concia uva ille e brutta

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concia uva ille e brutta
ITALIANO
22410
Arrivata qui
23 DICEMBRE
da inizio traduzioni
INDICE RUZZANTE
FRANCA 1
PRESENTAZIONE
Prima di cominciare vi voglio leggere un messaggio ascoltatelo con
attenzione:
FRANCA 2
ARTICOLO SU RUZZANTE
TRADIRE PER
TRADURRE RUZZANTE
di Dario Fo
2 BIS Altra presentazione
Il linguaggio
LINGUAGGIO
Ruzzante usa una lingua che pur rifacendosi al pavano dilcontado è in
verità completamente reinventata.
Franca 3
ANTIPROLO PLAUTO RUDENS
LA PIOVANA
658 “Or è témpo
FRANCA 4
2812 ALTRO PROLOGO CON PRESENTAZIONE CARDINAL
CORNARO
FRANCA 4 bis L'ORAZIONE AL CARDINAL MARCO
CORNARO
FRANCA 5
90
Inutile sottolineare che questo cardinale-arcivescovo aveva un senso
enorme del diritto alla libertà di parola, anche se questo metteva a
disagio, provocava, aveva una tolleranza straordinaria
Franca 6 presentazione
2473 GALILEO GALILEI
Abbiamo accennato come dopo la morte di Ruzzante (1542),
FRANCA 6 bis
BRANO GALILEO
2473 GALILEO GALILEI
Dialetto galileo GALILEO
FRANCA 7
La diaspora dei comici.
Franca 8
“IL CONGEDO”, DALLA BETIA
Franca-TAMÌA: (direttamente al pubblico) Un àtemo per plagér.
Perdonéme, avànte de lassàrve, ve vorerèsse far un coménto de
conzédo: me
FRANCA 9
1551
PROLOGO A “LA VITA”
FRANCA 9 bis
BRANO
876
De quando che Adamo e nostra madre Eva, biastemàda 'me putàna,
fùron dal Paradjs cazzàdi fòra, per la rasón che évano magnàdo 'sta
malarbèta póma... Malerbèta, fructo che ziùsto la se dée dar da
magnàre sojaménte ai puòrzi, 'ste póme grame!
FRANCA 10
ALTRA STESURA
"LA VITA"
presentazione
Il grande studioso di Ruzzante, quello che ha fatto poi pubblicare tutte
le opere intiere, soprattutto le farse, i mariazzi ha inserito, molto
intelligentemente una lettera, che poi è diventata famosa, quella
all'Alvarotto. È il Beolco che scrive ad Alvarotto, che è il suo
compagno di lavoro più importante, anche
Franca 11.
ALTRA PRESENTAZIONE
Un bel giorno, Ruzzante scrive una lettera all'attore che interpreta il
ruolo di Menato. Ma la lettera è solo un pretesto per realizzare
LA VITA 12
1260 LA VITA
ALTRA STESURA
Tuto l’è comenzò in del giorno de quando che Adamo e nostra madre
Eva, biastemàda 'me putàna, fùrno dal Paradjs cazzàdi fòra,
FRANCA 13
CONTROLLARE SE PRESENTAZ. FILA CON BRANO
DIALETTO
974 e tamia, nale
LA MOSCHETA
ANTIPROLOGO:
FRANCA: Adesso, parliamo un po' delle donne e della loro
condizione all'inizio del '500 a Padova e a Venezia.
FRANCA 14
Mariazzo
A questo punto s'innesta la tragedia. Succede nel mariàzzo...
FRANCA 15
INIZIO TRAGEDIA
In scena Zìlio, Nale, Betìa.
ZILIO: O t'hài fornìt de tràrme bèco puòrco traitóre!
FRANCA 16
(Esce Taçìo. Entra Tamìa.)
LAMENTO DELLA TAMIA
PER IL MARITO CHE CREDE MORTO TAMÌA: Morto? Esto
morto
bèlo amor de mi
Franca 17
Agitando un turìbolo, avvolto nel lenzuolo in cima ad un gradone
appare Nale, il marito. Il lenzuolo è lo stesso con cui era stato
ricoperto come creduto ammazzato. Tono lugubre d'oltretomba.
NALE:
Lassa el laménto
che oremàj mi son conténto
FRANCA 18
Entra in scena Meneghèllo, l'innamorato di TAMIA.
MENEGHELLO, ora che Nale è tolto di mezzo offre a Tamia di
diventare suo marito).
FRANCA 19
NALE esce di scena. Entra Tamìa che si lamenta a sua volta.
TAMIA: Marìo? El bisogna ben che te mé stia a pregare?
Te vòi donare l'ànema,
FRANCA 16
NALE esce di scena. Entra Tamia che si lamenta a sua volta.
FRANCA
TAMIA: O tristo ti Tamia desgrasià
FRANCA 20 NON STO SCOPRENDO CHE DICE ‘STO CAZZO
DI NALE
TAMIA esce e rientra di lì a poco con ZILIO e la BETIA. Poco più
indietro s'intravede MENEGHELLO.
Nale:
Te vorsévi rimaridàre, fia de putta!
Tamìa:
No’ è vera! Si vui fusse davéa morto,
FRANCA 21 Partiti i quattro MENEGHELLO, che è restato nascosto
a spiare, entra in scena e commenta esterefatto.
MENEG.: Pòta, ma còssa che sta'l capetàndo?
Prima Nale el sta muòrto,
22 FRANCA:
Ma tornando alla Betìa della Moscheta, vi stavo dicendo che non solo
questa donna s'è tirata appresso nel suo trasloco in città il marito, ma
pure Menato, compare di Ruzzante, che è stato suo amante qualche
tempo addietro, di cui lei ora non ne vuole più sapere.
La Betìa, fémena de l'asasìn,
FRACA 23
ATTRICE: BETIA sta sull'uscio di casa con un cesto in mano e
chiama le galline. Le si fa incontro MENATO.
Franca 24
Franca: Passiamo ora al secondo corteggiamento che è quello del
soldato bergamasco. Ancora vediamo la BETIA col suo cesto che sta
aprendo l'uscio: all'improvviso, si trova davanti il soldato TONIN (che
parla lombardesco) Spaventata, arretra.
FRANCA 25
Altra scena: MENATO incontra RUZZANTE, vengono a discorrere
della fedeltà delle donne. MENATO provoca RUZZANTE a
verificare la fedeltà di BETIA. E come? Basterà che RUZZANTE, si
travesta da studente forestiero indossando un abito alla spagnola che
MENATO gli procurerà... poi RUZZANTE, travestito, proverà a
corteggiare la moglie.
FRANCA 26
PENSIERI E DIALOGHI DI INNAMORATI
DEVO SCOPRIRE
COSA MANCA….
CREDO MANCHINO
LEGAMI ITALIANO
DEVO METTERLI
17204
RUZZANTE UOMO
DI TEATRO
di Dario Fo
A cura di Franca Rame
TRADUZIONI
FRANCA 1
ANTIPROLOGO
DARIO
PRESENTAZIONE
Prima di cominciare vi voglio leggere un
messaggio ascoltatelo con attenzione:
FRANCA 2
ALTRO PROLOGO
TRADIRE PER TRADURRE
2 BIS Altra presentazione
Il linguaggio
LINGUAGGIO
Ruzzante usa una lingua
che pur rifacendosi al
Franca 3
ANTIPROLO PLAUTO RUDENS
LA PIOVANA
TRADUZIONE piovana
Franca 3
658"Ora è tempo che si cominci con 'sto
prologo. Tutti tacciano... che sentirete delle
novelle belle e nuove... e, se avrete pazienza
e ingegno... avrete anche divertimento.
Vengo ad avvisarvi che 'sta nuova storia è
nata da poco. E' anche vero che ascolterete
un teatro tagliato e tornito in un
legnamivecchio. Ma non è tanto il vecchio
o il nuovo che conta. Da quel vecchio
albero noialtri siamo pur nati. E come
potremmo conoscere (sapere), infine, dove
vogliamo arrivare se non sappiamo da dove
siamo venuti?
E poi non c'è quel proverbio antico che
dice: "Triste sia quella comunità che non
rispetta un vecchio"?
Purché, s'intende, quel vecchio non ti
venga a ricordare in ogni momento che lui
è saggio, che ha grande esperienza, che
solamente la sua idea è giusta e buona, tu
sei giovane strambo e di sicuro sbaglierai,
così che all'istante sbotti: "Vecchio! Ma
vai a cagare!". Se poi qualcuno, mentre
stiamo recitando, si alzerà in piedi dicendo:
"Io l'ho gia sentito quel discorso quel
rispetto-dialogo o anche la storia…" non
mettetevi a gridare: "Stai buono, silenzio!
Stai seduto! Buttate fuori 'sto ubriaco!".
No, ha ragione lui… non ha detto una cosa
stramba: non si puo più far del nuovo o
favellare all'improvviso che non sia stato
già fatto, scritto, attuato... e così ti gridano:
"Ohi furbastro, una vecchia idea ce la servi
impanata?".
Diceva un granda filosofo, con sicurezza
assoluta, che noi siamo al mondo adesso,
ma ci siamo gia stati anche mille e mille
anni in dietro. Io ero io, e voi eravate voi...
quelli, erano gli altri... e gli altri erano
quelli... e, passati che saranno altri mille
anni, quando sarà stato fatto tutto un giro,
non so quale granda ruota, torneremo a
essere qui ancora: io qui in piedi davanti a
voi, voi la seduti a fare il pubblico
spettatore.
Io, a favellarvi da attore, voi ad
ascoltarmi... gioiosi o tristi... che dipende
(da quel che dico).
Io, che ero stato io, saro ancora io, e voi
che eravate stati voi, sarete ancora voi, e
queste parole che mille anni fa erano
parole, saranno ancora le stesse parole e ci
saranno, come mille anni fa, quegli
spettatori che ascoltano e scoprono
(capiscono)... e ridono o piangono... Quelli
che piangono perché non capiscono e
quelli che neanche morti, vogliono capire.
(Uscendo dal personaggio) C'erano già
allora gli abbonati!
(Riprende) E ci saranno anche quelli a cui
sembrerà di averle già ascoltate 'ste
parole... come ora capita a voi!
Qualcuno può pensare che la scrittura di
questa commedia sia stata rubata o peggio
manomessa-acconciata. Ma, immaginiamo
che uno ritrovasse un vecchio cofano
(baule) e ci scoprisse dentro un vestito... un
abito di quelli che usavano portare nel
tempo antico, di taglio e foggia dismessa. E
dato che scopre che questo panno, questo
tessuto è ancora buono, sano e prezioso,
immaginiamo, che facesse tagliare in
questo panno corsetti, vesti, giubbe e
gonnelle… per vivi… alla maniera (moda)
nostra e la foggia antica la lasciassimo per
i morti.
Sarebbe rubare questo? E sarebbe
smanomettere da villani e imbrogliare?
No, in verita!
Bene, così è avvenuto, è capitato, per
questa nostra novella, storia teatrata
(teatralizzata), che era stata creata per i
vecchi antichi, morti... che non ci sono
piu... e scritta con parole non più usate, che
non son buone per voi che siete vivi.
Così, io, che sono maestro di questa
commedia... e sto in questo mondo, ho
lasciato le loro parole ai morti... e a quegli
spettatori che credono di essere vivi
solamente perché nessuno ha avuto il
coraggio di avvisarli che sono morti da un
pezzo... e quello stesso discorso che volevo
fare... quelle parole da morti le ho
acconciate per voi… per i vivi, e non gli ho
tolto nessun pensiero (concetto)... nulla ho
tolto… se non l'oscuro.637
FRANCA 4
2812 ALTRO PROLOGO CON
PRESENTAZIONE CARDINAL
CORNARO
Ruzzante è il più grande uomo di teatro
TRADUZIONE CORNARO
2723 Traduzione
Ruzzante: Mi scappello davanti a questo
aristocratico pubblico...
Mi è permesso di parlarvi?
Siete preparati ad ascoltarmi? Vado? Bene:
Signor Reverendissimo Messere Vescovo e
Scardinale Cornaro, sono venuto qui,
proprio in questa villa, a tenervi questo
discorso e non a Padova in città... e voi,
sapete perché? Perché così come gli
scapoli… quelli senza moglie scapoli si
chiamano… cercano di far becchi i
maritati, così i cittadini vengono a farsi
gioco di noi contadini poveracci, ci
sbertucciano appena parliamo.
E' perciò che fuggiamo da loro come i
passeri quando scorgono arrivargli addosso
un falchetto!
Io sono venuto qui perché mi hanno
mandato a dire le loro ragioni tutta la gente
del territorio padano, contadini che mi
hanno scelto come buon parlatore e gran
prologatore (colui che tiene il prologo).
Dunque, dicevo... vengo a dirvi... adesso
non mi ricordo... ah sì... voglio dare alla
Vostra eccellenza, un consiglio che quei
illetterati (ignoranti) dottori di Padova non
vi hanno saputo dare. Loro, questi
dottoroni, sanno solamente dire che voi siete
Cardinale e poi vi spiegano che CardinaleScardinale viene da cardine-scardine... che
poi non è altro, questo Scardinale, che il
marchingegno di ferro che tiene su le porte
del Paradiso e le fa girare. Difatti le porte
girano su cosa? Sui cardini... cardini, che
noi chiamiamo "cancri". Cancro vi
chiamano! "L'illustrissimo cancro!".
Sapete cosa vuol dire Cardinale nel nostro
linguaggio pavano?
Ora ve lo dico!
Scardinale è un principe, un grande signore
ricco, che in questo mondo si dà un gran
piacere e, quando muore... perché tutti
moriamo... anche se voi non avete fatto del
gran bene, voi andate lo stesso dritto come
un fuso in Paradiso.
E se la porta è chiusa con le spranghe, voi
la scardinate!
Scardinate la porta, i cancri e le chiavarde.
Entrate per ogni via e per ogni buco!
Straripando! "Ohi! Si salvi chi può! Attenti
al turbine! Arriva lo Scardinale!". Si leva
come un vento tremendo di tempesta...
Scappano gli angeli... San Pietro si butta in
ginocchio: "Dio abbi pietà!". Crolla il
portone. "Passa lo Scardinatore!"
E' arrivato beato in Paradiso!
Questo vuol dire Scardinale!
Voi siete nostro pastore e pecoraio e le
governate pur bene le vostre bestie, capre e
pecore... che poi siamo noi contadini del
padovano... le mungete bene queste pecore...
le rasate bene, gli tosate la lana, ma per
nostro vantaggio e conforto, e ci fate pelare
per farci provare il fresco, specialmente
nell'estate!
Voi siete nostro Scardinale e Papa e avete la
libertà di fare e disfare come vi pare.
E' per questa ragione che mi hanno
mandato a domandarvi (chiedervi) che voi
facciate delle leggi diverse e statuti nuovi.
La prima nuova legge che vi si domanda, è
che si cancelli la regola che obbliga noi
contadini-villani di digiunare in certi giorni.
Perché, Signor Cardinale, voi sicuramente
ne converrete con me, che quello di non far
mangiare proprio a noi contadini, che
tiriamo già (la cinghia) le codighe (le
budella), anche in quaresima e altri giorni
della pena del Signore Cristo, ci pare sia
una gran follia.
Già abbiamo tribolazioni di non trovare
pane e zuppa nei giorni normali... abbiamo
le carestie, che ci fanno digiunare, poi i
soldati che ci arrivano a rubarci il pasto
dalla bocca, poi la peste che prende gli
armenti, e la gramegna che (straccia)
distrugge i campi... poi sopra a tutti, gli
usurai strozzini.
Se c'è carestia questi malnati usurai
strozzini, non vogliono vendere né
distribuire la biada. Loro pensano solo al
guadagno che va a montare.
Io credo che siano più bramosi loro del
sangue dei poveretti che non i pidocchi e le
zecche, del sangue dei cani!
Vi prego, signore Messere lo Cardinale, voi
dovreste riunirli tutti 'sti usurai in una
cattedrale. E poi benedirli e farli tutti
santi... come gli Apostoli e poi imporre loro
che vadano camminando sull'acqua... così
finalmente vanno sotto e annegano tutti
quanti!
Allora dicevo... voi Illustrissimo Cardinale
fate una legge che dice: "I signori, i prelati,
i dottori, le monache e i soldati... devono
digiunare tutti i giorni che il precetto
l'ordina... salvo i villani e le femmine loro!".
Anzi, in quei giorni che i cittadini dabbene
non mangiano, tutto quello che avanzano lo
devono passare a noialtri... che nella
quaresima si faccia finalmente un pasto
continuo da scoppiare!
Ma io capisco bene che 'sta legge non
piacerà a quelli che il digiuno lo fanno
quattro volte al giorno... nell'intervallo che
c'è fra un pasto e l'altro.
Non è che non abbiamo, noi contadini,
volontà di obbedire digiunando. Io, per
esempio, vado pensando che si potrebbe
risolvere di mangiar poco... tutto l'anno: si
potrebbero mangiare delle sorbe, le sorbe
che voi lo sapete stringono le budella, tanto
che non ci passerebbe che una scoreggia...
ma con un lamento così disperato... che ti si
strugge il cuore! Ahaaaaa!
Così che, appresso, sarebbe sufficiente
ingoiare una scodella piccola di semolino,
che ti senti subito sazio da vomitare!
Ma il miglior espediente di sicuro è quello
di mangiarsi un trogolo di biada e crusca,
come quei pastoni che si danno ai porci, poi
si prende una rapa grossa e la si ficca su a
turacciolo per il buco che sta sotto tra le
natiche... Un turacciolo che tappa il gran
tino . Così tutte le biade e le stoppie dentro
le budella... non possono uscire , e le trippe
resterebbero sempre ripiene, seppur di
merda, e non ci verrebbe più tanta fame!
L'unico fastidio sarebbero quei rutti che si
possono immaginare di liberazione. E poi il
fiato! Che quando conversi, le parole ti
escono tutte di un sapore (odore) che pare il
fiato di quando parlano i letterati
dell'Università.
La seconda legge da cancellare, Messere il
Cardinale, di cui vi facciamo proposta,
sarebbe quella che ci ordina una
costumanza nel vestire. Che adesso è legge
che tutti ci tocca andare intorno con le
braghe, la camicia... e le femmine con le
gonne, camicie e pettorine anche quando c'è
un sole con i raggi che scottano da arrostire
nei campi.
Non sarebbe meglio, Illustrissimo Messere,
di vestirsi al naturale... come dire che si
andasse in giro tutti come siamo nati? Sì,
nudi, senza coprirsi le vergogne.
Ma cos'è 'sta vergogna poi?
Vergogna di mostrare queste membra
splendide che ci fanno procreare e nascere
al mondo?
Non credete voi che non sia una meraviglia
rimirare una donna nuda, senza tutti questi
corpetti, gonnelle e controgonnelle?
La femmina nuda che si muove e ride è un
dono grande del Dio creatore... e danza,
salta sui piedi nudi... lunghi... e muove le
gambe a danza con 'sti polpacci torniti... e
muove 'ste cosce… ‘ste cosciotte bianche:
due colonne liscie di marmo che si tengono
caricate sopra due natiche tonde-stagne che
fan balanza (bilancia - dondolano) nella
danza.
O belle da pizzicare, che come le vedi non ti
puoi trattenere dal darle una sculacciata
(manata) d'amore a mano aperta. Stciach!
E quel orticello... quel giardino dolce e
ombroso che sta davanti tra le cosce... che a
pensarci mi si disperde il cuore... Quel
posticino che anche voi, con tutto che siete
prete, quando siete nato e venuto al mondo,
l'avete baciato...
