Società, la voluntary si sdoppia

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Società, la voluntary si sdoppia
ACCERTAMENTO E CONTENZIOSO
Società, la voluntary si sdoppia
di Primo Ceppellini e Roberto Lugano
La procedura di collaborazione volontaria si sdoppia quando sono coinvolte sia le società sia
i soci. Nei vari articoli di commento a questi aspetti è stato preso in considerazione il caso più
semplice, e cioè quello in cui le violazioni (tipicamente omessi ricavi) sono state commesse dalla
società, mentre le attività estere sono state attribuite a tutti o ad alcuni dei soci. In realtà esistono
anche situazioni più complesse, che necessitano di soluzioni alternative nella gestione delle istanze.
L’elemento che deve essere preso come riferimento di partenza, sempre e comunque, non può che
essere la sostanza giuridica delle singole situazioni. In linea di massima, ci dovrebbero essere tre
ipotesi che si possono verificare: violazioni della società e dividendo ai soci; violazioni solo da
parte del socio; violazione solo della società con il socio interposto. Vediamo quali porebbero
essere le modalità operative di gestione della disclosure nei primi due casi, rinviando per il terzo
all’articolo qui sotto.
Violazioni della società, dividendo ai soci
La società ha omesso di contabilizzare ricavi, oppure ha indebitamente dedotto costi (in questa
seconda ipotesi si deve però considerare anche la tematica, che qui non affrontiamo, della rilevanza
penale dell’emissione di fatture per operazioni inesistenti), e le attività finanziarie sono affluite
all’estero nella sfera personale dei soci. In questa situazione l’applicazione delle nuove norme
dovrebbe richiedere:
per la società, la presentazione dell’istanza di collaborazione nazionale, mediante la quale si sanano
le violazioni in materia di Ires, Iva e Irap. Inoltre, se alcuni dei soci che hanno ricevuto le attività
sono non qualificati, la società dovrebbe sanare l’omessa ritenuta sulla distribuzione di tali somme a
titolo di dividendo;
per il socio qualificato una disclosure mista, in quanto occorre tassare il 40 o il 49,72 % del
dividendo ricevuto (a seconda degli anni di riferimento) e i rendimenti delle attività detenute
all’estero. Inoltre deve essere regolarizzata l’omessa compilazione del quadro RW;
per il socio non qualificato la sanatoria sui rendimenti e sul quadro RW, mentre la tassazione del
dividendo dovrebbe avvenire a cura della società.
In sostanza dovrebbe risultare applicabile la stessa sequenza logica che viene usata
dall’amministrazione finanziaria ogni volta che vengono riscontrati ricavi «in nero» da parte di una
società a ristretta base azionaria, secondo la quale gli importi oggetto di evasione sono considerati
anche dividendi incassati dai soci. Di fatto viene ricostruito il rapporto tributario complessivo.
Questa conclusione dovrebbe essere suffragata dal fatto che, in questi casi, la «distribuzione
occulta» mediante intestazione dei conti esteri riguarda generalmente la totalità dei soci e avviene
seguendo le quote di partecipazione. Per quanto riguarda i profili compilativi, la società dovrà
sicuramente indicare i codici fiscali dei soci, e ciascun socio il codice fiscale della società, nella
propria istanza di disclosure.
Violazioni solo da parte del socio
Una seconda situazione è quella in cui un socio di maggioranza, spesso anche amministratore della
società, ha approfittato della propria posizione per ottenere a suo favore ricavi o proventi a fronte di
servizi resi a terzi. È il caso, ad esempio, in cui il socio-amministratore ha incassato proventi
personali (ad esempio con la natura di intermediazioni commerciali) sui propri conti esteri. Un
indicatore della presenza di questa situazione è spesso data dal fatto che, a differenza dell’ipotesi
precedente, solo un socio beneficia dei proventi esteri, senza la consapevolezza da parte della
società e degli altri componenti della compagine sociale. In questa situazione, è di tutta evidenza
che la società non può e non deve essere coinvolta nella procedura di disclosure, che dovrebbe
riguardare esclusivamente la posizione della persona fisica. Il socio dovrebbe essere chiamato alla
classica triplice regolarizzazione richiesta dalla disclosure: redditi non dichiarati, rendimenti delle
attività estere, omessa compilazione del quadro RW. Resta il problema, sul quale sarebbe
estremamente utile conoscere preventivamente l’opinione dell’amministrazione finanziaria,
dell’inquadramento giuridico dei redditi del socio. Molto dipenderà dalla frequenza con cui le
operazioni estere sono avvenute, posto che difficilmente potrà essere presente il requisito
organizzativo. Si dovrebbe concludere che i proventi sono da considerare redditi diversi (attività
commerciali occasionali) o redditi di impresa: nel secondo caso occorrerà corrispondere anche l’Iva
(ovviamente avendo riguardo alla tipologia delle operazioni eseguite: consulenze e/o
intermediazioni con l’estero), mentre si dovrebbe arrivare a escludere la rilevanza dell’Irap che non
dovrebbe essere applicabile proprio per l’assenza del requisito organizzativo. Nell’istanza di
disclosure della persona fisica non dovrebbe essere indicato il codice fiscale della società, dato che
non si tratta di un soggetto collegato.