La relazione medico-paziente. Rapporto tra EBM e NBM

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La relazione medico-paziente. Rapporto tra EBM e NBM
La relazione medico-paziente. Rapporto tra EBM e NBM
Di Carmine Macchione - Ultimo aggiornamento Sabato 18 Maggio 2013 17:10
Il significato della stretta relazione interpersonale tra medico e paziente non potrà mai essere troppo enfatizzato, in quanto da questo dipendono un numero infinito di diagnosi e di terapie.
Una delle qualità essenziali del medico è l’interesse per l’uomo, in quanto il segreto della cura
del paziente è averne cura. Francis Peabody ,1895-1979
La relazione medico-paziente, tipica relazione di cura, è una relazione complicata, difficile,
asimmetrica e “tormentata”, secondo l’interpretazione di Shorter, ed è certamente influenzata
dal transfert e dal controtransfert come, prima Freud e successivamente Balint, avevano
ampiamente dimostrato.
Giorgio Bert, in un chiaro e interessante articolo su “Per un miglior rapporto tra medico e
malato: un traguardo possibile”, scrive: "cambia il mondo, cambiano gli strumenti e le conoscenze, ma non cambia il concetto di
relazione terapeutica, che è e resta la più antica radice della medicina" .
Nell’epoca pre-storica il rapporto medico (sciamano) - malato poteva essere definito come il "p
aradigma dello
stregone". Tale modalità relazionale partiva dal presupposto che la malattia fosse dovuta a
fattori soprannaturali riconoscibili e la terapia, basata sul riconoscimento di questi fattori, si
fondava su precise misure per contrastarli. In quei tempi, la guarigione o la morte erano merito
esclusivo dello stregone. Dai tempi di Esculapio, degli Asclepei di Epidauro e Pergamo e di
Ippocrate, che aveva già espresso il valore dell’ascolto e della partecipazione, il rapporto tra il
medico e l’ammalato, che a lui si rivolgeva, è stato caratterizzato da una ferrea etica
paternalistica, basata sul principio di beneficenza - obbligo di agire per il bene del paziente - e
di maleficenza - obbligo di non arrecare danno al paziente -.
Era solo il medico che agiva, pensava, prescriveva e ometteva per il bene del malato, senza
chiederne l’assenso. Il medico, forte della sue conoscenze cliniche, ha sempre avuto una
tendenza naturale a imporsi come arbitro indiscusso della salute del proprio malato. Egli si
considera l’arbitro, il magister, il dominus, che, conscio della sua cultura scientifica e della sua
competenza tecnica professionale, ritiene giusto e opportuno decidere per conto del paziente.
Va de sé, che questo tipo di relazione è fortemente squilibrata e asimmetrica: il malato è
considerato molto passivamente, incapace di sapere e potere agire per la sua salute fisica e
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psichica.
Nella Grecia antica e nella stessa Roma, il medico si interessava del potere naturale del corpo,
meccanismo di fluidi accoppiati, i cui squilibri - discrasia - erano in grado di spiegare
l’insorgenza e l’evoluzione delle diverse malattie. Il rapporto verbale era quasi annullato e l’atto
terapeutico era intuitivo e stereotipato, centrato sulla ricerca della norma e del modello naturale
della physis.
Da Galeno a Paracelso il metodo sostanzialmente non cambia e il rapporto medico paziente
resta sempre di tipo paternalistico e sempre più risultava eticamente inadeguato, in quanto era
lesivo del diritto individuale dell’autodeterminazione e dell’autonomia del paziente. La tecnologia
a disposizione del medico era allora del tutto scarsa, con una effettiva impotenza sul piano
diagnostico terapeutico.
Il medico pre-moderno aveva certamente un forte legame col paziente e l’attività terapeutica
coincideva spesso con l’anamnesi, da lui desunta quasi esclusivamente in modo interpretativo,
mentre per il paziente la narrazione del disturbo agiva come forza catartica e come il migliore
dei placebo.
Successivamente, con Pasteur e Koch nasce la medicina moderna, ma la relazione
“medico-paziente” resta ancora “una storia di silenzio”, nel senso che il malato rimane,
sostanzialmente nel rapporto col curante, soggetto passivo, che segue le direttive del medico,
senza intervenire nel processo di cura, in quanto "di lui si fida e a lui si affida in silenzio e senza
fare alcuna domanda".
