Due sono stati i libri che hanno segnato la mia infanzia
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Due sono stati i libri che hanno segnato la mia infanzia
Due sono stati i libri che hanno segnato la mia infanzia e adolescenza: Cuore di De Amicis e I ragazzi della via Pal di Molnar. Il primo lo conobbi tra i banchi di scuola elementare (suppongo fosse la quarta o la quinta classe) il secondo tra quelli di scuola media. Di tutti i racconti mensili del Cuore, quello che più mi colpì fu “Sangue romagnolo”. La storia di Ferruccio che si immola per salvare la nonna durante una tragica rapina notturna, mi commosse fino alle lacrime. Ma un po’ tutti i racconti mensili lasciarono il segno. Quando poi, da insegnante, cercai di riproporli ai miei alunni di Secondigliano (zona periferica e degradata di Napoli) ecco la risposta che ne venne da uno di loro: “Prufessó, nuie già tenìmmo ‘e guaje nuóste… Vuje ce vulìte affliggere pure c’’o libbro Cuore…! ”. (“Professore, 7 noi già abbiamo i nostri guai… Voi ci volete affliggere pure col libro Cuore…!”). Capii allora di avere a che fare con una generazione troppo lontana dalla mia, e soprattutto da quella che aveva ispirato il capolavoro di De Amicis. Ho detto capolavoro. Ma è proprio tale? Quando fu pubblicato Cuore (1886) il consenso popolare fu immediato, al punto che il libro raggiunse in pochi anni il milione di copie vendute (cifra altissima al tempo). Non fu così per la critica, che giudicò il romanzo di De Amicis in modo negativo. Una “demolizione”. che ebbe inizio subito, e continua ai nostri giorni. Anzi proprio ai nostri giorni si scrivono le cose più cattive sul libro e sull’autore. Si è detto che nel Cuore “vi sono pagine che ormai neanche i giovani più timorati e all’antica riescono a sopportare”. (Stirati); che “il libro Cuore è (…) una elencazione spietata di drammi, di infelicità fisiche e morali”. (Comencini); che a “Edmondo dai languori”. (come lo chiamava sarcasticamente Carducci) 8 “commuovere non basta: vuol proprio veder tirar fuori il moccichino. E, boia di un mondo, ci riesce, magari con colpi proibiti”. (Baldini). In definitiva, che il Cuore è un libro “insopportabile” (Pavolini) nonostante indubbie qualità artistiche. A me questo romanzo è sempre piaciuto, forse perché sono uno che di lacrime ne versa parecchie. E poi non è solo questione di pietà o commozione. Sentimenti come altruismo, generosità, bontà, amor filiale, sono versati a piene mani nel libro, e le virtù eroiche credo non abbiano mai nociuto a nessuno. Una rilettura del Cuore farebbe bene proprio a questa nostra generazione che dei valori sembra aver perso il significato. Come che sia, ho pensato che avrebbe fatto piacere a De Amicis che un suo collega (ho l’ardire di ritenermi tale) riproponesse i racconti mensili (che del Cuore sono la parte più interessante) in versione “leggera”, sostituendo al pianto e alla commozione il sorriso, 9 quando non la risata (ho finanche immaginato che a scrivere qualche passo fosse Franti). De Amicis conosceva bene l’arte dell’umorismo e dell’ironia, e lo dimostrò in più di un lavoro, da La maestrina degli operai (1892) (considerata dal De Rienzo “una sorta di caricatura del Cuore”) a Il re delle bambole (1906), da Complimenti e convenevoli a Tra due mosche (si tratta di articoli pubblicati sull’”.Illustrazione italiana”. nel 1906 e nel 1907). Non era solo maestro di pianto ma anche di riso (e se non di riso, di sorriso), e ho la presunzione di pensare che la mia operazione non gli sarebbe dispiaciuta, perché non vi avrebbe visto irrisione alla sua opera ma solo un innocente gioco letterario. Non si tratta infatti di una dissacrazione del libro (non me lo sarei mai perdonato) ma di un divertissement, di una gioiosa variazione sul tema (anzi sui temi: il patriottismo, la solidarietà, lo spirito di sacrificio eccetera). Se poi mi sono sbagliato, se anch’io ho infer10 to un duro colpo a De Amicis, temo che all’altro mondo mi aspetti corrucciato, per farmi un cuore (anzi, un mazzo1) così. 1 Sedere. 11 Il piccolo patriota padovano I Questa è la storia di un’elemosina finita quasi a mazzate. Un bambino padovano di 11 anni era stato venduto dai genitori a un saltimbanco. Costui se l’era portato in giro per molte città di Francia, come un sacco di patate. Quindi erano arrivati in Spagna. Gli aveva insegnato a fare tanti giochi per divertire la folla. Davanti ad essa gli faceva complimenti, gli diceva: “Bravo, padovano, bravo, sei un acrobata nato!”.; a folla diradata, chissà perché, lo riempiva di botte. Povero bambino, dei due occhi che aveva (come del resto ognuno di noi), uno era sempre spalancato per paura di buscarle, l’altro era ammarràto2. Non potendone più, se ne scappò da Barcellona, e chiese aiuto al console d’Ita2 Gonfio di botte, e semi-chiuso. 13 lia. Il console d’Italia, come lo vide, provò una pena infinita. Disse: “Sta tranquillo, piccolo patriota padovano, adesso scrivo una bella lettera al questore di Genova, per farti rimandare da quelle carogne dei tuoi genitori”. E così fece. Il bambino gli baciò le mani e gli disse: “Grazie assai, voscienza, vi sarò riconoscente fino alla morte”. Lo imbarcarono su un veliero, cabina di II classe (però lui vestiva di III). Sulla nave il bambino se ne stava sempre affacciato a prua, solo come un cane (non uno di quelli che partecipano ai concorsi di bellezza canina, però), poi se ne tornò in cabina. In cabina tutti lo squadravano. Si vedeva a un chilometro che l’avevano mazziàto per bene3. Molti gli facevano domande: “Chi è stato a pestarti?”. “Chi sei, omuncolo?”. “Quest’occhio ammarràto non me la conta giusta”. eccetera. Lui all’inizio non rispondeva, odiava tutto il genere umano, infine gli si sciolse la lingua, e raccontò la sua vita dannata. Sul bastimento si parlavano 3 Che 14 aveva subìto numerose percosse. molte lingue, lui capiva un poco l’argentino e il francese, del sardo nemmeno una parola. Mezzo mondo partecipò al suo triste racconto, tranne gli inglesi, per i quali si deve salvare solo la regina. Alcuni stranieri gli dettero dei soldi, poi lo fecero anche due dame di carità (volevano farsi belle al ritorno in parrocchia). Lui non si offese, dicendo “Embè? per chi mi avete preso, per un mendicante?”. no, li accettò, pensando che a Genova con quei soldi poteva comprare un vestito usato di Armani, e dare il rimanente ai genitori, anche se meritavano un cazzotto in faccia. A un certo punto, però, sopra la sua cuccetta, i tre stranieri cominciarono a bere Folonari, e più bevevano più offendevano gli italiani. Ci fecero una mappìna4. Ci chiamarono scansafatiche, sporcaccioni, drogati. Mentre uno stava per dire ladri (gli era già uscito LA in maiuscolo), il piccolo patriota padovano prese le monete e gliele buttò sulla testa gridando: “Ripren4 Straccio per lavare i pavimenti, oppure cencio per spolverare. 15 detevi i vostri soldi. Io non accetto denaro da chi parla male dell’Italia!”. Questo avveniva nel 1800. Oggi se si parla male dell’Italia, nessuno restituisce i soldi. 16