András Schiff pianoforte Quartetto Mikrokosmos

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András Schiff pianoforte Quartetto Mikrokosmos
Sala Verdi del Conservatorio
Martedì 27 febbraio 2007, ore 20.30
S TA G I O N E 2 0 0 6 • 2 0 0 7
András Schiff pianoforte
Quartetto Mikrokosmos
15
Consiglieri di turno
Dott. Maria Majno
Prof. Carlo Sini
Con il patrocinio
e il sostegno di
Con il contributo di
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In collaborazione con
Settore cultura
Con il sostegno di
FONDAZIONE CARIPLO
Sponsor istituzionali
Si ringrazia per il ciclo “Grandi Interpreti”
Per assicurare agli artisti la migliore accoglienza e concentrazione
e al pubblico il clima più favorevole all’ascolto, si prega di:
• spegnere i telefoni cellulari e altri apparecchi con dispositivi acustici;
• limitare qualsiasi rumore, anche involontario (fruscio di programmi, tosse ...);
• non lasciare la sala prima del congedo dell’artista.
Si ricorda inoltre che registrazioni e fotografie non sono consentite, e che
l’ingresso in sala a concerto iniziato è possibile solo durante gli applausi, salvo
eccezioni consentite dagli artisti.
András Schiff pianoforte
Quartetto Mikrokosmos
Gábor Takács-Nagy violino
Zoltán Tuska violino
Sándor Papp viola
Miklós Perényi violoncello
Béla Bartók
(Nagyszentmiklós 1881 – New York 1945)
Quartetto per archi n. 3 Sz. 85
Sei danze in ritmo bulgaro da “Mikrokosmos”
per pianoforte Sz. 107
Suite op. 14 per pianoforte Sz. 62
Sonata per pianoforte Sz. 80
Intervallo
Quartetto per archi n. 6 Sz. 114
Il concerto è registrato da
Béla Bartók
Quartetto per archi n. 3 Sz. 85
Prima parte: Moderato
Seconda parte: Allegro
Ricapitolazione della prima
parte: Moderato
Abbiamo visto e sentito, martedì scorso, in quale modo fantasioso, eccentrico,
eccessivo gli zingari abbiano assorbito e rielaborato la musica popolare dei paesi
danubiani in cui peregrinavano. Stasera tocca a Béla Bartók , lo straordinario
scienziato artista che per almeno un quinquennio passò stagioni intere fra i contadini di quelle terre per studiare e conservare il canto popolare vero, traendone emozioni e tecniche subito diventate linfa vitale delle sue composizioni originali. Non ricorse mai alla citazione diretta, come facevano appunto gli zingari,
ma di quelle melodie, di quei ritmi, di quei timbri seppe individuare le radici profonde che, trapiantate nel fertile terreno della grande tradizione colta, diedero
frutti talmente copiosi e nuovi da cambiare il corso stesso della musica del
Novecento. Ne avremo conferma in ogni nota che ci propone il concerto di stasera, nei due segmenti (il quartetto per archi, la musica per pianoforte) che
assieme al teatro e all’orchestra Bartók coltivò per tutta la vita. Cominciamo con
un quartetto, il terzo di sei, uno dei più semplici e difficili allo stesso tempo.
Semplice per via della struttura piana e della ridotta dimensione temporale
(circa 15 minuti). Difficile perché lascia insolute molte questioni sul suo collocamento nella mappa complessiva del percorso stilistico di Bartók, e dunque crea
continui problemi interpretativi. Partiamo dalla cronologia. Come data di composizione, il 1927 è scomoda. Analisti, storici e critici avrebbero semplificato il
loro mestiere se la data fosse 1925. Potrebbero dire che, collocandosi dopo il balletto Il mandarino meraviglioso (1919), Otto improvvisazioni su canti contadini ungheresi per pianoforte (1920), le due Sonate per violino e pianoforte
(1921 e 1922) e la Tanzsuite (1923), il Terzo quartetto corona il periodo in cui
Bartók fu più vicino all’espressionismo della nuova scuola viennese di
Schönberg. Avrebbero buon gioco nel considerare la Sonata per pianoforte
(1926) come primo risultato di quella scelta neoclassica che sarà resa esplicita
nel Quarto quartetto (1928). Invece quel 1927 complica le cose e - a suo modo rende giustizia all’artista Bartók, impedendo una lettura troppo meccanica del
suo itinerario creativo. La data rende giustizia anche al quartetto in sé. Il Terzo
non può essere liquidato come semplice momento conclusivo di un’esperienza.
