cazzo bizzeffe
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cazzo bizzeffe
IL PROCESSO - Seduti prego. Allora abbiamo un processo per uso, consumo e detenzione di sostanze stupefacenti, con una serie di aggravanti che poi esamineremo, a carico di Damiano Pompa iscritto al registro 4428/2010. E’ presente l’imputato? Damiano alzò la mano segnalando la sua presenza. Era in completo stato confusionale. Non sapeva perché si trovava in quell’aula, perché era sotto processo e perché tanta attenzione nei suoi confronti. Aveva il viso completamente logorato dall’ansia e dallo stress. Aveva due borse sotto gli occhi delle stesse dimensioni delle due valigie che portava con sé. - Signor Pompa, cosa contengono quelle due valigie che sono accanto a lei? Damiano si volse verso il suo avvocato con gli occhi stralunati, di chi avrebbe volentieri risposto: “ma chi è questo? chi lo ha visto mai! ma questo che cazzo vuole da me? ma che cazzo te ne fotte a te di quello che c‘è in queste valigie?”. - Vestiario, signor giudice, e qualche libro - rispose l’avvocato Filippo Salviati iniziando la sequela di menzogne che avrebbe protratto fino al termine della sua arringa finale. Quando sarà il momento spiegheremo il perché di queste due valigie. - Grazie avvocato. Bene … allora … il giudice che ha seguito la fase istruttoria del processo ha già ammesso le costituzioni di parte civile degli enti e delle associazioni che ne hanno fatto richiesta. Ci sono opposizioni da parte del Pubblico Ministero e della difesa? Nessuna obiezione. - Bene. Voglio essere chiaro fin dal principio per evitare fraintendimenti. Per un processo del genere e per la gravità del reato contestato in media non vengono dedicati più di trenta minuti. Quindi ci terrei che tutti noi ci attenessimo alla media dei tempi senza prolungarci oltremodo in disquisizioni di carattere filosofico e metafisico. Ci sono obiezioni? - Sì, signor giudice - rispose il Pubblico Ministero. - Qui non ci troviamo di fronte ad un banale reato di uso, detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti. Se fosse così basterebbe molto di meno per condannare o assolvere un imputato. Qui ci sono aggravanti che devono essere considerate una a una come fatti di rilevanza penale. La presenza di un narcotrafficante sudamericano, la specificità della sostanza stupefacente, i danni psicofisici di un infante e della propria madre, nonché le varie richieste di costituzione di parte civile, richiedono una serie di approfondimenti e di tempi di discussione molto più lunghi di quelli che mediamente sono riservati a processi per il consumo di una canna di hashish. Inoltre dobbiamo considerare la lunga serie di testimoni e deposizioni spontanee che potrebbero venir fuori durante il processo, e le testimonianze, proprio per la rilevanza penale che rivestono, devono essere assunte con la massima precisione e cautela. - Pubblico Ministero, vuole insegnarmi il lavoro di giudice e come si conduce un processo? Inaspettatamente l’avvocato Salviati prese le difese del Pubblico Ministero. - Signor giudice, sono d’accordo anche io con il Pubblico Ministero. Prendiamoci tutto il tempo che ci vuole senza porre alcun limite al tempo dei vari interventi. Io, per quanto mi riguarda, formulerò una arringa di meno di dieci minuti, e quindi sono sicuro che durante lo svolgimento del processo potremo recuperare tutto il tempo necessario per arrivare a una sentenza nel primo pomeriggio di oggi. Quella mossa mi spiazzò. L’avvocato della difesa che era d’accordo con l’accusa. Strano. Anche Damiano trovò strano quel comportamento, tant’è che rimase per qualche secondo a bocca aperta con lo sguardo di chi vorrebbe dire: “cazzo … cominciamo bene …. questi ci stanno per fare un mazzo tanto e tu, invece di attaccarli, li difendi pure?” E fu allora che l’avvocato Carlini chiese la parola e iniziò una di quelle pippe che non finiscono mai sulla procedura processuale e sulla correttezza dei giudici. Quindici minuti di allusioni nei miei confronti che lasciavano presagire una serie di attacchi che avrei dovuto subire per l’intera giornata. -Avvocato Carlini, lei è libero di prendersi tutto il tempo che vuole per le testimonianze, le deposizioni e il suo intervento. Io, però, sarò libero di indispettirmi se poco poco mi accorgo che si sta tirando alla lunga una situazione che può essere risolta in breve tempo. Faccia come crede e io farò altrettanto. Carlini incassò il colpo e si rimise a sedere con il capo chino. In poche parole, se si fosse dilungato ove non sarebbe stato necessario, io ne avrei tenuto conto nella sentenza finale. Piglia e porta a casa. - Per quanto riguarda possiamo iniziare. Chiedo a tutti coloro che devono testimoniare e deporre di uscire dall’aula. Saranno richiamati uno alla volta. Prontamente si alzarono una quindicina di persone che lentamente uscirono dall’aula. LA RELAZIONE DEL P. M. - Fu il Pubblico Ministero a dare il via alle danze. La sua relazione introduttiva durò non più di quindici minuti. Evidentemente la mia richiesta di non perdere tempo e non dilungarsi oltre il dovuto era stata pienamente accolta. La minaccia che avrei potuto infastidirmi nei confronti di coloro che sarebbero stati ridondanti e pleonastici, aveva funzionato. Il P.M. fu breve e coinciso. Elencò in modo oggettivo e articolato tutti i capi di imputazione relativi al processo di Damiano e non espresse alcun giudizio di merito sulla vicenda, riservandosi nella requisitoria finale di formulare l’intera richiesta dell’accusa. Sembrava oggettivo e imparziale e quel modo di proporsi mi confuse le idee. Non sapevo se il P.M. fosse uno di loro o agisse secondo scienza e coscienza. Era la prima volta che lo vedevo in azione e almeno fino a quel momento mi fece una buona impressione. Si attenne esclusivamente a quanto riportato dai verbali della Polizia di Formia e della Polizia Giudiziaria della procura. Raccontò effettivamente i fatti come erano andati secondo gli atti depositati. Espresse il rammarico per la mancata comparizione di Damiano davanti all’ufficiale di Polizia Giudiziaria per rendere sommarie informazioni e la contumacia davanti al giudice delle indagini preliminari che lo rinviò a giudizio. In entrambi i casi la colpa fu dell’avvocato Egidio Caracciolo Di Trorchiaro che non volle costituirsi per le sommarie informazioni e non si presentò in aula durante il dibattimento dell’udienza preliminare, ma il P.M. non conosceva questi particolari. L’avvocato Filippo Salviati aveva le braccia e le gambe incrociate e ascoltava il P.M. senza prendere appunti. Aveva le labbra a culo di gallina e non tradiva alcuna emozione. Dalla mia postazione potevo vedere bene gli umori e le sensazioni dei partecipanti al processo e devo dire che dalla parte degli scranni della difesa non veniva tradita alcuna emozione. Damiano continuava ad essere stralunato e a chiedersi mentalmente con insistenza dove il suo avvocato voleva andare a parare. Si aspettava che ci fosse qualche interruzione da parte di Filippo e che si incazzasse quando il P.M. elencava quella serie di falsità. Ma tutti sapevamo che il P.M. faceva solamente il suo dovere e che si atteneva scrupolosamente agli atti giudiziari. La telecamera che era posta alla mia sinistra e che riprendeva l’intero processo in diretta, indugiava spesso sullo sguardo dell’avvocato di costituzione di parte civile. Me ne accorsi perché il mio computer portatile era collegato proprio con uno dei siti web che trasmettevano in diretta il processo e mi divertivo a seguire le riprese televisive e godere di quelle immagini. Il P.M. fu chiaro e determinato. Se veramente Damiano fosse stato innocente lo avrebbe dovuto sostenere dinanzi al Giudice delle Indagini Preliminari, dove poteva dichiararsi innocente e dimostrare la propria estraneità ai fatti. Quella mancata comparizione rappresentava per il P.M. un oltraggio alla corte e un dispendio oneroso per il costo del processo in corso. Il codice di procedura civile e le prescrizioni in esso contenute andavano rispettate. La contumacia di Damiano doveva essere punita, altrimenti si sarebbe creato il precedente secondo cui ognuno era libero di non comparire alle udienze prefissate. Damiano maledì l’avvocato Caracciolo e gli augurò tutti i malanni previsti dal codice nazionale delle bestemmie correnti. E la stessa sorte toccò al primo dei testimoni della pubblica accusa. GLI ISPETTORI MADONNA E PERCUOCO - Per primo entrò l’ispettore Madonna, che era il più scaltro della coppia. Era proprio lui il fidato di Pappagogna, quello che si prestò al gioco del progetto di “DISTRAZIONE DI MASSA” voluto dai consulenti del sindaco. Tra i due era quello più duro, più spietato, con più esperienza e sfrontatezza. L’ispettore Madonna aveva la faccia da sbirro, la pancia da sbirro, le mani da sbirro, lo sguardo da sbirro, uno che in mezzo a mille persone riconosceresti come sbirro. Era nato per fare lo sbirro. Ma non lo sbirro moderato, parco e riflessivo come dovrebbe essere qualsiasi sbirro. Lui era sbirro nel sangue, di quelli che si vedono in televisione, che lottano per il rispetto delle regole infrangendo tutte le regole, che non devono chiedere nulla a nessuno. Si sedette sul banco dei testimoni, lesse il foglietto con la formula del giuramento e iniziò a raccontare tutto quanto accadde quel pomeriggio di Pasquetta. Raccontò della siringa di eroina, del criminale sudamericano e dei bambini che giocavano sereni nel sito archeologico del porticciolo di Gianola. Al termine della sua deposizione volli fargli qualche domanda. - Ispettore Madonna, lei dice che era presente un delinquente sudamericano. Ma se veramente era un pericoloso delinquente, perché non lo avete arrestato? - Perché ci accorgemmo che era Pedro Alvarez solamente una volta tornati in ufficio, dopo aver controllato nello schedario dei delinquenti. Non potevamo arrestarlo senza essere sicuri che fosse lui. - E perché non siete tornati sul posto per arrestarlo? - Siamo tornati sul posto, ma lui, insieme ai tre ragazzi, era già andato via. - Lo avete più incrociato per strada? - No, altrimenti avremmo fatto il nostro dovere. - E ora dov’è questo Pedro Alvarez? - E’ uno dei dieci latitanti più pericolosi tra quelli ricercati dall’Interpool. Pensiamo che sia fuggito all’estero. Aveva imparato bene la lezioncina a memoria. Era preparato e addestrato, essenziale nelle risposte, attento a non commettere errori. Dallo schermo del mio computer notavo che l’avvocato Carlini annuiva a ogni sua risposta, come per guidarlo nelle risposte. - Ispettore Madonna, come mai non avete provveduto a riscontrare le impronte digitali sulla siringa che avete prodotto come referto processuale? - Perché la siringa ci cadde nel pantano e fummo costretti a lavarla, e purtroppo le impronte sono state cancellate. - Capisco … Quanti erano i bambini presenti quel giorno al porticciolo romano di Gianola? - Se non ricordo male c’erano in tutto quattro o cinque famiglie. - Avete provveduto a identificare i presenti? - No. - Come mai? - Non volevamo turbare la tranquillità di un giorno di festa, e poi pensavamo che non fosse necessario. Se avessimo identificato subito il narcotrafficante ecuadoregno saremmo stati sicuramente più attenti. Pensavamo che fossero solamente tre tossici di come se ne vedono in strada tutti i giorni. - Bene … Quanto tempo è durata l’identificazione dei tre ragazzi? - Dieci minuti, non di più. - Hanno opposto resistenza? - No, ma ridevano in modo molto irriverente di me e dell’ispettore Percuoco. - Come mai? - Evidentemente stavano strafatti. - Cioè? - Erano ubriachi e pieni di droga nelle vene. - Prima di andare via avete notato se ci fosse un bambino che più degli altri era rimasto shoccato dai tre ragazzi drogati? - Sì, vidi sulla sinistra un bambino che era ipnotizzato da tutta la vicenda. - Dal verbale risulta che solamente Damiano Pompa è responsabile della vicenda, e che gli altri due ragazzi erano vittime di forzature contro la propria volontà. - Sì, tant’è che gli altri due si presentarono dopo qualche giorno in commissariato per confermare di essere stati vittime di una forzatura da parte del signor Pompa. Effettivamente era lui quel giorno che aveva in mano la “roba”. - Per ora non ho altre domande. Se qualcuno vuole porre una domanda si accomodi pure. Il P.M. si ritenne soddisfatto. L’avvocato Carlini, invece, si soffermò sui turbamenti della mamma coraggio e del suo figlioletto in preda al panico. Chiese più volte all’ispettore Madonna di descrivere il viso della donna e del suo figlioletto, nel tentativo di far emergere il danno psicofisico del bambino. Decisi di intervenire duramente. - Avvocato Carlini, non mi risulta che l’ispettore Madonna abbia un qualche titolo accademico di psichiatra. Le sue domande non sono pertinenti con il processo in corso. - Signor Giudice, io sono l’avvocato di costituzione di parte civile. La madre del bambino sotto shock mi ha conferito mandato per chiedere i danni derivanti dal trauma che il pargolo ha subito. - Ci sarà tempo per approfondire la questione. Tra i teste leggo il nome di un neuropsichiatra che meglio di tutti potrà disquisire sull’argomento. L’ispettore Madonna non ha titoli, né accademici né professionali per descrivere stati d’animo di persone di qualsiasi natura. - Mi permetto di far notare a questa Corte che anche le impressioni di un modesto ispettore di Polizia possono servire a capire fino in fondo il danno che un innocente bambino ha subito per colpa del delinquente che è imputato in questo processo. Voglio comunque che sia verbalizzato quanto detto finora. - Cos’è? Una minaccia? - No, io non minaccio nessuno, tanto meno gli spettabili giudici come lei. - Avvocato Carlini, siamo partiti male, molto male. Qui dobbiamo solamente appurare se qualcuno il 5 aprile del 2010, a Formia, era in possesso di eroina, se l’ha spacciata, se l’ha consumata, se ha costretto due ragazzi estranei a subire le sue forzature e se ci fossero o meno un criminale sudamericano e una mamma con il suo bambino. Tutte le altre circostanze legate alla costituzione di parte civile riguardano un altro processo civile, quello che intenterete per risarcimento danni nel caso in cui Damiano Pompa sarà condannato. - Quello che sta dicendo, signor giudice, può essere usato contro di lei. Vuole che non conosca i codici di procedura processuale? Vuole che acquisisca agli atti le riprese televisive di questo processo e faccia causa anche a lei? - … ahahahahahahahah …. avvocato Carlini, stia al suo posto che è meglio … Avvocato Salviati, lei ha domande da porre al testimone? Fu a quel punto che l’avvocato Carlini si aggiustò la toga e provò ad alzare il tono della voce. - Signor Giudice, non ho ancora terminato il mio interrogatorio !!! Ho ancora altre domande da fare!!! - Prego avvocato Carlini … Le domande continuarono a essere non pertinenti con l’oggetto del processo ma feci finta di soprassedere. Del