E poi quelle tette tonde, perfette, lavorate
come al tornio... due brocche di latte.
E appresso le anche che fanno altalena con
la scodella della pancia e dell’ombelico.
E adesso guarda le braccia, anche loro
tornite, che fanno cerchi e ghirigori
nell'aria... Il collo tondo con sopra un viso
più bianco e rosato, bocca da baciare senza
prendere fiato, e finisci in quegli occhi che
mandano raggi del sole...
Cristo di Loreto, sono pur belli questi occhi!
Potrebbero trapassare le mura di Padova!
Orbettina!, quando Noè caricò tutte le bestie
sull'arca erano tutte nude queste bestie, non
avevano corpetti e non facevano peccato.
E perché allora, perché non dovrebbero
passeggiare nude anche le femmine che, io
credo, sono migliori degli animali dell'Arca.
Se vuoi proprio coprirle un poco, che
proprio non ne puoi fare a meno, mettile in
testa un bel cappellino.
La terza nuova legge dice che si deve farsi
ragione dell'amore.
Amore, ah!
Se non ci fosse amore: vacche, pecore,
scrofe, cavalle del riverso mondo, non
farebbero mai frutto.
Il naturale è l'amore fra uomini e
femmine... è la più bella cosa che ci sia al
mondo.
Quarta legge: dar ordine ai poeti e ai
sletterati (letterati) di non far più ballate
dove chiamano "giovane pastore" un
pecoraro... e la pecorara la chiamano
"pastorella"... o "dolce pastora"... Il vecchio
boaro lo chiamano "saggio vegliardo"... o
cancro!
E poi, come conversano fra loro questi
pecorar-bovari? Da letterati! Stanno a
pascolare pecore che cagano in ogni
cantone (angolo)... appestano tutta l'aria di
puzza e tanfo, ma loro tengono un ventaglio
in mano... fanno reverenza. E fanno
cerimognali 'sti pecorai vestiti di seta e di
velluto... le pastorelle col farsetto
damascato... sottane tutte ricamate come
fossero figlie del duca di Ferrara, e intanto
mungono vacche, inforcano strame e dicono
tutto in rima... baciata.
Non hanno mai problema di fame, di pane e
neanche di faticare, di andar di corpo o di
pisciare...
Poi, non ti venga in mente di far l'amore...
Succede una volta, ma per accidente (caso):
una ragazza si dondola su un' altalena,
ugualmente si dondola di contro, su
un'altra, un ragazzo-bel-garzone. Il vento
maligno alza le sottane della ragazza. Per
uno strappo, con un ramo al giovane si
stracciano le braghe. Il vento svirgola
l'altalena. Uno di qua, l'altra di là: sciaff! Si
scontrano nel bel mezzo e restano
inchiavardati! Oh che piacere! Lei, resta
gravida e lui tutto sderenato! Oh che
peccato! Ma nessuno se ne accorge... come
se niente fosse capitato!
E uno, non resta innamorato perché è preso
dagli occhi dell'altro o dell'altra, dalle sue
parole e della sua voce che canta, no! E' per
un incidente, che restano punti da frecce nel
costato.
Frecce d'Amore!
Sì, è lui il dio d'Amore che arriva tutto
nudo... con le alette sulle spalle, che si porta
dietro l'arco e le frecce... E non ci vede. Ha
gli occhi bendati! E non sta a domandare:
"Dimmi ora bel giovine, ti piacerebbe che
questa ragazza si pigliasse una frecciata tra
le tette da restare innamorata folle di te?".
No, lui non domanda... Inforca la freccia e
tira... Proprio come un orbo: infilza cavalli,
pecore, porci, femmine brutte, ragazze di
gran beltà, un principe invaghito di una
cavalla, regine innamorate di un figlio di un
cane... chi prende, prende... non ascolta
ragioni... e non rompete i coglioni!
No, l'amore, quello naturale che fa infiorire
di colpo tutto l'universo... non ha né frecce
né fionde. Arriva col vento... s'inficca
dappertutto per fare vivere noi, fin dentro la
terra. E si inficca nel profondo per farla
innamorare 'sta terra, per nutrire le biade, il
frumento, le rape... e dentro al mare e fa
innamorare pesci che saltano in branco
come fontane.
Moriremmo senza questo amore! Amore ah!
Ma guardate se non è uomo dabbene 'sto
nostro amore... e se non ci vuole bene e se
non è carico di discrezione... E non lo sanno
tutti che, se uno vuol fare un innesto a un
albero, se il germoglio e l'innesto non sono
innamorati, non attecchiscono mai... altro
che frecce scagliate dal dio orbato
(accecato) d'Amore!
E' l'amore (del) naturale che soffia fiato ...
nella notte piena di stelle e di luna. Amore
ah!
La quinta di queste nuove regole, è che ogni
prete, curato, frate o cappellano, possa
prendere moglie... non che lo possa, ma è
obbligato a ammogliarsi o altrimenti, che
debba essere castrato proprio come un
castrone.
E così andrà pure a ramengo questa
maledetta fragilità della carne!
Questo fuoco che prende uomini e femmine
del piacere di darsi molta contentezza e
attorcigliarsi abbracciati.
E 'sto fuoco prende anche i preti che,
sebbene coperti di religione, immersi
nell'incenso che sfumazza dai turiboli,
quando gli prende questo fremito della
carne, non sanno in che buco cacciarsi.
Perché, d'accordo che sono preti ma sono
anche uomini come siamo noi, e qualcuno è
più maschio di noi.
E per il fatto che non hanno femmine
sottomano quando lo spiffero amoroso si
infila dentro al suo aspersorio, appena si
imbatte in una delle nostre femmine... alla
prima botta benedetta di fatto le ha già
ingravidate. E noi poveretti facciamo le
spese dei suoi figlioli, ci tocca mantenerli,
crescerli, allevarli 'sti figli d'un curato!
Al contrario, se saranno castrati, noi non
avremo questa bega sulle spalle. E meglio se
avranno moglie... non saranno di continuo
coi coglioni infuocati... e in eterno il perno
in calore!... Che, 'ste loro mogli, li terranno
costantemente ben munti.
E se anche continueranno a ingravidare le
nostre femmine, noi allo stesso modo,
ingravideremo anche le loro.
E alla fine saremo alla pari... che d'accordo
che dovremo far le spese di allevare e
crescere i loro figliuoli... ma anche loro
dovranno crescere e mantenere i nostri... e
per giunta dovranno non soltanto nutrirgli
l'anima a 'sti figli, ma dovranno dar da
mangiare anche al corpo, se no quelli gli
mangiano il Vangelo, la Bibbia, le candele e
il sacrestano!
La sesta legge, è quella che eliminerà questo
cancro di sangue avvelenato che c'è tra noi
contadini del territorio contro i cittadini di
Padova... 'sto odio che fra di noi ci
mangeremmo il cuore!
Loro dicono di noi contadini: villani,
rosponi, spalamerda, caproni!
Noi gli rispondiamo: scagarelle, usurai,
strozzini, mangia sangue dei poveretti.
Culattoni! Orecchioni! E siamo più nemici
che non sono i turchi con i cristiani, che
quando ci si incontra ci scanneremmo con le
mani!
Bene, Messere lo Scardinale, noialtri
vorremmo che con nuova legge si
aggiustassero 'ste differenze... e faceste che
al contrario, fossimo la stessa cosa uguale!
Per venire al dunque, sono qui a
domandarvi che voi facciate 'sta legge: che
ogni uomo villano di campagna possa
prendere quattro mogli, e ogni femmina
contadina-villana possa prendersi quattro
mariti.
Così si arriverà di sicuro che i cittadini
maschi della città, a cui tirano (piacciono)
le nostre donne, 'sti golosi per poter avere
quattro femmine verranno a stare nel
territorio, a costo di faticare sulla terra. E
tutte le cittadine… che a loro piace… per
potersi prendere quattro uomini,
traslocheranno sui campi... e noi contadini
andremo al galoppo su 'ste giovenche
nuove!
In questa maniera, infine, saremo tutti una
stessa cosa, non ci sarà più invidia né
inimicizia... per il fatto che saremo tutti un
parentado. E tutte le donne saranno piene
gravide, e si adempirà infine la legge del
signor Jesus-Dio Cristo che dice: "Crescete
e moltiplicatevi!".
Così, di sicuro, non avremo giammai più
paura dei Turchi che ci impalano: sì, nel
culo! Che in pochi anni saremmo tanti che,
come arrivano i Turchi, si trovano con
cristiani dappertutto. Così che gli infileremo
noialtri, nelle loro natiche, la colonna di
San Marco intera, con tutto il leone, il suo
libro e le ali aperte... che fanno tanto male!
Adesso anche capita che una femmina con
un solo uomo, non riesca a riempirsi
(rimanere gravida), ma quando per legge
'sta femmina schizzinosa di seme, ne avrà
quattro di uomini e quattro vomeri d'aratro
che le rimuovono le zolle... voglio vedere se
alla fine non arriverà il miracolo della
fecondità.
Non si farà neanche nessun becco al
mondo... e nemmeno quel peccato… che non
dovrebbe essere peccato… di andare a
sbaciucchiarsi-stropicciarsi con le femmine
d'altri, ché tutti avranno un gran daffare in
casa loro.
Quante belle ragazze povere, in Padova, che
non hanno dote per potersi maritare, dentro
'sta ammucchiata troverebbero da infilarsi
bene.
E tutte 'ste ragazze che siccome non hanno
la dote vanno a chiudersi monache in
monasteri? Al fine sforneranno bambini
dappertutto! Non si vedranno intorno che
bambini, ragazzi, ragazze, figli e figliuole e
cielo!
Non potreste fare, se Dio m'aiuta, una legge
più bella e santa! Legge che farebbe gioire
tutto il mondo, legge che sarebbe civile e
teologica.
Provate a ripensarci.
Fatela questa bella legge, e vi assicuro,
Illustrissimo, che non ci sarà più portone
sprangato per voi in Paradiso! E anche se
andrete all'inferno, troverete tante di quelle
anime riconoscenti che vi applaudono da
assordare tutti i demoni! E sul trono vi
porteranno in trionfo sulla sedia più alta
dello Scardinale... lo Scardinale
dell'inferno!Amen!
FRANCA 5
90
Inutile sottolineare che questo cardinalearcivescovo aveva un senso enorme del
diritto alla libertà di parola, anche se questo
metteva a disagio, provocava, aveva una
tolleranza straordinaria. Oggi è
inimmaginabile che un arcivescovo dei
nostri tempi arrivi ad accettare un simile
discorso, farebbe sobbalzi. Quel arcivescovo
di Parigi che s'è permesso soltanto di parlare
della sessualità dei preti è stato cacciato in
Madagascar o giù di lì a meditare nelle
foreste. Impossibile! C'è stato un degrado
sul piano del senso della tolleranza,
dell'apertura mentale, della dialettica
enorme. C'è un abisso.
Franca 6 presentazione
2473 GALILEO GALILEI
Abbiamo accennato come dopo la morte di
Ruzzante (1542), la compagnia del Beolco
continuò ad agire per un altro mezzo secolo,
esibendosi con immutato successo per tutta
la Padania orientale. Fra gli appassionati
sostenitori di quel teatro troviamo molti
uomini importanti, fra i quali addirittura
l’allora giovanissimo Galileo Galilei. Il
grande fisico matematico era docente
all’Università di Padova. Il suo interesse per
quel genere di teatro davvero rivoluzionario
lo indusse ad imparare quel composito,
difficilissimo dialetto e ad esibirsi in
commedie del Ruzzante e addirittura a
proporre dialoghi originali scritti di proprio
pugno. Il giovane scienziato, che già
manifestava idee nuove a proposito del
sistema eliocentrico, espresso da Copernico
proprio nella facoltà di Ferrara, capì subito
del pericolo di manifestarle esplicitamente che cosa?- e pensò di trasporre le sue analisi
e i suoi presupposti in scritti di taglio
teatrale alla Ruzzante
Poco tempo fa ho incontrato in Svezia, a
Stoccolma, un importante fisico, matematico
docente all’attuale università di Bologna,
Vladimir Fava. Personalmente mi ero esibito
nel Real Teather (CONTROLLARE) della
città scandinava recitando brani dell’opera
ruzzantina. Dopo essersi complimentato per
la mia esibizione il professore mi chiese
d’acchito: «Lei conosce il testo scritto da
Galileo Galilei in pavano?» «Sì – risposi io
– ne ho sentito parlare ma non ho mai avuto
l’occasione di leggermelo per intiero.»
«Eccolo – mi rispose – e mi consegnò un
plico stampato – questo è il famoso dialogo
fra il contadino e il dottore scritto da
Galileo.» Andammo a cenare insieme. Il
professor Fava mi lesse il dialogo,
spiegandomi man mano le allusioni di certe
battute e le relative allegorie mascherate
nell’assurdo confronto fra il dottore e il
villano. Mi esercitai rileggendolo davanti ad
amici e colleghi, quindi decisi di metterlo in
scena. Il debutto avvenne a Napoli e per
quell’occasione avevo invitato a teatro un
gruppo di professori della facoltà di fisica e
matematica coi loro allievi. Man mano che
mi inoltravo nel gioco del rustico diverbio
tra la teoria copernicana e quella tolemaica,
docenti e studenti sembravano impazzire per
lo spasso. Il rozzo linguaggio pavano,
infarcito di terminologie scientificoastronomiche creava un’assurda mescolanza
soprattutto grazie alle immagini surrealcasarecce espresse dal villano a duro
contrasto con quelle astrali del sapiente.
Ad un certo punto del dialogo saltano fuori
delle assurdità: enormi polente che rotolano
nel cielo girando, gigantesche forme di
formaggio che, come ruzzole, turbinano nel
firmamento… ruzzole a base di formaggio,
frittate al posto degli astri e dei pianeti...
Il villano descrive con contorcimenti e sibili
il roteare dei corpi celesti, disegnando orbite
concentriche inesorabili e perfette nelle loro
dinamica geometria.
«E come succede? – lo provoca il Maestro di
scienza – Come accade che essi pianeti e
astri si trovino a disegnare cerchi invece che
lasciarsi proiettare all’infinito in una
immensa retta che si perde
nell’incommensurabile eterno?»
1) «E’ che ‘sti astri – risponde il villano – si
vogliono bene, si attirano per passione uno
con l’altro in un desiderio che si scambiano
come di una, due, dieci calamite. È l’amor
che muove il creato, solamente l’amor. Ma
Cristo, che amor! Roba da Dio!».
Terminato lo spettacolo naturalmente ci
siamo ritrovati, noi della compagnia, con i
docenti e i loro allievi. Uno di loro
osservava come in quel testo che aveva
appena ascoltato ci fossero già, se pur
accennate, delle intuizioni che verranno poi
sviluppate nel tempo in cui il Galilei si trova
a subire l’ostracismo del Santissimo Uffizio:
l'analisi scientifica dell’effetto dell’alta e
bassa marea, quindi lo studio dell'attrazione
magnetica degli astri e della centrificazione.
E tutto l’esposto, espresso con tanta ironia e
sarcasmo è rimasto miracolosamente
nascosto agli occhi del Santo Tribunale. Per
fortuna, l’umorismo e la satira sono scienze
sconosciute e disprezzate dai fanatici
persecutori.
Eccovi quindi il dialogo faceto tra il villano
che s’affida al buon senso paradossale e il
dottore che si rifa alle sacre leggi del canone
antico.
FRANCA 7
TRADUZIONE Galileo
1183 Traduzione Galileo
interno al brano di presentazione di Dario
1) «E’ che ‘sti astri – risponde il villano – si
vogliono bene, si attirano per passione uno
con l’altro in un desiderio che si scambiano
come di una, due, dieci calamite. È l’amor
che muove il creato, solamente l’amor. Ma
Cristo, che amor! Roba da Dio!».
2) Ah, ah, ah! Gli astri e pianeti stanno
incastonati dentro la grande volta di cristallo
come le campane di vetro per ricoprire i
santi? Nel pallone di vetro?!
3) Il sole? Questa fornace bruciante
(rovente) che scioglie il ferro, il bronzo e
anche l'acciaio è incastonata in una cappa di
vetro? Ma per 'sto gran calore tutto ‘sto
vetro andrebbe fuso e vedremmo precipitarci
addosso tocchi di vetro a bombarda come
da un vulcano scoppiato: bicchieri roventi,
tocchi di lampadario appena colato, una
tempesta di vetri brucianti! E sul terreno,
ohi, andremo tutti a balzi (saltellando) con i
piedi tagliati dai pezzi di vetro che ci sono
dappertutto.
4) Non stanno appesi! Ma vanno rotolando
per l'aria.
5) Sì, proprio!, compreso il nostro pianeta,
che io sono sicuro, la terra non sta fissa
inchiodata come dice Aristotile, ma va
zigzagando come una trottola in gran
cerchio... Avete in mente la "ruzzola"?
Esce dal personaggio e si rivolge
direttamente al pubblico
INSERTO A
Quella di forma di pecorino che con la corda
avvoltolata, poi si lancia a rotoloni? Bene, la
terra, proprio come un gran formaggio va
rotolando per il firmamento.
6) Sì, o se vuoi uguale a una frittata di
centomila milioni di uova... o una
"soppressata" gigante che va zigzagando per
il cielo. Dove il sole è una polenta
stragrande infuocato, che nel vorticare
(vortice) tremendo sbroffa fuori gnocchi di
polenta vanno sparpagliandosi per il cielo e
diventano stelle brucianti di luce del
firmamento!
RIVEDERE CON
TRADUZIONE
Arrivata qui
7) E Marte è una torta di castagnaccio e
Venere è una schiacciata di farina di ceci...
una cecinata farinata tenera.
8) Giusto! Ma quanto è larga una frittata
casareccia? Due spanne. E la terra? Calcola
da qua alla Francia e poi su fino alla
Bretagna e all'isola di Tule. E misura in giù
fino alla terra dei Turchi e spanna su spanna
fino alle Indie e il Mondo Nuovo appena
ritrovato (scoperto) e fino alle Afriche.
Quanti anni dovrai stare a slargarle 'ste
spanne per misurare quanto è largo, lungo,
'sto formaggio tremendo che è la terra? E poi
prova a moltiplicare i venti, trenta attimi di
sbatter ciglia con i milioni di milioni di
palme... e avrai mille di mille anni che 'sto
tremendo formaggio che è la terra le tocca
andare girando per il cielo firmamento. Poi
ancora aggiungici il braccio di chi l'ha fatto
girare. Che bisogna ricordarselo che non è
mica quello di un qualsiasi villano lanciator
di "ruzzola" ma è braccio di messer
altissimo il signor Dio Onnipotente... E puoi
immaginare che razza di "ruzzolata" sa dare
alla terra 'sto stracampione di "ruzzola" che
è il santissimo creatore! Lui, come nella
festa di san Pietro e Giovanni, ha fatto girare
a "ruzzola" svirgolata per il cielo frittate,
formaggi, farinate e torte di prosciutto così
che l'universo intero è stato solcato da 'ste
formaggiate rotolanti a l'impazzata e tutto
gira: frittate croccanti, frittate infiammate e
bollenti e poi brucianti infuocate come il
sole.
8) Sì, tutto si muove e gira. Niente e nessuno
sta fermo nel creato. E nell'universo ci sono
venti tremendi e correnti come nel mare. Il
sole gira per l'universo come una bombarda
di pece greca infuocata, lanciata nell'aria da
una catapulta a scoppio: BUAM! E nel
girare il vento attizza un gran fuoco in
sempiterno. E anche le stelle sono fuochi
lanciati per l'aria, rotolanti... che ogni tanto,
appena cala la forza della parabola...
specialmente nella notte del santo Lorenzo,
che hanno il vento contro... e correnti
dannate... basta!, gli cala la forza e
precipitano... e si spengono con una gran
coda di fuoco.
