allora - proposi io a inizio seduta - se il Pubblico Ministero è d’accordo e se tutti gli
avvocati presenti firmeranno una dichiarazione condivisa, io sarei anche d’accordo, in via
eccezionale e mettendo a repentaglio la mia reputazione professionale, ad annullare il
processo e a far finta che oggi non sia successo niente. Una procedura fuori da tutti canoni,
ma mi sembra al momento l’unica via d’uscita per salvare tutti, imputato e testimoni.
- Ma non ci penso proprio - rispose per primo uno stizzito avvocato Salviati -. Io sarei
anche disponibile ad evitare la sofferenza del carcere per il mio cliente, ma voglio
un’assoluzione con formula piena, per non aver commesso il reato e perché il fatto non
sussiste. E per mettere tutte le carte sul tavolo, così non parlo più e taccio fino alla fine
della riunione, voglio il riconoscimento delle mie spese legali e un risarcimento danni per il
mio cliente. Damiano ha sofferto troppo in questo periodo, e merita un ristoro per le pene
che ha dovuto soffrire. Tengo a precisare, giudice Sorrentino, che chiudere questa partita in
via extragiudiziale è comunque un sacrificio, sia per me che potrei ottenere una vittoria
completa sulle spese legali e sia per il mio cliente, che potrà ottenere un risarcimento danni
esemplare. Noi non abbiamo nulla da perdere, ma annullare il processo, mi perdoni, non è
una soluzione equa della controversia. Voglio che Damiano esca da qui dentro come uomo
libero e a testa alta, senza dover passare la sua esistenza a giustificare annullamenti di
processi che lasceranno per sempre il dubbio sulla sua onestà e sul suo coinvolgimento in
una storia gravissima e completamente inventata. Ritengo anche che, se si dovesse giungere
a una conciliazione, noi siamo disponibili a trattare sull’assoluzione con formula piena. Ho
terminato.
- Io invece trovo interessante la proposta del giudice Sorrentino - incalzò l’avvocato Carlini.
- La ritengo equa e soddisfacente per tutte le parti in causa. Insisterei sull’annullamento del
processo, se anche il Pubblico Ministero è d’accordo.
Al Pubblico Ministero non importava tanto della soluzione che gli attori del processo
decidevano di adottare. Anche lui era stato vittima di un processo completamente inventato.
Ma pur di chiudere la partita era disposto anche a soluzioni originali, come quella che io
proposi. Ma le sorprese erano destinate a non terminare. Dovetti richiamare un Carabiniere
che parlava con un signore sulla porta d’ingresso dell’aula del tribunale.
- Appuntato! Chi è quel signore sulla porta? Le ho detto di non far entrare nessuno!
- Giudice, il signore che vuole entrare è un avvocato. Dice che ha un mandato legale di un
testimone che sta qui fuori. E chiede di entrare.
- Lo faccia entrare. Cancelliere, verbalizzi gli estremi dell’avvocato. Lei è?
Era un avvocato incaricato dal medico neuropsichiatra che chiedeva di ritrattare la
propria deposizione. Carlini perdeva un altro cliente ma ormai ci teneva solo a non perdere
la faccia.
- Prego avvocato. Mi mostri la delega e ci illustri le sue richieste.
- Allora, il mio cliente asserisce di essere stato tratto in inganno per la questione della
perizia medico legale che avrebbe prodotto in questo processo. Il bambino in questione
soffre di tutte le patologie elencate nella perizia, ma il resoconto della madre, ritenuto
credibile proprio perché proveniente dalla madre, risulterebbe essere non vero. Il mio
cliente si dissocia quindi da eventuali dichiarazioni mendaci rilasciate dalla madre del
paziente ed è disponibile fin da ora a ritrattare l’intera perizia medico legale, attraverso
un’integrazione degli atti che potrebbe essere oggetto di una completa revisione del nesso
di causa effetto tra la visione di un ragazzo drogato ed eventuali turbe psichiche che
potrebbero derivarne.
- Avvocato, andiamo al sodo. Faccio molta fatica a seguirla.
- Il mio cliente ritratta la propria deposizione e chiede di non tenerne conto.
- Eh sì, troppo comodo amico mio. - disse Salviati con un’aria tra lo sfottò e la supponenza. Troppo comodo dissociarsi da una deposizione falsa e truffaldina. Il dottore pagherà come
tutti gli altri. Non un centesimo di meno.
L’altro avvocato che era subentrato all’ultimo momento, l’avvocato Palmieri, incaricato
dalla giornalista di Formia Oggi e dall’assessore alle Politiche Giovanili, decise di
irrompere nella discussione, con una proposta di accordo che a me sembrava abbastanza
equa.
- Io propongo di concedere l’assoluzione con formula piena a Damiano e in cambio
sottoscriviamo tutti, compreso il Pubblico Ministero, l’impegno a non proseguire in azioni
giudiziarie legate al procedimento in essere. Per quanto riguarda il pagamento degli
onorari all’avvocato Salviati, francamente, mi sembra una provocazione. L’avvocato
Salviati rinunci al suo onorario e chiudiamo qui la partita.
