l`uomo dei bastoni
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l`uomo dei bastoni
L'UOMO DEI BASTONI “sciiittt- sciiittt” sibilò il serpente saettando la lingua biforcuta fino a lambire il collo dell'oca, che si sentì rabbrividire... “attenzione... arriva...” Si fece subito silenzio, e tutto, nella stanza, tornò immobile e tranquillo. Il serpente era ogni volta il primo a sentire il pericolo, vigile e guardingo, amico solo a se stesso, sempre pronto a elaborare piani, a tramare strategie. Gli altri lo temevano, era imprevedibile, silenzioso, solitario. Ed era abilissimo a stare di vedetta. Non gli era mai sfuggito un segnale, un movimento sospetto. E non si era mai sbagliato. Per questo veniva ascoltato da tutti. Senza discussioni. Si sentì un movimento dietro la porta, uno scalpiccio e un tinnire di chiavi, ed ecco affacciarsi nella stanza l'uomo dei bastoni, con un nuovo carico di legni, profumati di bosco e di muschio. “troppi” pensò qualcuno. Ma non lo disse a voce alta. Altri si guardarono preoccupati. “chissà chi sono questi... chissà da dove vengono. Non hanno l'aria nostrana!” Altre essenze, altri profumi. E tentarono di indovinare fisionomie, di intuire aspetto e identità nascosti sotto il guscio della corteccia non scorticata, dentro le fibre del legno ancora fresco. E già immaginavano, quelle piccole teste di legno, le accese discussioni per mantenere le posizioni raggiunte, le trame per un posto in prima fila, comodo per osservare ed essere visti, non troppo stretto da soffocare, né troppo largo da lasciarti ricadere di fianco obbligandoti a faticosi esercizi di equilibrio per riuscire a stare dritti e fieri come soldatini in parata. Ma era certo, era cosa ormai assodata, che i nuovi arrivati, una volta completi e rifiniti, avrebbero usurpato qualche bella postazione, faticosamente conquistata con alleanze ed intrighi, conservata con lusinghe, con astuzie. Agli ultimi, l'uomo aveva sempre assegnato il posto d'onore, almeno fino a quando non si fosse abituato alla loro presenza, fino a quando non fossero diventati amici, pronti, comunque, ad essere sostituiti da altri nuovi arrivati. Cominciarono a lanciarsi sguardi allusivi, ammiccando con impercettibili movimenti, saettare d'occhiate, scricchiolii. Le discussioni furono procrastinate a tempi più opportuni. Tutti sapevano che la notte a venire ne avrebbe visto delle belle. Ed ognuno si mise ad attendere rimuginando, ripassando diritti e priorità, ipotizzando soluzioni... L'uomo stava seduto in poltrona, leggeva il giornale girando lentamente le pagine, ogni tanto alzava gli occhi, fermava lo sguardo qua e là dove gli pareva di cogliere un movimento impercettibile, appena un lieve ondeggiare. Ma, no, forse era solo la sua immaginazione. Tutto era tranquillo in quel pomeriggio di autunno. La luce entrava obliqua dalla finestra, giocava con le tende disegnando ombre dorate sulle pareti, proiettando le sagome dei bastoni che sembravano animarsi, dialogare. Era bello stare lì, nella calda atmosfera della casa, dove i rumori arrivavano attutiti, e nella stanza dei bastoni, dove il tempo non aveva giurisdizione, scandito com'era solo dal ritmo regolare del respiro, dal battito del cuore. I pensieri restavano fuori dalla porta, sfarfallavano lievi per non farsi catturare, giocavano a rimpiattino con i ricordi, quelli buoni, dell'infanzia: la campagna di vigne e orti che da bambino, in vacanza dai nonni, praticava in lungo e in largo con i cugini per scovare frutti maturi, animaletti da cacciare, nidi d'uccelli; il fiume, dove aveva imparato a nuotare e aveva osservato da vicino e tentato di catturare trote e temoli dorati e i piccoli gamberi scuri e veloci, sotto i sassi lambiti dai fili verdazzurri delle alghe che in primavera si coprivano di fiori, bianchi e minuscoli, leggeri come un velo da sposa, come una spruzzata di neve. Lungo le rive, eleganti nella livrea argentata delle foglie perenni, gli ontani protendevano le radici quasi fin dentro l'acqua, abbarbicandosi alla terra e regalando un legno bianco e compatto, facile da intagliare, da incidere. E i salici selvatici, sinuosi e curvi nei i loro lunghi rami sottili sembravano messi lì per chi conosceva il mestiere, ad offrire il materiale adatto, perfetto per intrecciare cesti e panieri, corbelle e gerle. Ma era il bosco di carpini e di roverelle il luogo magico della sua infanzia. Ci andava con il nonno a fare legna per il fuoco del camino. Era profumato di ciclamini e di