9) È per via del "tiramento" dell'alta e della
bassa marea.
10) Ma sì… come quando sulla terra, la luna
che si è fatta prossima al nostro gran
formaggio, tira in su l'acqua... tanto che il
mare si sgonfia e i germogli spuntano fuori
dal terreno a "rebatoni" (traforando)...
così nell'universo tutto si attira: la luna tira
la terra, il sole tira la luna e la terra e tutti i
pianeti si tirano l'un l'altro con tanto
desiderio e passione come per un
magnetismo tremendo che li costringe a
girare dentro le orbite, senza farsi sputar di
fuori.
Così si dice che un uomo e una donna
innamorati si tirano fra loro e una femmina
tira per il suo uomo e l'uomo gli tira sempre
per quasi tutte le femmine. Perché è più
generoso, lui! E dunque tutti, astri e pianeti e
le stelle vorticandosi di tiramenti
appassionati stanno sospesi che tutto il
disequilibrio (si romperebbe) in un grande
disastro "fracassoso" se non ci fosse questo
tiramento generale che è poi il magnifico
universale tiramento d'amore.
10) No, nessuno è incorreggibile salvo il
Padreterno. Puranche il nostro sole si
ritroverà un giorno col tiramento che si
spegne... o il magnetismo degli astri-pianeti
intorno a lui sparirà... e si ritroveranno venti
e correnti contro e... tremendo!, comincerà a
calare la forza della parabola... E ancora si
spegnerà il sole e la sua luce... Una coda
lunga e lucente come una meteora infuocata
si allungherà filante per il cielo e così nello
scuro scompare il sole. Basta! Fine della
commedia! Silenzio! Tutti a casa! Tutti a
dormire in sempiterno. Tutti a dormire e
buoni! E non rompete più i coglioni!
11) No, è il tuo di universo che è
da crepar dal ridere, eh dottore.
E’ il tuo di universo, con 'ste volte
di vetro di cristallo, col Padreterno
che sta là spiaccicato col dorso
incollato alla volta del firmamento,
con in testa inchiodato il triangolo.
È che a voi altri dottori vi fa
spavento l'idea di un universo
troppo grande... voi preferite che
sia perfetto e calcolabile… e
limitato... con un Dio-Padreterno
proporzionato a 'ste misure...
impastato dentro a uno spazio
ristretto... calcolabile e tutto in
ordine perfetto!
No, mi dispiace dottori, l'universo non è
ristretto e non è calcolabile. Eì
immensurabilmente più grande di quello che
si può pensare. v L'universo è
infinito… Perché è il Deo
padre che non l’ha
finito! è incalcolabile e tutto di un
perché il
Padreterno è infinito... perciò
non lo può presentare finito e
ordinato. E questa soluzion a voialtri
disordine incommensurabile,
signori dottori non piace, vi porta
spavento… voialtri preferite
pensare a un Dio padre a
vostra emmagine, uguale a
voi. Della vostra misura,
perché se ‘sto Dio Padre
deventa troppo grande,
sbotta un universo nel
quale tutto si disperde.
Ecco la ragione che vi ha
fattp inventare un
creato di corta misura,
in modo che la terra sia
sempre lì ben piantata
intramezzo al gran
giardino, fermata, con
tutti i pianeti che
girano torno a torno a
noialtri con l’aggiunta
del sole osequioso che
gira come fosse dentro a
una giostra e l’uomo
intramezzo seduto, con
gli astri che girano:
“Che bel tramonto che mi
hai fatto 'stassera,
grAZie! ! Oh che belL’
alba! Oh la luna che
monta! Ohi, Marte sIAmo
in ritardo! Venere, vai
soto!” VERIFICARE
CON DARIO COSA
PREFERISCE
Voialtri preferite pensare a un Deo padre a
vostra somiglianza perfettamente e che
voialtri assomigliaste a Dio... Similitatem
Deus. E 'sta assomiglianza dell'uomo col suo
Dio può apparire credibile solamente se Dio
non è troppo grande... e similmente il suo
creato... e che la terra sia ben piantata ferma
in mezzo... nel centro del creato. E tutte le
stelle e i pianeti, compreso il sole tutto
ossequioso, ti gira intorno come in giostra,
sempre tutto ordinato. E che tu, uomo
dottore, stia seduto in mezzo al padrone
della giostra.
Ma se vieni a scoprire, d'incanto (di
colpo), che la giostra non c'è... che la terra
e gli astri tutti hanno ognuno il proprio
giramento intorno al sole e ad ogni
momento ti accorgi che altri pianeti e
altre stelle spuntano dappertutto e ancora
si allarga ‘sto firmamento così esagerato
cghe tutto si sperde…gira come una frittata
che ruzzola per il cielo... e che tutto gira...
rotolando in una gran "scaracollata" di
bordello (disordine)... allora:
RIVEDERE
TRADUZIONE "Non c'è più
misura". L'universo è "sfrondà"... E tutto
diventa stragrande, spropositato, infinito a
cominciare dal Padreterno Dio, che non puoi
più immaginarlo come un caro vecchio
bonaccione con la barba, stravaccato tra le
nuvole, trasportato dagli angiolini con le ali.
Così, all'istante, l'uomo diventa piccolo, ma
così piccolo piccino che al suo confronto
una pulce-pidocchio sembra un elefante:
"Oh, dove sei tu uomo?"
"(Con voce sottile) Sono qui nel fondo..."
"Sei lì? Oh, ma fai schifo!" GNACH! (Mima
di schiacciarlo col pollice) "Ahiaoa!"
"Perdonami, ti ho schiacciato!"
È finita tutta l'umanità.
FRANCA 8
Diaspora comici
Presentazione
L’elogio del San Carlon d’Arona
Franca 9
“IL CONGEDO”, DALLA BETIA
Tamìa: (direttamente al pubblico) Un
attimo per piacere.
Perdonatemi, prima di lasciarvi, vorrei
farvi un commento di congedo: mi sembra
che tra il pubblico ci sia stato qualcuno che
per gli argomenti che abbiamo portato e il
linguaggio scurrile che abbiamo tenuto, ha
avuto tremori di indignazione.
Ho visto femmine... signore... che hanno
storto la bocca, gli occhi gli si sono
svirgolati, e le gambe, all'improvviso, gli si
sono incrociate, chiuse come fosse arrivata
una mano grinfiosa (rapace) tra le sue
cosce a frugarle sconciamente.
Per concludere queste signore femmine - le
ho sentite - dicevano che erano porcherie
(sporcaccionate) quello che diciamo. "Che
non è buon costume nominare passere e
potte e bindorloni... sopratutto l'aspersorio
col birillo né il pindorlone suo signore.
Gravi impudicizia è nominare il coglione
invano... e tutti i suoi derivati: i maronati, i
coiómberi, i baléngoli e i bagolón!"
Ma noi siamo per il naturale... e dicendo
"al naturale", signore e signori miei
illustrissimi, non si può dire con altre
parole.
Volete che diciamo, uccellino... usignolo,
farfallina, pubenta, strogolì, pisello,
passerina e prugnarella?
Ma ditemi voi femmine: chi in questo
universo che non sappia per quale pertugio
siamo venuti al mondo? Ma voi dite: tutto
quello che è sconveniente e zozzo non si
devi nominare.
E allora cominciamo ad ordinare che non
si debbano mai più nominare parole,
quelle sì, orribili e ributtanti, come:
guerra! Invasione! Massacro! Potere e
conquista! Carestia, fame, tribolamento,
faticare come schiavi, prigione e
prigionieri, bottino, stupro alle donne e
sopratutto, l' "ingiustizia"!, e la mancanza
di liberta. Ma voi, care le mie donne gentili,
di quello, non vi disperate né vi indignate.
Voi avete i brividi solamente quando si fa
allusione a tutto quel piacere che c’è
restato: attorcigliarsi nell’amore,
scambiarsi passione, sollazzo e godimento.
Se si nomina, senza allegoria, quegli
strumenti che ci permettono di fare ‘sto bel
peccato, voi vi segnate svelte per tre volte
col il segno della croce. Al contrario, a voi
sembra normale quando il prete e
ilvcardinale vanno benedicendo le armi
con i soldati che prtono per la battaglia:
“Benedictae sea (siano): bandiere, lance e
cannoni”. E l’aspersorio del vescovo va a
bagnare tutte ‘ste armi che tra pocco
gronderanno sangue.
Voi, femmine signore dabbene, non provate
alcuna indignazione a guardare 'sti
strumenti di morte, glorificati!
Ma se un cardinale passasse con
l'aspersorio a benedire quegli altri
strumenti... che ciascuno di noi tiene sotto
le braghe e le gonnelle... strumenti che
danno la vita, non la morte: "Oh!
Scandalo! Tremenda blasfemia!".
Voi soltanto a tutti i giochi ridanciani vi
indignate!
Ma come fate a comprenderli, mi chiedo?
Donne dabbene non hanno cervello
scaltrito per intendere il gioco sottile
dell'oscenità: solamente femmine scaltre...
di basso discorrere-scurriles-trivialisobscenus, lo possono intendere.
E voi l'avete capito!
Bene! Allora, mi spiace, ma voi non potete
venire a dirmi che siete femmine dabbene.
'Ste sconcerie oscene le intendono
solamente le puttane!
Buonasera...386
FRANCA 10
1551
PROLOGO A “LA VITA”
Zorzi, che ha curato per Einaudi l’intiera
edizione dei
849 dialetto
FRANCA 10
849 Da quando Adamo e nostra madre Eva,
bestemmiata come puttana, furono dal
Paradiso cacciati per la ragione che avevano
mangiato 'sto maledetto pomo... Maledetto
frutto, che giusto lo si deve dar da mangiare
solamente ai porci, 'ste mele grame!
Dicevo che da allora, dal tempo della gran
cacciata dal Paradiso, è nato 'sto fatto che
oltre soffrire, faticare come bestie per
campare, a noialtri uomini e femmine per
castigo... ci tocca di morire. Che, fai
attenzione, senza pomo avremmo vissuto in
eterno.
Ohi che a me vengono i brividi a pensare:
"Sempre in eterno con la stessa moglie, in
eterno con le medesime campane... lo stesso
prete-curato. Che, in verità, non ci sarebbe
stato questo prete-curato poiché nel
Paradiso non esisteva ancora la questione
del peccato. Dunque senza peccato non
c'era il curato.
Dunque, il prete è un aggiunta di punizione
che ci hanno affibiato!
Cosa stavo dicendo? Ah sì, del castigo del
morire.
Da allora si fa l'augurio nell'alzare i
bicchieri: "Salute! Figlioli tanti! Buon pro ti
faccia. Tu possa campare una vita lunga!".
E cosa sarebbe 'sta vita lunga? Campare di
cento e cento anni fino a trecento come
Noè?
A proposito di Noè, che fu il primo
spremitore di uve per trarne fuori il vino...
cos'è che procura 'sto spirito magico del
vino che ti procura l’ incantamento?
Bisogna forse che i grani (acini) del
picciuolo dell'uva siano tanti? Bisogna che i
graspi siano ben pregni di 'sto liquore del
mosto od occorre che ci voglia che il
pigmento profumato sbotti fuori come il
miele? Forse che il mosto nei tini con i
graspi a fermentare bolle più all'impazzata
se il filare della vite è più lungo e i graspi
sono di gran lunga più numerosi?
No, tutto questo non basta per dar vita alla
vite.
Quel che fa nascere un vino che si possa poi
chiamare "exelentis maravegia" è la follia
gioiosa che spruzza innaffiando per
incantamento fin dalla fioritura, finché l'uva
è venuta matura dorata. E' proprio dentro la
radice, nel ceppo suo, a fondo, che
s'impregna la vita della vite. Dunque
ugualmente per vivere assai in abbondanza
bisogna forse farsi una vita lunga? Una vita
è forse più lunga se la si prolunga con
un'altra vita? Così come non è abbastanza
aggiungere un altro filare di vite alla vigna
che hai già, per far che la vite doni più vita
al vino, così è per la vita dell'uomo.
E' dentro all'albero della vite che la vita
cresce e si moltiplica in valore. Non per
prolungamento del filare della vite.
Vita, spirito e follia non si misurano né a
palmi, né a passi, né per pertiche... ma per
l'intensità, si misura per l'intensità.
Allora datemi buon ascolto.
Non conoscete gente al mondo che vivendo
una vita lunga sia giunta ai cento anni? La
conoscete? E ci sono persino di quelli che
hanno passato i cento anni e qualche anno
in più. Vi dirò che ci sono di questi campaa-lungo una grande quantità che si sono
accorti d'essere stati al mondo, vivi,
solamente quando sono stati morti.
Dunque è la morte che li ha resi edotti, fatti
coscienti della vita.
ARRIVATA QUI
Ma non sapendo quelli d'essere mai stati
vivi quando lo erano, vuoi tu chiamar vita
questa loro vita ? No di sicuro. Anche se tu
aggiungessi un centinaio di vite a 'sta prima
vita, un'altra vita aggiunta all'altra e
un'altra ancora, quelli non avrebbero mai
avuto una vita sola da chiamare vita.
Se uno vivesse, ma anche un anno solo, e
sapesse in 'sto poco tempo di vita d'essere
stato vivo non si dovrebbe chiamare più vita
la sua? E vita più lunga di uno che
campando in eterno non avesse giammai
saputo di essere stato vivo? Quindi, come
nel grappolo d'uva non è tanto il numero dei
grani che rende il vino meraviglioso e vivo,
e nemmeno la grande lunghezza dei filari
che fa sembrare siringato di spirito
profumato alla follia 'sto liquido magico ,
così non è tanto il numero dei giorni che ci
fanno coscienti di vivere una vita degna
quanto la follia e la saggezza impregnate di
una "stramberia fantasticante" così
generosa da far sì che quando all'istante
cessa la tua vita, all'istante viene a mancare
qualcosa anche nella vita degli altri.
La vita piena di stralunamenti come in un
albero che butta mille fiori e i rami si
distendono a pettinare l'aria e giocano a
danzare col vento e non gli importa di
spampanarsi intorno e sperdere fiori e far
risate che paion di spavento.
'St'albero si sogna di essere albero maestro
di una nave grande con le vele di trinchetto
a rande gonfie e piene come pance di
femmine ingravidate. Così follia e
allegrezza, aggiunte alla ragione, spingono
a più lunga vita, se alla vita tua aggiungi
un'altra vita che ugualmente sappia d'esser
ben in vita, aggiunge follia, giocondità alla
tua follia e fa il doppio del fantasticante e
aggiungendo una vita all'altra ancora di
tutta gente che da sempre si accorge di esser
dietro a campare.
E' da lì che nasce l'eternità della vita.
FRANCA 11
ALTRA PRESENTAZIONE
FRANCA 12
ALTRA PRESENTAZIONE
LA VITA
Un bel giorno, Ruzzante scrive una lettera
all'attore che interpreta il ruolo di Menato.
Ma la lettera è solo un pretesto per
realizzare, in forma teatrale, un discorso
filosofico sul valore e il significato della
vita. È un monologo di una forza inaudita.
Vi dirò che, come l'ho letto, m'era venuto in
mente di realizzare una beffa spassosa:
avevo deciso di presentarvelo come una
traduzione seicentesca di un brano
dell'Enrico VIII di Sheakspeare. Mi sarei
scompisciato dal ridere leggendo poi i
commenti della maggior parte dei critici, che
figurati se avrebbero ammesso di non
conoscerlo. Ma poi, non me la sono sentita
di comportarmi da figlio di buona donna.
Sarà per un'altra volta.
Ora ascoltate il discorso di Ruzzante nella
lettera a Menato.
FRANCA 13
LA VITA 13
1278
Traduzione
CI SONO DUE TRADUZIONI DI
SEGUITO VEDERE QUELLA GIUSTA.
SONO ANDATA INSIEME!!!
Tutto è cominciato nel giorno in cui Adamo
e nostra madre Eva, bestemmiata come
puttana, furono dal Paradiso cacciati per la
ragione che avevano mangiato 'sto maledetto
pomo... 'ste mele grame… frutto che si deve
dar da mangiare giusto solamente ai porci!
E’ stato in quel maledetto giorno che nostro
Padre creatore, furente come un demonio, è
spuntato con le dita e le mani a stracciar
nuvole, bestemmiando con un parlar
tremendo: " Adamo ed Eva disgraziati, dove
siete? Malnati! Cosa ho fatto io per crearvi
come figli miei, con le mie mani vi ho fatto,
uguali a me, nella mota, nel fango impastato,
vi ho dato il mio fiato, il mio respiro, poi il
mio spirito e tutto 'sto creato per voi.
Che, l’ho fatto per me?
Ma no, per voi! Gli animali, i pesci gli
uccelli, per voi figli, tutta roba per nutrirvi.
frutti tutti per voi in eterno da mangiare... Vi
ho chiesto solamente di non toccarmi un
frutto che avevo creato proprio per me solo,
uno sfizio… un albero di pome… Vi avevo
avvertiti: "Quello non me lo toccate! E’ roba
mia! L'unica! Tutto il resto popotete
mangiarvelo… anche anche gli angeli e i
cherubini, ma quello lasciatelo stare!" Ma
voi malnati, no… me l'avete mangiata!
Disgraziati! Fuori! Fuori! Golosi! Fuori da
'sto Paradiso!”
E’ arrivato l'angelo, l'angelo maggiore con le
ali distese, grandi… con la spada di fuoco,
che andava sventagliando sciabolate in ogni
luogo. ZZZAK!, una tagliata a fenderci il
culo in due, che prima noialtri, esso di dietro
l’avevamo fatto come un pallone unico, ma
con questa sferragliata di lama zaaaak, una
fessa nel mezzo: son saltate fuori due
chiappe… E’ lì che ci sono nate le
chiappe…che non stanno namanco tanto
male. Belle!
E da quel giorno accade che noialtri, uomini
e femmine, venendo al mondo dobbiamo
soffrire, e così nostra madre nel partorire va
gridando di dolore. E poi lamenti di
tristezza… e oltre a faticare come bestie per
campare, a noialtri figli di Dio per castigo...
ci tocca anche di morire.
E pensare che eravamo là beati a crogiolarci,
a rotolarci dentro 'sti prati tutti verdolini,
che non seccavano mai ‘sti fior profumati…
e le farfalle che volavano intorno e gli
uccelli che giocavano con gli altri animali...
un rider di piacere dentro l'acqua, con i
piedi... e non c'era neanche da faticare per
mangiare… ti venivano gli animali addosso,
tra le braccia, i frutti ti cadevano giù da soli
nella mano... Oh che bello era stare in vita:
"Che giorno è oggi?" - "Che t'importa, siamo
eterni!"
Eterni! Ohi che mi vengono i brividi al
pensiero che eravam nati eterni… sempre in
eterno con la stessa moglie, in eterno con le
medesime campane... lo stesso prete-curato,
sempre quello... (correggendosi all’istante)
No, che non ci sarebbe stato ‘sto pretecurato, per la ragione che non avremmo
mangiato la mela e non ci sarebbe stata ‘sto
peccato… Dunque senza peccato cosa ci fa
un curato?
Allora il prete è un aggiunta di punizione
che ci hanno affibiato!
Cosa stavo dicendo? Ah sì, del castigo del
morire.
Da allora si fa l'augurio nell'alzare i
bicchieri: "Salute! Figli tanti! Buon pro ti
faccia. Tu possa campare una vita lunga!".