Secondo Veronesi, ”la medicina agli inizi del XX secolo si caratterizzava per tre grandi linee: la
prima era la scienza, la seconda l’arte, la terza la magia, cioè la capacità di interagire col
paziente tramite un ascendente particolare". Man mano che il progresso tecnologico-scientifico
ha consentito al medico di poter fare diagnosi di malattia d’organo sempre più corrette, l’aspetto
sciamanico si riduceva a vantaggio di quello professionale.
E’ noto che la reattività a un problema di salute si diversifica da persona a persona, in relazione
a diverse variabili di tipo
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- biologico (età, sesso, razza),
- sociologico (cultura, storia personale, famiglia, stile di vita),
- psicologico (soglia del dolore e soggettività di manifestarlo e alla sua capacità di correlare
anche on line i sintomi da lui accusati a una determinata malattia, stati d’animo, conoscenza,
memoria),
- spirituale (fede religiosa, etica).
Il rapporto medico-paziente è condizionato sia da tutte queste variabili, che coinvolgono sintomi
fisici ed emotivi, che da numerosi altri elementi, quali il continuo progresso tecnologico,
l’enfatizzazione delle procedure di prevenzione, le conoscenze mediate da internet, la
consapevolezza del paziente di non essere più subalterno al medico attraverso il consenso
informato.
Un rapporto asimmetrico è influenzato inoltre da altri fattori che agiscono come vere barriere
della comunicazione, secondo la definizione di Thomas Gordon. Ricordiamo fra tutte la non
compliance
, cioè la scarsa o mancata disponibilità del paziente di accettare o di contestare le indicazioni
del sanitario. Quando si verifica una situazione di
noncompliance
la relazione comunicativa diventa conflittuale, inutile, addirittura inesistente e la relazione si
estingue. Il paziente, in tali circostanze, non solo non accetta la prescrizione del medico cui si è
rivolto, ma addirittura tenderà a opporvisi.
Va da sé che la noncompliance può instaurarsi quando ridotta è la non comprensione del
messaggio: linguaggio eccessivamente tecnico, incomprensibilità del lingua in quanto malato
straniero, specificità della malattia, acuta, cronica con turbe mnesiche-cognitive.
Il malato percepisce l’autoritarismo del medico, che ridurrebbe i suoi comportamenti liberi e
attua un meccanismo di difesa, definito da Brehm come “reattanza psicologica”, che tende a
difendere la libertà minacciata o eliminata.
Il rapporto medico-paziente, per tutto questo, è oggi, secondo Edward Shorter, “uno scontro
tormentato e rabbioso”, con la conclusione di rabbia e frustrazione di entrambi. Scrive Shorter “
non me la prendo coi medici se non tentano di praticare la psicoterapia a livello formale. Li
accuso di ignorare il potere terapeutico della visita medica in sé. La forza guaritrice della
consultazione sta nella purificazione che il paziente ricava dal raccontare le proprie vicende a
qualcuno di cui si fida come guaritore”
.
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Alcuni (o molti?) hanno attualmente sostituito il termine “malato”, “paziente”, con quello
mercantile e del tutto improprio di “cliente” o “esigente”, nel senso che il soggetto sceglie e paga
il medico, cui sottopone richieste specifiche e precise e da lui si attende altrettante risposte
chiare, cui dovrebbero seguire risultati certi.
In questi termini, spesso o talora, il medico avverte questo rapporto soltanto come una
esclusiva o prevalente richiesta di aiuto, mentre ignora quanto di esigenza relazionale in esso è
racchiuso.
Noi riteniamo che le good intention gap (Davids) confermano che la medicina clinica deve
estrinsecarsi certamente attraverso una relazione di aiuto, ma chiarisce anche che “il bisogno
di informazione” del medico avviene sia mediante un continuo aggiornamento, sia attraverso la
conoscenza del malato e non solo della malattia.
Nel 1973, negli USA, l’American Hospital Association approvò la Carta dei Diritti del Paziente
(
Patient Bill of Rights
), che reclama il diritto del paziente a essere informato e a essere partecipe delle decisioni
terapeutiche che lo riguardano. Ne segue che il modello paternalistico viene sostituito da un
etico contrattuale, caratterizzato da un rapporto relazionale. In un articolo apparso sul BJGP (British Journal of General Practice: 54:922-7, 2008) si legge
che nonostante vi sia disponibilità di sempre più cure mediche appropriate e tecnologie
sofisticate in continua evoluzione, che consentono diagnosi sempre più mirate, il 25-50% dei
pazienti si reca dal medico, anche in assenza di evidenti cause patologiche, inficiando, in
questa ultima situazione, sotto molti aspetti, un costruttivo rapporto relazionale.
