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Archivio selezionato: Dottrina IL «FILTRO» IN APPELLO, FRA OTTIMISMO DELLA VOLONTÀ E PESSIMISMO DELLA RAGIONE Giur. merito 2012, 10, 2013 Mauro Mocci Magistrato Sommario: 1. Considerazioni generali. 2. La potenziale applicabilità del filtro in rito. 3. Fra rito e merito: il problema della genericità dei motivi. 4. La potenziale applicabilità del filtro nel merito. 5. Il vaglio della Cassazione. 6. La preparazione della prima udienza, l'organizzazione del ruolo e la figura del presidente di sezione; la necessaria collaborazione del personale di cancelleria. 7. La compatibilità con l'attuale processo d'appello. 8. Conclusioni. 1. CONSIDERAZIONI GENERALI Dopo le rilevanti modifiche apportate al codice di rito nell'anno 2009, adesso, attraverso il «decreto sviluppo» (1), il legislatore ha messo a punto un nuovo strumento per comprimere l'arretrato, modulato apposta per il giudizio d'appello, quello che attualmente denuncia il maggior grado di «irragionevolezza» nei termini temporali di decisione. Storicamente, non è sempre stato così: l'incapacità delle Corti d'Appello di smaltire le sopravvenienze si è progressivamente manifestata a partire dalla fine del secolo scorso, allorquando nel primo grado (ossia nei Tribunali, fra l'altro non più giudici di appello delle appena soppresse Preture) è andata a regime la riforma del 1990 sul giudice unico ed hanno cominciato ad operare pienamente le sezioni stralcio, col compito di superare le identiche problematiche quantitative che oggi affliggono l'appello (2). La bulimia decisoria che ne è seguita si è inesorabilmente scaricata sul giudice superiore, senza che quest'ultimo potesse contare su adeguati aumenti di organico e neppure, si potrebbe dire, su una «preparazione culturale» ad affrontare tale emergenza. In altri termini, i singoli consiglieri, abituati ad operare in una struttura statica, se non immobile, ove la decisione doveva sovente essere un piccolo trattato di diritto (per non fare brutte figure in Cassazione) ed il cui lavoro si traduceva nella stesura di una due sentenze la settimana, avrebbero dovuto cambiare radicalmente la loro impostazione nel giro di poco tempo: per poter governare l'arretrato, sarebbe stato necessario tenere una media di almeno cinque sentenze settimanali. Cadute tante volte nel vuoto le grida di dolore dei Presidenti delle Corti, nel corso dell'inaugurazione dell'anno giudiziario, e rivelatisi sostanzialmente inefficaci per il giudice dell'appello i correttivi pensati con la riforma del 2009 (che, anzi, in qualche caso hanno indotto il giudice di primo grado ad entrare senz'altro in medias res, senza rendere possibile l'intelligibilità del fatto, complicando così enormemente l'attività di comprensione in sede di gravame), il nuovo strumento del «filtro» è, se non altro, il riconoscimento che la realizzazione del giusto processo in un tempo ragionevole passa attraverso la doverosa considerazione della fase di secondo grado. Il presente contributo vuole appunto esaminare la portata della novità legislativa dal punto di vista del giudice d'appello (3). Dispone, in particolare, l'art. 348-bis c.p.c. «Fuori dei casi in cui deve essere dichiarata con sentenza l'inammissibilità o l'improcedibilità dell'appello, l'impugnazione è dichiarata inammissibile dal giudice competente quando non ha una ragionevole probabilità di essere accolta». Sono sottratti al filtro gli appelli nei quali è previsto l'intervento obbligatorio del Pubblico Ministero (evidentemente per l'interesse pubblico legato alle cause di cui all'art. 70 c.p.c.) e le cause già introdotte in primo grado attraverso il rito sommario di cognizione (nelle quali l'esclusione, e dunque una verifica «piena» del gravame, deve controbilanciare l'impostazione del rito). A sua volta, l'art. 348-ter c.p.c. disciplina lo svolgimento processuale, prevedendo che il giudice nel corso dell'udienza di cui all'art. 350 c.p.c. prima di procedere alla trattazione, sentite le parti, dichiari l'inammissibilità dell'appello con ordinanza succintamente motivata «anche mediante il rinvio agli elementi di fatto riportati in uno o più atti di causa e il riferimento a precedenti conformi». L'ordinanza di inammissibilità dovrà altresì contenere la statuizione sulle spese, ai sensi dell'art. 91 c.p.c., e potrà essere pronunziata soltanto quando la prognosi negativa circa l'accoglibilità del gravame investa tanto l'impugnazione principale, quanto quelle incidentali eventuali, purché tempestive. In caso contrario, si dovrà procedere all'esame di tutti gli appelli. In sede di conversione, è stata altresì aggiunta la modifica del contenuto dell'art. 342 c.p.c., che ora impone all'appellante l'obbligo di indicare specificamente le parti del provvedimento impugnate, le modifiche richieste rispetto alla ricostruzione dei fatti compiuta dal giudice di primo grado nonché le circostanze da cui derivi la violazione di legge e la loro rilevanza ai fini della decisione censurata. Si configura, dunque, una doppia selezione, dapprima di carattere formale (ex art. 342 comma 1 c.p.c.) e poi di carattere sostanziale (ex art. 348-bis c.p.c.). Ove il gravame venga dichiarato inammissibile, contro il provvedimento di primo grado potrà esser proposto ricorso per cassazione. Il termine per il ricorso decorre dalla comunicazione o notificazione (se anteriore alla prima) dell'ordinanza che dichiara l'inammissibilità. In tal modo, fissando per il termine a quo anche la sola comunicazione della cancelleria, la novella mostra la preferenza per il termine d'impugnazione breve (ex art. 325 c.p.c.). Il richiamo all'art. 327 c.p.c., «in quanto compatibile», è dunque puramente residuale, riguardando l'ipotesi che il biglietto di cancelleria non venga trasmesso alle parti nell'arco di sei mesi (4). Allorquando l'inammissibilità venga dichiarata per le medesime ragioni di fatto poste a sostegno della decisione di primo grado (5), ovvero quando venga impugnata la sentenza d'appello confermativa della decisione di primo grado, il ricorso per cassazione può essere proposto solo per i motivi di cui agli artt. 1), 2), 3) e 4) dell'art. 360 c.p.c. Il «filtro» non è pertanto modellato secondo lo schema di quello operante presso la Suprema Corte e descritto dal combinato disposto degli artt. 375, 376 e 380-bis c.p.c., come forse ci si sarebbe aspettato: probabilmente, il legislatore ha tenuto conto delle differenti caratteristiche dell'appello rispetto al terzo grado e soprattutto della struttura delle Corti territoriali, spesso non in grado di esprimere una sezione-filtro (6). 