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Consultazione pubblica sul Fascicolo Sanitario Elettronico
31 maggio 2009
GARANTE PER LA PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI
Avviso pubblico di avvio della consultazione su:
"Linee guida in tema di Fascicolo Sanitario Elettronico e di dossier sanitario"
In merito alla consultazione avviata dal Garante per la protezione dei dati personali
relativamente alle “Linee guida in tema di Fascicolo Sanitario Elettronico (FSE) e di dossier
sanitario", la SIT, Società Italiana Telemedicina e sanità elettronica, con il presente documento,
comunica a questa Spettabile Autorità le proprie considerazioni, dichiarandosi disponibile fin da ora
a collaborare per ogni ulteriore approfondimento, confronto e consultazione.
Roma, 31 maggio 2009
Con osservanza
f.to Giancarmine
Russo
Segretario Generale e Legale Rappresentante
Società Italiana Telemedicina e sanità elettronica
NOTA: Il presente documento, elaborato dal Gruppo di ricerca “Sicurezza e Privacy” della SIT è stato approvato,
all'unanimità, dal Consiglio Direttivo del 27 maggio 2009, tenutosi in Roma, presso l'Istituto Superiore di Sanità.
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Indice Generale
Chi Siamo
3
Premessa: il Fascicolo Sanitario Elettronico
4
Definizioni e quadro di riferimento
6
Differenze tra “Fascicolo Sanitario Elettronico” e “Dossier Sanitario"
7
Efficacia giuridica e valore probatorio del documento informatico
8
Disciplina del dato a contenuto sanitario
9
Disciplina giuridica attuale della documentazione sanitaria
9
1.Natura di atto pubblico della cartella clinica
9
2.Responsabilità giuridiche connesse alla redazione di una cartella clinica
11
3.Uniformazione semantica degli elementi contenuti
11
4.La natura giuridica della scheda sanitaria
12
Possibili criticità in relazione all’archiviazione e alla conservazione
14
Applicazione delle misure di sicurezza
18
Principio di necessità
19
Diritto alla privacy e coinvolgimento attivo del cittadino nella tutela dello stesso
21
Impraticabilità della restrizione di accesso solo agli autori oppure ai detentori di una determinata
specialità clinica
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Chi Siamo
La SIT Società Italiana Telemedicina e sanità elettronica è una Società medico-scientifica ex
DM Sanità 31 maggio 2004 costituita con atto pubblico, apartitica, apolitica e aconfessionale, con
durata illimitata nel tempo e senza fini di lucro che opera in ambito nazionale ed internazionale,
favorendo i contatti tra gli studiosi, gli esperti ed i cultori della telemedicina e della sanità
elettronica. La Società, nel rispetto dello statuto sociale e di quanto previsto dal Ministero della
salute in tema di società medico-scientifiche opera per il perseguimento di attività culturale e di
promozione sociale e senza finalità sindacali. In particolare la Società si propone, in concreto, la
crescita culturale e professionale dei Medici e degli Operatori sanitari, nonché il miglioramento
dell'erogazione e della fruizione dei servizi sanitari ai Cittadini, contribuendo così all’innalzamento
della qualità della loro vita, attraverso la promozione, la diffusione e lo sviluppo degli studi, delle
sperimentazioni, delle ricerche e dei progetti nel campo della telemedicina, della sanità elettronica e
di tutti i servizi e le applicazioni ad esse collegate. In data 20 aprile 2009 il Settore Salute del
Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali ha inserito la SIT nell'elenco delle
Società scientifiche, operanti nel settore sanitario, ammesse alla consultazione da parte
dell'Istituzione sanitaria nazionale. Per ulteriori informazioni sulla Società, si rimanda alla scheda
anagrafica allegata sotto la lettera A.
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Premessa: il Fascicolo Sanitario Elettronico
La disponibilità di documenti clinici in forma digitale e la incessante pervasività che le reti
di telecomunicazione vengono ad assumere in questo scorcio del XXI° secolo, stanno per rendere
possibile un diverso modo di gestire l'informazione clinica, basato sull'archiviazione digitale dei
documenti e sulla successiva consultazione, anche da postazione remota, di quanto archiviato. Fin
qui, a parte gli ovvi problemi di:
•
riconoscimento ed autorizzazione degli aventi titolo a tale consultazione
•
garanzia della sicurezza delle comunicazioni al fine di impedire che persone non autorizzate
possano fraudolentemente inserirsi in una linea di comunicazione stabilita da un
professionista autorizzato
la prospettiva non cambia significativamente rispetto al modello cartaceo, se non per il fatto che gli
archivi, invece che essere costituiti da stanze e scaffali riempiti da faldoni contenenti i documenti
clinici, sono costituiti da settori di strumenti digitali di archiviazione. A parte questa fondamentale
differenza, che comporta l’utilizzo di strumenti diversi nei processi di generazione ed archiviazione
dell'informazione clinica, l’utilizzo dei nuovi archivi digitali non cambia significativamente, a
livello di processo, rispetto a quanto codificato nell’era “cartacea”. Ne deriva pertanto che le stesse
regole e gli stessi strumenti legislativi sviluppati per la protezione dei dati clinici residenti su carta,
se opportunamente integrati da altri strumenti in grado di garantire il diritto alla privacy del
cittadino e la sicurezza delle linee di comunicazione utilizzate per la consultazione a posteriori dei
dati stessi, dovrebbero essere sufficienti a garantire che la archiviazione elettronica dei dati clinici
avvenga nel pieno rispetto dei diritti dei cittadini così come riconosciuti nel corpus giuridico
italiano.