Diventa invece asse centrale di un arco creativo ben più vasto. Sarà facile scoprire i raccordi espressionisti, ma non saranno trascurati gli sperimentalismi
timbrici che rendono il Terzo il più crudo quartetto di Bartók, quello che più
degli altri passa la soglia del rumore e si avventura nell’esplorazione delle nuove
frontiere del suono degli archi tradizionali. Sono percussioni del legno, colpi
d’arco inconsueti, armonici fischianti che si aggiungono al campionario di corde
vuote, strappate durissime, dissonanze scoperte, trilli e tremoli che già erano
stati sperimentati nei lavori precedenti. Se i valori timbrici sono d’immediata
percezione, altri, più sottili ma non meno importanti, emergono con peso crescente. Si veda l’uso molto più incisivo assunto dalla polifonia. Bartók aveva studiato Bach con attenzione, ne aveva ricavato un modello di contrappunto molto
libero, estraneo all’accademia ottocentesca eppure a suo modo compatto e rigoroso. L’aveva poi esteso anche ai valori timbrici (si osservi il contrappunto di
glissandi alternati con dure strappate in conclusione della seconda parte) e ritmici, con esiti folgoranti. La costruzione ad arco, tipica di Bartók, trova qui il suo
esempio forse più convincente. Il Quartetto si articola in quattro sezioni, complementari fra loro, impostate su un materiale comune costituito da soli due o
tre motivi dai quali si generano gli altri. Dopo poche battute di introduzione alla
prima parte, si sente una cellula germinale (quarta ascendente e terza minore
discendente) che si appoggia su una fascia sonora formata da una stridente
seconda che poi si espande, a cuneo. È un attacco di grande efficacia, che sorge
dal silenzio, diventa una spettrale “musica notturna”, si arresta in una specie di
pausa rapsodica centrale e arriva alla tensione massima entrando nel dominio
del rumore. Il passaggio alla seconda parte è improvviso. Qui esplode la dinamica, ma resta il principio costruttivo: il materiale tematico è autogenerato, dissonante nella dimensione verticale, contrappuntistico in quella orizzontale. La
“Ricapitolazione della prima parte” non è una ripresa letterale, ma una sintesi
stringata, una riproposizione di formule contrappuntistiche da reimpiegare
nella parte finale in una graduale intensificazione del ritmo e della violenza timbrica. È qui che si raggiunge il culmine espressivo e musicale del quartetto, in
una graduale intensificazione del ritmo e della violenza timbrica.
Sei danze in ritmo bulgaro da “Mikrokosmos”
per pianoforte Sz. 107
Suite op. 14 per pianoforte Sz. 62
Allegretto
Scherzo
Allegro molto
Sostenuto
Sonata per pianoforte Sz. 80
Allegro moderato
Sostenuto e pesante
Allegro molto
L’altro segmento che Bartók mai trascurò è quello del pianoforte. È appena il
caso di ricordare che egli era un grande pianista in tutti i sensi. Possedeva una
tecnica perfetta, lisztiana, messa a punto nel severo e prestigioso Conservatorio
di Budapest. Cominciò giovanissimo a tenere concerti e continuò per tutta la
vita, sia pure con la consapevolezza di essere un autore prima ancora che un
interprete di musiche proprie e altrui. Fino alla fuga dalla guerra e all’emigrazione negli Stati Uniti, svolse un’intensa attività didattica, in un certo senso
creando una scuola pianistica ungherese che vive tuttora. Ovvio, quindi, che
tanta familiarità con la tastiera abbia sempre generato capolavori. Uno di questi capolavori, forse il meno noto in assoluto, è Mikrokosmos, cinque quaderni
di esercizi di crescente difficoltà e spessore artistico, destinati a tutti i giovani e
meno giovani che abbiano voglia di imparare a suonare il pianoforte seguendo
un metodo originale, scientifico, moderno. Il progetto fu iniziato nel 1926, sospeso per qualche anno, completato nel 1932-1939 e pubblicato in forma definitiva
nel 1940, in America, con dedica al figlio Peter. Fra i 53 brani della raccolta
accanto al necessario bagaglio classico, troviamo spesso scale esotiche, ritmi
sghembi, melodie asimmetriche, cose appunto che nascono dal repertorio popolare e che servono per inventare e rinnovare. La sezione del nostro programma
inizia infatti con un prezioso assaggio del “Bartók didattico” con un gustosa
serie di danze in ritmo bulgaro, scelte fra le più articolate degli ultimi quaderni,
quelli più impegnativi e formalmente complessi.
