Bibbia e letteratura: Antico Testamento
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Bibbia e letteratura: Antico Testamento
© BIBBIA E SCUOLA www.bes.biblia.org Valentina PULEO recensione a: La Bibbia nella letteratura italiana. Vol. III Antico Testamento, a cura di Raffaella BERTAZZOLI e Silvia LONGHI, Brescia, Morcelliana, 2011, pp. 448, € 30. Indice: Raffaella BERTAZZOLI, Gli animali creati e la loro simbologia, pp. 21-48 Andrea RONDINI, Adamo. Nostalgia, conflitti e identità di un mito letterario, pp. 49-69 Luciana BORSETTO, Dov’era ogne diletto, o del terrestre paradiso. Momenti e forme del mito nella letteratura italiana, pp. 71-90 Massimo MIGLIORATI, Caino e Abele nella poesia italiana del Novecento. Ungaretti, Caproni, Luzi, pp. 91-109 Chiara CONCINA, L’acqua, il legno, il corvo e la colomba, pp. 111-126 Paolo LEONCINI, Dalla Torre di Babele alla Pentecoste, pp. 127-147 Roberta CAPELLI, Uccidere per creare: il sacrificio di Isacco, pp. 149-169 Elise MONTEL, Esodo e Terra Promessa nel Novecento: «verso quale altro altrove»? Giuseppe Ungaretti - Primo Levi - Erri De Luca, pp. 171-185 Sara NATALE, «Miseremini mei miseremini mei saltim vos amici mei». Note sul Giobbe elegiaco di Cavalcanti, Dante e Petrarca, pp. 187-204 Marialuigia SIPIONE, La perenne contemporaneità dell’«Ecclesiaste». Risultati di una prima campionatura, pp. 205-220 Elena MAIOLINI, Il «Cantico dei Cantici», pp. 221-242 Silvia DE LAUDE, Susanna, pp. 243-264 Rosaria ANTONIOLI, Madri ed eroine bibliche, pp. 265-285 Silvia LONGHI, Cecilia GIBELLINI, Il segno di Giona, pp. 287-310 Adele CIPOLLA, Satana-Lucifero, pp. 311-334 Fabio DANELON, Presenze di Satana nella letteratura italiana dell’Ottocento, pp. 335-356 Tobia ZANON, Alcune considerazioni preliminari sul sogno interpretato nella letteratura italiana, pp. 357-374 Sara NATALE, L’Antico Testamento nella letteratura dialettale degli ebrei d’Italia tra Otto e Novecento, pp. 375-399 Il terzo volume della collana La Bibbia nella letteratura italiana, diretto da Pietro Gibellini, si propone come una «prima, organica, anche se non sistematica mappatura di temi» (stando alle parole introduttive di Raffaella Bertazzoli, p. 5), eventi, punizioni, personaggi, luoghi e sogni biblici relativi all’Antico Testamento e accolti, in diverso modo, nella letteratura italiana ed europea. Dopo le indagini (contenute nei primi due volumi) sulla presenza biblica nella letteratura italiana dal Settecento al Novecento, la scelta di concentrarsi non più su un periodo storico, ma di rintracciare i fondamenti veterotestamentari all’interno dell’intera storia letteraria, permette di penetrare ancor più profondamente, per quanto limitatamente agli autori o ai periodi prescelti, nella effettiva eredità culturale che il testo sacro ha esercitato nel mondo occidentale. Per definire meglio i confini di tale eredità, nell’introduzione la BERTAZZOLI traccia le linee guida attraverso le quali si è articolata la ricerca, soffermandosi sull’importanza rivestita dalla Parola all’interno della Bibbia, sulle sue manifestazioni in forma narrativa (venendo filtrata in miti, generi e storie), e sulla ricchezza simbolica che l’intero Grande Codice ha esercitato nei secoli, divenendo «deposito di grandi miti culturali» (p. 11) e modello letterario e stilistico. La studiosa propone brevemente anche il percorso di ricezione della Sacra Scrittura in ambito protestante e postridentino, sottolineando come, progressivamente, si riscontri un im- 1 © BIBBIA E SCUOLA www.bes.biblia.org poverimento della cultura biblica in ambito cattolico, nonostante il cristianesimo inauguri una «concezione più drammatica, complessa e insondabile dell’uomo rispetto al mondo classico» (p. 9). La stessa BERTAZZOLI è autrice del primo saggio riguardante la trattazione degli animali