La prospettiva cambia, e di molto, se si considera invece lo sviluppo successivo reso
possibile dall'archiviazione digitale. La disponibilità di:
•
informazioni cliniche relative agli episodi di cura in formato elettronico
•
linguaggi che permettono la “marcatura” dei documenti elettronici rendendone disponibile la
ricerca, oltre che la consultazione a distanza (il paradigma su cui si basa il funzionamento di
Internet)
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•
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reti di comunicazione ottimizzate per la trasmissione di larga quantità di dati e dotate di
banda di trasmissione sempre più larga
conduce, come di fatto avviene già in numerosi settori dell'attività umana, all'accessibilità, in tempo
reale, di informazione fisicamente residente in archivi anche remotissimi. In sanità ciò si è tradotto
nell'idea di costruire archivi contenenti non più i singoli documenti bensì gli “indici” che
permettano di risalire ai documenti stessi, rendendo di fatto possibile la costruzione di uno
strumento di nuovo tipo (il cosiddetto Fascicolo Sanitario Elettronico o FSE), un documento
virtuale (non esiste cioè un equivalente in formato cartaceo) che raccoglie riferimenti a tutti gli altri
documenti sanitari archiviati relativi ad un determinato cittadino rendendoli consultabili come se
fossero parte di un unico raccoglitore virtuale. La consultazione diviene possibile solo e soltanto
attraverso una rete protetta, a cui accedono con opportuni strumenti “forti” di identificazione, solo i
professionisti aventi titolo ed, eventualmente, il cittadino stesso. Per chi sta consultando il FSE, la
visione dei documenti contenuti diventa quindi indipendente dal luogo di archiviazione. Le strutture
che generano i documenti “pubblicano” infatti i documenti sulla rete di comunicazione e
l'applicazione che costruisce il fascicolo si incarica di generare le opportune “viste” dei dati relativi
al cittadino. Il cittadino può esercitare un pieno controllo dell’accesso ai propri dati che,
normalmente, vengono resi disponibili a terzi solo dietro espressa autorizzazione del cittadino
stesso, fatti salvi i casi di emergenza e l'eccezione costituita dal Medico di Medicina Generale in
quanto “medico di fiducia” del cittadino e quindi, secondo una consolidata consuetudine, titolare di
un'autorizzazione di accesso permanente ai dati stessi. Al momento della consultazione, tramite
specifiche funzioni, i documenti vengono “recuperati” dagli archivi digitali remoti in cui sono
fisicamente conservati e vengono quindi resi disponibili alla consultazione come se si trovassero
sulla stazione di lavoro di chi ha richiesto la consultazione. Il sistema è altresì in grado di ricostruire
tutti gli accessi intervenuti ai dati, producendo elenchi (file log) contenenti sia le coordinate
temporali che i nominativi di chi ha richiesto tali accessi.
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Definizioni e quadro di riferimento
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Il Fascicolo Sanitario Elettronico, in sigla FSE, almeno in una accezione recente del termine,
è una semplice “collezione” di Human Readable Documents (doc, pdf, immagini...) firmati
digitalmente ed indicizzati da un header XML (definito nel sotto-standard HL7). In pratica, un
linguaggio standard Internet, facile da leggere con qualsiasi browser.
In Italia l’istituzione del Fascicolo Sanitario Elettronico è l’argomento di una linea di attività
del Progetto Mattoni a supporto del Nuovo Sistema Informativo Nazionale (NSIS) coordinato e
promosso dal Ministero della Salute, a cui partecipano alcune Regioni, il CNR, il Dipartimento per
l'Innovazione Tecnologica ed altri Soggetti Istituzionali che hanno dato vita al cosiddetto TSE
(Tavolo di Sanità Elettronica).
Il Fascicolo Sanitario Elettronico (FSE) definito dal Tavolo della Sanità Elettronica (TSE)
rende quindi disponibili informazioni cliniche rilevanti su di un individuo e consiste in una
collezione di unità documentali. Dovrebbe essere un servizio offerto da ogni Azienda Sanitaria agli
assistiti e costituisce un diritto del cittadino. I dati ivi contenuti sono di sua esclusiva proprietà.
Le specifiche del FSE sono:
• custodia, secondo regole predefinite, di unità documentali che siano disponibili 24 x 7
(affidabilità 99.9%) con opportune modalità di disaster recovery;
• garanzia dell’autenticità della fonte;
• garanzia dell’integrità dell’unita documentale;
• garanzia che l’unità documentale non sia stata alterata e corrisponda al documento originale;
• ricezione e gestione delle segnalazioni della fonte originale quando esistono emendamenti al
documento o quando esso è stato sostituito.
Nel Fascicolo Sanitario Elettronico sono contenuti dei summary, di particolare rilievo il
patient summary, e non tutta la cartella clinica del paziente. L'accessibilità è prevista a più livelli:
per i servizi d'emergenza (118), ad esempio, è previsto l'accesso solo all'emergency data set.
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Differenze tra “Fascicolo Sanitario Elettronico” e “Dossier Sanitario”
A parere della scrivente Società l'equiparazione tra “dossier” e “FSE” non sembra avere un
pieno riscontro nella realtà sanitaria italiana. Il “dossier” infatti altro non è che la versione digitale
della cartella clinica cartacea “di struttura”. Si tratta di un raccoglitore di documenti ad uso
esclusivamente interno che viene aperto quando inizia un episodio di cura, viene alimentato durante
tale episodio e viene chiuso al momento del termine dell’episodio stesso. Il dossier, esattamente
come la cartella clinica cartacea, viene poi archiviato e la sua archiviazione lo rende inaccessibile a
chicchessia salvo espressa e motivata richiesta che dovrà essere vagliata dal gestore dell’archivio
digitale proprio come l’archivista esamina i titoli del richiedente nel caso di un accesso alla
controparte cartacea residente in un archivio fisico.
Il fatto quindi che, nel corso dell’episodio di cura, il dossier utilizzi gli stessi strumenti
tecnologici di cui si avvale la costruzione del FSE non deve condurre alla conclusione che tutti gli
strumenti legislativi che verranno costruiti per regolamentare l’utilizzo del FSE possano essere
applicati di fatto al dossier. Quest’ultimo infatti deve supportare la futura opponibilità di quanto
praticato su di un determinato paziente e non è quindi pensabile, ad esempio, che un cittadino possa
chiedere che non venga aperto un dossier relativo ad un determinato episodio di cura, come
implicato nel 5° capoverso del 3° paragrafo del documento del Garante avente titolo: “Diritto alla
costituzione di un fascicolo sanitario elettronico o di un dossier sanitario”. Il cittadino infatti
non può chiedere che non venga aperta una cartella clinica cartacea, pena il rifiuto da parte della
struttura sanitaria di prestare le proprie cure al cittadino stesso. Può semmai chiedere, nel caso del
dossier, che esso non sia reso consultabile in futuro se non dietro sua espressa autorizzazione. Vale
la pena di notare che l'archiviazione digitale mette a disposizione in questo caso strumenti che
permettono di dare effettivo seguito a tale volontà del cittadino mentre è dubbio che ciò sempre
avvenga nel caso di un archivio cartaceo (si pensi a quanti lavori di meta-analisi avvengono nel
mondo su archivi clinici senza che il paziente venga nemmeno a conoscenza del fatto che i suoi
documenti relativi ad un determinato episodio di cura sono stati consultati da terzi a scopo di
ricerca).
