R Zucchero: «Riparto coi suoni di Cuba» P Stallone: «Il cinema non

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R Zucchero: «Riparto coi suoni di Cuba» P Stallone: «Il cinema non
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GIOVEDÌ
15 NOVEMBRE 2012
Delon: «In tournée
con mia figlia
prima di morire»
Genova, Nicole Kidman a Palazzo Reale
per le riprese di «Grace di Monaco»
GENOVA. Folla di ammiratori per Nicole Kidman,
arrivata ieri a Genova per le riprese del film
«Grace di Monaco» di Oliver Dahan. L’attrice si è
fatta attendere 4 ore dai fan che l’hanno vista
mentre scendeva dall’auto all’interno di Palazzo
Reale, scelto come set per rappresentare la dimora
del principe di Monaco. La zona è blindata. Kidman
ha salutato a distanza gli ammiratori anche all’uscita
dall’hotel a due passi dal set.
NUOVO
SPETTACOLO
PARIGI. «Avevo voglia
di questo tour francese
prima di morire»:
l’attore Alain Delon, 77
anni, sarà a teatro nel
2013 al fianco della figlia
Anouchka come
interprete della piece
«Une journée ordinaire»
con rappresentazioni in
tutta la Francia a partire
dalla prossima primavera.
Scritta da Eric Assous, è
la storia di una
separazione tra padre e
figlia. «Forse è stupido
dirlo, ma ho avuto voglia
di questo tour francese,
che voglio vivere prima di
morire. È importante,
perchè un tour in Francia
non l’ho mai fatto».
Debutta il 30 novembre
alTeatro Fraschini di
Pavia «Ammutta
muddica», il ritorno sul
Una Tebe barbarica per il Sofocle di Sanguineti
on ci sono più colonne di
N
marmo e coturni e la recitazione
non è più aulica come nel plein air
A Genova «Edipo tiranno»
nella versione del poeta. Belle
intuizioni, ma allo spettacolo
di Sciaccaluga manca qualcosa
degli antichi teatri greci. La Tebe che
questa volta fa da sfondo a quello che
è considerato uno dei capolavori
assoluti di tutti i tempi – capolavoro
che investe e ripete il segreto del
destino umano – è una Tebe rocciosa,
primitiva, circondata da ancestrale
povertà. Il sofocleo «Edipo tiranno» di
Marco Sciaccaluga allo Stabile di
Genova ha scena monumentale e ben
ideata da Catherine Rankl e Jean Marc
Stehlè: una grande caverna sulla cui
cima s’innalza un immenso rinsecchito,
cadaverico albero che vagamente
ricorda quello beckettiano (e più
miserevole ) di «Aspettando Godot».
È questa Tebe barbarica il primo segno
di novità, o di diversità, che reca
questo e in cui si torna ad adottare la
versione di Edoardo Sanguineti,
alquanto impervia per l’attore,
sintatticamente anomala come è, ma
che non manca di efficacia per la sua
modernità. Un altro segno è ravvisabile
nel coro che viene sintetizzato in un
solo personaggio il cui compito non è
più quello di semplice commentatore
ma piuttosto di analista che invita il
pubblico a distinguere tra
l’osservazione del reale e le
allucinazioni che assediano il
protagonista. Ed è ruolo che quasi con
umiltà, ma sovrana grandezza, si
assume Eros Pagni, e i suoi interventi
sono piccoli cammei. Questi sono gli
aspetti più visibili nello spettacolo ma
è soprattutto sulla figura del
protagonista che Sciaccaluga poi
polarizza l’attenzione. E lo fa cercando
si allontanare Edipo dai timbri
consacrati per definirlo (ignorate però
le abusate letture freudiane e
antropologiche) come un personaggio
che esce dal mito, supera il tempo e
arriva a noi e si fa nostro
contemporaneo. Si trasforma Edipo in
un detective di se stesso e va alla
ricerca di scomode verità e alla fine si
troverà inerme di fronte al fato e a sé
medesimo. Ben scelto, Nicola Pannelli
entra nel ruolo con bella intelligenza
drammatica, anche se talvolta il suo
Edipo, pur claudicante, si muove sulla
scena un po’ troppo freneticamente.
Rilevante il Tiresia di Federico Vanni,
corretti gli altri. Ma cade in un eccesso
di teatralizzazione questo «Edipo
tiranno» forse non arriva a convincere
del tutto, e però è spettacolo di solida
costruzione. Come accade spesso
sotto la Lanterna, al Teatro della Corte.