Agli anni giovanili appartiene la Suite op. 14. Scritta nel 1916, nasce sulla scia
del celeberrimo Allegro barbaro op. 11 che nel 1911 segna la fine del tempo in
cui Bartók scrive musica in stile tardoromantico con ispirazione nazionale all’insegna del cosmopolitismo lisztiano, e porta l’irruzione della linfa popolare danubiana nel gran tronco della forma classica occidentale, che ovviamente non viene
persa. Infatti la denominazione “Suite” è un chiaro riferimento alla tradizione
barocca. L’organizzazione in quattro movimenti lo conferma. Invece i legami con
il passato sono quasi inesistenti. Una eventuale parentela con la classica forma
sonata si esclude subito, anche se così potrebbe suggerire l’articolazione in quattro tempi: due sono veloci, uno è definito “Scherzo”, il quarto è lento. Però la
struttura interna di ciascuno è in larga misura originale, comunque lontana da
ogni forma sonatistica. Nel primo tempo domina una cellula di base, continuamente riproposta nella versione originale o in varianti elementari o in semplici
trasposizioni. Gli altri incisi che si aggiungono, sempre complementari, nascono
come sviluppo di disegni di danza e spesso si confondono con il pulsare della
dinamica fondamentale e con il gioco sempre ardito delle relazioni armoniche. Il
secondo tempo è uno “Scherzo”, segue in certa musica lo schema del rondò settecentesco, ha carattere grottesco, e l’instabilità ritmica degli elementari accenni melodici è sottolineata dall’armonia dissonante, dalla novità timbrica cercata
con maniacale applicazione. L’ambiguo e anticlassico intervallo di tritono che già
aveva imperversato nei due tempi precedenti, domina la figurazione di quattro
note che, a sua volta proposta come “ostinato”, serve da collante del terzo
tempo, secco e spiritato. Finalmente l’ansia motoria si placa nell’ultimo tempo,
un “Sostenuto” che è una glaciale ricerca di nuove combinazioni armoniche, in
cui l’intensità espressionista nasce dalle complesse dissonanze e dal ritmo esitante eppure grave.
La Sonata viene giusto dieci anni dopo, quando molte cose per Bartók sono cambiate. Come già segnalato a proposito del Terzo quartetto, è passato il momento
di maggiore avvicinamento alle correnti espressioniste. alle suggestioni dell’informale e dell’atonale, alle sperimentazioni timbriche sviluppate negli anni successivi alla Grande Guerra. È sempre più forte la voglia di tornare a un linguaggio nitido, ben definito, appunto neo-classico, alla maniera di Stravinskij.
Resta il legame profondo con il folklore nazionale ungherese, ma è ancor più
sublimato che negli anni precedenti. Il 1926 è un po’ l’anno della grande svolta e
la Sonata, assieme al Terzo concerto per pianoforte e orchestra, ne è testimonianza concreta. Il nascente gusto neoclassico si riconosce fin dalle prime battute dell’iniziale “Allegro moderato”, per l’estrosa asimmetria dei temi, la secchezza dell’accompagnamento. L’impianto segue senza dubbio alcuno quello
della classica forma sonata, utilizza quattro nuclei tematici e si sviluppa in modo
assai elaborato, pur nell’estrema concisione. Il “Sostenuto e pesante” si regge
su una specie di basso ostinato fatto da un insistito rintocco nel registro grave,
su dissonanze aspre e dolorose, con una melodia che ha le inflessioni del lamento. Un virtuosistico “Allegro molto”, dai chiari echi popolareschi su un ritmo febbrile conclude l’unico lavoro che nella pur vasta produzione pianistica di Bartók
porta il titolo di “Sonata”.
