Rassegna Stampa del 03/01/2011

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Rassegna Stampa del 03/01/2011
AESVI
Rassegna Stampa del 03/01/2011
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INDICE
AESVI
Il capitolo non contiene articoli
VIDEOGIOCHI
03/01/2011 Il Sole 24 Ore
BIT
4
02/01/2011 Il Manifesto - Nazionale
The Last story, in attesa del sogno elettronico
5
31/12/2010 Viver Sani e Belli
Videogiochi si o no?
6
31/12/2010 Mark'Up
Nei videogiochi l'interattività prosegue anche nei blog dedicati
8
03/01/2011 Win Magazine
Metti il turbo ai giochi
10
03/01/2011 Win Magazine
GLI ALLEGATI DEL MESE
11
31/12/2010 Il Sole 24 Ore Online 08:27
La campagna russa di Facebook in cerca di nuovi utenti
12
02/01/2011 Il Sole 24 Ore Online 02:28
Nel regno dei nativi digitali
13
02/01/2011 Il Sole 24 Ore Online 03:04
Che cosa sta facendo internet ai vostri neuroni
15
02/01/2011 Il Sole 24 Ore Online 03:10
Nel suk dei nativi digitali. Perché gli studenti 2.0 hanno bisogno di una bussola per
orientarsi
17
02/01/2011 Il Sole 24 Ore - Domenica
Nel regno dei nativi digitali
19
02/01/2011 Il Sole 24 Ore - Domenica
Cosa sta facendo internet ai vostri neuroni
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VIDEOGIOCHI
12 articoli
03/01/2011
Il Sole 24 Ore
Pag. 25
(diffusione:334076, tiratura:405061)
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BIT
TABLET
Display di 5 pollici
per Evelin di Nilox
Nome accattivante per questo tablet. Evelin ha un display di 5 pollici, utilizza Google Android, ma la
connettività è solo wi-fi e manca il Gps. Un tablet entry level che nel raggio degli hot spot wi-fi offre tutte le
funzioni dei Google tablet. La memoria è di 8 Gb espandibili. Costa 199 euro.
SMARTPHONE
L'Optimus è avere
un dual core
Arriverà a febbraio Optimus 2X, googletelefonino di Lg con processore Tegra 2 dual core. Onboard c'è
Android 2.2 ed è previsto l'aggiornamento alla release 2.3 Gingerbread quando disponibile. La Cpu dual core
aumenta le prestazioni multimediali enfatizzate dalla capacità di registrare video in full Hd e la compatibilità
con lo standard Dnla. Non manca la porta Hdmi e grazie all'accelerometro e al giroscopio si trasforma in
console per videogame.
MONITOR
Tecnologia attiva
per il 3D di Acer
Misura quasi 24 pollici lo schermo dell'Acer Hs244Hq, pannello 16:9 full Hd che offre il 3D con gli occhialini
attivi. Ottimo per i videogame 3D, si può collegare al set-top box o a un lettore Blu-ray. Peccato manchi il
sintonizzatore tv.
VIDEOGIOCHI - Rassegna Stampa 03/01/2011
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02/01/2011
Il Manifesto - Ed. nazionale
Pag. 13
(diffusione:24728, tiratura:83923)
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VIDEOGAME 2011 Successi in Giappone poco visibili da noi. Le meraviglie virtuali
The Last story, in attesa del sogno elettronico
Federico Ercole
Sono molti i titoli di videogame venturi che alimentano i sogni elettronici dei videogiocatori hardcore, quasi
tutti usciranno in contemporanea mondiale e riempiranno gli scaffali dei negozi. Tuttavia ce ne sono altri il cui
destino è più incerto, videogiochi considerati di nicchia e poco appetibili per il mercato occidentale, opere che
in Giappone vendono tantissimo ma che da noi non producono il profitto sperato. Come The Last story,
progetto di Hironobu Sakaguchi, il creatore di Final Fantasy che dal flop economico del film F F Spirit Within
ha progressivamente perso potere sulla sua invenzione fino ad abbandonarla del tutto con la fondazione di
una sua nuova software house, la Mistwalker. The Last Story è un gioco di ruolo con un innovativo sistema di
combattimento vettoriale e la musica del geniale Nobuo Uematsu. Il tema centrale della vicenda è quello delle
emozioni, che determineranno in parte anche la salita di livello dei personaggi. È una esclusiva per Wii ed
essendo coprodotto da Nintendo c'è da sperare che, non troppo tardi, arrivi anche da noi.
Xenoblade è un altro gioco di ruolo per Wii, in Giappone è distribuito dalla scorsa estate ma per ora una sua
localizzazione occidentale sembra esclusa. Peccato perché è un videogame sviluppato dalla Monolith Soft e
da Tetsuya Takahashi di Xenogears. Splendide le immagini che ci fanno sognare di camminarci virtualmente,
con due robot dalle dimensioni planetarie pietrificati durante uno scontro cosmico. Su di essi si sono evoluti
diversi ecosistemi ma una minaccia atavica si sta per scatenare sugli abitanti. A chiudere Monster hunter
portable 3: finora i giochi di questa serie amatissima in Giappone poco giocata da noi sono sempre stati
distribuiti quindi è lecito sperare. I cacciatori di mostri che hanno già passato del tempo sui precedenti capitoli
dovranno dedicarsi anima e corpo e iniziare da capo una lunghissima e complessa partita perché gioco e
creature mostruose sono nuove di zecca. In Giappone dove è uscito da qualche settimana, MH3P (per PSP
Sony) ha già venduto milioni di copie e prima arriva in occidente prima inizieremo anche noi quella serie
sublime e faticosa fatta di disciplina ludica, ripetizione, esaltazione e frustrazione che ci porterà ad affrontare
e ed eliminare anche il mostro più pericoloso.
VIDEOGIOCHI - Rassegna Stampa 03/01/2011
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31/12/2010
Viver Sani e Belli - N.1 - 7 gennaio 2011
Pag. 90
(diffusione:178924, tiratura:864000)
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JUNIOR - COMPORTAMENTO Se sono adatti all'età del piccolo, non hanno controindicazioni. L'importante,
però, è che non si trascorra troppo tempo alla console
Videogiochi si o no?
' ono strumenti utili alla crescita del v3bambino o invece spingono soltanto i piccoli a isolarsi e a vivere in una
realtà virtuale? Da anni ormai si leggono giudizi, anche molto autorevoli, sul ruolo che i videogiochi
dovrebbero avere nell'educazione dei bimbi. Da una parte c'è chi tende a demonizzare questi prodotti,
affermando che portano i piccoli a vivere quasi in una dimensione parallela, dall'altro c'è chi li ritiene giochi
istruttivi, che possono anche favorire l'apprendimento di alcune importanti nozioni. Abbiamo cercato di fare un
po' di chiarezza sull'argomento, cercando di mettere in luce sia gli aspetti positivi sia i lati negativi dei
videogame. UN RAPPORTO "PRECOCE" CON LA TECNOLOGIA I bambini hanno una mente
estremamente recettiva e imparano molto in fretta. Per tanti genitori è sorprendente osservare come i propri
figli riescano in poco tempo ad acquisire grande dimestichezza con le tecnologie. Imitando gli adulti, già a
partire dai 2-3 anni i bimbi possono essere in grado di utilizzare, per esempio, un telefono, capendo che si
tratta di uno strumento che serve per parlare con persone lontane. Giocare per crescere Per i bambini, il
gioco non è un semplice divertimento, ma molto di più: l'attività ludica, infatti, è fondamentale per la loro
crescita. • Attraverso il gioco, ogni bimbo conosce se stesso e gli altri e in questo modo impara a socializzare.
Per una crescita sana, quindi, non c'è nulla di più importante dell'attività ludica. • Giocare aiuta il bambino a
sviluppare tutte le proprie capacità ed è questo il motivo per cui i piccoli vanno lasciati liberi di giocare; anche
se agli occhi dei genitori può sembrare che alcuni giochi non abbiano alcun significato, è proprio con questi
che i piccoli conoscono il mondo e formano la propria personalità. I videogame devono essere considerati
come una delle tante opzioni a disposizione dei bimbi, insieme ai giochi di società, a quelli di ruolo, a quelli
che si svolgono all'aria aperta eccetera. Sono necessarie anche altre attività Se i bambini trascorrono più di
un'ora al giorno giocando con i videogame, diventano sedentari. Per evitarlo, bisogna invogliarli a svolgere,
qualora non lo facciano già spontaneamente, anche altre attività ludiche. Tra queste, per esempio, quella di
calarsi nei panni della mamma di una bambola, giocare ai cavalieri oppure di fingere di cucinare, servono a
sviluppare la componente affettiva ed emotiva dei piccoli. Assumere ruoli diversi, infatti, è una tappa
fondamentale del processo di crescita. Serve buon senso A priori, è azzardato affermare con assoluta
sicurezza che i videogiochi abbiano effetti positivi sulla crescita dei bambini oppure che andrebbero loro
vietati. Come in ogni ambito dell'educazione, infatti, occorre avere il senso della misura, evitando gli eccessi.
Ecco perché non è giusto né demonizzare né esaltare i videogame. Piuttosto, è bene capire con quali
modalità è possibile concederli ai bambini perché possano diventare strumenti di crescita ed evitare che
abbiano effetti negativi su di loro. In ogni caso, è importante che il gioco prevalente nella vita dei bimbi sia
quello concreto, simbolico e pratico. Giocare aiuta i piccoli a capire, a conoscere e a "sperimentare" il mondo
che li circonda. Il momento giusto perché comincino a utilizzare i videogiochi, ma sempre senza esagerare,
coincide con l'inizio della scuola primaria (dopo i 6 anni). SE NON PIACCIONO, NON C'È ALCUN
PROBLEMA I videogiochi sono strumenti utili se vengono usati in maniera corretta e per il giusto tempo. Ma
se a un bambino non piacciono, i genitori hanno motivi fondati per preoccuparsi? Assolutamente no, perché
già a partire dalla scuola primaria i piccoli si avvicineranno alle tecnologie con un approccio di tipo educativo.
