Scheda da Film discussi insieme 2006
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Scheda da Film discussi insieme 2006
21 La seconda notte di nozze Regia: Pupi Avati sceneggiatura: Pupi Avati fotografia: Pasquale Rachini montaggio: Amedeo Salfa musica: Riz Ortolani scenografia: Mario Carlini, Francesco Crivellini costumi: Mario Carlini, Francesco Crivellino interpreti: Antonio Albanese (Giordano Ricci), Katia Ricciarelli (Liliana), Neri Marcorè (Nino Ricci), Angela Luce (Suntina Ricci), Marisa Merlini (Eugenia Ricci), Roberto Madison (Enzo Fiermonte), Toni Santagata (Ugo Di Dante), Manuela Morabito (Estrelita), Sandro Dori (notaio Colliva), Mia Benedetta (Mariagrazia), Valeria D’Obici (madre di Clara) produzione: DueA, in collaborazione con Rai Cinema distribuzione: 01 Distribution durata: 1h 43’ PUPI AVATI Bologna - 3 novembre 1938 1969 Thomas, gli indemoniati 1970 Balsamus, l’uomo di satana 1975 La mazurka del barone, della santa e del fico fiorone 1976 Bordella 1976 La casa dalle finestre che ridono 1977 Tutti defunti... Tranne i morti 1978 Jazz band 1979 Pooh in concerto 1979 Le strelle nel fosso 1979 Cinema!!! 1980 Mille bambine per un sogno 202 LA SECONDA NOTTE DI NOZZE 1980 Hengel Gualdi in concerto 1981 Aiutami a sognare 1982 Dancing paradise 1983 Accadde a Bologna 1983 Zeder 1983 Una gita scolastica 1983 Dino Sarti in concerto 1984 Impiegati 1984 Noi tre 1985 Festa di laurea 1986 Hamburger Serenade 1986 Regalo di Natale 1987 Sposi 1987 Confessioni di un alcolista 1987 Ultimo minuto 1989 È proibito ballare 1989 Storia di ragazzi e di ragazze 1991 Bix - Un’ipotesi leggendaria 1992 Fratelli e sorelle 1993 L’amico d’infanzia 1993 Magnificat 1994 Dichiarazioni d’amore 1996 Festival 1996 L’arcano incantatore 1997 Il testimone dello sposo 1999 La via degli angeli 2001 I cavalieri che fecero l’impresa 2003 La rivincita di Natale 2003 Il cuore altrove 2005 Ma quando arrivano le ragazze? 2005 La seconda notte di nozze LA STORIA Nella Bologna del secondo dopoguerra, Liliana cerca di rifarsi una vita dopo la morte del marito trasferendosi al sud, presso dei parenti benestanti. In realtà è Nino, il figlio scapestrato di Liliana, a voler dare questa svolta alle loro vite troppo misere e che rischiano di peggiorare anche di più. Ma a volte, se si dà una mano al destino, ci può invece essere un futuro migliore... In questo film, Pupi Avati offre una pagina di storia degli anni immediatamente successivi al secondo conflitto mondiale, attraverso la difficile quotidianità della gente; e lo fa utilizzando anche i suoi tipici toni poetici che nulla hanno a che fare con il neorealismo, ma che sono comunque interessanti. In una chiesa di Bologna si sono rifugiati dei poveri sfollati, che cercano di trovare un modo non solo per sopravvivere, ma anche per ricominciare tutto da capo. C’è chi trova dei metodi non proprio ortodossi per far questo, come Nino, che non disdegna di truffare e derubare gli altri pur di racimolare qualcosa per tirare avanti. Nino è un personaggio che, nonostante le sue azioni disoneste, pare ispirare - se non proprio simpatia - almeno della comprensione. Di questo stesso parere sembra essere il regista, dato che alla fine gli “permetterà” di realizzare i suoi sogni. Tuttavia, per quanto si possa essere inclini all’indulgenza prima di condannare questo personaggio, è certamente impossibile essere solidali con lui quando è disposto a ripagare un meccanico offrendogli in cambio la propria madre. Liliana è una donna prostrata dalla guerra, dalla vedovanza e dalle prove che ancora l’aspettano ogni giorno ma, nonostante