Quartetto per archi n. 6 Sz. 114
Mesto. Più mosso, pesante
Mesto. Marcia
Mesto. Burletta
Mesto
La nostra serata bartókiana si chiude con il sesto e ultimo quartetto, quello che
consente di capire l’ordine superiore che regge l’intero ciclo. Che infatti non è
un ciclo in senso stretto, ma un prisma immenso con sei facce distinte e complementari. Esiste infatti una chiara linea evolutiva, conseguente e priva di discontinuità. Eppure ogni singolo lavoro ha evidenti punti di contatto con ciascuno
degli altri, con analogie diffuse nei rapporti armonici, timbrici, strutturali. È
vero, come hanno notato molti studiosi, che il Sesto quartetto ha grandi affinità
con il primo (scritto nel 1908) e che in questo senso chiude il cerchio. È comune
il principio circolare, l’articolazione in quattro tempi ben distinti, la ricerca di
lirismo, la chiarezza dell’impostazione tonale, la tecnica dell’elaborazione.
Fortissimo resta tuttavia il legame con i principi di simmetria del quinto quartetto (1934) e del suo complementare quarto (1928). Si ritrovano le lievità di
scrittura del terzo (1927) e le tensioni espressioniste del secondo (1919). E tante
altre cose, che abbiamo ormai imparato a riconoscere come vocaboli specifici del
linguaggio di Bartók. Come tutti, e non potrebbe essere altrimenti, il Sesto ha
una sua cifra inconfondibile e resta una precisa testimonianza del suo tempo.
Ricordiamo che negli anni Trenta Bartók aveva fatto la sua scelta di campo
come autore, lasciando le sperimentazioni atonali ed espressioniste e aderendo
convinto ai principi di chi cercava il recupero di forme limpide e di equilibri rigorosi. Sono gli ideali della gran corrente neoclassica, che Bartók interpretò a
modo suo, integrandoli con la sua esperienza di etnologo e di studioso della cultura alternativa e popolare. La ricerca di semplicità e di chiarezza combinata
con la volontà di comunicare in modo diretto, che è come dire aspro e sincero, è
particolarmente evidente proprio nel Sesto quartetto. È di poco successivo alla
Musica per archi, celesta e percussione (1936), alla Sonata per due pianoforti e
percussione (1937), al Divertimento per orchestra d’archi (1939), che sono lavori tutti in cui la ricerca di una nuova classicità subordina ogni altro valore e
depura i dettagli che possono sembrare superflui. Il tessuto musicale del Sesto
quartetto risulta ancor più pulito e trasparente dei precedenti, senza con ciò
rinunciare a una tavolozza di colori completa.
Nel primo tempo la costruzione in forma sonata è forse più evidente che altrove, ma il lavorio tematico, per linee interne e per microcellule, non è diverso: si
giova di ostinati, di trilli, di glissandi, di pause, di ritmi asimmetrici, di contrappunti. Il sapore popolaresco si ritrova appieno nella “Marcia” (secondo movi-
mento) ispirata al “Verbunk”, la danza che nell’Ottocento ungherese accompagnava il reclutamento dei soldati. Come il secondo, anche il terzo movimento
(“Burletta”) si avvicina alla struttura ternaria dello “Scherzo” classico, ma la
sostanza musicale si appoggia volentieri a tecniche proprie del jazz americano,
con curiosi giochi di pizzicati nella ripresa. Il finale elabora in polifonia una
breve sezione (definita “Mesto”) che Bartók pone all’inizio di ognuno dei tre
movimenti precedenti. La prima volta compare con la voce della viola sola. La
seconda volta canta il violoncello sostenuto da una fascia sonora in sordina degli
altri strumenti. Nella terza si crea un severo intreccio a quattro voci. La quarta
volta genera direttamente il movimento conclusivo. Con questo accorgimento
tecnico, Bartók ha certamente voluto dare un senso di unità strutturale alla
composizione ma anche, forse soprattutto, mandare un messaggio perché non si
travisi il senso ultimo dell’intero quartetto. Che è senso di rassegnazione e
disperazione fra i più intensi che siano mai stati tradotti in musica. Facile ritrovare la componente autobiografica specifica in questa mestizia cosmica. Il
Quartetto fu terminato a Budapest nel novembre 1939, mentre l’amatissima
madre stava morendo e la guerra dilagava in Europa. Era stato iniziato nell’estate, durante un felice periodo di vacanza in Svizzera come ospite del musicista
mecenate Paul Sacher: la componente serena, o anche solo ironica, del lavoro
forse nacque qui. Le sezioni “Mesto” furono aggiunte solo alla fine. Il lavoro
doveva essere destinato al Quartetto Ungherese di Zoltán Szekely. Invece i rapporti fra Bartók e il primo violino del prestigioso complesso si guastarono. Ci fu
poi la fuga precipitosa verso l’America. La prima esecuzione si ebbe a New York
il 20 gennaio 1941. Suonò il Quartetto Kolisch, cui il lavoro fu alla fine dedicato.