La scrivente Società non ritiene pertanto possibile che sia data facoltà al cittadino di
richiedere la costituzione di una cartella clinica cartacea invece che di un dossier sanitario in
formato digitale in quanto in un prossimo futuro ciò sarà reso impraticabile dal graduale ma
ineluttabile passaggio, nelle attività cliniche quotidiane sia a livello ospedaliero che a livello
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territoriale, dagli strumenti di supporto cartacei a quelli digitali. Nel caso del dossier sanitario
l'attenzione deve quindi essere spostata dalla creazione di strumenti che ne impediscano la
costituzione alla creazione di strumenti che regolino strettamente l’accesso al dossier stesso,
implementando innanzitutto un livello di protezione sufficientemente elevato della rete informatica
su cui il dossier è presente, mettendo in campo tutti quegli accorgimenti che permettano di
identificare gli accessi consentendo di individuare e perseguire gli eventuali accessi impropri.
Efficacia giuridica e valore probatorio del documento informatico
Un passaggio essenziale per la realizzazione di un sistema di e-health efficace ed organico
include necessariamente la redazione in formato digitale (o la successiva informatizzazione) dei dati
a contenuto sanitario relativi al paziente e dei documenti che li contengono.
Da tempo il nostro ordinamento riconosce efficacia giuridica e valore probatorio al
documento informatico. L’art. 15 della legge n. 59 del 1997 ha, infatti, sancito per la prima volta e
con disposto a contenuto generale che “Gli atti, dati e documenti formati dalla pubblica
amministrazione e dai privati con strumenti informatici o telematici, i contratti stipulati nelle
medesime forme, nonché la loro archiviazione e trasmissione con strumenti informatici, sono validi
e rilevanti a tutti gli effetti di legge”.
Tale principio è stato, poi, recepito dal Testo Unico documentazione amministrativa (DPR
445/2000), che definiva documento informatico “la rappresentazione informatica di atti, fatti o dati
giuridicamente rilevanti” e stabiliva che “il documento informatico da chiunque formato, la
registrazione su supporto informatico e la trasmissione con strumenti telematici, sono validi e
rilevanti a tutti gli effetti di legge”.
Tali disposizioni sono state recepite in toto nel Codice dell’amministrazione digitale (D.Lgs.
82/2005), che ha raccolto e integrato le disposizioni sulla materia.
Il legislatore italiano è dunque favorevole, anzi caldeggia, la digitalizzazione della
documentazione necessaria allo svolgimento della funzione pubblica.
Tuttavia, se è vero che, come detto, il nostro legislatore vede positivamente, ed anzi
incentiva, la diffusione del documento e del fascicolo informatico, si devono tuttavia segnalare, le
criticità giuridiche legate alla messa a punto del fascicolo sanitario elettronico.
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Disciplina del dato a contenuto sanitario
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Come ben noto al Garante, per “dati sensibili” si intendono, ai sensi dell’art. 4 comma 1
lettera d del Codice privacy “i dati personali idonei a rivelare l'origine razziale ed etnica, le
convinzioni religiose, filosofiche o di altro genere, le opinioni politiche, l'adesione a partiti,
sindacati, associazioni od organizzazioni a carattere religioso, filosofico, politico o sindacale,
nonché i dati personali idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale”.
Nell’ambito della categoria “dati sensibili” il Codice privacy contempla poi il sottoinsieme
“dati sanitari”.
Più specificamente, sono “dati sanitari” i dati sensibili idonei a rivelare lo stato di salute e la
vita sessuale dell’interessato qualora (1) essi siano trattati da organismi sanitari pubblici o da
esercenti le professioni sanitarie per perseguire (2) finalità di tutela della salute o dell’incolumità
fisica dell’interessato, di terzi o della collettività.
Risulta quindi incontrovertibile che la creazione del fascicolo sanitario elettronico
comporterà il trattamento in grande misura di dati personali e, nell’ambito di questi, sia dati
sensibili che dati sanitari e che dunque la regolamentazione del fascicolo sanitario dovrà
ricadere in pieno, come già sottolineato dal Garante, nella disciplina del Codice privacy.
Disciplina giuridica attuale della documentazione sanitaria
1. Natura di atto pubblico della cartella clinica
Gli aspetti critici cui si è fatto cenno sono innanzitutto connessi alla natura di atto pubblico
che il nostro ordinamento giuridico riconosce alla cartella clinica.
Non esiste una definizione normativa di cartella clinica, tuttavia per consolidata dottrina si
tratta di documenti che devono includere sia le informazioni sulle condizioni cliniche del paziente
connesse ai motivi del ricovero, sia indicazioni sulle situazioni pregresse; vi possono poi essere
registrati anche dati relativi ad altri soggetti, in particolare nel caso delle anamnesi familiari.
Nel nostro ordinamento, per giurisprudenza constante ed univoca della Cassazione le
cartelle cliniche hanno valore probatorio di atto pubblico (si veda, tra le altre, Cass. Pen. Sezioni
Unite 11 luglio 1992, n. 7958) in quanto “esplicazione di potere certificativo e partecipi della natura
pubblica dell’attività sanitaria”.
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Non solo, si deve segnalare che a detta della Cassazione sono atti pubblici anche il referto
clinico (Cass. Pen. 10609/82), il certificato sanitario medico USL (Cass. Pen. 2207/1995), la
cartella clinica di casa di cura convenzionata (Cass. Pen. 7958/1992), il certificato di morte (Cass.
Pen. 9073/1989), il certificato di sana e robusta costituzione (Cass. Pen. 9191/1982), gli atti redatti
da una commissione medica incaricata di accertare lo stato di invalidità civile (Cass. Pen.