Spesso i videogame non piacciono ai bimbi particolarmente creativi e fantasiosi, che preferiscono le attività
manuali ai giochi della console, che sono più strutturati e lasciano meno spazio alla creatività. MAI PER PIÙ
DI UN'ORA AL GIORNO Se sono indicati all'età del bambino, dunque, di per sé i videogiochi non hanno
alcuna controindicazione. Sempre che, beninteso, non se ne abusi e non si trascorrano interi pomeriggi alla
console. Un bimbo, infatti, non dovrebbe passare mai più di un'ora al giorno tra videogame, televisione e
computer. Il rischio, altrimenti, è quello dell'isolamento. Per evitare questo pericolo, è importante che il
bambino non venga lasciato solo con la sua console. Con i videogame dovrebbe divertirsi insieme ai suoi
amici oppure con i genitori. Anche quando giocano da soli, è importante che la mamma e il papà
VIDEOGIOCHI - Rassegna Stampa 03/01/2011
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31/12/2010
Viver Sani e Belli - N.1 - 7 gennaio 2011
Pag. 90
(diffusione:178924, tiratura:864000)
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intervengano di tanto in tanto, spiegando la differenza tra finzione e realtà e facendo rielaborare loro il vissuto
del gioco. Da che cosa può nascere una dipendenza nei confronti dei videogame? Un bambino può diventare
"dipendente" dai videogame quando non ha alternative valide. Diverse volte mi sono sentita rispondere dai
bambini: "Gioco con il videogame perché non so che cosa fare". Bisogna, quindi, creare occasioni nuove di
gioco: mamma e papà devono far sempre far sentire a figli la propria presenza, aiutandoli a sperimentare
nuovi modi di divertirsi. Si possono recuperare i giochi "tradizionali", come nascondino, mosca cieca, mondo,
elastico, un due tre stella eccetera. Così anche i genitori vivono momenti spensierati con i figli, conoscendoli
meglio. Come far capire al bambino che è il momento di smettere con i videogiochi? Anche a 6 anni, età in
cui il bambino può iniziare a giocare ai videogame, è importante responsabilizzarlo. Visto che tra console,
computer e televisione un bimbo non dovrebbe trascorrere più di un'ora al giorno, si può programmare un
timer da cucina; una volta scaduto il tempo, deve essere il piccolo stesso a spegnere gli strumenti tecnologici.
Quali sono le alternative ai videogame che un genitore dovrebbe proporre? Non c'è che l'imbarazzo della
scelta: dai giochi in scatola adatti all'età del figlio alle carte fino agli scacchi, a cui i bambini imparano a
giocare molto velocemente e che aiutano a stimolare l'attenzione e la concentrazione. Inoltre, si possono
proporre attività manuali, in cui i piccoli utilizzeranno materiali differenti (pasta di sale, carta, legno, creta)
congeniali alla loro età e alla loro competenza individuale. Senza dimenticare i giochi "tradizionali" citati
prima, che oltre a divertire tutti, raccontano ai bambini la nostra infanzia. A molti bimbi, durante queste
attività, piace avere a fianco i genitori per condividere momenti ed emozioni uniche.
QUELLI VIOLENTI SONO DA EVITARE Se è vero che ci sono alcuni videogiochi che possono insegnare
nozioni importanti ai piccoli, ce ne sono altri che invece andrebbero proibiti. In particolare, si dovrebbe
categoricamente vietare ai bambini di giocare a videogame violenti, spiegando loro il motivo dei divieto. Tutte
le volte in cui i genitori comprano un videogioco ai figli dovrebbero leggere sulla confezione per quale età è
indicato e verificare la validità dei contenuti, scegliendo titoli che sviluppino comportamenti sociali adeguati;
così facendo, si evita che i bimbi si trovino di fronte a situazioni, quelle proposte dal videogame, che non
sono in grado di comprendere.
ALCUNI FAVORISCONO L'APPRENDIMENTO Certi videogiochi possono essere utili ai bambini perché
favoriscono l'apprendimento e per questo, sono un valido strumento didattico Oltre che dagli insegnanti e dai
libri di t e ì o I piccoli possono conoscere nuove S d a ' a l c u n i videogiochi,.che«JJJ» anche a risolvere, per
esempio, problemi di matematica.! programmi su cui si basano rerti videogame, inoltre, sono pensati a scopo
educativo e aiutano nella riabilitazione di disturbi specifici dell'apprendimento.
VIDEOGIOCHI - Rassegna Stampa 03/01/2011
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Mark'Up - N.195 - dicembre 2011
Pag. 66
(diffusione:21694, tiratura:30592)
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ACT VALUE: RACCOLTE E ANALIZZATE LE OPINIONI DEGLI INTERNAUTI SU 3 PRINCIPALI BRAND DI
CONSOLLE
Nei videogiochi l'interattività prosegue anche nei blog dedicati
1. Correlazione tra i contenuti presenti in diversi canali 2. Esperienza soddisfacente
Paolo Mosconi Andrea Barchiesi"
Genera dipendenza nei teenager, è il regalo di Natale più ambito dai bambini, le fidanzate la odiano, e i
genitori cercano di capire come funziona. La consolle per videogiochi non è solo un oggetto di divertimento,
m a è ormai diventata parte della vita quotidiana ed elemento che incide sulle relazioni familiari e sociali.
Dall'analisi delle conversazioni online sui principali marchi di consolle emerge infatti u n quadro molto
articolato sui soggetti che le utilizzano e le loro esperienze di gioco. In vista del Natale, tanti genitori utilizzano
i forum per chiedere consigli sui migliori modelli, divisi tra l'esigenza di risparmiare e quella di accontentare le
richieste dei figli. Poi nel corso dello scambio capita spesso che il genitore stesso tradisca il desiderio di
avere la consolle e di sceglierla anche in base alle proprie preferenze: vale sia per i papà sia per le mamme.
Dal lato dei giovani invece si rileva u n elevatissimo livello di competenza tecnica che viene messa al servizio
dei meno esperti all'interno di micro-comunità online. Un fenomeno diffusissimo è lo scambio di informazioni
sui sistemi per "craccare" le consolle e sui problemi che ne conseguono in termini di funzionamento degli
apparecchi. Molto attiva anche la pratica di scambio, compra-vendita e collezionismo online di consolle e
giochi nuovi e usati. Da un'analisi effettuata su eBay emerge che il volume d'affari medio giornaliero generato
dalla vendita di Playstation (Sony), Xbox (Microsoft) e Wii (Nintendo) supera i 130.000 euro. La rete è
protagonista anche nell'esperienza videoludica: tantissimi prediligono la modalità multiplayer online e
utilizzano i forum per cercare nuovi compagni di gioco. Questo meccanismo favorisce un'alto livello di
correlazione tra i contenuti presenti in diversi canali: per potenzialità delle varie consolle vengono ripresi e
commentati all'interno di forum e social network, piuttosto che direttamente sui portali di video sharing. La
competizione tra i maggiori produttori del mercato è molto sentita dagli utenti: si creano veri e propri
schieramenti e i supporter discutono animatamente sulle sfide all'ultima consolle. Un target così demanding
percepisce la competitività come un fattore positivo perchè apre nuove possibilità nell'evoluzione
dell'esperienza di gioco e alimenta l'aspettativa sull'innovazione tecnologica. Anche il pubblico femminile,
seppur con qualche resistenza, si sta avvicinando sempre più alla pratica videoludica: lo sviluppo di giochi
che favoriscono il movimento e l'interazione di molti giocatori è elemento di coinvolgimento per le donne. A
CONFRONTO Reputation Manager® ha analizzato le opinioni espresse dagli utenti del web sui tre principali
marchi di consolle: Playstation, Wii e Xbox. Nella distribuzione delle conversazioni (share of voice) prevale
Playstation (59%) rispetto a Xbox (28%) e Wii (13%). Playstation (80% opinioni positive, 20 X opinioni
negative). Sony, attraverso Playstation e le sue evoluzioni, è da sempre pioniera nel mercato delle consolle. Il
modello più discusso in rete è PS3, che è direttamente confrontabile con Xbox 360. Il punto di forza è
senz'altro la grafica: il sistem a blu-ray, brevettato da Sony, la definizione in Hd e l'home theatre, determinano
le migliori qualità video e audio rispetto alle altre consolle. D'altro canto molti utenti notano come l'esigenza di
promuovere una riduzione dei prezzi per competere con l'offerta Wii e Xbox, abbia portato Sony a trascurare
l'innovazione tecnologica, escludendo alcuni componenti hardware e creando problemi di retro-compatibilità
tra un modello e l'altro. Gli utenti sono molto soddisfatti della varietà e qualità dei giochi, e in costante
aspettativa di nuove funzionalità, come l'introduzione dei trofei perPsp. L'unico aspetto realmente negativo è il
prezzo: gli utenti giudicano la PS3 troppo cara rispetto alle offerte concorrenti e spesso preferiscono rivolgersi
al mercato dell'usato. Questo dato è confermato dal commercio su eBay, dove Playstation registra la
percentuale più alta di vendita di pezzi usati (40%) rispetto alle consolle concorrenti. Xbox (61% opinioni
positive, 39% opinioni negative). Xbox è la consolle che più spesso viene comparata a Playstation e preferita
da molti perchè permette di risparmiare garantendo un'esperienza di gioco soddisfacente. Il successo di Xbox
è legato soprattutto al servizio Xbox Live, che dà la possibilità di giocare online. La maggior parte delle
VIDEOGIOCHI - Rassegna Stampa 03/01/2011
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Mark'Up - N.195 - dicembre 2011
Pag. 66
(diffusione:21694, tiratura:30592)
La proprietà intelletuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
conversazioni si concentra infatti sulle modalità di accesso e gestione dei giochi all'interno della community.
