R Zucchero: «Riparto coi suoni di Cuba» P Stallone: «Il cinema non
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R Zucchero: «Riparto coi suoni di Cuba» P Stallone: «Il cinema non
27 GIOVEDÌ 15 NOVEMBRE 2012 Delon: «In tournée con mia figlia prima di morire» Genova, Nicole Kidman a Palazzo Reale per le riprese di «Grace di Monaco» GENOVA. Folla di ammiratori per Nicole Kidman, arrivata ieri a Genova per le riprese del film «Grace di Monaco» di Oliver Dahan. L’attrice si è fatta attendere 4 ore dai fan che l’hanno vista mentre scendeva dall’auto all’interno di Palazzo Reale, scelto come set per rappresentare la dimora del principe di Monaco. La zona è blindata. Kidman ha salutato a distanza gli ammiratori anche all’uscita dall’hotel a due passi dal set. NUOVO SPETTACOLO PARIGI. «Avevo voglia di questo tour francese prima di morire»: l’attore Alain Delon, 77 anni, sarà a teatro nel 2013 al fianco della figlia Anouchka come interprete della piece «Une journée ordinaire» con rappresentazioni in tutta la Francia a partire dalla prossima primavera. Scritta da Eric Assous, è la storia di una separazione tra padre e figlia. «Forse è stupido dirlo, ma ho avuto voglia di questo tour francese, che voglio vivere prima di morire. È importante, perchè un tour in Francia non l’ho mai fatto». Debutta il 30 novembre alTeatro Fraschini di Pavia «Ammutta muddica», il ritorno sul Una Tebe barbarica per il Sofocle di Sanguineti on ci sono più colonne di N marmo e coturni e la recitazione non è più aulica come nel plein air A Genova «Edipo tiranno» nella versione del poeta. Belle intuizioni, ma allo spettacolo di Sciaccaluga manca qualcosa degli antichi teatri greci. La Tebe che questa volta fa da sfondo a quello che è considerato uno dei capolavori assoluti di tutti i tempi – capolavoro che investe e ripete il segreto del destino umano – è una Tebe rocciosa, primitiva, circondata da ancestrale povertà. Il sofocleo «Edipo tiranno» di Marco Sciaccaluga allo Stabile di Genova ha scena monumentale e ben ideata da Catherine Rankl e Jean Marc Stehlè: una grande caverna sulla cui cima s’innalza un immenso rinsecchito, cadaverico albero che vagamente ricorda quello beckettiano (e più miserevole ) di «Aspettando Godot». È questa Tebe barbarica il primo segno di novità, o di diversità, che reca questo e in cui si torna ad adottare la versione di Edoardo Sanguineti, alquanto impervia per l’attore, sintatticamente anomala come è, ma che non manca di efficacia per la sua modernità. Un altro segno è ravvisabile nel coro che viene sintetizzato in un solo personaggio il cui compito non è più quello di semplice commentatore ma piuttosto di analista che invita il pubblico a distinguere tra l’osservazione del reale e le allucinazioni che assediano il protagonista. Ed è ruolo che quasi con umiltà, ma sovrana grandezza, si assume Eros Pagni, e i suoi interventi sono piccoli cammei. Questi sono gli aspetti più visibili nello spettacolo ma è soprattutto sulla figura del protagonista che Sciaccaluga poi polarizza l’attenzione. E lo fa cercando si allontanare Edipo dai timbri consacrati per definirlo (ignorate però le abusate letture freudiane e antropologiche) come un personaggio che esce dal mito, supera il tempo e arriva a noi e si fa nostro contemporaneo. Si trasforma Edipo in un detective di se stesso e va alla ricerca di scomode verità e alla fine si troverà inerme di fronte al fato e a sé medesimo. Ben scelto, Nicola Pannelli entra nel ruolo con bella intelligenza drammatica, anche se talvolta il suo Edipo, pur claudicante, si muove sulla scena un po’ troppo freneticamente. Rilevante il Tiresia di Federico Vanni, corretti gli altri. Ma cade in un eccesso di teatralizzazione questo «Edipo tiranno» forse non arriva a convincere del tutto, e però è spettacolo di solida costruzione. Come accade spesso