1004/2000). Inoltre la VI Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 35836 del 1
ottobre 2007 ha stabilito che anche le impegnative, rilasciate dai sanitari convenzionati con il SSN,
che contengano richieste di esami diagnostici o di prescrizioni terapeutiche, sono espressione di
poteri pubblicistici di certificazione, in quanto, attraverso la diagnosi su cui si basano, attestano e
rendono operativo un interesse giuridicamente tutelabile del cittadino, il quale è abilitato a ottenere
l'erogazione della prestazione presso una struttura pubblica senza necessità di alcun controllo o
autorizzazione ulteriore da parte della USL, ovvero, per le prestazioni erogabili in regime di
convenzione, presso una struttura privata "convenzionata” o “accreditata”.
Non si tratta, quindi, per il nostro diritto di un comune documento amministrativo, ma di un
documento collocato dal legislatore, per la rilevanza del suo contenuto e per l’espressione del potere
certificativo in esso contenuta, ai vertici della gerarchia delle realtà documentali previste
dall’ordinamento.
La digitalizzazione della cartella clinica (e dunque la sua “trasformazione” in documento
informatico sottoscritto con firma digitale) potrà costituire il primo (temporalmente parlando) e il
più ampio (dal punto di vista quantitativo) caso, nel nostro paese, di digitalizzazione di un atto
pubblico.
Ne discende che la creazione del “fascicolo sanitario elettronico” a nostro giudizio
dovrà tenere conto della natura di atto pubblico di una parte delle “informazioni organizzate”
in esso contenute, laddove ad esse possa essere riconosciuta la natura ontologica di “cartella
clinica”.
Per lo stesso motivo non potranno alla suddette “informazioni organizzate” essere
applicate de plano le norme del Codice dell’Amministrazione Digitale previste per i documenti
informatici e per i documenti informatici amministrativi, trattandosi nel caso di specie di un
atto amministrativo informatico molto particolare, data la sua natura di atto pubblico (e
dunque di uno dei primissimi casi di “atto pubblico informatizzato”).
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2. Responsabilità giuridiche connesse alla redazione di una cartella clinica
La redazione di tali atti pubblici in modalità informatica comporterà che, in questi casi, la
firma digitale sarà apposta non semplicemente da un medico o altro operatore sanitario, ma da un
medico in veste di pubblico ufficiale.
Dalla natura di atti pubblici di tali documenti e, dunque, dalla funzione di pubblico ufficiale
ricoperta dal sanitario redigente discende che la loro redazione, anche qualora essa avvenga con
mezzi informatici (nonché ogni altra operazione sugli stessi documenti, sia essa di modifica,
integrazione, memorizzazione, archiviazione), comporterà una responsabilità giuridica secondo
certi termini del sanitario - pubblico ufficiale redigente.
In particolare, poiché si tratta, come detto, di atti pubblici si devono segnalare gli articoli del
Codice Penale che disciplinano le responsabilità penali per le falsità materiale e ideologica che
possono essere commesse da pubblico ufficiale nella redazione di atti pubblici (articoli 476, 478,
479 del Codice Penale).
La progettazione di un sistema di gestione informatizzata di fascicoli sanitari
elettronici deve quindi necessariamente tenere conto della particolare natura di “atto
pubblico” del succitato fascicolo o di parte di esso e delle conseguenti responsabilità giuridiche
(anche penali) dei vari operatori che interverranno su di esso nell’inserimento, nella modifica
e nell’archiviazione delle informazioni.
3. Uniformazione semantica degli elementi contenuti
Circa le modalità concrete di realizzazione del fascicolo sanitario elettronico ai fini di un
proficuo utilizzo e di adeguati livelli di interoperabilità e di cooperazione applicativa, non basterà
adottare standard di struttura, ma sarà anche necessario accordarsi sugli elementi infrastrutturali,
prima fra tutti una semantica comune delle tipologie di dati contenuti, che consentirà di ricavare le
informazioni utili dai vari documenti digitali di interesse (cosiddetta fascicolo sanitario
longitudinale).
In relazione alla auspicabile progettazione e diffusa adozione di un “fascicolo sanitario
elettronico” secondo standard internazionali la scrivente Società Italiana di Telemedicina e
sanità elettronica non può quindi che sollecitare caldamente una preventiva e approfondita
conoscenza della natura giuridica dell’atto di cui si discute e che si intende informatizzare e,
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in prospettiva comparatistica, dello studio delle norme di cui i singoli legislatori nazionali (in
particolare dei Paesi dell’Unione Europea) lo hanno fatto oggetto in considerazione della
rilevanza del suo contenuto e della sua funzione.
In caso contrario, nonostante l’adozione di standard tecnici largamente condivisi nel
panorama mondiale, la diffusione di questo strumento di e-health potrebbe essere ostacolata o
rallentata da timori e diffidenze dei pazienti, degli stessi operatori e della dirigenza sanitaria,
se e nella misura in cui essi siano consapevoli delle responsabilità civili, penali e
amministrative connesse al regime giuridico particolare delle cartelle cliniche e della altre
certificazioni sanitarie, regime giuridico che è, d’altro canto, espressione principalmente dello
sforzo garantista del legislatore e dei giudici a tutela del paziente.
4. La natura giuridica della scheda sanitaria
La tenuta e l’aggiornamento di una scheda sanitaria individuale per ciascuno dei propri
pazienti rientra tra i compiti del medico di medicina generale (idem per gli specialisti pediatri di
libera scelta).
Si legga, infatti, quanto riportato nell’Accordo Collettivo Nazionale per la disciplina dei
rapporti con i medici di medicina generale, sottoscritto ai sensi dell'art. 8 del d.lgs. 502/1992, il cui
art. 45, rubricato “Compiti del medico”, precisa: “L'espletamento delle funzioni di cui al precedente
comma 1 (cioè “funzioni e compiti individuali del medico di assistenza primaria”) si realizza con:
(…) c) la tenuta e l'aggiornamento di una scheda sanitaria individuale, su supporto
informatico (…) ad uso del medico e ad utilità dell’assistito e del SSN, secondo standard nazionali e
regionali e modalità definite nell’ambito degli Accordi regionali (…)”.
Da tale lettera c si desume la natura della scheda sanitaria quale documento di lavoro la cui
compilazione deve porsi quale primo obiettivo quello della salute dell’assistito e il cui impiego
avverrà altresì ad utilità del Servizio Sanitario Nazionale.