resto non volevo apparire troppo di parte. E’ vero che conoscevo già tutta la storia di Damiano e le falsità che si abbattevano su di lui, ma decisi di far finta di niente e tirare avanti. Damiano aveva un avvocato e sarebbe stato lui, eventualmente, a opporsi alle domande non pertinenti. - Terminato avvocato Carlini? - Certo, non ho altre domande. Grazie. - Avvocato Salviati ha domande da porre al test? L’avvocato Filippo Salviati si alzò, si avvicinò al microfono e tenendo un foglio in mano pose la domanda all’ispettore Madonna. - Lei è residente a Formia, vero? - Sì, sono residente a Formia. - Abita in via Garibaldi numero dieci, vero? - Sì. - Lei è proprietario dell’immobile in cui abita? - Sì, perché? - Il perché non la riguarda. Possiede altre proprietà immobiliari o terreni o fabbricati? - No, possiedo solo l’appartamento nel quale abito. - Bene, non ho altre domande. Un silenzio surreale fece da sfondo a quel piccolo interrogatorio di Salviati. Perché era importante il luogo di residenza dell’ispettore Madonna? E cosa c’entrava la proprietà dell’appartamento con il processo di Damiano? Tutti i presenti si aspettavano un interrogatorio incalzante, uno di quegli interrogatori di terzo grado che si vedevano in tutti i polizieschi televisivi, che inchiodano gli interrogati alle loro contraddizioni. Tutti rimanemmo sorpresi di quelle tre domande insignificanti e senza senso. Più di tutti Damiano, che rimase basito da quelle domande apparentemente prive di alcun interesse processuale. Eppure l’avvocato Carlini e il suo staff si erano dannati l’anima per valutare tutte le domande che Salviati avrebbe potuto porre e tutte le risposte che bisognava dare per non cadere in contraddizione o dire cose che potevano essere usate contro di loro. I testimoni sapevano a memoria tutte le domande che gli avrebbero posto e tutte le risposte da dare, comprese il non ricordo, oppure è passato troppo tempo, oppure ancora mi sembra, mi pare, se non ricordo male. - Ispettore Madonna, si tenga a disposizione fuori dall’aula per altre eventuali domande e faccia entrare il suo collega Percuoco. Anche Percuoco aveva studiato bene la sua parte e in più aveva assistito fuori dall’aula a tutta la diretta televisiva dell’interrogatorio del suo collega. Percuoco non aveva la faccia da sbirro. Penso che avesse scelto la carriera in Polizia solo per lo stipendio e la certezza del posto di lavoro. Poi, è chiaro, a furia di praticare sbirri, chiunque assume le sembianze da sbirro, ma Percuoco non fu mosso al mestiere da alcuna vocazione. A Percuoco l’avvocato Carlini chiese di descrivere lo stato d’animo di Damiano Pompa. Se durante il blitz di Pasquetta sembrava turbato, ansioso, sospettoso. Se le pupille degli occhi fossero dilatate, se durante la redazione del verbale provasse una qualche aritmia cardiaca e altre domande del genere. Prima che io lo redarguissi, l’avvocato Carlini precisò: - Ispettore Percuoco, lei non ha una laurea in medicina o in neuropsichiatria. Però, diciamo la verità, lei ogni giorno incontra decine di drogati vero? - Sì, ne incontro a bizzeffe. - Quindi sa riconoscere un drogato da eroina da uno da cannabis o da un ubriaco, vero? - Sì, ne ho visti talmente tanti che li riconosco a chilometri di distanza. - Bene, non ho altre domande. Mi rivolsi all’avvocato Salviati per sapere se aveva domande da porre. - Sì signor Giudice. Ispettore Percuoco, lei che è esperto in facce da drogati, io che faccia ho? Drogato, alcolizzato, o altro? Tutti coloro che erano in aula iniziarono a ridere fragorosamente. Lo interruppi. - Avvocato Salviati non faccia lo spiritoso e si attenga alla solennità di questo processo. - Scusate Giudice. Vengo subito alla mia domanda. Allora, ispettore Percuoco, lei è residente a Formia, vero? - Sì. - E’ sposato? - Sì, sono sposato. - Abita in un appartamento in piazza della Rimembranza, vero? - Sì. - Lei è proprietario dell’immobile in cui vive? - Sì. - A dire il vero dal catasto risulta che lei è proprietario al 50% con sua moglie. - Sì, è vero. Ma se lo sa già perché me lo chiede? - Solo per avere un riscontro. Questo elenco patrimoniale risale a sei mesi fa. Può anche darsi che in questi sei mesi lei abbia divorziato, oppure abbia acquistato l’intero immobile, non trova? - Sì, certo. Ma non capisco cosa c’entra la mia casa con il processo in corso. - Ispettore Percuoco, lei non è qui per capire, ma solo per rispondere alle domande. Chiaro? Siamo noi che dobbiamo capire, non lei!!! Due testimoni e due richieste di conferme delle loro proprietà immobiliari. C’era da aspettarsi che la stessa domanda l’avrebbe posta anche ai successivi testimoni, ma lo avremmo scoperto da lì a qualche minuto. - Bene, ispettore Percuoco, anche lei esca dall’aula e resti a disposizione ancora un po’ di tempo. Potremmo anche chiamarla per ulteriori domande, ok? - Va bene. - Allora esca e chiami i due ragazzi testimoni che stavano con Damiano Pompa il giorno di Pasquetta. VALERIO E ARTURO - L’avvocato Salviati si alzò in piedi nella sua postazione e chiese la parola. - Giudice, se siamo tutti d’accordo possiamo anche evitare di ascoltare i due ragazzi. Hanno già messo per iscritto quello che avevano da dire e quindi, per l’economia del processo, se l’avvocato Carlini è d’accordo, possiamo anche evitare di ascoltarli. L’avvocato Carlini chiese un paio di minuti di tempo per consultarsi con il suo staff e decidere della proposta del suo avversario. Gli otto avvocati di Carlini sembravano spiazzati dalla proposta di Salviati. Tutto il collegio accusatorio temeva le testimonianze di Valerio e Arturo, sia perché erano amici dell’imputato e sia perché erano gli unici due a non essere stati addestrati alle domande e alle risposte delle testimonianze. Carlini si aspettava che il suo collega avversario avesse cercato proprio in Valerio e Arturo la possibilità di ribaltare il processo, e temeva la possibilità che i due ragazzi fossero stati contattati da Damiano per testimonianze blande e contraddittorie. C’era puzza di bruciato in quell’aula di tribunale e Carlini iniziava a sentirne l’olezzo maleodorante. - Va bene - rispose Carlini dopo cinque minuti - saltiamo gli interrogatori dei due ragazzi e procediamo oltre. Anche Valerio e Arturo stavano assistendo al processo fuori dall’aula di tribunale su un computer portatile. Anche loro rimasero come interdetti dalla proposta di Salviati. Ma come? Invece di approfittare della situazione, di ascoltarli nella speranza di qualche ancora di salvataggio, quello rinunciava a due testimonianze di sicuro interesse? In quell’aula eravamo almeno duecento persone, ma solo una, Filippo Salviati, sapeva come sarebbe andata a finire. Lui aveva visto quei due luccichii al porticciolo romano di Gianola due giorni prima e sapeva che utilizzo ne avrebbe fatto. Evidentemente le testimonianze di Valerio e Arturo erano ininfluenti al fine del giudizio finale. L’avvocato Carlini era contento per lo scampato pericolo al quale sarebbe incappato con le testimonianze dei due amici di Damiano, anche se, però, non riusciva a capire bene come Salviati glielo avrebbe messo a quel posto. Un processo da quattro soldi, con una sicura sentenza favorevole, con parcelle che neanche Berlusconi pagava, con tutti gli elementi che deponevano a suo favore, eppure sentiva che poteva perdere la causa. Carlini aveva bisogno di rimettere a posto le idee. Iniziava a sudare freddo. L’avvocatuncolo di provincia si comportava in modo difforme dal previsto. Non rispettava il copione che Carlini si aspettava che seguisse. Cosa c’entrano i beni patrimoniali dei testimoni? perché aveva in mano una copia dell’elenco di tutti gli immobili, terreni e fabbricati dei testimoni? qual’era la sua strategia? Per la prima volta Carlini si sentiva in difficoltà. Difficoltà che non aveva preventivato. - Signor giudice, - disse Carlini - visto che si è fatta l’ora di pranzo, propongo una pausa di una mezz’oretta per mangiare qualcosa. - No. E’ ancora presto. Sentiamo un altro testimone e poi ci fermiamo. LA MAMMA CORAGGIO - Il P.M. fece un breve resoconto della vicenda della mamma coraggio e del figlio sotto shock, sempre secondo quanto allegato agli atti del processo. Prese atto che la richiesta di costituzione di parte civile da parte della signora era già stata accolta dal giudice che aveva seguito la fase istruttoria prima di me, puntualizzando che la signora era anche indicata come testimone del processo di Damiano. Chiese cortesemente alla mamma coraggio di raccontare quanto avvenuto quel giorno di Pasquetta al porticciolo romano di Gianola, lasciando al neuropsichiatra tutte le valutazioni mediche del caso. Il giorno di Pasquetta al porticciolo romano di Gianola non c’era alcuna mamma coraggio, alcuna donna, alcun bambino e nessun altro oltre i tre ragazzi e i due ispettori di Polizia. Tuttavia l’attricetta scritturata da Carlini narrò minuziosamente tutti i particolari del luogo e delle circostanze, come se effettivamente fosse stata presente. Era una discreta attrice che sapeva anche commuoversi e commuovere chi la ascoltava. Anche la mimica facciale e quella corporea assecondavano perfettamente una recitazione melodrammatica di mediocre fattura. Dopo il P.M. toccò all’avvocato Carlini. - Buongiorno signora - disse Carlini con un sorriso sdrammatizzante - Come sta? - Bene grazie. - E suo figlio. La donna riabbassò lo sguardo con un chiaro automatismo recitativo e sospirò a pieni polmoni. - E’ ancora un po’ giù. - Le faccio solo qualche domanda, perché immagino che rimestare nella memoria può solo far male a chi ha assistito alla vicenda. - Grazie avvocato. - Fu veramente agghiacciante la scena alla quale assistette suo figlio? - Sì, non solo per i bambini ma anche per noi adulti. - Aveva mai assistito a scene come quella dell’iniezione di eroina in pubblico? - No. Mai. Né io né mio figlio. - Perché la scena era agghiacciante? - Perché dai volti dei tre giovani traspariva dolore e sofferenza. Avevano gli occhi a palla e urlavano con striduli acuti. - Prima che glielo chieda l’avvocato della difesa, glielo chiedo io … perché non ha preso il figlio e non è andata immediatamente via da quel posto? La donna finse di pensare e di essere indecisa, ma in realtà quella domanda era già stata concordata con lo staff di Carlini. - Perché … non so … effettivamente io provai ad andare via … ma lui era avvinghiato a un tubo di ferro vicino al braccio del porto ed era come ipnotizzato … con la bocca aperta … con gli occhi spalancati … senza dire niente, come se avesse perso la parola … era come paralizzato … ci vollero più di dieci minuti per distoglierlo da quella scena … - Grazie signora … va bene così … L’avvocato Filippo Salviati prese due fogli, si alzò e ricominciò la sua tiritera. - Signora, lei abita a Terracina, vero? - Sì. - La casa in cui abita non è di sua proprietà, vero? - Sì, sono in affitto. - Lei non è proprietaria di alcun immobile, terreno o fabbricato? - Esatto. Sono nullatenente. - Bene. Lei lavora come cuoca in un ristorante di Gaeta? - Sì. - Ha debiti con qualche banca o società finanziaria? - No. - Grazie. Per me può andare. In aula c’era l’aria condizionata a palla ma l’avvocato Carlini sudava in modo inconsulto. Non era un deficiente e sapeva che le domande di Salviati avevano un fine ben preciso. Un fine che gli sfuggiva. Personalmente decisi di non porre alcuna domanda. Quella sceneggiata dei testimoni falsi mi stava disgustando. Al punto da non avere neanche fame. Mantenni tuttavia la promessa fatta all’avvocato Carlini di sospendere il processo per mezz’ora. Ne avrei approfittato per un caffè e una puntatina in toilette. L’INTERVALLO - La pausa fu burrascosa nella fazione di Carlini. Nell’aula che utilizzarono per rifocillarsi, le urla si udirono fin nei corridoi. - Voglio sapere quello stronzetto cosa ha in testa …. E voglio saperlo entro pochi minuti, capito???!!!! … pensate, riflettete, ma trovate la soluzione … lo capite o no che quello ce lo sta mettendo in culo? contattate tutti gli studi legali d’Italia con i quali collaboriamo, raccontategli tutto e vedete di ottenere il massimo numero di risposte … se perdiamo questo processo è la fine per tutti … Qualche collaboratore provò a dare risposte approssimative, piene di sembra e forse. Ma Carlini voleva sapere a tutti i costi cosa Salviati avesse in mente. Secondo i loro piani avrebbe dovuto mettere sotto torchio i testimoni, cercare di farli cadere in contraddizione, ascoltare Valerio e Arturo che erano gli unici che potevano salvarlo. E invece quello se ne usciva con le proprietà immobiliari dei testimoni, con i debiti bancari della mamma coraggio e con questioni che non erano state contemplate. Insomma, un processo che poteva essere chiuso con estrema facilità, rischiava di trasformarsi in un processo dall’esito incerto, con tutte le conseguenze d’immagine che lo studio legale Carlini avrebbe potuto patire. - Quello ce lo sta mettendo in culo e noi navighiamo nel buio … porca puttana … ma chi cazzo è questo avvocatuncolo da quattro soldi? È sicuro che è il suo primo processo? Tutti confermarono che Salviati era al suo primo processo. - Fate delle ricerche, trovate più informazioni su questo cazzo di Salviati. Voglio tutti i dati prima della mia arringa. Voglio vedere se ha qualche nervo scoperto, qualche scheletro nell’armadio, qualche zoccola sotto il letto. Chiamate i nostri collaboratori delle procure di Napoli e Caserta e cercate di scoprire tutto su questo maledetto Salviati. Subitooooooo!!!!!! Anche i collaboratori di Carlini sudavano freddo. Corsero fuori i corridoi, tutti con i telefoni cellulari all’orecchio in cerca dei più importanti e bravi colleghi di Carlini. In pochi minuti dovevano raccontare gli antefatti e trarre più informazioni possibili. Tutti i collaboratori sapevano che la diretta televisiva e le attenzioni dei media avrebbero determinato il più grande sputtanamento della storia dei tribunali italiani. Si sarebbe detto che il grande studio legale Carlini perdeva un processo contro un avvocato alla sua prima esperienza. Un processo che Carlini non poteva perdere. Strano a dirsi ma anche Damiano sudava freddo. In quello scontro di alta ingegneria giurisprudenziale lui non ci capiva un cazzo. Sapeva solo che l’unico a rischiare il carcere era lui e prima di rientrare in aula pretese di sapere da Filippo qual’era la strategia difensiva. Non poteva più restarne all’oscuro, valeva il suo futuro. - Voglio sapere tutto - disse Damiano - e lo voglio sapere ora. Io non ci sto a capi’ un cazzo e qui l’unico che rischia il culo sono io. Quindi voglio sapere per filo e per segno come pensi di salvarmi la vita. Cazzo!!! - Se io ti dico tutto, succede che poi tu cambi aspetto. - Cioè? - Per la buona riuscita del processo tu devi apparire turbato e isterico fino all’ultimo minuto, altrimenti perdiamo. - Cazzo!!! E se perdiamo? E se io avrei potuto aiutarti e non ho potuto