sotto la Lanterna, al Teatro della Corte. Domenico Rigotti © RIPRODUZIONE RISERVATA palcoscenico del trio a 6 anni da «Anplagghed» «Incontrare il pubblico dal vivo ci mancava» «Torniamo a teatro per ridere della crisi» Aldo, Giovanni e Giacomo in tour «Ironizziamo su Equitalia e sanità» DI ANGELA CALVINI idiamo della crisi nelle nostre gag, ma la satira politica non fa per noi». Aldo, Giovanni e Giacomo a sei anni dal tour di Anplagghed hanno deciso di accantonare per un po’ il cinema, dopo il successo de La banda dei Babbi Natali, e di tornare ad esibirsi dal vivo. «Questa volta nei teatri, in uno spazio più raccolto dove si vive di più il rapporto con il pubblico» spiegano i tre fianco a fianco al tavolo di una trattoria milanese, sotto l’occhio ironico di Arturo Brachetti che cura ancora una volta la regia: «In Italia sono gli unici a proporre una comicità surreale alla francese. Io vorrei portarli all’estero, ma loro non vogliono». «Noi facciamo spettacoli solo con lui, ma siccome è sempre in giro «Ma la satira per il mondo abbiapolitica non fa mo aspettato» dicono in coro invece i per noi. Il tre. «Certo, alla nonostro stile è stra età è faticoso ma il incontrare gli spetper tutti». Lo tatori dal vivo è fonshow nel 2013 te di nuove idee». Il nuovo show si intisu Canale 5 tola Ammutta muddica che in siciliano significa, «muoviti mollichina, datti da fare». Lo spettacolo debutterà il 30 novembre al Teatro Fraschini di Pavia e girerà per i teatri fino ad aprile toccando solo il Nord (a Milano dal 21 febbraio per 5 settimane) e il Centro del paese con una puntata a Lugano e a Catania. Una sfida, in un momento in cui è sempre più difficile riempire i teatri, «ma noi – dice il siciliano Aldo – non soffriamo la crisi, siamo dei privilegiati rispetto a tanti altri colleghi». La crisi, è comunque presente negli sketch surreali del trio che prende di mira anche le nostre piccole manie quotidiane. Aldo, Giovanni e Giacomo, accompagnati da Silvana Fallisi (moglie di Aldo Baglio) arriveranno sul palco guidando un camion «magico» studiato da Brachetti per aprirsi e creare nuove scenografie. Si ironizza sul giovanilismo a tutti i costi dei cinquantenni che si cimentano in improbabili maratone o che decidono di farsi tatuare. Si passa poi in un ospedale dove due malati poveri (Aldo e Giovanni) si ritrovano in stanza un malato ricco, che tra l’altro li ha appena licenziati, (Giacomo). E poi ancora i tre si ritroveranno in uno scantinato prigionieri di Equitalia perché Aldo non ha pagato una multa. R Silvester Stallone ieri al festival di Roma per presentare «Bullet in the head» di Walter Hill Sly ha presentato «Bullet to the head» «Ho ricevuto tanti no, anche dopo Rocky: ho capito che devo lottare sempre. Vorrei rifare Rambo, ma devo sbrigarmi o sarò troppo vecchio» E “GIACOMINO” SI RACCONTA IN UN VOLUME Dalla prima volta a San Siro, sulle spalle di papà agli 11 anni da infermiere fino al debutto su un palcoscenico. «Alto come un vaso di gerani» (Mondadori) è l’autobiografia semiseria di Giacomo Poretti, sodale di Aldo e Giovanni. Nel libro Giacomo racconta delle persone che ha visto vivere e morire, tanti i ricordi a partire dall’infanzia di "Giacomino" nel suo paese Villa Cortese nel legnanese, in una famiglia di operai. Da piccolo, frequentando l’oratorio, si appassiona al teatro. Tra gli 8 e gli 11 anni comincia a recitare. Ma il successo arriverà dopo molti anni e molte traversie. Lo show sarà anche registrato per Canale 5 che lo manderà in onda a fine novembre 2013 su Canale 5. Nel frattempo, siccome le tecnologie avanzano e cambiano pure il modo di fruire la comicità, il debutto del 30 novembre verrà trasmesso anche in diretta digitale nei cinema e per 8 minuti in streaming sul nuovo canale ufficiale youtube di Aldo Giovanni e Giacomo, che contiene anche il meglio