Alla stessa stregua l’Accordo Nazionale per i pediatri di libera scelta del 2005, all’art. 44
(Compiti del pediatra), prevede che l’espletamento delle funzioni e dei compiti del pediatra si
realizza con:
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“d) la tenuta e l'aggiornamento di una scheda sanitaria pediatrica individuale, su supporto
informatico, ad uso del pediatra e ad utilità dell'assistito e del SSN, che raccoglie anche le
informazioni registrate nel libretto sanitario dell'assistito, secondo standard e modalità definiti
nell'ambito degli Accordi regionali e tenuto conto della normativa nazionale (…)”.
La finalizzazione della scheda sanitaria al primario diritto alla salute del paziente e la sua
utilità in relazione alle attività svolte dal Servizio Sanitario Nazionale risulta maggiormente
rimarcata nella formulazione dei compiti del MMG previsti dall'ACN 23 marzo 2005 (sopra citato),
e ribadita anche nell'ipotesi di rinnovo per il quadriennio normativo 2006-2009, biennio economico
2006-2007, sottoscritta in Roma il 27 maggio 2009 tra la SISAC, Struttura interregionale sanitari
convenzionati e le OO.SS. di categoria, rispetto ai precedenti Accordi, nei quali veniva piuttosto
rilevata la valenza ad uso individuale di tale scheda.
Si legga infatti l’art. 19 “Compiti del medico” in cui la tenuta e l'aggiornamento di una
scheda sanitaria individuale vengono definiti “ad esclusivo uso del medico, quale momento tecnico
professionale”.
Parallelamente, per quanto concerne i pediatri, l’Accordo collettivo nazionale per la
disciplina dei rapporti con i medici specialisti pediatri di libera scelta del 1996, indicava tra i
compiti: “g) La tenuta e l'aggiornamento di una scheda sanitaria pediatrica individuale ad uso
esclusivo del pediatra, quale strumento tecnico professionale”, per quanto si riconosceva altresì alla
stessa lo scopo “migliorare la continuità assistenziale” e di consentire “al pediatra di seguire la
regolare crescita del bambino e di collaborare con l'Azienda ad eventuali indagini epidemiologiche
e ricerche statistiche”.
Nel complesso può quindi rilevarsi un'evoluzione della concezione della scheda
sanitaria, che si svolge – si noti bene - parallelamente al processo di informatizzazione e di
condivisione con i colleghi delle informazioni nelle varie forme di medicina di gruppo, tant’è
che se ne rimarca la necessaria conformità a modelli e standard definiti a livello nazionale e
regionale.
Il processo evolutivo descritto conduce dalla concezione della scheda sanitaria quale mero
supporto alla memoria del professionista (e dunque destinato al suo esclusivo o prevalente impiego)
ad un documento che va assumendo i caratteri della ufficialità e della finalità alla consultazione da
parte di terzi, nonché della condivisione delle informazioni nell’ottica del bene del paziente e della
continuità e coerenza delle cure.
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Come ampiamente sopra illustrato tale finalità prescinde sempre di più, nell’evoluzione
normativa, dalla mera finalità di annotazione privata del professionista sanitario per aderire invece
in maniera sempre più calzante a quella di documento con caratteri di ufficialità redatto dal medico
a vantaggio del suo paziente (ovvero - in termini privacy - dell’interessato) e del Servizio Sanitario
Nazionale.
Tale impostazione trova conferma nel Codice deontologico medico, il quale all’art. 25,
rubricato “Documentazione clinica” recita: “Il medico deve, nell’interesse esclusivo della persona
assistita, mettere la documentazione clinica in suo possesso a disposizione della stessa o dei suoi
legali rappresentanti o di medici e istituzioni da essa indicati per iscritto”.
Sotto questo punto di vista risulta interessante esaminare quanto espresso dalla Cassazione
Civile a Sezioni Unite (Cass. Civ., Sezioni Unite, 13/11/1996, n. 9957) che, con riferimento al
rapporto tra il medico di base e l’Azienda ha rilevato quanto segue: “Tra il medico di base e la
pubblica amministrazione si costituisce convenzionalmente un rapporto di servizio con riguardo alle
attività che si inseriscono nell’organizzazione strutturale, operativa e procedimentale della USL, tra
le quali rientrano quelle di natura non professionale, perché consistenti in certificazioni
(compilazione di prescrizioni farmaceutiche e cartelle cliniche) (…)”.
Si rimarca dunque l’esistenza di un rapporto contrattuale tra il medico e l’Azienda anche con
riferimento a quelle attività che esulano dalla tipicità della professione e che risultano a queste
strumentali e di organizzazione, quali quelle certificative e documentative.
La progettazione e realizzazione del fascicolo sanitario elettronico dovrà tenere
necessariamente conto della evoluzione della attività documentale tipica del medico di base (il
cui prodotto è definito “scheda sanitaria” e spesso impropriamente confuso con la cartella
clinica) nel senso di una sempre maggiore formalizzazione e ufficializzazione, anche e
soprattutto nell’ottica di una sua informatizzazione.
Possibili criticità in relazione all’archiviazione e alla conservazione
Come noto, la documentazione sanitaria è caratterizzata da natura particolare anche in
relazione ai suoi tempi di conservazione.
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Ai sensi della circolare del Ministero della Sanità n. 61 del 19/12/86, che si conforma alle
disposizioni in materia di scarto di atti d'archivio contenute D.P.R. n. 1409/1963, le cartelle
cliniche, unitamente ai relativi referti, devono essere conservate illimitatamente: per almeno
quarant’anni in un archivio corrente e successivamente in una sezione separata, istituita dalla
struttura sanitaria, in quanto esse “rappresentano un atto ufficiale indispensabile a garantire la
certezza del diritto, oltre a costituire preziosa fonte documentaria per le ricerche di carattere storicosanitario”.
Per quanto concerne le radiografie, continua la citata circolare del Ministero della Sanità,
“non rivestendo esse il carattere di atti ufficiali, si ritiene che potrà essere sufficiente un periodo di
venti anni”. In analogia a quanto stabilito per le radiografie, si stabilisce che la restante
documentazione diagnostica possa essere assoggettata allo stesso periodo di conservazione di venti
anni, finché non intervengano eventuali ulteriori disposizioni a modificare il limite predetto.