funghi, rosseggiante di bacche di more e di corniole, di lamponi e di fragole. I mirtilli erano più in alto, in montagna, dentro il folto delle abetaie, sotto i larici imponenti che facevano un po' paura, incutevano soggezione. Era un bosco più cupo, si percorreva muniti di un robusto bastone col quale battere il terreno per spaventare le vipere che si immaginavano dietro i sassi, negli anfratti, sotto le felci. “Il bastone è un compagno fedele e indispensabile in montagna... nel bosco, poi, è utilissimo” ripeteva il nonno e mostrava orgoglioso il suo, di legno di nocciolo, leggero e resistente ad un tempo, inciso sul manico curvo con tacche regolari e precise a formare una greca geometrica di pieni e di vuoti, quasi un cartiglio che incorniciava una data: la partenza del figlio per la guerra, dalla quale non sarebbe più ritornato “ti ci devi appoggiare senza buttarti, altrimenti ti stanchi”...“attento a non infilare la punta in qualche sconnessura tra i sassi... potresti inciampare ” “col bastone puoi frugare tra il folto senza usare le mani... non si può mai sapere...” “vedi, se lo sai usare, ti serve per avvicinare un ramo... per raggiungere le more su in alto... per spaventare le vipere preannunciando il tuo arrivo... per rompere le ragnatele che incontri sul sentiero...” “Una volta, mentre camminavo in montagna...” Il nonno cominciava così le sue storie, forse inventate, forse in qualche parte autentiche. Episodi incredibili in cui lui, eroico protagonista, per abilità o per fortuna, sapeva sempre trarsi d'impaccio, trovare la soluzione per un epilogo felice. Storie che facevano viaggiare con la fantasia, che insegnavano. Storie di uomini e di animali fantastici che popolavano il bestiario contadino con nomi pittoreschi e con avventure strabilianti: la “lodria”, la “racoletta amabile”, la “poiana dal falchet”, “il nano burlano”, “gli elfi del bosco”, le “anguane de l'acqua”, “le strie de 'l balarin”. Ma anche racconti di caccia: alla lepre, al capriolo, agli uccelli di passo e a quelli stanziali, galli cedroni e forcelli, pernici e quaglie dei quali sapeva rifare il verso per averli a lungo ascoltati in silenzio riverente, acquattato tra le felci, trattenendo il respiro, immobile e paziente. Il giorno del suo tredicesimo compleanno il nonno l'aveva sorpreso con il regalo di un coltellino, manico di legno e lama affilata, e lui, l'uomo dei bastoni, allora ragazzino felice, aveva aspettato la luna giusta per il taglio, era corso a cercare un cespuglio di nocciolo della giusta misura e in un pezzetto di ramo grosso come un dito era riuscito a ritrarre il vecchio preciso preciso, col suo cappello calcato sulla testa, il naso ricurvo e i baffi all'umbertina. Ne aveva fatto il tappo per la bottiglia di vino, e l'inizio di una passione durata tutta una vita. Comincia a fare buio. Le ombre azzurre si allungano mangiandosi le montagne lontane, i campi, gli alberi. Qua e là l'abbaiare di un cane, un richiamo, uno sbattere d'uscio. Piano piano, nelle contrade del paese, le case si preparano alla notte. Una dopo l'altra le finestre illuminate si spengono come candele e allora nel blu del cielo esce, chiara e regale, la luna. Ora, il silenzio si è impadronito della casa. L'uomo è andato a dormire presto. Domani si dovrà alzare all'alba per una spedizione nel bosco. Le piogge abbondanti hanno fatto uscire i primi funghi, porcini e mazze di tamburo, finferli e prataioli. E chissà, se avrà fortuna, potrà incontrare sul suo cammino qualche bel ramo diritto e compatto che ha voglia di mostrarsi, che si propone per essere scolpito a dovere, per rivelare la figura che nasconde nel legno. L'uomo ha preparato il cesto, la borraccia per l'acqua, il coltello, il bastone. Il coltello è quello di allora, quello che gli è stato regalato dal nonno. Il bastone invece è l'ultimo nato, intagliato nell'impugnatura a testa di aquila, inciso fino alla punta a tacche regolari e spirali, finito di levigare appena il giorno prima. Una meraviglia a vedersi che raggiungerà gli altri dopo l'uscita di domani, dopo il battesimo del bosco. Gli altri, moltissimi, aspettano impazienti il suo rientro alloggiati nei grandi contenitori di legno sparsi per le stanze. Sperano di cogliere, al suo ritorno, il profumo di muschio e di felci riportato indietro, di catturare qualche afrore di bestia selvatica, il sentore buono di erba bagnata, l'umido odore di radici affioranti e di foglie cadute nell'ombra del sottobosco. “sciiittt-sciiittt - sibila il