Questo discorso è spesso legato alla pratica illecita di modificare le consolle, che pare più diffusa per Xbox
che per le concorrenti, e ai problemi che ne derivano in termini di possibilità di scaricare gli aggiornamenti.
L'unico aspetto negativo relativo a Xbox Live è che sia a pagamento, anche se è stata apprezzata
l'introduzione della PostePay Xbox che garantisce u n sistema di pagamento più sicuro rispetto alla carta di
credito. L'offerta dei giochi sembra esercitare grande appeal e su molti forum ricorrono le richieste di
informazione sui siti che permettono di effettuarne il download. Le discussioni tecniche lamentano un
problema molto diffuso dell'Xbox 360: l'accensione dei 3 led rossi in seguito al surriscaldamento, dovuto
probabilmente al fatto che la componentistica non è in grado di dissipare tutto il calore prodotto.
ESPERIENZA DI GIOCO Wii (68% opinioni positive, 32% opinioni negative). È riconosciuta da tutti come il
sistema che ha rivoluzionato l'esperienza videoludica in termini di interazione fisica e socialità. La Wii stimola
attivamente il giocatore a muoversi, a spendere energia fisica, rovesciando la modalità classica di fruizione
statica. L'immediatezza e la facilità di utilizzo, la particolare commistione tra reale e virtuale, permette il
coinvolgimento attivo e in co-presenza di più giocatori e la rende il gioco ideale per le famiglie e il
divertimento di gruppo. Appena uscita sul mercato si è parlato spesso dei rischi indotti proprio dalla fisicità del
gioco: dati su infortuni e danni agli oggetti circostanti sono citati in vari articoli online. Gli utenti tendono ormai
a considerare questi contenuti come inutilmente allarmistici e loro stessi producono simpatiche parodie e
video amatoriali per scherzare sull'utilizzo incauto del controller. Al contrario i più affezionati giudicano il
sistema di comandi estremamente preciso, atto a garantire un'ottima corrispondenza tra movimenti e
immagini. In definitiva chi è più interessato all'esperienza di gioco, al coinvolgimento e al risparmio predilige la
Wii rispetto alle concorrenti. Attualmente è la Wii a generare il volume di affari più alto su eBay: rappresenta
infatti il 50 x del totale registrato per tutte e tre le marche. "ActValue Reputation Manager
Playstation
xbox wii
LA METODOLOGIA Reputation Manager® utilizza un criterio di acquisizione dei contenuti che tende a
ricalcare il comportamento naturale degli utenti sulla rete (human search). Il software di ricerca ha raccolto
dati all'interno di tutti i canali internet: blog, forum, opinioni e recensioni, siti di news, video online, siti di enti e
associazioni, portali tematici. Sono state analizzate 12.126 pagine all'interno dei 358 domini che contengono
conversazioni avvenute nell'ultimo anno. Una redazione ha verificato ogni contenuto fornito dal software.
L'analisi di Reputation Manager® si basa su tre parametri: - Rilevanza dei contenuti: quanto sono positive 0
negative le opinioni espresse dagli utenti rispetto ai temi indagati - importanza dei domini: quanto sono visibili
sui motori di ricerca, autorevoli e frequentati i domini che ospitano le discussioni - Pertinenza delle
conversazioni rispetto ai domini che le ospitano: coerenza degli argomenti rispetto ai temi trattati nel dominio
Essi sono sintetizzati nel coefficiente di rischio reputazionale (Cerr®). Reputation Manager ha inoltre
sviluppato un modulo di analsi specializzato per le vendite su eBay in grado di rilevare dati sul tipo dei
prodotti in vendita (es. nuovo / usato), sui prezzi e sul volume d'affari generato, sulla distribuzione geografica
e sul rating dei venditori.
VIDEOGIOCHI - Rassegna Stampa 03/01/2011
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Win Magazine - N.13 - dicembre 2010
Pag. 26
(diffusione:132477, tiratura:234061)
Metti il turbo ai giochi
•C'è un modo per ottenere dal mio sistema il massimo delle prestazioni quando gioco? Come posso gestire e
ottimizzare le risorse dedicate a Windows quando è in esecuzione un videogame ?
L' aumento dei dettagli e la maggiore qualità grafica i dei videogame più recenti, va di pari passo con
l'aumento delle prestazioni necessarie per installare e utilizzare il titolo. Per inteso, non si può nemmeno
sognare di utilizzare gli ultimi titoli se non si è in possesso di un PC con hardware di prim'ordine. Proprio per
questo motivo, sulle confezioni o nel manuale d'uso fornito con il gioco, sono indicati i requisiti minimi e
consigliati che il computer deve soddisfare prima di inserire il supporto nel lettore. Se così fosse, saremo
sicuri di poter beneficiare di tutta la qualità grafica offerta dal motore del gioco; altrimenti, saremo costretti a
rinunciare a qualche dettaglio riducendo la risoluzione o disabilitando effetti e filtri che richiedono notevoli
risorse in più. Quando il computer non possiede nemmeno i requisiti minimi consigliati dal produttore del
videogame, allora c'è poco da fare e ahimè, dovremo rinunciare al divertimento. Il componente Windows
Anche il sistema operativo ha un ruolo importante quando eseguiamo un videogame, e questo
indipendentemente dal fatto che il PC sia più o meno performante. Quando avviamo Windows, le risorse
sono parzialmente occupate da processi e servizi attivi in background, alcuni indispensabili per il
funzionamento del sistema, altri superflui ai fini del gioco. Ottimizzando, quindi, RAM e CPU per dedicarne
una percentuale maggiore al gioco in esecuzione, otterremo benefici che si traducono in un'esperienza
videoludica più fluida. Mettiamo il turbo Per evitare che il sistema diventi instabile a causa di modifiche
"artigianali", e rendere quindi tutto più semplice, possiamo ricorrere a un software che si occuperà di
ottimizzare Windows al nostro posto, MZ Game Accelerator. Il programma ottimizzerà il sistema operativo
agendo su diversi parametri: innanzitutto, si occuperà di terminare temporaneamente i processi ritenuti non
necessari, e poi ridurrà il consumo di risorse della CPU impegnata dalle applicazioni in background per
dedicarne una percentuale maggiore al gioco in esecuzione. Noi non dovremo far altro che eseguire MZ
Game Accelerator prima di avviare la sessione di gioco, ultimata la quale ritorneremo in un attimo alle
impostazioni predefinite di Windows.
SERVE A CHI... . . . v u o l e usare il PC alla stregua di u n a console . . . v u o l e s p r e m e r e al massimo il
proprio c o m p u t e r a n c h e con i giochi
IL GIOCO "GIRA" SUL MIO COMPUTER? Prima di acquistare un nuovo videogame, è opportuno verificare
se il nostro PC possiede i requisiti necessari richiesti dal gioco. Le specifiche le troviamo sulla confezione
stessa, ma per evitare brutte sorprese e avere più dettagli sulle effettive prestazioni che il PC può offrire con
un determinato titolo, possiamo avvalerci del servizio Can You Run it?. Apriamo il browser Web e
colleghiamoci all'indirizzo www.systemrequirementslab.com/cyri. Digitiamo il nome del videogame da
acquistare (altrimenti selezioniamolo dal menu a tendina), e clicchiamo sul pulsante Can You Run It?.
Acconsentiamo all'esecuzione del componente aggiuntivo (Esegui) e attendiamo qualche secondo per
l'analisi del PC. Al termine conosceremo tutti i dettagli sulle risone del nostro PC e se queste soddisfano i
requisiti minimi e consigliati richiesti dal titolo.
Installiamo MZ Game Accelerator per ottimizzare Windows e le risorse del PC 1Scompattiamo l'archivio
mzgame.zip (presente nella sezione Giochi del Win CD/DVD-ROM) ed eseguiamo il file mzgame.exe.
Rispondiamo Si, clicchiamo OK poiché la lingua italiana è già impostata, proseguiamo con Avanti e quindi
Installa. Attendiamo il termine della procedura e usciamo con Fine. 211 prompt UAC ci chiederà nuovamente
di autorizzare le modifiche. Clicchiamo su Si per consentire l'esecuzione del software. Le quattro caselle
corrispondono ad altrettante ottimizzazioni su cui agire, contrassegniamole tutte e clicchiamo su Switch to
Game Acceleration Mode. 3La finestra Optimization Fleport mostra il progresso della fase di ottimizzazione
con i nomi dei processi e servizi terminati, nonché la quantità di risorse liberate. Ora possiamo iniziare a
giocare. Alla fine, ritorniamo alla configurazione predefinita di Windows cliccando su Switch to Normal mode.
VIDEOGIOCHI - Rassegna Stampa 03/01/2011
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La proprietà intelletuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Una risposta a tutto
03/01/2011
Win Magazine - N.13 - dicembre 2010
Pag. 47
(diffusione:132477, tiratura:234061)
80 PROGRAMMI GRATUITI FILM PER CELLULARE i Pag. 50 VIDEOGIOCO COMPLETO 140
PROGRAMMI GRATUITI FILM PER LETTORI DIVX, PC e DISPOSITIVI MOBILE «i Pag. 52 FILM IN DVD
VIDEO SOFTWARE COMMERCIALE 4 2 VIDEOGIOCHI COMPLETI LIBRO | 145 PROGRAMMI
GRATUITIFILM PER DISPOSITIVI MOBII , Pag. 56 2 FILM IN DVD VIDEO SOFTWARE COMMERCIALE
VIDEOGIOCO COMPLETO 145 PROGRAMMI GRATUITI FILM PER DISPOSITIVI MOBILE ìPag. 58 • FILM
IN DVD VIDEO a SOFTWARE COMMERCIALE ^ VIDE0GI0C0 COMPLETO % 145 PROGRAMMI
GRATUITI FILM PER DISPOSITIVI MOBILE h / - Pag. 54
VIDEOGIOCHI - Rassegna Stampa 03/01/2011
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La proprietà intelletuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
GLI ALLEGATI DEL MESE
31/12/2010
08:27
Il Sole 24 Ore Online
Sito Web
(tiratura:405061)
La campagna russa di Facebook in cerca di nuovi utenti
Se fosse un gioco, sarebbe una partita di risiko. Facebook è vicino a 600 milioni di utenti e ha raggiunto la
posizione di primo social network in gran parte delle nazioni in Europa,...