Laddove, poi, i presidi sanitari trovassero difficoltà nell’allestimento di idonei locali da
destinare ad archivio, “è consentita” in base alla circolare “la possibilità del ricorso alla
microfilmatura sostitutiva di tutta la documentazione sanitaria (…)”.
E’ intervenuto poi il D.M. 14.02.1997, il quale per la documentazione iconografica
radiologica e di medicina nucleare prevede un periodo di conservazione di almeno dieci anni nel
caso di documentazione iconografica prodotta a seguito dell'indagine diagnostica utilizzata dal
medico specialista nonché in quella prodotta nell'ambito delle attività radiodiagnostiche
complementari all'esercizio clinico, ma a tempo indeterminato per resoconti radiologici e di
medicina nucleare, ovvero referti stilati dal medico specialista radiologo o medico nucleare, salvo
termini diversi stabiliti con direttive del Ministro della sanità su conforme parere del Consiglio
superiore di sanità.
Al di là della necessità di arrivare ad una chiarificazione della disciplina relativa ai
tempi di conservazione, appare in ogni caso evidente la necessità, per questioni di praticità,
risparmio di spazio, maggiore rapidità nella ricerca delle informazioni, di un sempre più
massiccio ricorso alla digitalizzazione dei documenti che possano essere conservati in questa
forma e che debbano essere conservati per diversi anni.
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Del resto il legislatore nazionale incentiva la conservazione sostitutiva in ogni attività
pubblica. Si legga, infatti, l’art. 43 del Codice dell’amministrazione digitale, rubricato
“Riproduzione e conservazione dei documenti”: “I documenti degli archivi, (…) ed ogni atto, dato o
documento di cui è prescritta la conservazione per legge o regolamento, ove riprodotti su supporti
informatici sono validi e rilevanti a tutti gli effetti di legge, se la riproduzione sia effettuata in modo
da garantire la conformità dei documenti agli originali e la loro conservazione nel tempo (…)”.
Tale conservazione dovrà avvenire nel rispetto delle regole tecniche stabilite ai sensi
dell'articolo 71 del Codice. Con riferimento alle regole tecniche di cui al citato articolo 71, da
ultimo, la deliberazione CNIPA n. 11 del 19 febbraio 2004, intitolata Regole tecniche per la
riproduzione e conservazione di documenti su supporto ottico idoneo a garantire la conformità dei
documenti agli originali, suddivide i documenti da conservare in due grandi categorie: i documenti
informatici e i documenti analogici.
Ai sensi dell’art. 1 comma 1 per “documento analogico” si intende il “documento formato
utilizzando una grandezza fisica che assume valori continui, come le tracce su carta (esempio:
documenti cartacei), come le immagini su film (esempio: pellicole mediche, microfiche, microfilm),
come le magnetizzazioni su nastro (esempio: cassette e nastri magnetici audio e video)”.
E’, invece, “documento informatico” la rappresentazione informatica di atti, fatti o dati
giuridicamente rilevanti, definizione che abbiamo visto essere ribadita anche nel Codice
dell’amministrazione digitale.
Il processo di conservazione delle due categorie di documenti dovrà realizzarsi mediante la
memorizzazione dei documenti sul supporto ottico, ed eventualmente anche delle loro impronte
informatiche (ottenute mediante applicazione della funzione di hash), e dovrà terminare con
l’apposizione del riferimento temporale (cosiddetta marcatura temporale o time stamping) e della
firma digitale del responsabile della conservazione, mediante la quale egli attesta il corretto
svolgimento del processo di conservazione.
Ai sensi dell’art. 3 delle citate regole tecniche: “Il processo di conservazione sostitutiva di
documenti informatici, anche sottoscritti, (…), e, eventualmente, anche delle loro impronte, avviene
mediante memorizzazione su supporti ottici e termina con l'apposizione, sull'insieme dei documenti
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o su una evidenza informatica contenente una o più impronte dei documenti o di insiemi di essi, del
riferimento temporale e della firma digitale da parte del responsabile della conservazione che attesta
il corretto svolgimento del processo”.
Nel caso, quindi, di documenti informatici sottoscritti da un operatore sanitario (es.
certificati medici redatti su pc), per una conservazione corretta, questi dovranno essere firmati
digitalmente almeno due volte in sequenza: una volta dal medico redigente e una dal responsabile
conservatore.
Ai sensi poi dell’art. 4, “Conservazione sostitutiva di documenti analogici”: “Il processo di
conservazione sostitutiva di documenti analogici avviene mediante memorizzazione della relativa
immagine direttamente sui supporti ottici, eventualmente, anche della relativa impronta, e termina
con l'apposizione, sull'insieme dei documenti o su una evidenza informatica contenente una o più
impronte dei documenti o di insiemi di essi, del riferimento temporale e della firma digitale da parte
del responsabile della conservazione che attesta così il corretto svolgimento del processo”.
Inoltre, in base al terzo comma del citato articolo: “Il processo di conservazione sostitutiva
di documenti analogici originali unici si conclude con l'ulteriore apposizione del riferimento
temporale e della firma digitale da parte di un pubblico ufficiale per attestare la conformità di
quanto memorizzato al documento d'origine”.
Nel caso quindi di documenti analogici (per esempio microfilm di materiale radiologico),
questi saranno firmati digitalmente dal responsabile della conservazione e, a seguire, da un pubblico
ufficiale che attesti la conformità tra il documento analogico in formato digitale e il documento
originario.
In entrambi i casi, dovrà essere apposta una particolare firma digitale, con funzione di
determinazione certa del momento dell’operazione, la cosiddetta marcatura temporale.
Ne discende che la creazione del “fascicolo sanitario elettronico”, a nostro giudizio,
dovrà tener conto dei processi di archiviazione e conservazione sostitutiva cui va
necessariamente sottoposta la documentazione sanitaria e includere uno sforzo di
riorganizzazione e armonizzazione del quadro normativo in materia.
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Applicazione delle misure di sicurezza
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Con riferimento all’applicazione delle misure di sicurezza, non si può non ribadire la
necessaria e generale applicazione, al fascicolo sanitario elettronico, delle misure di sicurezza
previste dal Codice privacy e dall’allegato B, con particolare riguardo ai dati sensibili e
sanitari.