2. LA POTENZIALE APPLICABILITÀ DEL FILTRO IN RITO Ma la sentenza resa in appello ha caratteristiche peculiari anche rispetto a quella di primo grado, perché resta condizionata dalla natura del giudizio d'impugnazione e dai poteri attribuiti al giudice del secondo grado. Si tratta dunque di un giudizio di merito, che però non è esattamente sovrapponibile a quello di primo grado, giacché non implica l'automatico e completo riesame della materia del contendere già trattata, essendo invece condizionato alla discussione dei capi di sentenza impugnati ed operando nei limiti delle censure formulate (7). In altri termini, l'effetto devolutivo vincola la cognizione del giudice a valutare il processo nell'ambito dei motivi di gravame specificamente proposti (8). Inquadrato dunque il campo di applicazione, occorre allora verificare in quali ipotesi il filtro possa adeguatamente operare. Vanno in primo luogo considerate quelle fattispecie di inammissibilità o improcedibilità, in cui la declaratoria su una questione di rito travolge tutto il gravame. Come è noto, le uniche ipotesi al riguardo codificate concernono l'art. 348 c.p.c. ossia, la mancata costituzione nei termini da parte dell'appellante e la mancata doppia comparizione in prima udienza (9) e sembrano appunto quelle menzionate dal legislatore, in funzione derogatoria («Fuori dei casi in cui deve essere dichiarata con sentenza l'inammissibilità o l'improcedibilità dell'appello»). Tuttavia si tratta di numeri affatto marginali, oltre tutto solitamente decisi nella pratica con ordinanza, ancorché con valore sostanziale di sentenza (10). A fronte di quelli appena menzionati, vi sono peraltro ulteriori esempi, che l'esperienza concreta offre e per i quali, a questo punto, l'inammissibilità o l'improcedibilità rientrano nel più generale concetto di prognosi infausta del gravame (11). Si pensi all'ipotesi in cui, nel giudizio di primo grado, sia stata proposta una domanda di condanna generica al risarcimento dei danni da liquidarsi in separata sede ed, in appello, venga invece formulata una richiesta di liquidazione del danno. Quest'ultima è da considerare nuova e, come tale, inammissibile (12). Si pensi altresì al caso di un primo atto d'appello nullo, a cui consegua una seconda impugnazione da parte dello stesso appellante. Come è noto, il principio di consumazione dell'impugnazione non esclude che, fino a quando non intervenga una declaratoria di inammissibilità, possa essere proposto un secondo atto di appello, immune dai vizi del precedente e destinato a sostituirlo, sempre che la seconda impugnazione risulti tempestiva, dovendo la tempestività valutarsi, anche in caso di mancata notifi cazione della sentenza, non in relazione al termine annuale, bensì in relazione al termine breve decorrente dalla data di proposizione della prima impugnazione, equivalendo essa alla conoscenza legale della sentenza da parte dell'impugnante (13). Pertanto, considerato che il predetto termine per la proposizione della seconda impugnazione è quello stabilito dall'art. 325 c.p.c., la tardività del gravame può essere riconosciuta con estrema facilità. Altra fattispecie, talvolta ricorrente: ai sensi dell'art. 82 r.d. 22 gennaio 1934, n. 37, il procuratore che eserciti il suo ministero in un giudizio radicato fuori della circoscrizione del Tribunale cui è assegnato deve eleggere domicilio all'atto di costituirsi in giudizio nel luogo dove ha sede l'ufficio giudiziario presso il quale è in corso il processo, intendendosi, in mancanza di ciò, che egli abbia eletto domicilio presso la cancelleria di detto giudice; con la conseguenza che tale domicilio assume rilievo anche ai fini della notifica al procuratore medesimo, idonea a far decorrere il termine per l'impugnazione (14). Se il giudice dell'impugnazione, ritenuta la nullità della notifica di essa, ne ordini la rinnovazione ai sensi dell'art. 291 c.p.c. e questa avvenga nel termine all'uopo assegnato, ma presso detto difensore, pur essendo decorso, già al momento dell'ordinanza, l'anno dalla pubblicazione della sentenza impugnata e dunque in violazione dell'art. 330 ult. comma c.p.c. tale notifica è nulla e l'impugnazione va dichiarata inammissibile (15). Ulteriori casi possono riguardare il mancato rispetto del termine per la notificazione dell'atto di integrazione del contraddittorio in cause inscindibili, fissato ex art. 331 c.p.c. Come è noto, quest'ultimo è un termine perentorio, non prorogabile neppure sull'accordo delle parti, non sanabile dalla tardiva costituzione della parte nei cui confronti doveva essere perfezionato il contraddittorio e la cui inosservanza deve essere rilevata d'ufficio, anche nel caso di inadempimento parziale dell'ordine di integrazione, sicché la sua violazione determina, per ragioni d'ordine pubblico processuale, l'inammissibilità dell'impugnazione (16). Altra ipotesi: qualora uno degli eventi idonei a determinare l'interruzione del processo, ai sensi dell'art. 301 c.p.c., quale la morte della parte, si verifichi nel corso del giudizio di primo grado e tale evento non venga dichiarato né notificato dal difensore della parte alla quale l'evento si riferisce, il giudizio di impugnazione deve essere comunque instaurato da e contro i soggetti effettivamente legittimati e, quindi, da e contro gli eredi. Diversamente è inammissibile, né può essere invocato il principio di ultrattività del mandato che, attribuendo al procuratore la possibilità di continuare a rappresentare in giudizio la parte che gli abbia conferito il mandato e costituendo deroga al principio secondo il quale la morte del mandante estingue il mandato (secondo la normativa sulla rappresentanza e sul mandato di cui all'art. 1722, n. 4, c.c.), va contenuto nei limiti della fase del processo in cui si è verificato l'evento non dichiarato né notificato (17). Occorre peraltro aggiungere che quelli appena menzionati sono casi statisticamente contenuti, rispetto alla massa delle sentenze impugnate. 3. FRA RITO E MERITO: IL PROBLEMA DELLA GENERICITÀ DEI MOTIVI È più frequente ancorché possa essere circoscritta in circa il 15% delle cause che pervengono a sentenza, con una variazione che dipende anche dall'utilizzo più o meno rigoroso che ne fanno le singole Corti la ricorrenza di un'ipotesi a cavallo fra il puro rito ed il merito, ossia la declaratoria di inammissibilità del motivo, per omesso rispetto dei criteri fissati dall'art. 342 c.p.c. La novella è appositamente intervenuta in questo senso, attraverso l'ampliamento della norma, che, come anticipato, richiede ora una serie di adempimenti serrati: la fissazione dei punti contestati, l'individuazione delle violazioni ed il peso di esse rispetto alla decisione finale, nonché un lavoro certosino di demolizione dell'impalcatura su cui si reggono i profili contestati ed una coeva parte ricostruttiva, ovviamente nel senso invocato dall'appellante. Poiché il nuovo art. 342 c.p.c. detta le prescrizioni a pena d'inammissibilità, si potrebbe sostenere che esso abbia introdotto un'ipotesi di declaratoria con sentenza, avendo sostanzialmente codificato una fattispecie astratta di inammissibilità, alla stessa stregua dell'art. 348 c.p.c. La tesi, che ha un sicuro fondamento logico sistematico, tuttavia non appare convincente, giacché sottrarrebbe all'applicabilità del filtro una serie di processi, che invece dovrebbero essere i primi a subire la selezione, proprio a causa del loro evidente contrasto con la norma sull'appello. Ma qual è la base teorica della pronunzia di inammissibilità per genericità del motivo, adesso recepita dal legislatore, per come si è andata elaborando nel tempo? Come già è stato ricordato, l'oggetto del giudizio d'appello consiste in una revisio prioris istantiae nell'ambito dei motivi di gravame, i quali assolvono la funzione di delimitare l'estensione