Fattori di crescita in ematologia
Transcript
Fattori di crescita in ematologia
EMATOLOGIA direttori della collana Franco Mandelli, Giuseppe Avvisati USO DEI FATTORI DI CRESCITA IN EMATOLOGIA: QUANDO E PER CHI? Agostino Tafuri Ematologia Dipartimento di Biopatologia Umana Università “La Sapienza” - Roma 1 EMATOLOGIA DIRETTORI DELLA COLLANA Franco Mandelli, Giuseppe Avvisati Ematologia Dipartimento di Biopatologia Umana Università “La Sapienza” Roma REDAZIONE P.zza della Vittoria, 15/1 - 16121 Genova Tel. 010/5458611 - Fax 010/541761 COORDINAMENTO EDITORIALE Gabriella Allavena IMPAGINAZIONE Giorgio Prestinenzi PROMOZIONE Luisa Baggiani PROGETTO GRAFICO Firma Service - C.so Dogali, 3a - 16136 Genova STAMPA Leonard - Via Corfù, 12 - 37100 Verona ACCADEMIA NAZIONALE DI MEDICINA Forum per la Formazione Biomedica DIREZIONE SCIENTIFICA Luigi Frati - Leonardo Santi DIREZIONE DIDATTICA Stefania Ledda © 1996 Forum Service Editore s.c.a r.l. Via Corsica, 2/6 - 16128 Genova Distributore unico per l’Italia: Del Porto S.p.A. - Via Meucci, 17 - 43015 Noceto (PR) Tel. 0521/620544 - Fax 0521/627977 Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte del libro può essere riprodotta o diffusa senza il permesso scritto dell'editore E M A T O L O G I A INDICE INTRODUZIONE 1 GUIDA ALL’USO DEI FATTORI DI CRESCITA NEUTROPENIE CRONICHE GRAVI 2 SINDROMI MIELODISPLASTICHE E ANEMIE SECONDARIE 3 TERAPIA DI SUPPORTO DELLE MALATTIE LINFOE IMMUNO-PROLIFERATIVE 4 TERAPIA DELLE LEUCEMIE ACUTE 5 TRAPIANTO DI MIDOLLO OSSEO E DI CELLULE STAMINALI DA SANGUE PERIFERICO 6 BIBLIOGRAFIA GENERALE 7 U S O D E I F A T T O R I D I C R E S C I T A I N E M A T O L O G I A : Q U A N D O E P E R C H I ? ABBREVIAZIONI LLA LAM BFU-E BMT CFU-E CFU-GM CMML DLT EPO e.v. Flt-3 lig GF GM-CSF leucemia linfoide acuta leucemia acuta mieloide burst forming unit - erytroid bone marrow transplantation colony forming unit - erytroid colony forming unit - granulocyte-macrophage leucemia mielomonocitica cronica dose limiting toxicity eritropoietina endovena ligante del Flt-3 fattore di crescita fattore di crescita stimolante la formazione di colonie granulocitiche macrofagiche G-CSF GVHD HD i.c. IL LNH MDS M-CSF MK MM NK PBSC PMN RA RAEB RAEB-T RARS RC s.c. SCF TBI TPO UCB fattore di crescita stimolante la formazione di colonie granulocitiche graft versus host disease morbo di Hodgkin infusione continua interleuchina linfomi non Hodgkin sindromi mielodisplastiche fattore di crescita stimolante la formazione di colonie monocitiche macrofagi mieloma multiplo natural killer cellule staminali da sangue periferico polimorfonucleati anemia refrattaria anemia refrattaria con eccesso di blasti RAEB in trasformazione leucemica anemia sideroblastica remissione completa sottocute stem cell factor total body irradiation trombopoietina cellule staminali da cordone ombelicale E M A T O L O G I A 1 INTRODUZIONE L’omeostasi del sistema emopoietico è controllata da una famiglia di glicoproteine denominate fattori di crescita (GF) o citochine capaci di stimolare e/o inibire la proliferazione, la differenziazione e la sopravvivenza delle cellule emopoietiche. L’attività regolatrice delle citochine viene svolta nei vari stadi di maturazione dell’emopoiesi, dai livelli iniziali di cellula staminale pluripotente fino agli elementi in differenziazione terminale (Figura 1); più di una citochina può essere attiva sul FIGURA 1 • Emopoiesi e fattori di crescita SCF, IL-1, IL-3, IL-6, IL-11 SCF, IL-6, IL-1, IL-4 Cellula staminale pluripotente Cellula staminale mieloide Cellula staminale linfoide SCF, IL-1, GM-CSF IL-3, IL-4, IL-6, G-CSF CFU-Bas CFU-GEMM GM-CSF, IL-1, IL-3, IL-4, IL-6, G-CSF, BFU-E CFU-MK SCF IL-6 IL-4 CFU-G GM-CSF IL-3 G-CSF CFU-E GM-CSF IL-3 CFU-Eo Mieloblasto Mieloblasto IL-1 IL-2 IL-6 IL-7 B-Linfoblasto T-Linfoblasto IL-3 SCF Mielocito Mielocito Proeritroblasto Megacariocito Mielocito Promonocito Basofilo Neutrofilo Eosinofilo M-CSF G-CSF GM-CSF GM-CSF F A T T O R I IL-6 IL-4 GM-CSF IL-3 G-CSFM G-CSF Piastrine SCF IL-7 IL-3 SCF CFU-M Megacarioblasto Mieloblasto Monoblasto EPO Eritrocito SCF IL-7 CFU-GM G-CSF, GM-CSF, IL-3 IL-1 IL-3 EPO Protimocito Cellula Pre-B Neutrofilo D I Monocito/ Macrofago C R E S C I T A I N Eosinofilo Basofilo/ Mast cellula E M A T O L O G I A : Cellula T Cellula B Plasmacellula Q U A N D O E P E R C H I ? 1 medesimo target cellulare, d’altra parte cellule appartenenti a differenti linee di differenziazione e con diverso grado di maturazione possono essere regolate dal medesimo GF. Fino ad oggi sono state caratterizzate numerose molecole appartenenti alla famiglia dei GF e, tra queste, 15 interleuchine (IL), 3 fattori di crescita stimolanti la formazione di colonie granulocitiche (G-CSF), monocitiche (M-CSF) e granulocito-macrofagiche (GM-CSF), 2 fattori di crescita attivi soprattutto su cellule staminali, lo stem cell factor (SCF) ed il ligante del Flt-3 (FLT3-ligand), e più recentemente un fattore attivo sulla megacariocitopoiesi (trombopoietina, TPO) (Tabella 1). Tabella 1 Fattori di crescita con potenziale o rilevante uso clinico GF target cellulare localizzazione del gene EPO G-CSF GM-CSF M-CSF SCFr Flt-3 lig IL-1 a e b IL-2 IL-3 IL-4 IL-5 IL-6 IL-7 IL-8 IL-9 IL-10 IL-11 IL-12 TNF a e b TGF a e b TPO CFU-E, pro eritrociti cellule staminali, CFU-G, PMN CFU-GM, CFU-G, CFU-M, CFU-Eo CFU-M, monociti cellule staminali cellule staminali cellule staminali, fibroblasti cellule pre-B e T attivate cellule staminali, CFU-GM, BFU-E, Mk CFU-Bas, cellule pre-B, T CFU-Eo, cellule pre-B cellule staminali, cellule pre-B, T, monociti cellule pre-B, T fattore chemiotattico per PMN e linfociti precursori eritroidi, T-helper cellule T e B cellule staminali, mast cellule, cellule B, Mk cellule T e NK cellule endoteliali, cellule T mast cellule, cellule T e B CFU-Mk, megacariociti 7q22 17q21 5q21 5q31 12q22 2q14 4q26 5q21 5q31 5q31 7q 4q12 5q31 6p11 2p/19q 3q26 La possibilità di disporre di tecniche di DNA ricombinante ha consentito negli ultimi anni la produzione di alcune citochine in quantità adeguata ad una loro utilizzazione clinica. Dopo l’EPO due GF, identificati successivamente ed entrambi caratterizzati dalla comune attività di E 2 M A T O L O G I A F A T T O R I D I C R E S C I T A I N E M A T O L O G I A : Q U A N D O E Italia - D USA SI NO SI NO Glicosilazione GM-CSF G-CSF GF Tabella 2 P E R C H I d ? 3 lieviti E. coli cellule ovariche di criceto E. coli Metodo di sintesi Indicazioni approvate d neutropenia febbrile indotta da chemioterapia D AML D ritardato attecchimento PBSC D mobilizzazione PBSC D neutropenia e complicazioni associate post auto ed allo BMT neutropenia da ganciclovir in HIV + affetti da retinite da CMV neutropenia febbrile indotta da chemioterapia neutropenia e complicazioni associate post-ABMT D mobilizzazione PBSC D neutropenia e complicazioni associate post auto ed allo BMT D neutropenia febbrile indotta da chemioterapia in patologie non mieloidi D neutropenia cronica grave D mobilizzazione PBSC D neutropenia e complicazioni associate post auto ed allo BMT D neutropenia febbrile indotta da chemioterapia in patologie non mieloidi In corso di approvazione sargramostim molgramostim lenograstim filgrastim Nome generico CSF approvati per uso clinico “colony stimulating factor” (CSF), il G-CSF e il GM-CSF, sono stati inseriti nel prontuario terapeutico, rendendo oggi importante una loro chiara definizione dei rispettivi usi clinici (Tabella 2). G-CSF Il G-CSF (Tabella 2) è una glicoproteina di 19,6 Kd, costituita da 174 aminoacidi e prodotta da cellule monocito-macrofagiche, fibroblasti e cellule endoteliali. E’ codificata da un gene localizzato sul braccio lungo del cromosoma 17 in posizione q21. Questa molecola fu isolata da Welte et al. nel 1985 (1) dal supernatante della linea cellulare 5637 di carcinoma della vescica e fu denominata “pluripoietina” per la sua capacità di stimolare la proliferazione e lo sviluppo in vitro di progenitori mieloidi pluripotenti, successivamente è stata clonata e sintetizzata come proteina ricombinante e denominata G-CSF per il suo ruolo nella formazione di colonie granulocitarie (2). L’interazione tra il GF e la cellula bersaglio è mediata da un recettore specifico, costituito da un solo “domain” transmembranario (Figura 2); la distribuzione del recettore sulle cellule normali è prevalente a livello delle cellule endoteliali, dei neutrofili maturi e dei loro precurFIGURA 2 • G-CSF-R