Se fosse un gioco, sarebbe una partita di risiko. Facebook è vicino a 600 milioni di utenti e ha raggiunto la
posizione di primo social network in gran parte delle nazioni in Europa, Asia, Africa, America e Oceania. Ma
guarda da tempo ad altri territori di espansione per arrivare a un miliardo di utenti. In Russia, per esempio, è
quinto tra le reti sociali online: deve sfidare Vkontakte. Lanciato quattro anni fa come clone di Facebook, ha
scommesso sulla condivisione di immagini e musica tra gli amici sul web.È diventato il social network in
cirillico più frequentato su internet: ha allargato i suoi confini anche all'Europa orientale e ai Balcani. Fa parte
dell'impero digitale del gruppo Mail.ru, un colosso che gestisce anche la rete sociale Odnoklassniki e altre
piattaforme per la comunicazione sul web, come la chat Icq e il servizio di posta elettronica Mail.ru. Ma
Facebook non demorde: secondo le rilevazioni di comScore, i russi sono i più assidui frequentatori di social
network con 9,8 ore mensili, rispetto a una media mondiale di 4,5 ore. L'altro fronte aperto è l'Estremo
Oriente, dove i confini tra reti sociali online, videogiochi e chat sono più sfumati. L'accesso a Facebook è
bloccato in Cina, una nazione con 300 milioni di persone che navigano sul web. Di recente Mark Zuckerberg,
cofondatore del social network, è volato a Pechino per visitare le aziende hitech locali: la prima tappa è stata
da Baidu, il motore di ricerca più utilizzato in Cina, progettato da due ingegneri informatici cinesi che hanno
studiato negli Stati Uniti, Robin Li and Eric Xu. Poi è andato a esplorare altri gruppi che hanno sviluppato
iniziative di successo su internet, come Alibaba. Il principale rivale nei social network è la piattaforma QQ,
gestita dal gruppo Tencent di Shanghai: nata come chat, è diventata un regno su internet che include spazi di
ecommerce e videogame. Ha anche una sua moneta elettronica, i "QQ coins", impiegati per gli acquisti sul
web. E da poco ha lanciato una rete sociale sul web. In altre nazioni l'avanzata di Facebook verso il primo
posto tra la popolazione online locale sembra inarrestabile. È ormai diventato il primo in India, dove aprirà i
suoi uffici per accogliere talenti del software. E in Brasile guadagna terreno in un duello per sottrarre il primo
gradino del podio a Orkut, la rete sociale progettata da Google.©RIPRODUZIONE RISERVATA
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tecnologie
02/01/2011
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Nel regno dei nativi digitali
Addio al vecchio sapere lineare fondato sulla parola scritta e sulla trasmissione di conoscenza maestroalunno: imparare oggi ha la forma di un suk arabo nell'ora di punta. Tra social...
Addio al vecchio sapere lineare fondato sulla parola scritta e sulla trasmissione di conoscenza maestroalunno: imparare oggi ha la forma di un suk arabo nell'ora di punta. Tra social network, video-racconti su
YouTube, la musica di MySpace, il linguaggio sincopato delle chat e le bufale online, gli studenti di nuova
generazione hanno bisogno di una bussola per orientarsi. Ma la scuola non c'è. O meglio, non ce la fa: a
studenti 2.0 corrispondono spesso istituti scolastici da secolo scorso. Chi sono questi famigerati «nativi
digitali», nati e cresciuti a rivoluzione internet compiuta? Come ha scritto l'ex direttore del programma
Comparative media studies del Mit di Boston, Henry Jenkins, la loro cultura è «partecipativa» e si fonda su
«produzione e condivisione di creazioni digitali» e su una «partnership informale» tra insegnanti e alunni, che
porta il bambino a sentirsi responsabile del progetto educativo. Il maestro non è più un trasmettitore di
conoscenza ma un «facilitatore», che fa da filtro tra il caos della rete e il cervello del piccolo studente.
«Frequentano gli schermi interattivi fin dalla nascita», spiega Paolo Ferri, docente di Tecnologie didattiche e
teoria e tecnica dei nuovi media all'Università Bicocca di Milano, «e considerano internet il principale
strumento di reperimento, condivisione e gestione dell'informazione». È la prima generazione (che oggi ha tra
gli 0 e i 12 anni) veramente hitech, che pensa, apprende e conosce in maniera differente dai suoi fratelli
maggiori. «Se per noi imparare significava leggere-studiare-ripetere, per i bambini cresciuti con i videogames
vuol dire innanzitutto risolvere i problemi in maniera attiva», prosegue Ferri, che studia e promuove da anni il
«digital learning». I bambini cresciuti con consolle e cellulare sono «abituati a vedere la risoluzione di compiti
cognitivi come un problema pragmatico», aggiunge. Lynn Clark direttrice dell'Estlow International Center for
Journalism and New Media dell'Università di Denver (Usa) ha condotto un progetto di ricerca su 300 famiglie
americane per capire come se la cavano con i media digitali. «Grazie ai videogiochi, il sapere dei bambini si
nutre di simboli, sfide e modelli sempre diversi di narrazione», spiega Clark che aggiunge: «quando le
modalità di apprendimento scolastico sono simili a quelle di un gioco ci sono maggiori chance che gli alunni
apprendano volentieri e in fretta». «Se qualcosa può essere visto, ascoltato, suonato, perché dovrebbe
essere raccontato a parole?», si chiede Paolo Ferri. L'articolo continua sottoNishant Shah, che a 26 anni
dirige il Center for Internet and Society di Bangalore in India, lo spiega così via Skype: «La tecnologia dei
nostri padri è quella televisiva: un modello analogico che stabilisce ruoli, responsabilità e struttura della
produzione, diffusione e consumo di conoscenza. Con l'esplosione del p2p - l'idea di una rete dove non esiste
gerarchia e tutto viene condiviso - i ruoli sono messi in discussione dallo studente, che si considera parte
attiva nella produzione di sapere e vede i libri come una fonte tra le tante». Se è vero che la frase «l'ha detto
internet» ha assunto tra i bambini l'autorevolezza di una sentenza della Cassazione, è innegabile che la Rete
sia la patria del vero-simile. «Internet sta ridisegnando i confini della verità - continua Shah - e questo pone
grandi sfide per gli educatori del XXI secolo: come si fa a imparare utilizzando fonti che non hanno
approvazione istituzionale? Come si può riconoscere un valido provider di conoscenza nel caos online?».
Anche il professore della Bicocca ammette che «la cut-and-paste culture e la presunzione di veridicità della
Rete» tendono ad abbassare la percezione critica degli utenti: «Internet diventa per i bambini "la fonte", a
prescindere dall'autorevolezza del sito e di chi scrive», dice. Se passa il modello Wikipedia, crolla
l'importanza dell'autore. O, come ha scritto l'antropologa Susan D. Blum sul «New York Times»: «se per lo
studente non è fondamentale essere unico, va bene usare parole di altri. Dice cose a cui non crede? Allora
va bene scrivere testi su argomenti sconosciuti con l'unico scopo di prendere un buon voto: conoscere è
diventato un mezzo per ottenere consensi e socialità». Per il momento le iniziative più interessanti di digital
learning riguardano i fratelli più grandi. Dal prossimo anno in 2.500 campus universitari americani arriverà un
software per pc, iPad e telefonini (il costo va dai 30 ai 70 dollari e il maggiore produttore è la Turning
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Technologies) chiamato «clickers», che permette all'insegnante di verificare il livello di attenzione dello
studente - immerso nella navigazione internet - chiedendo feedback sulla tastiera ogni 15 minuti. Il professore
di Harvard, Charles Nesson ha tenuto un corso virtuale su Second Life, mentre il progetto di educazione
civica «YouMedia», sponsorizzato dall'amministrazione di Chicago, promuove l'apprendimento attraverso
video-racconti pubblici di libri. Nella Woodside High School, in California, gli studenti hanno borse di studio
per comprare l'iPad, un centro multimediale da tre milioni di dollari e lezioni su come registrare la musica e
usare internet in maniera responsabile. Grazie ai computer economici del guru informatico Nicholas
Negroponte, tutti i bambini uruguaiani delle elementari hanno un pc. In Europa - che ha messo la competenza
digitale al quarto posto (dopo prima lingua, lingua straniera e matematica e scienze) tra le competenze chiave
per l'educazione degli stati membri dell'Unione - il paese più «native digital oriented» è l'Inghilterra, dove la
riforma del sistema scolastico voluta dal governo Blair ha ridotto drasticamente il numero degli studenti per
classi, favorendo così la personalizzazione dell'insegnamento, e tagliato il numero delle materie. «Sono
passati - sottolinea Paolo Ferri - da un modello disciplinare basato sui contenuti a quello per competenze che
si regge su un principio: imparare a imparare». Ferri ricorda che la lavagna interattiva è presente nel 100%
delle classi primarie e secondarie inglesi mentre in Italia si punta ad averne una su dieci entro il 2011. Qui la
strada è ancora tutta in salita. Il ministero dell'Istruzione porta avanti il progetto Lim, che riguarda
l'introduzione di lavagne interattive nelle aule, e quello Cl@ssi 2.0 che punta a finanziare con 30mila euro 156
classi (in Italia ci sono circa 25mila scuole) delle scuole medie inferiori per lo sviluppo di progetti innovativi.
