Il queer, la trasformazione dello spazio pubblico e il concetto

Transcript

Il queer, la trasformazione dello spazio pubblico e il concetto
Monica M. Pasquino
Università La Sapienza di Roma, Libera Università Internazionale degli Studi Sociali LUISS Guido Carli
Email: [email protected]
Il queer, la trasformazione dello spazio pubblico
e il concetto filosofico di performatività
Il confine è un'istituzione. Un'istituzione è una macchina fatta di uomini,
di carte e di edifici per fabbricare o per costruire qualcosa.
Solo che quel che si costruisce con i confini non è né un'automobile né una casa,
ma siamo noi, è quel che noi siamo ufficialmente,
ciò che ci distingue gli uni dagli altri e ci attribuisce un nome.
Étienne Balibar, Très loin et tout (2006)
Nel 1990, durante un convegno presso l’Università della California a Santa Cruz, Teresa De
Lauretis propone di nominarsi queer: il termine nella lingua inglese è una forma di hate speech di
cui l’autrice provocatoriamente si riappropria come strategia di resistenza all’omofobia. Fino ad
allora, queer era un appellativo dispregiativo, usato per indicare pratiche sessuali considerate
anomali o pervertite. La riformulazione positiva del termine queer pone al centro del dibattito la
questione teorica e politica delle differenze (storiche, sociali e simboliche) tra gay e lesbiche, dal
momento che gli studi omosessuali spesso trascurano tali differenze, in nome di una presunta
identità comune e di un’esperienza condivisa di oppressione. La proposta di De Lauretis stimola la
formazione degli studi queer - creazioni artistiche e culturali, produzioni teoriche e ricerche
interdisciplinari - che presto oltrepassano l’oceano e si diffondono anche in Europa. In questi studi,
l’obbligo sociale all’eterosessualità è descritto come vincolo interno al soggetto e forma attraverso
la quale il soggetto diventa possibile. Il genere è considerato l’apparato storico-culturale attraverso
il quale l’eterosessualità è prodotta come prediscorsiva e naturale. Le differenze coorporee tra i due
sessi, anch’esse raffigurate come precedenti alla cultura e quindi politicamente neutre, sono rese
significative dal valore sociale attribuito all’eterosessualità.
Riassumeremo i punti chiave della teoria queer: i suoi presupposti, le sue tesi e i suoi obiettivi,
analizzeremo, in particolare, le radici filosofiche del concetto della performatività - termine che
indica il potere di alcune espressioni linguistiche di realizzare il compimento di una determinata
azione, nel momento stesso in cui sono enunciate. Vedremo come il concetto della performatività,
sviluppato da Judith Butler, interpreta lo spazio pubblico e promuove la trasformazione sociale, sia
nella prospettiva del queer, sia nell’ambito di una più ampia riflessione sulla condizione umana di
vulnerabilità.
1
1. La Queer Theory
De Lauretis e Butler immaginano il queer come una categoria aperta, che non può mai dirsi
completa e che istituisce identità perennemente provvisiorie. Il termine non è sinonimo di
omosessualità, dal momento in cui si rivolge a tutti i soggetti sessuali presi in mezzo dalle categorie
binarie, alle soggettività ibride e alle marginalità corporee: transessuali, transgender, travestiti e
travestite, ermafroditi e androgini eccetera. In linee più generali, la figurazione queer indica
l’alterità e tratteggia i contorni di una soggettività precaria, fluida, mobile, che riassume le lotte di
chi combatte contro ogni opposizione binaria.
Gli studi queer interpretano il sistema di costruzione del reale e i processi di soggettivazione
all’interno della cornice epistemologica della filosofia postmoderna o di matrice poststrutturalista.
Assumono, quindi, una prospettiva antiumanista, per la quale le identità sono il frutto di processi
sociali e simbolici, segnati da rapporti di potere. Il luogo in cui il ruolo delle strutture di potere si
manifesta con maggiore evidenza è il linguaggio, inteso dal poststrutturalismo come lo spazio in cui
sono costruite le posizioni dei soggetti, piuttosto che come mezzo di comunicazione. Inoltre, gli
studi queer assumono una prospettiva antinaturalista, secondo la quale i ruoli di maschile e
femminile sono prodotti che appaiono naturali a causa della ripetizione ricorrente di discorsi e
pratiche culturali che costituiscono la categoria di genere e coinvolgono processi inconsapevoli di
identificazione da parte dei soggetti. Senza una continua ripetizione di queste immagini tradizionali,
la forza normativa, che definisce la mascolinità e la femminilità eterosessuali come uniche opzioni
lecite, potrebbe indebolirsi e addirittura spezzarsi, lasciando il posto a nuove narrazioni.
L’obiettivo, diretto o indiretto, degli studi queer è di decostruire l’obbligatorietà della
eterosessualità, sia sul versante teoretico sia sul piano più specificatamente politico. Dal momento
che il genere non è solamente il meccanismo attraverso cui vengono naturalizzate le nozioni lecite
(di maschile e di femminile eterosessuali), ma anche la dimensione attraverso la quale decostruire
tali nozioni.