E cosa sarebbe 'sta vita lunga? Campare
cento e cento anni fino a trecento come
Noè? Avete in mente Noè? Quello che per
primo ha schiacciato i grappoli d’uva per
trarne fuori il vino. Cos'è che procura 'sto
spirito magico del vino che sbotta in
incantamento? Bisogna forse che i grani
(acini) del picciuolo dell'uva siano tanti?
Bisogna che i grappoli siano ben pregni di
'sto liquore di mosto, od occorre che il
pigmento profumato sbotti fuori come il
miele? Forse che il mosto nei tini con i
grappoli schiacciati a fermentare va
bollendo più all'impazzata se il filare della
vite è più lungo e i grappoli di
un’abbondanza esagerata?
No, tutto questo non basta per dar vita alla
vite.
Ciò che fa nascere un vino che si possa poi
chiamare "exelentis maravegia" è la follia
gioiosa che spruzza innaffiando per
incantamento fin dalla fioritura, e monta col
maturare dell'uva.
E' proprio dentro la radice, nel ceppo suo, a
fondo, che s'impregna la vita della vite,
quindi, ugualmente per vivere una vita
degna e giocosa non basta farsi una lunga
vita? Così come non è abbastanza
aggiungere un altro filare di vite alla vigna
che hai già, per far che la vite doni più vita
al vino, così è per la vita dell'uomo.
E' dentro l'albero della vite che la vita cresce
e si moltiplica in valore, non per il
prolungamento del filare della vite.
Vita, spirito e follia non si misurano né a
palmi, né a passi, né per pertiche... ma per
l'intensità si misura, per l'intensità.
Inteso?… Non avete capito?! Mi tocca di
spiegarvi ancora!
Datemi buon ascolto. Non conoscete gente
al mondo che vivendo una vita lunga sia
arrivata ai cento anni? La conoscete? E ci
sono persino di quelli che hanno passato i
cento anni di qualche anno. Vi dirò che ci
sono di questi campa-a-lungo una grande
quantità di cui ci si è accorti che sono stati
al mondo soltanto il giorno che son morti.
E a loro volta finalmente si son resi conto
d’esser stati vivi solo al momento in cui
l’anima loro tornava al creatore.
Dunque è la morte che li ha resi edotti,
fatti coscienti della vita.
Ma non sapendo quelli d'essere mai stati vivi
quando lo erano, vuoi tu chiamar campare
quel loro transitar in vita? No di sicuro.
Anche se tu aggiungessi un centinaio di vite
a 'sta prima vita, un'altra vita aggiunta
all'altra e un'altra ancora, quelli non
avrebbero mai avuto una vita sola, da
chiamare vita.
Di contro se uno stesse al mondo vivesse,
ma giusto il tempo della giovinezza e in sto
breve passaggio ognuno di lui, e dello suo
stare in vita, si facessero accorti per suo
valore e peso, e quindi alla sua dipartita
ogniun provasse duolo, non si dovrebbe
chiamare maggior vita la sua? E vita più
lunga di uno che campando in eterno non
avesse giammai saputo di essere stato vivo?
Ora dunque, come nel grappolo d'uva non è
la grand’abbondanza dei grani che rende il
vino meraviglioso e vivo, e nemmeno la
l’estesa processione dei filari che impregna
di spirito profumato alla follia 'sto liquido
stregato, così non è tanto il numero dei
giorni che ci riesce di campare a farci
coscienti di star vivendo una vita degna…
quanto piuttosto la follia e la saggezza
impregnate di una "stramberia fantasticante"
così generosa da far sì che quando all'istante
cessa la tua vita, similmente nella vita degli
altri viene all’improvviso a mancare qualcos
della loro vita. Gransorte è quindi
una vita piena di stralunamenti come un
albero che butta mille fiori e i rami si
distendono a pettinare l'aria e giocano a
danzare col vento e non gli importa di
spampanarsi intorno e sperdere fiori e far
risate che paion di spavento.
'St'albero si sogna di essere albero maestro
di una nave grande con le vele di trinchetto e
rande, gonfie e piene come ventri di
femmine ingravidate.
Così, follia e allegrezza, aggiunte alla
ragione, spingono a più lunga vita, se sta tua
vita non la vai vivendo di nascosto, ma con
gli altri legato, e così generoso… che non
t’importa di spendere tutta sta tua vita per
provare che sia giocondità e libertà e
giustizia buona per la gente tutta. E' da lì
che nasce l'eternità della vita.
E io vado sperando che il giorno che me ne
vado morendo, la gente dica: "Peccato che
abbia finito di campare, era così vivo, da
vivo!".
"LA VITA"
TRADUZIONE
Traduzione Tutto è cominciato nel gior no
in cui Adamo e nostra madre Eva,
bestemmiata come puttana, furono dal
Paradiso cacciati per la ragione che
avevano mangiato 'sto maledetto pomo... 'ste
mele grame… frutto che si deve dar da
mangiare giusto solamente ai porci!
E’ stato in quel maledetto giorno che nostro
Padre creatore, furente come un demonio, è
spuntato con le dita e le mani a stracciar
nuvole, bestemmiando con un parlar
tremendo: " Adamo ed Eva disgraziati, dove
siete? Malnati! Cosa ho fatto io per crearvi
come figli miei, con le mie mani vi ho fatto,
uguali a me, nella mota, nel fango impastato,
vi ho dato il mio fiato, il mio respiro, poi il
mio spirito e tutto 'sto creato per voi.
Che, l’ho fatto per me?
Ma no, per voi! Gli animali, i pesci gli
uccelli, per voi figli, tutta roba per nutrirvi.
frutti tutti per voi in eterno da mangiare... Vi
ho chiesto solamente di non toccarmi un
frutto che avevo creato proprio per me solo,
uno sfizio… un albero di pome… Vi avevo
avvertiti: "Quello non me lo toccate! E’ roba
mia! L'unica! Tutto il resto popotete
mangiarvelo… anche anche gli angeli e i
cherubini, ma quello lasciatelo stare!" Ma
voi malnati, no… me l'avete mangiata!
Disgraziati! Fuori! Fuori! Golosi! Fuori da
'sto Paradiso!”
E’ arrivato l'angelo, l'angelo maggiore con le
ali distese, grandi… con la spada di fuoco,
che andava sventagliando sciabolate in ogni
luogo. ZZZAK!, una tagliata a fenderci il
culo in due, che prima noialtri, esso di dietro
l’avevamo fatto come un pallone unico, ma
con questa sferragliata di lama zaaaak, una
fessa nel mezzo: son saltate fuori due
chiappe… E’ lì che ci sono nate le
chiappe…che non stanno namanco tanto
male. Belle!
Da quel giorno accade che noialtri, uomini e
femmine, venendo al mondo dobbiamo
soffrire, e così nostra madre nel partorire va
gridando di dolore. E poi lamenti di
tristezza… e oltre a faticare come bestie per
campare, a noialtri figli di Dio per castigo...
ci tocca anche di morire.
E pensare che eravamo là beati a crogiolarci,
a rotolarci dentro 'sti prati tutti verdolini,
che non seccavano mai ‘sti fior profumati…
e le farfalle che volavano intorno e gli
uccelli che giocavano con gli altri animali...
un rider di piacere dentro l'acqua, con i
piedi... e non c'era neanche da faticare per
mangiare… ti venivano gli animali addosso,
tra le braccia, i frutti ti cadevano giù da soli
nella mano... Oh che bello era stare in vita:
"Che giorno è oggi?" - "Che t'importa, siamo
eterni!"
Eterni! Ohi che mi vengono i brividi al
pensiero che eravam nati eterni… sempre in
eterno con la stessa moglie, in eterno con le
medesime campane... lo stesso prete-curato,
sempre quello... (correggendosi all’istante)
No, che non ci sarebbe stato ‘sto pretecurato, per la ragione che non avremmo
mangiato la mela e non ci sarebbe stata
‘sto peccato… Dunque senza peccato cosa
ci fa un curato?
Allora il prete è un aggiunta di punizione
che ci hanno affibiato!
Cosa stavo dicendo? Ah sì, del castigo del
morire.
Da allora si fa l'augurio nell'alzare i
bicchieri: "Salute! Figli tanti! Buon pro ti
faccia. Tu possa campare una vita lunga!".
E cosa sarebbe 'sta vita lunga? Campare
cento e cento anni fino a trecento come
Noè? Avete in mente Noè? Quello che per
primo ha schiacciato i grappoli d’uva per
trarne fuori il vino. Cos'è che procura 'sto
spirito magico del vino che sbotta in
incantamento? Bisogna forse che i grani
(acini) del picciuolo dell'uva siano tanti?
Bisogna che i grappoli siano ben pregni di
'sto liquore di mosto, od occorre che il
pigmento profumato sbotti fuori come il
miele? Forse che il mosto nei tini con i
grappoli schiacciati a fermentare va
bollendo più all'impazzata se il filare della
vite è più lungo e i grappoli di
un’abbondanza esagerata?
No, tutto questo non basta per dar vita alla
vite.
Ciò che fa nascere un vino che si possa poi
chiamare "exelentis maravegia" è la follia
gioiosa che spruzza innaffiando per
incantamento fin dalla fioritura, e monta col
maturare dell'uva.
E' proprio dentro la radice, nel ceppo suo, a
fondo, che s'impregna la vita della vite,
quindi, ugualmente per vivere una vita
degna e giocosa non basta farsi una lunga
vita? Così come non è abbastanza
aggiungere un altro filare di vite alla vigna
che hai già, per far che la vite doni più vita
al vino, così è per la vita dell'uomo.
E' dentro l'albero della vite che la vita
cresce e si moltiplica in valore, non per il
prolungamento del filare della vite.
Vita, spirito e follia non si misurano né a
palmi, né a passi, né per pertiche... ma per
l'intensità si misura, per l'intensità.
Inteso?… Non avete capito?! Mi tocca di
spiegarvi ancora!
Datemi buon ascolto. Non conoscete gente
al mondo che vivendo una vita lunga sia
arrivata ai cento anni? La conoscete? E ci
sono persino di quelli che hanno passato i
cento anni di qualche anno. Vi dirò che ci
sono di questi campa-a-lungo una grande
quantità di cui ci si è accorti che sono stati
al mondo soltanto il giorno che son morti.
E a loro volta finalmente si son resi conto
d’esser stati vivi solo al momento in cui
l’anima loro tornava al creatore.
Dunque è la morte che li ha resi edotti, fatti
coscienti della vita.
Ma non sapendo quelli d'essere mai stati
vivi quando lo erano, vuoi tu chiamar
campare quel loro transitar in vita? No di
sicuro. Anche se tu aggiungessi un centinaio
di vite a 'sta prima vita, un'altra vita
aggiunta all'altra e un'altra ancora, quelli
non avrebbero mai avuto una vita sola, da
chiamare vita.
Di contro se uno stesse al mondo giusto il
tempo della giovinezza e in sto breve
passaggio ognuno di lui, e dello suo stare in
vita, si facessero accorti per suo valore e
peso, e quindi alla sua dipartita ogniun
provasse duolo, non si dovrebbe chiamare
maggior vita la sua? E vita più lunga di uno
che campando in eterno non avesse giammai
saputo di essere stato vivo?
Ora dunque, come nel grappolo d'uva non è
la grand’abbondanza dei grani che rende il
vino meraviglioso e vivo, e nemmeno la
l’estesa processione dei filari che impregna
di spirito profumato alla follia 'sto liquido
stregato, così non è tanto il numero dei
giorni che ci riesce di campare a farci
coscienti di star vivendo una vita degna…
quanto piuttosto la follia e la saggezza
impregnate di una "stramberia
fantasticante" così generosa da far sì che
quando all'istante cessa la tua vita,
similmente nella vita degli altri viene
all’improvviso a mancare qualcos della loro
vita. Gransorte è quindi
una vita piena di stralunamenti come un
albero che butta mille fiori e i rami si
distendono a pettinare l'aria e giocano a
danzare col vento e non gli importa di
spampanarsi intorno e sperdere fiori e far
risate che paion di spavento.
'St'albero si sogna di essere albero maestro
di una nave grande con le vele di trinchetto
e rande, gonfie e piene come pance di
femmine ingravidate. Così, follia e
allegrezza, aggiunte alla ragione, spingono
a più lunga vita, se sta tua vita non la vai
vivendo di nascosto, ma con gli altri legato,
e così generoso… che non t’importa di
spendere tutta sta tua vita per provare che
sia giocondità e libertà e giustizia buona per
la gente tutta. E' da lì che nasce l'eternità
della vita.
E io vado sperando che il giorno che me ne
vado morendo, la gente dica: "Peccato che
abbia finito di campare, era così vivo, da
vivo!".
FRANCA 13
Traduzione brano finale
CONTROLLARE SE
PRESENTAZ. FILA CON
BRANO DIALETTO
LA MOSCHETA
ANTIPROLOGO:
FRANCA: Adesso, parliamo un po' delle
donne e della loro condizione all'inizio del
'500 a Padova e a Venezia.
Tanto per cominciare, Venezia era molto più
popolata di quanto non lo sia oggi. Gli abitanti
raggiungevano il numero di 160 mila. Oggi è
ridotta a circa 90 mila persone.
“Tu vedrai che non ti faccio imbrogli
è gran bella e è anche più valente
di ogni putta che ci sia in tutto il padovano!
Mettila pure a lavorare a quella maniera
e a quel partito che vuoi.
La puoi menare donde ti pare.
Ti so dire che non si tira gimmai indietro
ma sempre si ficca innanzi e non è mai
stanca di lavorare.
Marchioro, eccitato, risponde:
“Andiamo, presto che mi tira una voglia di
starle appresso a 'sta
vostra figliola...”
Per la sua bellezza, grazia... intelligenza?
No.
“Voglio giammai lasciarla... se e così buona
di lavorare!”
FRANCA 14
Mariazzo
532
A questo punto s'innesta la tragedia.
Succede nel mariàzzo... cioè la festa per le
nozze piuttosto contrastate di Zìlio con la
Betìa. Durante la festa scopriamo che c'è un
altro contadino di nome Nale che è
innamorato pazzo della sposa di Zìlio e
anche lei, la sposa-Betìa, pur essendo
innamorata del suo promesso sposo, Zìlio,
s'è presa una gran passione per Nale.
CONTROLLARE SE PRESENTAZ. FILA
CON BRANO DIALETTO
974 e tamia, nale
LA MOSCHETA
ANTIPROLOGO:
FRANCA: Adesso, parliamo un po' delle
donne e della loro condizione all'inizio del
'500 a Padova e a Venezia.
FRANCA 15
Mariazzo
A questo punto s'innesta la tragedia.
Succede nel mariàzzo... cioè la festa per le
nozze piuttosto contrastate di Zìlio con la
Betìa.
FRANCA 15 BIS
INIZIO TRAGEDIA
In scena Zìlio, Nale, Betìa.
Traduzione
Zìlio: Oh hai pur finito di farmi
becco,
porco traditore!
Ora ti voglio mangiare il cuore!
Nale: Non lo fare cancro, non lo
fare!
Zìlio: Tieni! Infame ghiottone!
Betìa: No, lascialo stare... per
amor mio!
Zìlio: Taci puttana! (Accoltella
Nale e fugge)
Nale: Ohimé Dio... sono morto,
mi hanno ammazzato! (Cade
a terra).
Betìa: Oh triste, me, sconsolata!
Ma perché l'hai tu
ammazzato?
Ora come farò io,
che avevo messo in conto
di avere due mariti...
Come riuscirai tu solo, Zìlio
a fare che non mi venga a
mancare
'st'altro.
Oh poveretta io di merda
che ora sono restata
con un solo maschio!
Dio! Come per poco
si ammazza un uomo!
Esce la Betìa, mentre portano via il
marito avvolto in un lenzuolo.
Taçìo, contadino saggio e avveduto
è stato testimone del fattaccio e
commenta:
Poveretto te Nale!
Hai voluto
troppo scherzar col fuoco
Facevi la ronda (corte) a 'sta
ragazza
la portavi in carriola
le facevi le capriole tra le
sue sottane e le gonnelle
ad amoreggiare...
accontentati! No signore, vai
anche a sbertucciare da
becco
al suo prossimo marito!
Non ti accontenti di un
pertugio
ne vuoi due?
Anzi, quattro, con le
chiappe. Ah!
E allora beccati 'st'altro buco
tu…
nella tua di carne!
E poi vai intorno a dire
che son le femmine sole
la cagione di tutto il
malanno
che arriva al mondo.
Sì, è anche vero...
(Si rivolge alle donne che stanno
in platea)
Voi femmine tutte...
senza offendervi, siete
bucate
in ogni luogo
pure nel cervello!
Ma cari signori maschi
non scarichiamo tutta la
(ogni) responsabilità
addosso alle femmine,
che nostra, è la colpa
massima
che facciamo e disfiamo
ogni
trappola perché, loro
femmine
nostre
ci facciano becchi
e infine... ci stracciamo
le vesti e piangiamo da
traditi.
Guardiamoci bene negli
occhi
uomini, tutti quanti,
in verità voi pensate
che se noi maschi fossimo
nei panni loro... di queste donne
credete voi che si troverebbe
mai una donna dabbene?
Oh, no... d'incanto ci
apparirebbe
un mondo
solo di puttane!
Sento sua moglie, la Tamìa
straziàre perché suo marto
è stato ammazzato.
Oh l’ascolterete adesso del
piangere...
che non è mai capitato che una
moglie volesse così ben a un uomo
come vuole Tamìa a Nale
suo marito accoppato.
FRANCA 16
(Esce Taçìo. Entra Tamìa.)
LAMENTO DELLA TAMIA
PER IL MARITO CHE CREDA
MORTO
TAMIA: Morto? E' morto
amore mio bello!...
Ti hanno ammazzato?!
Comipotro io disgraziata
restare in vita?
Oh bello e buon boaro
Dalla gioia grossa…
Oh dolce e caro amore,
oh caro il mio buon piacere
che solevo avere
ogni notte nilletto con te!
Mi hai lasciato sola
e ora di lacrimimi annego...
Mi davi diletto (piacere) per
la via che volevo
E quilche io volevo
lo volevi anche tu.
Oh cari e buoni giorni,
che quanti ne abbiamo
avuti
e anche voi buoi piangete
e noi vacche andiamo a dire al
bordello
che non abbiamo piùchi ci
mungera o montera?
Tu mi hai lasciato sola
e ora di lacrimimi annego...
Tu eri tutto il mondo
e il mio spasso
tu eri terra e frumento
tu eri il mio toro...
il mio (torasso) granda toro
e puranche il mio montone!
Ohhh montone,
montone,
bello mio montone!
Tu, non correrai piùa
darmi urtoni
con la tua testa fra le mie
gambe!
Che stravaccate ruzzolando!
O botte dolce senza sangue
o care spinte,
mai più ti sentiro
Oh dolce mio
fratello (fratellaccio)
che per darmi sollazzo
e con migiocare
mi solevi dare
delle maniate sul culo.
Oh dolce mio figliuolo
mi volevi pur bene!
Che se talvolta per
accidente
traevo una scorreggia...
ohh...
non mi facevi sentire
mortificata,
ma mi dicevi:
"Buon pro ti facciano ‘sti
tuoi sospiri!”
Tu eri valente uomo
con un arco in manio
comifa un cinghiale infuriato
fedele a Venezia e a san Marco
che se scorgevi un tedesco
tu gli volgevi il culo
e scappavi solo
per non fargli dilmale.
Oh gioia di viole
Oh cervello di uomo avveduto
Tu sapevi imbrogliare e menare le
gambe in spalla
poi fuggire!,
Che giaammai nilpadovano ci
qualcuno tuo pari.