abbia dovuto scendere a patti con la propria coscienza per avere un piatto caldo da chi, più che il compagno, sembra essere il suo protettore, conserva una profonda dignità ed onestà. Una sua lettera al fratello del proprio marito sarà ciò che darà una svolta al destino ed alla trama, tutto sommato esile, del film. Proprio grazie a questa lettera, la vicenda pare assumere dei toni fiabeschi, non per le atmosfere, ma per i contenuti in sé: i parenti poveri che raggiungono quelli ricchi, il rifiuto deciso di questi ultimi ad accoglierli, ed un principe azzurro che, innamorato di Cenerentola, aggiusta la situazione che culminerà nelle nozze. Solo che, in questo caso, il principe azzurro è il cognato malato di mente, e Cenerentola-Liliana non è di certo una ragazza nubile, ma resta comunque la donna della quale il pover’uomo è sempre stato innamorato. E non mancano neppure le due sorelle cattive, non però di Cenerentola, bensì del principe, che ancora non accettano il disonore gettato sulla loro famiglia da Liliana, quando ha dovuto ricorrere al matrimonio riparatore per far nascere Nino. Alla fine, i rancori si attenueranno e la zucca si trasformerà, per Nino, in un camion che lo verrà a prendere per portarlo a lavorare alla realizzazione di un film. Avati offre uno spaccato non solo di quegli anni o dell’Italia del dopoguerra, ma anche della mentalità di allora, fondata su pregiudizi che generano rancori duri a morire, e che prevede una famiglia così patriarcale da non lasciare voce in capitolo alle donne, nemmeno se a capo vi è un povero malato. Ma non è tanto l’ottica sociologica che interessa al regista, quanto piuttosto la pagina di storia che ridipinge a tenui colori. Infatti, il povero malato è uno sminatore, e non lo è per caso: “Chiamano me perché se muoio io non fa nulla” è l’amara verità che egli dice. E questo è uno dei momenti del film in cui tale personaggio dimostra di vederci forse meglio degli altri, nonostante la sua malattia, e di possedere una fine sensibilità che a volte conta più dell’intelligenza. La vera forza del film sta però nell’interpretazione indovinata dei tre protagonisti, che interpretano i propri ruoli in sintonia con i personaggi stessi - e come non menzionare la provata ma composta Liliana cui dà volto Katia Ricciarelli? - mentre le intenzioni del regista nel trattare il tema scelto paiono svelarsi in una dedica alla fine del film, che ricorda i bambini uccisi dagli ordigni bellici non disinnescati. (LUISA ALBERINI) LA CRITICA Ricordando con precisione il chiaro monito antisistema, datato 1996 e intitolato Festival, in cui Massimo Boldi, attore contrito, si vede sfuggire una meritata Coppa Volpi LA SECONDA NOTTE DI NOZZE 203 causa le solite pastette con premi pilotati, siamo rimasti sorpresi nel vedere Pupi Avati riaccettare la sfida della competizione ufficiale al Lido. Per uno che non ha bisogno di traini commerciali il quesito rimane di difficile soluzione. Gole profonde lo danno già come Gran premio della giuria; altri, invece, non hanno accettato l’ennesima soluzione bozzettistica della tenera storia avatiana. Resta il fatto che Avati ha un coraggio da leone e si ripropone tale e quale nonostante il cinema. Sì, il cinema, inteso come artefatto di esperimenti, innovazioni ed evoluzioni pop. Pupi è passato dagli horror anni ‘70 agli artificiali set del reale che deviano la visione su un binario rassicurante. Pacificazione del sé e analisi biografica, La seconda notte di nozze è tutto questo, più la voglia di uscire dal recinto provinciale dell’ambientazione bolognese: «Ho scelto la Puglia, perché