«C'è una grande carenza di investimenti dall'alto - denuncia Ferri - arginata da qualche dirigente di buona
volontà». Per il professore della Bicocca è a livello territoriale, grazie all'autonomia scolastica e alle capacità
manageriali e creative di qualche preside, che si vedono i migliori esperimenti. A Bollate, un comune di 37
mila abitanti alle porte di Milano, per imparare a usare l'iPad basta chiedere aiuto a un bambino. Nelle aule
dell'Istituto di via Brianza - due scuole elementari e due medie inferiori - al posto di quadernetti e matite, da
settembre gli alunni usano il tablet computer prodotto dalla Apple. Qualche centinaia di chilometri più a sud, a
Reggio Emilia - la città dove tutti vorrebbero avere tre anni per quel «Reggio Approach», lodato dal «New
York Times» (parole d'ordine: arte, assemblee di classe e respiro globale), che ha fatto guadagnare al
capoluogo emiliano il titolo di capitale mondiale degli asili nido - software, dispositivi elettronici e lavagne
interattive hanno ormai sostituito seggioloni e orsacchiotti. Bollate e Reggio non sono residui di una bizzarra
avanguardia pedagogica, il cui simbolo cinematografico è ancora Bianca di Nanni Moretti, con le vicende
della scuola «Marilyn Monroe» dove al posto della foto del presidente della Repubblica c'è Dino Zoff e i
professori giocano alle slotmachine e al flipper. Dimostrano piuttosto che ci sono, anche in Italia, presidi e
maestri che hanno capito chi sono e come si educano i nativi digitali. «Ma il risultato è quella di una cartina
dell'innovazione a macchia di leopardo», dichiara Ferri, che tuttavia si dice ottimista. Da un lato perché «nel
2013 andrà in pensione la metà degli insegnanti italiani», dall'altro perché crede nel contagio positivo: «In
dieci anni le scuole al passo con le trasformazioni sociali e tecnologiche, e per questo premiate con
finanziamenti e alto numero di iscrizioni, avranno costretto le altre ad adeguarsi». Una speranza? No, un
dovere. Perché «innovare innovare innovare», il famoso mantra di Hal Varian di Google News, è l'unica
chance di sopravvivenza anche per la scuola italiana. [email protected] twitter@24people
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Che cosa sta facendo internet ai vostri neuroni
I media modificano il cervello, la cui plasticità dura tutta la vita. Ma l'«opzione click» è già nella nostra mente
prima che nel mouse...
Che cosa passa per la testa di un nativo digitale? I suoi circuiti neuronali sono diversi dai nostri, figli dell'era
Gutenberg, cervelli educati alla lettura di libri o (nei casi più frequenti) anestetizzati da 60 anni di televisione?
I media ci cambiano le sinapsi fino a farci compiere, di generazione in generazione, veri e propri salti
evolutivi? Oppure il cervello rimane, alla fin fine, sempre lo stesso e si adatta plasticamente, nel bene e nel
male, alle nuove opportunità offertegli da internet, socialnetwork, videogiochi, smartphone, così come, prima
di questi, alla lettura di Guerra e pace?Partiamo da un microepisodio, raccontato dal guru dei nuovi media
Clay Shirky. A proposito, ma quanti ce ne sono di questi guru, e con quanti messaggi diversi! Niente paura.
Più o meno gli ingredienti dei loro discorsi sono gli stessi. Cambia il tono, apocalittico in alcuni, entusiastico in
altri. Una bimba di 4 anni stava guardando un dvd con i genitori. Di punto in bianco, nel bel mezzo del film, la
piccola è saltata giù dal divano ed è corsa dietro al televisore. Il padre ha pensato che volesse verificare se le
persone del film fossero realmente nell'apparecchio. Lei frugava tra i cavi dietro il monitor e alla domanda
«Che stai facendo?» si sporse da dietro lo schermo e rispose: «Cerco il mouse».Ecco un'idea che è già ben
piantata nella mente di un bambino di oggi: uno schermo senza mouse ha qualcosa di strano. I media che si
rivolgono a te senza permetterti di partecipare sono alquanto impertinenti. Una volta che si è aperta a tutti la
possibilità di consumare, produrre, risolvere problemi e condividere interattivamente contenuti in rete, è
difficile tornare indietro. E il motivo sta scritto nei nostri neuroni. La facilità, la gratuità, le motivazioni
altruistiche, il senso di equità, il desiderio di interattività, di partecipazione e confronto - come spiega Shirky in
Surplus cognitivo. Creatività e generosità nell'era digitale (Codice) - oltre che essere il vero sale e la nuova
opportunità offerta dai socialnetwork, trovano conferma in esperimenti neuroscientifici assai noti che
disegnano la natura umana in maniera assai meno egoistica e assai più cooperativa e animata da spirito
civico di quanto le teorie dell'homo oeconomicus ci avevano fatto credere.L'articolo continua sottoA proposito
di generosità, Shirky avrebbe anche potuto ricordare Giacomo Rizzolatti e i suoi «neuroni specchio», o
«neuroni dell'empatia», che si attivano nel nostro cervello quando osserviamo i comportamenti altrui. Un
particolare non da poco, dal momento che l'area specchio è implicata nella fruizione di informazioni in
immagini e filmati veicolati dal web. Senza contare che Rizzolatti è ancora più importante, come ispiratore dei
rapporti tra media, educazione e cervello, per le sue scoperte sulla neuroplasticità. A partire dai suoi studi
sulla visione è apparso chiaro che tale plasticità dura per tutta la nostra esistenza, anche se nell'infanzia e
nell'adolescenza è più accentuata. Lo conferma una branca nascente delle neuroscienze, la
neuroeducazione, per opera di Karl Fischer a Harvard (uno dei curatori di The Educated Brain, Hardbound) e
del giapponese Koizumi che sta girando in lungo e in largo il suo paese monitorando i cervelli degli studenti
con delle cuffiette non invasive.Da questi studi emerge che il learning by doing, l'imparare facendo di
deweyiana memoria, magari introiettato attraverso i videogiochi, prepara il cervello alla soluzione di problemi
via via più complessi, ed è quindi una risorsa preziosa per l'educazione. Lo si vede bene nei test Ocse-Pisa. I
ragazzi che fanno uso delle tecnologie informatiche tendono ad avere risultati migliori, non tanto per il
vantaggio tecnologico in sé, ma per il tipo di abilità "aperte" che sono in grado di sviluppare. Mentre i 45enni
tendono ancora a usare internet come una megaenciclopedia da consultare, a mano a mano che si scende
con l'età, l'uso diventa sempre più attivo e interattivo. Ma è solo un dato sociologico. Gli studi sul cervello
mostrano che non ci sono scuse che tengano: a nessuna età si è inadatti alle diverse opportunità cognitive
emergenti dai nuovi media. Anche i compiti cognitivi svolti per la prima volta in età adulta producono
configurazioni neurali nuove, e modificano fisicamente il nostro cervello.Come nota Paolo Ferri in Nativi
digitali (in uscita per Bruno Mondadori), è paradossale che oggi la sintesi più completa degli studi su
neuroplasticità e "intelligenza digitale", dispersi in vari ambiti del sapere, sia contenuta nel testo
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dell'"apocalittico" Nicholas Carr, The Shallows: What the Internet Is Doing to Our Brains (in uscita per
Cortina), secondo cui internet ci rende sempre più superficiali e inadatti alla lettura approfondita di tipo
gutenberghiano. Una tesi condivisa da Frank Schirrmacher in La libertà ritrovata. Come (continuare a)
pensare nell'era digitale (Codice), che a sua volta si rifà a Proust e il calamaro. Storia e scienza del cervello
che legge di Maryanne Wolf (Vita e pensiero). Durante la lettura i neuroni "rallentanti" posticipano di pochi
millesimi di secondo la trasmissione neuronale da altre cellule nervose.Quanto basta per ordinare le
informazioni e creare visioni d'insieme e riflessività utili all'approfondimento e allo sviluppo del pensiero. Che
scomparirebbe invece, secondo gli apocalittici, durante il multitasking - l'attitudine a compiere più operazioni
contemporaneamente, sollecitata dalla lettura sul web - che attiverebbe solo le parti più primitive del nostro
cervello. In internet, scansionando il flusso informativo per rilevarne cambiamenti significativi ed esponendoci
a stimoli multipli, perderemmo così la capacità di focalizzare l'attenzione. L'uso della rete in effetti favorisce
più lo sviluppo della visione periferica, più adatta a indentificare movimenti e forme, e meno della visione
foveale, tipica della lettura di libri stampati.Ma in realtà - osserva Henry Jenkins in Culture partecipative e
competenze digitali (Guerini) - «multitasking e attenzione non dovrebbero essere viste come forze opposte
tra loro. Dovremmo, piuttosto, pensare a esse come abilità complementari, entrambe usate dal cervello in
modo strategico per affrontare in maniera intelligente i limiti della memoria a breve termine». Nella storia
umana, del resto, siamo stati sia «contadini», cui è necessaria un'attenzione focalizzata, sia «cacciatori»,
capaci di «scansionare un territorio complesso alla ricerca di segni e indizi per capire dove le sue prede siano
nascoste». «Per secoli, le istituzioni scolastiche sono state strutturate per creare "contadini"», osserva
Jenkins. Oggi, invece, occorre dirigersi Verso un'intelligenza digitale sempre più matura e avvertita, per dirla
con Antonio Battro e J. P. Denham (Ledizioni), che offrono una ulteriore chiave di lettura delle nostre capacità
di base, la cosiddetta «opzione click».Perché ci è così naturale premere pulsanti, o aprire e chiudere
manopole o circuiti elettrici? Questa "abilità digitale" - di tipo pragmatico, che nulla ha a che vedere con la più
astratta matematica binaria che fa funzionare i computer - getta le sue radici nella storia evolutiva dell'uomo,
è una risposta ai problemi di sopravvivenza e riproduzione affrontati nel Pleistocene. È un'opzione sì/no che
ci è familiarissima fin da quando veniamo allattati. Anche un bambino che non sa né leggere né scrivere può
attivare un collegamento ipertestuale e muoversi all'interno degli ipertesti attraverso una semplice serie di
click, esplorando ambiti conoscitivi e pratici per mezzo di decisioni elementari.Ogni ulteriore intelligenza
digitale parte da lì. Da una facoltà condivisa con primati e altri animali, da adulti e da bambini che si
attaccheranno sempre più volentieri al mouse a scapito del ciucciotto. E che saranno pronti ad usarlo per
aprire nuovi mondi, affrontare sfide e inediti problem solving, continuando a rimodellare il proprio cervello per
i cent'anni che si aspettano di vivere. Ineffabili, inafferrabili per i nostalgici di inesistenti età dell'oro cognitive,
o per i predicatori di imminenti apocalissi.©RIPRODUZIONE RISERVATA
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Nel suk dei nativi digitali. Perché gli studenti 2.0 hanno bisogno di una
bussola per orientarsi
Internet ha cambiato le forme dell'apprendimento e dell'attenzione: aumentano i codici comunicativi, si
confondono i ruoli, messi in crisi verità, e centralità dell'autore. Ma a studenti 2.0 corrispe una scuola
vecchia...