Domenico Rigotti
© RIPRODUZIONE RISERVATA
palcoscenico del trio a 6
anni da «Anplagghed»
«Incontrare il pubblico
dal vivo ci mancava»
«Torniamo a teatro per ridere della crisi»
Aldo, Giovanni e Giacomo in tour
«Ironizziamo su Equitalia e sanità»
DI ANGELA CALVINI
idiamo della crisi nelle nostre gag, ma
la satira politica non fa per noi». Aldo,
Giovanni e Giacomo a sei anni dal tour
di Anplagghed hanno deciso di accantonare
per un po’ il cinema, dopo il successo de La
banda dei Babbi Natali, e di tornare ad esibirsi dal vivo. «Questa volta nei teatri, in uno
spazio più raccolto dove si vive di più il rapporto con il pubblico» spiegano i tre fianco a
fianco al tavolo di una trattoria milanese, sotto l’occhio ironico di Arturo Brachetti che cura ancora una volta la regia: «In Italia sono gli
unici a proporre una comicità surreale alla
francese. Io vorrei portarli all’estero, ma loro
non vogliono». «Noi facciamo spettacoli solo con lui, ma siccome è sempre in giro
«Ma la satira
per il mondo abbiapolitica non fa
mo aspettato» dicono in coro invece i
per noi. Il
tre. «Certo, alla nonostro stile è
stra età è faticoso ma
il incontrare gli spetper tutti». Lo
tatori dal vivo è fonshow nel 2013
te di nuove idee». Il
nuovo show si intisu Canale 5
tola Ammutta muddica che in siciliano
significa, «muoviti mollichina, datti da fare».
Lo spettacolo debutterà il 30 novembre al Teatro Fraschini di Pavia e girerà per i teatri fino
ad aprile toccando solo il Nord (a Milano dal
21 febbraio per 5 settimane) e il Centro del
paese con una puntata a Lugano e a Catania.
Una sfida, in un momento in cui è sempre
più difficile riempire i teatri, «ma noi – dice il
siciliano Aldo – non soffriamo la crisi, siamo
dei privilegiati rispetto a tanti altri colleghi».
La crisi, è comunque presente negli sketch
surreali del trio che prende di mira anche le
nostre piccole manie quotidiane. Aldo, Giovanni e Giacomo, accompagnati da Silvana
Fallisi (moglie di Aldo Baglio) arriveranno sul
palco guidando un camion «magico» studiato da Brachetti per aprirsi e creare nuove scenografie. Si ironizza sul giovanilismo a tutti i
costi dei cinquantenni che si cimentano in
improbabili maratone o che decidono di farsi tatuare. Si passa poi in un ospedale dove
due malati poveri (Aldo e Giovanni) si ritrovano in stanza un malato ricco, che tra l’altro li ha appena licenziati, (Giacomo). E poi
ancora i tre si ritroveranno in uno scantinato prigionieri di Equitalia perché Aldo non ha
pagato una multa.
R
Silvester
Stallone ieri
al festival
di Roma
per presentare
«Bullet
in the head»
di Walter Hill
Sly ha presentato «Bullet to the head»
«Ho ricevuto tanti no, anche dopo
Rocky: ho capito che devo lottare
sempre. Vorrei rifare Rambo, ma devo
sbrigarmi o sarò troppo vecchio»
E “GIACOMINO”
SI RACCONTA
IN UN VOLUME
Dalla prima volta a San Siro,
sulle spalle di papà agli 11
anni da infermiere fino al
debutto su un palcoscenico.
«Alto come un vaso di
gerani» (Mondadori) è
l’autobiografia semiseria di
Giacomo Poretti, sodale di
Aldo e Giovanni. Nel libro
Giacomo racconta delle
persone che ha visto vivere
e morire, tanti i ricordi a
partire dall’infanzia di
"Giacomino" nel suo paese
Villa Cortese nel legnanese,
in una famiglia di operai. Da
piccolo, frequentando
l’oratorio, si appassiona al
teatro. Tra gli 8 e gli 11 anni
comincia a recitare. Ma il
successo arriverà dopo
molti anni e molte traversie.