delle loro gag storiche. Certo, c’è un po’ di nostalgia per la comicità d’un tempo, aggiunge Giovanni Storti lamentando la chiusura di tanti teatri storici come lo Smeraldo di Milano: «Per i giovani non c’è più possibilità di fare la gavetta, come noi». Pure la comicità televisiva alla Zelig è a un punto morto per Aldo: «È solo una vetrina, i nuovi comici fanno i loro 5 minuti, poi dopo un mese mettono su uno spettacolo e poi rischiano di bruciarsi in fretta». Mentre Giacomo Poretti è più ottimista. «Le nuove tecnologie stanno cambiando tutto, e i nuovi talenti della comicità usciranno da internet». © RIPRODUZIONE RISERVATA Oggi sul sito www.avvenire.it le videointerviste al trio Aldo Giovanni e Giacomo e al regista Arturo Brachetti I comici Aldo, Giovanni e Giacomo provano il nuovo spettacolo teatrale «Ammudda muddica» Zucchero: «Riparto coi suoni di Cuba» DI MASSIMO GATTO ure Zucchero è un "hombre sincero" come il romantico protagonista di quella Guantanamera riveduta e corretta tra i solchi de La sesión cubana l’album registrato nel cuore de L’Avana per risciacquare il suo soul padano tra le onde del Caribe. L’idea di rileggere in "salsa picante" canzoni come Baila, Un Kilo, Così Celeste, Cuba Libre, la cover dei Korgis Indaco dagli occhi del cielo o L’Urlo viene infatti da questa sua spontaneità e da un sogno lontano. «Quando ventidue anni fa cantai al Cremlino pensai subito che il concerto successivo l’avrei fatto a Cuba, trovando nella vicinanza tra i due eventi un filo ideologico che forse allora aveva pure un senso» spiega il soulman di Roncocesi nell’attesa che il 20 novembre l’album faccia la sua comparsa sul mercato. «Ho dovuto aspettare perché management e discografia, temendo le reazioni dell’industria americana, continuavano a dirmi: se suo- P Zucchero in versione cubana nuovo disco Il 20 novembre esce «La sesión cubana» registrato nell’isola con artisti locali «L’8 dicembre sarò in concerto a L’Avana, in onda su Rai o Mediaset» ni a Cuba puoi scordarti di fare carriera negli Stati Uniti. Ora ho rotto gli indugi perché a 57 anni mi piace fare di testa mia e perché volevo suonare a L’Avana prima che Cuba diventi un’altra cosa. E penso che anche i tempi siano un po’ cambiati se è vero che il disco verrà regolarmente distribuito pure negli Usa». Prodotto come Fly e Chocabeck da Don Was, che per ultimare le registrazioni con Fornaciari ha fatto aspettare gli Stones e i loro due inediti da inserire nella raccolta Grrr!, La sesión cubana rielabora in salsa caraibica pure canzoni che Zucchero ha attinto dal songbook altrui come Never is a moment di Jimmy LaFave o Nena di Jorge Santana e dei suoi Malo. Pana, altro standard dei Malo, Delmo lo canta con Bebe "la Macy Gray latina", mentre Ave Maria no morro, preghiera in musica firmata settant’anni fa da Herivelto Martins ma ancora estremamente attuale, con Djavan. «Ma al concerto che terrò a Cuba l’8 dicembre, anniversario del concerto al Cremlino, hanno pro- messo di raggiungermi pure David Branco, i Los Van Van, Omara Portuondo. Quella sera cadrà pure l’anniversario della scomparsa di John Lennon e gli renderò omaggio con una cover di Beautiful boy. Ci esibiremo al parco dell’Istituto Superiore dell’Arte, uno spazio enorme che può contenere decine di migliaia di spettatori e lo show sarà ripreso dalla Rai o da Mediaset (stiamo ancora trattando) che lo trasmetteranno in prima serata durante il periodo natalizio. Questo concerto, infatti, vuole essere il mio omaggio alla generosità di un popolo meraviglioso e agli ideali di un paese che va molto al di là del culto dei suoi governanti». Il prossimo anno La sesión cubana diventerà pure un tour mondiale da portare al debutto in Italia alla fine di aprile. «Quella cubana è una musica bellissima e molto storicizzata – conclude Zucchero –. Basta modernizzarla, anche