mi sentivo colpevole di aver scoperto tardi questa meravigliosa terra», sostiene Avari, «mi sono invaghito del Sud mentre anni fa giravo I cavalieri che fecero l’impresa. In questi luoghi è trattenuta l’Italia, soprattutto in un periodo, come quello dell’immediato dopoguerra descritto nel film, in cui il meridione è visto come terra promessa, dove si mangiava, in cui non si correvano rischi». Giordano, il protagonista, (un Albanese corpulento e taciturno), smina i terreni attorno a Torre Canne. Due zie, la Merlini e la Luce, vegliano su di lui. Considerato da tutti malato di mente, Giordano riceve una lettera dalla cognata che aveva amato in gioventù, rimasta da poco vedova. Lui lesto la invita nel casolare del tavoliere. Lilliana, una debuttante Katia Ricciarelli, accetta con fatica, trascinandosi dietro il figlio Nino, Neri Marcorè, un poco di buono dedito al furto. Ovviamente all’arrivo in Puglia di Lilliana e figlio, le zie si ingelosiscono, Giordano chiede di sposare la cognata e Nino fugge con gli artisti del cinematografo. Con una chiosa finale dedicata ai bimbi morti per avere giocato in campi pieni di bombe inesplose, Avati si congeda dal pubblico: «È il tema centrale attorno al quale si svolge il racconto. Mi ha ricordato quando a Sasso Marconi, Porretta e Marzabotto da bambini raccoglievamo ordigni, inconsapevoli del pericolo. Molti sono rimasti mutilati o morti. A loro ho voluto dedicare il film». (DARIO ZONTA, L’Unità, 10 settembre 2005 ) 204 LA SECONDA NOTTE DI NOZZE La seconda notte di nozze ha chiuso allegramente la 62. Mostra del cinema che, a dispetto dell’intestazione, di arte ne propone ormai poca e che, a ripensarci, non ci ha riservato momenti divertenti. Pupi Avati, sceso in Puglia dalla natia Bologna, ha il merito di conservare fresca la memoria che gli consente di ricordare e di rappresentare gli anni del secondo dopoguerra del ‘900 quando, a causa delle mine e delle bombe inesplose, bambini e adulti saltarono in aria o rimasero monconi. Il bravo Antonio Albanese, nel ruolo di Giordano, vive in una bella masseria in provincia di Bari. Ben corazzato cerca mine nella zona e, quando le ha individuate, le fa esplodere davanti a bambini festosi. Non ha paura di nulla, tanto lo considerano un po’ tonto, ha un fratello in manicomio e lui vive con due zie zitelle (Angela Luce e Marisa Merlini) che fabbricano confetti per nozze. Un giorno riceve una lettera della cognata Liliana Vespero (la Ricciarelli, una sorpresa) che ha un figlio scioperato, Nino (lo scapestrato Neri Marcorè). I due, rimasti senza abitazione, si imbarcano su un’automobile rubata e, dopo un’odissea, raggiungono la masseria di Giordano. Accoglienza dolcissima da parte di costui da sempre innamorato della cognata, freddezza delle zie, cena, congedo e, stentato, invito a restare. Lo zio trova un lavoro per Nino presso un avvocato, lui ne seduce la figlia in cambio di denaro che offre al quasi divo Enzo Fiermonte che fu tra gli interpreti di Harem con Vivi Gioi e interpretò Una spia tra le eliche (allusione a certa sua presunta attività di spione preso i repubblichini). Avati scrive storie amabili e gentili secondo le proprie corde espressive e le dirige con garbo, corre il rischio del bozzettismo in alcuni passaggi e dirige che è una meraviglia gli attori regalando, come si è accennato, un gran ruolo a Katia Ricciarelli, un efficace personaggio che, da donna delusa e spaurita si trasforma in perfetta massaia e va sposa al fratello del defunto marito. (FRANCESCO BOLZONI, Avvenire, 10 settembre 2005) È decisamente l’amore coniugale il tema