Lo show sarà anche registrato per Canale 5
che lo manderà in onda a fine novembre 2013
su Canale 5. Nel frattempo, siccome le tecnologie avanzano e cambiano pure il modo
di fruire la comicità, il debutto del 30 novembre verrà trasmesso anche in diretta digitale nei cinema e per 8 minuti in streaming
sul nuovo canale ufficiale youtube di Aldo
Giovanni e Giacomo, che contiene anche il
meglio delle loro gag storiche. Certo, c’è un
po’ di nostalgia per la comicità d’un tempo,
aggiunge Giovanni Storti lamentando la chiusura di tanti teatri storici come lo Smeraldo
di Milano: «Per i giovani non c’è più possibilità di fare la gavetta, come noi». Pure la comicità televisiva alla Zelig è a un punto morto per Aldo: «È solo una vetrina, i nuovi comici fanno i loro 5 minuti, poi dopo un mese mettono su uno spettacolo e poi rischiano di bruciarsi in fretta». Mentre Giacomo
Poretti è più ottimista. «Le nuove tecnologie
stanno cambiando tutto, e i nuovi talenti della comicità usciranno da internet».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Oggi sul sito www.avvenire.it le videointerviste al trio Aldo Giovanni e Giacomo e al regista Arturo Brachetti
I comici Aldo, Giovanni e Giacomo provano il nuovo spettacolo teatrale «Ammudda muddica»
Zucchero: «Riparto coi suoni di Cuba»
DI MASSIMO GATTO
ure Zucchero è un "hombre sincero" come il romantico protagonista di quella
Guantanamera riveduta e corretta tra i
solchi de La sesión cubana l’album registrato
nel cuore de L’Avana per risciacquare il suo
soul padano tra le onde del Caribe. L’idea di rileggere in "salsa picante" canzoni come Baila, Un Kilo, Così Celeste, Cuba Libre, la cover dei
Korgis Indaco dagli occhi del cielo o L’Urlo viene infatti da questa sua spontaneità e da un
sogno lontano. «Quando ventidue anni fa cantai al Cremlino pensai subito che il concerto
successivo l’avrei fatto a Cuba, trovando nella
vicinanza tra i due eventi un filo ideologico che
forse allora aveva pure un senso» spiega il soulman di Roncocesi nell’attesa che il 20 novembre l’album faccia la sua comparsa sul mercato. «Ho dovuto aspettare perché management
e discografia, temendo le reazioni dell’industria americana, continuavano a dirmi: se suo-
P
Zucchero in versione cubana
nuovo disco
Il 20 novembre esce «La
sesión cubana» registrato
nell’isola con artisti locali
«L’8 dicembre sarò in
concerto a L’Avana, in
onda su Rai o Mediaset»
ni a Cuba puoi scordarti di fare carriera negli
Stati Uniti. Ora ho rotto gli indugi perché a 57
anni mi piace fare di testa mia e perché volevo suonare a L’Avana prima che Cuba diventi
un’altra cosa. E penso che anche i tempi siano
un po’ cambiati se è vero che il disco verrà regolarmente distribuito pure negli Usa».
Prodotto come Fly e Chocabeck da Don Was,
che per ultimare le registrazioni con Fornaciari
ha fatto aspettare gli Stones e i loro due inediti da inserire nella raccolta Grrr!, La sesión cubana rielabora in salsa caraibica pure canzoni che Zucchero ha attinto dal songbook altrui
come Never is a moment di Jimmy LaFave o
Nena di Jorge Santana e dei suoi Malo. Pana,
altro standard dei Malo, Delmo lo canta con
Bebe "la Macy Gray latina", mentre Ave Maria
no morro, preghiera in musica firmata settant’anni fa da Herivelto Martins ma ancora estremamente attuale, con Djavan. «Ma al concerto che terrò a Cuba l’8 dicembre, anniversario del concerto al Cremlino, hanno pro-
messo di raggiungermi pure David Branco, i
Los Van Van, Omara Portuondo. Quella sera
cadrà pure l’anniversario della scomparsa di
John Lennon e gli renderò omaggio con una cover di Beautiful boy. Ci esibiremo al parco dell’Istituto Superiore dell’Arte, uno spazio enorme che può contenere decine di migliaia di
spettatori e lo show sarà ripreso dalla Rai o da
Mediaset (stiamo ancora trattando) che lo trasmetteranno in prima serata durante il periodo natalizio. Questo concerto, infatti, vuole essere il mio omaggio alla generosità di un popolo meraviglioso e agli ideali di un paese che
va molto al di là del culto dei suoi governanti».