farlo perché tu non mi dici un cazzo? - Ma non è vero … tu mi stai aiutando eccome !!! Devi solamente restare teso e nervoso come stai in questo momento. - Non ce la faccio più … sto scoppiando di brutto … - Ma tu devi avere fiducia in me! - Non posso. Io sto per finire in galera e non posso stare né tranquillo né fiducioso. E poi come faccio ad avere fiducia in te. Solo un paio d’ore fa ho saputo che questo è il tuo primo processo. Perché non me lo hai detto prima? Magari ti avrei affiancato a qualche avvocato più esperto nelle procedure. O no? - Ancora con questa storia?? Tu vincerai la causa con la formula “perché il fatto non sussiste” e da stasera sarai libero e innocente. Credi in me. - Ma l’hai visto Carlini? Lui è sicuro, fa le domande ai testimoni. Tu niente. Non apri bocca, non contesti le falsità. Chiedi solo dove abitano. Che cazzo ce ne frega a noi di dove abitano quei rottinculo pagati da Pappagogna? E poi vuoi dirmi a che cazzo servono quelle due valigie che mi hai fatto portare? Continuarono a discutere animatamente per altri cinque minuti. Damiano arrivò a minacciare di togliergli il mandato legale durante il processo e chiedere la rappresentanza di un legale d’ufficio. Non ci stava a perdere da coglione, con un avvocato che non sapeva fare il suo mestiere. Allora facciamo così. Tagliamo la testa al toro. Se putacaso tu dovessi perdere il processo, io mi tirerò in disparte e tu sceglierai liberamente senza alcun vincolo il tuo nuovo avvocato per l’appello? Ok? IL MEDICO NEUROPSICHIATRA - L’udienza riprese alle 13,45 nell’aula affollatissima di curiosi, giornalisti e fotografi. I lavori sarebbero proseguiti con l’ultima testimonianza del medico neuropsichiatra e con le deposizioni spontanee degli attori della costituzione di parte civile. - Buongiorno dottore - dissi io. - Quindi lei è il famoso dottore che ha preso in cura il ragazzo sotto shock? - Si, sono io. - Senta, e oggi come sta il bambino? - Soffre di varie patologie di natura psichiatrica. Negli allegati al processo c’è la mia relazione medico legale con la prognosi medica che ho redatto nei giorni scorsi. Il bambino sta male e ci vorrà ancora un po’ di tempo prima che si riprenda. - Bene. Cancelliere, mi passi la relazione del medico legale e vediamola un po’. Rilessi quella marea di menzogne che il medico aveva scritto prima del processo. In realtà esisteva un bambino sotto shock per motivi psichiatrici ed effettivamente risultarono ricoveri, diagnosi e terapie. Ma quel bambino descritto nella relazione non era mai stato in vita sua al porticciolo romano di Gianola. Era semplicemente un disgraziato che i consulenti del sindaco trovarono in una clinica di Latina, dove era ricoverato già da tempo, e che soffriva effettivamente di tutte le turbe denunciate dalla madre. Alla finta mamma coraggio fu offerto il pagamento di tutte le prestazioni sanitarie in cambio di una testimonianza in tribunale e il medico neuropsichiatra era complice e correo di tutta la situazione. A lui, al medico, venne offerto il pagamento di tutte le parcelle e anche dieci consulenze medico legali che Carlini gli avrebbe procacciato nelle future settimane, per un importo non inferiore ai trentamila euro. - Dottore, lei nella relazione non ha dubbi nel definire il principio di causa effetto. Conferma? - Sì, giudice, non ho dubbi. - E queste turbe non potevano derivare da altre cause? Che so io, un film dell’horror visto in televisione, ad esempio. - Sì, anche alcuni film possono incidere profondamente sulla psicologia di un bambino di otto anni, ma escludo che il caso in questione possa avere questa origine. Svolgo il mio lavoro da oltre venti anni, sono primario di neuropsichiatria infantile, e posso assicurarle che i sintomi che ho riscontrato nel fanciullo sono riconducibili essenzialmente alla visione di un uomo intento a drogarsi con l’eroina. E nella relazione che ha davanti troverà tutte le indicazioni che serviranno a decidere in merito alla richiesta dei danni che la madre proporrà in corso di causa civile. Finsi di leggere con attenzione la relazione del medico, ma in realtà non capivo nulla di quanto scritto. - Grazie dottore, avvocato Carlini … qualche domanda da porre? - Certo, però prima vorrei allegare agli atti del processo un certificato di un altro medico neuropsichiatra di Bologna che accerta le stesse circostanze denunciate dal dottore del bambino. Se non ci sono eccezioni potrei avvicinarmi e consegnargliela. - Avvocato, ma lei sa meglio di me che tutti gli elementi di prova e di riscontri devono essere consegnati venti giorni prima del processo!!! - Certo che lo so. Infatti ho premesso che la consegna sarebbe avvenuta se non ci fossero state eccezioni. - Avvocato Salviati, lei si oppone alla consegna fuori tempo massimo di nuovi e ulteriori elementi di prova e di riscontri? - Non ci penso proprio. Nessuna eccezione. Solo che gentilmente vorrei una copia con gli estremi del medico che ha scritto questa relazione. Tutto qui. - Lei quindi non si oppone. - Esatto. Non mi oppongo. Damiano stava scoppiando dalla rabbia. Ma come? puoi opporti e non lo fai? una volta tanto che avresti ragione, ti tiri indietro? Sembrava incazzato come una bestia, ma del resto era proprio quello che il suo avvocato voleva. Per la vittoria finale era necessario che Damiano fosse visibilmente scosso. E lo era. Infatti la telecamera delle riprese televisive ora indugiava spesso sul viso di Damiano, con primi piani di ottima qualità. Anche Carlini non era tranquillo. Si aspettava, secondo una procedura consolidata, che Salviati si opponesse alla consegna di quel documento, che sbraitasse, che inveisse contro di lui. Invece niente. Non voleva neanche una copia della relazione, ma solo gli estremi di identità del medico di Bologna. Cosa doveva farsene dell’indirizzo di quel medico? perché gli interessava tanto conoscere le sue generalità e non cosa avesse scritto. Carlini sapeva che stava perdendo la causa, ma per la prima volta in vita sua era completamente spiazzato. Non conoscere la strategia del suo avversario lo poneva in una condizione di estrema difficoltà. - Avvocato Salviati, ha domande da porre al testimone. - Sì, la solita. Dottore lei abita a Latina, vero? - Sì. - Lei possiede un appartamento a Latina, uno a san Felice Circeo e anche lo studio di ambulatorio è di sua proprietà, vero? - Sì. - Possiede anche una percentuale di proprietà in un casale ad Aosta, conferma? - Sì, confermo. - Grazie, non ho altre domande. Subito dopo il glaciale e riflessivo avvocato Carlini sbottò. - Giudice facciamola finita con questa messa in scena. L’avvocato Salviati deve dirci il perché di queste sue domande. Per me e per l’accusa queste domande non sono pertinenti, a meno che non si spieghino le ragioni delle stesse. Qui si sta superando ogni limite di correttezza tra colleghi di lavoro. Non si può chiedere a ogni testimone il suo stato patrimoniale e poi non dire il perché si pone questa domanda. Lei, giudice, deve porre fine a questa buffonata e ripristinare un clima corretto di procedure processuali!!! - Avvocato Carlini, sono sicuro che prima di stasera l’avvocato Salviati ci chiarirà la sua linea difensiva. Vero avvocato Salviati? - Ma certo. Se pongo queste domande qualche ragione ci sarà. Al termine del processo svelerò il mio intendimento, ma non prima di aver concluso tutte le deposizioni. Dico all’avvocato Carlini di stare tranquillo. Non sto violando alcun principio di correttezza deontologica. A lui, - disse Salviati con sorriso beffardo - del resto, non ho mica chiesto dove abita e quanti appartamenti ha. Per la prima volta dall’inizio del processo Damiano sembrò cambiare espressione del viso. Ascoltò con molta attenzione in battibecco tra Carlini e Salviati, e notare che il primo era incazzato come una bestia, lo iniziava a tranquillizzare. Fu proprio Damiano, qualche mese prima, a scegliere Salviati proprio perché aveva una faccia da puttana, ma talmente da puttana che avrebbe fatto nero chiunque si fosse azzardato a mettersi di traverso. Gli venne in mente lo scontro con i due ispettori quando cercarono di arrestare il clochard Renato in piazza Mussolini, oppure quando si trovò a discutere con la segreteria della cancelleria. E ora c’era l’avvocato Carlini in preda alle peggiori convulsioni isteriche che parlottava con i componenti del suo staff con fare nervoso e concitato. Forse la strategia processuale di Salviati prevedeva qualcos’altro oltre alla conoscenza diretta dello stato patrimoniale dei testimoni. PAPPAGONA E L’ASSESSORE ALLE POLITICHE GIOVANILI - Terminate le prove testimoniali diedi l’avvio per l’ascolto delle deposizioni spontanee dei rappresentanti degli enti e delle associazioni che avevano chiesto e ottenuto di costituirsi parte civile nel processo. Feci entrare in aula il sindaco di Formia Carmine Pappagogna, e lo feci accomodare alla postazione riservata ai testimoni. - Signor Pappagogna, si accomodi. - Grazie. - Lei è qui per deporre spontaneamente nel processo contro Damiano Pompa? - Sì. - Prego. - Allora innanzitutto grazie per avermi invitato e …. - Signor Pappagogna, nessuno l’ha invitata. E’ lei che ha chiesto di essere sentito. Noi siamo qui per ascoltarla. - Ah scusi, vostra eccellenza. - Vostra eccellenza. Chi è vostra eccellenza? - Non so … è lei … forse …. - Mi chiami signor giudice. E’ più che sufficiente. - Ah, vabbè. Allora, io sono qui perché è giusto stare contro la droga e io infatti sto aprendo un centro a Formia che poi ci metto la riabilitazione dei cosi … dei drogati perché Formia non può … - Signor Carmine Pappagogna, meglio che la interrompo ora così ci risparmiamo un sacco di tempo. Allora, lei è qui perché ha chiesto e ottenuto di costituirsi parte civile nel processo. Giusto? - Chi? - Lei. - Lei io? - Sì, lei lei. - Ah. - Bene, allora lei dovrebbe gentilmente elencare i danni che la città avrebbe eventualmente subito dal comportamento di Damiano Pompa, e nella successiva udienza, nella quale si discuterà del risarcimento danni, lei o il suo avvocato chiederete la cifra di risarcimento che secondo voi è più congrua. Va bene? - Chi? - Lei. - Ah. Quindi oggi non posso parlare. - Certo che può parlare. Mi dovrebbe gentilmente elencare i danni di immagine che secondo lei la città ha subito in questi ultimi tempi. L’avvocato Salviati mi chiese di intervenire. - Signor Giudice, io lascerei parlare il sindaco Carmine Pappagogna per ascoltare quello che ha da dirci. Poi eventualmente gli avvocati utilizzeranno quelle parti discorsive che riterranno utili alle proprie requisitorie. Altrimenti qui non ne usciamo più. Pappagogna era in palla. Con lo sguardo cercava l’avvocato Carlini che proprio per la figura di merda che gli stava facendo fare, finse di non conoscerlo. Anche l’avvocato Carlini era in palla, perché Pappagogna gli stava mandando a puttane tutto il ricorso di costituzione di parte civile per il quale era stato delegato. Nella deposizione spontanea, il sindaco elencò le opere pubbliche stradali che aveva messo in cantiere, i tanti meriti della sua amministrazione comunale e la volontà politica di ripulire la città da barboni, negri, mendicanti e comunisti, cioè dai drogati. Tutte circostanze che nulla avevano a che fare con l’oggetto del processo ma che per lui avevano una rilevanza particolare. La deposizione di appena cinque minuti fu un' incredibile guerra contro la grammatica italiana e la sintassi. Una guerra spietata, vinta da Pappagogna, a suon di inutili intercalare e di distruzioni di congiuntivi e condizionali. La platea rideva e rumoreggiava e io non feci nulla per sedare quel chiacchiericcio che faceva da sottofondo all’intervento del sindaco. Subito dopo Carlini cercò di metterci una pezza, chiedendo e ottenendo, con il permesso straordinario di Salviati, di interrogare il depositante. Carlini elencò tutti i dati statistici ed economici degli ultimi due anni evidenziando con numeri alla mano che tutti i settori turistici avevano subito uno spaventoso tracollo. Riuscì a far dire a Pappagogna che quel crollo era imputabile alla nomea che la città si era fatta perché piena di drogati, assassini e narcotrafficanti, che tutta la colpa era di quelli come Damiano che con il loro modo di comportarsi facevano scappare i turisti dalla città. Infine, visto che Pappagogna se ne era dimenticato, Carlini gli chiese se era vera la storia delle dimissioni in caso di vittoria processuale di Damiano e lui, che s’era studiato bene la parte a casa, giurò solennemente, seppur non richiesto, che non sarebbe rimasto un minuto di più alla guida di un comune dove i drogati possono girare indisturbati per le strade. In genere non era consentito agli avvocati di interrogare coloro che rilasciavano dichiarazioni spontanee, ma l’avvocato Filippo Salviati, nonostante potesse opporsi, non oppose alcun diniego a ché Pappagogna fosse interrogato. Se si fosse opposto, probabilmente la costituzione di parte civile da parte del Comune di Formia sarebbe stata tragicamente affossata. Salviati, insomma, acconsentiva a tutte le deroghe che Carlini gli chiedeva, sembrando più vicino all’accusa che alla difesa del suo assistito. Subito dopo, ovviamente, anche Salviati chiese di interrogare Pappagogna, e Carlini non poté opporsi. - Buongiorno sindaco, anche a lei porrò la stessa domanda che ho posto a coloro che l’hanno preceduta. - Cioè? Anche da me vuole sapere dove abito e tutte quelle cose lì? - Signor Pappagona, come fa a sapere che ai testimoni io ho chiesto dove abitano e tutte quelle cose lì? Lei non era fuori dall’aula fino a dieci minuti fa? Come fa a sapere tutte queste cose? - No, è che io stavo fuori e dal computer vedevo tutto. Carlini lo fulminò con lo sguardo. Io ridevo divertito dentro di me. Salviati proseguì il suo interrogatorio come se nulla fosse. - Bene sindaco. Allora, dai documenti catastali in mio possesso risulta che lei abita in un deposito agricolo di venticinque metri quadrati. Conferma? Non poteva confermare. Lui viveva in una splendida villa di trecento metri quadrati in collina costruita approfittando di una legge urbanistica che prevedeva la possibilità di trasformare i depositi agricoli in abitazioni residenziali, senza però mutare la superficie totale dell’immobile. Teoricamente Pappagogna abitava in una casetta di venticinque metri quadrati, risparmiando così su tutti i tributi comunali e sul fisco. Ma lui non poteva ammettere di non aver ancora provveduto all’accatastamento dell’immobile. Sarebbe stata un' ammissione di colpevolezza. Tuttavia, pur di non fare la figura del miserabile, ammise di vivere in un villone panoramico in collina. Rispose con indifferenza, dichiarando spudoratamente che lo stesso villone gli era stato valutato oltre settecento mila euro nonostante al fisco, agli uffici tributari e al catasto, risultasse ben più piccolo! - Bene sindaco, quindi lei dichiara di vivere a Formia in via delle Pietre Bianche