Enzo Beacco
ANDRÁS SCHIFF pianoforte
Nato a Budapest nel 1953, András Schiff ha iniziato a studiare pianoforte a
cinque anni con Elisabeth Vadász. Ha poi proseguito gli studi all’Accademia
Liszt con Pál Kadosa, György Kurtág e Ferenc Rados e infine a Londra con
George Malcolm.
Nel 1987 si è aggiudicato il “Premio dell’Accademia Chigiana” a Siena, nel
1989 la “Wiener Flötenuhr” – il Premio Mozart della Città di Vienna – e nel
1991 il Premio Bartók. Nella prima edizione del premio “International
Classical Music Awards” ha meritato il premio “Instrumentalist of the Year
1992”. Nel 1994 ha ricevuto la medaglia “Claudio Arrau” della Robert
Schumann Gesellschaft di Düsseldorf, il Premio Abbiati, ed è stato nominato
“Instrumentalist of the Year 1994” dalla Royal Philharmonic Society di
Londra. Nel marzo 1996 ha ricevuto il premio “Kossuth”, il più importante
riconoscimento ungherese, e nel maggio 1997 il “Léonie Sonning Music Prize”
a Copenhagen. Nel settembre 2003 ha ricevuto “Musikfest Preis” dalla città di
Brema.
Ospite delle maggiori orchestre in Europa, negli Stati Uniti, in Giappone e in
Israele, collabora regolarmente con festival di primo piano quali Salisburgo,
Vienna, Lucerna, Edimburgo e Feldkirch. In recital si dedica in particolar
modo a cicli di concerti monografici su J.S. Bach, Haydn, Mozart, Schubert e
Bartók. Nel 2004 ha iniziato l’esecuzione dell’integrale in ordine cronologico
delle Sonate di Beethoven.
Nel 1999 ha fondato una propria orchestra da camera, la “Cappella Andrea
Barca” con la quale lavora, come con la Philharmonia Orchestra di Londra e
la Chamber Orchestra of Europe, nel duplice ruolo di direttore e solista.
Appassionato fin da giovanissimo di ogni forma di musica da camera, nel
1989 ha fondato il festival “Musiktage Mondsee” che ha diretto fino al 1998.
Con Heinz Holliger ha fondato nel 1995 i “Concerti di Pentecoste” di Ittingen
in Svizzera e dal 1998 anima a Vicenza una serie di concerti “Omaggio a
Palladio” per la quale ha meritato nel 2003 “Il Palladio d’oro”. Dal 2004 è
“Artist in Residence” del Festival di Weimar.
Tra le sue incisioni ricordiamo l’integrale dei concerti di Beethoven con la
Staatskapelle di Dresda e Bernhard Haitink e quella dei concerti di Bartók con
la Budapest Festival Orchestra e Ivan Fisher. Nel 1994 ha meritato il premio
della Deutsche Schallplattenkritik.
È stato ospite della nostra Società nel 1988, 1993, 1998, 2000 e 2006.
Quartetto Mikrokosmos
Il Quartetto Mikrokosmos è formato da quattro musicisti ungheresi attivi
individualmente sia in campo concertistico che didattico. L’occasione per suonare insieme sono stati i “Concerti di Pentecoste” di Ittingen, dei quali sono
direttori artistici András Schiff e Heinz Holliger, dove nel corso degli anni
hanno eseguito l’integrale dei quartetti bartókiani in modo unico e fuori dal
comune, all’ungherese.