serpente - via libera!” Ora la luna, occhieggiando tra le imposte accostate si diverte ad osservare il trapestio convulso, il movimento quasi frenetico di tutte quelle teste che si provano a cambiare di posto spostandosi da un punto all'altro, cercando di non urtarsi, di non procurare ammaccature, di non suscitare inutili discussioni... La rana è davvero stanca di stare gomito a gomito con l'uccello d'acqua che la fissa con occhio minaccioso... lo scoiattolo vuole sottrarsi all'attenzione sospetta della volpe... l'oca non ce la fa più a sentirsi sul collo il sibilare dei serpenti... gufi e civette rivendicano una postazione nella mezza-ombra per le loro grandi pupille sensibili... “e voi chi siete?” È un volto severo di elfo intagliato che parla, rivolgendosi ai nuovi arrivati. “di dove venite?...non siete di qua... siete di un'altra pasta, mi pare... di un'altra fibra...” Tre di questi sono rami di olivastro lunghi e dritti, di corteccia regolare, verdognola e omogenea, senza nodi e spaccature evidenti. Una bellezza da incidere, ha pensato l'uomo dei bastoni quando gli sono stati portati di lontano, in regalo da un amico sardo, di Calangianus. Alcuni vengono dal Limbara e conservano l'asciutta nodosità della montagna, la compattezza delle alture. Un paio sono polloni di robinia, cresciuti tra le pietre antiche ai piedi di un nuraghe maestoso e solitario della Barbagia. L'ultimo, rustico e profumato, dritto come un fuso, è un ginepro rossiccio nato tra i massi di granito che guardano lo splendido mare della Gallura. Non danno risposta all'interlocutore. Non devono spiegazioni a nessuno. Loro non ne ne hanno fatte di domande, del resto! Ma l'incalzare dell'elfo li costringe a cedere e, lapidari, scandiscono: “ Alì Babà e i quaranta bastoni, ecco chi siamo. Così ci ha chiamati l'uomo che ci ha accolto... e sorrideva...ma non siamo quaranta...” “se ha detto quaranta, diventerete quaranta... ancora non lo conoscete!” e si gira a confabulare con i vecchi del Gran Consiglio che, messi in fibrillazione dall'arrivo degli stranieri, cercano di sapere, di capire. D'ora in poi si sarebbe certo presentato qualche problema nuovo, sarebbero senz'altro cambiate le alleanze, gli equilibri.... I nuovi arrivati si guardano intorno con curiosità. Dall'angolo dove sono stati appoggiati riescono a vedere tutta la stanza. Libri, quadri, piccole sculture di ferro arrugginito e attrezzi, tanti e diversi, alcuni bene allineati alla parete, altri appoggiati alla rinfusa sul bancone da lavoro, pronti per essere riusati, maneggiati con abilità e competenza, con amore. C'è un quadretto appeso sotto la finestra, con una scritta tracciata in oro su un fondo di vellutino rosso: “Chi lavora con le mani è un operaiochi lavora con le mani e la testa è un artigianochi lavora con le mani, la testa e il cuore è un artista” E l'uomo dei bastoni, il cuore lo mette davvero in ogni oggetto che crea, in ogni opera. E ci mette le mani, abili e veloci, e la testa che conosce i materiali, che studia e che soppesa, che inventa, che sogna. I suoi bastoni sono come figli. Hanno carattere, anima. Sono tanti, qualche centinaio, cercati nei boschi per tutta una vita con amorevole pazienza, scelti con attenzione per la particolare forma in qualche piegatura, per una singolare crescita della radice, e poi intagliati a raffigurare quello che già contengono “in nuce” dentro il legno vivo: animali reali e fantastici, esotici o nostrani. Ci sono pesci e serpenti e uccelli, coccodrilli, rane, lepri, gufi, civette e aquile e stambecchi e cerbiatti, galli, cani, oche e tartarughe e ... … e poi ci sono i vecchi... Teste di pastori, di montanari, di sciamani, di elfi, con i loro cappelli dalle fogge strane, le barbe folte, i profili forti, gli sguardi penetranti. Sono i suoi amici, i maestri, sono i compagni di silenzio e di meditazione nelle lunghe ore di lavoro solitario... solo il battere del cuore... il ritmo del respiro... il va e vieni della raspa... e il tempo che rimane fuori dalla porta, senza più alcuna giurisdizione, nel silenzio buono della casa... Ma, a guardarli bene, questi vecchi incisi nel legno, questi visi asciutti dai tratti scavati, decisi, non rassomigliano un po' tutti a quel primo volto, a quel pezzetto di legno grosso come un dito, a quel ramo di nocciolo intagliato con il coltellino, che ritraeva, preciso preciso, un naso aquilino, barba e baffi all'umbertina e un cappello a tese ben calcato sulla testa? Carla Collesei per Sergio Billi