del riesame domandato e di indicare le ragioni di esso. Proprio la regola della specificità dei motivi, fissata dall'art. 342 c.p.c., comporta che con l'atto d'appello ma eguale regola vale per il ricorso in cassazione devono essere prospettate tutte le censure rivolte alla sentenza impugnata, le cui statuizioni, non separabili dalle argomentazioni che le sorreggono, vanno gravate non soltanto con richieste di riforma del decisum (atto volitivo dell'impugnazione), ma anche con rilievi di fatto e di diritto, volti ad inciderne il fondamento logico e giuridico (aspetto motivazionale del gravame), non essendo il giudizio d'appello un iudicium novum con effetto devolutivo generale. In altri termini, l'appello è strutturato come un mezzo d'impugnazione a «critica libera» diversamente dal ricorso per cassazione, per il quale è individuata una predeterminazione legislativa delle tipologie di censura ammesse ma a cognizione vincolata dagli specifici motivi d'impugnazione proposti. Conseguentemente, il giudice di secondo grado non può condurre la sua indagine su punti definiti in prima istanza e non oggetto di censura (18). Gli stessi aspetti relativi all'individuazione del livello di specificità dei motivi sono stati oggetto di un dibattito, che si è fatto serrato al momento di individuare le conseguenze finora non normativamente previste derivanti dalla violazione di tale onere In linea di principio, si può affermare che la specificità vale ad individuare un requisito essenziale dell'atto di appello, consistente nell'esatta determinazione della materia del contendere del giudizio d'impugnazione. Secondo la giurisprudenza, il motivo può dirsi specifico (e qualificarsi come tale) allorquando, alle argomentazioni espresse nella sentenza vengano contrapposte quelle della parte impugnante, volte ad incrinare il fondamento logico giuridico delle prime (19). Se, dunque, i motivi non sono in grado di offrire nel loro complesso una «lettura» alternativa all'impostazione seguita dalla sentenza impugnata, l'appello va ritenuto inammissibile. Si è detto, in particolare, che l'inammissibilità non è la sanzione per un vizio dell'atto diverso dalla nullità, ma la conseguenza di particolari nullità dell'appello e del ricorso per cassazione, e non è comminata in ipotesi tassative ma si verifica ogniqualvolta essendo l'atto inidoneo al raggiungimento del suo scopo (nel caso dell'appello, evitare il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado) non operi un meccanismo di sanatoria. In definitiva, alla stregua della costruzione giurisprudenziale ora accolta dalla riforma essendo inapplicabile all'atto di citazione di appello l'art. 164 comma 2 c.p.c. (testo originario), per incompatibilit• in quanto solo l'atto conforme alle prescrizioni di cui all'art. 342 c.p.c. è idoneo a impedire la decadenza dall'impugnazione e quindi il passaggio in giudicato della sentenza l'inosservanza dell'onere di specificazione dei motivi, imposto dall'art. 342 cit., integra una nullità che determina l'inammissibilità dell'impugnazione, con conseguente effetto del passaggio in giudicato della sentenza impugnata, senza possibilità di sanatoria dell'atto a seguito di costituzione dell'appellato in qualunque momento essa avvenga e senza che tale effetto possa essere rimosso dalla specificazione dei motivi intervenuta in corso di causa (20). È nota invece la prevalente opinione contraria della dottrina, che ha sostenuto o la mera irregolarità dei motivi generici (così da essere sanabili senza limiti di tempo, anche per la mancata previsione di una qualche sanzione) (21), oppure l'applicabilità della nullità, giacché, non essendo finora prevista dalla legge la sanzione dell'inammissibilità, il vizio avrebbe dovuto essere considerato non come impeditivo dell'introduzione del giudizio, ma piuttosto come impeditivo della pronunzia, tutte le volte che l'atto risultasse inidoneo al conseguimento dello scopo, essendo altrimenti il vizio ricollegabile ad una semplice irregolarità, suscettibile di essere sanato ai sensi dell'art. 182 comma 1 c.p.c. (22). Resta da aggiungere che, almeno per il momento, è accaduto raramente che questo strumento potesse condurre all'inammissibilità dell'intero gravame, giacché normalmente ha colpito singoli motivi. In particolare, le censure afflitte da carenza di specificità sono state soprattutto quelle riguardanti la doglianza sulle spese di lite o la mancata ammissione dei capitoli di prova. Per un verso, spesso capita che alla censura sulla ritenuta abnormità delle spese liquidate non faccia seguito la necessaria menzione delle voci della tariffa violate o degli scaglioni di riferimento nella specie trascurati (23). Per altro verso, accade che la contestazione sulle prove non ammesse non contenga la precisa enunciazione della rilevanza dei singoli capitoli di fronte alla decisione di primo grado, nonché l'incidenza della loro conferma orale rispetto alla costruzione di un'ipotesi alternativa a quella adottata dal primo giudice. In altre parole, così come accade per il ricorso per cassazione, il mancato esame di elementi contrastanti con quelli posti a fondamento della decisione non è ex se sufficiente, dovendo l'appellante dimostrare la decisività della risultanza processuale non esaminata, ossia che essa sia idonea ad annullare, con giudizio di certezza e non di mera probabilità, l'efficacia probatoria delle altre risultanze, su cui si è formato il convincimento della sentenza impugnata, così da privare la ratio decidendi del suo fondamento logico giuridico (24). 4. LA POTENZIALE APPLICABILITÀ DEL FILTRO NEL MERITO Superate le questioni in rito, suscettibili di concludere in limine il giudizio d'appello, l'attenzione si sposta sul merito ed il discorso si fa assai più delicato. L'art. 348-bis c.p.c. riconduce infatti la declaratoria di inammissibilità alla mancanza di «una ragionevole probabilità di essere accolta». Diversamente da quanto prevede l'art. 375, n. 5), c.p.c., a proposito del giudizio di cassazione, la decisione immediata del gravame non è dunque legata ad una prognosi di manifesta fondatezza o infondatezza del suo contenuto: è sufficiente qualcosa di meno, ossia un apprezzabile grado di inaccoglibilità. Restano dunque escluse a priori tutte le ipotesi in cui il gravame sia ictu oculi fondato: basti pensare all'appello che denuncia violazioni del litisconsorzio necessario (25). Per esse, il mancato inserimento si spiega con la struttura disegnata dal legislatore e con il ruolo del filtro, quale cerniera fra il primo grado e la Cassazione. Probabilmente, la valutazione è legata alla prospettiva che una doppia decisione conforme rafforzi il giudizio, al contrario di quanto può accadere di fronte ad una valutazione differente fra i due gradi di merito. Il concetto di ragionevole probabilità, inoltre pur con l'encomiabile intendimento di offrire uno strumento realmente incisivo rispetto all'emergenza da fronteggiare finisce per essere eccessivamente generico ed indeterminato (e quindi discrezionale), se dottrina e giurisprudenza non ne fisseranno, al più presto, i limiti (26). In astratto, si potrebbe affermare che la probabilità di rigetto cominci a divenire ragionevole, allorquando superi