Gábor Takács-Nagy ha iniziato gli studi a otto anni all’Accademia Liszt di
Budapest. Ha poi frequentato le master class di Nathan Milstein. È stato primo
violino del Quartetto Takács con il quale ha vinto premi internazionali e si è
esibito anche in collaborazione con musicisti quali Mstislav Rostropovich,
Aurèle Nicolet e Jean-Pierre Rampal. Dal 1997 è docente di quartetto al
Conservatorio di Ginevra e dal 1998 al Conservatorio di Sion.
Zoltán Tuska è nato a Budapest nel 1967 e ha studiato all’Accademia Liszt. Ha
proseguito gli studi con Lóránd Fenyves a Kanaa e con Tibor Varga e Sándor Végh.
Dal 1993 al 1998 è stato violino di spalla dei Budapester Kammersinfoniker.
Ha inoltre collaborato con orchestre quali Orchestra del Festival di Budapest,
Orchestra della Radio Ungherese, Orchestra da camera Franz Liszt, Solistes
Européens Luxembourg e Salzburger Kammerphilharmonie. Dal 1981 è
primo violino del Danubius-Quartett.
Nato a Budapest nel 1953 Sándor Papp si è formato all’Accademia Liszt.
Premiato nel 1976 al Concorso internazionale per viola di Monaco di Baviera,
dal 1984 al 1996 ha fatto parte del Quartetto Eder. Prima viola del Teatro
dell’Opera di Budapest, dell’Orchestra della Radio Ungherese e dell’Orchestra
del Festival di Budapest, dal 1995 fa parte del Trio di Budapest. Viola solista
dell’ensemble Kanazawa in Giappone, è docente di viola e musica da camera
al Conservatorio Leó Weiner di Budapest.
Miklós Perényi, nato a Budapest, ha studiato all’Accademia Liszt e
all’Accademia di Santa Cecilia di Roma con Ede Banda e Enrico Mainardi.
Nel 1963 è stato premiato al Concorso Casals; in seguito ha preso parte alle
master class di Pablo Casals fino al 1970. Docente all’Accademia Liszt, svolge
un’intensa attività solistica in Europa, negli Stati Uniti e in Giappone. È ospite frequente di festival di primo piano e collabora con musicisti quali Zoltán
Kocsis e Deszö Ránki. Si dedica inoltre alla composizione.
Il Quartetto Mikrokosmos è per la prima volta ospite della nostra Società.
Prossimi concerti:
martedì 6 marzo 2007, ore 20.30
Sala Verdi del Conservatorio
Lise de la Salle pianoforte
La serie di debutti di gran classe alla nostra Società prosegue il prossimo
martedì con una giovanissima pianista, Lise de la Salle, già affermata nei più
rinomati centri musicali internazionali e a suo perfetto agio con il più classico dei
repertori. Lo dimostra la scelta del programma, che tocca alcuni dei cardini
estremi dell’intera letteratura pianistica, dal padre Bach, al grande innovatore
Mozart, saltando a pie’ pari l’Ottocento romantico per arrivare diritta ai classici,
anzi neo-classici del Novecento, il nostalgico Ravel, il febbrile Prokof’ev.
Programma (Discografia minima)
J.S. Bach
Fantasia cromatica e fuga in re minore
BWV 903
(Koopman, Erato 0630 16171-2)
W.A. Mozart
12 Variazioni sul tema “Ah, vous dirai-je,
maman” K 265
(Uchida, Ph 422 518-2)
M. Ravel
Sonatine
(Gieseking, EMI CZ 74793-2)
S. Prokof'ev
Sei scene dal balletto “Romeo e Gulietta”
op. 75
Toccata op. 11
(Argerich, DG 447 430-2)
martedì 20 marzo 2007, ore 20.30
Sala Verdi del Conservatorio
Quartetto di Tokyo
Haydn, Debussy, Beethoven
martedì 3 aprile 2007, ore 19.30
Basilica di San Marco
Internationale BachAkademie Stuttgart
Helmuth Rilling direttore
Carolina Ullrich, Anke Vondung, Mark Padmore,
Corby Welch, Klaus Häger, Rudolf Rosen solisti
Bach - Passione secondo Matteo BWV 244
IL CANTO DELLE MUSE
I concerti del 6 marzo e del 3 aprile 2007 saranno presentati nell’ambito del
Canto delle Muse, il ciclo di incontri con Emanuele Ferrari realizzati con il
sostegno di Banca Intesa.