Mi hai lasciato sull'erba
povera midi merda!
Vuoi che adesso perda
La mia gioventu bella e gentile?
Questa è una mala sorte
che io non ne ho colpa no!
Franca 17 Agitando un turìbolo,
avvolto nillenzuolo in cima ad un
gradone appare Nale, il marito. Il
lenzuolo è lo stesso con cui era stato
ricoperto comicreduto ammazzato.
Tono lugubre da oltretomba
Dialogo tamia e Nale.
Nale: (finge di tornare dall'aldila)
Lascia il lamento,
che ormai io sono contento
di starmene dovi sto.
TAMIA: Marito caro, siete voi?!
NALE:
E chi vuoi che sia? Per
certo sono io!
Tamìa: Sei tu l'anima di mio
marito?
Nale: Quella sono! E dell'inferno
sono condannato al fuoco.
TAMIA: Oh lasciati abbracciare
e darti un bacio!
NALE:
Oh no, non mi toccare!
che son fatto solo d’anima
comidire
che sto riempito di vuoto.
TAMIA: Vodo? Vodo comifato
da fumo?
NALE: Hai indovinato
basta uno spiffero, un soffio di
fiato
che mi disfo tutto sparso comi
la brina appena spunta il sole.
Tamìa: Senza corpo e solamente
fiato (respiro)?
E comipuo essere che ti stai
bruciando (che ti vai
bruciando)?
Nale: Moglie, lo capirai di
persona
che giu all'inferno,
l'arrosto dilgran bracere
è preparato anche per te!
Tamìa: Il bracere?! O triste e
grama me!
Ma raccontatemi caro
marito:
è dolore morire?
Nale: Puh! (Fa il gesto di non
poterci pensare per il tanto dolore
che ha
provato)
Non lo potrei mai ridire!
Tamìa: E' uno strazio da graffiare
(spellare)?
Nale: Ah, proprio!
E la ragione è per la
separazione
dell'anima dal corpo
perché, è naturale
che il corpo vuole un gran
bene
a 'st'anima sua di lui!
Tamìa:
È per 'sta ragione poi,
che si prova
gran dolore?
Nale: Sicuro! Da lì viene il
sudore,
e nasce la gran pena.
E comiquando a un
coniglio
gli strappi da dosso il suo
pellame:
pensa a una manio che
ti si affonda nilgargozzo
a scorticarti.
'St'anima abbracciata al
corpo suo
disperato...
non vuole uscire!
E lì nasce questa gran pena
per venirne (uscirne) fuori
dalla bocca.
Tamìa: Oh taci che mi sono venuti i
brividi
da tremare!
Nale: Oh, non averne timore
che a te tocchera per il
didietro dilculo
morire.
Tamìa: Per il di dietro?!
Oh, madre dilpertugio
oscuro!
Ma dimmi ora, marito caro:
comisiete arrivato in fondo
a 'sto
gran buco... nell'inferno al
fuoco?
Nale: Ci fui trascinato
a pedate nelle natiche!
Mi hanno spintonato e
(fatto) saltare
in un gran bracere
ardente...
di slancio sono uscito...
E per fare in modo
che questo fuoco perda
'sto suo gran bruciore
mi sono gettato (cacciato)
tutto giu
in un gran mare di merda.
Tutto sotto mi sono infilato:
sotto con la bocca aperta,
così ne ho ingolata una
gran boccata
di quella piùmanitecata.
Tamìa: Che pasto!
Guardami, sono qui tutta
sudata,
mi viene da vomitare!
Fai mente, anima mia,
che condizione disgraziata,
malerbetta è la nostra vita
di contadini.
Prima di venire al mondo
stiamo dentro le pance
delle nostre madri,
sballottati per novi mesi
nell'acquaccia puzzolente
poi nasciamo con gran
dolore.
Ci stringono legati nelle
fasce
immerdati con i vermi e il
vomito (dei bambini)
e poi la rosolia, le croste...
e razzolare nella corte
comile galline.
Se ti va bene poi,
vai a dottrina dal curato
che ti coltiva a schiaffi e
bacchettate.
Poi a governare bestie:
pecore, buoi
e zappare terra,
e tagliare melega e
frumento
e poi figli, marito e
tribolazioni...
Ti godi la carestia,
ti prenda (ti arriva) la
morìa dei castroni.
Ti strozzano gli usurai,
ti spennano comiun
uccello!
Poi arrivano i soldati
che a noi femmine ci
cavalcano
comiputtane.
E la domenica,
arriva infine il godimento:
in chiesa, in ginocchio,
a domanidare perdono a
Dio
in pentimento.
Nale: Amen!
Tamìa: Qualche anno di vita cil
contento (contenta)
lo abbiamo
un poco d'amore, qualche
gioia,
un sorriso
una festa da ubriacarsi,
poi arriva la morte
all'improvviso
e giu all'inferno siamo
condannati!
Nale:
'Sto lamento moglie
non migliora...
Dicono che noialtri
contadini,
siamo nati
dalla pancia di un asino
che in allegrezza poi
ci ha partorito con una
scoreggia.
Ma, almeno per i soldati
che giu all'inferno son
condannati ,
al castigo eterno,
ti voglio dare un bilconsolo
(una bella
consolazione): non sono mica i
diavoli
che vanno a straziare
e i patimenti dare...
Difatti, moglie, ho
incontrato
quilsoldato che tu sai...
che ti ha rovesciato a terra
davanti a me.
Tamìa: Non milo ricordare! Fu un
malfatto (brutta storia).
Nale: E fu gran dispetto 'sto
malnato!
Tamìa: Basta così!
Puttana, che non dico di
Dio,
credevano sempre di poterci
tenere sotto
e caricarci comifanno i
montoni!
NALE:
Ma sta sicura che
adesso son bin ripagati perché dio
ha ordinato che essi siano messi a
nostra disposizione. Adesso gli
facciamo bin pagare il pane, la
biada che ci hanno mngiato.
Gli facciamo bere un
bilbrodetto d piombo, fuso,
bollente…
Ah! Guardali comibattono i denti!
Ah! Adesso voglio godere
di questi malnati
con tutta 'sta loro boria...
che né legge né feda
avevano
e poi bestemiavano:
"Puttana di Dio, statti
buona di sotto
a darmi piacere!".
Maledetti! Credevano
sempre
di poterci dominare!
Se fossi in voi, giu
all'inferno
gli farei pur manigiare
della merda bollente
e sbattergli fuori tutti i denti
che non possano
piùmasticare.
Ah, a proposito...
e quilcapitano sgaroso
che al soldo dilfrancese
ne ha fatto di scannare
a noialtri contadini?
Nale: Parli di Sonzìn Benzon?
Tamìa: Sì, lui, 'sto gran porco!
Che, comifosse in Arena,
godeva a rimirare
'ste povere femmine nostre,
denudate...
montate comigiovenche
dai suoi soldati.Ci sfotteva e
faceva gran risate!
Quello, ora che sta morto,
l'hai incontrato?
Nale: Ah, ah! Sonzìn Benzon!
Sicuro, e ho scoperto che
sta peggio
di noialtri:
da una brigata di contadini
fu impiccato
e poi su attaccato (appeso)
a rovescio, per un piede
così che l'anima via gli
ando
sparata per il culo... quale
un
gran tampone di tanfo
e, comigiunta all'inferno
ha ammorbato tutto il
reame.
I diavoli disperati, per non
respirare
'sto gran smerdasso (il
gran fetore di merda)
si sono inficcati
due tizzoni ardenti, per uno,
dentro le narici
che, comiper incanto
non sentivano più'sto tanfo.
Tamìa: Ohi che finimondo!
Ma dimmi marito,
com'è fatto 'sto inferno?
Nale: E' uguale a 'sta vita nostra
di contadini
che gia facciamo su questa
terra
in tutte le stagioni:
caldo d'estate e freddo
gelido d'inverno.
Ci sono caldaie e spiedoni
in ogni luogo
e sempre senti gridare
animibucate che vanno ad
arrostire e lessare.
Tamìa: Ma dimmi di laggiu, di 'sti
demoni:
son matti o savi
o son burloni?
Nale: Burloni? Non hanno
sorrisi...
Non si puo trovare in loro
nessuna carita.
C'è un loro signore di 'sti
demoni
poi, che fa tremare
per le crudelta che ti puo
fare.
L'ho visto contento
solamente nilmomento
che è arrivati laggiu,
Domenico Tagliacalze
buffone.
Tamìa: Oh il gran ciarlatano!
L'ho visto, da vivo,
far capriole e poi cantare...
Nale: Infatti, comiè arrivato giu,
monta su un banche
e comincia a blaterar
scherzoso
e poi una canzone cantare
facendo quilsuo viso
da incantare minchioni.
"Oh bella gente, prima di
venir qui
son stato in Paradiso.
Tutti i beati mostravano un
triste sorriso
sbadigliavano di noia,
i poveracci, facevano pieta.
C'erano tutte donne
vergini e immacolate
e tutti i santi spirituali
perfetti
suonavano liuti con una
corda sola
e viole d'amore
senza far andare l'archetto.
E' per 'sta ragione che dal
Paradiso
son scappato
e in 'st'inferno mi sono
buttato!"
Poi di colpo si molla un
gran schiaffo
sulla faccia,
e finge che un vespone
gli ha piantato il
pungiglione sulla guancia
bzzhz... fa il verso
dilvespone che vola intorno
bzzhz... un'altra pacca sulla
pancia
bzzhz...
"State fermi che lo voglio
schiacciare
'st'animale."
Gli va vicino un diavolone
e: patapan!
Gli molla un gran schiaffo
con la manio a sganassone!
Bzzhz... è scappato di
nuovo!
"Fermi che lo voglio
prendere!"
Il Tagliacalze si lanci
addosso
a un'arcidiavolo e lo
schiaffeggia!
Una pedata a un diavolo
minore
e puranche al suo signore.
Zizzhzz... Adesso i vesponi
sono tanti
arrivano anche delle api,
moschiti, tafani
e calabroni: zzizzhz.
Picchia di qua, zompa di la,
tira
sberle, pacche, schiaffoni,
pedate!
E ridono a crepapelle i
diavoli
e si danno pacche e gran
pedate
fra di loro.
Di colpo ride
il signore dell'inferno
da pisciarsi sotto,
è tutto uno sghignazzo
e un gran darsi sberle
trema l'androne
per una giornata spaventata
è il terremoto
è l'inferno dell'allegrezza!
IL PEZZO CHE SEGUE HA
TRADUZIONE ma forse è
STATO TAGLIATORAGIONARCI.
TAMIA : (ride) Ma perché anche
tu non ti sei buttato a fare il
matto?
Cisto che sei una buon
pagliaccio che non ce n’è un altro
uguale?
NALE:
Oh ho voluto bin
tentare
ma non mi valse
sbofonezare
né far sgambetti
che poi quest’inferno
non è luogo più adatto
a far galìteghi
per un saltimbanco.
Ho subito scopeperto che in
questo teatro morto
C’è il permesso di
poter ridere per ogni secolo
abbondante
Ma una volta
solamente.
TAMIA : Ma comipuo succedere
che appena arrivato sei gia
partito??
Da nemmeno un or eri in
questo mondo...
tempo di una scorèggia sei
all'inferno
e poi torni ancora su?
NALE:
Moglie, nell’ altro
mondo
non c’è la misura
diltempo
che avete qui.
Dio nostro ha
scombinato ogni regola.
Nellìaltro mondo, il
tempo di un bacio amoroso
Puo riempire
un’eternita
e tre giri dell’ universo
intero è il tempo d'un sospiro.
Ma trattando
diltempo, il mio tempo è tutto gia
passato.
Devo ripartire,
dammi la tua mano da
salutare.
TAMIA: No, non voglio il mal
malanno
gia ho avuto un giorno
disperato.
Va dovi vuoi
che io tenerti non
m'interèssa più
e mi voglio pur
rimaritare.
NALE:
Rimaritare? Bon, ti
lascero fare
quilche cancaro
che vorrai.
TAMIA: Mi lasci fare?
Marito, dimmi la
verita
mi volevate mai bene,
da vivo?
NALE:
Bene a voi? No, in
nomidi dio giammai vi n'ho
voluto.
TAMIA: Ti venisse una gobba
con sopra un bugnone!
(maledicendosi, si lasciano l'un
l'altro).
FRANCA 18
Entra in scena Meneghello,
l'innamorato di TAMIA: ora che
Nale è tolto di mezzo offre a Tamia
di diventare suo marito).
TAMIA: Marito? E bisogna bin
che tu mi stia a pregare?
Ti voglio donare l'anima,
il fiato e la vita.
Gioia mia pulita
che cercavo io?
No, non sei convinto da
quanto tempo mi piaci tanto
e per nessuno al mondo ho
tanta golosia
comine ho per te!
Oh, son piùdì,
che meno il culo per esser
tua moglie
guardami ho i tremori
addosso
tienimi che piùnon posso
andiamo a fare adesso
tosto, 'sto martrimonio!
(Mentre i due se ne vanno
abbracciati rientra NALE, senza
lenzuolo. E' disperato: impreca
contro se stesso e la mala idea di
farsi passare per morto).
NALE: Oh cancaro mi son pure
tirato dietro i cani… e son qui e
triste e deriso!
Pota, ma comiho pensato di
inventarmi 'sta novella
di fingere che Zìlio m'abbia
ammazato
e io da gran matto che sono
ho fatto tutto questo
per scoprire se mia moglie
mi voleva bene
o puranche no. (Sogghigna)
Pota ora comiho pensato
di trarle tante sbruffonate
E anche quella di andarle a dire
che ne le ho Giammai voluto bene.
E se adesso capita che se sposi
credendo che io son morto?
Pota, che gran coglione
che fui a metterla in disperazione.
(Impreca sulla decisione della sua
donna che ha scoperto, si vuil
maritare).
Oh sangue di mio padre! (Rivolto
alle spettatrici)
Voialtre femmine siete certamente
bucate dappertutto puranche nel
cervello!
FRANCA 19
NALE esce di scena. Entra Tamia
che si lamenta a sua volta.
TAMIA: Oh triste tu Tamia
disgraziata
che hai fatto mai?!
Si dira sempre di me
che una puttana son stata
perché non era passata manco
una giornata
da che mio marito s'è morto
e io vado cercando in lacrimiil
conforto di un altro omo cil suo su
spasso DIVERTIMENTO
(??)deporto.
Diranno: "Oh aveva pure una gran
voglia ‘sta femmina
che non vedeva l'ora
che 'sto cristiano tirasse le cuoia!"
Alla fine che mine importa?
Dica ognuno quilche gli pare
non vi daro nemmeno due scoregge
per farvi un po' ballare.
culo
No, io non potrei mai stare
senza marito nemmeno un giorno.
Potrei pur stare senza manigiare
anche per un anno ma non stare
senza un uomo.
Riappare NALE e la supplica
NALE: Non prenderti l’altro uomo
che son vivo!
TAMIA: O Jesus, Vérzin Maria! (La
donna si lascia cadere
riversa
al suolo).
NALE: Non aver paura, o Tamia
che non son morto
ma perché vuoi morire tu?
Era uno scherzo da pagliaccio
oh moglie, o moglie bella
cara dolce la mia fratella
che se morissi tu
a morirei davvero anch’io.
(NALE cerca di rianimarla)
Oh diavolo che mi porta
non è che sei morta
davvero?
Sei morta?
(Si da uno schiaffo)
T'ho becco (cornuto)! Hai perso il
cervello!
a voler tutte 'ste smerdassate
t'ho, morbo a te e a chi t'ha creato!
(Si mena pugni in testa e si dispera)
Vai a trovare ora un'altra fante
così amorosa
che piacere mi dava e gran conforto
e io sono andato a farle torto, gran
malnato!
E mo non so che fare
se potessi farla rinvenire
l'acqua dovrei spruzzare
ma non c’è una fonte intorno.
Adesso le piscerei in viso
d'accordo, non è buona costumaniza
ma a son dell'avviso
che tutto va bene se c'è fretta.
(Si slaccia i calzoni poi ci ripensa)
No, non posso,
le voglio troppo bene
non lo posso fare.
(Per disperazione corre qua e la in
preda a un granda tremore)
Ohi che il diavolo direttamente mi
entro tutto in corpo.
Ohi mè, son spirito- spiritato! (Ci
ripensa)
E se quilcoltello m'avesse proprio
ammazzato?
non so se son nell’ altro mondo
o son qui.
E se stessi dormendo?
E che stessi sognando?
Voglio provare
se potessi 'me' manigiare
se son vivo o no.
(Si slaccia di nuovo le braghe)
Proverei a cagare un poco
Per vedere se poi sento l’odore...
(Ci ripensa, estrae dalla saccoccia
un pezzo di pane, lo addenta)
Manigio pure con buon sapore!...
(Spicca un salto)
E sì, salto anche!
(Fa un gioco schiaffeggiandosi le
mani)
E gioco anche con le mani!
E anche vedo la Tamìa!
(Estrae un coltello)
Mi viene la fantasia
di darmi in lo magón di 'sto coltello
che vedro adesso bilda bello
se son morto alfìn
(Esita, riflette. Tamìa intanto ha
aperto gli occhi)
bon, se son morto
a non mi potro ammazzare,
ma se son vivo
andro di certo a morire
e mi togliero da ‘sta vita al mondo
Bon, sara meglio che io muoia!
Che 'sta mia femmina traditora
non ha aspettato manco mezz'ora
che fossi spirado
per correre a prendersi un marito
nuovo.
TAMIA:(lo interrompe) Marito sei
tu?
NALE: Sì, pota di chi m’ha fatto!
TAMIA: Cosa cianci che io
abbia preso marito?
NALE: Puta di tua madre
Non t’ho visto andartene via
abbracciata a uno?
TAMIA: Tu non troverai mai
nessuno
che questo posse dire.
Ora mi farai bin morire
se dici ‘ste follie
mi farai stcioncar l’anima e
crepare.
NALE: Non farlo, moglie, non lo
fare
che facevo per gioco
tu sei la mia dolce figliola
il miobilcastello
adesso conosco il bello
che io mi son sognato
e ho dormìo fin adesso
e se t'ho ingiuriata
(insultata) perdinami
gioia e mio tesoro
l'ho fatto per troppo amor.
TAMIA: Anch'io voglio solamente
voi per marito
e gi altri li cago tutti
quanti!
Ringraziati siano i beati e i
santi
che da retrovarti morto
t'hanno salvato
Mi hai fatto gran torto
a darmi 'sto gran spavento
se eravate morto voi
io, ‘ta sicuro
che misarei voluta
ammazzare.
(Si abbracciano. Nale chieda alla
moglie di andare da Zìlio a
intercedere perché si faccia pace.
Nale resta solo)
FRANCA 20 NON STO
SCOPRENDO CHE DICE ‘STO
CAZZO DI NALE
TAMIA esce e rientra di lì a poco con Zilio e la Betia.
Poco piùindietro s'intraveda MENEGHELLO.
Nale:
Ti volevi rimaritare, figlia di puttana!
Tamìa:
Non è vero! Se voi foste davvero morto,
io, stai sicuro, fuori di cervello (impazzita)...
monaca... o in un bordello mi sarei
cacciata!
Nale:
(andando ad abbracciarlo)
Zìlio caro fraèlo ti domando perdono se ti
ho ingiuriato, in sempiterno e credimi che ho
pagato il ghiaccio dell’inverno con 'sta frotola
dilviaggio all’inferno, che per poco non lo truovo
davvero di starci condannato.