Addio al vecchio sapere lineare fondato sulla parola scritta e sulla trasmissione di conoscenza maestroalunno: imparare oggi ha la forma di un suk arabo nell'ora di punta. Tra social network, video-racconti su
YouTube, la musica di MySpace, il linguaggio sincopato delle chat e le bufale online, gli studenti di nuova
generazione hanno bisogno di una bussola per orientarsi. Ma la scuola non c'è. O meglio, non ce la fa: a
studenti 2.0 corrispondono spesso istituti scolastici da secolo scorso.Che cosa sta facendo internet ai vostri
neuroni (di Armando Massarenti)Conservatori gli studenti, miopi i politici (di Sergio Luzzatto)Chi sono questi
famigerati "nativi digitali" nati e cresciuti a rivoluzione Internet compiuta? Come ha scritto l'ex direttore del
programma Comparative media studies dell' Mit di Boston, Henry Jenkins, la loro cultura è "partecipativa" e si
fonda su "produzione e condivisione di creazioni digitali" e una "partnership informale" tra insegnanti e alunni
che porta il bambino a sentirsi responsabile del progetto educativo. Il maestro non è più un trasmettitore di
conoscenza ma un "facilitatore", che fa da filtro tra il caos della rete e il cervello del piccolo
studente."Frequentano gli schermi interattivi fin dalla nascita", spiega Paolo Ferri docente di tecnologie
didattiche e teoria e tecnica dei nuovi media all'Università Bicocca di Milano, "e considerano Internet "il
principale strumento di reperimento, condivisione e gestione dell'informazione". È la prima generazione (che
oggi ha tra gli o e i 12 anni) veramente hi-tech che pensa, apprende e conosce in maniera differente dai suoi
fratelli maggiori. "Se per noi imparare significava leggere-studiare-ripetere, per i bambini cresciuti con i
videogames vuol dire innanzitutto risolvere i problemi in maniera attiva", spiega Ferri che studia e promuove
da anni il "digital learning".I bambini cresciuti con consolle e cellulare sono "abituati a vedere la risoluzione di
compiti cognitivi come un problema pragmatico", aggiunge. Lynn Clark direttrice dell' Estlow International
Center for Journalism and New Media dell'Università di Denver ha condotto un progetto di ricerca su 300
famiglie americane per capire come se la cavano con i media digitali.L'articolo continua sotto"Grazie ai
videogiochi, il sapere dei bambini si nutre di simboli, sfide e modelli sempre diversi di narrazione", spiega
Clark che aggiunge: "quando le modalità di apprendimento scolastico sono simili a quelle di un gioco ci sono
maggiori chances che gli alunni apprendano volentieri e in fretta". "Se qualcosa può essere visto, ascoltato,
suonato, perché dovrebbe essere raccontato a parole?", si chiede Paolo Ferri.Nishant Shah, che a 26 anni
dirige il Center for Internet and Society di Bangalore in India, lo spiega così via Skype: "La tecnologia dei
nostri padri è quella televisiva: un modello analogico che stabilisce ruoli, responsabilità e struttura della
produzione, diffusione e consumo di conoscenza. Con l'esplosione del p2p - l'idea di una rete dove non esiste
gerarchia e tutto viene condiviso- i ruoli sono messi in discussione dallo studente, che si considera parte
attiva nella produzione di sapere e vede i libri come una fonte tra le tante".Se è vero che il "l'ha detto Internet"
ha assunto tra i bambini l'autorevolezza di una sentenza della Cassazione, è innegabile che la rete sia la
patria del vero-simile. "Internet sta ridisegnando i confini della verità - continua Shah - e questo pone grandi
sfide per gli educatori del XXI secolo: come si fa a imparare utilizzando fonti che non hanno approvazione
istituzionale? Come si può riconoscere un valido provider di conoscenza nel caos online?".Anche il
professore della Bicocca ammette che "la cut-and-paste culture e la presunzione di veridicità della Rete"
tendono ad abbassare la percezione critica degli utenti: "Internet diventa per i bambini "la fonte" a
prescindere dall'autorevolezza del sito e da chi scrive", dice.Se passa il modello Wikipedia, crolla l'importanza
dell'autore. O, come ha scritto l'antropologa Susan D. Blum sul New York Times, "se per lo studente non è
fondamentale essere unico, va bene usare parole di altri. Dice cose a cui non crede? Allora è ok scrivere testi
su argomenti sconosciuti con l'unico scopo di prendere un buon voto: conoscere è diventato un mezzo per
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La proprietà intelletuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
ottenere consensi e socialità".Per il momento le iniziative più interessanti di digital learning riguardano i fratelli
più grandi. Dal prossimo anno in 2500 campus universitari americani arriverà un software per pc, iPad e
telefonini (il costo va dai 30 ai 70 dollari e il maggiore produttore è la Turning Technologies) chiamato
"clickers", che permette all'insegnante di verificare il livello di attenzione dello studente - immerso nella
navigazione internet - chiedendo feedback sulla tastiera ogni 15 minuti. Il professore di Harvard Charles
Nesson ha tenuto un corso virtuale su Second Life, mentre il progetto di educazione civica "YouMedia",
sponsorizzato dall'amministrazione di Chicago, promuove l'apprendimento attraverso video-racconti pubblici
di libri.Nella Woodside High School, in California, gli studenti hanno borse di studio per comprare l'iPad, un
centro multimediale da tre milioni di dollari e lezioni su come registrare la musica e usare Internet in maniera
responsabile. Grazie ai computer economici del guru informatico Nicholas Negroponte, tutti i bambini
uruguaiani delle elementari hanno un pc. In Europa - che ha messo la competenza digitale al quarto posto
(dopo prima lingua, lingua straniera e matematica e scienze) tra le competenze chiave per l'educazione degli
stati membri dell'Unione - il paese più "nativi digitali oriented" è l'Inghilterra, dove la riforma del sistema
scolastico voluta dal governo Blair ha ridotto drasticamente il numero degli studenti per classi, favorendo così
la personalizzazione dell'insegnamento, e tagliato il numero delle materie. "Sono passati- sottolinea Paolo
Ferri - da un modello disciplinare basato sui contenuti a quello per competenze che si regge su un principio:
imparare ad imparare". Ferri ricorda che la lavagna interattiva è presente nel 100% delle classi primarie e
secondarie inglesi mentre in Italia si punta ad averne una su dieci entro il 2011. Qui la strada è ancora tutta in
salita.Il ministero dell'Istruzione porta avanti il progetto LIM, che riguarda l'introduzione di lavagne interattive
nelle aule, e quello Cl@ssi 2.0 che punta a finanziare con 30mila euro 156 classi (in Italia ci sono circa 25mila
scuole) delle scuole medie inferiori per lo sviluppo di progetti innovativi. "C'è una grande carenza di
investimenti dall'alto - denuncia Ferri - arginata da qualche dirigente di buona volontà". Per il professore della
Bicocca è a livello territoriale, grazie all'autonomia scolastica e alle capacità manageriali e creative di qualche
preside, che si vedono i migliori esperimenti.A Bollate, un comune di 37 mila abitanti alle porte di Milano, per
imparare a usare l'iPad basta chiedere aiuto a un bambino. Nelle aule dell'Istituto di via Brianza - due scuole
elementari e due medie inferiori - al posto di quadernetti e matite, da settembre gli alunni usano il tablet
computer prodotto dalla Apple.Qualche centinaia di chilometri più a Sud, a Reggio Emilia - la città dove tutti
vorrebbero avere 3 anni per quel "Reggio Approach", lodato dal New York Times (parole d'ordine: arte,
assemblee di classe e respiro globale), che ha fatto guadagnare al capoluogo emiliano il titolo di capitale
mondiale degli asili nido - software, dispositivi elettronici e lavagne interattive hanno ormai sostituito
seggioloni e orsacchiotti.Bollate e Reggio non sono residui di una bizzarra avanguardia pedagogica, il cui
simbolo cinematografico è ancora "Bianca" di Nanni Moretti, con le vicende della scuola "Marylin Monroe"
dove al posto della foto del presidente della Repubblica c'e' Dino Zoff e i professori giocano alle slot
machines e al flipper. Dimostrano piuttosto che ci sono, anche in Italia, presidi e maestri che hanno capito chi
sono e come si educano i nativi digitali."Ma il risultato è quella di una cartina dell'innovazione a macchia di
leopardo", dichiara Ferri, che tuttavia si dice ottimista. Da un lato perché "nel 2013 andrà in pensione la metà
degli insegnanti italiani", dall'altro perché crede nel contagio positivo: "In 10 anni le scuole al passo con le
trasformazioni sociali e tecnologiche, e per questo premiate con finanziamenti e alto numero di iscrizioni,
avranno costretto le altre ad adeguarsi". Una speranza? No, un dovere. Perché "innovare innovare innovare",
il famoso mantra di Hal Varian di Google News, è l'unica chance di sopravvivenza anche per la scuola
italiana. [email protected] twitter@24people©RIPRODUZIONE RISERVATA
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Internet ha cambiato le forme dell'apprendimento e dell'attenzione: aumentano i codici comunicativi, si
confondono i ruoli, messi in crisi verità, e centralità dell'autore. Ma a studenti 2.0 corrisponde una scuola
vecchia Il «cultural divide» può diventare una emergenza sociale: a rischio paesi e realtà che non innovano
Serena Danna
Addio al vecchio sapere lineare fondato sulla parola scritta e sulla trasmissione di conoscenza maestroalunno: imparare oggi ha la forma di un suk arabo nell'ora di punta. Tra social network, video-racconti su
YouTube, la musica di MySpace, il linguaggio sincopato delle chat e le bufale online, gli studenti di nuova
generazione hanno bisogno di una bussola per orientarsi. Ma la scuola non c'è. O meglio, non ce la fa: a
studenti 2.0 corrispondono spesso istituti scolastici da secolo scorso.
