12-21 aprile - Il patrimonio storico artistico

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12-21 aprile - Il patrimonio storico artistico
Comunità dell’Isolotto - Firenze, domenica 21 aprile 2013
Il patrimonio storico artistico come bene comune.
riflessioni di Paola e Mario
con il contributo di Tomaso Montanari
1. Letture e riflessioni dal Vangelo di Matteo (6, 19-21;25-34)
“Non accumulate ricchezze in questo mondo. Qui i tarli e la ruggine distruggono
ogni cosa e i ladri vengono e portano via. Accumulate piuttosto le vostre
ricchezze in cielo. Là, i tarli e la ruggine non le distruggono e i ladri non vanno a
rubare. Perché dove sono le tue ricchezze, là c’è anche il tuo cuore”.
“ Perciò io vi dico: non preoccupatevi troppo del mangiare e del bere che vi
servono per vivere, o dei vestiti che vi servono per coprirvi. Non è forse vero che
la vita è un dono ben più grande del cibo e che il corpo è un dono ben più grande
del vestito? Guardate gli uccelli che vivono in libertà: essi non seminano, non
mietono e non mettono il raccolto nei granai … eppure il Padre vostro che è in
cielo li nutre! Ebbene, voi non siete molto più importanti di loro?
E chi di voi a
forza di preoccupazioni, può fare in modo di vivere anche solo un giorno di più di
quel che Dio ha stabilito? Anche per i vestiti, perché vi preoccupate tanto?
Guardate come crescono i fiori nei campi: non lavorano, non si fanno vestiti …
eppure vi assicuro che nemmeno Salomone, con tutta la sua ricchezza, ha mai
avuto un vestito così bello! Ma se Dio veste così l’erba, che oggi è fresca nel
campo e domani è buttata nel fuco, a maggior ragione non darà un vestito a voi?
Gente di poca fede! “.
Poiché abbiamo pensato di dedicare la nostra odierna assemblea al fenomeno sempre più
diffuso oggi della mercificazione del patrimonio storico artistico che abbiamo ereditato dal
passato e del valore e della funzione di crescita culturale, intellettuale e spirituale per tutti i
cittadini che la nostra Costituzione repubblicana attribuisce a questo patrimonio, abbiamo
scelto questo brano dal Vangelo di Matteo che ci sembra contenga un monito molto forte a non
porre al centro della vita umana il raggiungimento della ricchezza e il possesso di beni materiali.
E’ bene ricordarsi che Matteo era un levita cioè un esattore, e in questa condizione lo ritrae
Caravaggio in uno stupendo quadro ( La vocazione di Matteo, Cappella Contarelli, San Luigi dei
Francesi a Roma) quando incontra Gesù: in una stanza buia mentre i suoi aiutanti sono intenti a
contare e a prendere i danari delle tasse buttati sul tavolo, Matteo distoglie gli occhi dal
denaro e viene illuminato da un raggio di luce proveniente dal lato della stanza dove è entrato
Gesù. Nella conversione di Matteo quindi c’è questo radicale cambiamento della sua vita:
l’abbandono della ricerca del denaro e della ricchezza come scopo principale della sua vita, e la
scelta di seguire Gesù e di mettersi al servizio degli altri. Per questo il messaggio contenuto in
questo discorso di Gesù, riportato nel suo Vangelo, risulta più autorevole e credibile.
Un altro messaggio importante di questo brano è il concetto , riaffermato qualche secolo dopo
in modo altrettanto forte da Francesco d’Assisi nel suo Cantico delle Creature, che la bellezza
non si compra ma si trova nel mondo ed è un dono per tutti: lo stesso Salomone con la sua
ricchezza e il suo potere non è in grado di avere vestiti della bellezza di quelli Dio dona
gratuitamente ai fiori e che tutti possono ammirare.
C’è
Un terzo messaggio è contenuto in questo brano: che lo scopo principale dell’uomo dovrebbe
essere la sua elevazione spirituale e non il perseguimento della ricchezza materiale.