Damiano aveva la pressione a 500 e avrebbe sottoscritto qualsiasi accordo pur di non
spezzare la corda e ritrovarsi veramente con una condanna sulle spalle. Voleva che il suo
avvocato si fermasse lì, prendesse carta e penna, e firmasse qualsiasi proposta transattiva pur
uscire al più presto e prima che Carlini ci ripensasse e andasse a puttane tutta la strategia
difensiva. Anche a me sembrava una proposta equa. Salviati aveva già vinto e non poteva
forzare oltre. Carlini era al tappeto e sapeva che Salviati prima o poi doveva cedere.
Allora tutti ci girammo verso Salviati in attesa di una risposta definitiva. E lui, senza
rispondere al collega e senza dire una sola parola, si alzò dalla sua sedia, si aggiustò il nodo
della cravatta, avvicinò la sedia vuota al tavolo, e con voce teatrale disse:
- Nessuno mi può costringere a rimanere in quest’aula a farmi pisciare addosso da avvocati
nominati 15 secondi fa. Io voglio il mio onorario. Non sono il figlio della serva. Io esco in
attesa della lettura della sentenza. Damiano, usciamo e aspettiamo fuori. Signori, con
permesso.
Damiano non voleva uscire. Voleva accordarsi, firmare, sottoscrivere qualsiasi carta che
lo scagionasse, anche senza assoluzione e senza pagamento degli onorari. Se il problema era
la parcella dell’avvocato, avrebbe provveduto lui stesso a saldare il conto. Ma proprio
quando Salviati stava per arrivare alla porta dell’aula di tribunale, Carlini si alzò dalla sedia
e cedette su tutta la linea.
- Va bene avvocato Salviati. Provveda lei stesso a formulare una proposta transattiva e le
prometto che anche gli altri colleghi la sottoscriveranno. Ha vinto. Non posso che
congratularmi con lei.
Ci mise poco meno di cinque minuti a formulare la proposta da sottoporre ai colleghi
dell’accusa. Damiano Pompa assolto con formula piena e a Filippo Salviati diecimila euro di
onorari, che sarebbero stati saldati dai testimoni e dagli attori della costituzione di parte
civile.
Alle 19,42, nonostante le resistenze dell’avvocato Carlini, feci rientrare il cameraman e
gli chiesi di iniziare le riprese. Dopo cinque minuti feci entrare il pubblico che ancora
attendeva all’esterno. Nessuno di quelli che aspettavano all’esterno sapeva quello che avrei
detto. Per questo scandii le parole una ad una, con la giusta solennità che dovrebbe scandire
ogni sentenza.
Non feci nulla per sedare il gran baccano che seguì la lettura del dispositivo di sentenza.
I signori Pompa, Valerio e Arturo, presero di peso a Damiano e lo portarono in trionfo fuori
dall’aula. I falsi testimoni e i rappresentanti della costituzione di parte civile uscirono
soddisfatti per lo scampato pericolo corso. Il PM e il cancelliere uscirono dal retro per
evitare l’ingorgo di persone davanti l’ingresso del tribunale. Carlini chiese ai suoi
collaboratori di lasciarlo solo e io congedai i Carabinieri e il cameraman. Rimanemmo io,
Salviati e Carlini.
- Allora giudice - mi chiese Carlini molto più rilassato e leggermente sorridente - ora che il
processo è terminato può chiedere all’avvocato Salviati di consegnarmi una copia dei CD
con le riprese della videosorveglianza?
- Salviati, visto che di copie ne ha una decina, me ne lascia una anche a me? Sa ….
semplice curiosità professionale, niente di più … tanto oramai, pure se sono vuoti ….
nessuno potrà usarli contro di lei e Damiano.
- Non son vuoti, ecco … una copia a lei e un’altra a lei …. e spero, invece, che il mio
collega ne faccia buon uso … io intanto vado via … mi aspettano i festeggiamenti …. È
stato un piacere conoscerla giudice Sorrentino … anche lei Carlini … buona fortuna ….
Carlini aprì di scatto la sua valigetta, accese il computer portatile che c’era dentro, inserì
il CD appena consegnato da Salviati e insieme ne verificammo il contenuto. Non era vuoto.
C’era uno stralcio de “I doveri” di Cicerone. .
Sed iniustitiae genera duo sunt, unum corum, qui inferunt, alterum corum, qui ab iis,
quibus infertur, si possunt, non propulsant iniuriam. Nam qui iniuste impetum in
quempiam facit aut ira aut aliqua perturbazione incitatus, is quasi manus afferre videtur
socio; qui autem non defendit nec oboisti, si potest, iniurae, tam est in vitio, quam si
parentes aut amicos aut patriam deserat. Atque illae quidem iniuriae, quae nocendi causa
de industria inferuntur, saepe a metu proficiscuntur, cum is, qui nocere alteri cogitat,
timet, ne, nisi id facerit, ipse aliquo afficiatur incommodo.
Maximam autem partem ad iniuriam faccenda aggrediuntur, ut adipiscantur ea, quae
concupiverunt; in quo vitio latissime patet avaritia.
Delio Fantasia, 14 marzo 2014