la metà e si attesti almeno al 60%-70% (il che corrisponde, grosso modo, alla percentuale di conferma in appello delle sentenze di primo grado, secondo la relazione di accompagnamento al d.l.), in esito ad una delibazione necessariamente sommaria, alla stregua dell' id quod plerumque accidit. L'intrinseca fragilità del filtro, a causa dell'opinabilità che lo caratterizza, dovrà anche misurarsi con il principio, sancito dalla CEDU e ricavabile dall'art. 6 della Convenzione dei diritti dell'uomo, in forza del quale, una volta che uno Stato riconosca nel proprio ordinamento interno un particolare grado d'impugnazione, non può poi valutarlo in maniera eccessivamente discrezionale (27). Naturalmente, la ragionevole probabilità va esaminata rispetto a ciascuno dei motivi proposti, a prescindere dal «peso» specifico degli stessi: in altri termini, anche la prospettiva di una riforma parziale (ad esempio, sul solo regime delle spese di lite) esclude la declaratoria d'inammissibilità, che, al contrario, dovrebbe essere pronun ziata ove, fermo il dispositivo di primo grado, il giudice d'appello ritenga di modificare la motivazione della sentenza impugnata (28). Potranno essere utili i precedenti giurisprudenziali specifici, un esame rapido dei documenti e del verbale in relazione ai motivi proposti, nonché la valutazione della struttura stessa della motivazione, rispetto alla contraria impostazione desumibile dai rilievi mossi dall'appellante. A quest'ultimo proposito, può farsi l'esempio della sentenza che sia sostenuta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali sia giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata: l'omessa impugnazione di alcuna di tali ragioni rende inammissibile per difetto d'interesse la censura sulle altre, perché si determina il passaggio in giudicato dell'autonoma motivazione non impugnata (29). Tuttavia, molto dell'attitudine del filtro a deflazionare il giudizio d'appello dipenderà da una serie di variabili: ed, in questo senso, dopo l'ottimismo della volontà (del legislatore), occorre altresì considerare il pessimismo della ragione (dell'interprete), alla luce dell'attuale situazione contingente. 5. IL VAGLIO DELLA CASSAZIONE L'utilità del filtro in appello è, innanzi tutto, condizionata dall'atteggiamento che la Corte di Cassazione assumerà, di fronte al contenuto della sentenza di primo grado ed a motivi di non agevole prospettazione che, per un verso, dovrebbero ricalcare il contenuto delle censure di appello (ancorché con un più ampio spazio di manovra, attesa l'eliminazione del riferimento ai «limiti dei motivi specifici esposti con l'atto di appello», di cui all'originario d.l.) e, per altro verso, dovrebbero però avere la struttura prevista dall'art. 360 c.p.c. Sarebbe stato probabilmente più logico assoggettare al vaglio del giudice di legittimità l'ordinanza di appello, avendo quest'ultima contenuto sostanziale di sentenza, e non la decisione del primo giudice (30). Il sistema ideato dalla novella stabilisce invece un rapporto immediato e diretto fra il primo grado e la Cassazione. In realtà, la Suprema Corte non potrà fare a meno di valutare altresì almeno incidentalmente anche la motivazione dell'ordinanza, sia perché quest'ultima contiene la previsione sulle spese di lite, sia perché anche tale provvedimento può, in astratto, contenere vizi formali e sostanziali, sia perché, infine, la declaratoria di inammissibilità del gravame incide sull'ampiezza dei motivi denunziabili col ricorso (31). Si può realisticamente immaginare che una buona parte delle cause incappate nel filtro perverrà comunque alla Suprema Corte, determinando un aumento del già rilevante impegno lavorativo dei giudici di legittimità. Così la novella, per evitare l'ulteriore ingolfamento del terzo grado, ha contestualmente provveduto, da un lato, a limitare il ricorso solo ai motivi di stretta legittimità (escludendo così il comma 1, n. 5, dell'art. 360 c.p.c.), allorquando le ragioni di fatto esposte nell'ordinanza siano le medesime della decisione di primo grado, e, dall'altro, a modificare proprio il comma in questione, che adesso consente il ricorso soltanto «per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti». In tal senso, ci si attende che il giudice di legittimità ritenga sufficiente a conferma di un modello già condiviso dal legislatore la menzione dei soli fatti rilevanti della decisione, ossia il riferimento alle esclusive ragioni di inammissibilità, improcedibilità, manifesta fondatezza o infondatezza (32). Ed in effetti, la realizzazione dell'obiettivo della semplificazione della motivazione attraverso l'ideazione di modelli organizzativi virtuosi di definizione dei procedimenti è stata ultimamente avvertita anche dai giudici di legittimità (33). È emblematica, al riguardo, la posizione assunta circa la pronunzia di sentenza a motivazione contestuale, ex art. 281-sexies c.p.c., avanti la Corte d'Appello, laddove il rilievo della nullità è stato ricondotto alla necessità di un comportamento attivo delle parti (34). In ogni caso, il ricorso per cassazione deve precisare qual è il fatto proprio perché il vizio di motivazione concerne esclusivamente il fatto (35) in quali termini è stato oggetto di discussione fra le parti, perchè è decisivo per il giudizio (soprattutto quando si tratta non di un fatto principale, ma secondario). Ove, poi, la Suprema Corte accolga il ricorso per motivi diversi dalle questioni di giurisdizione e competenza, rinvierà la causa al giudice che avrebbe dovuto delibare l'appello e dunque allo stesso ufficio che ha pronunziato l'ordinanza cassata. Si applicano, in tal caso, le norme relative al giudizio di rinvio (36). 6. LA PREPARAZIONE DELLA PRIMA UDIENZA, L'ORGANIZZAZIONE DEL RUOLO E LA FIGURA DEL PRESIDENTE DI SEZIONE; LA NECESSARIA COLLABORAZIONE DEL PERSONALE DI CANCELLERIA Un fattore altrettanto importante è il modus operandi del giudice e la sua capacità di «leggere» la norma nel modo più adeguato. L'art. 348-ter c.p.c. impone, infatti la pronunzia di inammissibilità nel corso dell'udienza di cui all'art. 350 c.p.c. e prima di procedere alla trattazione. La necessità di stendere un'ordinanza sia pur succintamente motivata, anche mediante il rinvio agli elementi di fatto riportati negli atti di causa ed il riferimento a precedenti conformi costituirà per il relatore un notevole aggravio della preparazione della prima udienza. Fra l'altro, l'adeguamento alle nuove disposizioni deve essere pressoché immediato: il filtro si applica, infatti, ai giudizi di appello introdotti con ricorso depositato o con citazione, di cui sia stata richiesta la notificazione dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del decreto. Ciò implica, innanzi tutto, l'obbligo della conoscenza approfondita e completa della prima udienza di trattazione da parte del consigliere: la lettura della sentenza impugnata, della citazione (o del ricorso) di appello e della comparsa (o della memoria) di risposta consentono al giudice di fare una prima scrematura fra le impugnazioni che non racchiudono particolari questioni e quelle che, al contrario, debbono essere convenientemente trattate. È evidente che il filtro di «ragionevole probabilità» può