ZILIO:
Ala fine Nale ti sei comportato proprio
male male. Nale, Nale, non si fa così.
TAMIA: Ha avuto granda ragione, 'sto caro figlio,
Zìlio, amoroso Zìlio, di picchiati ‘sto colpo di
coltello! Volevi la sua Betìa senza farglialcun regalo!
BETIA:
Ah, furbacchione ti sei messo in fantasia
di prendermi senza nulla pagare diltuo!
NALE:
E cosa sarebbe dilmio che dovevo dargli
in cambio?
BETIA:
E’ comiil gioco delle carte alla primiera:
fante chiama la donna, donna chiama un fante e si
accoppiano tutti quanti.
NALE:
Non capisco, mi pare che dietro ci sia
uno strambo intento.
TAMIA: Apri bene il cervello Nale... la Betìa parla
di un aggiustamento di fare cosa mai fatta…
cosa,
che nilnaturale si combina in due, ma in tre è ancor
meglio 'sto diletto.
In quattro poi è il mariazzo piùperfetto!
NALE:
Da due a duei in quattro? A darsi gusto?
BETIA:
Sì, hai inteso giusto!
Darsi il gran contento in comunanza.
NALE:
Apriamo bin la danza! Quattro
contenti?
E ogne notte ci tiriamo a sorte?
ZILIO: Sì, teniamo aperte tutte le nostre porte e
portamenti. Se tu ti accontenti, son contento
anch’io!
NALE: Bene! Da 'sto momento sia fatto! Che dite
femmine nostre?
TAMIA: Che siamo stracontente dilbilbello!
NALE: Facciamo 'sto patto di scambiarcie potte e
rapanelli.
BETIA: Non c’è bisogno di scritture di notai…
tocchiamoci le mani comifanno i bovari.
ZILIO: Che sia fra noialtri accomodato che ogniun
si potra dare tutto il piacere che lo vorra! No!, non lo
faro giammai domani!
Subito!
NALE:
Che, se siamo
conssenzienti e pur contenti…
Zìlio E Nale: (in coro)
Non ci sara neanche peccato!
Tamìa:
E comidice il proverbio:
"Fino in quattro è amore...
in cinque, è orgia!"
NALE:
Che, se siamo consenzienti e pur
contenti, non ci sara peccato.
FRANCA 21 Partiti i quattro
Meneghello che è restato nascosto a
spiare entra in scena e commenta
esterefatto
Meneghello: Potta, ma cosa sta
capitando?!
Prima Nale sta morto,
la Betìa, femmina
dell'assassino,
piange, e non ha conforto.
Poi arriva disperata Tamìa
moglie dell'assassinato...
che voleva sposarsi con me.
Lamenti, passioni e
strappacuore!
Risorge l'anima dilmorto
dal gran spavento lei, la
moglie
(si) muore.
Ma lui, anche se bucato
(ferito) da coltello,
non è spirato.
Comiper incanto
risorgono tutti e due,
l'uomo e la moglie
e fanno allegrezza e grandi
abbracci,
giunge anche il compare
che l'ha ucciso.
Si baruffano?
No! Tutti si pacificano e si
mettono
in armonia di scambio:
si danno il contento.
Ah, che buon matrimonio!
E io, perso d'amore
mine resto solo
abbandonato
comiun pagliaccio?
Tutti s'imbucano al caldo
e io sto di ghiaccio?
Così mi avrebbero
scaricato?
Vogliono farsi una ballata
di quadriglia
scambiar passo,
far figure nuove...
cingersi alla vita!
E coricarsi su un unico
paglione (materasso)?
E se mi intrufolassi anch'io
in questo matrimonio a
scambio?
Ah io non sono coglione!
Io, Meneghello, sono così
bravo
in questa danza!
Potta di mia madre, con
tutta riverenza,
se c'è posto per quattro
ce ne sara anche per
cinque.
Non c'è differenza...
Aspettatemi che arrivo
anch'io!
FRANCA 22
LA BETIA DELLA MOSCHETA
Ma tornando alla Betìa della
Moscheta, vi stavo dicendo che non
solo questa donna s'è tirata appresso
nel suo trasloco in città il marito, ma
pure Menato, compare di Ruzzante,
che è stato suo amante qualche
tempo addietro, di cui lei ora non ne
vuole più sapere.
Ora vi mostreremo tre
corteggiamenti alla Betìa.
Il primo di Menato, il secondo di
Tonìn, il soldato bergamasco, e il
terzo sempre alla Betìa, del marito
Ruzzante, travestito da studente, che
vuole mettere alla prova la donna.
Via con il primo.
FRANCA 23
ATTRICE: BETIA sta sull'uscio di
casa con un cesto in mano e chiama
le galline. Le si fa incontro
MENATO.
Traduzione
Betìa: Pio, pio, pio… madre santa
dovi si saranno cacciate ‘ste galline?
MENATO: Dio vi dia salute,
comare. Sapete se è in casa il mio
compare?
BETIA: (brusca) Non so dovi sia
andato. Salute. (Accenna ad
andarsene).
Una cittadina… non vi si puo
neanche parlare.
BETIA:
Sono quilche sono!
Se io sto a Padova, voi, fatemi il
piacere di restarne fuori.
MENATO: Ci sto di certo... fuori,
per forza ci sto.
Quelche prima, nei
campi mi sembrava aver profumo,
ora mi pare abbian puzza.
E io me ne vado nei campi e passo
dove stavamo (voi e me) insieme
a ragionare abbracciati…
mi sento venire una smania a
strappacuore, che mi disfo (sciolgo)
tutto comi il sale nella minestra.
E perchè?
Per vostro amore, traditrice ch'altro
non siete!
Per il dololore che mi fa
non reuscirò
a favellarvi (parlarvi)
e... dirvi parole.
BETIA:
Bene, adesso le parole le
avete dette e anchele favelle... Che
volete ancora da me?
MENATO: Perché siete così crudele
e velenosa?
BETIA:
A dirvelo in una parola
non voglio giammai
più esser matta come
sono stata con voi.
Giammai più, per tutta la vita!
E in casa di mio marito, poi!
MENATO:
Giammai più per
tutta la vita?
A femmine siete proprio come
le foglie che sballonzolano come
spunta il vento.
Ma vi siete pure dimenticata delle
parole che mi dicevate?
BETIA: No, non le ho dimenticate.
Sì, vi dicevo che voi eravate la mia
radice,
la mia felicità,
il mio consigliere
il mio conforto.
E che per tutta la vita mia sareste
sempre stato voi.
Che io vi arei tenuto sempre nel
mio cuore.
MENATO:
E allora? Lo dicevo
per gioco?
BETIA:
Aspetta che non ho
ancora finito…Ti dicevo che quando
mangiavo ti vedevo nel pane
Ti dicevo che quando mangiavo e
come bevevo ti vedevo nella
scodella e bevevo anche te.
MENATO:
A 'sta passione
adesso cosa è capitato?
BETIA:
E’ capitato che con
'sto venirmene in città,
ho voluto dare un colpo di scopo a
tutto quello che stava nel paese: alla
biava, agli alberi,le zolle, lo strame e
la terra… all’amore (fatto di)
nascosto (che si devi nascondere) e a
tutto quello che è piantato, fiorito e
cresciuto. Tutto l’ubriacature di sto
amore
che mi straziava il cuore
e mi stondorlava
stordiva il cerevello.
MENATO:
No Betìa, voi non
potete abbandonarmi
in 'sta maniera.
Betìa scappate (fuggite) via con me!
BETIA:
Mi venga piuttosto
una saetta che
mi fulmini!
Non ci fu giammai
nessuno dei miei parenti che sia
andato via con qualcuno.
Io, voglio potere
guardare negli occhi i cristiani. Io!
E adesso se avete ancora
voglia di ciarlare, ciarlate per conto
vostro, compare.
Franca 24
Franca: Passiamo ora al secondo
corteggiamento che è quello del
soldato bergamasco. Ancora
vediamo la Betìa col suo cesto che
sta aprendo l'uscio: all'improvviso,
si trova davanti il soldato Tonin
(che parla lombardesco)
Spaventata, arretra.
BETIA:
Uuh! A m'avete fatto
mancare il cuore!
TONIN: Mancare il cuore? A ma
non può mancare a chi non ce l’ho
più.
BETIA:
No? E dove è andato?
TONIN: Si è infilato nel vostro
bel seno tondo e stagno, cara
faccetta dolce.
BETIA:
Nel mio seno non ho il
cuore di nessuno, io!
TONIN: Sangue del cànchero!
Com’è
possibile che bellezza e crudeltà
stiano insieme?
Ho veduto io, uomini e femmine
d’ogni generazione, ho visto
buoi, vacche, scrofe, porcelli e
anche
un elefante, ma mai son riuscito
a innamorarmi, se non di
voi,
cuoricino mio dolce...
che quando vedo quei vostri
occhi
lucenti comi specchi
e languidi come velluto
e le labbra rosse di
ciliegia
e quei denti bianchi
profumati
mi bolle il sangue
come fa d'agosto il vino
nel tinazzo del mosto.
BETIA:
Lucenti come specchi?
Oh avesse visto come ero
qualche tempo fa! Altro che ciliegie!
Ero tutta pomi e meloni, come
muovevo
svelta come una cavalla
al Palio!
Tenevo occhi di
sfarfàla!
Adesso son quasi
sfiorita.
Avevo pelle così liscia e
stagna
che con le unghie non si
riusciva a
graffiarmi.
TONIN: Oh Dio, sarei pur pieno
di fortuna se mi voleste un po’ di
bene.
BETIA:
Ma chi vi vuole male?
Non voglio
male a nessuno io...
Credetemi... A voi poi,
signor Tonino, non voglio male.
TONIN: No? Vorrei che vi
entrasse un poco
del mio amor nel seno
(cuore).
Che anche voi provaste
come mi
ritrovo pieno di
tribulazioni
e affanni... che mi vanno
per il cervello
per amor vosto.
BETIA:
Vi dirò la verità, io:
Voi non siete per me,
messere,
né io, sono per voi.
TONIN: Mi dite di no?
Son soldato da
quattordici anni... io!
Mi rifiutate neanche
fossi un
pataro? Un facchino buono a
nessuno (a niete)?
(Le cinge la vita).
BETIA: Non dite così, a me. Dico
che non siete da mie braccia. (Si
divincola appena).
TONIN: Ma potremmo avere
delle braccia giuste se ci
abbracciamo!
BETIA:
(sfuggendogli) Dico che
no, non voglio!
TONIN: E adesso, che debbo fare
io dunque... con 'sto tronco che mi è
spuntato! (Esce dal personaggio e si
rivolge al pubblico:)
Se non l'aveste capito qui c'è
un'allusione piuttosto grevi
all'eccitazione vistosa di Tonin
(rientra nel personaggio) E adesso,
che debbo fare io dunque... con 'sto
tronco che mi è spuntato!
BETIA:
(ride con malizia)
Adesso, fatevelo in brodo,
così che tutti n'abbiano!
TONIN: Vorrei una grazia da
domine deo
e poi sarei contento per un bel
pezzo.
BETIA:
Anch’ io ne vorrei una.
TONIN: Che vorreste visino mio
bello? (L'abbraccia).
BETIA: Ditelo prima voi.
TONIN: No, prima ditelo voi.
BETIA:
Vi prego, ditelo voi
d'innanzi. (lo cinge col braccio).
TONIN: A vorrei essere un cesto,
e che adesso,
che andate a dar da mangiare
alle galline,
mi teneste per il manico.
BETIA:
(ride) E i vorrei che
tutto quello che mi
viene per le mani doventasse
polenta di fatto!
ATTRICE: BETIA e TONIN ridono
e si tengono abbracciati... ma sul
più bello sentono arrivare il
RUZZANTE. TONIN s'allontana.
FRANCA 25
TERZO CORTEGGIAMENTO
Franca: Menato incontra Ruzzante,
vengono a discorrere della fedeltà
delle donne. Menato provoca
Ruzzante a verificare la fedeltà di
Betia. E come? Basterà che
Ruzzante, si travesta da studente
forestiero indossando un abito alla
spagnola che Menato gli procurerà...
poi Ruzzante, travestito, proverà a
corteggiare la moglie.
RUZZ.:
(pavoneggiandosi
nell'abito tutto sboffi e fronzoli)
Guardami! Vorrei bin incontrar
qualcuno che avesse ilcoraggio di
dire che non sono uno spagnolo!
(Va alla porta di casa e s'appresta
a bussare)
Ah, ah, bisogna che non
scoppi a ridere in faccia alla mia
Betìa.
Càncaro, son pure un gran
farabutto ad arrangiarle
uno scherzo
tanto, alla mia femmina!
Mi sento come uno che si
squarcia le scarpe in punta
per scoprirsi le dita dei piedi.
(Bussa) Olà! Chi sta lo quivi in
codesta casa?
BETIA:
(affacciandosi alla
finestra) Chi è quello?
RUZZ: Io mi, sono. Mi conoscete io
me?
BETIA:
Da donda siete voi?
Non vi conosco, io.
RUZZ.:
(si nasconda il viso col
cappello)
Io mi, sono della Italia
di Firenze
come a dire napolitano... e
dunque
anche un poco spagnolo.
BETIA:
E in quale modo mi
conoscete, voi?
L’invasione dei francesi…
io ero alloggiato in casa vostra.
BETIA:
Siete sicuro? Non mi
ricordo, io.
RUZZ: Sapete perché vi sembra di
non conoscermi? Guardatemi bene.
BETIA:
Non guardo uomini che
non cognosco, io.
RUZZ: Non mi coriconoscete
perché
non siete degna di colui che vi
vuole bene.
BETIA: Mi sembra sì di avervi
veduto.
Pensate che io non sia degna di
guardarvi?
Sono degna di guardare un cane,
io,
vorrei vedere che non... un
cristiano.
RUZZ.: E io me, son cattàto (preso)
d'amor per voi
mi sono strasformato in
un cristiano incanàto.
Se volete èsser la mia morosa,
vi darò da los dinéro.
Guardano qua se mi mancano.
(Scuote la borsa dei denari che ha
soffiaato al soldato).
BETIA:
A vi dirò, che non parlo,
con gente che non vedo illo volto.
RUZZ.: Ma io mi verrò in la casa
vostra,
dentro in la camera vostra
camera ...
ci guardaremo tutti... da su e da
sotto.
BETIA:
E se poi si venisse a
sapere?
Lo sapesse mio marito?
A farei un bel guadagno, io!
RUZZ.: (smascherandosi) Deh, pòta
di chi t'ha fatto!
Ohi, che t'ascolto a dire?!
Tu mi farsti dunque becco?
BETIA:
O Deo santissimo! Che
mi arriva?
RUZZ.: Scappa pure dove vuoi, che
non
te sarai sicura nemmeno dietro
all'altare.
Voglio chiudere bene ‘ste
porte che nessuno
non mi ti possa togliere dalle
mani.
FRANCA : E qui c'è una trovata di
teatro straordinario. RUZZANTE
con tecnica che potremmo definire
cinematografica taglia a mezzo la
scena. Interrompe l'azione calando
il sipario e riprenda la storia
saltando di netto la lite.
Ritroviamo RUZZANTE
abbacchiato e sconfitto, incalzato
dalla BETIA, piangente, che è
riuscita a ribaltare totalmente la
situazione.
BETIA:
(piange) Ma tu mi
credevi così scema e
allocchita da non averti
riconosciuto subito, appena
hai
aperto bocca?
RUZZ.: Ma perchè non me l'ha
detto
e scoperto all'improviso, allora.
BETIA:
Volevo sincerarmi fin
dove
eri malnato... da venirmi a
giocare trappole
per poi scoprirmi infedele...
Infame che sei (sei un infame!)!
RUZZ.: Per quello sei stata dentro il
gioco?
Oh, sei ben cattiva anche tu!
BETIA:
Sangue da càncaro,
cattiva io? (Piange)
Ma allora che vale
dimostrarsi in ogni momento
retta, onesta femmina da ben
se poi ti ritrovi con uno
perfido che ti cimenta
in trappole per godere di
farmi cadere come puttana?
Basta! Me ne andrò in un
monastero.
RUZZ.: No!... Non andare! Perdono!
Te domando perdono
doppio ATTRICE: BETIA sta sull'uscio di casa con un cesto in mano e
chiama le galline. Le si fa
FRANCA 26
PENSIERI E DIALOGHI DI
INNAMORATI
DARIO
PRESENTAZIONE
?
Ruzzante: Oh Fiore, mio sangue,
mio amore! Non posso più
mangiare, né bere, né dormire… né
fare altra cosa di 'sto mondo che va
alla rovescia... tanta doglia, tanta
smania, tanto bruciore (fuoco) e
batticuore mi prende, tanto che mi
sembra d'aver dentro lo stomaco,
palate di brace infuocata. E son tutto
in follia che se non lo vedo, 'sto mio
fiore mi sento morire… e come mi
arriva d'innazi agli occhi mi sento
svenire... tanto che mi pare che ci sia
uno che mi succhia (fa il verso)
fuori tutta il midollo dalle ossa.
E’ un dolore che mi procura più
sofferenza dei tormenti della fame
nelle carestie quando stavo sempre
per svenire.
Ma quello eran rose e viole rispetto
di 'sto amore... perché alla fine un
rimedio lo trovavo: era abbastanza
riuscissi a magiare qualche pezzo di
pane, o una rapa, e il dolore si
scioglieva.
Ma ora (qui) non si scioglie
giammai... più cerco di cacciarmelo
di dosso, più cresce la scalmana che
mi sento \squarciare e mi vengono
certi brividi che mi soffocano e vado
tutto in acqua per il sudore... (al
pubblico) Non avete mai provato
‘ste dolori-doglie-ambascie, voi?
'Sto sangue freddo... i pallori, il
batticuore? E come avete fatto a
campare o scampare la morte-?
Avete provato mai a morire e a
resuscitare?
Io non riesco, io voglio morire e poi
restare interrato-sepolto!
Mi hanno detto che è un bel morire
quando si muore da disperati… è la
verita? Qualcuno di voi l’ha vissuto?
Alzate una mano!
Ma come si può ammazzarmi senza
farmi male?
Sono sicuro che se mi ammazzasse
lei, ‘sto mio Fiore morirei senza
provare nessun dolore.
Oh morte, a ti prego, vai nelle sue
mani di lei e dalle la libertà di farmi
morire.
Che dolciore, che soavità sarebbe
per me morire per le tue care mani...
con le tue dita che mi si chiudono a
strangolarmi il gargarozzo... mi
vedo soffocare a pococ a poco: la
faccia si tinge d'un violaccio, gli
occhi scoppiano fuori… vado,
stròpio, muoio... ultimo rantolo… e
dico: “Ti amo!”.
E appena sarò morto desperato verrò
col mio spirito assatanato addosso a
te, crudele mio fiore, te farò
annegare in un fosso... e poi ti
trascinerò desnuda sulla riva… in
preda a singulti, brividi e
sbattementi d'agonia e alfine ti farò
quello che non potrei giamai farti da
vivo. Così da morto mi sazierò
tanto vivàz che me piàse.
FIORINA: Càncaro!, 'sto Ruzzante
sa parlare bene: “Non conosco
nessuna – dicevate - che mi possa
far più contento quando v'incontro.
Fiore infiorato, che profumate di più
di ogni pigmento o balsamo!
Vi fare burla di me? Dico, volete
strizzarmi le cipolle negli occhi?
Che quando io vi volevo bene…
sconvolta d’amor come ero, che se
avessi buttato il mio cuore in un
secchio pieno d’acqua non avrebbe
saputo lavarmi il sangue morto che
c’era all’intorno… che per amor
vostro ero pronta a diventare la più
svergognata ragazza di tutto il
padovano... fino a Ferrara.