nella creazione: ella sottolinea, in particolare, il differente rapporto fra uomo e animale prima e dopo il Diluvio. A partire da esso, infatti, l’armonia della creazione viene sovvertita e le bestie cominciano a temere l’uomo. Nella letteratura medievale la diffusione dei bestiari codifica la simbologia delle passioni amorose, dei poteri di ciascun animale: la Bertazzoli fornisce, quindi, l’esempio della fortuna del leone dall’Antico Testamento fino ad Apollinaire, simbolo tanto di forza e valore quanto di violenza e superbia. Dagli animali alla figura di Adamo, il passo è breve: Andrea RONDINI analizza attentamente il significato che nel tempo il primo uomo incarna sia per i singoli autori, sia nella coscienza e nell’immaginario collettivo. Lo studio comprende non solo i passi in cui Adamo è citato esplicitamente, bensì, più spesso, quelli in cui è evocato attraverso la cosiddetta «nostalgia del Paradiso», il desiderio di ritorno nello stato di innocenza primigenia. Così da Leopardi a Vigolo, da Ungaretti a Carlo Levi, da Calvino fino a Erri De Luca, la nostalgia diventa sprone al recupero della parola innocente, altrimenti divenuta mero codice, dopo la Caduta. Adamo è, inoltre, artefice del proprio destino in Pico della Mirandola, è distruttore dell’armonia naturale in Belli, Carducci e Trilussa, spettatore-vittima in Crovi e Santucci, diviene borghese nell’Abele di Alfieri, per finire come vittima teologica in Luzi, Soldati, De Libero ed Elena Bono. Il luogo della beatitudine, il Paradiso in cui l’Adamo pre-cacciata poteva colloquiare con Dio in persona è studiato da Luciana BORSETTO, che ne traccia una geografia biblica e letteraria: esso è caratterizzato dalla presenza di fiumi e piante, dall’eterna primavera, dall’armonia con gli altri esseri viventi (elementi che faranno del Paradiso il paradigma del locus amoenus) e verrà rintracciato fisicamente nelle Americhe, nelle Indie o perfino in Africa. Due autori, in particolare, risultano emblematici nel differente rapporto con l’Eden adamitico: Leopardi, che si concentra sulla distruzione del giardino, ad opera della sete di conoscenza che provoca infelicità, e Pascoli, che attraverso il Fanciullino, ricrea nel linguaggio la nuova sede del Paradiso terrestre. Le conseguenze della Caduta si perpetuano nel fratricidio che Caino compie verso Abele: è la figura dell’omicida che attira maggiormente l’attenzione di poeti, scrittori e drammaturghi, i quali ne fanno l’emblema dell’inquietudine e dell’insoddisfazione per i limiti umani (a partire da Byron). Lo studio di Massimo MIGLIORATI si concentra, in proposito, sulla presenza di Caino e Abele in Ungaretti, Caproni e Luzi, ove il primo cita il fratricida come simbolo della condanna umana alla perdita dell’innocenza, recuperabile attraverso la memoria, mentre il secondo identifica nei due fratelli la polarità conflittuale ragione-passione, presente in ciascun uomo e destinata a venire in conflitto. È il solo Luzi ad occuparsi di Abele, seguendo gli stilemi già presenti in Leopardi e Pascoli e paragonandolo perfino al mito di Dafne in Ovidio. Dall’omicidio del fratello, si passa al racconto del Diluvio con l’intervento di Chiara CONCINA, che avvicina la narrazione biblica a episodi similari, presenti nelle letterature assiro-babilonese, sumera, accadica: in ciascuna di queste culture la cancellazione del mondo precedente e la sua rinascita, per opera dell’unico uomo trovato giusto sulla terra, viene concepita come una novella creazione. Soggetto felicemente ripreso in tanta letteratura, a partire dalla poesia tardo quattrocentesca, fino ai nostri giorni, il Diluvio è stato anche oggetto della pittura di Michelangelo e degli scritti di Leonardo, che affronta il dissesto idrico da un punto di vista scientifico. Anche il teatro (Ringhieri), l’opera (Donizetti) e la narrativa per ragazzi (Giovanni Arpino) mettono in scena l’evento, fino a farne riflessione sulla città e sulla sua alienazione. 