Chi sono questi famigerati «nativi digitali», nati e cresciuti a rivoluzione internet compiuta? Come ha scritto
l'ex direttore del programma Comparative media studies del Mit di Boston, Henry Jenkins, la loro cultura è
«partecipativa» e si fonda su «produzione e condivisione di creazioni digitali» e su una «partnership
informale» tra insegnanti e alunni, che porta il bambino a sentirsi responsabile del progetto educativo. Il
maestro non è più un trasmettitore di conoscenza ma un «facilitatore», che fa da filtro tra il caos della rete e il
cervello del piccolo studente. «Frequentano gli schermi interattivi fin dalla nascita», spiega Paolo Ferri,
docente di Tecnologie didattiche e teoria e tecnica dei nuovi media all'Università Bicocca di Milano, «e
considerano internet il principale strumento di reperimento, condivisione e gestione dell'informazione». È la
prima generazione (che oggi ha tra gli 0 e i 12 anni) veramente hitech, che pensa, apprende e conosce in
maniera differente dai suoi fratelli maggiori. «Se per noi imparare significava leggere-studiare-ripetere, per i
bambini cresciuti con i videogames vuol dire innanzitutto risolvere i problemi in maniera attiva», prosegue
Ferri, che studia e promuove da anni il «digital learning». I bambini cresciuti con consolle e cellulare sono
«abituati a vedere la risoluzione di compiti cognitivi come un problema pragmatico», aggiunge.
Lynn Clark direttrice dell'Estlow International Center for Journalism and New Media dell'Università di Denver
(Usa) ha condotto un progetto di ricerca su 300 famiglie americane per capire come se la cavano con i media
digitali. «Grazie ai videogiochi, il sapere dei bambini si nutre di simboli, sfide e modelli sempre diversi di
narrazione», spiega Clark che aggiunge: «quando le modalità di apprendimento scolastico sono simili a
quelle di un gioco ci sono maggiori chance che gli alunni apprendano volentieri e in fretta». «Se qualcosa può
essere visto, ascoltato, suonato, perché dovrebbe essere raccontato a parole?», si chiede Paolo Ferri.
Nishant Shah, che a 26 anni dirige il Center for Internet and Society di Bangalore in India, lo spiega così via
Skype: «La tecnologia dei nostri padri è quella televisiva: un modello analogico che stabilisce ruoli,
responsabilità e struttura della produzione, diffusione e consumo di conoscenza. Con l'esplosione del p2p l'idea di una rete dove non esiste gerarchia e tutto viene condiviso - i ruoli sono messi in discussione dallo
studente, che si considera parte attiva nella produzione di sapere e vede i libri come una fonte tra le tante».
Se è vero che la frase «l'ha detto internet» ha assunto tra i bambini l'autorevolezza di una sentenza della
Cassazione, è innegabile che la Rete sia la patria del vero-simile. «Internet sta ridisegnando i confini della
verità - continua Shah - e questo pone grandi sfide per gli educatori del XXI secolo: come si fa a imparare
utilizzando fonti che non hanno approvazione istituzionale? Come si può riconoscere un valido provider di
conoscenza nel caos online?». Anche il professore della Bicocca ammette che «la cut-and-paste culture e la
presunzione di veridicità della Rete» tendono ad abbassare la percezione critica degli utenti: «Internet diventa
per i bambini "la fonte", a prescindere dall'autorevolezza del sito e di chi scrive», dice. Se passa il modello
Wikipedia, crolla l'importanza dell'autore. O, come ha scritto l'antropologa Susan D. Blum sul «New York
Times»: «se per lo studente non è fondamentale essere unico, va bene usare parole di altri. Dice cose a cui
non crede? Allora va bene scrivere testi su argomenti sconosciuti con l'unico scopo di prendere un buon voto:
conoscere è diventato un mezzo per ottenere consensi e socialità».
VIDEOGIOCHI - Rassegna Stampa 03/01/2011
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Nel regno dei nativi digitali
02/01/2011
Il Sole 24 Ore - Domenica
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VIDEOGIOCHI - Rassegna Stampa 03/01/2011
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Per il momento le iniziative più interessanti di digital learning riguardano i fratelli più grandi. Dal prossimo
anno in 2.500 campus universitari americani arriverà un software per pc, iPad e telefonini (il costo va dai 30 ai
70 dollari e il maggiore produttore è la Turning Technologies) chiamato «clickers», che permette
all'insegnante di verificare il livello di attenzione dello studente - immerso nella navigazione internet chiedendo feedback sulla tastiera ogni 15 minuti. Il professore di Harvard, Charles Nesson ha tenuto un corso
virtuale su Second Life, mentre il progetto di educazione civica «YouMedia», sponsorizzato
dall'amministrazione di Chicago, promuove l'apprendimento attraverso video-racconti pubblici di libri. Nella
Woodside High School, in California, gli studenti hanno borse di studio per comprare l'iPad, un centro
multimediale da tre milioni di dollari e lezioni su come registrare la musica e usare internet in maniera
responsabile. Grazie ai computer economici del guru informatico Nicholas Negroponte, tutti i bambini
uruguaiani delle elementari hanno un pc.
In Europa - che ha messo la competenza digitale al quarto posto (dopo prima lingua, lingua straniera e
matematica e scienze) tra le competenze chiave per l'educazione degli stati membri dell'Unione - il paese più
«native digital oriented» è l'Inghilterra, dove la riforma del sistema scolastico voluta dal governo Blair ha
ridotto drasticamente il numero degli studenti per classi, favorendo così la personalizzazione
dell'insegnamento, e tagliato il numero delle materie. «Sono passati - sottolinea Paolo Ferri - da un modello
disciplinare basato sui contenuti a quello per competenze che si regge su un principio: imparare a imparare».
Ferri ricorda che la lavagna interattiva è presente nel 100% delle classi primarie e secondarie inglesi mentre
in Italia si punta ad averne una su dieci entro il 2011. Qui la strada è ancora tutta in salita.
Il ministero dell'Istruzione porta avanti il progetto Lim, che riguarda l'introduzione di lavagne interattive nelle
aule, e quello Cl@ssi 2.0 che punta a finanziare con 30mila euro 156 classi (in Italia ci sono circa 25mila
scuole) delle scuole medie inferiori per lo sviluppo di progetti innovativi. «C'è una grande carenza di
investimenti dall'alto - denuncia Ferri - arginata da qualche dirigente di buona volontà». Per il professore della
Bicocca è a livello territoriale, grazie all'autonomia scolastica e alle capacità manageriali e creative di qualche
preside, che si vedono i migliori esperimenti. A Bollate, un comune di 37 mila abitanti alle porte di Milano, per
imparare a usare l'iPad basta chiedere aiuto a un bambino. Nelle aule dell'Istituto di via Brianza - due scuole
elementari e due medie inferiori - al posto di quadernetti e matite, da settembre gli alunni usano il tablet
computer prodotto dalla Apple. Qualche centinaia di chilometri più a sud, a Reggio Emilia - la città dove tutti
vorrebbero avere tre anni per quel «Reggio Approach», lodato dal «New York Times» (parole d'ordine: arte,
assemblee di classe e respiro globale), che ha fatto guadagnare al capoluogo emiliano il titolo di capitale
mondiale degli asili nido - software, dispositivi elettronici e lavagne interattive hanno ormai sostituito
seggioloni e orsacchiotti. Bollate e Reggio non sono residui di una bizzarra avanguardia pedagogica, il cui
simbolo cinematografico è ancora Bianca di Nanni Moretti, con le vicende della scuola «Marilyn Monroe»
dove al posto della foto del presidente della Repubblica c'è Dino Zoff e i professori giocano alle slotmachine e
al flipper. Dimostrano piuttosto che ci sono, anche in Italia, presidi e maestri che hanno capito chi sono e
come si educano i nativi digitali.