dominante delle uscite cinematografiche. A meta di un cartellone che riserva grandi spazi a trascurabili titoli Usa e pellicole per amatori di varia provenienza, si fanno largo due film attesissimi dal pubblico e già promossi a pieni voti dalla critica, che ha avuto modo di vederli in anteprima nelle diverse vetrine festivalere che li hanno ospitati. E allora, in attesa che venerdì prossimo esca La marcia dei pinguini, il documentario di Luc Jacquet dominatore del box office Usa, dopo aver sedotto la platea veneziana con la raffinatezza che contraddistingue l’estetica e l’intensità tipiche delle sue narrazioni, è arrivato ieri nelle sale La seconda notte di nozze di Pupi Avati. passato in concorso alla Mostra Internazionale del Cinema del Lido, e approdato al circuito distributivo con la 01, in oltre 200 copie. Un film che, se da un lato conferma la delicatezza e al tempo stesso l’incisività degli apologhi tipici della filmografia di Avati, dall’altro sorprende piacevolmente per la scelta degli attori. Stavolta, infatti, gli affezionati del suo cinema si ritrovano a gustare un ritratto’d’epoca dai toni agrodolci, speziato dai volti di Antonio Albanese, chiamato in seconda battuta a rimpiazzare il diniego di John Turturro. Di una esordiente doc come Katia Ricciarelli che, dismessi i pomposi abiti di scena che la ribalta lirica le impone, si adegua stavolta, con compostezza e misura, a vestire gli umili panni di una vedova costretta dalla povertà ad accettare la corte del fratello del marito, morto da pochi mesi e da sempre innamorato di lei. Ma, soprattutto, La seconda notte di nozze propone i lineamenti perversi di una delle più preziose maschere avatiane, Neri Marcorè, per la prima volta alle prese con un personaggio negativo. Il film, infatti, con cui il regista recupera l’immagine di un Italia che non c’è più, dura eppure ingenua, dove la disperazione non chiude i varchi alla solidarietà. Narra di un paese in cui tutti, anche i più perfidi, non erano poi così cattivi - insomma, di un mondo raggiunto grazie a un cammino sociale a ritroso nel tempo che interseca i sentieri della rivisitazione filosofica - racconta con il sorriso sulla bocca e un pizzico di rimpianto nel cuore, una storia come ce ne devono essere state tante nel dopoguerra, in cui tutto, alla fine - sembra suggerire Avati - persino la povertà, aveva un volto più umano. Tra Verga e i bozzetti di certo teatro popolare, animato da una galleria di personaggi veri non tanto perché rispondenti al reale, quanto nella loro essenzialità cinefila, il film mette in scena dunque l’intreccio di destini e di solitudini, di sogni inseguiti e delusioni vissute, tra Antonio Albanese, matto del paese capace di sminare, tra l’entusiasmo dei bambini, le bombe rimaste nei campi, protetto solo da un precario scudo di metallo e da un elmetto. Neri Marcorè, uno di quei figli cattivi, capaci di riuscire a ingannare con faccia d’angelo e cuore di pietra persino la propria, apprensiva madre, Katia Ricciarelli, vittima della povertà e delle macchinazioni di un figlio debosciato a carico, che ha deciso di darsi al cinema e, sullo sfondo, dicevamo, l’Italia rurale della provincia e delle masserie pugliesi, e in sottofondo, i ricordi familiari dello stesso Avati, affidati soprattutto agli irresistibili ritratti di due vecchie zie, a cui nel film danno forza interpretativa e carattere poetico Angela Luce e Marisa Merlini. Ricordi di un mondo che non c’è più, ma che la magia del suo cinema riesce struggentemente a rievocare e trasmettere. (PRISCILLA DEL NINNO, Il Secolo d’Italia, 12 novembre 2005 Coppa