sori, delle cellule staminali emopoietiche. Il GCSF è disponibile sia nella forma glicosilata (lenograstim) sia non glicosilata (filgrastim), viene G-CSF generalmente somministrato ad un dosaggio di 5 mg/kg/die, con assenza di DLT (dose-limiting toxicity) anche per dosaggi superiori a 100 mg/Kg/die. Tra gli effetti collaterali osservati più frequentemente sono stati segnalati dolori ossei, eritemi cutanei nel sito di inoculazione, febbre, vasculiti e splenomegalia (quest’ultima solo per Mr-150 Kd somministrazioni protratte); tra le alterazioni dei test di laboratorio vi può essere l’elevazione della lattato deidrogenasi, della fosfatasi alcalina serica e l e u c o c it a r ia . La somminist r a z ione di G - CSF esogeno non sembra mai associarsi ad una risposta immunitaria. GM-CSF ll GM-CSF (Tabella 2) è una glicoproteina costituita da 127 aminoacidi, con peso molecolare di 14,5 Kd che varia a seconda dello stato di glicosilazione. E’ codifìcata da un gene situato sul braccio lungo del cromosoma 5 in posizione q21. La preparazione della sua forma ricombinante è avvenuta nel 1985 (3); oggi questo GF è disponibile in due forme, una glicosilata (sargramostim) ottenuta da lieviti ed una non glicosilata (molgramostim) ottenuta da E. coli. Gli effetti del GM-CSF si espletano soprattutto sulle cellule commissionate nella formazione di colonie granulocitarie e monocito-macrofagiche. Il recettore per questo GF (Figura 3) è costituito da due subunità alfa e beta delle quali soprattutto quest’ultima è essenziale per la trasduzione del segnale, la distribuzione cellulare del recettore è prevalente a livello dei monociti, neutrofili, eosinofili e loro progenitori, cellule endoteliali e fibroblasti. Gli effetti collaterali segnalati dopo somministrazione del GM-CSF al dosaggio standard di E 4 M A T O L O G I A Figura 3 • GM-CSF-R GM-CSF subunità b Mr-120 kD subunità a Mr-85 kD subunità a solubile 5 mg/Kg/die (sargramostim) sono rappresentati da febbre, nausea, astenia, cefalea, brividi, dolori ossei e muscolari e reazioni allergiche nel sito di inoculazione. Somministrazioni per via endovenosa di molgramostim a dosaggi elevati possono inoltre associarsi a sintomi più gravi quali versamenti pericardici, pleurici e fibrillazione atriale. Vi è stato molto interesse nella valutazione della tossicità associata alle due formulazioni di GM-CSF differenti per stato glicosilativo: in uno studio eseguito su volontari sani (4) la forma glicosilata sembra caratterizzarsi per una ridotta produzione di leucotrieni e quindi minori effetti collaterali rispetto a quelli osservati dopo trattamento con il GM-CSF ottenuto da E.coli. La valutazione comparativa degli effetti collaterali associati al G-CSF ed al GM-CSF è risultata imprecisa nella maggior parte degli studi a causa della presenza di numerose eterogeneità nell’ambito delle categorie confrontate quali ad es. pazienti con caratteristiche cliniche diverse, GF adoperati a differenti dosaggi e vie di somministrazioni, etc.; ciò nonostante è stato possibile osservare che gli effetti collaterali più seri si verificano, indipendentemente dal tipo di GF, soprattutto per somministrazioni endovenose e per dosaggi maggiori. Numerosi studi hanno generalmente confermato che il G-CSF si associa solo a lievi effetti collaterali, d’altro canto studi randomizzati (5) eseguiti in pazienti autotrapiantati trattati con GM-CSF somministrato dopo l’infusione del midollo osseo hanno mostrato in questo gruppo di pazienti la presenza dei medesimi effetti collaterali osservati nel gruppo di controllo. Occorre precisare peraltro, che la somministrazione del GMCSF (prodotto da lieviti) (6) può dar luogo, a differenza del G-CSF, ad anticorpi non neutralizzanti, che comunque finora non hanno mostrato nessuna interferenza sulla attività della molecola. I GF finora sono stati adoperati inizialmente nei pazienti onco-ematologici ed immunocompromessi soprattutto con lo scopo di minimizzare gli effetti della citopenia associata alla malattia di base e/o indotta dalla chemioterapia, e ciò in assenza dei dati emersi oggi dagli studi clinici controllati. Attualmente si impone quindi una rivalutazione dell’uso clinico dei GF, che tenga conto non solo degli effetti sulla durata della neutropenia o sul numero di episodi febbrili, bensì della durata della sopravvivenza e/o della risposta clinica. Tali criteri vanno inoltre supportati da una corretta analisi dei costi-benefici, atta a chiarire F A T T O R I D I C R E S C I T A I N E M A T O L O G I A : Q U A N D O E P E R C H I ? 5 1 ulteriormente le reali aree di applicazione di queste molecole. La globalità delle valutazioni sopra esposte e la loro complessità, motiva l’esigenza di tracciare delle linee guida aggiornate sull’uso dei fattori di crescita in onco-ematologia. Il nostro proposito è fornire quindi una revisione aggiornata delle indicazioni terapeutiche dei GF, nell’ambito di una gradualità di esigenze che indichi gli usi indispensabili ed accertati come quelli non ancora comprovati da studi clinici controllati e pertanto limitati a studi sperimentali ed infine le applicazioni non più accettate o addirittura chiaramente controindicate; tutto ciò alla luce dei dati disponibili in letteratura e di una analisi particolareggiata dei costi e dei benefici. E 6 M A T O L O G I A GUIDA ALL’USO DEI FATTORI DI CRESCITA 2 NEUTROPENIE CRONICHE GRAVI Le neutropenie croniche gravi o granulocitopenie congenite includono un gruppo eterogeneo di patologie tutte cararatterizzate dall’abnorme riduzione del numero dei neutrofili circolanti al di sotto di 0,5 x 109 /l (7). Tre patologie sono incluse in questo gruppo e precisamente la neutropenia congenita o sindrome di Kostmann, la neutropenia ciclica e quella idiopatica cronica. La neutropenia ciclica è caratterizzata, a differenza della forma congenita, da un andamento fluttuante del livello di neutrofili che si riducono di numero ogni 14-28 giorni, per un periodo di 3-6 giorni. La forma idiopatica è caratterizzata da manifestazioni cliniche meno gravi, correlate comunque all’entità della neutropenia. Nella forma congenita è stato riscontrato in alcuni casi un elevato livello di G-CSF circolante che suggerisce quale meccanismo patogenetico, in aggiunta al già segnalato deficit di produzione di questa citochina, la possibile alterazione del recettore e/o del processo di trasduzione del segnale di membrana (8). Il decorso clinico è caratterizzato dalla frequente ricorrenza di infezioni gravi, quali polmoniti, ascessi epatici e di altri tessuti, diarrea e batteremia. La stimolazione cronica del sistema immunitario può causare una linfoadenomegalia generalizzata con ipergammaglobulinemia e splenomegalia. La trasformazione leucemica spontanea è stata descritta in rari casi. Il trattamento della neutropenia cronica grave prevede l’uso del GCSF a dosi comprese tra 0,6-60 mg/Kg/die (eventualmente scalari) per via sottocutanea per un periodo di tempo variabile in rapporto alla risposta clinica (7). Dale et al. (9), in uno studio di fase III, hanno confermato i risultati degli studi preliminari trattando 120 pazienti affetti da neutropenia congenita con G-CSF ed ottenendo in ben 108 di questi una remissione di malattia (definita come un aumento del numero dei neutrofili > 1,5 x 10 9 /l). Tale terapia risultava generalmente ben tollerata, infatti solo raramente si rendeva necessaria la sospensione del GF. L’effetto collaterale più frequentemente associato alla somministrazione del G-CSF era come già riportato in altri studi (10) il dolore osseo; erano inoltre riferite, in alcuni casi, vasculiti, proteinuria, trombocitopenia transitoria e splenomegalia. Alcuni pazienti affetti da neutropenia cronica grave (11) sono stati trat- F A T T O R I D I C R E S C I T A I N E M A T O L O G I A : Q U A N D O E P E R C H I ? 