Poiché oggi parleremo con Tomaso Montanari del significato dell’arte e della storia dell’arte
come conoscenza e come elevazione culturale e spirituale degli uomini, ci sembrava interessante
collegare questo brano di Matteo ad un pittore considerato uno degli iniziatori in pittura del
Rinascimento: Masaccio.
Forse non tutti sanno il motivo per cui questo rivoluzionario pittore si chiamasse Masaccio: egli
nacque il 21 dicembre 1401 a S. Giovanni Valdarno proprio nel giorno nel quale il calendario
liturgico della Chiesa celebrava, allora, la festa di S. Tommaso apostolo.
Per questo ebbe il nome di Tommaso. Questo suo nome verrà poi storpiato nel soprannome
Tommasaccio e quest’ultimo ancora abbreviato in Masaccio. Tutto questo non perché fosse
cattivo o prepotente, ma perché non curava il suo aspetto esteriore e perché dedicandosi
interamente alla pittura trascurava i suoi interessi materiali come ci riferisce Giorgio Vasari
ne Le Vite… ( la prima grande storia dell’arte e biografia degli artisti,1568):
«Fu persona astrattissima e molto a caso, come quello che, avendo fisso
tutto l'animo e la volontà alle cose dell'arte sola. Si curava poco di sé e
manco d'altrui. E perché e' non volle pensar già mai in maniera alcuna alle
cure o cose del mondo, e non che altro al vestire stesso, non costumando
riscuotere i danari da' suoi debitori, se non quando era in bisogno estremo,
per Tommaso che era il suo nome, fu da tutti detto Masaccio. Non già
perché e' fusse vizioso, essendo egli la bontà naturale, ma per la tanta
straccurataggine; con la quale niente di manco era egli tanto amorevole nel
fare altrui servizio e piacere, che più oltre non può bramarsi.»
Ma nonostante questa sua “straccurataggine” egli ci ha lasciato a Firenze lo straordinario e
rivoluzionario ciclo di affreschi realizzato nella Cappella Brancacci alla Chiesa del Carmine.
Questo tema della vita mortificata o compromessa dalla ricerca della ricchezza è antico, come
dimostra per esempio il mito del Re Mida oggetto spesso di rappresentazioni pittoriche di illustri
artisti. Ci sembra significativo il brano con cui Tomaso Montanari illustra e racconta ai bambini in una
rubrica del lunedì de “Il fatto Quotidiano” la favola del Re Mida rappresentata in un quadro del
celebre pittore Pousiin:
«C’era una volta un re. Si chiamava Mida, e regnava sulla Frigia. Un giorno, alcuni
contadini gli condussero un prigioniero. Era un vecchio, e si chiamava Sileno: l’avevano
catturato mentre, ubriaco fradicio, dormiva nei campi. Ma re Mida era un re buono e
festaiolo, e amava anche lui il vino. Così liberò Sileno, e anzi indisse una festa di dieci
giorni e dieci notti in cui il vino scorreva a fiumi. Poi riaccompagnò Sileno a casa: la
stessa casa dove abitava Bacco, il dio del vino. Il dio fu così felice di rivedere il
vecchio amico, che invitò Mida a scegliere un premio. Il re chiese: «Fai che tutto quello
che tocco col mio corpo si trasformi in oro». Fu esaudito, ma presto si accorse di non
poter mangiare né bere più nulla, perché tutto si trasformava in arido oro. Come si
meritava, Mida era ossessionato dall’oro: ed ebbe paura di morire di sete e di fame.
Allora il re tornò di corsa da Bacco, disperato e pentito.
Per fortuna, gli dei sanno talvolta essere miti, e Bacco disse a Mida: «Vai alle sorgenti
del fiume Pactolo, metti il capo sotto il fiotto dell’acqua e lava al tempo stesso il tuo
corpo e la tua colpa». Mida fece proprio così, e da allora si liberò e visse felice:
ancora oggi egli vive in campagna e tra i boschi, e odia l’oro e la ricchezza.