riguardare solo le prime. Vanno inoltre escluse quelle che necessitano di una fase istruttoria, non svolta nel corso del giudizio di primo grado. Occorre altresì che il giudice sia in grado di governare il proprio lavoro e quindi di avere una visione d'insieme delle cause assegnategli. L'autorganizzazione del ruolo d'udienza è fondamentale: nel dibattito interno alla magistratura, si parla adesso di carico sostenibile, ma pochi accennano al rapporto che è invece decisivo fra il numero di cause sopravvenute e quelle esaurite (non solo con sentenza ma anche mediante riunioni ex art. 273 c.p.c. o cancellazioni ex art. 309 c.p.c.), settimana per settimana. In questo senso, anche il Presidente di sezione può svolgere una funzione imprescindibile nell'operare una cernita delle impugnazioni attribuite alla sezione, magari utilizzando un segno distintivo per differenziare, fra loro, le cause semplici, medie o complesse. Infatti, diversamente dal primo grado in cui dall'atto di citazione non è dato comprendere quale sarà lo sviluppo istruttorio del giudizio il principio di revisio prioris istantiae fa in modo che l'atto introduttivo di appello sia già particolarmente indicativo della materia del contendere in secondo grado, tanto è vero che la quasi totalità delle cause che vi pervengono è matura per la decisione sin dalla prima udienza (37). Così, un controllo pregnante da parte del Presidente, in sede di assegnazione ai consiglieri, oltre che indicare l'approssimativo grado di difficoltà dei gravami, può servire anche a «calmierare» il peso dei ruoli fra i componenti di una stessa sezione. Il «filtro» non potrebbe inoltre avere effetti, senza la fattiva collaborazione del personale ausiliario. In molti casi, le cancellerie sono vicine al punto di rottura, per i tagli alle piante organiche e per la mancanza di nuovi concorsi. Ora si chiede ad esse un sacrificio supplementare, anche in termini di gestibilità della massa di adempimenti primi fra tutti, il reperimento tempestivo dei fascicoli di primo grado e la comunicazione delle ordinanze - che potrà dare i suoi frutti solo nel medio lungo periodo. Peraltro, pur di fronte alla consapevolezza della precarietà della situazione, è evidente come soltanto attraverso uno sforzo condiviso (in cui ciascuno faccia la sua parte) si potranno ottenere i risultati sperati: occorre dunque richiamare quel «comune sentire» fra tutti gli operatori del sistema giustizia in Italia, quel «comune sentire» che fa essere squadra, in nome del servizio da rendere ai cittadini. 7. LA COMPATIBILITÀ CON L'ATTUALE PROCESSO D'APPELLO Va inoltre attentamente valutata la compatibilità fra la selezione preventiva delle impugnazioni e la struttura del giudizio di appello finora conosciuto (38). Deve essere premesso che, a seguito dell'introduzione dell'art. 436-bis c.p.c., il filtro trova applicazione anche nei confronti del rito del lavoro (e, quindi, anche nei confronti delle locazioni): può dunque essere utilizzato per la generalità dei gravami, con le esclusioni di cui prima s'è detto (laddove è previsto l'intervento obbligatorio del P.M. e laddove il primo grado si sia svolto col rito sommario). Poiché l'appellato ha solo la facoltà di costituirsi almeno venti giorni prima dell'udienza di trattazione (se intende svolgere appello incidentale) e dunque potrebbe benissimo costituirsi in sede di prima udienza (se ritiene di limitarsi a chiedere la conferma della sentenza impugnata), è evidente che nessuna decisione potrà essere assunta prima di tale udienza. Proprio perché tutte le impugnazioni saranno soggette al filtro, ne conseguirà che il collegio dovrà sempre riservarsi la decisione, in esito alla prima udienza (39). Non è infatti pensabile che anche presso le Corti d'Appello possano essere costituite sezioni filtro, sia per l'esiguità dei componenti di ciascuna sezione, sia per la diversa impostazione del gravame rispetto al ricorso: dal punto di vista organizzativo, la soluzione più semplice (e l'unica compatibile col sistema) resta quella che ciascun consigliere si studi le cause a lui assegnate e poi, limitatamente a quelle per le quali ritiene possibile l'immediata definizione del giudizio, proceda con il deposito della relazione. E, d'altronde, deve essere in ogni caso rispettato il principio del contraddittorio, di cui all'art. 101 c.p.c. (40), come si è ritenuto opportuno sottolineare in fase di conversione del d.l., mediante l'aggiunta dell'inciso «sentite le parti». Bisognerà fra l'altro verificare il ruolo giocato da una costituzione tardiva (ossia oltre la prima udienza), sempre possibile nel corso del giudizio (di primo o di secondo grado), ma evidentemente preclusa da una decisione immediata. Se, sciogliendo la riserva, il collegio stabilirà che il filtro non può essere applicato, nulla quaestio, la causa seguirà l'iter normale. Se, al contrario, dovessero essere ravvisati elementi idonei a concludere anzitempo il giudizio, la Corte è tenuta a provvedere con ordinanza. In proposito, due erano le possibilità che avrebbero potuto essere astrattamente prese in considerazione. La prima ricalca il modello dell'analogo procedimento in cassazione (art. 380-bis c.p.c.): il consigliere deposita in cancelleria una relazione con la concisa esposizione delle ragioni che possano giustificare la pronunzia, il presidente fissa con l'ordinanza che scioglie la riserva una nuova udienza, che viene comunicata insieme alla relazione. A quel punto, sarebbe stata data alle parti facoltà di presentare memorie, non oltre cinque giorni, e di chiedere di essere sentite, in caso di comparizione. Al termine, la Corte avrebbe deciso con ordinanza, ovviamente ricorribile per cassazione. Questa interpretazione rispetta il contraddittorio nel senso più ampio del termine ed è in linea anche con il comma 2 dell'art. 101 c.p.c. La seconda propone invece una lettura meno rigoristica del principio del contraddittorio, nel senso che esso si riterrebbe definitivamente perfezionato con i rispettivi atti introduttivi, a cui è demandato il compito di fissare, una volta per tutte, il thema decidendum. A questo punto, la Corte d'Appello potrebbe sciogliere la riserva, senza ulteriori interventi delle parti, con una ordinanza che fa propria la relazione del consigliere designato e che dunque chiude il giudizio. La scelta fra l'una e l'altra opzione che si potrebbero semplicisticamente chiamare «a contraddittorio allargato» e «a contraddittorio minimo» risponde ovviamente a differenti criteri di politica giudiziaria: nel presente momento storico, anche sulla spinta delle pressioni internazionali, l'esigenza prevalente è quella di ottenere la ragionevole durata del processo. Così, il legislatore ha mostrato una chiara preferenza nei confronti della seconda soluzione, anche perché, come è stato autorevolmente rilevato, il principio del doppio grado di giurisdizione di merito non gode di tutela costituzionale (41), tanto che il giudizio di appello può essere soggetto a limitazioni con legge ordinaria. D'altronde, la funzione «conclusiva» dell'ordinanza è riequilibrata dalla possibilità del ricorso in cassazione. La struttura del filtro prescelta che consegue il risultato di salvaguardare il canone