E’ compito di un medico attento far si che il suo rapporto col paziente non si esaurisca in una
asettica e fredda compilazione di un questionario, o in un frettoloso colloquio monocratico con
la funzione prettamente passiva del paziente, ma sia in grado di esplorarne effettivamente il
vissuto, comprendendone empaticamente le emozioni, i dubbi e le paure.
Attualmente, nota Palma Sbreccia, “la medicina sembra soffrire l’abbondanza di mezzi e la
povertà di fini, c’è quindi bisogno di una riflessione critica, di una filosofia della medicina, cioè di
un discorso sull’essere stesso della medicina, sulla sua essenza e specificità. La medicina non
è solo un sapere né solo una tecnica e neppure la sintesi di entrambi perché è una relazione
che sorge per il bisogno di cura
”. La medicina clinica
attuale ha tentato di ricrearsi come scienza operativa attuando la metodologia dell’evidenza,
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cioè dell’uso cosciente, esplicito e giudizioso delle migliori evidenze disponibili nel momento in
cui si prendono delle decisioni riguardanti la cura di singoli pazienti. Sackett e coll. nel 1997 ha
definito la medicina basata sull’evidenza (EBM) come l’uso coscienzioso, esplicito e accorto
dell’attuale evidenza scientifica nel prendere le decisioni sull’assistenza dei singoli pazienti.
Secondo Djulbegovic B. (Am J Med 1999; 106: 198-205) la EBM si propone di:
- Trasformare il bisogno di informazioni in quesiti clinici ai quali si cerca di dare una
risposta;
- Individuare, con una metodologia corretta, la migliore evidenza che permetta di rispondere
in modo appropriato a tale quesito;
- Valutare criticamente la validità e l’utilità di tale evidenza;
- Trasferire nella pratica clinica la raccomandazione fornita dall’evidenza;
- Valutare la performance e l’impatto del processo nella pratica clinica (verifica
dell’applicazione);
- Trasformare il bisogno di informazioni in quesiti clinici ai quali bisogna cercare una
risposta.
Di fronte a tali presupposti, viene spontaneo chiedersi, la Medicina Basata sull’Evidenza (EBM),
le cui decisioni cliniche si basano sulle “migliori evidenze disponibili” e non sulle “migliori
evidenze possibili”, pur con i suoi sistemi più avanzati (POEMS - Patient Oriented Evidence
that Matter) e con le CPG (Clinical Practice Guideliness), è esaustiva nel rapporto
medico-paziente o, per contro, il modello biomedico attuale, fatto di eccessivo tecnicismo, di
conoscenze scientifiche sempre più aggiornate e, sperimentalmente, più precise, non è
sufficiente a risolvere la relazione?
Ricordiamo che per Slawson (J Farm Pract, 1994) la POEMS è determinata dal rapporto Relev
ance x Validity / Work
, che esprime la potenziale utilità per la pratica clinica e riguarda gli interventi sanitari su
end point
clinicamente significativi:
-
eventi maggiori,
mortalità,
qualità di vita,
misura il tempo,
impegno mentale
costi.
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Secondo Davids (JAMA, 1995) l’EBM viene invalidata se l’operatore sanitario non avverte il
bisogno di informazione o non è disponibile a integrare i risultati della letteratura nelle proprie
decisioni.
Scrive Giorgio Bert “è ovvio che l’interazione tra medico e paziente sarà guidata dal medico, il
quale si assumerà il compito di accompagnare il malato nelle scelte e nelle decisioni; ma
accompagnare non significa spingere o costringere”.
Il medico “moderno”
attento ed empatico ha a sua disposizioni alcune metodologie di approccio che rendono
efficace e produttivo il rapporto con il suo paziente e che danno anche nuovo senso alla
Medicina Basata sull’Evidenza, quali il
counseling
e la
Medicina Narrativa
.
E’, però, altrettanto ovvio che a queste nuove “tecniche relazionali” egli deve avvicinarsi e
apprenderle, con umiltà e senza arroganza.