Anche i pittori raccontano le favole, e il più grande favoleggiatore di tutti i pittori, si
chiama Nicolas Poussin. Poussin aveva il dono di farci vedere i pensieri degli uomini che
dipingeva, e di farci vedere anche l’anima della natura in cui gli uomini vivono.
In questo quadro vediamo il re Mida in ginocchio, nudo, mentre si offre a questa specie
di battesimo, di rinascita alla natura. Poussin amava molto le statue degli antichi romani,
e proprio come loro rappresentava i fiumi in un modo strano e poetico: come dei signori
nudi e sdraiati che versano acqua da un vaso.
Sembra di sentire il rumore del vento tra gli alberi, il gorgoglìo delle fonti che sgorgano
dalle anfore del vecchio Pactolo sdraiato, e le chiacchiere dei putti birichini che lo
accompagnano. L’unico oro che vediamo sono le pagliuzze che l’acqua porta via, e
soprattutto l’oro leggero che piove dal cielo, nella luce del tramonto struggente che
bagna il tronco dell’albero e scalda il corpo e il cuore di Mida pentito.
La pittura dolce e gentile di Poussin ha un messaggio per noi: la comunione con la natura
ci libera dalla schiavitù dell’oro.
C’era una volta, la comunione con la natura. Dovrà tornare ad esserci, in futuro. Se lo
vogliamo, un futuro. »
2. Alcuni riferimenti essenziali in materia di tutela del Patrimonio culturale:
Per capire meglio il tema affrontato oggi con Tomaso Montanari vorremmo ricordare che già
molti secoli fa si è avuta l’dea dell’importanza del patrimonio artistico ereditato dal passato
in quanto memoria, ricordo e testimonianza delle generazioni che ci hanno preceduto e come
’elemento identitario da un punto di vista culturale che ci ha plasmato e ci plasma. La stessa
parola “monumento” entrata nel linguaggio comune per definire gli oggetti di particolare valore
storico e artistico deriva dal latino “memento”, cioè ciò che fa ricordare, ricordo e quindi
memoria, documento. Le opere d’arte oltre che per il loro contenuto estetico, cioè di
bellezza, proprio perché sono state il modo più efficace per narrare e parlare anche a chi non
conosceva la lingua scritta, costituiscono anche un importante elemento di documento delle
civiltà che ci hanno preceduto.
Proprio Tomaso Montanari in uno dei suoi bellissimi articoli con i quali illustra ai bambini alcuni
episodi della storia dell’arte, ha spiegato il concetto di monumento come “ una memoria che
si tocca” ( Cfr. Tomaso Montanari, In Chiesa soffia il vento (e il tempo) , in « Il Fatto Quotidiano», lunedì 26 novembre 2012).
Per questi motivi già dal Rinascimento si è sempre più sviluppata l’idea della salvaguardia e
conservazione del patrimonio artistico, dei monumenti e delle città che li ospitano, non solo
per il loro valore patrimoniale, o per l’attrattiva verso i visitatori stranieri, o perché fonte di
modelli illustri per il progresso dell’arte, ma anche e soprattutto in quanto elemento di civiltà
di un popolo.
Questo concetto viene chiaramente espresso per la prima volta in un decreto della
Convenzione francese (l’organo legislativo della fase della rivoluzione Francese più improntati
ai principii democratici dei Giacobini) emanato nel 1793 che rivolgendosi ai funzionari che
dovevano tutelare il patrimonio storico e artistico della nazione così giustificava l’azione di
tutela dello Stato: "Voi siete i depositari di un patrimonio del quale la grande famiglia ha il
diritto di domandarvi il rendiconto. I barbari e gli schiavi detestano le scienze e distruggono i
monumenti dell'arte, gli uomini liberi li amano e li conservano".
Questo concetto si è andato sempre più precisando nel corso dell’Ottocento e del Novecento.
