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Carissimo “I Care!”
poteva mancare la lettera del Presidente della nostra Associazione tra quelle recapitate per
ricordare la figura significativa di educatore/educatrice incontrato/a sulla strada della vita?
Proprio no! Se abbiamo concepito una tale iniziativa nell’ambito del nostro Museo è chiaro che
siamo stati spinti, principalmente, dalla nostra esperienza di alunni, prima, e di docente, poi.
Il mio ricordo risale al maggio ’68. Una data storica che, per me, ragazzo di 11 anni, non significava,
allora, né contestazione giovanile né anno di svolta epocale. Le urla del ’68 giungevano fioche in
qualsiasi paesino della Calabria e, quindi, anche nel mio. Basti pensare che solo l’anno successivo
sarebbe arrivata a casa mia la televisione e i giornali non erano alla nostra portata quotidiana. Ma
il Maggio ’68 lo lego alla “rivoluzione” portata in classe 5^ elementare dalla signorina Arcidiacono,
la giovane maestra di Messina arrivata all’inizio dell’anno scolastico a sostituire la signorina
Ernesta Matozzo, maestra di lungo corso andata in pensione e che era stata, anche, insegnante di
mia sorella.
La maestra Matozzo era un’insegnante di vecchio stampo: rigida nelle consegne, pretendeva la
massima disciplina da parte di noi allievi. Una maestra all’antica, con la quale bisognava filare
dritti, ma che, grazie al suo metodo, è riuscita ad inculcarci le nozioni di base per affrontare con
sicurezza il prosieguo degli studi.
La maestra Arcidiacono (l’abbiamo sempre chiamata per cognome, per cui mi sfugge il nome),
invece, era un’insegnante poco più che ventenne che è riuscita a portare in classe una ventata di
innovazione e di allegria. Ricordo, per esempio, che al posto del tema tradizionale ci assegnava il
testo libero per darci l’opportunità di spaziare con la fantasia; la lezione di storia, poi, non ci veniva
offerta secondo una rigida cronologia, ma ci faceva partire dalle fonti (es., la Prima Guerra
Mondiale l’abbiamo sentita raccontare direttamente dai nostri nonni, reduci di guerra, e solo
successivamente ci dava un impianto storico cronologico). E, poi, bisognava trascrivere le
interviste ai nonni, per cui tutto questo lavoro significava elaborazione scritta, regole grammaticali
e sintattiche, ecc.. In pratica, scoprirò in seguito studiando Don Milani, impartiva l’insegnamento
secondo la tecnica didattica di “Lettera a una professoressa” : dal motivo occasionale arrivava al
motivo profondo.
Ma il mio ricordo significativo della maestra Arcidiacono lo lego ad un gesto che ha segnato il mio
interesse per la lettura che, fino a quel momento, avevo vissuto, solo, come esercizio meccanico,
senza provare gusto e interesse. Nel Maggio ’68 avvenne, per me, la svolta nell’approccio con la
lettura che, per capirne la portata, necessita di una dettagliata premessa.
Nelle bellissime giornate primaverili noi ragazzi arrivavamo a scuola prestissimo (non venivamo
accompagnati fin sull’uscio dell’edificio dai genitori, sia perché non c’erano i pericoli di oggi sia
perché all’ora di andare a scuola i nostri familiari erano già nei campi a lavorare). Mettevamo le
borse a tracolla accatastate sul pianerottolo della scuola e si giocava a perdifiato fino al segnale
della campanella. Tra i tanti giochi se ne praticava uno pericolosissimo, quello delle CAVADATE:
una fila di cinque sei ragazzi si metteva a forma di cavallo e altrettanti ragazzi avversari saltavano
in groppa con uno slancio preceduto da rincorsa cercando di occupare tutta la groppa del lungo
cavallo, altrimenti, se non ci stavano tutti i saltatori o questi cadevano, si andava sotto. E così fino
allo stremo!
Essendo io di corporatura snella e molto agile saltavo per primo. In quella circostanza feci un salto
talmente ben riuscito che raggiunsi la testa del cavallo. Il salto lungo colse di sorpresa il ragazzo
posto alla testa del gruppo il quale, per il duro colpo subito alla schiena, si girò su se stesso e tirò
tutto il seguito per terra, compreso me che stavo in groppa. La rovinosa caduta mi provocò la
frattura di tibia e perone e 45 giorni di riposo, con la gamba immobilizzata da una pesante
gessatura che arrivava all’inguine.
Mio padre, sciorinando un rosario dei suoi per oltre un’ora di viaggio (tale era la distanza che
separava il mio paese dall’ospedale di Catanzaro), era preoccupato più del mese e mezzo di scuola
che avrei perso e per gli esami alle porte che per l’incidente subito.
La maestra Arcidiacono, dopo il mio rientro dall’ospedale, venne a farmi visita a casa e mi regalò il
libro di Emilio Salgari “La riconquista di Mompracem”. Sarebbe stato quello il testo intorno al
quale ruoterà il mio esame di licenza elementare. Mio padre si tranquillizzò e io scoprii il gusto
della lettura dentro le avventure dei personaggi di Salgari. Durante quei 45 giorni di fermo scrissi
un lungo riassunto e risposi a un formulario di comprensione del racconto portato al colloquio
d’esame finale.
Iniziò, così, grazie all’oculata scelta della maestra Arcidiacono la mia voglia di leggere che è
diventata nel tempo la mia compagna inseparabile durante i fermi di giornata.
Ricordo con affetto e riconoscenza la ventenne maestre siciliana Arcidiacono, mia maestra solo
per un anno nella scuola elementare, della quale sarei in grado, pur non disponendo di fotografia,
di descrivere minuziosamente i tratti della persona e il suo gesticolare. Peccato non ricordi il
nome! Ma il suo insegnamento è una traccia, un pungolo che avverto ancora.
Con indescrivibile riconoscenza
Vito Pirruccio