numero 58? - Sì, confermo. - Lei è anche proprietario di sette appartamenti nella lottizzazione Donnafresca srl. Vero? - Sì, è vero. Ma li sto vendendo. - Beh, con lo stipendio da sindaco di tremila euro mese, devo dire che lei fa molte economie, vero? - Le domande non sono pertinenti - disse l’avvocato Carlini -. Si ricorda che il signor Pappagogna è qui in veste di rappresentante legale del Comune di Formia per la costituzione di parte civile, e non in qualità di potenziale trasgressore di norme urbanistiche. Chiedo a Pappagogna di non rispondere alle successive domande dell’avvocato Salviati. - Pappagogna può andare, e faccia entrare l’assessore alle Politiche Giovanili - dissi io con un’aria molto stanca e rassegnata. - Assessore, allora, ci dica. Lei rappresenta il Comune di Formia per la costituzione di parte civile nel processo contro Damiano, giusto? - Sì. - Lei ha chiesto di essere ascoltato con dichiarazione spontanea, giusto? - Sì. - Bene, le concedo cinque minuti di tempo. Sia coinciso ed essenziale, possibilmente. L’assessore alle Politiche Giovanili del Comune di Formia argomentò con molta disinvoltura i reali motivi della deposizione. Aveva partecipato a tutte le fasi di addestramento predisposte dallo studio Carlini, e quindi conosceva a memoria la parte che avrebbe dovuto recitare. Sembrava una interrogazione delle scuole medie su Giacomo Leopardi. Ripeteva la lezioncina impartita qualche ora prima ed esponeva il suo pensiero con una credibilità pari a zero. Fece comunque una bella figura, tanto che l’avvocato Carlini si ritenne soddisfatto della deposizione. Elencò tutti gli indici statici relativi al crollo del turismo e delle imprese a esso collegato, snocciolando dati e numeri di una crisi economica che nulla aveva a che fare con Damiano. Elencò i dati di differenziale con gli anni precedenti, rimarcando gli aspetti negativi dei dati economici di alberghi, pensioni, ristorati, bar e stabilimenti balneari. Secondo lui i turisti non venivano più a Formia perché si era sparsa la voce che era piena di drogati che giravano impunemente per la città. Anche all’assessore di Pappagogna toccò la stessa sorte dei precedenti. L’avvocato Salviati non lo risparmiò. - Assessore, lei abita ancora con i genitori, vero? - Sì, vivo con mio padre e mia madre. - Però lei è proprietario di un immobile dove insiste una palestra. Vero? - Sì. - E’ in via Garibaldi numero 12, vero? - Sì. - Di quanti metri quadrati è? - Circa duecentocinquanta metri quadrati. - E’ accatastato. Risulta anche dai miei riscontri. Non possiede niente altro oppure ha altri immobili, fabbricati o terreni? - No, non ho niente altro. Ma perché mi fa queste domande? Già, perché? Ma soprattutto perché Salviati non si era opposto all’interrogatorio di Carlini a Pappagogna. Se lo avesse fatto, la deposizione del sindaco di Formia sarebbe stata assolutamente inutile. Aver concesso a Carlini di porre domande gli consentiva di aggiustare la deposizione e utilizzarla in tutti i gradi del processo. E sarebbe risultata vana anche la deposizione dell’assessore. Invece, ancora una volta, quel comportamento misterioso di Salviati, che apparentemente favoriva l’accusa, fece crollare l’avvocato Carlini. C’era bisogno di un’altra pausa di almeno mezz’ora per fare il punto della situazione con il suo staff, e Carlini fece di tutto per convincermi. Addusse anche motivazioni fisiologiche pur di staccare la spina per qualche minuto per sentirsi in privato con i suoi collaboratori. Alla fine l’insistenza prevalse sulla mia pazienza e alle 15,10 sospesi il processo per massimo mezz’ora. Del resto mancavano solamente la requisitoria finale del Pubblico Ministero e le due arringhe di Carlini e Salviati. C’era tutto il tempo per chiudere il processo entro il fine pomeriggio. L’ULTIMA PAUSA DEL PROCESSO - Carlini si sedette a capo del tavolo della stanza riservata agli avvocati e iniziò la riunione con i suoi collaboratori. - Allora, proviamo a tirare le fila di questa giornata. Quel pezzo di merda di Salviati è troppo sicuro di sé, e questa cosa mi mette addosso una certa inquietudine. A tutti quelli che parlano gli chiede di confermare lo stato patrimoniale, che apparentemente non c’entra nulla con il processo. Avrebbe potuto opporsi al mio interrogatorio con Pappagogna e rendere vana la sua deposizione, invece niente. Avrebbe potuto opporsi in almeno un’altra decina di circostanze, e non l' ha fatto. O è un idiota che non conosce le norme di procedura dei processi, e io non ci credo, oppure ha in testa qualcosa che noi non sappiamo, e questo ci pone in enorme svantaggio. Lui sarà l’ultimo a parlare, e questo è ciò che dice la legge, e lui la legge la conosce bene. In questo modo nessuno di noi potrà replicare ai motivi che lo stanno inducendo a chiedere i redditi e i patrimoni di tutti quanti. Carlini aveva il viso contratto e gli occhi ben sgranati su tutto l’uditorio. Era apparentemente calmo ma non rassegnato. Se avesse saputo prima cosa Salviati aveva in testa, lo avrebbe distrutto. Lui era uno dei migliori avvocati d’Italia, ma il fatto che l’avversario giocasse a carte coperte lo irritava. - L’avvocato Salviati conosce tutta la mia strategia. Sa che punto tutto sulle prove testimoniali, e che la sola testimonianza dell’ispettore Madonna sarebbe stata più che sufficiente per sbattere in galera chiunque. Lui, quella faccia di cazzo di Salviati, conosce in anticipo ogni mia mossa, come è normale che sia, e sta continuando a giocare con i testimoni e con la pubblica accusa come se fossimo una massa di cretini. Quindi, datemi qualche indicazione prima di tornare in aula, altrimenti qui finite tutti in mezzo a una strada. Coloro che furono incaricati di scovare eventuali scheletri nell’armadio di Salviati, ammisero che su di lui non c’era neanche una multa per divieto di sosta. Salviati era lindo e immacolato come un lenzuolo bianco appena uscito dalla lavatrice. Su di lui non pendeva nessuna accusa, nessun reato e nessun motivo di rivalsa personale. Salviati era il cittadino esemplare per antonomasia. Fecero ricerche anche su come riuscì a vincere il concorso per ricercatore a Perugia, ma anche in quel caso dovettero ammettere che con quel curriculum Salviati avrebbe ottenuto cattedre universitarie in tutta Italia. Provarono anche a fare ricerche sui comportamenti etici dei genitori, ma fu vano. Due genitori esemplari con vite al di fuori di ogni sospetto. Carlini non ce la faceva più. Aveva in tasca un’ultima carta e se la sarebbe giocata appena rientrato in aula. L’avvocato Filippo Salviati e Damiano Pompa invece trascorsero la mezz’ora di pausa di fronte il tribunale. Bevvero due caffè e si sedettero al tavolino vicino la vetrata, da dove potevano tranquillamente osservare l’ingresso del tribunale. Parlarono del gran caldo di quella giornata e dell’estate che ancora tardava ad andarsene. - Domani vorrei proprio andare al mare - disse Damiano con fare ironico. - Sempre ammesso che stasera non vada a finire in galera. - Domani potrai liberamente andare al mare. Stasera, né mai, sarai arrestato e sarai un uomo libero e incensurato. - Fili’, ma come fai a esserne così sicuro. Non hai spiaccicato una sola parola a mio favore e pensi di vincere la causa? - La causa non l‘hai ancora persa. Riusciremo a vincere solamente se durante la mia arringa finale riuscirò a essere calmo e impassibile. Devo tenere i nervi saldi e non farmi trascinare in battibecchi. Dovrò riuscire a essere credibile fino in fondo, altrimenti potremmo rischiare di mandare tutto a puttane. Tra un’ora toccherà a me e alla prima arringa difensiva della mia carriera. Se tu resterai fermo la tuo posto e io riuscirò a conservare i nervi di ghiaccio, e a tutti quelli la dentro gli spaccheremo il culo. - Ma tu hai sempre avuto i nervi di ghiaccio. Ti ho conosciuto che ti stavi incaprettando due ispettori di Polizia e ora temi di perdere i nervi. Perché? - Perché dovrò mentire sapendo di dover mentire. E qualcuno là dentro saprà che sto mentendo. Ma ci sarà anche chi mi crederà, e dovrò far leva proprio tra coloro che crederanno alla mia storia. - Mentire? In che senso? - Vuoi vincere il processo? - E certo che lo voglio vincere. - E allora dobbiamo mentire. Sia io che te. - E il giudice ci crederà? - No, non ci crederà. Il giudice non è un cretino, ma non potrà fare a meno di adeguarsi alle circostanze. - Sei sicuro? - No, ma è l’unica possibilità che hai di essere assolto “perché il fatto non sussiste.” - Cioè? - Sarai assolto perché il 5 dicembre 2010, giornata di Pasquetta, al porticciolo romano di Gianola non c’erano alcune mamme coraggio, alcun bambino, alcun narcotrafficante, e che tu, Valerio e Arturo eravate soli. Ricordi che ti raccontai di due luccichii che intravidi due giorni fa? Beh, quelle due folgorazioni mi sono servite per giungere alle mie conclusioni. Se riusciremo a vincere questo cazzo di processo lo dobbiamo solamente al tenente Colombo. - Tenente Colombo? Che cazzo c’azzecca il tenente Colombo? - ahahahahah e lui che mi ha insegnato a non sottovalutare nessun particolare investigativo. Se quel sopralluogo lo avessimo fatto tre mesi prima, forse ci saremmo risparmiati un sacco di tempo inutile sprecato su ricerche giurisprudenziali e dottrinali. Io invece, il giudice Sorrentino, più sommessamente, trascorsi quella mezz’ora di pausa a rileggermi le carte processuali cercando di capire in anticipo quello che Salviati aveva in mente. E forse forse avevo capito perché chiedeva a tutti i dati patrimoniali. LA RIPRESA DEL PROCESSO - Sia l’avvocato Salviati che Carlini mi chiesero la parola appena rientrati in aula. Diedi la parola alla difesa come è giusto che sia. - Giudice, vorrei ascoltare anche la giornalista di Formia Oggi che ha seguito la cronaca locale di questi ultimi due anni. Vorrei porre anche a lei un paio di domande che ho posto ai testimoni e ai rappresentanti della costituzione di parte civile. - Va bene - risposi. Guardia, faccia entrare la giornalista di Formia Oggi. La giornalista era già in aula per rendicontare la cronaca del processo. Anche lei era nell’elenco dei testimoni forniti dalla pubblica accusa, e quindi sarebbe dovuta uscire a inizio udienza. Ma non lo fece. Per Salviati non c’erano problemi. - Signora buongiorno, come va? - chiese l’avvocato Salviati come se avessi voluto metterla a proprio agio. - Bene grazie, ma non credo che lei abbia chiesto di ascoltarmi per conoscere il mio sto di salute. - E perché no! Io auguro a tutti buona salute. - E allora diciamo che l’augurio finora è servito a farmi stare bene. - Bene. Allora, lei abita in via Angelini numero 14, vero? - Certo, abito proprio all’indirizzo che lei ha sulle sue carte. - Grazie. L’immobile è di sua proprietà? - Non del tutto. Sto ancora pagando il mutuo. - Peccato … - Vuole aiutarmi lei a terminare di pagare il mutuo? - No no … ognuno si faccia i mutui suoi. Senta, e quanto le resta ancora da pagare? - Otto anni. - Ma l’immobile è a garanzia del mutuo oppure ci sono altre garanzie. L’avvocato Carlini interruppe quella specie di accertamento bancario. Anche il Pubblico Ministero, questa volta, ebbe da ridire, e fu lui a chiedere la giudice di porre fine alla sceneggiata. - Giudice, o l’avvocato Salviati ci spiega i motivi della sua domanda o la smetta con questi interrogatori senza senso. - Giudice, non ho altre domande per la giornalista. La ringrazio per la disponibilità che finora mi ha accordato. Non ho altre domande neanche per gli altri testimoni. Penso che sia l’avvocato Carlini che io abbiamo tutti gli elementi necessari per la nostra arringa finale. Fu a quel punto che l’avvocato Carlini tentò di giocarsi il jolly, ovvero della mossa a sorpresa sulla quale puntava. - Considerato che la difesa del suo assistito è apparsa alquanto originale, io le chiederei, signor giudice, di cedere la precedenza dell’arringa finale a Salviati e di lasciare a me le conclusioni finali. Se siamo tutti d’accordo questa deroga al procedimento può essere accolta. Del resto, fino a questo momento, Salviati ha accolto tutte le mie richieste, e quindi se siamo d’accordo, possiamo procedere con l’inversione delle arringhe finali. Filippo Salviati sbottò in una crassa risata a bocca spalancata. - ahahahahahah … ma no, avvocato Carlini, le do volentieri la precedenza … uno come lei che ha già vinto questo processo, non deve preoccuparsi di eventuali sconfitte … e poi ha una quindicina di collaboratori al seguito, non penso che si possa preoccupare di una mia condotta originale del processo … chissà a quante condotte originali avrà assistito nella sua folgorante carriera di avvocato … le lascio cordialmente la precedenza … non tema … per lei non ci sarà alcuna ripercussione … la sua parcella dovrebbe essere assicurata … vinca o perda il processo, sarà comunque pagato …. Quindi, dopo il Pubblico Ministero, le cedo volentieri la parola … la ringrazio comunque per il favore che voleva accordarmi … - Io non temo nulla avvocato Salviati. Non ho nulla da temere. I testimoni dell’accusa sono stati chiari e particolarmente precisi e non vedo dove lei voglia andare a parare. Non può ribaltare una sentenza che a mio avviso dovrebbe essere già stata scritta. - Appunto. Allora andiamo avanti e facciamo uscire questa benedetta sentenza. Così la facciamo finita una volta per tutte con questa pantomima. Il battibecco durò ancora per cinque minuti, durante i quali decisi di non intervenire. Ma quando l’avvocato Salviati mi esortò al mio ruolo di mediazione, non potetti fare altro che chiedere il rispetto della procedura e a dare la parola al Pubblico Ministero per la requisitoria finale. L’aula del tribunale era ancora piena e il pubblico sembrava stregato dalle due montagne che si stavano scontrando. L’avvocato Carlini, che giocava a carte scoperte utilizzando tutti i testimoni a suo favore che fino a quel momento avevano svolto molto bene il loro ruolo; e l’avvocato Filippo Salviati, che fino all’arringa finale non avrebbe scoperto la sua strategia processuale, presagendo un colpo a sorpresa che avrebbe spiazzato chiunque. E al centro io, il giudice Eduardo Sorrentino, a godermi quei due caratteri così diversi e quelle due personalità tanto spiccate. Prima che il P.M. iniziasse la sua requisitoria, ero fermamente convinto che avrei dovuto condannare Damiano. Avrei usato la massima clemenza possibile, tipo tre anni di carcere invece che sei, motivando questa scelta con il fatto che Damiano fosse incensurato. Ma non sarei potuto scendere sotto i tre anni, altrimenti sarei stato imparziale e ingiusto. Certo, se Filippo Salviati mi avesse aiutato sarei potuto scendere anche fino a un anno invece che tre, ma evidentemente lui puntava alla assoluzione totale, e su questo lo aspettavo al varco. LA REQUISITORIA DEL P.M. E L’ARRINGA DELL’AVVOCATO CARLINI -Il Pubblico Ministero prese la parola alle 16,05 e parlò per meno di dieci minuti. Fu obiettivo