In particolare, va citato l’art. 22 del Codice, il cui comma 6 stabilisce che i dati sensibili (e
dunque anche i dati sanitari) contenuti in banche di dati e tenuti con l'ausilio di strumenti elettronici,
“sono trattati con tecniche di cifratura o mediante l'utilizzazione di codici identificativi o di altre
soluzioni che, considerato il numero e la natura dei dati trattati, li rendono temporaneamente
inintelligibili anche a chi è autorizzato ad accedervi e permettono di identificare gli interessati solo
in caso di necessità”.
Il successivo comma 7 aggiunge: “I dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale
sono conservati separatamente da altri dati personali trattati per finalità che non richiedono il loro
utilizzo”. L’abbinamento dato identificativo-dato sanitario dovrà quindi avvenire solo a seguito di
un’ulteriore operazione di decifratura o di immissione di codice identificativo.
La suddetta interpretazione pare confermata dal Disciplinare tecnico in materia di misure
minime di sicurezza, Allegato B, il cui punto 19.8 richiede che il Documento Programmatico sulla
Sicurezza individui “per i dati personali idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale,
l'individuazione dei criteri da adottare per la cifratura o per la separazione di tali dati dagli altri dati
personali dell'interessato”.
Il successivo punto 24 prevede, in relazione alle “Ulteriori misure in caso di trattamento di
dati sensibili o giudiziari” che: “Gli organismi sanitari e gli esercenti le professioni sanitarie
effettuano il trattamento dei dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale contenuti in
elenchi, registri o banche di dati con le modalità di cui all'articolo 22, comma 6, del codice, anche al
fine di consentire il trattamento disgiunto dei medesimi dati dagli altri dati personali che permettono
di identificare direttamente gli interessati”.
La realizzazione in termini tecnici delle indicazioni del legislatore sembra, dunque,
richiedere la separazione fisica a livello di database dei dati identificativi rispetto a quelli idonei a
rivelare lo stato di salute. Il matching tra i dati identificativi e quelli sensibili potrà poi essere
effettuato tramite un codice identificativo univoco del paziente in modalità sicura.
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I dati identificativi potranno essere cifrati a livello di database tramite tecniche avanzate di
crittografia: ciò consentirà di mantenere anonimi i dati idonei a rilevare lo stato di salute in caso di
accessi non autorizzati al database.
Al fine, poi, di rendere i dati identificativi temporaneamente inintelligibili anche a chi è
autorizzato ad accedervi e di rendere possibile l’identificazione degli interessati solo in caso di
necessità, come richiesto dal comma 6 dell’art. 22, l’interfaccia grafica del programma dovrà
consentire la visualizzazione in forma anonima dei dati idonei a rivelare lo stato di salute
dell’interessato al trattamento: i dati identificativi saranno visualizzati in forma cifrata e risulteranno
pertanto inintelligibili.
In caso di necessità, l’applicazione dovrà consentire ai soli utenti autorizzati di visualizzare i
dati anagrafici in chiaro, mediante loro decifratura.
La riunificazione dei dati clinici e di quelli identificativi a formare il dato sensibile avverrà
quindi solamente sull’interfaccia dell’applicazione e solo se necessario: il matching tra i due tipi di
dati sarà effettuato, come detto, dal codice identificativo del paziente e informazione anagrafica e
sanitaria saranno unite solo a livello visivo nell’interfaccia grafica, rendendo così il dato sensibile
intelligibile all’utente autorizzato e su sua richiesta.
Principio di necessità
Come è ben noto a questa Spettabile Autorità, il dato sanitario è oggetto di una specifica
disciplina contenuta nel Titolo V del d.lgs. 196 del 2003, che lo differenzia dal dato sensibile tout
court.
In particolare, il dato sanitario è tale, e pertanto sottoposto al regime giuridico di cui sopra,
solo qualora esso sia trattato dall’esercente la professione sanitaria o dall’organismo sanitario con
l’esclusiva finalità di tutela della salute dell’interessato, di un terzo o della collettività.
Qualora le finalità del trattamento siano altre ovvero esso non sia trattato dai soggetti sopra
elencati, viene meno la sua qualifica di dato sanitario e, pur mantenendo invariato il suo contenuto
informativo, viene per così dire “declassato” alla categoria di dato sensibile, con applicazione della
disciplina, per certi versi più generica, relativa appunto a questo tipo di dato.
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La questione del regime giuridico del dato a contenuto sanitario diviene di primaria
importanza in relazione alla progettazione del fascicolo sanitario elettronico.
Innanzitutto va ricordato che requisito primario perché si possa parlare di dato sanitario (e,
prima ancora, di dato personale) ai sensi della normativa privacy è che esso sia riferibile ad una
persona fisica identificata o identificabile.
Da quanto sopra si desume che il trattamento di informazioni sanitarie in forma anonima
fuoriesce dall’ambito di applicazione della normativa privacy ed, in particolar modo, del Codice
privacy, che ne è attualmente la principale regola.
Ne consegue che, se è pur vero che le informazioni raccolte nel fascicolo sanitario
elettronico costituiscono un patrimonio conoscitivo di grande interesse a tutela del cittadino
paziente a vari fini, è anche vero che la raccolta, la memorizzazione, la trasmissione di tali
informazioni (specie con riguardo al caso in cui tali operazioni avvengano con modalità
informatiche e telematiche), sono operazioni che devono essere fatte oggetto di particolare cura e
attenzione con riferimento alla disciplina applicabile.
Va altresì ribadito un altro principio cardine, con riferimento al trattamento lecito dei dati
personali: il principio di necessità, in base al quale il dato personale va trattato solo qualora tale
trattamento sia assolutamente indispensabile alla finalità perseguita, altrimenti l’informazione va
trattata in forma anonima (art. 11, comma 1 lett. d: “I dati personali oggetto di trattamento sono (…)
non eccedenti rispetto alle finalità per i quali sono raccolti e successivamente trattati”).
Con specifico riguardo ai sistemi informativi, l’art. 3 comma 1 del Codice privacy prescrive
quanto segue: “I sistemi informativi e i programmi informatici sono configurati riducendo al
minimo l’utilizzazione di dati personali e di dati identificativi, in modo da escluderne il trattamento
quando le finalità perseguite nei singoli casi possono essere realizzate mediante, rispettivamente,
dati anonimi od opportune modalità che permettano di identificare l’interessato solo in caso di
necessità”.
