un rosone sul tetto - Biblioteca Consorziale di Viterbo
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un rosone sul tetto - Biblioteca Consorziale di Viterbo
lisites, Inoltre lo stesso gentilizio, nella forma sincopata Calisn - è attestato di un'iscrizione (CIE 5740) trovata i n località Cipollara, cioè a 8 K m di distanza in linea d'aria, la quale è anche la medesima iscrizione in cui compare due volte anche il nostro prenome ipotizzato (IO). Parlando sempre di questa iscrizione della Cipollara c'è d a asservare che l'apografo tratto dalla «Borgiana lucubratio» di Ann i ~ d, a cui gli studiosi hanno effettuato la traslitterazione, non è una perfezione di riproduzione d'epigrafe, per cui le differenze fra quel gentilizio e quello del nostro cippo potrebbero essere ancora ridotte. Pertanto l'iscrizione dovrebbe essere: calisiltes (o calisi/nes) . S(ebre) (10) v. nota n. 8 Nelle varianti Calisn(, Calisna, Calima(, Calisnal, Calisnai, Calisnei, Calisnés, Calisni, Calisunis (altra forma anaptittica?) e Kalisnii il nostro gentilizio è presente solo in area settentrionale, specialmente a Chiusi e a Perugia (cfr. ThLE I, p. 92, e 1 Suppl., T h L E I, p. 23). U n gentilizio arcaico Kalisenas compare ad Orvieto nel V sec. a.C. (St. E t r . XL, 1972, p. 405, n . 9). Nelle nostre zone è presente in due casi a Tuscania e d uno, come già detto, a Viterbo, i n località Cipollara: Calisnei Tuscania. Moretti, I Curunas di Tuscania, 1983, p. 87, n . 1 Calisnial Tuscania C I E 5728 (TLE 191) Calisnial Viterbo (Cipollara) CIE 5740 Concludendo l'esegesi di questa iscrizione, confido di aver portato alla luce e d all'esame degli studiosi un'altra interessante testimonianza della lingua dei nostri padri. Tratto da un vecchio giornak del 1948, ripubblichiamo questo poetico ricordo della Cattedrale di S. Lorenzo com'era prima delle distruzioni del 1944 e come si mostrava ai Viterbesi prima dei restauri degli anni Cinquanta. Lo scrisse il nostro collaboratore Vincenzo Frittelli, che con lo pseudonimo Ilario Valentini volk ancora più fortemente dimostrare la sua viterbesità. UN ROSONE SUL TETTO di Ilario Valentini Delle funzioni solenni che un tempo venivano celebrate nel Duomo non mi è rimasto che un ricordo vago e più che vago triste perché tristi erano le parole dei salmi, le note del canto ed il colore dei paramenti in quelle funzioni della Settimana Santa. Losanghe e rettangoli viola coprivano le Croci e i quadri. I canonici ed i beneficiati si rimandavano in una nenia strascinata teorie di versetti e poi qualcuno con voce sommessa piangeva: popolo mio che cosa t'ho fatto, in che cosa ti ho amareggiato? E gli altri battevano i libri sui banchi e sugli stalli del coro imitando la folla rumoreggiante. Un diacono andava a nascondere dietro l'altare una candela accesa e canonici e beneficiati e seminaristi uscivano in punta di piedi. Sull'arco dell'abside si striava un filamento di luce e le Croci ed i Santi si preparavano a passare la notte sotto una coperta viola. Perché quel bussare sugli stalli e quel pianto mi son rimasti nelle orecchie e l'impressione triste è perdurata fino ad oggi? E di primavere ne son passate affiancate a settimane di passione. Oggi mi son voluto scrollare di dosso questo carico di tristezza e sono andato là dove esso mi aveva piegato nella prima gioventù. Se non fosse stato per quei moncherini di travi sporgenti dal tetto della casa di Valentino della Pagnotta, avrei senz'altro ammesso che i danni subiti dalla Cattedrale erano irrilevanti. Le esili colonnine abbinate della loggetta del Palazzo dei Papi sorreggono ancora la pesante trabeazione; il leone di Viterbo monta ancora la guardia al portone ed il campanile mostra superbo l'armonicità del suo stile gotico toscano. Ma, il male è interno, tra le navate, nelle absidi, nelle cappelle ed ancor più nelle volte, nel soffitto e sulle pareti della Chiesa. La bomba aerea sul soffitto a scheletro aprì un rosone ed d'altezza della volta esplose come fosse un proietto a tempo. Sul pavimento scheggiato si ammassano stucchi, pezzi di tela e polvere di colori mescolati tre secoli fa da Urbano Romanelli. S. Lorenzo continua ancora a bruciarsi, dalla cintola in su, sulla graticola rimasta appesa alla volta. Crepe profonde hanno le pareti e mostrano lo scheletro contorto, vuote le occhiaie delle finestre, squarciato il ventre la bussola, l'organo, gli stalli del coro e macerie e calcinacci ovunque. Il vescovo Bedini in tutto quello scempio s'è lasciato staccare dal busto la testa di marmo. E su tutto Canova e Dupré piangono con gli occhi del Cardinale Gallo e di Lady Wise - Letizia Bonaparte di Canino «martire d'ogni umano dolore». Nella piccola abside di sinistra Paolo di Tarso stringe ancora in mano una inutile spada mentre il Bambino non trova il volto della Madre. Sull'altare trecentesco un breviario apre le sue pagine sulle terribili parole: l'uomo nato da donna vive breve tempo e sarà pieno di molte miserie.. . e mai rimarrà nello stesso stato. Come lui, le cose sue. Fuori c'è il sole delle migliori giornate di maggio. Ma tra gli squarci della casa di Valentino della Pagnotta c'è qualcosa che somiglia a pianto ma non lo è; qualcosa d'indefinibile ma che è pena umana. Una donna sta seduta su un sasso. Sulle ginocchia ha uno straccio da rattoppare. Con il petto tenta tenere fermo lo straccio e con un movimento impacciato della mano sinistra mette il punto e mentre cuce, guaisce. Al posto del braccio destro le penzola una mezza manica sfilacciata. Da basso le giunge il gorgoglio della fontana e tre margherite gialle occhieggiano dall'architrave della porta di sinistra del Duomo.