Per te mi ero conciata-ridotta che
non sapevo più dove mi trovavo:
camminavo e i miei occhi erano
sopra le nuvole, correvo alla ricerca
della tua voce, cantavano gli
uccelli… e il mio cuore zompettava
a saltellini sui rami con i fringuelli.
Sfarfallavano le parole nella bocca e
cantavano a ninna nanna come
desidero dormire con te!
Quando io ti volevo così bene, sola
mi lasciasti… una primavera sola tu
mi facesti ballare!
“Sangue del càncaro! - mi dicevi Sempre nel piacere ti farò stare.
Quante feste si fanno in Padova?
Bene, voglio che tutte siano nostre!
Voi Fiorina, danzatrice e ballerina,
e io il vostro danzatore ballerino. E
andremo girando, rotando...
facendo figure, vi lancerò nell’aria
per prendervi nella capriolagiravolta-pirolette e scambi di
mani e incrociar di passo e contro
figure e poi abbracciati a rovescio...
scalmanàti!
Ma poi ho ballato una premavera
sola.
(Al pubblico) Poh, è proprio usanza
di voi uomini di promettere festa,
gioco e carnevale e poi farti dono di
una quaresima.
E noi povere femmine crediamo
ogni cosa… e ci facciamo menare
per il naso e anche per le chiappe…
andiamo facendovi tutti i piaceri che
vi si possono fare. E voi poi, quando
siete stufi, ci lasciate piantate come
un palo a tener su la vigna o come
massimo riconoscimento con un
capellone in testa, allargate le
braccia, dritte nel campo di
frumento a scacciare i passeri e a
paventare i corvi.
Franca 27 (nel Dialetto
questa parte è eliminata?)
FRANCA
ATTRICE: Rientra in casa
chiudendo l'uscio. Ruzzante
resta comio un cane
battutto, umiliato e
disperato. In oltre Betìa, per
vendicarsi dell'affronto, va
nella casa di TONIN.
Ruzzante va a battere alla
porta dil soldato, rivuole la
sua donna. TONIN la fa
uscire dopo essersi preso
gioco di Ruzzante. Ruzzante
sfida TONIN. Il soldato non
vuole infierire, gli interessa
di più tenersi buona la
Betìa, quindi non accetta la
provocazione, resta in casa.
Convinto d'averlo
spaventato, Ruzzante si
mette in combutta con
MENATO per affrontare
insiemio il bergamasco e
massacrarlo di botte. Lo
aspetteranno al primo
crocevia nella notte.
Ruzzante resterà sul
cantone, MENATO starà
dietro l'altra strada per
prenderlo alle spalle. In
verità il suo intento è quello
di recarsi nella casa della
Betìa e far con lei l'amore.
Così fa.
Ruzzante armato di tutto
punto, scudo, spada e
pettorale di ferro, sta tutto
rannicchiato contro il muro,
trema di paùra.
RUZZ.: Pòta! al sangue di
me.
Son pure in pericolo il
mio compare mio mi va a
cacciare sempre
in 'sti luoghi da restare
scanati.
Io voglio porre 'sto
piede innanzi con lo
scudo dietro alla schiena.
Son pronto a buttare
via 'sta spada...
che nel combatter
mio potrei
infilzarmici.
Dal dietro la casa di Betìa
giunge l'eco dello scontro
fra MENATO e TONIN.
Grida, fracasso, ombre
passano in proscenio, colpi
di bastone, urla. S'intuisce
che MENATO sta caricando
di botte TONIN. Ruzzante,
coperto dallo scudo cerca di
darsi alla fuga, si scontra
con uno dei due. Si volta e
va a sbattere contro un
pilastro, e poi di nuovo
rotea la spada centrando il
muro, cade, si rialza,
ricarica. Pazzo di paùra va
inciampando, sbattendo
contro pilastri, muri. Alla
fine si prenda anche una
gragniuola di colpi da
MENATO che, dopo aver
bastonato il soldato
bergamasco è risalito in
casa della Betìa, fra le sue
braccia.
RUZZ.: Sono morto…
vado a morire senza
manco essermi
confessato.
Dirò un patre nostro
prima di spirare.
Patre nostro che sei
nel cielo di qua e di là
vieni un fiato (un attimo)
giù in 'sto terreno
(terra).
Abbi pietà,
liberami dei miei peccati
ma non liberare gli
altri
quelli che mi hanno
di botte picchiato.
MENATO, dopo aver
consumato esce dalla casa
di Betìa e si pone alle spalle
di Ruzzante fingendo di
venire dalla strada.
MENATO: Siete voi
compare? Cosa vi è
capitato?
RUZZ.: Sono di già in
viaggio per l'aldilà.
Mi hanno accoppato.
MENATO: E’ vostro 'sto
scudo, compare?
RUZZ.: Sì pòtta del
càncaro!
Adesso, compare, quando
siete partito
partìssi, io son restato
al
cantone per guardarmi
bene d’attorno. Non so
com'è
vedo luccicare non so
che: mi sembrava un
fuoco…
e sì era un fuoco.
Gli vado incontro…
mi pareva un piede
e poi due piedi, e poi
una gamba
e poi due gambe, apresso
vedo un busto
e poi una testa d'orco
sopra al busto
e attaccate al busto due
braccia...
e si ingrandisce
alto... gigante, e mi viene
addosso.
Mi riparo con lo scudo
e lui soffia un vento
tremendo
che pare un mulinone e
va rotando
braccia e spade... e fuoco.
E io sgargàsso da spada
e punto fondo
e slanzo di taglio e paro
da roèrso, e sbato.
Ma a quell'orco spunta
un'altra testa con capelli da
serpente
e lingua infiammata...
e fulmeni che gli escono
dal naso
e scoregge di fuoco dal
culo.
MENATO: Oh, morbettina!
E non avete avuto paura?
RUZZ.: Paura, mi? Credo
che mi sono cagato
addosso…
e anche spisciacchiato
dappertutto…
son tutto bagnato fradicio
rotto e
strasonà.
ATTRICE: Betìa esce
terrorizzata sull'uscio.
Betìa: Pace! Pace!
RUZZ.: Pace? Ma con chi?
Betìa: Voglio che tu me
lo prometta.
(Si porta le mani al viso e si
pone in ginocchio).
RUZZ.: prometto di non
fare che?
Betìa: Di non picchiare più
gente e fare ‘sto massacro.
RUZZ.: Con chi non far
massacro?
Betìa: Con il soldato.
RUZZ.: Con quel
balbión batezzato in un
truogolo dei
puorci? E dove
vuoi che lo prenda adesso?
Betìa: E’ qui in casa.
Dice che gli sei corso dietro
Che si è scontrato con te
e che tu gli hai dato botte
come fossi un toro infuriato.
RUZZ.: io, toro infuriato?
E gli ho dato botte?
Betìa: E sì, è tutto sangue
che, a vederlo si piange
quasi son morta.
Fate la pace, Fate pace!
(Le mani giunte, lo
supplica).
RUZZ.: Ah, adesso
comprendo cosa è arivato
(successo): credo che
è ststo quando m’è
sembrato di contrarmi con
l’orco mulinante.
Betìa: Orco mulinante?
RUZZ.: Son ben forte e
fiero io. Quando mia madre
e mio padre mi hanno
generato essa
avea una corazza
indòsso allo stomaco,
lui, mio padre,
teneva un pettorale di ferro,
l'elmo e la spada
indrisàda di punta.
Sono così abituato a
venire alle mani, io,
ARRIVAT
A QUI
che quand non tengo
qualcuno con cui attaccare
briga
verrei alle mani con me
stesso.
Sì, adesso mi viene
ben chiaro in mente: io
Credevo di picchiare nel
muro con lo scudo,
e avere dato di stòco
su un pilasto
ma era con 'sto
bergamasco che mi battevo.
Deo dei cristiani,
è pur vero che qundo
vado in furore (m’infurio)
scambio uomini per case
e guerieri per alberi,
portoni per orchi e giganti;
mi butto che faccio
orrore
e smulinàsso botte da
ogni parte.
In verità sentivo pur
gridare: "Pietà! Pietà!"
Ma non ero capace di
arrestarmi.
Uscito di cervello come
Rolando. Ero io.
Un'armata intera ghe
sconcàssi.
Malcapitato 'sto soldato...
che avevo pur
avvisato di non
sprovocarmi a me
che son pericoloso
che quando mi parte il
vento le mie
braccia si arrampicano
fino al cielo.
Scaragàsso portoni
portàle
Famiglie inere, cavalli,
vecchi,
monache e preti
fin sull'altare!
Son un castogi...
la maledizione di Dio!
PENSIERI E DIALOGHI DI INNAMORATI
Ruzzante: O Fióre, meo sàngue, meo amór! Non pòsso pì magnàre, né bévere, né dromìre... né far
altra còssa da 'sto roèrso mondo... tanta duògia, tanta smagnia, tanto brusòre e sbatecòre micata, che
miparèse d'avere deréntro ilstòmego palàda da braçe enfogàde. E son tutto in folìa che se no la végo
'sto mifióre misénto a morire e comila mi'riva d'enànzi a li uògi misénto desvegnìre... tanto che
mipare che ghe sìpia un che misciuscia (fa il verso) fòra tutta la medòlla da le òsse.
M'è un dolór che mienfrìca majór soffrànza che non era i torménti da la famiin le carestìe quand che
a staséa sempre per desvégnire. Ma quèlo gn'era ruòse e viuòle a respèto da 'sto amore... perchè a la
fin un remèdio lo truovàve: l'era abàsta mireossissi a magnàre qualche tòco da pane, o una rava, e lo
dolóre se deslenguéva.
Ma chi non se deslèngue gimài... pì a çérco da cazzàrmelo via da dòsso, più grèsse la scalmàna che
misénto sbregàre e mivegn çèrte sgrìsole che le misofféga e vago tutto in aqua per suòr... (al
pubblico) Avìt giamài provàt 'ste duògie, voi? 'Sti sàngui frègi... i palór, i sbaticòre? E comia i fàit a
scampàre? Ai provàt a crepàre e resussitàre?
Mi non riésso, mi a vòi morìre e po' restàre enterà!
Migh'han dito che l'è un bel morìre quand se muòre da desperà, l'è verité? Quaicun da voi lo gh'ha
visut?
Valzé unaman!, quaicùn.
Ma comia s'puòl mazàmisanza che mifaghe male?
A son segùro che se la mimazàsse éla, 'sta miaFióre, a morarìe (moriràe) sénza pruovàr negùn dolóre.
O morte, a te priégo, vaghi in le so man da éla e daghe liberté che la mifaghi morìre. Adesso che
dolzóre, Adesso che suavité misaràe morìre per le to care man... co le tòe didi che misèra a stròsascràngolo al gargòs... mivégo sofegàr da poco a poco : la facia se tigne d'un violaciòn, li uògi sbòta
fòra a stciopetón, vago, stròpio, Adessoro... ràntulo ùltemo e digo: "Te amo!".
E quando apéna ché a sarò Adessorto desperó a 'gnirò cil mispirto satanà adòsso a ti, cruèl mifióre, te
farò negàre int'un fosso... e despó te anderò a strasicàre desnùda su la riviera tutta catà da sengùlti,
sbrìvidi e sbateménti d'agonìa e alfìn te fagarò quèl che non poèsto giamài farte da vivo. Cossì da
morto miasazerò tanto vivàz che mipiàse.
FIORINA: Càncaro che 'sto Ruzzante al savìa bòn parlare: "A non cognósso neguna - ildicevo - che
mipoèsse far pì conténto comiche v'encontro. Fiore infiorà, che parfumé pì da ògne piménto o
bàlzemo!"
Vi fì sbùrla da mi? A digo, vorzìt strissàrmile sigòle in di uògi? Che quando mi a vi voléa bén a vu,
stravezzà d'amor che gi-éro che chi l'avèssi butà ilmicòre in un ségio impiegnì d'aqua non gh'avrìa
savut lavàrghe ilsàngue muòrto che ghe s'era d'intórno, che per amór da voigéro preparàdà a 'gnir la
pì svergognàda tósa da tutto ilpavàn... fino a Feràra.
Per ti mis'éro acconzàda che non savìo e do' miretruovévo: caminàvo e i miuògi i éreno da sóvra le
nìvole, coréndo a la ziérca da la tua vóz, cantàva i osèi, ilmicòre zompetàva a balzelìni sui rami cói
fringuèli. Sfarfalàre le mie parole in la bóca e i diséva a nina e nana comidesìo dormìr con ti.
Quando mi te vorséo sì bén sola ti milaghièssi stare, una premavera sola ti mifagìsti balàre!
"Sàngue dilcàncaro! - ti midisìi - Sempre in d'un piasére te ghe farò stare. Quante fèste se fano in
Pavana? Bòn, a voglio che tutte supìa nuòstre! VoiFiorìna, danzuósa e balarìna, e mi lo vuoistro
danzóso baleré. E anderém ziràndo, rotàndo... faéndo figure, vi lanzerò in ilàire per catàrvi in
sperolète e stciàmbi da man e incrosàr da passo e contra figure e po' embrasàdi da rovèrso...
scalmanà!
Ma po' ho balàt una premavera sola.
(Al pubblico) Poh, l'è pruòprio usànza da voiuominii a promèter fèsta, ziògo e carnavàle e po' farte
dón da una quarésema. E nu poère fèmine a creón da ognicossa. E se fóm menàre per ilnaso e anco le
ciàpe, andémo fazèndo tutti i plagér che vi se pòssi fare. E voipo', can a' si stufi, a ne laghé impiantò
comiun pale a tegnìr su la vigna o per màximo reconossiménto con un capelón in crapa, slargàdi i
brassi, drissàdi in dilcampo dilforménto a descàr li pàsseri e sparaventàr li còrvi.
PROLOGO ALLA "PIOVANA"
Ma prima devo dirvi qualcosa a proposito dil linguaggio. Ammettiamo subito che il pavano parlato
dal Beolco, Ruzzante, è un linguaggio ostico, quasi incomprensibile. Ve ne do una prova:
UNA LINGUA MORTA
Che, at sbolzonò? Cos'hai trafitto?
Le puòti sgoliàr: lo potevi risparmiare. - In il può: neanche fosse un. Ibro jandussò: appestato - I li è pur gamgòi: l'avevi pure riconosciuto
I le stùpie: tra le canne. - Tuòte, tuòte! Dagli, dagli! - E' un çenghiaro abàvo che: è un bil cinghiale,
mettetevi di punta - A cuoro ve acazìsse: è facile che ci aggredisca. -- Tolive d'apónto da nè! Toglietevi dal suo naso! - O bòn spelàzo l'hè chi a lò: o che bell'animale è già qui. - A 'l dare do' bén:
a darci soddisfazione.
Molte compagnie di teatro che avevano messo in scena commedie dil Beolco, Mauri, Parenti,
Baseggio... rispettando alla lettera il testo originale, si dovettero rendere bin presto conto della
difficoltà di comunicare con il pubblico, che rimaneva attonito e, le più volte, staccato, addirittura
estraneo alla rappresentazione, perfino quando si recitava nil Veneto.
Nelle successive repliche, quelle stesse compagnie, furono costrette a sostituire i termini originali più
astrusi e incomprensibili con espressioni più accessibili, in veneto o addirittura in padano attuale... se
non in una specie di italianesco camuffato.
In questo genere di riadattamento, il difficile, è mantenere i giusti fonemi, le cadenze, i ritmi
particolari, le assonanze e le onomatopeiche originali dil Ruzzante.
L'altro problema con Ruzzante è sempre stato il comico, o meglio, il produrre divertimento e ilarità.
Non basta rendere attuali i termini, le espressioni presenti, è l'attualità delle situazioni comiche
consunte, che bisogna ripristinare nei testi dil Ruzzante, riuscendo a mantenere lo stile, l' irruenza...
la stessa cadenza comica. Guai se la si banalizza o la si renda gratuitamente triviale. Insomma, noi ci
siamo preoccupati di far arrivare il discorso dil Ruzzante che è certamente il fatto teatrale più
importante dil Rinascimento per tutta l'Europa. Speriamo di esserci riusciti. Là dove ci siamo
ytrovati di fronte termini comio "muzàr", che significa scxappare, o comio "jandùssa" che significa
opeste, ragóni... rospi...ecc. e di questi termini ce ne sono a centinaia comio si poteva risolvere?
Andavamo distribuendo un piccolo vocabolario o glossario a testa?
ANTIPROLOGO
DARIO: Prima di cominciare vi voglio leggere un messaggio: ascoltatelo con attenzione.
"Dovendosi questa sera recitare una commedia antica, non biasimate se la troverete in verso o in
lingua non tutta pulita. Io la scrissi ma, se io stesso fossi vivo in questi tempi, non farei le mie
commedie in altra maniera che di questa medesima di cui ora siete spettatori. E ancóra vi prego che
non vogliate far giudizio né paragone di questa, con quelle che ho lasciate scritte.
Vi giuro che elle furono recitate altrimenti che non sono stampate oggidì, perché molte cose stanno
stanno bene nellapenna, ma sulla scena stanno male."
Chi parla così è il Ruzzante, in persona o meglio Angelo Beolco, detto il Ruzzante, autore-attorecapo di compagnia dil '500.
Quello che avete ascoltato è l'antiprologo della Vaccària o Vaccarìa... una commedia ripresa della
Asinària di Plauto dal Ruzzante stesso.
Chi viene in scena a darci il messaggio è un folletto mandato da Plauto in persona, e noi potremmo
questa sera raccontare a nostra volta che Ruzzante c'è venuto a consigliare: "Se io stesso fossi vivo,
oggi, non reciterei le mie commedie nella stessa maniera in cui le avevo recitate allora.2
Dobbiamo ammetterlo: Ruzzante era veramente un rivoluzionario, oltre che il nostro più granda
autore-attore dil Rinascimento.
Ma il massimo della chiarezza riguardo il modo giusto di riscrivere e rimettere in scena commedie
antiche, Ruzzante lo esprimio nil prologo della Piovana, andata in scena nil carnevale dil 1533, aveva
più o meno 33 anni.
Insomma, noi ci siamo preoccupati di far arrivare il discorso dil Ruzzante che è certamente il fatto
teatrale più importante dil Rinascimento per tutta l'Europa.
Speriamo di esserci riusciti.
Là dove ci siamo trovati di fronte termini comio "muzàr", che significa scappare, o comio "jandùssa"
che significa peste, ragóni... rospi... ecc., e di questi termini ce ne sono a centinaia, comio si poteva
risolvere? Andavamo distribuendo un piccolo vocabolario o glossario a testa?
No, abbiamo risolto con le iterazioni o con incastri. Per esempio: "cojombaro-cojon", "sbolzonò da
frezze", dove sbolzonó significa frecciate!
Oppure, tutte le iterazioni di "ragazza", "non mio tocàr a mì che són fiòla, tósa, puta e gersonèta".
Ma soprattutto, anche lá, dove abbiamo tradotto con termini accessibili, abbiamo cercato di rispettare
assolutamente il tessuto originale. Ecco, lo ribadisce lo stesso Ruzzante: "Il tessuto è la cosa più
importante".
Ascoltiamo, infatti, cosa ci viene a dire, a questo proposito, lui di persona nell'introduzione della
Piovana.
666 PLAUTO RUDENS
LA PIOVANA
"Or è témpo che se comènza co' 'sto pruòlogo.
Ogniùn tasa... che sentirì da noèle bele e nuòve... e, se a gh'hit pacénçia e ingégn... gh'avarìt anco
deverteménto.