Sotto questo profilo è essenziale ricordare che il fine per cui i dati vengono trattati è
elemento determinante della liceità o illiceità del trattamento stesso.
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Infatti, ai sensi dell’art. 11 comma 1 del Codice privacy, i dati personali oggetto di
trattamento devono essere “trattati in modo lecito” e, più specificamente, “raccolti e registrati per
scopi determinati, espliciti e legittimi, ed utilizzati in altre operazioni del trattamento in termini
compatibili con tali scopi”, ma altresì i dati trattati “non (devono essere) eccedenti rispetto alle
finalità per le quali sono raccolti o successivamente trattati”. Affinché un trattamento sia lecito è,
cioè, necessaria una previa individuazione - adeguatamente specifica e dettagliata - delle finalità di
tale trattamento.
Diritto alla privacy e coinvolgimento attivo del cittadino nella tutela
dello stesso
Nel caso specifico del problema della costituzione del FSE, riteniamo che il cittadino
dovrebbe essere reso parte attiva del processo di salvaguardia del proprio diritto alla privacy, in
primis con un'ampia campagna d'informazione a livello nazionale. Poi, piuttosto che delimitare la
costituzione del FSE in funzione di utilizzi fraudolenti (comunque sempre possibili...) sembrerebbe
più utile orientare le linee guida alla definizione di quegli strumenti che dovrebbero essere resi
obbligatori per garantire al cittadino, da un lato l’accesso al proprio FSE e, dall’altro, la notifica al
cittadino stesso di ogni accesso da parte di terzi al suo FSE. In questo modo il cittadino
diventerebbe il primo tutore attivo del proprio diritto alla privacy e potrebbe intentare direttamente
ogni azione a tutela di tale diritto nel caso in cui un'infrazione ad esso si sia effettivamente
manifestata. Sembra questo un modo di perseguire gli eventuali reati, derivanti da un uso improprio
del FSE, oltre che tecnologicamente praticabile, infinitamente più efficace che quello di ridurre
l’efficacia dello strumento FSE per cercare di prevenire ogni possibile occorrenza di tali utilizzi
fraudolenti.
Impraticabilità della restrizione di accesso solo agli autori oppure ai
detentori di una determinata specialità clinica
Considerazioni di ordine pratico rendono poi più percorribile l’ipotesi di attrezzarsi con
strumenti che rendano certa la perseguibilità di eventuali utilizzi fraudolenti, piuttosto che rendere
meno efficace il FSE, laddove, come nel 2° e 3° comma del 5° paragrafo del documento del
Garante avente titolo: “Dati che possono essere trattati e accesso al fascicolo sanitario
elettronico e al dossier sanitario”, si ipotizza una costruzione modulare del FSE tale da consentire
di restringere l’accesso alle informazioni in esso contenute solo agli autori delle stesse, oppure solo
agli specialisti di riferimento (es.: solo le informazioni relative alla pneumologia visibili in caso di
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ricovero in ambiente pneumologico) o, ancora, di consentire l’oscuramento non motivato di intere
sezioni dello stesso.
•
La prima ipotesi (accesso riservato solo agli autori delle informazioni) di fatto svuota di
significato alla radice il concetto stesso di FSE.
•
La seconda ipotesi (accesso riservato solo agli specialisti di riferimento), oltre che di
difficile realizzazione pratica, dovrebbe essere basata sulla possibilità di etichettare
l'informazione clinica, almeno “a posteriori” , come attinente ad una specifica specialità. In
subordine dovrebbe essere possibile limitare l’accesso ad uno specialista ad informazioni
ben definite. Si verrebbe in questo modo a creare una sorta di “lista autorizzata” di
prestazioni consultabili da uno specialista e non da un altro. A parte che tale impianto
rischierebbe di escludere intere categorie di medici dalla possibilità di consultare il FSE di
un cittadino (quali sarebbero ad esempio le informazioni riservate ad un anestesista, ad un
internista od ad un medico di medicina generale, specialità caratterizzate dal fatto di
occuparsi in modo olistico del paziente?) occorre rilevare che, come sa chiunque abbia
avuto occasione di frequentare ambienti sanitari, ben difficilmente è possibile prevedere “a
priori” quali saranno le informazioni che assumeranno in seguito una rilevanza nella storia
di un determinato paziente.
•
Chiedere quindi di riservare oggi ad un solo professionista (o ad una categoria di
professionisti) l’accesso a determinate informazioni, piuttosto che consentire un
oscuramento non motivato di intere sezioni del FSE, come nella terza delle ipotesi sopra
accennate, equivale a rendere tout court inutile il FSE stesso. È peraltro vero che, anche
nel caso di un contatto attuale il paziente può, se vuole, omettere di informare, se così
desidera, il professionista che lo ha in cura riguardo ad alcuni dei suoi trascorsi, oppure che
li riveli solo al proprio “medico di fiducia” con esplicita richiesta di non comunicarli a
chicchessia. In tali particolari circostanze si può prevedere, dopo un'adeguata informativa
circa le possibili conseguenze di tale atto nel futuro, che tale singola informazione (e non
intere sezioni del FSE), sia mascherata agli altri operatori sanitari e visibile solo al proprio
“medico di fiducia” analogamente a quanto i software di gestione di cartella clinica dei
MMG e PLS già attualmente fanno con la funzione “nascondi” o “privata” rendendo la
singola registrazione in cartella visibile al solo medico titolare della scelta del paziente e
non alla segretaria, all'infermiera e ai medici sostituti od associati.
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Considerazioni conclusive
31 maggio 2009
Ai fini della predisposizione di un quadro normativo e regolamentare corretto ed esaustivo
che disciplini il Fascicolo Sanitario Elettronico la scrivente Società ritiene che non si possa
prescindere dalla chiara ed inequivocabile indicazione delle finalità per cui ciascun tipo di dato a
contenuto sanitario andrà trattato (a tutela della salute del paziente, di terzi, della collettività, per
fini amministrativi, per fini di ricerca, per fini statistici, per scopi commerciali...), in quanto la
finalità, in base al principio di necessità, sarà criterio determinante per stabilire, in primis se tale
trattamento è lecito o meno, se può essere eventualmente effettuato in termini anonimi ed in forma
aggregata e comunque quale ne debba essere la disciplina normativa.
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