Volpi ideale della Mostra di Venezia, almeno secondo chi scrive, Katia Ricciarelli. Ex-aequo, come migliori non protagoniste, Marisa Merlini e Angela Luce. Una provocazione, forse, ma solo per ribadire che Pupi Avati si conferma un grandissimo direttore di attori, da cui sa trarre sempre le note più sottili e ripiegate, quel gusto mai macchiettistico della malinconia. E se la (quasi) debuttante Ricciarelli colpisce per misura e naturalezza, sullo stesso registro di sommessa credibilità si muovono anche Neri Marcorè e Antonio Albanese, marcati stretti dal regista. Strana storia quella del film di Avati, che è anche un romanzo che si legge d’un soffio pubblicato da Mondadori (e firmato dallo stesso regista): alla Mostra avrebbe indubbiamente meritato di surclassare gli altri italiani, più disinvolti e incerti. E invece su La seconda notte di nozze è caduto un silenzio un po’ sospetto. Eppure tra gli ultimi di Avati questo è il racconto più riuscito e calibrato, soffuso di una pazza poesia, quella dei matti di paese, quella dei pazzi d’amore che sopravvivono ancora nel fondo devitalizzato della provincia. E per quanto l’ambientazione sia quella consueta (e un po’ desueta) del dopoguerra emiliano - che qui però sfocia, grazie al road movie in Balilla, nella Puglia LA SECONDA NOTTE DI NOZZE 205 salvata dalla distruzione e ancora opulenta - il film, chissà perché, non è mai antico. C’è, naturalmente, quel senso delle piccole cose di pessimo gusto, le bomboniere preparate dalle zie, i confetti nuziali che candidi e glassati contrastano con il fango che si tira addosso Giordano/Albanese mentre smina gli uliveti. E c’è, naturalmente, l’acre cattiveria che a Pupi Avati non difetta quando posa il suo sguardo disilluso e nostalgico sul mondo: il ritratto sottotraccia dello sgradevole Nino/Marcoré, la corte d’amanti sudati cui la povera vedova Ricciarelli si concede frettolosamente per tirare a campare, per ricavarne due patate e un piatto di pasta scotta. Tutto è in equilibrio sottile e gentile, emozionante: la parte centrale in alcuni momenti sbanda, ma il filo della poesia riprende tutto in mano, scena dopo scena, inquadratura dopo inquadratura, fino alla rivelazione di una possibilità d’amore che non segue i canoni. A convincere è la pervicacia con cui Avati costruisce, film dopo film, il proprio universo senza mai tradirlo. Può interessarvi o meno, ma la sua è una visione d’autore con in più il gusto artigianale di seguire la storia e i suoi interpreti senza abbandonare la macchina da presa a se stessa e senza esagerare in formalismi. Insomma, La seconda notte di nozze ti apre il cuore con un tocco all’antica e una maestria di cinema che si rischia troppo presto di liquidare con l’aggettivo “provinciale”. Fanno più chiasso, indubbiamente, le bestie nel cuore. Ma per Avati il cinema non è improvvisazione. (PIERA DETASSIS, Ciak, n. 11, novembre 2005) I COMMENTI DEL PUBBLICO lieve, dove niente è fuori posto ma che sa ache far pensare sui valori. OTTIMO Bruna Teli - A mio giudizio, l’ultima opera di Pupi Avati è un ottimo film che possono apprezzare soprattutto quelli non più giovani che hanno conosciuto le difficili condizioni di vita nell’Italia del secondo dopoguerra. Il quadro per nulla edulcorato che ci viene presentato ricorda la filmografia del Neorealismo. Al Neorealismo si riallacciano sia il contenuto che la scelta degli interpreti, attori di varia provenienza, talvolta come la Ricciarelli alla sua prima prova cinematografica, magistralmente diretti da Avati. La dedica ai bimbi morti per lo scoppio delle mine ci riporta ad una