Il prossimo anno La sesión cubana diventerà
pure un tour mondiale da portare al debutto
in Italia alla fine di aprile. «Quella cubana è una musica bellissima e molto storicizzata –
conclude Zucchero –. Basta modernizzarla, anche perché il suo bagaglio ritmico è enorme e
straordinario».
Stallone: «Il cinema non è una favola»
DA ROMA
ALESSANDRA DE LUCA
n omaggio al cinema d’azione
degli anni 70 e
80, con un efficace mix
di adrenalina e ironia.
E una strizzata d’occhio
al western, con le Ferrari al posto dei cavalli.
Sugli schermi del Festival di Roma
approda Bullet to the Head del regista di culto Walter Hill, interpretato
da Sylvester Stallone e il giovane coreano Sung Kang, tratto dalla
graphic novel del francese Du
Plomb Dans la Tête scritta da Matz
e illustrata da Colin Wilson. Nel film
ispirato a un altro lavoro di Hill, 48
ore, e sceneggiato dall’italiano Alessandro Camon, di cui si apprez-
U
festival di Roma
IL LIBRO
zano soprattutto i brillanti dialoghi
tra i due protagonisti, un sicario di
New Orleans, Jimmy Bobo, e un detective di Washington, Taylor Kwon,
si alleano per catturare il killer dei
loro rispettivi datori di lavoro. I due
uomini situati dalla parte opposta
della legge, troveranno il modo per
combattere con lealtà la stessa battaglia.
Accolto da una vera e propria ovazione, Stallone ha aperto la conferenza stampa rivolgendo un appello al governo perché salvi gli studi
di Cinecittà e ha ricordato con affetto l’incontro di due giorni fa con
il pubblico di Tor Vergata. «C’erano
tanti ragazzi – dice l’attore che ha
stregato il festival con la sua simpatica schiettezza – e so cosa provano, quanto sono spaventati. Io ero come loro, dormivo sui tetti, vi-
vevo per le strade, mi hanno chiuso mille porte in faccia. Ma non bisogna aver paura, errore dopo errore si arriva in alto, io ne sono la
prova». «Dopo il successo di Rocky
– continua – pensavo che a Hollywood tutti mi avrebbero amato,
invece non mi hanno neanche pagato. “Torna a lavorare e poi vediamo”, mi hanno detto. Allora ho capito che si trattava di business, non
di una storia d’amore. Il cinema non
è sempre luogo di gioia e intrattenimento, piuttosto di duro e spietato lavoro. Una grande lezione di
vita da cui ho imparato che possiamo contare solo su noi stessi». E la
se saga del pugile si è definitivamente conclusa, quella di Rambo
resta aperta: «Lui ha ancora guerre
da combattere, non torna a casa
perché non ce l’ha. Però ho menti-
to a me stesso pensando che combattesse per il suo paese: lo fa solo
per se stesso, è il mostro creato da
una società che l’ha mandato a
combattere in Vietnam. Ho un’idea
per un nuovo film, ma devo sbrigarmi prima che il povero Rambo si
ritrovi a dover combattere con l’artrosi».
I suoi progetti cinematografici sono
ancora tanti, ma fuori dal set Sly si
dedica alla famiglia: «Mi sono sempre chiesto cosa facciano gli attori
che per tre o cinque anni non fanno film. Giocano con il cane, mettono a posto il garage? Io sto dietro
alle mie figlie, e la cosa, vi assicuro,
mi tiene assai impegnato. Ma ci
pensate, io che sono stato Rocky e
Rambo, ora devo vedermela con una moglie, tre figlie e cinque cani».
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In concorso, fischi
al film di Franchi
isate e contestazioni hanno accolto
R
la proiezione di «E la chiamano
estate» di Paolo Franchi, terzo e ultimo
film in competizione al Festival di Roma,
interpretato da Isabella Ferrari, Jean-Marc
Barr e Filippo Nigro, prodotto da
Nicoletta Mantovani. Il film, prima molto
propagandato sui giornali e ieri invece
attaccato anche in conferenza stampa, è la
storia di un uomo spinto dalla
depressione al sesso compulsivo.
Paragonato a «Shame» di Steve McQueen,
del quale però non possiede la profondità
e la disperazione, il film si compiace delle
sue provocazioni: ma per provocare c’è
bisogno di sostanza mentre sullo schermo
ieri è andato in scena solo un grande
vuoto. «Abbiamo avuto 400 mila euro dal
Mibac e 80 mila dalla regione Puglia» ha
detto Mantovani. Un dato che certamente
alimenterà le polemiche. (A. De Luc.)