costituzionale della ragionevole durata del processo, senza vulnerare l'altro principio stabilito dall'art. 111 della Carta costituzionale, quello del contraddittorio delle parti ha l'indubbio vantaggio di ottenere effettivamente un sistema per accorciare i tempi del giudizio, ma soprattutto per semplificare la procedura. Non si può negare che la fissazione di una nuova udienza, la comunicazione alle parti unitamente alla relazione del consigliere designato, le nuove memorie e la possibilità ulteriore di discutere la causa oralmente avrebbero finito per essere adempimenti equivalenti a quelli del giudizio ordinario. Il loro compimento concreto si sarebbe tradotto nelle fasi iniziali, in un'anticipazione dei tempi relativi alle suddette cause, ma, considerata la necessità di portare avanti parallelamente anche le altre cause, avrebbe determinato, alla lunga, la paralisi degli uffici di secondo grado Ne è dunque venuto fuori un sistema articolato, nel quale il filtro è il mezzo processuale per aprire le porte della Cassazione alla sentenza di primo grado, rischiando però nell'economia complessiva del giudizio di rimanere un meccanismo fine a sé stesso. Al giudice di secondo grado, in ogni caso, resta fra le mani uno strumento molto efficace e potenzialmente devastante: basti pensare ad un'ordinanza ben motivata, ancorché frutto di uno studio superficiale, che consegua ad una sentenza di primo grado, erronea nei presupposti di fatto ma altrettanto ben motivata, e che divenga inattaccabile in Cassazione, proprio per la coerenza e logicità dei passaggi, con la conseguenza che l'eventuale vizio di formazione della volontà della decisione non riesce a emergere. Il filtro si rivolge dunque ad un giudice scrupoloso ed intellettualmente onesto (42) ed esige preparazione giuridica, costante aggiornamento e notevole capacità di sintesi: insomma, tutti quei requisiti che l'attuale formazione dei magistrati tenta di evidenziare ed esaltare, secondo un'esigenza di rinnovamento sempre più sentita. 8. CONCLUSIONI «Frustra fit per plura quod fieri potest per pauciora» (43). A guardar bene, il ragionamento di Guglielmo di Occam potrebbe essere applicato anche a tutta una serie di fattispecie, per alleggerire il lavoro del giudice di secondo grado. Il legislatore qualcosa ha fatto, modificando la procedura inerente la c.d. legge Pinto (e rendendo così solo eventuale la comparizione delle parti, a seguito di opposizione al decreto pronunziato inaudita altera parte), ma tanto resta ancora da fare. Senza alcuna pretesa di completezza, ma solo sulla scorta dell'esperienza concreta, si potrebbero citare l'eliminazione delle memorie di replica (in appello inutili, dato che dovrebbero rispondere alle comparse conclusionali, le quali già hanno il compito di riassumere una materia del contendere, a sua volta scolpita negli atti introduttivi), il che farebbe risparmiare tempo e carta, ma anche l'udienza orale dei procedimenti ex artt. 351 e 373 c.p.c. (di solito l'intervento dei difensori si traduce in una pedissequa ripetizione di quanto già soste nuto nei rispettivi atti) o il decreto di pagamento ai sensi dell'art. 82 d.P.R. 30 maggio 2002, n.115, allorquando vi sia già una sentenza che liquida le spese del difensore (44). Tuttavia, per una volta, facciamo prevalere l'ottimismo della volontà sul pessimismo della ragione. L'importante è proseguire su questa strada, senza farsi paralizzare dalla paura di cambiare: se non si accetta la sfida dell'Europa, ci porteremo sempre dietro il pesante fardello di un Paese arretrato, almeno nel settore della giustizia. Bisogna dare atto al legislatore di aver avuto molto coraggio: certo, «chi ha coraggio rischia di sbagliare. Ma solo gli audaci cambiano il mondo, rendendolo migliore» (45). NOTE (1) D.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito in l. 7 agosto 2012, n. 134. (2) Parla giustamente di appello come di «cenerentola processuale» CONVERSO, Il processo di appello dinanzi alla Corte d'Appello, in Giur. it, 1999, 3, 661 ss.. Cfr. altresì la lucidissima e condivisibile analisi di CEA, L'organizzazione dell'ufficio del giudice civile di appello, in Foro it., 2010, V, 169 ss. (3) Sul tema, i saggi al momento noti, tutti con accenti fortemente negativi, sono di IMPAGNATIELLO, Crescita del Paese e funzionalità delle impugnazioni civili:note a prima lettura del d.l. n. 83del 2012, in www.judicium.it(2012), CAPONI, La riforma dell'appello civile dopo la svolta nelle commissioni parlamentari, ibidem (2012), MONTELEONE, Il processo civile in mano al governo dei tecnici,. ibidem (2012) e VERDEProcesso civile. Con un nuovo «filtro» in appello garanzie e tradizione giuridica segnano il passo, in Guida dir., 2012, 30, 6. (4) Che è il termine introdotto dalla riforma del 2009, rispetto a quello annuale previsto in precedenza. Sul punto, CARTUSO, La riforma del c.p.c. Art. 327, in Nuove leggi civ. comm., 2010, 4-5, 917. (5) Come avviene, ad esempio, quando il primo giudice respinga la domanda di usucapione di una servitù di passaggio, ritenendo insufficienti le prove orali assunte, e la Corte reputi di confermare la valutazione negativa, alla luce dei motivi proposti dall'appellante.. (6) Approfondiscono il profilo del filtro in cassazione VITTORIA, Il filtro per l'accesso al giudizio di legittimità, in Il nuovo giudizio di cassazione, a cura di Ianniruberto e Morcavallo, Milano 2010, 137 ss.; F. FERRARIS, Primi orientamenti giurisprudenziali sul c.d. «filtro» in Cassazione, in Riv. dir. proc., 2012, 2, 490; SILVESTRI, Note in tema di giudizio di cassazione riformato, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2010, 3, 1027; DAMIANI, La riforma del c.p.c. art. 375, 376, 380- bis , 380- ter, in Le nuove leggi civili commentate, Padova 2010, 4-5, 981 ss.; CONSOLO, Il processo di primo grado e le impugnazioni delle sentenze, Padova, 2009, 513 ss.; ARIETA, DE SANTIS, MONTESANO, Corso base di diritto processuale civile, 4ª ed., Padova, 2010, 520; MANDRIOLI, Diritto processuale civile, Torino, 2011, 585 ss. (7) BALENA, Il sistema delle impugnazioni civili nella disciplina vigente e nell'esperienza applicativa: problemi e prospettive, in Foro it., 2001, 6, 5, 121 ss. (8) Anche quando la parte dichiari di voler impugnare l'intera sentenza, deve sempre corredare l'atto di appello di specifiche censure, sicché incorre nel vizio di ultrapetizione il giudice che esamini punti della decisione non specificamente contestati: così Cass. 16 dicembre 2009, n. 26414. (9) L'art. 347 comma 1 c.p.c., nello stabilire che la costituzione in appello avviene secondo le forme ed i termini per i procedimenti davanti al tribunale, rende applicabili al giudizio d'appello le previsioni di cui agli artt. 165 e 166 c.p.c., ma non quella di cui all'art. 171 c.p.c. (concernente la ritardata costituzione delle parti), la quale è incompatibile con la previsione di improcedibilità dell'appello, se l'appellante non si costituisca nei termini, di cui all'art. 348 c.p.c. Ne consegue che il giudizio di gravame sarà improcedibile in tutti i casi di ritardata o mancata costituzione dell'appellante, a nulla rilevando che l'appellato si sia costituito nel termine assegnatogli (Cass., sez. un., 18 maggio 2011, n.10864, in