tragedia che interessò il nostro Paese e che vide il grande impegno di Don Gnocchi e della sua fondazione. Lo spettatore è colpito dalle condizioni del Paese, caratterizzato da fame e da mancanza di valori e dagli esseri umani che, afflitti dalla fame diventano abietti. L’unico che si salva è il “puro di cuore” che fa l’artificiere per salvare vite umane ed è da sempre innamorato della cognata ora vedova, che cerca di sopravvivere scendendo al sud, e che lui accoglie generosamente. A lui si contrappone Nino - Neri Marcoré, che incarna la tendenza di molti italiani alla furbizia e alla disonestà. Infine non dimentico Marisa Merlini e Angela Luce, perfette nella parte delle terribili zie e la brava Ricciarelli. Concludo ricordando l’ambientazione credibile e affascinante e la bellissima colonna sonora di Riz Ortolani. DA PREMIO Mariateresa Risi - Storia originale ma ben meditata e ricca di annotazioni delicate ma reali. La ricostruzione degli ambienti e dei caratteri è magistrale. La scenografia accompagna con sicurezza e senza intoppi lo svolgersi degli eventi. La recitazione di Albanese e della Ricciarelli è ottima e rende con naturalezza una situazione di per sé insolita. Anche i personaggi minori sono ben delineati. Un film 206 LA SECONDA NOTTE DI NOZZE Arturo Cucchi - Di sicuro, il regista Pupi Avati, che conserva freschi nella memoria fatti, luoghi, facce dell’Italia povera del 1945, con il film commedia “Seconda notte di nozze”, quasi in flashback, in maniera smagliante, fidandosi delle corde migliori della sua fantasia, dei suoi ricordi e della sua poetica, sa raccontarci con verità una storia tenera e umanissima di due cognati. Il suo cinema mostra le esigenze primarie della gente semplice ma grande, con spiccata caratterizza- zione dei vari personaggi. Troviamo la vedova Liliana Vespero, una sorprendente Katia Ricciarelli, garbata e bravissima in questo debutto, che, in difficoltà economiche, vive in una chiesa assieme ad altri sfollati con il figlio Nino (Neri Marcorè) ladro, imbroglione, mascalzone, che cerca persino di vendere le grazie sue per fare soldi. Costretti ad abbandonare Bologna, raggiungono la Puglia e la ricca e bella masseria, dove abita il fragile cognato Giordano che, sebbene in paese lo considerino un pò tonto (impersonato molto bene da Antonio Albanese) sa, grazie ai suoi raccolti, dare da mangiare a tutti. Di animo buono, si presta persino a sminare bombe belliche inesplose (“è meglio che lasci la pelle lui che un altro!, si dice in paese”) attorniato da un crocchio di bambini festanti, e riesce a completare la sua generosità con una accoglienza generosa e dolcissima a Liliana che da sempre ama. Ma due macchiette fantastiche, le temibili arcigne zie zitelle (Angela Luce e Marisa Merlini), che si dedicano a fabbricare confetti per i matrimoni, manterranno per tutto il tempo il clima freddo e scorbutico della prima accoglienza e veglieranno invano per spiare sopratutto le mosse della cognata. Lo zio intanto trova un lavoro per Nino presso un avvocato, e, con il passar del tempo, riesce a svegliare in Liliana l’antica passione chiedendole la mano. Alla fine commedia e melo sono uniti dalla metafora toccante della bambina uccisa dalle mine. Il regista Avati sa sempre rivolgersi a un cinema della memoria che però non è nostalgia ma veramente un ritratto penetrante e umano dei fatti del suo tempo passato e che noi, pure della stessa età, confermiamo e amiamo. Rosa Luigia Malaspina - Bello questo film di Pupi Avati, d’altra parte come al solito, per me; dolcissimo, delicato, magico, pieno di poesia. Pare vedere