Il "paziente moderno”, a sua volta, deve avere un’educazione terapeutica, che consente un
trasferimento di competenze dal curante al malato, tale, come osserva Bert, "da determinare
che nel rapporto tra i due, la dipendenza lasci il posto progressivamente alla
responsabilizzazione e alla collaborazione”. Il counseling permette al medico di attivare una
relazione comunicativa sempre più proficua, utile per i due interlocutori, capace di evitare le
modalità barriera e di migliorare sia l’ascolto che una atmosfera di fiducia e cooperazione tra
loro.
Rita Charon, della Facoltà di Medicina della Columbia University, ha creato la cosiddetta Medi
cina Basata sulla Narrazione
(NBM). Oggi, una medicina umanizzata, attenta e non autoreferenziata, onnipotente e
arrogante sa molto bene che, per essere olisticamente valida, deve recuperare il rapporto
medico paziente, dove la narrazione del proprio vissuto patologico da parta del paziente al
medico è considerata al pari dei segni e dei sintomi clinici della malattia stessa.
La novità della NBM sta nel fatto che essa si riferisce non solo al vissuto del paziente, ma
anche a quello del medico e alle loro reciproche relazioni. La relazione medico-paziente è
spesso ostacolata e resa inutile ai fini della stessa diagnosi da vari fattori, quali la fretta, che
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riduce i tempi dedicati al rapporto relazionale, la distrazione da parte del sanitario - telefonate
intercorse durante il colloquio, ad esempio -, il linguaggio eccessivamente tecnico utilizzato,
l’interruzione che impedisce al paziente di continuare liberamente il suo discorso, l’esclusione
del paziente dalla consulenza tra due specialisti che discutono del suo caso.
In estrema sintesi, si può dire che tra la medicina basata sul medico e quella incentrata sul
paziente esistono due modelli teorici orientati l’uno sul “to cure” - curare - e l’altro “to care” prendersi cura -, “preoccuparsi per l’altro”.
La medicina basata sul paziente, sviluppata negli anni ’50 del XX secolo da Carl Rogers,
riteneva che un paziente poteva essere capito solo partendo dalle sue percezioni e da suoi
sentimenti, cioè dal suo mondo fenomenologico e che il medico non doveva manipolare gli
eventi per conto del paziente e doveva evitare di imporre obiettivi al malato durante la terapia.
Palma Sbreccia, docente di filosofia della salute presso il Camillianum scrive: “rispondere ai
possibili abusi del paternalismo medico ricorrendo soltanto al principio di autonomia non serve a
riequilibrare la relazione medico-paziente, ma anzi sembra condannarla alla conflittualità, nella
quale si confrontano due autonomie e due prospettive sulla malattia”.
In conclusione Hollender, rilevando l’esordio e la gravità della patologia, distingue tre livelli di
rapporto medico-paziente:
- nel primo livello, tipico dei casi di urgenza, coma, infarto del miocardico acuto o di
interventi chirurgici, il rapporto è monodirezionale, dove attivo è solo il medico, mentre il
paziente è passivo e inerte;
- nel secondo livello, tipico delle malattie acute, esiste una relazione medico paziente, in
quanto il malato è in grado di partecipare all’atto terapeutico, di esprimere opinioni personali e
avere una buona
compliance;
- il terzo livello si attua nelle malattie croniche e si caratterizza per una mutua e reciproca
partecipazione.
Infine è opportuno rilevare che qualunque sia il rapporto medico paziente è necessario sempre
sottolineare
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dove, quando e in che modo esso si manifesta e avviene
e osservare che non si può non comunicare. Anche un demente può esprimere “stracci”
comunicativi non verbali, attraverso, gesti, mimica facciale, reazioni emotive - riso, pianto -, che
ben interpretati possono fornire numerose, valide informazioni.
In questi casi, al medico viene richiesto tempo da dedicare alla relazione col malato, ascolto
attivo, osservazione della comunicazione non verbale, empatia e capacità comunicativa.
Carmine Macchione
Direttore Scientifico ACSA Magazine,
già professore di Geriatria e Gerontologia dell'Università di Torino
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Capaldo G. La relazione con il paziente: da to cure al to care. Scienza Rianbil. 2007: 8: 5-12.
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Sbrecci P. Rapporto medico-paziente, consenso informato, dichiarazione anticipata di
Trattamento- Corso di Perfezionamento in Bioetica –UCSC Milano 9 aprile 2008.
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Taruscio D. Cos’è la medicina narrativa . ISS Roma 2012.
Veronesi U. Pasteur. Dalla nascita della Medicina moderna alla lotta contro il cancro. La
biblioteca della Repubblica. Roma: 2012.
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