Foro it., 2012, 6, 1, 1876, con nota critica di CONSOLO, Può de jure condendo almeno, procedersi ancora ad un impiego tanto esiziale della nozione di improcedibilità del gravame?). Peraltro, il principio di consumazione dell'impugnazione, secondo un'interpretazione conforme ai principi costituzioni del giusto processo, impone di ritenere che, fino a quando non intervenga una declaratoria di improcedibilità, possa essere proposto un secondo atto di appello, sempre che la seconda impugnazione risulti tempestiva e si sia svolto regolare contraddittorio tra le parti. Per gli approfondimenti dottrinali, cfr. CAPORUSSO, Sull'improcedibilità dell'appello per tardiva costituzione dell'appellante, in Foro it., 2010, 2, 1, 616; VULLO, Mancata costituzione dell'appellante e improcedibilità del gravame, in Riv. dir. proc.,2007, 2, 473. (10) Secondo Cass. 8 febbraio 2008, n. 3128, l'ordinanza collegiale con la quale sia stata dichiarata l'improcedibilità dell'appello e la derivante estinzione del giudizio ha il contenuto decisorio di una sentenza, con la conseguenza che la medesima, ove sia sottoscritta dal solo presidente che non ne risulti anche relatore o estensore, è viziata da inesistenza giuridica, in quanto non sottoscritta con l'osservanza delle forme di cui all'art. 132 comma 3 c.p.c.; pertanto, nei confronti di siffatto provvedimento, sono esperibili i mezzi di impugnazione correlati alla sua natura di sentenza. (11) Già da tempo, la giurisprudenza esclude la possibilità di dichiarare l'improcedibilità immediata, per la mancata allegazione di copia della sentenza impugnata (Cass. 17 ottobre 2007, n. 21833). In dottrina, cfr. BENNI DE SENA, Procedimento in appello e costituzione dell'attore con copia dell'atto di impugnazione tra formalismo e ragionevolezza, in questa Rivista, 2010, 3, 1, 646; MIOZZO, Note sul mancato rinvenimento della sentenza appellata, tra principio del contraddittorio, dovere di collaborazione e notorietà giudiziale, in Giur. it., 2006, 6, 1235. (12) Cass. 24 giugno 2009, n. 14782; Cass. 25 gennaio 2001, n. 1057; Cass. 1 ottobre 1998, n. 9760. (13) Cass. 19 aprile 2010, n. 9265; Cass. 8 ottobre 2010, n. 20898. In dottrina RUGGERI, Il principio di consumazione dell'impugnazione: origine ed applicazioni, in Riv. dir. proc., 2008, 4, 1009. (14) Cass. 11 aprile 2011, n. 8225. Peraltro, la recentissima Cass., sez. un., 20 giugno 2012, n. 10143, ha stabilito il principio in forza del quale l'obbligo di indicare l'indirizzo di pec, operativo per effetto della legge di stabilità, esonera l'avvocato dall'elezione di domicilio nel luogo dove ha sede l'Autorità giudiziaria adita, quando si trova a dovere patrocinare una causa fuori dalla circoscrizione del tribunale presso il cui Albo è iscritto, così reinterpretando l'art. 82 dell'Ordinamento forense (r.d. n. 37 del 1934) alla luce delle innovazioni recenti. (15) Cass. 18 ottobre 1997, n. 10246. (16) Cass. 27 marzo 2007, n. 7528; Cass. 23 luglio 2010, n. 17416. (17) Cass. 19 marzo 2009, n. 6701, in Giur. it., 2010, 1, 156, con nota di SPACCAPELO, I limiti cronologici della sopravvenienza del mandato al difensore, in caso di morte della parte rappresentata; Cass. 5 marzo 2009, n. 5387. (18) Per un'ampia panoramica sul punto cfr. CARRATO, L'oggetto dell'appello ed il requisito della specificità dei motivi, in Rass. loc. e cond.2006, 4, 313; MANNAIl requisito di specificità dei motivi d'appello, in questa Rivista, 2010, 6; POLI, Giusto processo e oggetto del giudizio d'appello, in Riv. dir. proc, 2010, 1, 48. (19) È chiaro peraltro che la specificità dei motivi deve essere riferita a ciascun capo impugnato ed è direttamente proporzionale alla maggiore o minore specificità della motivazione della sentenza appellata. (20) Cass., sez. un., 29 gennaio 2000, n. 16, ampiamente commentata da BALENA, Nuova pronunzia delle Sezioni Unite sulla specificità dei motivi d'appello: punti fermi e dubbi residui, in Foro it.2000, 5, I, 1607, e da PROTO PISANI, In tema di motivi specifici d'impugnazione, ibidem, 1615. La giurisprudenza successiva si è consolidata nello stesso senso: cfr. Cass. 3 agosto 2007, n. 17057; Cass. 16 dicembre 2009, n. 26414; Cass. 19 ottobre 2009, n. 22123. Sul solco di tale orientamento, Cass. 28 aprile 2007, n. 17960, ha puntualizzato che la specificità dei motivi, richiesta dagli artt. 342 e 434 c.p.c., è direttamente verificabile dal giudice ad quem, riconducendo la censura nell'ambito degli errores in procedendo, attraverso l'interpretazione autonoma dell'atto di impugnazione. Più di recente, anche Cass. 10 dicembre 2008, n. 29006, ha ritenuto che la censura di omessa motivazione sulla doglianza di mancanza di specificità dei motivi di appello abbia per oggetto un error in procedendo, atteso che l'omessa motivazione costituisce violazione della norma processuale di cui all'art. 132 comma 2, n. 4, c.p.c. e che non potrebbe costituire errore di giudizio il difetto di quest'ultimo: ne ha così tratto la conseguenza che detto vizio possa essere direttamente delibato dalla Cassazione mediante esame diretto degli atti, anche in omaggio al precetto costituzionale sul giusto processo. Secondo Cass., sez. un., 25 novembre 2008, n. 28057, ai fini della specificità dei motivi richiesta dall'art. 342 c.p.c., l'esposizione delle ragioni di fatto e di diritto, invocate a sostegno dell'appello, possono sostanziarsi anche nella prospettazione delle medesime ragioni addotte nel giudizio di primo grado, purché ciò determini una critica adeguata e specifica della decisione impugnata e consenta al giudice del gravame di percepire con certezza il contenuto delle censure, in riferimento alle statuizioni adottate dal primo giudice. (21) SASSANILe Sezioni unite della cassazione e l'inammissibilità dell'atto di appello carente di motivi specifici, in Riv. dir. proc. civ., 2000, 511 ss.; RASCIO, Ancora sui motivi di appello: il requisito della specificità e le conseguenze della violazione dell'art. 342 c.p.c. nella giurisprudenza della Suprema Corte, in Foro it., 2000, I, 218. (22) MANDRIOLI, Diritto processuale civile, II, Il processo di cognizione, 18ª ed.,Torino 2006, 458 s.; così anche BALENA, Sulla rinnovazione spontanea dell'atto di citazione nullo, in Foro it., 2010, 12, 1, 3496 e PROTO PISANI, In tema di motivi specifici, cit. (23) Secondo Cass. 21 ottobre 2009, n. 22287, l'impugnazione del capo di sentenza relativo alla liquidazione delle spese giudiziali non può essere accolta se con essa non vengano specificate le singole voci che la parte assume come alla stessa spettanti e non riconosciute, non essendo il giudice del gravame vincolato in alcun modo da eventuali determinazioni quantitative formulate dalla medesima parte impugnante in difetto della individuazione degli specifici errori che essa attribuisce al giudice come commessi nella decisione impugnata. (24) Così BONI, La motivazione della sentenza in grado d'appello, Relazione tenuta al Corso CSM in Roma 14-16 febbraio 2011. Cfr. anche Cass. 17 novembre 2009, n. 24221. (25) Cass. 20 gennaio 2010, n. 921; Cass. 18 febbraio 2010, n. 3933. (26) Cfr. IMPAGNATIELLO, Crescita del Paese cit., secondo il quale «la norma dischiude spazi pericolosamente ampi, destinati a dilatarsi