Untitled - Rizzoli Libri

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Untitled - Rizzoli Libri
J.R. Ward
Il cerchio degli amanti
Un romanzo della Confraternita del Pugnale Nero
vol. xi
Traduzione di Paola Pianalto
Rizzoli
Proprietà letteraria riservata
© 2013 Love Conquers ALL, Inc.
All rights reserved including the right of reproduction
in whole or in part in any form
Prima pubblicazione in Italia
presso Mondadori Direct S.p.A. per Mondolibri, Milano 2013
traduzione dall’americano di Paola Pianalto
© 2014 RCS Libri S.p.A., Milano
ISBN 978-88-17-07214-4
Titolo originale dell’opera:
black dagger brotherhood: lover at last
This edition published by arrangement with nal Signet,
a member of Penguin Group (usa) Inc.
Prima edizione: febbraio 2014
Questo libro è il prodotto dell’immaginazione dell’Autore. Nomi, personaggi,
luoghi e avvenimenti sono fittizi. Ogni riferimento a fatti o a persone reali è
puramente casuale.
Realizzazione editoriale: Librofficina, Roma
Dedicato a Voi due:
A rischio di una frivolezza inopportuna.
Era ora
e nessuno lo merita più di voi due.
Ringraziamenti
Con immensa gratitudine ai lettori della Confraternita del Pugnale
Nero e in particolare alle ragazze!
Grazie infinite per tutto il sostegno e la guida: Steven Axelrod,
Kara Welsh, Claire Zion e Leslie Gelbman. Grazie anche a tutti
quelli della New American Library – questi libri sono davvero un
lavoro di squadra.
Grazie a tutti i nostri Mods per tutto ciò che fate spinti dalla
vostra bontà d’animo!
Con affetto a Team Waud – sapete chi siete. Semplicemente,
tutto questo non potrebbe accadere senza di voi.
Niente di tutto ciò sarebbe possibile senza: il mio affettuoso
marito, che è il mio consigliere, assistente e visionario; la mia
meravigliosa madre, che non potrò mai ripagare per tutto l’amore
che mi ha dato; i miei familiari (sia di sangue che di adozione) e
i miei più cari amici.
Oh, e la dolce metà di WriterDog, naturalmente.
Il cerchio degli amanti
Un romanzo della Confraternita del Pugnale Nero
vol. xi
Preludio
Q
huinn, figlio di Lohstrong, entrò nella residenza di famiglia
dal maestoso portone anteriore. Appena varcata la soglia
la fragranza del luogo gli penetrò nelle narici. Cera al limone.
Candele in cera d’api. Fiori freschi che i doggen coglievano
quotidianamente in giardino. Profumo – di sua madre. Acqua di
colonia – di suo padre e di suo fratello. Gomma da masticare alla
cannella – di sua sorella.
Se mai la Glade avesse prodotto un deodorante per ambienti
del genere, lo avrebbe chiamato Aroma di Alta Società. O Aurora
su un Ricco Conto in Banca.
O magari l’intramontabile Noi Siamo Meglio di Chiunque Altro.
Voci lontane giungevano dalla sala da pranzo, le vocali arrotondate come diamanti con taglio a brillante, le consonanti strascicate,
morbide e allungate come nastri di raso.
«Oh, Lillie, è squisito, grazie» disse sua madre alla cameriera.
«Ma per me è troppo. E non darne così tanto a Solange. Si sta
appesantendo.»
Eh, già, l’eterna dieta inflitta da sua madre alla nuova generazione: le femmine della glymera dovevano letteralmente scomparire
quando si voltavano di profilo, ogni clavicola sporgente, guancia
scavata e braccio ossuto erano una specie di assurda onorificenza.
Come se assomigliare a un attizzatoio ti rendesse una persona
migliore.
Tua figlia ha un’aria sana? Non sia mai! Che la Vergine Scriba
ce ne scampi e liberi!
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«Ah, sì, grazie, Lilith» disse suo padre in tono pacato. «Per me
ancora un po’, per favore.»
Qhuinn chiuse gli occhi cercando di convincere il suo corpo ad
avanzare. Un passo dopo l’altro. Non era poi così difficile.
Le sue Ed Hardy nuove di pacca accolsero quel suggerimento
con un gestaccio. Del resto, entrare in quella sala da pranzo per
molti versi era come entrare nella tana del lupo.
Mollò per terra il borsone. Il paio di giorni passati dal suo
migliore amico Blay gli avevano fatto bene, una tregua dall’atmosfera asfissiante di quella casa. Purtroppo la batosta al rientro era
così pesante che il rapporto costi-benefici dell’essere stato via era
quasi in pareggio.
Okay, era ridicolo. Non poteva continuare a starsene lì impalato
come un ebete.
Voltandosi verso la parete laterale, si protese verso l’antico
specchio a figura intera collocato proprio accanto al portone.
Che gesto premuroso. Così in linea col bisogno dell’aristocrazia
di avere un bell’aspetto. In questo modo i visitatori potevano dare
una controllata a capelli e vestiti mentre il maggiordomo prendeva
in consegna cappotti e cappelli.
Il giovane viso pretransizione che gli restituì lo sguardo era tutto
lineamenti regolari, mascella squadrata e una bocca che, doveva
ammetterlo, lasciava presagire seri danni alla pelle nuda, di lì a
qualche anno. O forse era solo un pio desiderio. I capelli erano
alla Conte Dracula, ritti in testa in stile punk. Al collo aveva una
catena da bicicletta – e non una comprata da Urban Outfitters,
ma quella che in passato faceva andare la sua bici da corsa.