Végno ad avisàrve che 'sta nuòva istòria l'è da puòco che l'è fata. L'è pur vera che ascoltarìt un tiàtro
tajà e tornìd in un legnàmio vègio. Ma non è tanto il vègio o il nòvo che cónta. Da quél vègio àlbaro
moàltri sémo pur nassiùdi. E comio podarèssemo conóssere, al fin, dónda se vòlo arivàre se non
savém da donda a sémo vegnùdi?
E po' non gh'è quèl pruovèrbio antìgo che dise: "Trista la sìbia quèle comuneté che non respècta un
vègio!?". Pur che s'inténde, quèl vègio non te végna a regordàrte in ògne moménto che lu l'è sàvio,
che tégne gran 'speriénzia, che soiaménte l'idéa sòa l'è ziùsta e bòna. Ti sèt zióvin stràmbulo ti e da
segùro ti va a sbajare. Così che a un estànte ti sbòti: "Vègio! Ma vate a cagàre!" Se po' qualche d'un,
intànto che sémo a rezitare, se valzeràsse in piede disiéndo: "Mi lo gh'ho già sentùdo quèl parlaménto
o quèl respètto diàlogo o anca l'istòria"... non metìve a criàr: "Sta bon, silénzio... state sentà! Sbaté
fòra st'inbriàgo!" No, il gh'ha resón quèl, non l'ha dit unaròba stramba: non se pil pì far da nòvo o
favelàr al'improvìsa che non sìbia stà già fato, scripto, actùado, e i te dise: "Oi furbàsso, una végia
idéa, un poch marscìda te ne la servìda ?".
Dicevo un gran filuosòfo, con securtà apsolùta, che noàltri séom al mondo adèsso, ma ghe sémo già
stàit purànco mila e mila ani indrìo. Mi, a' jére mi, e vu giéri vui... quègi éreno i altri... e i altri éreno
quègi... e, pasàdi che seràn àlteri mila ani, quando l'àbia fato tutto un ziro, non so quale gran ruòda, a
torneròn a èsser chi ancóra: mi chi-ló, dal latino, in piede devànti a vui, vui lialó sentàdi a far lo
pùbleco spetaór.
Mi, a favelàrve da actór, vui a 'scoltàrme... zuoiósi o tristi... che depénde.
Mi che a éro stàit mi, a sarò ancóra io mi, e vui che iéri stàit vui, sarì ancóra vui, e 'ste parole che
mila ani àntes i gera parole, sarà ancóra le mismio parole e a ghe saràn, comio mila ani passàdi, quèi
speaòr che inténda e descòvre... e i rida o piàgne... quèi che piàgne perchè non le inténda e quèi che
manco morti, le vòl inténde... C'erano già allora gli abbonati!
E ghe sarà anco quèi che ghe parerà da avérle già ascolté 'ste parole... comio aóra ve càpita a vui!
A qualcùn se puòl penzàre che quèsta scriptùra da comédie sìbia stada robàda o pejór manometùdaacconzàda. Ma emmaziném: che un, retruovàsse un vègio còfano e ghe descovrìsse dentro un
vestiménto... un abito, da quèi che se soléa portàre in il témpo antìgo, da tàio e fòggia desmetùda. E
da po', che il descòvre che 'sto panno, il tesùto, l'è ancòra bòn, e san e preziòso, emaziném, che il
faèsse tajàr in 'sto panno: corsètt, vèste a giùbe, gonèle per vivi a la manera nuòstra. E la fòggia
antìga, ghe la lassàssi per i morti.
A sarìa rubàre quèst? E sarìa smanomètere da vilàn... e strafugàre?
No, in veretà!
Adesso bén, cossì l'è entravegnù. L'è capità, per 'sta nuòstra-noèla-istòria-teatràda, che la gera fata
per i viègi antìghi, muòrti... che non i gh'è più... e scripta con parole desmetùe, che non son bòne per
vui che sit viviénti.
Cossì, mi, che son maìstro a 'sta comédia... e stò in èsto mondo, gh'ho lassà le suò parole ai muòrti...
e a quèi spetaór che i créda d'esserevivi soiaménte perchè nisciun gh'ha avùt il coràio da advisàrli che
són morti da un pèsso e quèl medèsmo descórso che i volevofare... quèle parole, da morti, le gh'ho
acconçió per vui, per i vivi e non gh'ho tolto negùn pensaménto... niénte gh'ho tolto, si non lo scuro.
TORMENTONE
RINNOVATE, FATELI
VIVI I CLASSICI
incontro MENATO.
Pire, pire, pió. Matre santa, indóvi se sarà
cazà 'ste galìne?
Dio vi daga salùt, comàre. Savìt se l'è in casa
MENATO:
ilmé compare?
BETIA:
(brusca) A non sò dónda sia andò, a la fè.
Salùt. (Accenna ad andarsene).
MENATO:
Specìt un fià. Deo gràssia, da quant si 'rivò
chì in Pava sit deventà unagran siòra, una
çitaìna. Non vi se pil manco far descórsi.
BETIA: A són quèl che són.
Se mi stò a Pava voi, fémiil
plagér, restì da fòra.
MENATO:
A ghe stago per çièrto... fòra,
per fòrza ghe stago.
Quèl che prima, ai campi miparèse avér
BETIA:
parfùmo, Adesso mispuza.
E mi ghe vago ai campi e spasso dónda
stavìssemo voi e mi
a rasonàre
ambrassàdi... e misénto 'egnìre 'na
smànea, un strapelaménto, che a
midesfàgo tutto comiilsale ne
la menèstra.
E perchè? Per vostro
amore, tradidóra ch'altro non sèit!
Per il dolór che mifa non reussirò
a favelérve... dirvi parole.
BETIA:
Bòn, Adesso le parole le avìt disìe e anche le
favèle... Che volìu ancóra da mi?
Perchè sit sì cruèl e venenósa?
MENATO:
BETIA:
A dìrvela int'ùna paròla
a non vòi giamài
più esser mata compàgn
che sont stada con voi.
Giamài più, per tutta la vita!
E in casa dilmé marìo, po'!
Gimài più per tutta la vita?
MENATO:
A fèmine sì pruòprio comile fòie
che sbalànza comispica ilvénto.
Ma ne gh'haìt pur desmentegà
da le parole che midisìo?
No, non e gh'ho desmentegà.
BETIA:
Sì, vi disìo che voi giéri la mia
radìs, ilmio conténto, ilmio consèjo
ilmeo confòrto. E che per tutta la
vita méa lo sarèsse sempre stàit vu.
Che mi v'avarìa tegnùt
sempre in lo còre.
E allora? Diséo per ziògo?
MENATO:
BETIA:
Specchia, che non gh'ho fornìt.
Te dicevo che quand magnàvi
te vidéo in lo pan,
e comebivévo te vidéo in la scoèla
e te bivévo anche ti.
MENATO:
E da 'sta pasión Adesso cossa ne gh'ha capità?
BETIA:
N'é capità che con 'sto vegnìrmi
in çità, gh'ho vorsùd darghe
una bòta da ranza a tutto quèl che stéva nilpais:
a la biàva, ai àrbori, le zòle
ilstramie la tèra... a l'amor nascondùo
e a tutto quèl che gh'è piantà, florìt... e cresùt.
Tutto l'embriagaménto da 'st'amore
che mistrazàva ilcòre
e mistondorlàva il çervèl.
MENATO:
No Betìa, voi non podìt abandonàrme
in 'sta manéra.
Betìa scapé via con mi.
BETIA:
Mivégna pitòsto una saèta che
misfùlmene!
Ilnon gh'é fu giamài nicùn
dilmiparentò che andàsse
via con quaicùn.
Mi, vòi poér vardàrghe in
ti uògi ai cristiàn, a mi!
E adessos sì gh'avìt ancóra
vòia da ciarlàre
ciarlìt per cónto vostro compare.
FRANCA 3
ANTIPROLOGO
DARIO: Prima di cominciare vi voglio leggere un messaggio ascoltatelo con attenzione:
"Dovendosi questa sera recitare una commedia antica, non biasimate se la troverete in verso o in
lingua non tutta pulita. Io la scrissi ma, se io stesso fossi vivo in questi tempi, non farei le mie
commedie in altra maniera che di questa medesima di cui ora siete spettatori. E ancora vi prego che
non vogliate far giudizio né paragone di questa, con quelle che ho lasciate scritte.
Vi giuro che elle furono recitate altrimenti che non sono stampate oggidì, perché molte cose stanno
bene nella penna, ma sulla scena stanno male."
Chi parla così è il Ruzzante, in persona o meglio Angelo Beolco, detto il Ruzzante, autore-attorecapo di compagnia dil'500.
Quello che avete ascoltato è l'antiprologo della Vaccaria o Vaccarìa... una commedia ripresa della
Asinaria di Plauto dal Ruzzante. Chi viene in scena a darci il messaggio è un folletto mandato da
Plauto in persona, e noi potremmo questa sera raccontare a nostra volta che Ruzzante c'è venuto a
dire: "Se io stesso fossi vivo, oggi, non reciterei le mie commedie nella stessa maniera in cui le avevo
recitate allora.
Dobbiamo ammetterlo: Ruzzante era veramente un rivoluzionario, oltre che il nostro piùgranda
autore-attore dilRinascimento.
Ma il massimo della chiarezza riguardo il modo giusto di riscrivere e rimettere in scena commedie
antiche, Ruzzante lo espriminilprologo della Piovana, andata in scena nilcarnevale dil1533.
Aveva piùo meno 33 anni.
E' Ruzzante stesso nei panni di una nuova maschera, Garbinello che parla.
FRANCA 4
ANTIPROLO PLAUTO RUDENS
LA PIOVANA
"Or è tempo che se comènza
FRANCA 5
CONTROLLARE SE PRESENTAZ. FILA CON BRANO DIALETTO
974 e tamia, nale
LA MOSCHETA
ANTIPROLOGO:
FRANCA: Adesso, parliamo un po' delle donne e della loro condizione all'inizio dil'500 a Padova e a
Venezia.
Tanto per cominciare, Venezia era molto piùpopolata di quanto non lo sia oggi. Gli abitanti
raggiungevano il numero di 160 mila. Oggi è ridotta a circa 90 mila persone.
Nil'500, causa le carestie, le guerre contro i francesi e i suoi alleati, le guerre contro l'Austria che
invadeva le terre della Repubblica Veneziana, la gente dilcontado s'era riversata in massa in Venezia
a cercar lavoro e tranquillita. Si calcola che gli immigrati, tutta gente dilcontado, fossero arrivati a
superare i 60 mila.
Le donne prostitutte al tempo dilRuzzante erano piùdi 40 mila, senza contare i loro papponi.
La Repubblica di Venezia cerco di relegarle nilsestiere dilCastelletto... ch'era diventato il ghetto
dilpeccato... Esiste una tela famosa di quiltempo che ci presenta la sfilata delle gondole che, a
centinaia, transitano nilCanal grande. Dentro ogni gondola stanno bin spaparanzate, a far bella
mostra di sé, una o due prostitutte tutte imbellettate e con le zinne bin spinte in fuori... insomma
donne libere che presentano la loro mercanzia. Sui ponti, migliaia di veneziani e forestieri che
applaudono, gesticolano, fanno apprezzamenti piùo meno scurrili.
La sfilata delle "pütane" era l’avvenimento piùseguito e applaudito, superava perfino quanto a
partecipazione l'elezione dilnuovo Doge.
La Repubblica, con leggi, editti, retate di polizia, cerco per tutto il '500 di sfoltire quella massa
enormidi peccatrici, ma non ci fu niente da fare... crescevano ogni anno. Le prostitutte e il loro
mercato incidevano in modo troppo salutare sulla economia della citta.
C'erano, inoltre, in gran numero le "pute da bén"... quelle donne che, comila Dina nil"Bilora", si
trasformavano in concubine fisse di mercanti, grossi artigiani, liberi professionisti in genere. Fra
l'altro, non è azzardato indovinare che anche nilParlamento dilRuzzante la professione della sua
donna, la Gnua, fosse quella di prostitutta, piùo meno professionista, protetta dal classico pappone...
il bravaccio della commedia, appunto.
E le altre, le cosiddette costumate signore rispettabili che, comici fa sapere con ironia lo stesso
Ruzzante, s'erano ridotte anche nilpadovano ad un numero davvero esiguo... che ruolo avevano nella
societa?
Scopriamo, grazie alle commedie dilBeolco, che la donna dilveneto era molto piùemancipata e libera
di quanto non fosse nilresto d'Italia e d'Europa... a cominciare dal potere che deteneva nella famiglia.
Per esempio, la Betìa della Moscheta, decida di lasciare le terre e i campi dilpavano per trasferirsi
nella capitale della Serenissima. E' lei in prima persona che ha preso questa risoluzione. E il marito,
volente o nolente devi abbandonare vacche, asini, cavalle e montoni per seguirla. Lei è donna
autonoma, risoluta... e non è costretta da legge alcuna a soccombere. In questo caso... non certo
eccezionalmente... sono gli uomini che sono costretti alle sue regole... E' lei, la Betìa, che tiene il
gioco.
Così nil“Parlamento” e nil“Bifora”, le due protagoniste decidono della propria vita con razionalita e
determinazione a dir poco impressionanti. Non c'è né lusinga né violenza dei loro maschi che le
possa far desistere da cio che hanno gia scelto.
Nella “Piovana”, Resca, la vecchia moglie, offesa dal comportamento dilmarito, se ne va di casa
portandosi via pentole, cazzuole, posate, canestri ricolmi di cibo... e guai a chi prova a fermarla.
Spunta qualche eccezione. Succeda nella “Fiorina”... Di lei, vistosa e avvenente giovane contadina,
sono innamorati due uomini: Ruzzante e Marchioro.
Ruzzante si batte per lei con Marchioro che gliele da di santa ragione.
Fiorina propenda per il vincitore, se ne sente innamorata.
Ruzzante, aiutato da una banda di amici suoi, decida di rapirla, costringerla a far l'amore con lui e poi
risolvere tutto cil classico matrimonio riparatore alla maniera siculo-calabrese dei giorni nostri.
Il fatto orrendo, satiricamente sottolineato dal Ruzzante, si scopre essere l'accomodamento:
un’anziana testimone va a raccontare all'innamorato contendente, il Marchioro, comila Fiorina rapita
si divincolasse, scalciasse, chiamasse aiuto. Anche con la bocca tappata, i suoi occhi chiedevano
disperatamente alla vecchia di venirle in soccorso.
Ma Marchioro non creda affatto che Fiorina sia vittima e innocente, anzi, reagisce cil sospetto, è
convinto che Fiorina sia stata consenziente e che tutto quildivincolarsi da scalmanata, quelle urla,
non fossero altro che una sceneggiata per eccitare vieppiùl’aggressore.
Solo il padre della ragazza la creda innocente: è convinto che il fattaccio sia stato architettato e messo
in atto da Ruzzante e soci contro la volonta della figliola. E' furente, s'è armato e va deciso a farsi
restituire la figlia e punire i ribaldi. Per strada incontra il padre dilRuzzante. Questi lo implora di
venire ad un accomodamento, di lasciar le cose comistanno… uno scandalo sarebbe a tutto
svantaggio della figliuola. Calmato il primo furore vedrai... accettera, serena e contenta, il
matrimonio cil Ruzzante. In fondo, lui, il rapitore, è buon lavoratore e le portera gran rispetto... anche
se, per averla, non l'ha affatto rispettata…”
Inoltre c'è da frenare la rabbia dilMarchioro che, a sua volta gabbato, è furente, pretenda pesante
vendetta.
Il padre di Ruzzante propone l'accomodamento finale: offre a Marchioro in riparazione, al posto di
Fiorina, la propria figlia (sorella dilRuzzante)... è bella, splendente, è forte e lavoratrice, ognuno la
vorrebbe per sposa. Il Marchioro accetta di buon grado.
Nessuno si preoccupa di interpellare la nuova promessa: chiederle che cosa pensi di quilmercato.
Nessuno si preoccupa nemmeno di andarla ad avvisare. E qui, con la sua denuncia va giu davvero
pesante il Ruzzante: "Si avvisa forse una manza... una giovenca, prima di venderla a un nuovo
padrone e portarla alla monta?
L'autore, il Beolco, fa dire al padre dilRuzzante che la sta cedendo al Marchioro:
"Vedrai che io non ti faccio imbrogli
è gran bella e vale anche più
di ogni putta che che ci sia in tutto il padovano!
Mettila pure a lavorare nilmodo
e a quilpartito che vuoi.
La puoi portare dovi ti pare.
Ti dico che non si tira mai indietro
ma sempre si ficca innanzi e non è mai
stanche al lavoro.
Marchioro, eccitato, risponde:
"Andiamo, presto che a mi tira una voglia di starle appreso a 'sta
vostra figliuola..."
Per la sua bellezza, grazia... intelligenza?
No.
"Non voglio giammai lasciarla... se è così brava a lavorare!"
Mariazzo
INIZIO TRAGEDIA
In scena Zìlio, Nale, Betìa.
Zìlio:
Nale:
Zìlio:
Betìa:
Zìlio:
Nale:
Oh, hai pur finito di farmi becco, porco traditore! Ora ti voglio mangiare il cuore!
Non lo fare cancro, non lo fare!
Tieni! Infamighiottone!
No, lascialo stare... per amor mio!
Taci puttana! (Accoltella Nale e fugge)
Ohimé Dio... sono morto,
mi hanno ammazzato!
Betìa:
Oh triste, me, sconsolata!
Ma perché l'hai tu ammazzato?
Ora comifaro io,
che avevo messo in conto
di avere due mariti...
Comiriuscirai tu solo, Zìlio
a fare che non mi venga a
mancare 'st'altro.
Oh poveretta midi merda
che ora sono restata
con un solo maschio!
Dio! Comiper poco
si ammazza un uomo!
(Esce la Betìa, mentre portano via il marito avvolto in un lenzuolo. Taçìo, contadino saggio e avveduto è stato testimone
dilfattaccio e commenta)
Tasìo:
Poveretto te Nale!
Hai voluto
troppo scherzar cil fuoco.
Facevi la ronda (corte) a 'sta ragazza
la portavi in carriola
le facevi le capriole tra le sue sottane e le gonnelle
ad amoreggiare...
Accontentati! No signore, vai
anche a sbertucciare da becco
al suo prossimo marito!
Non ti accontenti di un pertugio
ne vuoi due?
Anzi, quattro, con le chiappe. Ah!
E allora beccati 'st'altro buco tu,
nella tua di carne!
E poi vai intorno a dire
che son le femmine sole
la cagione di tutto il malanno
che arriva al mondo.
Sì, è anche vero...
Voi femmine tutte...
senza offendervi, siete bucate
in ogni luogo
pure nilcervello!
Ma cari signori maschi
non scarichiamo tutta la (ogni) responsabilita
addosso alle femmine,
che nostra, è la colpa massima
che facciamo e disfiamo ogni
trappola perché, loro femmine
nostre ci facciano becchi
e infine... ci stracciamo
le vesti e piangiamo da traditi.
Guardiamoci bene negli occhi
uomini, tutti quanti,
in verita voi pensate
che se noi maschi fossimo
nei panni loro... di queste donne
credete voi che si troverebbe
mai una donna dabbene?
Oh, no... d'incanto ci apparirebbe
un mondo
solo di puttane!
Sento sua moglie, la Tamìa
straziata che suo marito
è stato amazato.
Oh l'ascolterete ora piangere...
che non è mai capitato
che una moglie volesse
così bene a un uomo
comivuole la Tamìa a Nale
so marito acoppato.