o a restringersi in dipendenza di fattori esterni, quali i carichi di lavoro dell'ufficio, la maggiore o minore scopertura di organico, l'incidenza dei procedimenti ex legge Pinto». (27) Cfr. le decisioni Markovic vs. Italia del 14 dicembre 2006; Gallucci vs. Italia del 12 giugno 2007. Per un inquadramento in sede europea si veda altresì il testo della raccomandazione n. 95 (1) [European Committee on Legal Cooperation(CDCJ)] del 10 gennaio 1995, nonché CHIZZINI, L'equo processo CEDU quale quadro di riferimento normativo per i procedimenti davanti alle Autorità indipendenti nazionali (ed alla Commissione europea). Note generali, in Il giusto processo civ., 2012, 2, 343. CAPONI, La riforma dell'appello civile cit., par. 7, ritiene invece la compatibilità della riforma con i principi CEDU. (28) Come nell'ipotesi in cui, accogliendo il gravame rispetto a questioni preliminari, reputi però di respingerlo nel merito. (29) Cass. 11 febbraio 2011, n. 3386; Cass. 3 novembre 2011, n. 22753. (30) CAPONI, La riforma dell'appello civile cit, fa peraltro notare che la pronunzia di inammissibilità non ha carattere sostitutivo. (31) È quanto nota, acutamente, IMPAGNATIELLO, Crescita del Paese, cit. (32) La conformità della sentenza al modello di cui all'art. 132 comma 2, n. 4, c.p.c. non richiede l'esplicita confutazione delle tesi non accolte o la particolareggiata disamina degli elementi di giudizio posti a base della decisione o di quelli non ritenuti significativi, essendo sufficiente, al fine di soddisfare l'esigenza di un'adeguata motivazione, che il raggiunto convincimento risulti da un riferimento logico e coerente a quelle, tra le prospettazioni delle parti e le emergenze istruttorie vagliate nel loro complesso, che siano state ritenute di per sé sole idonee e sufficienti a giustificarlo, in modo da evidenziare l''iterr seguito per pervenire alle assunte conclusioni, disattendendo anche per implicito quelle logicamente incompatibili con la decisione adottata (Cass. 12 aprile 2011, n. 8294; Cass. 4 marzo 2011, n. 5241). In dottrina, cfr. RORDORF, Nuove norme in tema di motivazione delle sentenze e di ricorso per Cassazione, in Riv. dir. proc., 2010, 1, 134. (33) In tal senso va il decreto del Primo Presidente della Corte di Cassazione del 22 marzo 2011, noto come do decalogo. Cfr, altresì, la recentissima Cass. 4 luglio 2012, n. 11199. (34) La Suprema Corte riconosce che, nel giudizio di gravame dinanzi alla corte d'appello, non è applicabile l'art. 281-sexies c.p.c., che disciplina la decisione a seguito di trattazione orale nel procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica, dovendosi invece fare riferimento esclusivo a quanto dettato dal secondo comma dell'art. 352 c.p.c. Aggiunge, tuttavia, che, qualora la corte d'appello abbia applicato l'art. 281-sexies citato, seguendo la relativa disciplina, la nullità del procedimento è sanata, ai sensi dell'art. 157 comma 2 c.p.c., ove, a fronte dell'invito rivolto alle parti di discutere oralmente la causa nella stessa udienza, quest'ultime non si oppongano, né richiedano il termine per il deposito della comparsa conclusionale e della memoria di replica, in tal modo omettendo di tenere il comportamento processuale necessario per indurre il Collegio a procedere nelle forme ordinarie, restando altresì esclusa la violazione dei principi regolatori del giusto processo, ex art. 360bis comma 1, n. 2, c.p.c., là dove le stesse parti abbiano avuto la possibilità di svolgere appieno le proprie difese (Cass. 13 ottobre 2011, n. 21216; Cass. 13 aprile 2012, n. 5891). Nessun dubbio, invece, circa l'applicabilità della norma al giudizio di appello avanti il tribunale in funzione monocratica (Cass. 8 novembre 2011, n. 23202). (35) Cass. 14 febbraio 2012, n. 2107. Pertanto, ove il giudice di merito abbia correttamente deciso le questioni di diritto sottoposte al suo esame, anche senza fornire in proposito alcuna motivazione (ovvero fornendone una insufficiente, illogica o contraddittoria), il giudice di legittimità, ai sensi dell'art. 384 c.p.c., potrà sostituire, integrare o emendare la motivazione della sentenza impugnata. (36) Ne consegue che, pur di fronte ad un processo di secondo grado che, secondo la Suprema Corte, avrebbe dovuto celebrarsi, il ricorrente potrà contare su un normale giudizio di rinvio, che, ai sensi dell'art. 394 c.p.c., offre garanzie più ridotte rispetto all'appello, ad esempio in termini di ammissibilità di nuove prove, ex art. 345 comma 3 c.p.c. Secondo CAPONI, La riforma dell'appello civile cit., nell'ipotesi di accoglimento del ricorso per cassazione, l'ordinanza (anche nella parte delle spese) deve ritenersi caducata ex art. 336 comma 2 c.p.c. (37) CEAL'organizzazione dell'ufficio, cit. (38) IMPAGNATIELLO, Crescita del Paese, cit., si occupa diffusamente del parallelismo fra l'art. 348-bis c.p.c. e la modifica della disciplina dell'inibitoria di cui agli artt. 351 e 352 c.p.c. introdotta dalla l. n. 183 del 2011, con toni ragionatamente critici. (39) L'interpretazione letterale dell'art. 348-ter c.p.c., che sembrerebbe consentire la declaratoria di inammissibilità addirittura all'esordio della prima udienza di trattazione, non è dunque praticabile. (40) In tal senso cfr. MOCCI, Principio del contraddittorio e non contestazione in Riv. dir. proc., 2011, 2, 316, nonché BUOCRISTIANI, Il nuovo art. 101 comma 2 c.p.c. sul contraddittorio e sui rapporti fra parte e giudici, ibidem, 2010, 2, 399. Più in generale, è utilissimo il contributo di CHIARLONI, Efficienza della giustizia, formalismo delle garanzie e sentenze della terza via, in Giur. it., 2011, 1, 207. (41) PIZZORUSSO, Manuale di istituzioni di diritto pubblico, Napoli, 1997; F. PERONI, Giusto processo e doppio grado di giurisdizione nel merito, in Riv. dir. proc., 2001, 3, 2, 710 ss. Afferma che la privazione del secondo grado di giudizio di merito non comporta di per sé lesione del diritto di difesa C. cost. 31 dicembre 1986 n. 30, in Foro it., 1987, I, 2962. Per un inquadramento generale, cfr. SERGES, Il valore del giudicato nell'ordinamento costituzionale, in Giur. it., 2009, 12, 2819. (42) Lo sottolinea giustamente VERDE,Processo civile, cit. (43) È inutile fare con più ciò che si può fare con meno. (44) Sembrerebbe logico ritenere che, ove il giudice abbia provveduto con sentenza alla liquidazione delle spese in favore del patrocinato, il decreto sia pleonastico. Ed, invece, è stato di recente ribadito che nei giudizi previsti dalla l. 4 maggio 1983, n. 184, secondo il disposto degli art. 82 e 143 d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, i diritti e gli onorari dei difensori delle parti, ammesse al patrocinio a spese dello, Stato, sono liquidati dal giudice del singolo grado di giudizio con decreto di pagamento a carico dell'amministrazione dello Stato, tenuto conto, per ogni singolo difensore, della qualità e della quantità dell'attività difensiva svolta, in misura non superiore alla media tra massimi e minimi tariffari e, comunque, non inferiore a tali minimi (Cass. 31 marzo 2011, n. 7504). (45) MARTINI, Il coraggio della passione, Milano, 2010. Utente: ROSSETTI MARCO Tutti i diritti riservati - © copyright 2012 - Dott. A. Giuffrè Editore S.p.A.