In Inghilterra, John Ruskin, nella sua battaglia condotta alla metà dell’Ottocento con altri intellettuali
e artisti in difesa dei monumenti antichi, arrivava a giustificare la necessità della tutela dei monumenti
con il concetto importante che i contemporanei non sono mai proprietari, ma usufruttuari del patrimonio
del loro paese:
« [i monumenti] Non sono nostri. Essi appartengono in parte a coloro che li costruirono,
e in parte a tutte le generazioni degli uomini che dovranno venire dopo di noi »
(John Ruskin, Le sette lampade dell'Architettura, 1849, cap. VI, paragrafo XX).
Nei primi anni del Novecente nell’Impero Asburgico alcuni storici dell’arte come Aloisi Riegl (Linz
1858-Vienna 1905) e suoi allievi, contribuirono a dare un fondamento teorico più articolato all’azione
di tutela del patrimonio storico artistico da parte dello Stato attraverso per esempio una rivoluzionaria
definizione di monumento :
« Un monumento ... è ogni opera (sia mobile sia immobile) della mano dell'uomo dalla cui
realizzazione siano trascorsi almeno 60 anni ».
( Questa definizione coniata da Riegl e spiegata in un testo introduttivo alla legge intitolato Il culto moderno dei
monumenti, è inserita all’ art. 1 della legge di tutela dei monumenti redatta da Riegl ed emanata nel 1908
dall’Impero d’Austria e Ungheria).
Un allievo di Riegl, Max Dvořák , nel 1916 redasse un Catechismo per la tutela dei
monumenti, un importantissimo testo illustrativo delle modalità con cui l’azione statale di
tutela avrebbe dovuto fronteggiare gli effetti negativi della nuova società industriale sulle
città storiche europee, che metteva in guardia contro i pericoli maggiori che allora, e
potremmo dire ancora oggi, mettevano a rischio i monumenti : 1. Pericoli provenienti da
malintese idee di progresso e da presunte esigenze dell’età moderna. 2. Pericoli provenienti
dall’avidità e dall’inganno. 3. Pericoli che provengono dalla mania di abbellimento e di
rinnovamento fuori luogo e dal cattivo gusto.
(MAX DVOŘÁK,Catechismo per la tutela dei monumenti, [1916], in «Paragone»,arte, XXII 1971, n.257, pp.28-63).
Anche nel nostro paese le leggi di tutela dall’inizio del 900 ai nostri giorni hanno recepito
sempre meglio questi importanti principi: dalla prima legge di tutela dei monumenti storici e
artistici faticosamente varata nel 1902, alle importanti leggi del 1939-42, fino al vigente
Codice dei beni culturali e del paesaggio (decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42),
In particolare la nostra Costituzione repubblicana, unica al mondo, ha inserito l’attività di
tutela del patrimonio storico artistico fra i suoi principi fondamentali. L’art. 9 recita così:
«La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica.
Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione ».
La grande novità di questo articolo, e in particolare il suo significato più importante anche ai
fini del discorso che oggi cerchiamo di sviluppare, è così bene sintetizzata da Salvatore
Settis:
«Cultura, ricerca, tutela contribuiscono al “progresso spirituale della società”(art.4) e
allo sviluppo della personalità individuale (art.3), legandosi strettamente alla libertà di
pensiero (art.21) e di insegnamento ed esercizio delle arti(art. 33), all’autonomia delle
università, alla centralità della scuola pubblica statale, al diritto allo studio (art. 34).
Dando tanto risalto al paesaggio e al patrimonio artistico, la Costituzione è in sintonia
con grandi tendenze culturali del nostro tempo, secondo cui la tutela di questi beni e
valori non va intesa solo sotto la specie della “bellezza”, ma anche come strumento di
educazione all’etica pubblica».
(da S.Settis, Azione popolare. Cittadini per il bene comune, Torino, Einaudi, 2012, p.130).
3.