9 tati con GM-CSF (3-30 mg/kg/die) con un effetto benefico sulla crasi ematica non ristretto al solo incremento dei neutrofili, bensì esteso ad eosinofili e monociti. Una valutazione comparativa tra l’effetto di queste due citochine nell’ambito di questa patologia non era possibile a causa del successivo trattamento di questi stessi pazienti con G-CSF. Restano comunque da chiarire nelle neutropenie croniche gravi gli effetti a distanza indotti dalla somministrazione per lunghi periodi di tempo di queste citochine, effetti che necessitano di un prolungato follow-up adeguato ai periodi di trattamento in queste patologie non oncologiche. In conclusione, è possibile affermare che a tutt’oggi la terapia di elezione della neutropenia cronica grave mediante GF prevede la somministrazione del G-CSF alle dosi di 3 - 6 mg/kg/die per la neutropenia idiopatica, 6 mg/kg/die per la forma ciclica e 6 mg/kg due volte al giorno per la neutropenia congenita. Tali dosi sono in grado di produrre una significativa riduzione del numero di episodi infettivi e della durata del trattamento antibiotico, nonchè degli eventuali giorni di ospedalizzazione (Tabella 3). Un periodo più prolungato di osservazione consentirà nel futuro una più completa valutazione degli eventuali effetti collaterali a distanza. Tabella 3 Granulocitopenie congenite Neutropenia congenita Neutropenia idiopatica cronica Neutropenia ciclica nel 90% dei casi G-CSF infezioni ospedalizzazione terapia antibiotica = riduce E 10 M A T O L O G I A SINDROMI MIELODISPLASTICHE E ANEMIE SECONDARIE Le sindromi mielodisplastiche (MDS) sono patologie di origine clonale a carico di una o più linee di maturazione emopoietica, con frequente evoluzione leucemica. Il quadro di presentazione è rappresentato da una anemia spesso associata ad una neutropenia evolutiva ed a piastrinopenia con midollo ipercellulare. La più frequente causa di morbidità e mortalità di questi pazienti è rappresentata dalle infezioni, la cui incidenza correla direttamente con il grado di neutropenia (12). Per tale motivo sono stati impiegati nel trattamento delle MDS i GF, con lo scopo di stimolare l’emopoiesi normale residua, possibilmente in tutte le sue componenti, e ridurre quindi il grado di anemia, l’apporto di emoderivati, la frequenza degli episodi infettivi, la durata della terapia antibiotica ed i giorni ospedalizzazione. La possibile stimolazione del clone leucemico e quindi l’accelerazione della trasformazione leucemica rappresenta però una potenziale controindicazione che va valutata prima dell’inserimento dei GF nei programmi terapeutici di questi pazienti. La correzione dei valori ematologici periferici mediante stimolazione dell’emopoiesi normale residua non è comunque l’unico meccanismo mediante il quale si può ottenere un effetto terapeutico dei GF nelle MDS, vi è infatti la possibilità, non comprovata comunque in studi clinici, di indurre la differenziazione di cellule immature leucemiche, mediante esposizione a GF somministrati in combinazione con agenti differenzianti (13) o chemioterapici quali la citosina arabinoside (14). Inoltre, alcune ricerche recentemente pubblicate (15), hanno prospettato nelle MDS, l’ipotesi che alcuni GF possano proteggere le cellule staminali normali dall’apoptosi, riducendo in queste cellule la supposta accelerazione di questo meccanismo. Numerosi GF (Tabella 4) sono stati utilizzati in pazienti affetti da MDS: l’Epo è stata usata soprattutto per ridurre il fabbisogno trasfusionale, sia il G-CSF che il GM-CSF sono stati adoperati per i loro effetti sulla serie mieloide e sulla neutropenia, più recentemente anche l’IL-3 è stata impiegata in questa popolazione di pazienti con lo scopo di sti- F A T T O R I D I C R E S C I T A I N E M A T O L O G I A : Q U A N D O E P E R C H I ? 11 3 Tabella 4 GF utilizzati nelle MDS GM-CSF IL-3 G-CSF EPO molare l’emopoiesi in senso trilineare. Infine, ulteriori studi hanno cercato di valutare nelle MDS il sinergismo di alcuni fattori di crescita somministrati contemporaneamente, quali per es. il G-CSF e l’Epo. G-CSF Il filgrastim è stato adoperato in numerosi studi sia per infusione endovenosa sia per via sottocutanea: Negrin et al. in due studi successivi (16, 17) hanno trattato pazienti affetti da varie forme di MDS incluse quelle in trasformazione leucemica. Le dosi erano comprese tra 0.1 e 10 mg/Kg/die a seconda della risposta clinica al GF, valutata come incremento dei neutrofili (Tabella 5). Tabella 5 G-CSF NELLE MDS Autori Voce bibliografica Dose (mg/Kg) % Pz - PMN % Pz - PLT % Pz - BLASTI Negrin et al. (1989) 16 0,1-3 83 25 0 Negrin et al. (1990) 17 0,3-10 91 10 27 In uno di questi studi la durata del trattamento è stata più prolungata con lo scopo di mantenere livelli adeguati di neutrofili per periodi superiori ai sei mesi. Generalmente è stato documentato un significativo incremento dei leucociti e dei neutrofili direttamente correlato alla E 12 M A T O L O G I A somministrazione del GF, la sua sospensione si accompagnava infatti nella maggioranza dei casi ad un ritorno dei neutrofili ai valori pre-trattamento. E’ stato altresì documentato in una minoranza di pazienti un incremento del numero dei globuli rossi ed in rarissimi casi dei valori delle piastrine. D’altro canto però in circa un 25% di pazienti si osservava un incremento della percentuale di blasti. Negli altri studi eseguiti con il G-CSF (18, 19), adoperato anche nella forma glicosilata, era confermato nella maggioranza dei pazienti l’effetto di stimolazione sui polimorfonucleati che risultava in una risoluzione delle patologie infettive dovute alla neutropenia. GM-CSF Nel trattamento delle MDS numerosi studi clinici sono stati eseguiti adoperando il GM-CSF. Il primo studio di fase I è stato eseguito nel 1987 da Vadhan-Ray (20) su otto pazienti affetti da varie forme di MDS trattati con GM-CSF somministrato per infusione continua endovenosa a dosaggi compresi tra 30 e 500 mg/m 2 . La somministrazione della citochina induceva, secondo questo studio, un marcato incremento dei leucociti ed in particolare di neutrofili, monociti ed eosinofili. In tre casi si osservava inoltre una riduzione del fabbisogno trasfusionale ed un incremento numerico delle piastrine. L’impiego del GMCSF era generalmente ben sopportato, l’effetto collaterale riportato più frequentemente era il dolore osseo, dovuto alla stimolazione dell’emopoiesi midollare. A questo studio ne sono seguiti altri sempre dei gruppi tedeschi (21, 22) che, adoperando il GM-CSF per via endovenosa a dosaggi analoghi, in pazienti con forme differenti di MDS per entità di blastosi, confermavano l’elettiva attività della citochina sulla serie mieloide, senza però notare alcun effetto sulla serie eritroide e megacariocitaria. Inoltre, valutando gli effetti di stimolazione sui globuli bianchi, si osservava un incremento della proliferazione del clone leucemico promosso dal GM-CSF e dimostrato dall’incremento della percentuale di blasti midollari. Questo evento si verificava soprattutto nei pazienti con blastosi superiore al 14% e nei casi che ricevevano dosaggi di GM-CSF > 60 mg/m 2 , suggerendo pertanto in queste categorie di pazienti un uso prudenziale del GF da utilizzare preferibilmente in associazione ad agenti chemioterapici o differenzianti. Successivamente altri studi sono stati eseguiti su casistiche più numerose: in uno studio randomizzato GM-CSF verso placebo (23) eseguito in 133 pazienti affetti da anemia refrattaria (RA), anemia sideroblastica (RARS), anemia refrattaria con eccesso di blasti (RAEB) e leucemia cronica mielomonocitica (CMML) si F A T T O R I D I C R E S C I T A I N E M A T O L O G I A : Q U A N D O E P E R C H I ? 13 3 osservava una significativa riduzione nel numero degli episodi infettivi nel gruppo trattato con GM-CSF nel quale si verificava inoltre un incremento del numero dei neutrofili (Tabella 6). Questi risultati però non erano in grado di modificare la durata della sopravvivenza dei pazienti, peraltro in alcuni di essi si osservava una più rapida trasformazione della malattia pre-leucemica. Uno studio analogo per casistica eseguito utilizzando a random il G-CSF vs placebo (24) in 102 pazienti affetti da RAEB e RAEB-T (in trasforma- Tabella 6 GM-CSF s.c. nelle MDS Autori Voce bibliografica Dose % Pz - PMN % Pz - PLT % Pz - BLASTI 23 3 mg/Kg 100 0 11,5 Schuster et al. (1990) zione leucemica), confermava anche per questa citochina, come per il GM-CSF, l’effetto sull’incremento del numero di neutrofili circolanti che comunque, come per il GM-CSF, non risultava in un prolungamento della sopravvivenza. STUDI BIOLOGICI L’uso dei GF in vivo ha permesso inoltre di chiarire quali fossero le cellule bersaglio delle citochine nei pazienti affetti da MDS. Infatti, mediante la valutazione del tipo di emopoiesi indotta dalla somministrazione del GF, clonale o policlonale a seconda della stimolazione del clone leucemico o dell’emopoiesi normale, è possibile verificare l’interazione di queste molecole con il tipo cellulare. I dati oggi disponibili suggeriscono che