2 © BIBBIA E SCUOLA www.bes.biblia.org Paolo LEONCINI, invece, analizza il doppio racconto della torre di Babele, fornito in Genesi 10 e 11, e le successive interpretazioni che gli autori da Dante a Primo Levi diedero dell’evento, preferendo ora una versione, ora l’altra. Nel primo caso, la dispersione etnicolinguistica è spiegata in termini storici, mentre il secondo si configura come mito eziologicocausalistico, ascrivendo la confusione ad un atto di superbia umana. La costruzione di Nimrod rappresenterebbe il potere autocratico, contrastato dalla riproposizione divina della molteplicità creaturale delle lingue, contrariamente a quanto asserirà Leopardi, che considera unitario il linguaggio delle origini e corrotta l’invenzione delle lingue. Leoncini analizza anche le posizioni di Dante, che riprende il modello di Genesi 10 nel De vulgari eloquentia, di Belli e Petrarca, che vedono nell’evento una involuzione antropologica, di Primo Levi, che la riscontra dal punto di vista storico, di Manzoni, che nella Pentecoste ritrova l’unità di cuore come base per la comprensione comune. L’episodio del sacrificio di Isacco è studiato da Roberta CAPELLI, che riscontra forti componenti drammatiche già nel testo biblico. La fortuna del soggetto troverà, infatti, esiti felici nel teatro del Quattrocento con la rappresentazione di Belcari, e nel Settecento con gli oratori di Bencini e Metastasio. La poesia di Dante, Petrarca e Boccaccio accenna brevemente all’evento, mentre il sacrificio del giovinetto è trattato diffusamente nell’arte: valga su tutti l’esempio delle formelle di Ghiberti e Brunelleschi. Nell’Otto e Novecento solo Carducci, la Campo, Rebora e Turoldo accennano al personaggio di Isacco, prefigurazione di Cristo e da esso soppiantato nel paragone, per il sacrificio consumato. Se, dunque, il soggetto non risulta essere ampiamente trattato in letteratura, ciò è dovuto alla preferenza per la resurrezione neotestamentaria e per l’apparente assurdità del racconto di Genesi, se lo si considera al di fuori di un contesto strettamente religioso: un padre uccisore del figlio sarebbe materia degna del solo inferno dantesco. Il passaggio da Genesi a Esodo è sancito da Elise MONTEL, che indaga, invece, la presenza dei personaggi, del valore e del significato del secondo libro del Pentateuco nelle opere di Ungaretti, Primo Levi e Erri De Luca. Sia Ungaretti che De Luca non concepiscono il testo biblico come «un tutto unico» (p. 176), ma solo come frammenti, rispettivamente ne La Terra Promessa e nella traduzione dell’Esodo; Levi, invece, introduce nella narrazione della vita nel lager parole e sintagmi mutuati dal linguaggio biblico, specialmente dall’Antico Testamento. Esodo diventa, così, simbolo del deserto, dell’attraversamento di un difficoltoso periodo storico, presagio di una Terra Promessa futura o condizione di esilio dell’uomo e del poeta che «in nessun posto si può accasare». La tradizione dei libri sapienziali, in particolare di Giobbe e Qoelet, è studiata nei saggi di Sara NATALE e di Marialuigia SIPIONE che limitano il campo d’indagine ad alcuni autori del canone trecentesco e otto-novecentesco. La figura di Giobbe alimenta il filone della letteratura elegiaca, comprendendo la trattazione di temi e sfumature, quali la tonalità lacrimosa, l’amicizia rovesciata in ostilità, il dolore per la perdita dei congiunti: timore, tremore, sospiri sono tratti caratteristici anche della poesia di Cavalcanti e della Vita Nova dantesca, contrariamente al Giobbe di Petrarca che rimane appiattito sulla componente sapienziale. Qoelet è, invece, sottotesto comune tanto ad Ariosto e Lotario Diacono, quanto alla lirica