e relativamente imparziale. Illustrò nuovamente il capo di imputazione, prese atto delle deposizione dei testimoni e dei rappresentanti di costituzione di parte civile e provò a tratteggiare il profilo di Damiano secondo gli atti in suo possesso e gli elementi emersi durante le testimonianze. Si mantenne basso, senza enfatizzare comportamenti delinquenziali e criminali senza esagerare nella retorica. Fu molto cauto nella requisitoria, come se neanche lui credesse a ciò che diceva. Una cautela strana e fuori dall’ordinario per un P.M. ripreso dalle televisioni locali e rappresentante dello Stato che faceva causa a un tossicodipendente. Una cautela dettata anche, forse, dal timore che Filippo Salviati incuteva un po’ a tutti. Anche il P.M. avvertì la mala parata e per questo motivo riempì la sua requisitoria di sembrerebbe, oppure parrebbe, piuttosto che stando agli atti e alle testimonianze, come se volesse dissociarsi da tutto il risalto mediatico e le pressioni politiche che avevano preceduto il processo. Nelle conclusioni della requisitoria chiese proprio tre anni di carcere, mettendomi a proprio agio nel caso che anche io avessi optato per la pena minima. La solennità con la quale il P.M. chiese l‘arresto di tre anni rimbombò comunque nelle orecchie di Damiano, facendolo cadere ancora di più nel baratro dello sconforto e della depressione. Il viso di Damiano mi apparve più smunto e scolorito di quanto fosse a inizio processo, e la tensione si stagliava sui suoi zigomi divenuti oramai di acciaio per la contrazione con i quali digrignava i denti. Anche i suoi genitori, sorridenti e cortesi a inizio processo, si dimenavano tra i banchi del pubblico rumoreggiando improperi e bestemmie alla volta del Pubblico Ministero. Con il mio campanellino di ordinanza dovetti più volte chiedere il silenzio del pubblico, ben sapendo che a fare casino erano solamente i due genitori in apprensione. Del resto, come non comprenderli. Qualunque genitore, anche quello del peggior camorrista, tiene a difendere i propri figli dalle grinfie di un carcere. I signori Pompa erano incazzati neri con l’avvocato del figlio. Durante la seconda pausa si avvicinarono a Salviati cercando di capire il suo silenzio e la sua apparente demenzialità nei confronti di Carlini, dubitando del fatto che anche lui non fosse nel libro paga di Pappagogna. Salviati non ci stava a passare per venduto ma davanti alle accuse dei signori Pompa decise di non difendersi e di soprassedere alle accuse. L’unica considerazione che fece il P.M., sempre nella sua requisitoria finale, fu di carattere sociale. Richiamò il ruolo fondamentale dei genitori nell’educazione dei propri figli, come elemento fondamentale di educazione e rispetto verso il prossimo e nei confronti della società intera. E fu proprio questa considerazione a scatenare le ire dei genitori di Damiano, sui quali indugiavano le telecamere della ripresa televisiva, e a renderli nervosi se non irascibili. Anche l’avvocato Stefano Carlini fu breve. Il suo intervento durò non più di 15 minuti, ma furono 15 minuti di accuse pesanti. Si soffermò a lungo sulla questione del narcotrafficante ecuadoregno e sullo shock che aveva subito il figlio della mamma coraggio. Lui rappresentava le parti lese e dal suo intervento sarebbero dipese le successive richieste di risarcimento danni. Fu inspiegabilmente duro anche con l’avvocato Salviati, che dal suo banco si godeva beatamente e con un sorriso sulle labbra l’accanimento del suo avversario. Sorrideva anche quando Carlini gli rinfacciava la questione deontologica degli avvocati e la condotta per una buona difesa processuale. Come a dire, che se Damiano avesse perso il processo la colpa sarebbe stata tutta sua. Carlini comunque preannunciò ricorso in appello e cassazione nel caso in cui io avessi assolto Damiano. Preannunciò che non si sarebbe fermato lì, come a mettere le mani avanti per non cadere e poter eventualmente aver qualcosa da dire alla stampa per giustificare la sua sconfitta. L’ARRINGA FINALE DELL’AVVOCATO SALVIATI - Avvocato Salviati, prego. - Grazie, signor giudice. Salviati aveva lo sguardo basso sulle sue carte. Le girava e rigirava come se stesse prendendo tempo per rimettere in ordine le idee. Rimase in silenzio per almeno una quindicina di secondi, poi si alzò in piedi. Si aggiustò la spallina destra della toga, si aggiustò gli occhiali, si avvicinò al microfono e volse lo sguardo verso il pubblico al quale aveva dato le spalle fino a quel momento. - Il mio cliente si dichiara innocente! Damiano Pompa è innocente! Quel giorno di Pasquetta del 5 aprile del 2010, alle ore 17, insieme a Valerio e Arturo, era effettivamente al porticciolo romano di Gianola. Con i due amici decise di fumarsi una canna, ovvero di tenere un comportamento che per i ventenni della zona è una cosa assai normale. Ma mai e poi mai era in compagnia di un narcotrafficante sudamericano e mai ha usato una siringa e tanto mai dinanzi ad alcun bambino! Quel giorno al porticciolo c’erano solo cinque persone: Damiano, Valerio, Arturo, e gli ispettori Madonna e Percuoco. Il tono della voce era molto basso, come a cercare il massimo silenzio da parte del pubblico. Continuava a guardare verso il pubblico perché, forse, cercava di impressionare non me, ma solamente la platea. Scandiva le parole a una ad una, cadenzando i termini in modo che nessuno potesse equivocare quanto stava dicendo. Era contratto in viso al punto giusto e ogni tanto incrociava lo sguardo di dell’avvocato Carlini come a chiedergli di comprendere bene tutto quanto quello che stava dicendo. - Ai danni di Damiano Pompa si è mosso un sistema di linciaggio morale che non ha pari nei tribunali italiani! Non esistono, infatti, a parte le testimonianze, alcuni elementi di riscontro oggettivi, come, ad esempio, impronte digitali, traccia del DNA e altri elementi utili alla ricostruzione della questione. Damiano Pompa non è un tossicodipendente! Ma anche se lo fosse meriterebbe più comprensione e rispetto da parte di tutti noi. E non è neanche uno spacciatore, perché spacciare droga, eroina non fa parte assolutamente parte del suo modo né di pensare né di essere. E’ un bravo ragazzo, educato con serietà e rettitudine dai propri genitori, e non farebbe del male a una mosca. E’ il figlio che ogni genitore vorrebbe avere. E’ il nipote che ogni nonno vorrebbe avere. E’ l’amico che ogni amico vorrebbe avere. E io, e lo dico in tutta sincerità, sono onorato di essere il suo avvocato difensore. La voce bassa, flebile e dolce di Salviati riecheggiava in un’aula piena ma silenziosa e rispettosa, in attesa di conoscere lo sviluppo dell’arringa. Mano mano aumentavano anche i silenzi, le pause, come se fossero studiate, come se gli stessi silenzi fossero utili alla comprensione del discorso. - Questo è il mio primo processo, e forse anche l’ultimo. Devo ammettere che aspettavo con ansia di poter dibattere in un’aula di tribunale le ragioni degli ultimi, di coloro che sono vittime di ingiustizie, di persone che pagano a proprie spese le ingiustizie della società. Volevo diventare avvocato, e lo sono diventato! Pensavo che la legge, quella che dovrebbe essere uguale per tutti, potesse rappresentare il momento più alto della convivenza civile. Invece, mio malgrado, mi trovo oggi a sostenere le ragioni di un ragazzo ventiquattrenne, incensurato, onesto, integro moralmente, che non ha commesso alcun reato, né a Pasquetta e né durante la sua intera vita, senza avere un solo testimone a difesa e con la sua parola contro quella di rispettabili ispettori di Polizia, sindaci, assessori, medici neuropsichiatri e mamme disperate. Quelli che avevano testimoniato nel processo erano entrati tutti in aula ad ascoltare la deposizione di Salviati. E nell’elencarli li fissò a uno a uno negli occhi, ma senza alcuna cattiveria. - A nulla sarebbe valso interrogare i testimoni e farli cadere in contraddizione. Forse avrei anche potuto farlo, ma avrei comunque sostenuto il gioco di un sistema che tende ad annientare chiunque si discosti, anche solo minimamente, da costumi e consuetudini compatibili con lo stesso sistema di riferimento. Oppure avrei potuto anche io “scritturare” determinate persone, addestrarle, formarle, e fargli dire tutto quello che volevo. Ma così sarei stato disonesto! E una vittoria processuale ottenuta con l'inganno è una sconfitta per la giustizia e per l’intera società! Carlini scattò repentinamente in piedi e iniziò a inveire. - Avvocato Salviati, lei si assume tutte le responsabilità di quello che sta dicendo! Lei non può affermare o alludere che qui dentro qualcuno abbia comprato i testimoni. E la smetta con queste allusioni generiche che, queste sì, fanno male al sistema della giustizia. L’avvocato Salviati aveva lo sguardo rivolto verso il basso e aggiustava nervosamente una serie di fogli che aveva sul tavolo. Attese più di venti secondi prima di riprendere a parlare, evitando di accavallare la sua voce con quella degli altri e creare il caos che lui non voleva. - Proprio per evitare ulteriori interruzioni, tengo a precisare che di tutto ciò che dirò mi assumo tutta la responsabilità. Ma gradirei non essere più interrotto nei miei ragionamenti. L’avvocato Carlini sa che ha vinto il processo e quindi non vedo tutto questo nervosismo da dove possa derivare. C’era una strana calma nella voce di Salviati. Una calma che preannunciava una tempesta improvvisa. - Dicevamo di Damiano … Damiano questa sera sarà condannato a circa tre anni di reclusione, e non opporrà alcuna resistenza al suo arresto. Damiano sgranò gli occhi e pensò: arresto? Di quale arresto stai parlando? Ma come, mezz’ora fa mi hai detto di non preoccuparmi e ora mi arrestano? - Damiano Pompa ha portato con sé due valigie con alcuni indumenti e con gli effetti personali e quindi è pronto per andare in carcere. Tra qualche minuto il giudice si riunirà in camera di consiglio, scriverà la sentenza, la leggerà. Usciremo fuori dall’aula di tribunale e Damiano andrà a costituirsi nel carcere di via Aspromonte. E lo farà con la dignità e la nobiltà d’animo che dovrebbe contraddistinguere chiunque si trovi nelle sue stesse condizioni. Damiano affronterà il carcere a testa alta e con la convinzione di essere una persona onesta, vittima del sistema. Certo, potrebbe adire la Corte d’Appello, e poi quella di Cassazione, e nel frattempo non fare neanche un giorno di carcere. Probabilmente in Appello o in Cassazione potrebbe anche farla franca, oppure potrebbe avvalersi di termini di prescrizioni che lo salveranno dal carcere, oppure può trovare un avvocato più bravo di me che potrebbe riuscire a trovare qualche cavillo burocratico tale da far annullare il processo, oppure confidare in un’amnistia o indulto che potrebbe arrivare da un momento all’altro, oppure potrebbe patteggiare la pena e ottenere gli arresti domiciliari. Insomma, se Damiano volesse, potrebbe non andare in galera. Ma non sarebbe giusto. Non sarebbe giusto nei confronti della giustizia e della comunità. Sarebbe sempre un delinquente che se l’è svignata con un buon avvocato. Sarebbe un furbetto che ha commesso crimini, ma che è riuscito a scansare il carcere grazie al suo avvocato. Sarebbe in definitiva, uno uguale agli altri, a tanti altri criminali che girano per strada impuniti, per il solo fatto di aver avuto un buon avvocato difensore. Salviati continuò per altri cinque minuti a spiegare la differenza tra i criminali che la facevano franca, ma che restavano miserabili per sempre, e le persone innocenti che pur non avendo commesso alcun crimine marcivano in galera mantenendo però grande dignità. Damiano provò un senso di grande orgoglio nell’ascoltare il suo avvocato. Non che fosse felice di andare a finire in galera, ma … cazzo …. quell’arringa così lucida e commovente lo stava riempiendo di orgoglio. Nell’aula, intanto, regnava un silenzio incredibile. Nessuno fiatava e tutti ascoltavano in ossequioso silenzio le parole dell’avvocato Filippo Salviati. Anche i signori Pompa sembravano commossi da quelle parole. Il figlio rischiava il carcere, ma almeno sarebbe uscito dall’aula a testa alta. L’avvocato Stefano Carlini, intanto, raccoglieva le sue carte dal tavolo dell’accusa riponendole nelle sue valigie. Per lui il processo era terminato. Salviati stesso aveva ammesso che io, il giudice Eduardo Sorrentino, avrei condannato Damiano per i capi d’imputazione che gli erano stati ascritti. E anche tutti i consulenti dell’intero staff dello studio legale Carlini sorridevano per la sicura vittoria processuale e per lo scampato pericolo di ritrovarsi tutti disoccupati il giorno dopo. - Quindi - proseguì Salviati con la sua flemma dibattimentale - il giudice non potrà non condannare Damiano Pompa. E lo farà perché dagli atti in suo possesso e da quanto emerso in questo processo, Damiano effettivamente quel giorno di Pasquetta del 2010, alle ore 17 era al porticciolo di Gianola in compagnia di un narcotrafficante; forzava i suoi due amici a farsi le pere di eroina; traumatizzava un bambino di otto anni e creava irrimediabilmente dei danni significativi alla economia e all’immagine della città. E qui avrei terminato la mia arringa, se non fosse che devo delle spiegazioni riguardo le insistenti domande sullo stato patrimoniali dei testimoni e dei depositanti. Cazzo!!! Finalmente verrà sciolto l’arcano del secolo: il mistero delle domande senza senso. Finalmente sapremo tutti perché quell’avvocatuncolo da quattro soldi era riuscito a far irritare uno dei migliori avvocati d’Italia. - Ripeto, la mia arringa è finita e quindi lei, giudice Sorrentino, può tranquillamente condannare il mio cliente. Anzi, sono io a chiederglielo con forza e determinazione. Il mio cliente deve essere arrestato e deve scontare l’intera pena che lei riterrà di infliggerli. Eh già, perché mentre Damiano Pompa prende le sue valigie e va in galera, io mi intrattengo ancora qualche minuto in questo tribunale. Subito dopo la lettura della sentenza mi recherò alla stanza 14, quella delle notifiche della cancelleria penale, e depositerò sette querele di parte per falsa testimonianza, contro l’ispettore Madonna, l’ispettore Percuoco, il medico neuropsichiatra, la mamma cosiddetta coraggio, il sindaco Pappagogna, l’Assessore alle Politiche Giovanili del Comune di Formia e la giornalista di Formia Oggi. Dopodiché mi recherò nella stanza dell’ufficiale giudiziario e chiederò il sequestro cautelare di tutti i beni patrimoniali dei testimoni e dei depositanti, e depositerò gli atti di precetto e pignoramento per tutti coloro che possiedono un reddito dichiarato. Fu l’ispettore Madonna il primo a ridere a bocca aperta, con aria di sfida, come se la querela annunciata da Salviati fosse una semplice minaccia senza riscontri. - Denunciami pure, ragazzino, tanto il processo lo hai perso e ti fai in culo, tu e quel drogato del tuo cliente. Non fai paura a nessuno. Capito!!! Fui costretto