entrambe le possibilità di stimolazione, sia del clone leucemico sia dell’emopoiesi normale, possono verificarsi. Studi eseguiti mediante analisi citogenetica in pazienti affetti da MDS trattati con GM-CSF hanno documentato in alcuni casi la stimolazione elettiva E 14 M A T O L O G I A di cloni cariotipicamente abnormi (25). D’altro canto altri studi eseguiti mediante valutazione degli enzimi di restrizione per geni altamente polimorfi (26), documentano che l’uso del GM-CSF dopo chemioterapia può indurre una emopoiesi policlonale stimolando sia le cellule normali che aneuploidi. L’uso del G-CSF nell’ambito dello stesso razionale (27) ha documentato in un caso una interessante stimolazione dell’emopoiesi clonale che si caratterizzava peraltro per l’induzione associata di processi differenziativi a carico delle cellule abnormi. La possibilità di allestire strategie di trattamento con differente razionale (induzione della proliferazione-citossicità, differenziazione, etc.) sottolinea l’importanza che ulteriori informazioni biologiche possono apportare allo sviluppo di protocolli clinici. IL-3 Recentemente un’altra citochina è stata adoperata nel trattamento delle MDS con lo scopo di stimolare in senso più ampio l’emopoiesi residua: l’IL-3. Anche nota come multi-CSF, questa citochina è una glicoproteina che regola la proliferazione di cellule emopoietiche multipotenti interagendo con un recettore specifico (Figura 4) costituito da due subunità delle quali una, la beta, condivisa dal GM-CSF. Figura 4 • IL-3R Proprio per la sua attività estesa alla serie eritroide e megacariocitaria l’IL-3 è stata valutata nelle MDS. In uno studio compiuto da Ganser et al. (28) dove si adoperavano somministrazioni sottocutanee di questa citochina a dosi comsubunità b subunità a Mr-120 Kd ? Mr-70 Kd prese tra 250 e 500 mg/m 2 per 15 giornel topo nel topo ni, era possibile documentare un effetto di stimolazione sulle varie componenti dell’emopoiesi che comunque restava più accentuato sulla mielopoiesi rispetto alla relativa stimolazione delle altre componenti midollari. In un caso era anche descritta nel corso del trattamento una progressione accelerata della MDS in leucemia, suggestiva per una stimolazione del clone leucemico. Altri studi eseguiti a dosaggi diversi di IL-3 (Tabella 7) hanno confermato i risultati precedenti sottolineando che la prevalente attività di questa citochina si esplica a livello dei globuli bianchi e la sua somministraIL-3 F A T T O R I D I C R E S C I T A I N E M A T O L O G I A : Q U A N D O E P E R C H I ? 15 3 Tabella 7 IL-3 nelle MDS Autori Voce bibliografica Dose %Pz - PMN %Pz - PLT %Pz - BLASTI Ganser et al. (1990) 28 250-500 s.c. mg/m2 77 55 11 Dunbar et al. (1990) 29 125 s.c. mg/m2 60 40 0 Kurzrock et al. (1991) 30 30-1000 e.v. mg/m2 46 40 0 zione può accompagnarsi a effetti collaterali quali febbre, dolore osseo, eritemi cutanei, ritenzione di liquidi ed alterata permeabilità delle sierose. Nonostante questi effetti collaterali fossero descritti soprattutto per somministrazioni endovenosa della citochina, l’importanza di alcuni di questi effetti ne ha limitato l’uso clinico. Sulla base di questi e di altri dati di letteratura si può concludere che l’uso dei CSF nei pazienti affetti da MDS non è in grado di rallentare la trasformazione della malattia in emopatia acuta, nè di prolungare la sopravvivenza di questi pazienti. Il ruolo espletato da questi GF sulle complicanze infettive dei pazienti neutropenici va valutato alla luce di un’attenta analisi dei costi-benefici ed in ogni caso non sono raccomandate somministrazioni prolungate di queste molecole per il rischio di una più accelerata progressione di queste forme morbose verso la malattia leucemica. EPO Nel trattamento delle MDS un’altra citochina, l’eritropoietina (Epo), attiva selettivamente sui progenitori della serie rossa, è stata adoperata già da diversi anni con lo scopo di ridurre il grado di anemia ed il fabbisogno trasfusionale che spesso caratterizzano il quadro d’esordio di queste forme morbose. L’Epo (Tabella 1) è una glicoproteina dal p.m. di 34Kd, è codificata da un gene ubicato sul cromosoma 7 (q22), l’or- E 16 M A T O L O G I A gano principale deputato alla produzione di questo GF è rappresentato dalle cellule interstiziali peritubulari renali, solo il 10% di Epo è prodotto a livello epatico. Il grado di ipossia regola la produzione di questa molecola mediante un meccanismo di feed-back sull’ormone che a sua volta agisce interagendo con un recettore specifico (Figura 5), stimola la proliferazione di progenitori eritroidi commissionati, CFU-E e BFU-E, la maturazione degli eritroblasti ed induce la sintesi di emoglobina. La disponibilità di Epo in forma Figura 5 • EPO-R ricombinante ha consentito il trattamento terapeutico di tutte le forme di anemie nelle quali vi è una riconosciuta patogenesi correlata all’insufficiente produzioEPO ne di questo GF. Esistono comunque altre forme morbose denominate anemie secondarie nelle quali l’anemia è associata ad una malattia oncologica che ne influenza negativamente l’eritropoiesi, non necessariamente a causa di una riduzione dei livelli di Epo Mr-66 Kd circolante. I meccanismi patogenetici implicati in queste forme possono infatti riconoscere varie cause tra le quali la presenza di eritropoiesi inefficace, una eventuale ipoplasia dei progenitori eritroidi che dimostrano difetti di crescita correlati ad una alterazione clonale che colpisce cellule più indifferenziate, oppure la ridotta sensibilità delle cellule bersaglio all’Epo. Nell’ambito delle patologie di interesse ematologico comprese in questo gruppo vanno ricordate le MDS, nella quale i pazienti presentano generalmente come sintomo di esordio un’anemia che si associa ad un’ampia distribuzione dei valori di Epo sierica, spesso più alti della norma (> 40 mU/ml), e comunque non correlabili alla diminuzione dei valori di emoglobina. Numerosi studi hanno comunque valutato nei pazienti affetti da MDS gli effetti clinici della somministrazione di Epo esogena adoperata per via s.c. o e.v. a dosaggi variabili, comunque medio alti (50-10.000 U/Kg) per 3/5 volte la settimana (Tabella 8). Tutti gli autori riportano una risposta intesa come incremento dei livelli di emoglobina e/o riduzione del fabbisogno trasfusionale in una percentuale variabile di pazienti che comunque oscilla intorno al 20%, tale percentuale sembra essere più elevata nei casi di AR (Tabella 9) ed in quelli caratterizzati da livelli più bassi di Epo sierica. La risposta in questi casi sembra verificarsi entro 4-12 settimane di trattamento e può essere mantenuta con prolungate somministrazioni. L'uso per via sottocutanea di Epo sembra essere altrettanto efficace come quello endovenoso e generalmente si accompagna ad effetti collaterali modesti. L’identificazione di un valore predittivo di risposta all’Epo sembra essere particolarmente importante nei pazienti affetti da MDS ed uno studio recente (39) identificherebbe come rispondenti i pazienti il cui siero risulta, indipenden- F A T T O R I D I C R E S C I T A I N E M A T O L O G I A : Q U A N D O E P E R C H I ? 17 4 Tabella 8 EPO nelle MDS (³ 10 Pz) Autori Voce bibliografica 18 Somminist. Rispondenti % Van Kamp et al. (1990) 31 50-250 3x/sett. s.c. 10 Bowen et al. (1989) 32 60-90 6x/sett. s.c. 20 Oster et al. (1990) 33 450-10.000 2x/sett. e.v. 5x/sett. a.c. 40 Hoelzer et al. (1990) 34 450-10.000 2x/sett. e.v. 5x/sett. s.c. 16 Stein et al. (1991) 35 800-1.600 2x/sett. e.v. 23,5 Hellstrom et al. (1990) 36 200-1.000 3x/stt. e.v. 40 Schouten et al. (1991) 37 80-640 3x/sett. s.c. 7 Aloe-Spiriti et al. (1993) 38 400 3x/sett. s.c. 30 Tabella 9 E Dose (U/Kg) M A EPO nelle MDS sottotipo FAB e risposta T O L RA 39,0 % RARS 17,5 % RAEB 12,5 % RAEB-T -- LMMC -- O G I A temente dai livelli di Epo, capace di stimolare l’eritropoiesi di midolli normali. Questo risultato indicherebbe l’importanza predittiva di un test funzionale capace di discriminare nell’ambito di pazienti con medesimi livelli di Epo sierica, anche superiori alla norma, casi potenzialmente rispondenti al trattamento con quest'ultimo. Analogamente alle MDS anche nel mieloma multiplo (MM) il grado di anemia può essere migliorato mediante somministrazione di Epo. Il primo studio che ha valutato l’efficacia di questa modalità terapeutica è apparso nel 1990 (40) ed ha riportato una risposta clinica in 11/13 casi trattati con dosi scalari di Epo (valori