Sembrava in tutto e per tutto un ladro che, entrato di soppiatto,
si apprestava a mettere a soqquadro la casa a caccia di argenteria,
gioielli, computer, iPhone, lettori mp3 e altri aggeggi elettronici
portatili.
Il buffo era che il look dark, in realtà, non era la parte del suo
aspetto più schifata dalla sua famiglia. In effetti si sarebbe potuto
spogliare, appendere un lampadario al sedere e correre per tutto
il pianterreno giocando a fare José Canseco con le opere d’arte e
gli oggetti d’antiquariato senza avvicinarsi neanche lontanamente
al vero problema che faceva incazzare i suoi genitori.
I suoi occhi.
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Uno azzurro. L’altro verde.
Ohi, ohi. Ecco la sua colpa imperdonabile.
Alla glymera i difetti non piacevano: nelle sue porcellane o nei
suoi roseti; nella sua carta da parati, nei suoi tappeti o nelle sue
cucine; nella seta della sua biancheria intima, nella lana dei suoi
blazer o nello chiffon dei suoi abiti da sera.
E certamente mai e poi mai nei suoi figli.
Sua sorella poteva andare – be’, a parte il «problemino del
peso» che in pratica era inesistente e una pronuncia blesa che la
transizione non aveva eliminato – oh, e il fatto che aveva il carattere
della madre. E a questo non c’era rimedio. Suo fratello, invece, era
la vera star del cazzo, un primogenito fisicamente perfetto pronto
a perpetuare la stirpe riproducendosi in un amplesso quanto mai
signorile, senza gemiti né sudore, con una femmina scelta per lui
dalla famiglia.
La destinataria del suo sperma era già stata selezionata, che
cavolo. L’avrebbe sposata subito dopo la transizione…
«Come ti senti, figliolo?» chiese suo padre, esitante.
«Stanco, signore» rispose una voce profonda. «Ma mi sarà
d’aiuto.»
Qhuinn sentì un brivido gelido lungo la schiena. Non sembrava
la voce di suo fratello. Troppo bassa. Troppo virile. Troppo…
Cazzarola, aveva superato la transizione.
Adesso le sue Ed Hardy si diedero una mossa facendolo avanzare fino a permettergli di sbirciare dentro la sala da pranzo.
Il papà era al suo solito posto a capotavola. Okay. La mamma
era al solito posto, dall’altra parte, di fronte alla porta a vento
della cucina. Okay. Sua sorella, seduta con la faccia rivolta verso
di lui, a momenti leccava il bordo dorato del piatto per la fame.
Okay.
Ma il maschio che dava le spalle a Qhuinn non rientrava nella
Procedura Operativa Standard.
Luchas era il doppio rispetto a quando Qhuinn era stato avvicinato da un doggen che gli aveva detto di prendere le sue cose
e andare da Blay.
Be’, ecco spiegata la piccola vacanza. Si era illuso che suo padre alla fine si fosse ammorbidito, cedendo alla richiesta che gli
aveva fatto qualche settimana prima. Invece no: aveva solo voluto
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allontanarlo da casa per via del cambiamento sopravvenuto al
patrimonio genetico del figlio prediletto.
Suo fratello si era già fatto la pollastra? Chi lo aveva nutrito
col proprio sangue?
Suo padre, che non era mai stato un tipo espansivo, allungò
una mano e diede a Luchas una goffa pacca sul braccio. «Siamo
molto fieri di te. Sei… perfetto.»
«È proprio vero» cinguettò sua madre. «Assolutamente perfetto.
Non è perfetto, tuo fratello, Solange?»
«Sì, sì. Perfetto.»
«Ho qui una cosa per te» disse Lohstrong.
Infilò la mano nella tasca interna della giacca sportiva e tirò
fuori una scatolina di velluto nero grande come una palla da
baseball.
La madre di Qhuinn si sciolse in lacrime e si asciugò gli occhi.
«Questo è per te, figlio diletto.»
La scatolina venne fatta scivolare sulla tovaglia bianca damascata
e le manone di suo fratello tremarono quando la prese e alzò il
coperchio di scatto.
Lo scintillio dell’oro arrivò fino a Qhuinn, fermo nell’atrio.
Mentre sulla tavola calava il silenzio, suo fratello fissava l’anello
con sigillo, chiaramente commosso, sua madre non la finiva più
di tamponarsi gli occhi e perfino suo padre si faceva prendere
dall’emozione. E sua sorella sgraffignava di nascosto un panino
dal cestino del pane.
«Grazie, signore» disse Luchas infilandosi all’indice il pesante
anello d’oro.
«Va bene, vero?» chiese Lohstrong.
«Sissignore. È perfetto.»
«Abbiamo la stessa misura, allora.»
Ti pareva.
In quel momento suo padre distolse lo sguardo, quasi sperasse
di dissipare, muovendo gli occhi, il velo di lacrime che gli annebbiava la vista.
E scorse Qhuinn fermo appena fuori dalla sala da pranzo.
Seguì un fugace lampo di riconoscimento. Non del tipo «ehi,
ciao, come va?» o del tipo «oh, bene l’altro mio figlio è a casa».
No, era più come quando, passeggiando sull’erba, noti una gros-