2. La performatività e lo spazio pubblico
La performatività riveste un ruolo centrale nella descrizione che gli studi queer fanno del
meccanismo con cui le norme sociali agiscono sulle soggettività individuali e nelle trame della
coscienza collettiva. In particolare, Judith Butler propone un’estensione del concetto di atto
linguistico performativo al di là dei del suo consueto ambito di applicazione e traccia le linee di
provenienza e direzione di questo concetto, accogliendo la critica alla teoria degli atti linguistici di
2
Austin (1962) formulata da Derrida in Signature event context (testo presentato nel 1971 al
Congresso internazionale di filosofia del linguaggio e pubblicato l’anno successivo in Marges-de la
philosophie). In diverse opere, la performatività è per Butler un’occasione per riflettere sulla
intrinseca politicità del dire e sulla responsabilità etica che abbiamo quando scegliamo certe
locuzioni verbali piuttosto che altre (Butler 1997, 2004b, 2007).
Le parole tracciano la sfera della possibilità dell’esistenza umana e, quindi, delimitano i confini
di ciò che appare ed è rappresentato nello spazio pubblico, che svolge un ruolo profondo nella
costruzione delle soggettività individuale e nella formazione dell’identità collettiva. Nello spazio
pubblico sono racchiusi i tanti avvenimenti in cui costantemente si riproducono le strutture
simboliche che dividono la sfera del visibile in due poli, uno positivo e l’altro negativo.
Uomo/donna,
sé/altro,
mente/corpo,
cultura/natura,
eterosessuale/omosessuale,
civilizzato/primitivo, bianco/nero sono dualismi che esprimono una rapporto gerarchico, anche se
sembrano indicare differenze prive di valore e apparentemente neutrali, sono dicotomie costituite da
un elemento dominatore e uno dominato. All’interno dello spazio pubblico, alcuni soggetti
sviluppano le caratteristiche necessarie per rientrare nella categoria degli individui normali, mentre
altri, classificati come irregolari e pericolosi, sono marginalizzati ed esclusi. Una successione di
pratiche culturali e discorsi performativi istituisce il modello maschile o femminile (eterosessuale)
come sola identificazione lecita. L’omosessualità è una identificazione preclusa al soggetto e
costituisce l’ambito dell’abietto, del temuto socialmente e dell’invivibile. Questo processo di
inclusione/esclusione dall’orizzonte sociale si riflette nella progettazione e nell’uso degli spazi
pubblici, in particolare quelli urbani, come testimonia la storia della segregazione razziale o, anche,
la progettazione di spazi pubblici con impedimenti o barriere architettoniche per determinate
persone (diversamente abili, anziani/e, bambini/e). In questi casi, lo spazio della polis si trasforma
nello spazio di pochi, velando la presenza delle categorie sociali più marginali, fragili o minoritarie.
Le parole hanno, dunque, un’importanza enorme: il linguaggio è la dimensione nella quale le vite
sono vissute, narrate e rappresentate nello spazio pubblico. Dal linguaggio dipende la nostra
esistenza e la qualità dello spazio che abitiamo, per questo siamo vulnerabili ai suoi atti. A causa
della sofferenza che, parlando, possiamo arrecare agli altri, siamo responsabili delle parole che
pronunciamo, anche se l’autorità che agisce sulle formule verbali che proferiamo eccede noi stessi,
anche se la forza di quel che diciamo ci sovrasta e supera la nostra capacità di immaginazione.
La funzione performativa del discorso contriubuisce a delimitare i confini di ciò che appare
degno di essere mostrato nello spazio pubblico, tuttavia le parole istituiscono confini che sono
sempre instabili e vacillanti, per questo motivo una risignificazione imprevista e uno slittamento di
3
senso possono diventare gli strumenti con cui aprire crepe, contraddizioni e insinuare il
cambiamento nella lingua e nello spazio pubblico.
3. Dal queer alla riflessione sulla condizione umana
Le riflessioni pacifiste in Frames of War (2009) e le denuncie che Butler muove all’America
post 11 settembre, contenute in Precarious Life: Power of Violence and Mourning (2004),
sembrano molto lontane dalle lodi alle performance individuali delle drag queen e dall’attrazione
verso la dimensione irriverente, ma semi-privata, dei bar gay, che si trova tra le pagine di Gender
Trouble (1990). Già pochi anni dopo la pubblicazione di questo testo, Butler prende le distanze dal
movimento queer, accusandolo di tramutare la parodia di genere in una impresa consumistica, di
promuovere la commercializzazione delle politiche identitarie e di aver confuso la performatività
con il volontarismo. Pur senza ripudiare l’idea originaria del queer – l’azzardo teorico e la forte
istanza di libertà che contiene - Butler mette in dubbio l’efficacia politica e la carica eversiva di una
performance irriverente, ma compiuta singolarmente. Soprattutto, ella sottolinea quanto sia difficile
costruire delle parodie che servano a sovvertire l’egemonia eterosessuale, dal momento che la
sovversione non è un effetto che si può misurare o calcolare: per sovversione si intende proprio
quegli effetti che sono incalcolabili.