Tomaso Montanari: un modo nuovo di intendere il ruolo dello studioso d’arte nella
conoscenza e nella tutela del patrimonio storico artistico e un’intensa attività di
cittadino in difesa di questo bene comune attraverso il suo ultimo libro
Le pietre e il popolo. Restituire ai cittadini l’arte e la storia delle città
italiane,(Roma, Minimum fax, 2013).
Proprio in questi giorni le notizie riportate con risalto dalla stampa della nostra città che
parlano di una parte importante del centro storico di Firenze “affittato” ad un ricco principe
indiano per la festa di nozze del figlio, ripropongono con forza i temi della tutela del
patrimonio di storia e di arte delle nostre città come bene comune che sono alla base
dell’attività di studioso dell’arte e di cittadino espletata da tempo e con raro impegno da
Tomaso Montanari e che trova come ultimo atto il suo volume appena pubblicato.
Lo abbiamo invitato oggi a illustrarci questo suo feroce pamphlet col quale si tenta di dare una
risposta ad alcuni importanti interrogativi:
Il patrimonio storico artistico serve a produrre cultura e cittadinanza (secondo quanto
sancito nella Costituzione italiana) o denaro?
È un lusso o un diritto? È un bene comune o un bene di mercato?
Le città d’arte devono contribuire alla crescita della ”civitas” o dei “luna park” a pagamento?
Rimanere cittadini attivi o diventare clienti passivi?
Questa problematica è dibattuta da Montanari in numerosi articoli recenti, tuttavia vorremmo
fra questi materiali per l’assemblea di oggi riportare un altro testo della sua rubrica “lasciate
che i bambini” in cui si parla del dramma del centro storico dell’Aquila distrutto dal recente
terremoto, che aspetta ancora di essere restituito ai cittadini e per il quale lo stesso
Montanari ha organizzato un grande evento chiamando all’Aquila il 5 maggio gli storici dell’arte
e i rappresentanti delle associazioni che si occupano della tutela del patrimonio culturale, per
chiedere con forza l’inizio del restauro e del recupero della città.
Mamma, papà. Portatemi all’Aquila.
C’ERA UNA VOLTA UN RE . Anzi, il re. E ora non c’è più.
Perché? Perché, cari bambini, il re ora siamo noi: tutti noi, e anche voi siete dei piccoli
re,o delle piccole regine. Quando c’era, il re abitava in un grandissimo palazzo, che lo
separava da tutto. Quel palazzo faceva capire che lui era diverso da tutti gli altri.
Oggi, i nuovi re (che siamo tutti noi) abitano nelle città: siamo re, perché siamo
cittadini.
Le città ci fanno tutti eguali perché hanno dei luoghi (le piazze, per esempio) che ci
permettono di incontrarci alla pari: non come in un supermercato (dove siamo clienti), o
allo stadio (dove siamo spettatori, o tifosi). Nelle piazze delle nostre città siamo
cittadini.
E poi le città hanno dei palazzi e delle chiese che sono particolarmente belli, perché sono
di tutti: sono come i palazzi reali dei cittadini. E l’Italia è così bella perché le nostre
città sono state costruite dagli architetti, dagli scultori, dai pittori più bravi del mondo.
M O LT I di voi lo hanno già imparato: capiamo l’importanza delle persone e delle cose
quando non ci sono più. Allora, per capire quanto è importante la città, chiedete ai vostri
genitori di portarvi all’Aquila.
Anche se non è facile perché l’Aquila non c’è più.
Almeno altre due volte, nella sua lunga storia, l’Aquila è stata distrutta dal terremoto.
Ma è stata ricostruita. Dopo il terremoto di tre anni fa, invece, non lo si è fatto. Si è
preferito spostare i cittadini, e portarli in case di cemento tutte uguali: senza piazze,
senza chiese, senza quei palazzi di tutti che rendono città le città. Ci sono bambini di
tre anni che non sanno cos’è una città: e che non diventeranno re, perché non
cresceranno come cittadini.