con gli occhi dell’anima la bellezza e posa uno sguardo benevolo sugli accomodamenti scombinati della vita. Protagonisti: una vedova sfatta, uno sminatore “idiota”, un figlio malandrino e il paesaggio dell’Italia in rovina del dopoguerra. La meschinità, l’avidità di persone che si direbbero normali, sono poste in contrapposizione alla grandezza e generosità di quelle stravaganti. Ma chi vive meglio e più profondamen- te la propria vita? Disarmante la contrattazione dei confini non superabili nel letto nuziale. Piergiovanna Bruni - L’interpretazione degli attori è formidabile, così pure quella della Ricciarelli che è stata una piacevole sorpresa. Il tema è un pò quello dell’ironia della sorte in momenti di estrema indigenza, trattati a volte in maniera grottesca. Poletti Umberto - Forse la morte di una bimba, saltata su una mina, ha spinto il sempliciotto Giordano a disinnescare mine con una tecnica suicida. Ma qui stanno lo spirito e l’umanità del film, che della seconda notte di nozze fa a meno, come evento in sé. Gli eventi sono gli sfollati e i coabitanti, la fame, le macerie del dopoguerra, le strade “metaforiche” che non sai dove ti portano, perché in quegli anni tutta l’Italia era stracciona, confusa, inselvatichita, povera, mendicante. In questo ambiente avvilente, sopravvivevano e nascevano i nuovi furbetti, come quel simpatico mascalzone di Nino e gli attori da circo pezzente. Per contrasto Giordano e Liliana sintetizzano quello che di buono e di amaro riserva la vita: una vasta metafora del bene e del male, della bontà al limite della stupidità, dell’affetto sincero, ma così difficile da trovare. Non è soltanto il racconto di “come eravamo”, ma anche intimamente di come siamo, calati in ruoli talora non nostri, ma pur reali, fra commedia e tragedia. Sperando che la mina della vita non ti scoppi in faccia. Anna Lucia Pavolini Demontis - Ben caratterizzata l’atmosfera del dopoguerra a Bologna e ben delineati i personaggi. Non definirei “commedia” questo film perché tutto è intriso di cruda realtà anche se piacevolmente arricchito di sovravivacità e talora di senso del ridicolo. Letizia Ragona - Film molto italiano con i contrasti tra nord e sud. Specialmente dopo i bombardamenti e prima della liberazione. Ottima la regia e bravi quasi tutti gli interpreti (non è stata di mio gradimento la Ricciarelli). Una menzione particolare ad Albanese e Marcorè. LA SECONDA NOTTE DI NOZZE 207 BUONO Bruno Bruni - Neorealismo, figure grottesche, penose, con la scusante dell’indigenza che veicola i più cattivi sentimenti, specialmente nelle nuove generazioni che vedono nella truffa l’unico espediente per sopravvivere. Attori perfetti. Una Katia Ricciarelli imprevedibile, molto appropriata nel suo ruolo. Sandro Vimercati - È un film che mi fa vedere come tutto sia vero e possibile. Grazia Agostini - Film ben diretto, ben recitato. Curiosa la ripresa del secondo dopoguerra. Alla fine il contenuto mi lascia perplessa... 208 LA SECONDA NOTTE DI NOZZE Dorigo Dora - È un film commedia a lieto fine. Bravi gli attori, specialmente la Ricciarelli. È un ricordo di tempi lontani. DISCRETO Lucia Fossati - Il film non mi ha convinto, forse per il contrasto fra l’ambientazione del primo dopoguerra abbastanza realistica e la costruzione di personaggi irreali e quasi parodistici. Di Avati ho appena rivisto “Festa di Laurea” del 1985 e vi ho trovato gli stessi temi, specialmente il protagonista (là era Delle Piane qui Albanese): ugualmente assurdo e irritante. Questo non toglie che gli attori siano bravi nell’interpretare secondo i desideri del regista.