a intervenire. - Ispettore Madonna, la smetta di interrompere l’avvocato Salviati. Come si permette di usare questi toni in un‘aula di tribunale? - Giudice, è lui che ha iniziato. Ci tratta come criminali, e poi sarei io quello che usa toni particolari in quest’aula!!! Lo dica a quella specie di avvocato di smetterla. Non fa paura a nessuno, lui e quella sua spocchia da super intellettuale. Vada a fare in culo!!!! - Appuntato, accompagni l’ispettore Madonna fuori dall’aula e si assicuri che non rientri. Poi chiami altri due Carabinieri, quelli che sono all’ingresso, e gli dica di venire qui a presidiare l’aula. Temo che ci serviranno. Avvocato Salviati, concluda brevemente il suo intervento. Il primo luccichìo. - Dunque, insieme alle querele depositerò in allegato anche una copia per ciascuno di questo CD per computer. In questo CD c’è la registrazione della telecamera di videosorveglianza installata al porticciolo romano di Gianola. Nel filmato, che il mio cliente ha richiesto alla ditta che ha installato la videosorveglianza a Formia, c’è la registrazione integrale dalle ore 16,55 alle ore 17,20 del giorno 5 aprile 2010, dalla quale risulta che a quell’ora, quel giorno, in quel posto, c’erano solo cinque persone, e che tutte le testimonianze sono spudoratamente false. Per questo motivo denuncerò tutti i testimoni e chiederò un cospicuo risarcimento danni per il mio cliente, pari a mille euro di danni per ogni giorno di galera. E speriamo che lei, giudice, sia generoso e conceda tutti e sei gli anni previsti dalla legge. Quel luccichìo di vetro e ferro non era un lampione. Era una telecamera di videosorveglianza. Damiano per poco non esplodeva dalla gioia, ma si ricordò per contratto che doveva restare fermo e con la faccia da depresso. Lui, comunque, non sapeva niente della telecamera della videosorveglianza, e né il giorno dopo né mai si era rivolto all’azienda che installava le videocamere per ottenere la registrazione di quel giorno. Quei CD, insomma, erano vuoti. I signori Pompa si ritrovarono a guardarsi negli occhi e a sorridere. Valerio e Arturo erano anch’essi pronti al boato. Il pubblico rumoreggiava. L’avvocato Carlini chiese la parola. - Giudice, è vero che Salviati è al suo primo processo, ma già al secondo anno di università ti insegnano che tutti gli elementi di prova di un processo, a favore e contro, devono essere consegnati almeno venti giorni prima. Quindi, qualsiasi prova a favore dell’imputato è nulla, e lei non deve tenerne conto, altrimenti commette un abuso che potrebbe pagare duramente. Rivolsi lo sguardo a Salviati, come per chiedergli: gli rispondi tu o io? Rispose Salviati. - Signor giudice, qui fuori c’è un negozio che vende protesi acustiche, e chiunque, soprattutto chi ha tanti soldi come Carlini, può acquistarne una. Ho detto che la mia arringa è terminata, che Damiano Pompa deve andare in galera, che lei ha vinto il processo. Cosa vuole di più? Che le paghi anche l’onorario? Sto solamente dicendo che i miei elementi di prova ho deciso di usarli diversamente. Se li avessi prodotti come prova probabilmente questo processo non si sarebbe mai tenuto e il mio cliente, senza scontare i sei anni di carcere, avrebbe perso la bellezza di …. aspetta … di ben 2 milioni e novecentomila euro che I SUOI TESTIMONI DOVRANNO SBORSARE. UNO SULL’ALTRO. FINO ALL’ULTIMO CENTESIMO DI EURO. Per questo chiederò il sequestro di tutti i loro beni mobili e immobili. Anche Carlini, finalmente, capì a cosa servivano quelle apparenti domande senza senso che Salviati porgeva a tutti i suoi testimoni. Lui avrebbe vinto il processo, Damiano sarebbe stato condannato, ma i suoi clienti sarebbero stati rovinati per sempre. Dal fondo dell’aula la finta mamma, cosiddetta coraggio, iniziava a essere insofferente e a dire qualcosa che somigliava molto a “vorrei ritrattare la mia testimonianza”. Evidentemente Salviati si era rivolto fin dall’inizio della sua arringa proprio ai testimoni, ovvero agli anelli deboli della catena. Ma Carlini non ci stava a farsi massacrare in quel modo, e tentò un ultimo assalto. - Bene Giudice, allora vediamo questi filmati e smettiamola con questa farsa. Chieda all’avvocato Salviati di mostrarci il contenuto di quei CD in modo che tutti sappiano cosa contengono. Carlini era sicuro del bluff di Salviati. Sapeva che Damiano non aveva contattato alcuna azienda di installazione per la videosorveglianza e non aveva mai chiesto e ottenuto la registrazione del pomeriggio della giornata di Pasquetta. Sapeva del bluff ma sapeva anche che non poteva tenere a freno tutti i testimoni. Rivolsi nuovamente lo sguardo verso Salviati per ottenere una risposta alla richiesta di Carlini. - Forse non ci siamo capiti. Mi spiego per la terza volta. Questi CD non sono elementi di prova di questo processo, ma dei futuri processi per falsa testimonianza. Passerò le prossime settimane economicamente esclusivamente a cercare di rovinare giudiziariamente ed TUTTI I TESTIMONI CHE HANNO DETTO IL FALSO. FARO’ DI TUTTO PER MANDARLI SUL LASTRICO, SENZA ALCUNA PIETA’. Quelle parole impressionarono anche la giornalista di Formia Oggi, che cercava di comunicare con lo staff di Carlini per sapere a quali conseguenze poteva andare incontro. Il secondo luccichìo. - Comunque, - disse l’avvocato Filippo Salviati - per concludere, voglio mostrare in via non ufficiale la seconda prova documentale che produrrò al processo per falsa testimonianza contro i testimoni di questo processo. Carlini sbiancò, il medico neuropsichiatra cominciava a dare di matto, l’ispettore Percuoco senza Madonna si sentiva perso, io, dentro di me ridevo come un cretino, Pappagogna cercava di informarsi se lui, non essendo testimone, correva gli stessi rischi dei testimoni e l’avvocato Salviati, con una mossa da colpo di scena, estrasse due enormi fotografie da dentro di uno dei suoi fascicoli e, tenendole bene in vista, le mostrò a Carlini e al pubblico presente in aula. - Queste foto sono state scattate dal satellite Landnewsat il giorno 5 ottobre 2010 alle ore 16,55. Da queste foto di vede che nel porticciolo romano di Gianola ci sono solamente tre persone, Damiano, Valerio e Arturo. Non c’è nessuna mamma cosiddetta coraggio, nessun bambino, nessun narcotrafficante. Solamente Damiano, Valerio e Arturo. Dopo cinque minuti sarebbero arrivati anche i due solerti ispettori di Polizia per redigere il verbale di constatazione allegato agli atti del processo. Qui nella foto numero due, c’è il parcheggio del porticciolo, posto a ottocento metri circa dal luogo del presunto reato, e si notano chiaramente due automobili: quella di Damiano e l’altra, presumibilmente, dell’ispettore Madonna. E’ chiaro, quindi, che tutti i testimoni hanno dichiarato il falso E IO MI ACCANIRO’ CONTRO DI LORO CON TUTTI GLI STRUMENTI CHE LA LEGGE MI METTE A DISPOSIZIONE, FINO A DISTRUGGERLI ECONOMICAMENTE. Qui nelle cartelline ho già le denunce pronte. Attendo solo la sentenza e poi andrò a depositarle e notificarle. Il secondo luccichìo che Salviati vide due giorni prima del processo, rappresentava un possibile satellite, di quelli che ogni tot minuti inviano foto alla terra. Le foto in possesso dell’avvocato Salviati erano comunque false. Il giorno prima, a Napoli, grazie al suo amico informatico e ai miracoli della tecnologia, era riuscito a trovare una foto satellitare del porticciolo romano di Gianola e a taroccarla a dovere. Dal suo amico tipografo riuscì a farsi stampare un paio di certificati falsi, con tanto di carta intestata e timbri, con una dichiarazione di una inesistente agenzia aerospaziale che attestava la veridicità dei dati indicati dalle foto satellitari. Sempre a Napoli si fece stampare altri due documenti falsi dell’azienda che installava impianti di sorveglianza, che certificavano che il filmato contenuto nei CD era conforme al giorno e l’orario in cui Damiano, Valerio e Arturo furono colti in flagranza a fumarsi una canna. - Questi due certificati inchioderanno i testimoni di questo processo e dimostreranno che Damiano Pompa è innocente e vittima di una congiura. Ho tutti gli elementi a disposizione per TRASCINARVI TUTTI IN GALERA E CAMPARE DI RENDITA CON LE VOSTRE PROPRIETA’ IMMOBILIARI. Il boato scoppiò nell’aula di tribunale. Un applauso spontaneo partì da Valerio e Arturo, che ancora non sapevano se facevano parte di coloro che Salviati avrebbe massacrato o no. Un applauso che coinvolse tutto il pubblico presente in aula e che per poco non coinvolse anche me. I genitori di Damiano si alzarono in piedi e iniziarono a urlare parolacce alla volta di Carlini e dei suoi testimoni. Damiano, anche lui in piedi, abbracciava e baciava sulle guance il suo avvocato. La telecamera girava impazzita nell’aula di tribunale a registrare il tutto, l’assessore alle Politiche Giovanili, che nella testa di Salviati doveva essere l’anello debole della catena, iniziò a delirare per la possibile perdita della palestra. - Io voglio ritrattare la mia testimonianza - urlava l’assessore alla volta dello staff di Carlini.- Mi avevate detto che tutto sarebbe filato liscio e invece ora rischio di perdere la mia attività. Giudice, io voglio parlare e voglio spiegare tutto. - Assessore - risposi io tra il divertito e il rassegnato. - Lei ha già deposto e non può parlare più. Intanto iniziamo a fare silenzio in aula e a rimettere a posto questo processo. Carlini, si sieda e la smetta di chiedere la parola. Anche lei ha già parlato e ora devono tacere tutti, almeno fino a quando Salviati non ci dirà che ha smesso. Carlini, la richiamo all’ordine. Si sieda per favore. Carabinieri, fate uscire quel gruppetto lì in fondo a destra e vediamo un po’ se riusciamo a ripristinare un minimo di serietà in aula. Carlini, le do venti secondi di replica, anche se non dovuti, ma questa è l’ultima deroga che concedo. Prego avvocato Carlini. - Giudice, visto che abbiamo ancora un po’ di tempo, io chiedo di ricominciare il processo e di acquisire agli atti le prove che l’avvocato ha con sé. L’accusa ha il diritto di visionare i CD, le foto e i certificati, che Salviati ci ha mostrato poco fa. La scorrettezza di Salviati non ha limiti. Lo denuncerò personalmente all’ordine degli avvocati di Napoli e chiederò la sua sospensione immediata e la sua interdizione. - Carlini, - risposi io a voce alta per cercare di soverchiare i rumori dell’aula - il processo è terminato da un pezzo, come ha ammesso l’avvocato Salviati, e quindi non ricominciamo un bel niente. Per me il processo è chiuso e io devo ritirarmi per deliberare. Se avete altre denunce da farvi a vicenda o schermaglie da protrarre nel tempo, avete tutte le possibilità di continuare le vostre beghe nei successivi processi che Salviati ha appena preannunciato di promuovere. Quindi, ora ci risediamo tutti, ripristiniamo la calma e procediamo con la parte conclusiva di questo processo. Assessore, se lei vuole ritrattare qualcosa si trovi un buon avvocato e proceda secondo quanto previsto dal codice di procedura penale. Ispettore Percuoco, la smetta di parlare al cellulare. Anzi, visto che ci siamo, spegnete tutti i cellulari, perché questo non è un fronte di un porto, è un’aula di tribunale. Appuntato, faccia rispettare questo mio ordine. Il prossimo che usa un telefono in quest’aula sia allontanato immediatamente. E lei cosa vuole? Chi è lei? Adesso ci mettiamo tutti a chiedere la parola? Ma siamo matti? - Giudice, sono l’avvocato Palmieri, e da due minuti ho assunto la rappresentanza legale dell’Assessore alle Politiche Giovanili del Comune di Formia. Il mio cliente chiede di ritrattare la propria deposizione. Praticamente Carlini non valeva più niente. Era incapace e inaffidabile ed era stato sostituito sul campo con tanto di revoca del mandato e nuovo affidamento legale. Questa fu la goccia che fece traboccare il vaso. Anche il medico neuropsichiatra e la comparsa che rispondeva al ruolo della mamma cosiddetta coraggio, chiesero di essere riascoltati, e Carlini iniziò a urlare come un forsennato che lui voleva riprendere il processo e richiamarli tutti sul banco dei testimoni. L’avvocato Filippo Salviati, invece, dovette fare enormi sforzi facciali per non scoppiare a ridere. Aveva colpito nel segno. Aveva mentito, ma con estrema intelligenza e sagacia. Al suo primo processo in tribunale aveva messo al tappeto uno degli avvocati più bravi e stronzi d’Italia. Aveva distrutto l’intera classe politica dirigente di Formia. Stava, insomma, per vincere il processo. Ma aveva bisogno di un aiuto da parte mia, dello scrivente giudice Sorrentino, altrimenti Damiano sarebbe finito veramente in carcere. Dopo qualche minuto l’avvocato Palmieri annunciò che anche la giornalista di Formia Oggi era pronta a sottoscrivere un documento nel quale ritrattava alcuni suoi articoli, perché a suo dire anche lei era stata tratta in inganno dal sistema. Cercai di ripristinare un minimo di silenzio in aula. Allora, Carabinieri, visto che qui dentro c’è un baccano infernale, fate uscire il pubblico e continuiamo questo processo a porte chiuse. Tanto c’è la diretta televisiva e chiunque può assistere al processo anche fuori da quest’aula. Escano anche tutti i testimoni e i depositanti. Fuori i giornalisti e i fotografi. Il cameraman può restare per effettuare le riprese. Restino in aula: l’imputato e il suo avvocato, poi Carlini, l’avvocato Palmieri e basta. Gli altri tutti fuori. Qualsiasi resistenza a lasciare quest’aula sia verbalizzata e trasformata in resistenza alla Corte e a pubblico ufficiale. Chiaroooooo? L’EPILOGO - Ci vollero appena un paio di minuti perché l’aula del tribunale tornasse a essere vuota come in un qualsiasi processo per assegni a vuoto. Quelli che restarono in aula si sedettero ognuno al proprio posto guardandosi in cagnesco, ma senza fiatare. La mia collera era stata interpretata come motivo di insofferenza e intolleranza verso chiunque mi avesse contraddetto. Diedi inizio alla discussione. C’era l’avvocato Stefano Carlini senza il suo codazzo di consulenti che si trascinava appresso da tribunale in tribunale. Aveva allentato la cravatta, si era tolto la giacca e aveva ripiegate le maniche della camicia. Forse si era dimenticato che la telecamera delle riprese televisive trasmetteva a inquadratura fissa tutti i momenti del processo. Fuori dall’aula c’erano almeno una decina di computer portatili accessi, connessi con la diretta televisiva. Poi c’era l’avvocato Palmieri, l’ultimo arrivato, che aveva con sé due revoche del mandato legale conferito in precedenza a Carlini e due nuove deleghe, quella dell’Assessore e quella della giornalista. La regolarità delle deleghe poteva essere oggetto di impugnativa, ma nessuno, in quel momento, pensava a quelle quisquilie. Accanto a Palmieri c’era Damiano, non più con il viso tumefatto dai cazzotti che aveva ricevuto incessantemente fino ad allora, e con un ritrovato colorito della carnagione simile a chi scoppiava di salute. In