iniziali pari a 150 U/Kg) somministrate per via s.c. tre volte la settimana. Successivi studi estesi recentemente alla valutazione di un’ampia casistica di MM e linfomi non Hodgkin (41) hanno confermato l’efficacia dell’uso di Epo in questi pazienti (in circa il 50%) per dosaggi compresi tra 2.000 e 10.000 U al giorno, soprattutto nei casi con residua funzionalità midollare documentata da un buon livello di piastrine circolanti (> 150.000 x 109 /l). L’uso dell’Epo può essere inoltre esteso anche ad alcuni casi di anemia in corso di trapianto allogenico di midollo osseo, ove comunque si manifesti un ritardato attecchimento eritropoietico o vi sia una incompatibilità ABO con incrementato fabbisogno trasfusionale. In conclusione, l’uso dell’Epo per dosaggi compresi tra 50 e 100 U/Kg sembra essere indicato in tutti i casi caratterizzati da bassi livelli sierici di questo GF ed in quelli in cui vi sia un elevato fabbisogno trasfusionale in assenza di una compromissione midollare secondaria. Peraltro in casi particolari la valutazione della risposta in vitro all’Epo può fornire una utile indicazione pre-trattamento. L’assenza di risposta a questo GF dopo 2-3 mesi di trattamento giustifica l’interruzione di quest’ultimo. F A T T O R I D I C R E S C I T A I N E M A T O L O G I A : Q U A N D O E P E R C H I ? 19 3 TERAPIA DI SUPPORTO DELLE MALATTIE LINFOE IMMUNO-PROLIFERATIVE La causa che più frequentemente limita l’incremento delle dosi di chemioterapia nei pazienti affetti da neoplasie è rappresentata dalla neutropenia e dalle complicanze ad essa associate. La durata e la gravità della neutropenia sono infatti direttamente correlate al rischio di infezioni e questi due parametri dipendono a loro volta dalla citotossicità midollare della chemioterapia adottata (farmaci, dosi, etc.). L’avvento dei GF in forma ricombinante ha suggerito possibili modificazioni dell’atteggiamento terapeutico. La somministrazione di GF può infatti prevenire o ridurre la durata della neutropenia e la frequenza degli episodi febbrili, consentendo al paziente una migliore aderenza ai programmi terapeutici prestabiliti, e ciò per quanto riguarda sia la dose dei farmaci che i vari cicli e gli intervalli tra essi intercorrenti, ossia una doseintensity ottimale. Come proposto recentemente dall’American Society of Clinical Oncology (42) esistono vari quadri clinici che possono prevedere l’uso dei GF in pazienti sottoposti a chemioterapia antiblastica: a. una somministrazione primaria nel caso vi sia una aspettativa elevata di episodi febbrili (> del 50% circa dei casi), documentata da esperienze acquisite adoperando cicli polichemioterapici di analoga mielotossicità b. come somministrazione secondaria da adottarsi durante cicli consecutivi di chemioterapia, nel caso insorgano episodi febbrili frequenti e/o di difficile risoluzione, o prolungati periodi di neutropenia, che in ogni caso globalmente non consentano l’esecuzione del programma terapeutico nei tempi previsti ed in assenza di rischi per il paziente c. per consentire la somministrazione di dosaggi maggiori di chemioterapia in assenza di una corrispondente maggiore durata di episodi di neutropenia e di complicazioni ad essa correlate d. come provvedimento terapeutico da instaurarsi durante episodi di neutropenia post-chemioterapia sia in presenza che in assenza di quadri febbrili. F A T T O R I D I C R E S C I T A I N E M A T O L O G I A : Q U A N D O E P E R C H I ? 21 4 La somministrazione primaria di GF è stata valutata per quanto riguarda gli effetti del G-CSF (filgrastim) in uno studio randomizzato (43) eseguito su 80 pazienti affetti da LNH trattati con chemioterapia secondo il regime VAPEC-B per 11 settimane con/senza la somministrazione del G-CSF al dosaggio di 230 mg/m 2 /die (ad eccezione del giorno precedente e durante la chemioterapia). Nel braccio trattato con il G-CSF vi era una riduzione dell’incidenza di neutropenia rispetto al braccio di controllo (35% vs 85%), e degli episodi febbrili durante la fase di neutropenia (rispettivamente 23% vs 44%) (Tabella 10). Tutto ciò risultava in un miglioramento della dose-intensity nei pazienti trattati con G-CSF che mostravano avere comunque la stessa incidenza di episodi di tossicità generale (mucositi) che inoltre impedivano ulteriori incrementi della dose di chemioterapici. Tabella 10 G-CSF vs NO G-CSF nei LNH ad alto grado G-CSF (n=41) no G-CSF (n=39) P Pazienti con neutropenia febbrile 23% 44% 0,04 Riduzione delle dosi per neutropenia 1 12 0,0006 (Pettengell, Blood 1993) Studi analoghi eseguiti con il GM-CSF (molgramostim) in 182 pazienti affetti da LNH (44) trattati con il CSF alla dose totale di 400 mg per 7 giorni consecutivi dopo la chemioterapia (COP-BLAM), mostravano una significativa riduzione dei tempi di ripresa granulocitari, del numero degli episodi febbrili in corso di neutropenia e dei giorni di ospedalizzazione. Tutto ciò comunque era osservabile nei pazienti in grado di tollerare il GM-CSF, che rappresentavano il 72% della casistica generale. Tuttavia, in nessuno degli studi eseguiti il supporto dei CSF induceva una differenza significativa nell’incidenza di episodi infettivi fatali, nella percentuale di rispondenti al trattamento e nella sopravvivenza. Tali dati nella loro globalità, associati anche ad un criterio di costi- E 22 M A T O L O G I A benefici, suggeriscono che la somministrazione primaria dei GF non è indicata nella maggioranza dei casi. Fanno eccezione alcune categorie di pazienti tra le quali quelle la cui aspettativa di episodi febbrili durante una neutropenia post-chemioterapia sia maggiore del 40%, ed inoltre casi individuali caratterizzati da compromissione delle condizioni generali ed alto rischio di infezioni gravi quali: pazienti HIV positivi, anziani, soggetti con linfomi con compromissione midollare. Il manifestarsi in alcuni soggetti sottoposti a cicli successivi di chemioterapia, di episodi febbrili durante una fase del programma terapeutico può rappresentare comunque, un ulteriore razionale alla somministrazione secondaria o preventiva di GF, in occasione di successivi cicli di trattamento. Studi non randomizzati, eseguiti al proposito, hanno dimostrato la capacità dei CSF di abbreviare la durata della neutropenia e l’incidenza di episodi febbrili, pur sottolineando che nei casi caratterizzati da cattiva tolleranza generale alla chemioterapia nessun effetto benefico era comunque documentabile in termini di risposta alla terapia e durata della sopravvivenza. Pertanto è proponibile in questi pazienti in alternativa alla somministrazione del GF, una adeguata modificazione del programma terapeutico (riduzioni dei dosaggi di chemioterapia nel tempo). L’uso dei CSF per incrementare la dose-intensity nasce da dati sperimentali che dimostrano l’esistenza di una correlazione diretta tra dosi di chemioterapia e risposta clinica,secondo una curva di regressione lineare tra dose e effetto. Pertanto, in terapie che non richiedono ulteriori supporti, quali reinfusione di midollo autologo o di cellule staminali da periferico, è ipotizzabile l’uso dei CSF per somministrare un più elevato dosaggio polichemioterapico. In effetti anche per questa modalità di applicazione dei GF, gli unici dati che emergono sono quelli a favore di una riduzione degli episodi febbrili senza alcun effetto sulla risposta al trattamento o sulla sopravvivenza. Un'ulteriore applicazione dei GF può essere prevista nei pazienti sottoposti a trattamento chemioterapico non appena si evidenzi la fase di neutropenia pur in assenza di febbre. I dati oggi disponibili (42-45) dimostrano che non vi è nessun beneficio clinico, neanche sulla durata della neutropenia, nel caso che la somministrazione del GF venga iniziata al momento della pancitopenia periferica e dell’ipoplasia midollare post-chemioterapia. Una modificazione di questo razionale può prevedere l’inserimento dei GF, in associazione alla terapia antibiotica, nella fase di neutropenia complicata da un episodio febbrile. Da uno studio così condotto, che impiegava il G-CSF alla dose di 12 mg/kg/die in pazienti affetti da emopatie linfoidi (46) ed in trattamento antibiotico, risultava solo una riduzione dei giorni di ospedalizzazione F A T T O R I D I C R E S C I T A I N E M A T O L O G I A : Q U A N D O E P E R C H I ? 