«Ma il risultato è quella di una cartina dell'innovazione a macchia di leopardo», dichiara Ferri, che tuttavia si
dice ottimista. Da un lato perché «nel 2013 andrà in pensione la metà degli insegnanti italiani», dall'altro
perché crede nel contagio positivo: «In dieci anni le scuole al passo con le trasformazioni sociali e
tecnologiche, e per questo premiate con finanziamenti e alto numero di iscrizioni, avranno costretto le altre ad
adeguarsi». Una speranza? No, un dovere. Perché «innovare innovare innovare», il famoso mantra di Hal
Varian di Google News, è l'unica chance di sopravvivenza anche per la scuola italiana.
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Foto: studenti digitali. Le nuove generazioni frequentano gli schermi interattivi sin dalla nascita. L'Italia
tuttavia è molto in ritardo, rispetto agli altri paesi occidentali, per quanto riguarda le iniziative di «digital
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learning» e le dotazioni tecnologiche nelle scuole e nelle univesità (foto di Chris Steele-Perkins, Virtual
Reality helmets. Tokyo motor show, 1999)
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Il Sole 24 Ore - Domenica
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Cosa sta facendo internet ai vostri neuroni
I «nativi digitali» giocando sviluppano capacità cognitive preziose di cui la scuola deve far tesoro I media
modificano il cervello, la cui plasticità dura tutta la vita. Ma l'«opzione click» è già nella nostra mente prima
che nel mouse - di Armando Massarenti
- di Armando Massarenti
Che cosa passa per la testa di un nativo digitale? I suoi circuiti neuronali sono diversi dai nostri, figli dell'era
Gutenberg, cervelli educati alla lettura di libri o (nei casi più frequenti) anestetizzati da 60 anni di televisione?
I media ci cambiano le sinapsi fino a farci compiere, di generazione in generazione, veri e propri salti
evolutivi? Oppure il cervello rimane, alla fin fine, sempre lo stesso e si adatta plasticamente, nel bene e nel
male, alle nuove opportunità offertegli da internet, socialnetwork, videogiochi, smartphone, così come, prima
di questi, alla lettura di Guerra e pace?
Partiamo da un microepisodio, raccontato dal guru dei nuovi media Clay Shirky. A proposito, ma quanti ce ne
sono di questi guru, e con quanti messaggi diversi! Niente paura. Più o meno gli ingredienti dei loro discorsi
sono gli stessi. Cambia il tono, apocalittico in alcuni, entusiastico in altri. Una bimba di 4 anni stava
guardando un dvd con i genitori. Di punto in bianco, nel bel mezzo del film, la piccola è saltata giù dal divano
ed è corsa dietro al televisore. Il padre ha pensato che volesse verificare se le persone del film fossero
realmente nell'apparecchio. Lei frugava tra i cavi dietro il monitor e alla domanda «Che stai facendo?» si
sporse da dietro lo schermo e rispose: «Cerco il mouse».
Ecco un'idea che è già ben piantata nella mente di un bambino di oggi: uno schermo senza mouse ha
qualcosa di strano. I media che si rivolgono a te senza permetterti di partecipare sono alquanto impertinenti.
Una volta che si è aperta a tutti la possibilità di consumare, produrre, risolvere problemi e condividere
interattivamente contenuti in rete, è difficile tornare indietro. E il motivo sta scritto nei nostri neuroni. La
facilità, la gratuità, le motivazioni altruistiche, il senso di equità, il desiderio di interattività, di partecipazione e
confronto - come spiega Shirky in Surplus cognitivo. Creatività e generosità nell'era digitale (Codice) - oltre
che essere il vero sale e la nuova opportunità offerta dai socialnetwork, trovano conferma in esperimenti
neuroscientifici assai noti che disegnano la natura umana in maniera assai meno egoistica e assai più
cooperativa e animata da spirito civico di quanto le teorie dell'homo oeconomicus ci avevano fatto credere.
A proposito di generosità, Shirky avrebbe anche potuto ricordare Giacomo Rizzolatti e i suoi «neuroni
specchio», o «neuroni dell'empatia», che si attivano nel nostro cervello quando osserviamo i comportamenti
altrui. Un particolare non da poco, dal momento che l'area specchio è implicata nella fruizione di informazioni
in immagini e filmati veicolati dal web. Senza contare che Rizzolatti è ancora più importante, come ispiratore
dei rapporti tra media, educazione e cervello, per le sue scoperte sulla neuroplasticità. A partire dai suoi studi
sulla visione è apparso chiaro che tale plasticità dura per tutta la nostra esistenza, anche se nell'infanzia e
nell'adolescenza è più accentuata. Lo conferma una branca nascente delle neuroscienze, la
neuroeducazione, per opera di Karl Fischer a Harvard (uno dei curatori di The Educated Brain, Hardbound) e
del giapponese Koizumi che sta girando in lungo e in largo il suo paese monitorando i cervelli degli studenti
con delle cuffiette non invasive.
Da questi studi emerge che il learning by doing, l'imparare facendo di deweyiana memoria, magari
introiettato attraverso i videogiochi, prepara il cervello alla soluzione di problemi via via più complessi, ed è
quindi una risorsa preziosa per l'educazione. Lo si vede bene nei test Ocse-Pisa. I ragazzi che fanno uso
delle tecnologie informatiche tendono ad avere risultati migliori, non tanto per il vantaggio tecnologico in sé,
ma per il tipo di abilità "aperte" che sono in grado di sviluppare. Mentre i 45enni tendono ancora a usare
internet come una megaenciclopedia da consultare, a mano a mano che si scende con l'età, l'uso diventa
sempre più attivo e interattivo. Ma è solo un dato sociologico. Gli studi sul cervello mostrano che non ci sono
scuse che tengano: a nessuna età si è inadatti alle diverse opportunità cognitive emergenti dai nuovi media.
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computer e sinapsi
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Anche i compiti cognitivi svolti per la prima volta in età adulta producono configurazioni neurali nuove, e
modificano fisicamente il nostro cervello.
Come nota Paolo Ferri in Nativi digitali (in uscita per Bruno Mondadori), è paradossale che oggi la sintesi più
completa degli studi su neuroplasticità e "intelligenza digitale", dispersi in vari ambiti del sapere, sia contenuta
nel testo dell'"apocalittico" Nicholas Carr, The Shallows: What the Internet Is Doing to Our Brains (in uscita
per Cortina), secondo cui internet ci rende sempre più superficiali e inadatti alla lettura approfondita di tipo
gutenberghiano. Una tesi condivisa da Frank Schirrmacher in La libertà ritrovata. Come (continuare a)
pensare nell'era digitale (Codice), che a sua volta si rifà a Proust e il calamaro. Storia e scienza del cervello
che legge di Maryanne Wolf (Vita e pensiero). Durante la lettura i neuroni "rallentanti" posticipano di pochi
millesimi di secondo la trasmissione neuronale da altre cellule nervose. Quanto basta per ordinare le
informazioni e creare visioni d'insieme e riflessività utili all'approfondimento e allo sviluppo del pensiero. Che
scomparirebbe invece, secondo gli apocalittici, durante il multitasking - l'attitudine a compiere più operazioni
contemporaneamente, sollecitata dalla lettura sul web - che attiverebbe solo le parti più primitive del nostro
cervello. In internet, scansionando il flusso informativo per rilevarne cambiamenti significativi ed esponendoci
a stimoli multipli, perderemmo così la capacità di focalizzare l'attenzione. L'uso della rete in effetti favorisce
più lo sviluppo della visione periferica, più adatta a indentificare movimenti e forme, e meno della visione
foveale, tipica della lettura di libri stampati.
Ma in realtà - osserva Henry Jenkins in Culture partecipative e competenze digitali (Guerini) - «multitasking e
attenzione non dovrebbero essere viste come forze opposte tra loro. Dovremmo, piuttosto, pensare a esse
come abilità complementari, entrambe usate dal cervello in modo strategico per affrontare in maniera
intelligente i limiti della memoria a breve termine». Nella storia umana, del resto, siamo stati sia «contadini»,
cui è necessaria un'attenzione focalizzata, sia «cacciatori», capaci di «scansionare un territorio complesso
alla ricerca di segni e indizi per capire dove le sue prede siano nascoste». «Per secoli, le istituzioni
scolastiche sono state strutturate per creare "contadini"», osserva Jenkins. Oggi, invece, occorre dirigersi
Verso un'intelligenza digitale sempre più matura e avvertita, per dirla con Antonio Battro e J. P. Denham
(Ledizioni), che offrono una ulteriore chiave di lettura delle nostre capacità di base, la cosiddetta «opzione
click». Perché ci è così naturale premere pulsanti, o aprire e chiudere manopole o circuiti elettrici? Questa
"abilità digitale" - di tipo pragmatico, che nulla ha a che vedere con la più astratta matematica binaria che fa
funzionare i computer - getta le sue radici nella storia evolutiva dell'uomo, è una risposta ai problemi di
sopravvivenza e riproduzione affrontati nel Pleistocene. È un'opzione sì/no che ci è familiarissima fin da
quando veniamo allattati. Anche un bambino che non sa né leggere né scrivere può attivare un collegamento
ipertestuale e muoversi all'interno degli ipertesti attraverso una semplice serie di click, esplorando ambiti
conoscitivi e pratici per mezzo di decisioni elementari.
Ogni ulteriore intelligenza digitale parte da lì. Da una facoltà condivisa con primati e altri animali, da adulti e
da bambini che si attaccheranno sempre più volentieri al mouse a scapito del ciucciotto. E che saranno pronti
ad usarlo per aprire nuovi mondi, affrontare sfide e inediti problem solving, continuando a rimodellare il
proprio cervello per i cent'anni che si aspettano di vivere. Ineffabili, inafferrabili per i nostalgici di inesistenti
età dell'oro cognitive, o per i predicatori di imminenti apocalissi.
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Foto: arte mentale Karen Norberg «Cervello all'uncinetto», 2006