Mentre il movimento queer cresce e i travestimenti dissacranti si moltiplicano, Butler lancia
un’ambiziosa sfida di trasformazione sociale, tracciando i confini di una nuova “ontologia
dell’umano”, confrontandosi con le violenze e le guerre del mondo globalizzato, alleandosi con
soggetti oppressi per motivi non solo sessuali, ma anche etnici, culturali e religiosi. Per realizzare il
suo progetto, Butler intraprende, oggi, un lungo ragionamento intorno al concetto di umanità e alla
nozione di universalità, complicando – non disconoscendo - la sua convinzione originaria che ogni
appello all’umanità fosse omologante e ogni ricorso all’universalità fosse escludente. In Undoing
Gender (2004), Butler getta le basi per un’etica della vulnerabilità. Propone la vulnerabilità come
tratto caratterizzante della condizione umana (non della natura umana), partendo da un ideale
regolativo e performativo, non sostanziale, di universalità. Sostiene che l’idea di universalità va
salvaguardata, se intesa come potenzialità, apertura e incontro perenne con l’alterità. In questo testo,
Butler sostiene che la convinvenza pacifica delle diversità richiede – come condizione necessaria e
non sufficiente – l’esistenza di istituzioni democratiche. La trasformazione sociale, che si radica nel
riconoscimento di ogni individuo all’interno dello spazio pubblico e nella possibilità di modificare
collettivamente i paradigmi di vivibilità e di pensabilità della vita umana, deve attuarsi all’interno
delle istituzioni democratiche. Gli obiettivi radicali e sovversivi del queer, dunque, non appaiono
4
più in contraddizione con la mediazione istituzionale e giuridica: è proprio nell’ordinamento
(nazionale e/o sovranazionale) che le persone portatrici di un’identità minoritaria dovrebbero
trovare riconoscimento e protezione.
Queste riflessioni ci suggeriscono che, per attuare il cambiamento sociale, non sono sufficienti
strategie di lotta che intervengano unicamente sulla dimensione linguistico-culturale. Tuttavia,
sembra ancora vero che il cambiamento sociale radicale spesso sia mosso e anticipato da nuovi
modi di dire, dalla diffusione di nuovi sensi linguistico-culturali e dal consolidamento di
risignificazioni o contraddizioni performative.
In Who Sings the Nation-State? Language, Politics, Belonging (2007), Butler e Spivak si
domandano quale significato ha l’appartenere (o il non appartenere) allo stato-nazione in un mondo
globalizzato. L’immagine sulla quale si soffermano è quella dei migranti latinos illegali che cantano
in spagnolo l’inno nazionale degli Stati Uniti, mentre marciano nelle strade delle città californiane,
protestando contro la politica migratoria di Bush. Le autrici considerano il gesto di cantare l’inno
statunitense in lingua spagnola come una contraddizione performativa che, nel momento in cui
viene proferita, realizza pubblicamente proprio l’atto che è osteggiato dal potere costituito
(l’attribuzione di uno status di cittadinanza ai latinos). Attraverso la ripetizione di questi gesti
collettivi, la funzione performativa del discorso produce effetti che si dipanano nel tempo e che
modificano non solo la lingua della nazione, ma anche la percezione comune e lo spazio pubblico
dei luoghi urbani.
Butler e Spivak ci suggeriscono che, dal momento che non possiamo mai liberarci o trascendere
totalmente dal potere, come non possiamo mai essere completamente determinate/i da esso,
dobbiamo fare molta attenzione ai rapporti di potere insiti nelle parole che usiamo, e dobbiamo far
leva sulle risignificazioni linguistiche e sulla contraddizioni performative per andare verso qualcosa
di nuovo: le deformazioni della lingua dominante sono spesso sintomo e segno di una
rielaborazione del potere, specialmente se proferite e ripetute all’interno di un percorso di lotta
politica.
Testi citati
Austin, J.L. (1962) How to Do Things with Words Oxford, Oxford University Press; trad.it.
(1987) Come fare cose con le parole Genova, Marietti
Butler, J. (1990) Gender Trouble: Feminism and the subversion of identity London-New York,
Routledge; trad.it. (2004) Scambi di genere: identità, sesso e desiderio Milano, Sansoni
Butler J. (1997) Excitable Speech: A Politics of the Performative New York, Routledge; trad.it.
(2010) Parole che provocano. Per una politica del performativo Cortina, Milano
5
Butler J. (2004a) Precarious Life: Power of Violence and Mourning London-New York, Verso;
trad.it. (2004) Vite precarie Meltemi, Roma
Butler J. (2004b) Undoing Gender New York, Routledge; trad. it. (2006) La disfatta del genere
Meltemi, Roma
Butler J., Spivak G. C. (2007) Who Sings the Nation-State? Language, Politics, Belonging
Seagull Books, Calcutta; trad.it. (2009) Che fine ha fatto lo stato-nazione? Meltemi, Roma
Butler J. (2009) Frames of War: When Is Life Grievable Verso, New York
Derrida J. (1972) Signature event context in Marges-de la philosophie Minuit, Parigi; trad.it
Firma, evento, contesto in Margini della filosofia (1997) Einaudi, Torino pp. 393-424
6