23 4 ed un modesto effetto benefico sulla durata degli episodi febbrili e della terapia antibiotica. Tale dato valutato successivamente in uno studio analogo che impiegava il GM-CSF (47) mostrava i medesimi risultati con la sola differenza di un probabile beneficio, derivato dall’uso di questa citochina, nei casi con infezioni tissutali quali ascessi, sinusiti etc. In considerazione dei dati descritti ed in assenza di ulteriori studi controllati, l’inserimento dei GF in questi quadri clinici è ipotizzabile nei soli pazienti neutropenici febbrili con quadri infettivi a cattiva prognosi. In conclusione, in queste patologie, l’uso dei CSF è indicato: a. come somministrazione primaria nel caso di trattamenti polichemioterapici con una aspettativa di episodi febbrili > del 40%; b. come somministrazione secondaria solo in casi individuali ove non sia possibile ridurre il dosaggio della chemioterapia oppure esistono condizioni di rischio infettivo elevato tali da pregiudicare il proseguimento del programma terapeutico; c. non vi sono indicazioni all’uso dei CSF nei casi di semplice neutropenia; d. solo nei casi ad elevato rischio infettivo (anziani, HIV+) è indicata la somministrazione di CSF in presenza di neutropenia febbrile già in corso di trattamento antibiotico ad ampio spettro. E 24 M A T O L O G I A 5 TERAPIA DELLE LEUCEMIE ACUTE Il trattamento mediante chemioterapia intensiva delle leucemie acute prevede, affinché si ottenga la remissione completa (RC), una fase di aplasia midollare post-chemioterapia accompagnata da una pancitopenia assoluta. Le complicanze che si verificano in questo periodo, e soprattutto quelle correlate al quadro di neutropenia, rappresentano le cause più importanti di morbidità per i pazienti affetti da LA in trattamento di induzione. Peraltro, in alcuni casi queste complicanze infettive possono rappresentare un ostacolo al completamento della terapia nelle fasi successive di consolidamento, e rappresentano quindi uno dei motivi di insuccesso del trattamento stesso. Queste osservazioni costituiscono uno dei razionali per l'uso dei GF nel trattamento delle emopatie acute, basato su un effetto di stimolo dell’emopoiesi e quindi di una riduzione dei tempi di ripresa midollare e delle complicazioni infettive ad essa associate. Un ulteriore razionale previsto per l’uso dei GF nelle LA consiste, a differenza del precedente, nella capacità di queste molecole di stimolare la proliferazione di cellule leucemiche soprattutto di quelle meno proliferanti o quiescenti, incrementandone quindi la sensibilità ad agenti chemioterapici mediante meccanismi cinetici (priming) e/o farmacologici (incremento dei metaboliti attivi della citosina arabinoside) etc (Tabella 11). Tabella 11 Fattori di crescita nelle LA Pro Contro Accelerare il recupero neutrofili Favorire la “crescita” della leucemia “Reclutare” le cellule neoplastiche “Esaurire” le cellule staminali normali Proteggere le cellule leucemiche dall’apoptosi farmaco-indotta F A T T O R I D I C R E S C I T A I N E M A T O L O G I A : Q U A N D O E P E R C H I ? 25 L’uso dei GF secondo entrambi i razionali soprariportati non sembra comunque scevro da una serie di potenziali controindicazioni quali la stimolazione di cellule leucemiche residue dopo il trattamento citotossico o la loro protezione dai meccanismi di morte programmata indotti dalla stessa chemioterapia nelle LA. La valutazione, comunque,della reale efficacia dei GF nelle LA è stata eseguita nell’ambito di numerosi studi clinici sia sperimentali che controllati. Nel tentativo di determinare l’attività dei GF nella riduzione della durata di aplasia post-chemioterapia di induzione nelle leucemie acute sia linfoidi che mieloidi è stato condotto uno studio clinico randomizzato (48) su 108 pazienti in recidiva o resistenti trattati con G-CSF al dosaggio di 200 mg/m 2 /die in infusione e.v. della durata di 30 min. Il trattamento iniziava due giorni dopo la sospensione della chemioterapia per proseguire fino al raggiungimento di un valore di neutrofili >1,5x10 9 / l. L'esposizione al CSF induceva in questi pazienti una significativa riduzione dei tempi di ripresa granulocitaria di circa una settimana, pur non modificando la ripresa piastrinica. Invariata risultava l'incidenza di episodi febbrili, al contrario degli episodi infettivi documentati che apparivano ridotti. Inoltre nessun effetto di stimolazione sulle cellule leucemiche residue era documentabile e, d’altro canto, non si modificava l'incidenza di pazienti in recidiva nei due gruppi. Pertanto gli autori concludevano che la somministrazione di CSF era priva di rischi nelle leucemie acute ed efficace nell'accelerare la ripresa granulocitaria e nel ridurre gli episodi infettivi documentati. Un più recente studio randomizzato (49) eseguito trattando 193 pazienti anziani affetti da AML con GM-CSF alla dose di 5 mg/kg/die e.v. a decorrere dal giorno successivo alla chemioterapia e fino alla ripresa dei neutrofili pur non mostrando nessun effetto negativo di stimolazione della massa leucemica, non arrecava nessun beneficio clinico sia in termini di durata della neutropenia (solo una modesta accelerazione) sia di risposta al trattamento. Diverse erano le conclusioni emerse dallo studio di un gruppo cooperativo americano (50) che utilizzando il GM-CSF in pazienti anziani affetti da AML dimostrava una riduzione della durata della neutropenia, della morbidità e della mortalità ad essa correlata. In questa stessa patologia l'uso randomizzato del G-CSF dopo chemioterapia in 173 pazienti anziani alla diagnosi pur non modificando le curve di sopravvivenza mostrava nel gruppo dei pazienti trattati con la citochina una più breve durata della neutropenia ed una più alta percentuale di acquisizione della CR (51). La valutazione degli effetti dei GF adoperati prima o durante la chemioterapia secondo un razionale di priming, nasce da una serie di osservazioni precliniche (Tabella 12) e dall'osservazione scaturita dallo E 26 M A T O L O G I A Tabella 12 Effetti citotossici dell’ARA-C + GM-CSF sui blasti leucemici Autori Voce bibliografica Casi studiati Casi responsivi McCulloch et al. (1989) 52 2 2 (100%) Cannistra et al. (1989) 53 4 3 (75%) Tafuri e Andreeff (1990) 54 11 8 (72%) Falzetti et al. (1991) 55 13 10 (76%) studio di Bettelheim (56) che adoperando il GM-CSF alla dose di 250 mg/m 2 /die i.c. somministrato 48-24 h prima dell'inizio della chemioterapia e fino alla ripresa granulocitaria in 18 pazienti affetti da AML all'esordio, dimostrava un reclutamento in ciclo di blasti quiescenti ed una più accelerata ripresa mielopoietica, in assenza di effetti tossici importanti. Altri studi sono stati eseguiti successivamente con risultati discordanti: in uno studio più ampio (57) eseguito adoperando controlli storici, il gruppo di pazienti trattati con GM-CSF mostrava una più bassa percentuale di remissione e probabilità di sopravvivenza rispetto al gruppo trattato con chemioterapia tradizionale. Analogamente, nell’ambito di uno studio cooperativo europeo (58) nel quale veniva valutato a random l’uso del GM-CSF prima, durante e dopo la terapia d’induzione, rispetto ad un gruppo di controllo trattato senza GF e con la sola chemioterapia, non sono emerse indicazioni all’inserimento del GM-CSF nel trattamento di questa categoria di pazienti. In conclusione, i dati sovraesposti suggeriscono la necessità di una valutazione dell’uso dei GF nelle LA da eseguirsi in rapporto alla situazione clinica nei singoli casi; allo stato attuale delle conoscenze non vi sono dati che giustifichino l’uso di queste molecole, al di fuori di studi clinici controllati, nel trattamento delle AML con un razionale di priming. F A T T O R I D I C R E S C I T A I N E M A T O L O G I A : Q U A N D O E P E R C H I ? 27 5 TRAPIANTO DI MIDOLLO OSSEO E DI CELLULE STAMINALI DA SANGUE PERIFERICO Trattamenti intensivi mediante chemioterapia a dosi alte o sovramassimali provocano una profonda citopenia a cui conseguono, nei pazienti trattati, eventi morbosi direttamente correlati alla durata della citopenia stessa. La possibilità di stimolare l’emopoiesi mediante GF rappresenta una strategia terapeutica di recente acquisizione che è possibile attuare secondo varie modalità per abbreviare la fase di pancitopenia e gli eventi morbosi ad essa correlati. Le aree di applicazione dei GF in questo campo (Tabella 13) possono così essere sintetizzate: a. impiego dopo auto ed allo trapianto di midollo osseo e di cellule staminali periferiche per accelerare la ripresa emopoietica b. impiego per la mobilizzazione di cellule staminali nel sangue periferico (PBSC) c. uso ex vivo per l’espansione di cellule staminali (cordone ombelicale). Tabella 13 Indicazioni all’uso dei fattori di crescita nel trapianto Accelerazione delle riprese granulocitarie dopo allo e autotrapianto da midollo osseo o cellule staminali periferiche Mobilizzazione di cellule staminali autologhe o allogeniche nel sangue periferico Espansione cellule staminali in vitro F A T T O R I D I C R E S C I T A I N E M A T O L O G I A : Q U A N D O E P E R C H I ? 