leopardiana e all’Ortis foscoliano: i rimandi alla vanità del mondo, alla maledizione del dì natale, all’alternarsi dei tempi propizi e sventurati per l’uomo rendono immediatamente percepibile la derivazione dei testi dal loro antecedente veterotestamentario. Non ultimi sono gli accenni ai libri di Thackeray, Fenoglio, Borgese, Flaiano che riprendono alcuni dei versetti più celebri dell’Ecclesiaste fin dai loro titoli. La fortuna del Cantico dei Cantici è indagata, invece, da Elena MAIOLINI che, con ricchezza di citazioni, analizza le riprese di alcuni dei temi fondamentali del libro: si parte 3 © BIBBIA E SCUOLA www.bes.biblia.org dall’accostamento dell’amata al giglio (andando da Shakespeare a Langella), passando per il dibattito letterario sulla preferenza della donna bionda o bruna (dove Foscolo si contrappone a Tasso e Monti), simboli rispettivamente di purezza e di modestia, fino a giungere all’identificazione del corpo dell’amata con il giardino (ad esempio in D’Annunzio) e della Chiesa con la Sposa (da Dante a Turoldo). Una voce analizzata più compiutamente è quella di Elsa Morante, in relazione alla tematica amorosa, che, nei romanzi e nei racconti dell’autrice, acquisisce una coloritura erotica non dissimile da quella del Cantico. Da ultimo, la Maiolini considera due fortunate traduzioni del testo, ad opera di Angelini e Ceronetti, per mostrare come le scelte di pudica poeticità e di naturale letterarietà siano emblemi del duplice atteggiamento tenuto dalla critica nei secoli. Silvia DE LAUDE tratta poi la presenza della figura di Susanna nella tradizione letteraria, artistica e culturale italiana e straniera. Se, a un primo sguardo, il racconto biblico non sembra trovare molto seguito nella produzione lirica e romanzesca, eccezion fatta per le rappresentazioni teatrali e per alcune opere fiorentine di primo Quattrocento, nella pittura dalle catacombe a Botticelli ad Artemisia Gentileschi, Susanna è un soggetto amato e sempre reinterpretato, assumendo spesso le fattezze di Cristo condannato ingiustamente. Il personaggio di Susanna, accanto a quelli di Giuditta ed Ester, trova, quindi, spazio soprattutto nei discorsi collegati al tema della giustizia umana e divina, prefigurando perfino la morte e resurrezione di Cristo. Altre eroine e figure femminili bibliche sono analizzate da Rosaria ANATOLI che si sofferma precipuamente su Rut e Giaele: recuperando ampiamente i riferimenti al testo sacro, l’autrice mostra anzitutto il significato che ciascuna delle due riveste, la vocazione di madre nell’accoglienza e nella generosità e la missione di redentrice di un popolo attraverso un atto di forza. Anatoli analizza brevemente la Rut del Tommaseo e la Giaele di Marino, Manzoni, e Ildebrando Pizzetti, che contrae debiti dai drammi dannunziani, pur differenziandosene: le eroine sono, così, prefigurazione e passaggio dall’Antico al Nuovo Testamento, termine di separazione e, al tempo stesso, unione fra alleanze. Dalle figure femminili si passa poi a quelle profetiche con la fortuna iconografica di Giona, indagata da Silvia LONGHI e Cecilia GIBELLINI, che vede un immediato successo nei primi secoli del cristianesimo, a causa della sovrapposizione dell’episodio del mostro marino con le rappresentazioni poseidoniche dell’antichità, per finire assimilato alle figure dei profeti o essere immortalato accanto al Christus resurgens, come sua prefigurazione. In letteratura, Giona è soggetto di alcuni libretti d’Opera, nonché sottotesto per il Gordon Pym di Poe, per Moby Dick di Melville, per i Cinque canti ariosteschi, fino a giungere a Pinocchio e al Barone di Münchausen. Vigolo e Bandini, nel Novecento, si ispirano, invece, alla rappresentazione di Giona di Michelangelo, nella Sistina, autoidentificandosi con il profeta o identificandolo con il