quel momento Damiano si stava accorgendo che la situazione poteva essere ribaltata, e che il suo avvocato era il miglior avvocato del mondo. Pensò anche a quanto fosse stato ingrato a non aver creduto in lui e alle sue capacità professionali. Sapeva che quella sera poteva uscire dal processo come unico e vero vincitore. All’estremità destra del tavolo c’era l’avvocato Filippo Salviati, intento a riporre tutti i falsi documenti in mezzo ai faldoni, senza che nessuno, soprattutto Carlini, potesse verificare l’autenticità degli stessi documenti. Alle spalle di Damiano erano seduti il cancelliere, che non sapeva se verbalizzare o no quanto si fosse detto da lì in poi, e il Pubblico Ministero, in attesa di conoscere le mie decisioni ed eventualmente decidere se proseguire nei gradi di giudizio superiore o stendere un velo pietoso su quella vicenda. Due Carabinieri piantonavano la porta d’ingresso e presidiavano l’intera aula del tribunale. Il cameraman continuava a riprendere il proseguimento del processo. Dunque, durante il suo sopralluogo Salviati si accorse che all’interno del porticciolo romano di Gianola c’era una telecamera ad altezza di lampione. Il cavo di collegamento della telecamera terminava in una cassetta elettrica con su segnate tutte le caratteristiche dell’impianto e il nome della ditta che l’aveva installata. Più in basso c’era anche la data dell’installazione, che risaliva al 2009. Quindi il giorno di Pasquetta del 2010 quell’impianto doveva essere regolarmente funzionante. Ma in realtà quell’impianto, per mere ragioni tecniche legate a problemi logistici, non entrò mai in funzione. Dagli articoli delle varie conferenze stampa del sindaco e dell’assessore alle Politiche Giovanili risultava però che tutti i siti archeologici che insistevano sul territorio comunale erano “coperti” dalla videosorveglianza, e il luogo dove Damiano, Valerio e Arturo si incontrarono per fumarsi la canna, era un sito archeologico. Tutti sanno, però, che i filmati registrati dalle telecamere di videosorveglianza, durano massimo 48 ore, dopo di che vengono automaticamente cancellati. Ma la mente di Salviati, davanti a quella telecamera, volò in alto, molto in alto, tanto da pensare di utilizzarla come elemento di prova, per dimostrare che, quel giorno, Damiano, Valerio e Arturo fossero soli, senza narcotrafficanti e mamme con bambini. Già, ma se fosse stato costretto ad esibire il materiale di prova sarebbe stato in enorme difficoltà. In nessuna parte del mondo esisteva una registrazione di un qualsiasi sistema di videosorveglianza di due anni e mezzo prima. Era necessario, quindi, mentire e dire che Damiano era in possesso di quella registrazione dall‘inizio delle sue peripezie giudiziarie. Non poteva essere usata come mezzo di prova, ma solamente per instillare il dubbio nei falsi testimoni. E fu in quel momento che elaborò mentalmente l’intera linea difensiva processuale. Avrebbe lasciato che i testimoni deponessero il falso per poi annunciare che esistevano mezzi di prova pronti a smentire tutte le accuse. Il giorno dopo il sopralluogo, a Napoli, Salviati si recò personalmente alla sede della ditta che aveva installato il sistema di videosorveglianza al porticciolo romano di Gianola e lì riscontrò che le registrazioni erano conservate massimo per 48 ore. Riuscì anche a reperire un depliant con gli estremi della ditta di installazione per poi produrre il falso certificato con il quale si attestava che i CD, che erano allegati ai fascicoli delle querele, contenevano effettivamente la registrazione di quanto avvenuto il giorno 5 aprile 2010 nelle ore in cui Damiano, Valerio e Arturo venivano avvicinati dagli ispettori Percuoco e Madonna. Ma le possibilità di usare la tecnologia non finivano là. Proprio tre giorni prima Salviati si imbatté, durante una navigazione in internet, in un sito web che mostrava mappe e immagini satellitari. Per qualche minuto si divertì a visualizzare la sua casa di Napoli vista dall’alto e a sorridere del fatto che l’immagine fosse molto nitida, al punto che se qualcuno, al momento dello scatto della foto satellitare, fosse stato sul terrazzo a fare sesso, probabilmente l’avrebbe saputo mezzo mondo. Allora perché non sfruttare le foto che i satelliti inviano periodicamente, come ulteriore prova del fatto che Damiano, Valerio e Arturo fossero soli quel giorno di Pasquetta? Certo, ci sarebbe voluto un culo enorme per trovare una qualsiasi foto satellitare di qualsiasi satellite, scattata il 5 aprile 2010 alle ore 17. E, infatti, quella che si avvicinava di più a quella data e a quell’ora era del 5 aprile ma alle ore 11, ovvero sei ore prima delle 17, ovvero inutile come elemento di prova. Per questo motivo, sempre il giorno dopo e sempre a Napoli, si rivolse a quel suo ex compagno di scuola che era diventato un buon informatico, e grazie ad alcuni stratagemmi di ingegneria informatica, riuscirono a confezionare due foto dal formato gigante, che riproducevano il porticciolo e il parcheggio delle auto del porticciolo stesso, completamente vuoti, e a fare in modo che si vedessero solo due automobili e tre persone. Quelle due foto Salviati le esibì durante il processo determinando il colpo di grazia alla tenuta psicologica dei testimoni. E il certificato originale, ma anch’esso falso, di una vera agenzia satellitare, con tanto di timbro e firme, chiuse il cerchio degli elementi probatori che Salviati avrebbe usato contro i testimoni per denunciarli penalmente. Insomma, Salviati aveva realmente trovato la chiave di volta del processo. Avrebbe finto di non interessarsi alla condanna di Damiano, ma in realtà tutto era legato proprio all’assoluzione di Damiano. Per questo mancava ancora l’ultimo tassello. Ero convinto, almeno fino a quel momento, che Salviati cercasse l’annullamento del processo e il non luogo a procedere per il suo cliente. Pensavo che avrebbe costretto il Pubblico Ministero a chiedere la nullità del procedimento e l’avvocato Carlini a far firmare la ritrattazione delle deposizioni di tutti i testimoni e a me a emettere una sentenza in favore di Damiano Capuano “per mancanza di prove“. Ma mi sbagliavo. L’avvocato Filippo Salviati voleva una assoluzione “perché il fatto non sussiste“, un'assoluzione con formula piena e incondizionata e non si sarebbe fermato fino a quando non l’avrebbe ottenuta. Fui io ad iniziare quella discussione extra-processuale. - Allora, per quanto mi riguarda l’udienza è terminata, e io, in base agli atti processuali e alle testimonianze che ho ascoltato, dovrò condannare Damiano Pompa ad almeno tre anni di reclusione e a cinquecento euro di multa. Di quello che accadrà dopo, cioè delle rivalse che ci saranno sui testimoni, a me non me ne frega un cazzo. Non sono problemi miei e ci saranno altri giudici che decideranno in merito. Questa udienza si è protratta abbondantemente oltre il dovuto, e per quanto mi riguarda io chiuderei qui la questione. Farei rientrare il pubblico, leggerei il dispositivo di sentenza, ed entro massimo venti giorni ognuno di voi avrà la copia delle motivazioni della sentenza, che sarà molto scarna, in quanto gli elementi processuali propendono per la condanna dell’imputato. Io mi atterrò a quanto ascoltato in quest’aula, fino al punto in cui l’avvocato Salviati ha detto che il suo cliente doveva essere condannato. Rispetto a quanto ha detto successivamente alla sua ammissione di reato, io non verbalizzerei nulla, così come non verbalizzerei questa discussione e mi atterrei solamente alle parti essenziali del processo. L’avvocato Salviati non è stato in grado di dimostrare l’innocenza del suo cliente, anzi, non ha fatto nulla per dimostrarlo, e quindi direi che si possa procedere alla lettura del dispositivo di sentenza. Se qualcuno di voi ha qualcosa da dire, lo faccia ora o taccia per sempre, altrimenti la mia irritazione potrebbe raggiungere cime molto elevate e a quel punto sarei proprio io a scrivere all’Ordine degli Avvocati e a chiedere di assumere provvedimenti disciplinari nei vostri confronti. Chiaro? Sì, ero stato molto chiaro. Da quel momento in poi non avrei ammesso altre cazzate procedurali e sostanziali. Sarei stato severo con chiunque avesse ostacolato il cammino della giustizia. Non avrei accettato rinvii o aggiornamenti di udienze, e neanche ulteriori pause e sospensioni. - Allora chi inizia? Prego avvocato Carlini. - Chiedo innanzitutto di sospendere le riprese televisive. - E perché? - Beh, lei stesso ha detto che il processo è terminato, o no? - Non so. Sentiamo anche gli altri. Siamo tutti d’accordo a sospende le riprese televisive? Tutti d’accordo. Il cameraman spense la telecamera e uscì sommessamente dall’aula. Nei corridoi, intanto, i fischi e le urla di quelli che attendevano gli sviluppi del processo e di quelli che ne erano direttamente coinvolti, si fecero assordanti. - Bene, allora chi inizia? Silenzio. Nessuno voleva commettere errori e tutti aspettavano la mossa dell’avversario. - Salviati? Ha qualcosa da dire? - Io quello che avevo da dire l’ho detto nella mia arringa. Non ho null’altro da aggiungere. - Avvocato Palmieri, lei che è l’ultimo arrivato, vuole provare a rompere il ghiaccio? - No, aspetto di conoscere le vostre intenzioni. - Le mie intenzioni? Cioè state aspettando che io, il giudice di turno, vi tolga le castagne del fuoco? Eh no, cari amici, siete voi che dovete dirmi come devo proseguire. Io la sentenza ce l’ho già in testa. Dovete solo dirmi se devo pronunciarla o no. Se siamo tutti d’accordo io riapro il portone dell’aula, faccio entrare tutti dentro, e leggo il dispositivo di sentenza. Dovete solo dirmi cosa avete deciso. Carlini aspettava Salviati e Salviati aspettava Carlini. Carlini aspettava che Salviati chiedesse l’annullamento del processo e Salviati aspettava che Carlini riconoscesse la falsità delle deposizioni e mettesse a verbale che tutti i testimoni erano falsi. Per uscire dall’impasse non restava che proporre un lodo arbitrale che definisse la questione. Ma ci vollero più di due ore affinché Salviati e Carlini cedessero a una proposta transattiva. GIOVEDI’ 22 SETTEMBRE 2011 - IL GIORNO DOPO DEL PROCESSO -Sulla pagina di Formia Oggi capeggiava un titolo sensazionale: TRE MILIONI DI EURO. E’ QUANTO HA PAGATO UN EDITORE ISRAELIANO PER GLI APPUNTI DI SUOR ELENA SU SANT’AGOSTINO. Quando suor Elena morì lasciò a Salvatore Cazzullo un paio di scatoloni con tremila fogli scritti a penna con gli appunti di uno studio su sant’Agostino, che a sua volta vendette quegli appunti per la straordinaria cifra di cinquemila euro a un giovane professore precario di Filosofia di Caserta. Per Cazzullo cinquemila euro per alcuni faldoni dal contenuto incomprensibile erano un affare da non perdere, tanto che con quei soldi poté pagare la parcella a un avvocato per impugnare la seconda parte del testamento di suor Elena, quella che prevedeva la donazione di un casale in collina dal valore di duecentomila euro all’associazione “LIBERA contro le mafie”. Cazzullo, attraverso una serie di espedienti e di imbrogli tra notai e avvocati, riuscì a vincere la causa e a ottenere la proprietà del casale, ma l’associazione “LIBERA contro le mafie” riuscì ad ottenne l’affidamento e l’usufrutto gratuito dell‘immobile. In tal modo Salvatore Cazzullo divenne proprietario di un bene immobile che non avrebbe mai potuto vendere e utilizzare, almeno fino a quando l‘associazione fosse rimasta in vita. Ovvero per almeno i successivi trent’anni. La notizia dei tre milioni di euro pagati per gli appunti di suor Elena su sant’Agostino fece il giro del mondo. Effettivamente si trattava di un prezioso e completo studio bibliografico e di una serie di appunti su studi ermeneutici, filologici ed esegetici che la suora aveva trascritto in cinquant’anni di clausura. Un’opera straordinaria e completa, con tutti i riferimenti storiografici della vita di sant’Agostino, attraverso gli scritti de “Le Confessioni”, le “Ritrattazioni” e la “Vita di Sant’Agostino” di Possodio. C’erano le traduzioni originali dal latino delle opere del vescovo di Ippona e una serie di annotazioni che potevano in qualche modo stravolgere in alcuni punti il suo pensiero filosofico. L’opera letteraria di suor Elena conteneva l’intera vita del santo; ne descriveva in modo meticoloso l’infanzia e la crescita, il periodo della “crisi” cartaginese, l’approdo al manicheismo, il periodo dell’insegnamento, il suo incontro con il vescovo Ambrogio, i travagli degli studio neoplatonici e cristiani, il periodo della conversione e dell’episcopato, la sua nomina a vescovo, oltre che agli appunti sugli scritti della controversia manichea, il problema del “male” e, infine, la controversia pelagiana e quella ariana. Tra i tremila fogli c’erano molte copie di grande pregio scovate nelle varie biblioteche del mondo con le quali intratteneva una fitta corrispondenza cartacea. Negli ultimi tempi, grazie ad internet, la suora di clausura intensificò le ricerche dei testi antichi di sant’Agostino e si dedicò a ricercare soprattutto le opere secondarie, quelle sottovalutate dagli esperti, ma di importanza fondamentale per uno studio approfondito, serio e completo del pensiero filosofico del vescovo d’Ippona. Riuscì a creare un’opera straordinaria e dal grandissimo valore letterario e spirituale. Ma l’impresa di suor Elena fu quella di riscrivere l’Ortensio, il testo di Cicerone andato perso almeno millecinquecento anni fa, che sant’Agostino ritenne essere il testo della sua conversione. L’Ortensio di suor Elena, scritto integralmente in latino, fu considerato il testo che verosimilmente si avvicinava di più a quello che Cicerone avrebbe scritto duemila anni prima. Anche molti professori universitari europei studiosi di Cicerone ammisero che la mole di riferimenti bibliografici e di congetture filosofiche a supporto del libro, potevano rappresentare la ricostruzione fedele dell’opera di Cicerone, o perlomeno la ricostruzione più vicina. Un saggio inedito che qualsiasi editore avrebbe pubblicato senza esitazioni, con un guadagno molto più redditizio dei tre milioni di euro spesi per l’acquisto dei diritti esclusivi del testo. Un saggio che poteva diventare un best seller ma che Salvatore Cazzullo neanche considerò. Quei tremila fogli scritti a penna li mise all’asta su ebay con un prezzo di partenza di duecento euro, che lui già considerava altissimo. A fine serata l’opera di suor Elena fu acquistata da un giovane professore di filosofia di Caserta che aveva fiutato l’affare. Per non correre rischi piombò a Formia la sera stessa, con l’assegno di cinquemila euro, a prendere i tre scatoloni pieni di carte. Evidentemente sapeva che in varie parti del mondo c’erano amatori e studiosi di documenti medievali che avrebbero pagato qualsiasi cifra per entrare in possesso di quel materiale prezioso. Ma neanche il professore di Caserta si aspettava di trovarsi di fronte a un tesoro dal valore così