29 6 AUTOTRAPIANTO La necessità di supportare terapie ablative con GF scaturisce dal concetto terapeutico di “dose-intensification” che prevede l’adozione di terapie ad alte dosi con lo scopo di eradicare la malattia tumorale e quindi incrementare la percentuale di pazienti effettivamente guariti. Per ridurre la mielosoppressione conseguente a questi regimi di chemioterapia è stata concepita la possibilità di far seguire alla fase di chemioterapia l’infusione di cellule staminali autologhe di midollo osseo o da sangue periferico, precedentemente prelevate, con lo scopo di accelerare i tempi di ripresa emopoietica e limitare gli effetti tossici delle alte dosi di chemioterapia. Nonostante l'impiego delle cellule midollari autologhe si osserva generalmente un prolungato periodo di mielosoppressione con un periodo di azzeramento totale delle conte periferiche della durata di circa 8-10 giorni e di circa 20 giorni per ottenere un valore di neutrofili pari o superiore a 1,0x10 9 /l. Nel tentativo di migliorare ulteriormente i risultati ottenuti con questà modalità terapeutica è stata valutata la possibilità di stimolare, mediante GF somministrati dopo l’infusione, la proliferazione delle cellule staminali reinfuse e quindi ridurre ulteriormente la fase di pancitopenia periferica. Nella Tabella 14 sono sintetizzati alcuni degli studi controllati eseguiti adoperando in questi pazienti il G-CSF o il GM-CSF. Il primo CSF adoperato dopo BMT è stato il GM-CSF (59) al dosaggio di 250 mg/m 2 due volte al giorno per infusione e.v. per un periodo di 21 giorni in pazienti affetti da leucemia acuta linfoide (LAL), linfoma non-Hodgkin (LNH), morbo di Hodgkin (HD) sottoposti tutti a trapianto autologo. La somministrazione del CSF eseguita a random vs placebo e l’ampia casistica permettevano in questo studio controllato di confermare l’efficacia di questa modalità terapeutica documentata, nel braccio dei pazienti trattati con il GM-CSF, da una ripresa dei polimorfonucleati precoce (sette giorni prima del gruppo placebo), da una riduzione degli episodi infettivi e dei giorni di ospedalizzazione, e ciò in assenza di effetti tossici correlabili alla somministrazione di GF. In un successivo studio, anch’esso controllato (60), eseguito in pazienti affetti da LNH sottoposti ad alte dosi di chemioterapia seguita da autotrapianto di midollo osseo in alcuni casi sottoposto a purging mediante mafosfamide, veniva riconfermata la riduzione dei tempi di ripresa granulocitaria nel gruppo trattato con GM-CSF, che però non si traduceva in nessuna differenza nella durata e nella frequenza degli episodi di neutropenia febbrili e di terapia antibiotica. In un piccolo numero di casi era segnalata la comparsa di gravi effetti collaterali, quali pericarditi o pleuriti da alterata permeabilità capillare. Inoltre, il follow-up di questi pazienti ad 1 anno non mostrava nessun vantaggio in termini di ricaduta di malattia e sopravvivenza del gruppo trattato con GM-CSF. E 30 M A T O L O G I A Tabella 14 CSF adoperati dopo auto BMT in studi clinici controllati GM-CSF GM-CSF G-CSF G-CSF (59) (60) (61) (62) 250 mg/m2/d 250 mg/m2/d 2-20 mg/kg/d 5 mg/kg/d 2 h i.c. 24 h e.v. 30 min e.v. 30 min e.v. LNH, HD, ALL LNH LNH, HD, LNH, HD, MM, ALL ALL Voce bibliografica Dosaggio Vie di somministrazione Patologia N pazienti 128 91 121 315 Riduzione tempi di ripresa PMN + + + + Riduzione episodi neutropenia febbrile - - - + Riduzione infezioni documentate +/- - - - Riduzione giorni terapia antibiotica + - +/- + Riduzione giorni ospedalizzazione + + - + Prolungamento sopravvivenza - - - - Numerosi studi controllati sono stati eseguiti successivamente ed in tutti è emersa una significativa riduzione della durata della neutropenia nei pazienti sottoposti a terapia ablativa supportata da trapianto autologo di midollo seguito da trattamento con GM-CSF. Analoghi studi sono stati eseguiti adoperando anche il G-CSF. In un ampio studio randomizzato (61) adoperando il filgrastim a dosaggi compresi tra 2-20 mg/kg/die veniva dimostrata l’efficacia dose-dipendente della citochina nell’accelerarare la ripresa granulocitaria dopo autotrapianto di midollo osseo eseguito in pazienti affetti da emopatie non mieloidi. Peraltro risultava significativa in questi pazienti la riduzione dei tempi di ospedalizzazione. In un analogo studio nel quale veniva valutata l’efficacia del lenograstim (62), adoperato al dosaggio di 5 mg/kg/die per infusione della durata di 30 min in pazienti con emopatie maligne linfoidi e tumori solidi sottoposti a BMT, si otteneva una signi- F A T T O R I D I C R E S C I T A I N E M A T O L O G I A : Q U A N D O E P E R C H I ? 31 6 ficativa riduzione della durata della neutropenia, sia nei casi sottoposti ad auto che allo BMT, così come nei pazienti adulti e pediatrici. In questo studio risultavano ulteriormente ridotti i giorni di febbre, di ospedalizzazione e di terapia antibiotica. Ciò nonostante nessuna differenza nel numero di episodi infettivi, clinici o documentati microbiologicamente, emergeva dalla valutazione di entrambi i gruppi. Inoltre la durata della sopravvivenza valutata ad un anno di follow-up non differiva nei due gruppi. Ad eccezione di uno studio eseguito con il GM-CSF (63), che ha dimostrato una significativa riduzione della durata della trombocitopenia, non risultano riportati effetti benefici indotti dalla somministrazione di CSF dopo auto BMT sulla megacariocitopoiesi. La somministrazione di GF dopo trapianto autologo di midollo pur essendo in grado di accelerare i tempi di ripresa emopoietica e soprattutto granulocitaria, non ha mostrato comunque nessuna attività sulla fase di leucopenia assoluta che virtualmente è immodificata dalla somministrazione dei CSF. L’importanza clinica di questo periodo responsabile della maggior parte delle complicazioni correlate ad eventi morbosi e/o mortali da auto BMT ha promosso quale ulteriore evoluzione delle strategie terapeutiche da associarsi a terapie ablative, la mobilizzazione mediante GF di progenitori dal sangue periferico e la loro raccolta mediante aferesi e successiva reinfusione (con o senza midollo autologo) eseguita dopo la chemioterapia ablativa. Si è infatti dimostrato che la raccolta aferetica eseguita con queste modalità risultava arricchita da un gran numero di progenitori mieloidi commissionati, capaci, se reinfusi dopo chemioterapia, di ridurre drasticamente i tempi di ripresa midollare, sia granulocitaria che megacariocitaria. I GF finora maggiormente adoperati per la mobilizzazione di cellule staminali periferiche, secondo varie modalità terapeutiche, sono stati il G-CSF ed il GM-CSF: adoperando quest’ultimo e.v. a dosaggi compresi tra 4 e 64 mg/kg/die per 2-7 giorni (64) in 13 pazienti affetti da sarcoma, era dimostrato un incremento di 18 ed 8 volte rispettivamente del numero delle CFU-GM e delle BFU-E circolanti. L’incremento delle PBSC raggiungeva le 60 volte quando il GM-CSF veniva somministrato al giorno +5 della fase post-chemioterapia. Sulla base di questi risultati in uno studio successivo (65) il GM-CSF è stato somministrato in pazienti affetti da LNH alla dose di 5,5 mg/kg/die e.v. al giorno +5 dopo le alte dosi (7g/m 2 ) di ciclofosfamide, e per un periodo variabile di 10-14 giorni, inducendo un drammatico incremento, superiore alle cento volte, del numero di CFU-GM. Tali cellule raccolte mediante leucaferesi erano quindi reinfuse insieme con midollo autologo, dopo 24 h dalla TBI (“total body irradiation”) e melphalan. Tale modalità terapeutica risultava in una ripresa emopoietica drasticamente ridotta nei tempi e pari a 9 giorni per l’ottenimento di un valore di neutrofili di 0,5x109 /l e 10,7 giorni per superare le 50x10 9 /l piastrine. Di minore gravità apparivano E 32 M A T O L O G I A inoltre in questi pazienti gli episodi di mucosite. Questi dati sono stati confermati in uno studio successivo (66). In aggiunta alle modalità sopra descritte