pittore. Giona è, dunque, segno di Cristo, simbolo di rinascita dopo la morte, o, junghianamente, immersione nelle tenebre dell’inconscio per salvare la propria coscienza. I due interventi di CIPOLLA e DANELON sulla formazione della figura di Satana e sulla sua presenza nella letteratura trattano in modo sintetico, ma esaustivo il progressivo affermarsi dell’Antagonista sulle scene teatrali, narrative e teologiche. Emerso dall’incontro di visioni apocalittiche, citazioni bibliche, categorizzazioni patristiche e stratificazioni di tradizioni medievali, il diavolo viene citato con molti nomi o rievocato attraverso le visioni infernali, le cadute, le tentazioni, i faustiani patti fra l’uomo e la divinità oppositrice. Dagli studi di Origene, sino alle moderne teorizzazioni di Mario Praz, Satana diviene, nell’Ottocento, figura titanicoprometeica, secondo la linea illuministico-positivistica o giunge a riconciliarsi con Dio, secondo la corrente estetico-irrazionalistica. Dal mai compiuto Inno ad Arimane di Leopardi, ai poemi di Prati, passando per il carducciano Inno a Satana, fino al melodramma di Arrigo Boito, i due critici mostrano come la presenza dell’Antagonista sia oggetto di riscritture e inter- 4 © BIBBIA E SCUOLA www.bes.biblia.org pretazioni originali e suggestive, quando non incarnazione delle ansie e delle paure di ogni secolo. Originale è, inoltre, trovare, dopo l’analisi di figure bibliche o di interi libri dell’Antico Testamento, il saggio di ZANON, che studia la presenza e il significato dei sogni biblici, in relazione alla successiva indagine freudiana e alla fortuna che tale tema ha riscosso in molta letteratura, a partire dal II libro dell’Iliade, fino alla Cenerentola di Rossini. Più che sui sogni, Zanon si concentra sull’interpretazione di essi, cominciando da quella attuata da Gedeone, per proseguire con quelle di Daniele e Giuseppe. Così, i collegamenti fra il sogno, le visioni, le previsioni e la vita vissuta saranno oggetto dei diari tanto del Tommaseo, quanto della Morante e motivo di disputa nella Coscienza di Zeno e nel Nome della Rosa. Il sogno, considerato alternatamente nei secoli come portatore di verità o non totalmente degno di fiducia, rimane comunque uno dei soggetti più amati dalla letteratura non solo romantica. Chiude il lungo discorso sulla presenza veterotestamentaria nella letteratura il saggio di Sara NATALE a proposito della produzione dialettale ebraica otto-novecentesca. La ricerca della Natale si limita ai tre autori più importanti, Del Monte, Gallico e Bedarida, esponenti della poesia ebraica romana, mantovana, livornese. Gli scrittori ebrei mescolano, dunque, lingua ebraica, di ascendenza sefardita o aschenazita, con il dialetto della regione di appartenenza, spesso citando il testo sacro per dissacrarlo. Si nota, infatti, un progressivo impoverimento della cultura biblica da parte degli scrittori e una sempre più crescente preponderanza dell’italiano o del dialetto nei loro scritti, a causa di Chiesa e governo, che indirizzarono la cultura ebraica ad una italianizzazione forzata. Fornendo una panoramica delle figure, dei temi e dei motivi dominanti all’interno dell’Antico Testamento stesso e nella tradizione letteraria italiana, il presente volume si propone come valido erede e continuatore di quel filone di studi che nel Grande Codice di Frye ha trovato una pietra miliare per un futuro cammino di ricerca in tal senso. Pur non pretendendo di risultare esaustivo, il terzo libro della serie diretta da Gibellini fornisce numerosi punti di riferimento e propone precise categorie ermeneutiche nella compiuta analisi sia del Testo sacro, sia dei testi letterari, testimoniando, se ancora ce ne fosse bisogno, che la Bibbia è modello imprescindibile e vero cardine per la letteratura e la cultura occidentale. 5