Lunedì 5 marzo, ore 18.30, Sala Puccini del Conservatorio:
L’infanzia in musica (I): Mozart, 12 Variazioni su “Ah, vous dirai-je,
maman” K 265
Lezione-concerto sulle Variazioni K 265 di Mozart
Martedì 27 marzo e lunedì 2 aprile, ore 18.30, Sala Puccini del Conservatorio:
La liturgia del dolore: l’umano patire tra pietà e salvezza
con la partecipazione di Raffaele Mellace.
Proiezione di scene scelte della Passione secondo Matteo, lettura e spiegazione
dei testi, commento musicale nel contesto complessivo dell’opera.
Biglietti: € 5
Ingresso libero per i Soci, previo ritiro di un biglietto omaggio in biglietteria
presentando la tessera associativa.
“CAPOLAVORI DA SCOPRIRE. LA COLLEZIONE BORROMEO”
MUSEO POLDI PEZZOLI – VISITE GUIDATE PER I SOCI
Giovedì 8 e giovedì 29 marzo 2007 alle ore 16, il Museo Poldi Pezzoli offre ai
Soci della Società del Quartetto due visite guidate gratuite alle collezioni permanenti del museo e alla mostra “Capolavori da scoprire. La collezione
Borromeo” con ingresso al museo al costo ridotto di € 5.50.
I Soci, in un massimo di 25 persone, potranno prenotarsi per telefono
(02 795.393) e via e-mail ([email protected]), presso la segreteria
della Società.
QUARTETTO ITALIANO – UN DOCUMENTARIO DI NINO CRISCENTI
MERCOLEDÌ 21 MARZO 2007, ORE 18.30 E ORE 21 – SALA PUCCINI
DEL CONSERVATORIO
Nella serata del 21 marzo 2007 si terrà la presentazione del film realizzato da
Nino Criscenti sulla storia del Quartetto Italiano. Grazie alla collaborazione del
Conservatorio, sarà possibile assistere in Sala Puccini sia alla proiezione
pomeridiana delle ore 18.30, sia a quella serale delle ore 21.
Al termine della proiezione delle ore 18.30, Enzo Beacco con Oreste Bossini e
Duilio Courir raccoglieranno testimonianze, ricordi, esperienze di quella straordinaria stagione artistica.
L’iniziativa è organizzata dalla nostra Società in collaborazione Milano Musica
e Musica d’Insieme.
Biglietti: € 2
Ingresso libero (previo ritiro di un biglietto omaggio in biglietteria) per i Soci
degli enti promotori e per gli allievi del Conservatorio.
BRERAMUSICA – PRIMAVERA 2007
4 CONCERTI NELLA SALA VIII DELLA PINACOTECA DI BRERA
Segnaliamo ai Soci un’interessante iniziativa organizzata dalla Società del
Quartetto in collaborazione con la Soprintendenza per il Patrimonio Storico
Artistico di Milano.
BreraMusica, quattro appuntamenti in marzo, il sabato pomeriggio alle 17
nella Sala VIII della Pinacoteca di Brera, per ammirare i capolavori della
pinacoteca milanese e ascoltare un concerto affidato a interpreti italiani.
10 marzo – Quartetto Petrassi
17 marzo – Flavio Cucchi, Filippo Burchietti, Gabriele Micheli chitarra,
violoncello e clavicembalo
24 marzo – Maria Cecilia Farina clavicembalo
31 marzo – Quartetto d’archi di Venezia
Ingresso alla Pinacoteca e al concerto: € 5
Per i Soci del Quartetto saranno riservati 20 posti per il concerto.
Per informazioni e prenotazioni rivolgersi alla segreteria della Società
(tel. 02 795.393; e-mail: [email protected]).
Società del Quartetto di Milano, via Durini 24 - 20122 Milano
tel. 02.795.393 – fax 02.7601.4281
www.quartettomilano.it – e-mail: [email protected]