E L’AQ U I L A? L’Aquila è ancora tutta rotta. Ma è ancora bellissima, anche se è
rotta. Anche se nevica sugli angeli dorati del Duomo senza tetto. Anche se ogni tanto si
butta giù un palazzo ferito, invece di ricostruirlo. Nessuno spiega perché, nessuno spiega
cosa succederà domani: non ci sono più cittadini a cui dirlo, non ci sono più cittadini che
possano decidere.
Nel Duomo, dentro un cassetto, c’è un quadro di un pittore con un nome strano, Teofilo
Patini. Quel quadro è tutto ridotto a pezzettini quasi neri. Nessuno sa se quel quadro
tornerà intero, né se ritroverà l’altare su cui si trovava. Ma chi ha raccolto e messo in
ordine quei brandelli di storia crede che in quel cassetto ci sia il nostro futuro,non il
nostro passato.
Se volete diventare dei bravi re, avete bisogno delle nostre città. A cominciare
dall’Aquila.
( Tomaso Montanari, in “lasciate che i bambini”, «Il fatto quotidiano» lunedì 10 dicembre 2012)
Per una sintetica biografia di Tommaso Montanari siamo ricorsi a quella riportata da lui stesso nel
suo blog:
Sono nato nel 1971 a Firenze, dove vivo. Studio il Barocco romano e insegno Storia dell'Arte Moderna
all'Università ‘Federico II’ di Napoli.
Sono convinto che gli storici dell’arte servano a fare entrare le opere d'arte nella vita intellettuale ed
emotiva di chi si occupa di tutt'altro.
Penso anche che l’amore per la storia dell’arte non debba essere un fatto privato (o peggio un’evasione,
o un modo per non pensare), ma pubblico e ‘politico’. L’articolo 9 della Costituzione ha, infatti, mutato
irreversibilmente il ruolo del patrimonio storico e artistico italiano, facendone un segno visibile della
sovranità dei cittadini, dell’unità nazionale, e dell’eguaglianza costituzionale, perché ciascuno di noi
(povero o ricco, uomo o donna, cattolico o musulmano, colto o incolto) ne è egualmente proprietario.
Ma tutto questo è assai difficile da capire, perché oggi la storia dell’arte non è più un sapere critico, ma
un’industria dell’intrattenimento ‘culturale’ (e dunque fattore di alienazione, di regressione intellettuale
e di programmatico ottundimento del senso critico). Strumentalizzata dal potere politico e religioso,
banalizzata dai media e sfruttata dall’università, la storia dell’arte è ormai una escort di lusso della vita
culturale.
È per questo che oggi non basta fare ricerca e insegnare, ed è per questo che ho scritto “A cosa serve
Michelangelo?” (Einaudi 2011) e collaboro col “Fatto”, con “Saturno” e col “Corriere della Sera” nelle
edizioni di Firenze e di Napoli.
4. Patrimonio artistico: bene collettivo vs privatizzazione. Alcuni riferimenti
bibliografici e strumenti per eventuali approfondimenti.
Oltre alle opere citate di Tomaso Montanari al suo blog (www.ilfattoquotidiano.it/blog/tmontanari/
segnalano anche questi testi.
) si
A.CEDERNA, I vandali in casa. Cinquant’anni dopo, a cura di F. Erbani, Roma bari, Laterza, 2006: S.
SETTIS, Italia S.p.a.: l’assalto al patrimonio culturale, Torino, Einaudi, 2002, IDEM, Paesaggio
Costituzione cemento. La battaglia per l’ambiente contro il degrado civile, Totino, Einaudi, 2010; IDEM,
Azione popolare . Cittadini per il bene comune, Torino, Einaudi, 2012; G.A. STELLA-S.RIZZO, Vandali.
L’assalto alle bellezze d’Italia, Milano, Rizzoli, 2011.
Inoltre sono attivi molti siti che si occupano di queste problematiche segnaliamo per tutti quello
attivato a Pisa: patrimonio sos: in difesa dei beni culturali e ambientali, www.patrimoniosos.it .