altre citochine o associazioni di esse possono essere impiegate per la mobilizzazione delle PBSC, quali per es G-CSF o GM-CSF in combinazione con GF attivi su cellule più alte come IL-3, SCF o PIXY321. Uno studio interessante (67) ha comparato l’efficacia di varie modalità di trapianto supportate da PBSC +/- GM-CSF o G-CSF rispetto alla procedura mediante la sola reinfusione di midollo autologo. L’uso di PBSC ottenuti mediante stimolazione con CSF induceva una più rapida ripresa emopoietica ed una riduzione delle giornate di terapia antibiotica, e ciò indipendentemente dal GF adoperato. L’uso di PBSC, mobilizzate mediante G-CSF, si associava in questo studio ad una riduzione dei giorni di ospedalizzazione e del numero di trasfusioni di emazie e piastrine. L’uso o il non uso di GF dopo infusione di PBSC ha dimostrato un significativo, se pur modesto, beneficio nell’uso di esso dopo auto BMT, inoltre l’uso del G-CSF è risultato in una minore frequenza di febbre rispetto al GM-CSF. Dal complesso dei dati sopra riportati si può concludere che i CSF possono essere usati dopo auto BMT con lo scopo di ridurre la durata della neutropenia. Tale effetto può risultare in una riduzione dei tempi di ospedalizzazione e di terapia antibiotica, ma non sembra essere in grado di migliorare la sopravvivenza dei pazienti. Pertanto tale impiego dovrà essere valutato individualmente nelle diverse situazioni cliniche per stabilire, alla luce di una attenta analisi dei costi-benefici, l’eventuale indicazione all’uso. ALLOTRAPIANTO Un ulteriore impiego dei GF è quello in corso di trapianto allogenico di midollo osseo. Al momento attuale, non ci sono evidenze in senso di incremento della GVHD, di rigetto da trapianto e di rischio di recidiva associato alla somministrazione di CSF in studi randomizzati con l’uso di questi ultimi. Inoltre, adoperando il G-CSF la ripresa granulocitaria risulta abbreviata con una riduzione degli episodi febbrili e dei giorni di terapia antibiotica. Un ulteriore approccio è rappresentato dalla somministrazione di GF, soprattutto GM-CSF, in casi con ritardato o mancato attecchimento. Pur in assenza di studi controllati è possibile osservare che in alcuni di questi pazienti trattati con CSF le curve di sopravvivenza risultano equivalenti a quelle dei controlli storici che non avevano mostrato problemi di attecchimento (68). La possibilità, F A T T O R I D I C R E S C I T A I N E M A T O L O G I A : Q U A N D O E P E R C H I ? 33 6 recentemente segnalata (69) di eseguire trapianti aplo-identici mediante somministrazione di PBSC T-deplete, mobilizzate mediante G-CSF (dosaggi compresi tra 5 e 16 mg/kg/die), in aggiunta a midollo osseo T-depleto, amplia le future applicazione del trapianto allogenico estendendole, se confermate in ulteriori studi, ad una serie di pazienti finora non trapiantabili. CORDONE OMBELICALE Un ulteriore campo di recente applicazione dei GF nell’area del trapianto allogenico è rappresentato dall’uso in vivo successivo all'infusione di cellule staminali allogeniche ottenute da cordone ombelicale (UCB), con lo scopo di accelerarne l’attecchimento e ridurre la fase di pancitopenia post-condizionamento. Inoltre, nell’ambito della stessa procedura trapiantologica, l'esposizione ex vivo ai GF delle UCB, eseguito in questo caso con lo scopo di stimolarne la proliferazione e quindi incrementarne il numero, rappresenta un approccio potenzialmente utile per l'estensione nell'adulto di questa procedura trapiantologica. Quest’ultima area è comunque al momento un campo ancora riservato alla sperimentazione clinica. In conclusione: 1. l’uso dei CSF dopo autotrapianto di midollo sembra essere giustificato solo in casi individuali nei quali vi sia una comprovata efficacia anche alla luce di una analisi dei costi; 2. queste molecole sono indispensabili per tutte le procedure di mobilizzazione di cellule staminali periferiche (PBSC), soprattutto in quelle da adottarsi nel donatore normale; 3. l’utilità di una terapia di supporto con GF dopo infusione di PBSC in pazienti sottoposti a terapia ablativa è attualmente in valutazione nell’ambito di studi controllati; 4. per quanto riguarda l’uso dei CSF dopo trapianto allogenico vanno considerati casi individuali con ritardato attecchimento; 5. ulteriori potenziali applicazioni dei CSF nelle procedure trapiantologiche allogeniche con cellule di cordone ombelicale saranno oggetto di futuri studi clinici per quanto riguarda l’uso in vivo come terapia di supporto post-infusione, e l’uso ex vivo per l’espansione delle cellule staminali. E 34 M A T O L O G I A 7 BIBLIOGRAFIA GENERALE 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. 15. 16. 17. 18. 19. 20. 21. 22. 23. 24. 25. 26. 27. 28. 29. 30. 31. 32. 33. 34. Welte K et al., Proc Natl Acad Sci USA 1985; 82: 1526-1530. Souza LM et al., Science 1987; 232: 61-65. Sieff CA et al., Science 1985; 230: 1171-1173. Denzlinger C et al., Blood 1993; 81: 2007-2013. Rabinowe SN et al., Sem Hematol 1991; 28: 6-16. Gribben JG et al., Lancet 1990; 335: 434-437. Dale DC, Neutropenia. In: Hematology, 4th ed, Williams WJ et al. (Eds) 1990, McGraw-Hill, New York, pp 807-816. Kostmann R, Acta Paediatr Scand 1975; 64: 362-388. Dale DC et al., Blood 1993. 81: 2496-2502. Crawford J et al., N Engl J Med 1991; 315: 164-170. Welte K et al., Blood 1990; 75: 1056-1063. Pomeroy C et al., Am J Med 1991; 90: 338-344. Kizaki M and Koeffler P, Semin Oncol 1992; 19: 95-105. Ganser A and Hoelzer D, Hematol/Oncol Clin North America 1992; 6: 632-653. Raza A et al., Blood 1995; 86: 268-276. Negrin RS et al., Ann Intern Med 1989; 110: 976-984. Negrin RS et al., Blood 1990; 76: 36-43. Kobayashi Y et al., Am J Med 1989; 86: 178-182. Yoshida Y et al., Br J Haematol 1991; 78: 378-384. Vadhan-Raj et al., N Engl J Med 1987; 317: 1545-1552. Ganser A et al., Blood 1989; 73: 31-37. Herrmann F et al., Leukemia 1989; 3: 335-338 Schuster MW et al., Cancer Res Clin Oncol 1990,116 :1079a Greenberg P, et al., Blood 1993; 82: 196a 25.Nagler A, et al., Blood 1990; 76: 1299-1307. Vadhan-Raj et al., Blood 1990; 75: 858-864. Nagler A, et al., Leukemia 1995; 9: 30-39. Ganser A, et al., Blood 1990; 76: 455-462. Dunbar CE et al., Blood 1990; 76 (suppl 1): 141a. Kurzrock R et al., J Clin Oncol 1991; 9: 1241-1250. Van Kamp H et al., Blood 1990; 76 (suppl 1): 170a. Bowen D et al., Br J Haematol 1991; 77: 419-423. Oster W et al., J Clin Oncol 1990; 8: 956-962. Hoelzer D et al., Proc Am Soc Clin Oncol 1990; 9: 288. F A T T O R I D I C R E S C I T A I N E M A T O L O G I A : Q U A N D O E P E R C H I ? 35 35. 36. 37. 38. 39. 40. 41. 42. 43. 44. 45. 46. 47. 48. 49. 50. 51. 52. 53. 54. 55. 56. 57. 58. 59. 60. 61. 62. 63. 64. 65. 66. 67. 68. 69. Stein RS et al., Blood 1991; 78: 1658-1665. Hellstrom E et al., Blood 1990; 76 (suppl 1): 279a. Schouten HC et al., Leukemia 1991; 5: 432-436. Aloe-Spiriti MA et al., Haematologica 1993; 78: 123-126. De Felice L et al., Blood 1994; 84: 502a. Ludwig H et al., N Engl J Med 1990; 322: 1693-1699. Cazzola M et al., Blood 1995; 86: 4446-4453. American Society of Clinical Oncology, J Clin Oncol 1994; 24712508. Pettengell R et al., Blood 1992; 80: 1430-1436. Gerhartz HH et al., Blood 1993; 82: 2329-2339. Golde DW et al., Education Program ASH, 1995 Maher D et al., Proc Am Soc Clin Oncol 1993; 12: 434. Anaisse E et al., Am J Med 1996; 100: 17-23. Ohno R et al., N Engl J Med 1990; 323: 871-877. Stone RM et al., N Engl J Med 1995; 332: 1672-1677. Rowe J et al., Blood 1995; 86: 457-462. Dombret H et al., N Engl J Med 1995; 332: 1678-1683. Miyauchi J and McCulloch, Blood 1989; 73: 1272-1278. Cannistra SA et al., Leukaemia 1989; 3: 328-334. Tafuri A and Andreeff M, Leukaemia 1990; 4: 826-834. Falsetti F and Tabilio A, Haematologica 1991; 76:85-92. Bettelheim P et al., Blood 1991; 77: 700-711. Estey E et al., Blood 1992; 79: 2246-2555. Zittoun R et al., Blood 1994; 84: 909a. Neumanaits J et al., N Engl J Med 1991; 323: 1773-1778. Gorin NC et al., Blood 1991; 80: 1149-1157. Linch DC et al., Bone Marrow Transpl 1993; 11: 307-311. Gisselbrecht C et al., Lancet 1994; 334: 696-700. Gulati S and Bennet C, Ann Intern Med 1992; 116: 177-182. Socinski MA et al., Lancet 1988; i: 1194-1198. Gianni AM et al., Lancet 1989; ii: 580-584. Sheridan WP et al., Lancet 1992; 339: 640-644. Peters WP et al., Blood 1993; 81: 1709-1719. Nemunaitis J et al., Blood 1990; 76: 245-253. Aversa F et al., Blood 1994; 84: 3948-3955. E 36 M A T O L O G I A