eccezionale. Rimase incantato ad ammirare quella grafia così composta e ordinata, la minuziosità degli accorgimenti stilistici delle note e la fedele riproduzione fotostatica di tutti i documenti tratti dai testi originali. Inizialmente pensava di piazzare quegli appunti a centocinquantamila euro. Costruì un apposito sito internet con la minuziosa descrizione delle parti degli scritti e, come previsto, si scatenò una guerra tra le più importanti casi editrici internazionali specializzate in saggi medievali. Riuscì a spuntarla un editore israeliano. Molti editori cercarono di acquistare solo il saggio finale di suor Elena a un prezzo più contenuto, ma il professore di Filosofia, seppur precario, non si fece abbindolare da soldi facili e immediati. Sapeva che il blocco valeva molto di più e che stralciare solo il saggio finale equivaleva a far perdere il valore intrinseco all’intera opera. Ma si sa, suor Elena era anche una mattacchiona. Il suo saggio su sant’Agostino e la ricostruzione dell’Ortensio si concludeva con una paginetta di poche righe, scritte qualche ora prima di morire, nelle quali aveva previsto quanto avvenne in quei giorni: “Lascio questa mia opera in eredità a mio nipote Salvatore Cazzullo che ora è in carcere. Ma questo non è un semplice lascito, ma una prova di carattere. Se Salvatore saprà valorizzare i miei scritti, potrà vivere di rendita e godersi i miei sacrifici di una vita intera. Se, invece, non saprà apprezzare le vere ricchezze che la vita può offrire, cestinerà questi appunti maledicendomi per non avergli lasciato un volgare e spoglio casolare di collina. Io spero tanto che Salvatore legga questi appunti, e che in essi possa trovare il giusto ristoro dalla sua fame di ricchezza. Possa cogliere l’essenza di uno dei più grandi filosofi della storia e trarne l’insegnamento di cui ogni uomo nelle sue condizioni necessita. Sono sicura che Salvatore non leggerà queste righe, e che cercherà di sbarazzarsi al più presto di questi fogli scritti da una vecchia rimbambita. Ma se qualcuno un giorno dovesse venirne in possesso e leggesse queste righe scritte a penna, abbia la compiacenza di condividerle con lui, perché capisca che la vita non è fatta solo di soldi, macchine di lusso e abiti firmati. Ti lascio, caro Salvatore, queste poche righe scritte da sant’Agostino appena 1600 anni fa, ma che dovrebbero riguardare chi, come lui, in tarda età e dopo una vita dissipata, scopre in Dio la bellezza dell’Amore: “Tardi ti ho amato, Bellezza così antica e tanto nuova, tardi ti ho amato. Sì, perché tu eri dentro di me ed io fuori: lì ti cercavo. Deforme, mi gettavo sulle sue sembianza delle tue creature. Eri con me, ma io non ero con te. Mi tenevano lontano da te le tue creature, inesistenti se non esistessero in te. Mi chiamasti, e il tuo gridò sfondò la mia sordità; balenasti, e il tuo splendore dissipò la mia cecità; diffondesti la tua fragranza, respirai ed ora anelo verso di te; ti gustai e ora ho fame e sete di te; mi toccasti, e arsi dal desiderio della tua pace” Tra qualche ora, al massimo tra qualche giorno, morirò. E voglio che Salvatore, mio nipote, legga questa lettera, affinché anche lui possa ascoltare il grido che sfonda la sordità di chi ha difficoltà ad ascoltare. Ciao Salvatore. Il professore di Filosofia di Caserta fotocopiò questa pagina e cercò di farla arrivare a Salvatore Cazzullo. Per evitare di incontrare due volte un pregiudicato agli arresti domiciliari e di passare per ricettatore, decise di inviarla a Formia Oggi, che ovviamente non la pubblicò. Ma quando la notizia dell’acquisto dell’opera di suor Elena divenne di dominio pubblico, tanto da finire su tutti i giornali nazionali, il direttore di Formia Oggi si decise a pubblicarla. E fu anche uno scoop sensazionale di Formia Oggi, che era l’unico giornale ad avere la copia della lettera di suor Elena indirizzata a suo nipote. Inutile dire che Salvatore Cazzullo si mangiò le palle. Era proprietario di un casolare in collina ma solo sulla carta e aveva appena perso tre milioni di euro per una errata valutazione di un bene ereditato. Non gli restava che il rimpianto di aver potuto condurre una vita onesta e non averlo fatto. Sempre su Formia Oggi, quel giorno, mancava la notizia delle dimissioni da sindaco di Formia Carmine Pappagogna. Damiano Pompa aveva vinto il processo, ma Pappagogna ovviamente addusse una serie di ragioni sconclusionate che lo rimettevano in gioco e lo mantenevano sullo scranno più alto della Giunta Municipale di Formia. Secondo Formia Oggi Damiano aveva vinto il processo non perché fosse onesto e non avesse commesso alcun reato, ma solo per motivazioni tecniche procedurali che lo avrebbero salvato dal sicuro carcere a vita. In realtà il dispositivo di sentenza che lessi il giorno prima non lasciava spazio a equivoci: “P.Q.M. Assolvo Damiano Capuano perché il fatto non sussiste e per non aver commesso alcun reato.” Una sentenza con formula piena che restituiva libertà e dignità a un ragazzo buono e onesto. Ma non fu facile. Ci furono diversi momenti nei quali si rischiò di andare a sentenza senza soluzione di compromesso, e in quel caso avrei dovuto condannare Damiano senza che il suo avvocato potesse esibire elementi di prova certi e documentati. I CD erano vuoti e le foto erano palesemente taroccate, e quindi il bluff sarebbe emerso ancora prima di iniziare qualsiasi nuovo procedimento penale. Io comunque feci di tutto per favorire Damiano, stando ben attento a non apparire di parte. - Allora - proposi io a inizio seduta - se il Pubblico Ministero è d’accordo e se tutti gli avvocati presenti firmeranno una dichiarazione condivisa, io sarei anche d’accordo, in via eccezionale e mettendo a repentaglio la mia reputazione professionale, ad annullare il processo e a far finta che oggi non sia successo niente. Una procedura fuori da tutti canoni, ma mi sembra al momento l’unica via d’uscita per salvare tutti, imputato e testimoni. - Ma non ci penso proprio - rispose per primo uno stizzito avvocato Salviati -. Io sarei anche disponibile ad evitare la sofferenza del carcere per il mio cliente, ma voglio un’assoluzione con formula piena, per non aver commesso il reato e perché il fatto non sussiste. E per mettere tutte le carte sul tavolo, così non parlo più e taccio fino alla fine della riunione, voglio il riconoscimento delle mie spese legali e un risarcimento danni per il mio cliente. Damiano ha sofferto troppo in questo periodo, e merita un ristoro per le pene che ha dovuto soffrire. Tengo a precisare, giudice Sorrentino, che chiudere questa partita in via extragiudiziale è comunque un sacrificio, sia per me che potrei ottenere una vittoria completa sulle spese legali e sia per il mio cliente, che potrà ottenere un risarcimento danni esemplare. Noi non abbiamo nulla da perdere, ma annullare il processo, mi perdoni, non è una soluzione equa della controversia. Voglio che Damiano esca da qui dentro come uomo libero e a testa alta, senza dover passare la sua esistenza a giustificare annullamenti di processi che lasceranno per sempre il dubbio sulla sua onestà e sul suo coinvolgimento in una storia gravissima e completamente inventata. Ritengo anche che, se si dovesse giungere a una conciliazione, noi siamo disponibili a trattare sull’assoluzione con formula piena. Ho terminato. - Io invece trovo interessante la proposta del giudice Sorrentino - incalzò l’avvocato Carlini. - La ritengo equa e soddisfacente per tutte le parti in causa. Insisterei sull’annullamento del processo, se anche il Pubblico Ministero è d’accordo. Al Pubblico Ministero non importava tanto della soluzione che gli attori del processo decidevano di adottare. Anche lui era stato vittima di un processo completamente inventato. Ma pur di chiudere la partita era disposto anche a soluzioni originali, come quella che io proposi. Ma le sorprese erano destinate a non terminare. Dovetti richiamare un Carabiniere che parlava con un signore sulla porta d’ingresso dell’aula del tribunale. - Appuntato! Chi è quel signore sulla porta? Le ho detto di non far entrare nessuno! - Giudice, il signore che vuole entrare è un avvocato. Dice che ha un mandato legale di un testimone che sta qui fuori. E chiede di entrare. - Lo faccia entrare. Cancelliere, verbalizzi gli estremi dell’avvocato. Lei è? Era un avvocato incaricato dal medico neuropsichiatra che chiedeva di ritrattare la propria deposizione. Carlini perdeva un altro cliente ma ormai ci teneva solo a non perdere la faccia. - Prego avvocato. Mi mostri la delega e ci illustri le sue richieste. - Allora, il mio cliente asserisce di essere stato tratto in inganno per la questione della perizia medico legale che avrebbe prodotto in questo processo. Il bambino in questione soffre di tutte le patologie elencate nella perizia, ma il resoconto della madre, ritenuto credibile proprio perché proveniente dalla madre, risulterebbe essere non vero. Il mio cliente si dissocia quindi da eventuali dichiarazioni mendaci rilasciate dalla madre del paziente ed è disponibile fin da ora a ritrattare l’intera perizia medico legale, attraverso un’integrazione degli atti che potrebbe essere oggetto di una completa revisione del nesso di causa effetto tra la visione di un ragazzo drogato ed eventuali turbe psichiche che potrebbero derivarne. - Avvocato, andiamo al sodo. Faccio molta fatica a seguirla. - Il mio cliente ritratta la propria deposizione e chiede di non tenerne conto. - Eh sì, troppo comodo amico mio. - disse Salviati con un’aria tra lo sfottò e la supponenza. Troppo comodo dissociarsi da una deposizione falsa e truffaldina. Il dottore pagherà come tutti gli altri. Non un centesimo di meno. L’altro avvocato che era subentrato all’ultimo momento, l’avvocato Palmieri, incaricato dalla giornalista di Formia Oggi e dall’assessore alle Politiche Giovanili, decise di irrompere nella discussione, con una proposta di accordo che a me sembrava abbastanza equa. - Io propongo di concedere l’assoluzione con formula piena a Damiano e in cambio sottoscriviamo tutti, compreso il Pubblico Ministero, l’impegno a non proseguire in azioni giudiziarie legate al procedimento in essere. Per quanto riguarda il pagamento degli onorari all’avvocato Salviati, francamente, mi sembra una provocazione. L’avvocato Salviati rinunci al suo onorario e chiudiamo qui la partita. Damiano aveva la pressione a 500 e avrebbe sottoscritto qualsiasi accordo pur di non spezzare la corda e ritrovarsi veramente con una condanna sulle spalle. Voleva che il suo avvocato si fermasse lì, prendesse carta e penna, e firmasse qualsiasi proposta transattiva pur uscire al più presto e prima che Carlini ci ripensasse e andasse a puttane tutta la strategia difensiva. Anche a me sembrava una proposta equa. Salviati aveva già vinto e non poteva forzare oltre. Carlini era al tappeto e sapeva che Salviati prima o poi doveva cedere. Allora tutti ci girammo verso Salviati in attesa di una risposta definitiva. E lui, senza rispondere al collega e senza dire una sola parola, si alzò dalla sua sedia, si aggiustò il nodo della cravatta, avvicinò la sedia vuota al tavolo, e con voce teatrale disse: - Nessuno mi può costringere a rimanere in quest’aula a farmi pisciare addosso da avvocati nominati 15 secondi fa. Io voglio il mio onorario. Non sono il figlio della serva. Io esco in attesa della lettura della sentenza. Damiano, usciamo e aspettiamo fuori. Signori, con permesso. Damiano non voleva uscire. Voleva accordarsi, firmare, sottoscrivere qualsiasi carta che lo scagionasse, anche senza assoluzione e senza pagamento degli onorari. Se il problema era la parcella dell’avvocato, avrebbe provveduto lui stesso a saldare il conto. Ma proprio quando Salviati stava per arrivare alla porta dell’aula di tribunale, Carlini si alzò dalla sedia e cedette su tutta la linea. - Va bene avvocato Salviati. Provveda lei stesso a formulare una proposta transattiva e le prometto che anche gli altri colleghi la sottoscriveranno. Ha vinto. Non posso che congratularmi con lei. Ci mise poco meno di cinque minuti a formulare la proposta da sottoporre ai colleghi dell’accusa. Damiano Pompa assolto con formula piena e a Filippo Salviati diecimila euro di onorari, che sarebbero stati saldati dai testimoni e dagli attori della costituzione di parte civile. Alle 19,42, nonostante le resistenze dell’avvocato Carlini, feci rientrare il cameraman e gli chiesi di iniziare le riprese. Dopo cinque minuti feci entrare il pubblico che ancora attendeva all’esterno. Nessuno di quelli che aspettavano all’esterno sapeva quello che avrei detto. Per questo scandii le parole una ad una, con la giusta solennità che dovrebbe scandire ogni sentenza. Non feci nulla per sedare il gran baccano che seguì la lettura del dispositivo di sentenza. I signori Pompa, Valerio e Arturo, presero di peso a Damiano e lo portarono in trionfo fuori dall’aula. I falsi testimoni e i rappresentanti della costituzione di parte civile uscirono soddisfatti per lo scampato pericolo corso. Il PM e il cancelliere uscirono dal retro per evitare l’ingorgo di persone davanti l’ingresso del tribunale. Carlini chiese ai suoi collaboratori di lasciarlo solo e io congedai i Carabinieri e il cameraman. Rimanemmo io, Salviati e Carlini. - Allora giudice - mi chiese Carlini molto più rilassato e leggermente sorridente - ora che il processo è terminato può chiedere all’avvocato Salviati di consegnarmi una copia dei CD con le riprese della videosorveglianza? - Salviati, visto che di copie ne ha una decina, me ne lascia una anche a me? Sa …. semplice curiosità professionale, niente di più … tanto oramai, pure se sono vuoti …. nessuno potrà usarli contro di lei e Damiano. - Non son vuoti, ecco … una copia a lei e un’altra a lei …. e spero, invece, che il mio collega ne faccia buon uso … io intanto vado via … mi aspettano i festeggiamenti …. È stato un piacere conoscerla giudice Sorrentino … anche lei Carlini … buona fortuna …. Carlini aprì di scatto la sua valigetta, accese il computer portatile che c’era dentro, inserì il CD appena consegnato da Salviati e insieme ne verificammo il contenuto. Non era vuoto. C’era uno stralcio de “I doveri” di Cicerone. . Sed iniustitiae genera duo sunt, unum corum, qui inferunt, alterum corum, qui ab iis, quibus infertur, si possunt, non propulsant iniuriam. Nam qui iniuste impetum in quempiam facit aut ira aut aliqua perturbazione incitatus, is quasi manus afferre videtur socio; qui autem non defendit nec oboisti, si potest, iniurae, tam est in vitio, quam si parentes aut amicos aut patriam deserat. Atque illae quidem iniuriae, quae nocendi causa de industria inferuntur, saepe a metu proficiscuntur, cum is, qui nocere alteri cogitat, timet, ne, nisi id facerit, ipse aliquo afficiatur incommodo. Maximam autem partem ad iniuriam faccenda aggrediuntur, ut adipiscantur ea, quae concupiverunt; in quo vitio latissime patet avaritia. Delio Fantasia, 14 marzo 2014