perché il suo bagaglio ritmico è enorme e straordinario». Stallone: «Il cinema non è una favola» DA ROMA ALESSANDRA DE LUCA n omaggio al cinema d’azione degli anni 70 e 80, con un efficace mix di adrenalina e ironia. E una strizzata d’occhio al western, con le Ferrari al posto dei cavalli. Sugli schermi del Festival di Roma approda Bullet to the Head del regista di culto Walter Hill, interpretato da Sylvester Stallone e il giovane coreano Sung Kang, tratto dalla graphic novel del francese Du Plomb Dans la Tête scritta da Matz e illustrata da Colin Wilson. Nel film ispirato a un altro lavoro di Hill, 48 ore, e sceneggiato dall’italiano Alessandro Camon, di cui si apprez- U festival di Roma IL LIBRO zano soprattutto i brillanti dialoghi tra i due protagonisti, un sicario di New Orleans, Jimmy Bobo, e un detective di Washington, Taylor Kwon, si alleano per catturare il killer dei loro rispettivi datori di lavoro. I due uomini situati dalla parte opposta della legge, troveranno il modo per combattere con lealtà la stessa battaglia. Accolto da una vera e propria ovazione, Stallone ha aperto la conferenza stampa rivolgendo un appello al governo perché salvi gli studi di Cinecittà e ha ricordato con affetto l’incontro di due giorni fa con il pubblico di Tor Vergata. «C’erano tanti ragazzi – dice l’attore che ha stregato il festival con la sua simpatica schiettezza – e so cosa provano, quanto sono spaventati. Io ero come loro, dormivo sui tetti, vi- vevo per le strade, mi hanno chiuso mille porte in faccia. Ma non bisogna aver paura, errore dopo errore si arriva in alto, io ne sono la prova». «Dopo il successo di Rocky – continua – pensavo che a Hollywood tutti mi avrebbero amato, invece non mi hanno neanche pagato. “Torna a lavorare e poi vediamo”, mi hanno detto. Allora ho capito che si trattava di business, non di una storia d’amore. Il cinema non è sempre luogo di gioia e intrattenimento, piuttosto di duro e spietato lavoro. Una grande lezione di vita da cui ho imparato che possiamo contare solo su noi stessi». E la se saga del pugile si è definitivamente conclusa, quella di Rambo resta aperta: «Lui ha ancora guerre da combattere, non torna a casa perché non ce l’ha. Però ho menti- to a me stesso pensando che combattesse per il suo paese: lo fa solo per se stesso, è il mostro creato da una società che l’ha mandato a combattere in Vietnam. Ho un’idea per un nuovo film, ma devo sbrigarmi prima che il povero Rambo si ritrovi a dover combattere con l’artrosi». I suoi progetti cinematografici sono ancora tanti, ma fuori dal set Sly si dedica alla famiglia: «Mi sono sempre chiesto cosa facciano gli attori che per tre o cinque anni non fanno film. Giocano con il cane, mettono a posto il garage? Io sto dietro alle mie figlie, e la cosa, vi assicuro, mi tiene assai impegnato. Ma ci pensate, io che sono stato Rocky e Rambo, ora devo vedermela con una moglie, tre figlie e cinque cani». © RIPRODUZIONE RISERVATA © RIPRODUZIONE RISERVATA In concorso, fischi al film di Franchi isate e contestazioni hanno accolto R la proiezione di «E la chiamano estate» di Paolo Franchi, terzo e ultimo film in competizione al Festival di Roma, interpretato da Isabella Ferrari, Jean-Marc Barr e Filippo Nigro, prodotto da Nicoletta Mantovani. Il film, prima molto propagandato sui giornali e ieri invece attaccato anche in conferenza stampa, è la storia di un uomo spinto dalla depressione al sesso compulsivo. Paragonato a «Shame» di Steve McQueen, del quale però non possiede la profondità e la disperazione, il film si compiace delle sue provocazioni: ma per provocare c’è bisogno di sostanza mentre sullo schermo ieri è andato in scena solo un grande vuoto. «Abbiamo avuto 400 mila euro dal Mibac e 80 mila dalla regione Puglia» ha detto Mantovani. Un dato che certamente alimenterà le polemiche. (A. De Luc.)