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CULTURA
GIOVEDÌ 31 MAGGIO 2012
■ 53
Esce un saggio
di Martínez de León
sulla rappresentazione
del nudo e dell’eros
tra arte e censura
*
B
STORIA
DEL
LATO
(ENONSOLO)
Da Venere al burlesque
come cambia l’oscenità
NELLO AJELLO
ella Danae,
che già inviai a
Sua maestà, la
figura era rappresentata
tutta dal davanti. In questo nuovo
dipinto ho voluto variare la visione
e mostrarle la contraria parte», perché «risulti più gradevole alla vista».
Con queste righe Tiziano preannunziava a Filippo II, sulla metà del
Cinquecento, l’invio del quadro,
Venere e Adone. È un tentativo di
spiegare al castigatissimo monarca
di Spagna che cosa lo abbia convinto a mutare la prospettiva assegnata ai nudi: non più frontale, ma
orientata su ciò che mezzo millennio più tardi si sarebbe chiamato «il
lato B». Trovo la lettera all’inizio
della Storia dell’oscenità, scritta dal
saggista e narratore uruguaiano
Hugo Martínez de León (Odoya,
traduzione di Ariase Barretta, pagg.
240, euro 16).
È una ricerca impegnativa. Certo, la prosa adoperata apparirà a
tratti maliziosa, ma qualche inclinazione verso un linguaggio “andante” è il minimo prevedibile. Colpisce invece la passione culturale
che il volume testimonia. Prima ancora che un trattato, è un “manifesto” a favore della libertà di esporre
o rappresentare il sesso – coi pennelli, e via via tramite teatro, stampa, macchina fotografica, cinecamera, telecamera – e contro chiunque tenti di ostacolarla. Si confuta il
secolare allarme dei legati pontifici,
Tiziano: “Venere e Adone” (1553) Madrid, Museo del Prado
«N
La “Danae” realizzata
da Tiziano per il re
Filippo II finirà per
essere considerata
“pericolo pubblico”
dei perbenisti e di ogni altra «forza
della virtù». Ne vien fuori un conflitto fra crociata e crociata: una “codina”, l’altra trasgressiva. Non occorre chiedere da che parte si schieri
Martínez de León.
Finiscono al macero quelli che
troppo a lungo si sono chiamati «i limiti del pudore», fra l’esultanza dell’autore (e, per lunghi tratti, del lettore). Apprendiamo subito che a Tiziano – almeno con Filippo II e la
I casi
MICHELANGELO
I nudi del
“Giudizio
universale”
vengono coperti
dopo il Concilio
di Trento (1565)
Danae, contro la quale la persecuzione scatterà in seguito, fino a farla considerare un «pericolo pubblico» – era andata discretamente.
Non andò affatto bene a Michelangelo. Un suo discepolo, Daniele da
Volterra – passato poi alla storia come “Braghettone” – si impegnò a ricoprire con castigati perizomi i nudi della Sistina, i quali suscitarono
l’indignazione, fra gli altri, del licenzioso ma imprevedibile Pietro Aretino. Un destino perfino più severo
sarebbe toccato, cento anni dopo,
al Giudizio di Paride di Rubens, per
iniziativa di prelati e porporati.
L’artista si rifiutò di modificare l’opera giudicata troppo naturalista.
Sostenne che, che se aveva trattato
quel tema, con le nudità che implicava, era per dimostrare «il valore e
il coraggio» della sua pittura.
Nel 1700 sempre un re di Spagna,
Carlo III, si distinse a sua volta per rigore censorio, elencando le opere
più «lascive» della collezione regale
per mandarle al rogo. Proposito
sventato in extremis, quando quei
dipinti-scandalo vennero relegati
in un edificio deserto ai margini dell’Alcazar. Fece epoca, tanto per dirne un’altra, l’attacco dell’Inquisizione a Goya. Nel 1815 l’autore del-
IL LIBRO
“Storia dell’oscenità”
di Hugo Martínez de León
(Odoya, traduzione
di Ariase Barretta,
pagg. 240, euro 16)
le due Maja, vestida e desnuda, finì
in Tribunale.
Veniamo a tempi più vicini. Dalle pagine di Martínez emergono di
rado, artisti sublimi, ma ad affacciarsi in massa sono danzatrici e
soubrettes, le cui fattezze intime si
offrono alla «voracità voyeuristica
del maschio». Beati loro. Ma gli ecclesiastici – sorretti dalle consuete
pattuglie di borghesi sessuofobi –
non paiono d’accordo. La censura
non demorde. Dall’operetta al can
can, dal burlesque (un termine di
recente risuscitato) al café-chantant, fino ai palcoscenici di striptease, straripa il catalogo di dissolutezze esibite dall’autore, e represse dai
moralisti. Le notti si popolano di simili «temerità». Eccone i primi ingredienti ed effetti: «tacchi alti, frustini e camicette con volant creano,
grazie alla sensazione di movimento, un’euforia di straordinaria trasgressione». Oscenità? Certe cose
dipende da come si guardano. Sono
comunque stati d’animo o di corpo
capaci d’impressionare un letterato insigne, Heinrich Heine, che scrive: «Il can-can è una danza che si
esegue solo in posti indecenti. La
donna che balla, o il signore per il
quale balla, sono spesso accompagnati fuori da un poliziotto». Non si
capisce bene se un tale esito indigni
Heine o lo entusiasmi.
L’autore non dimentica alcun locale, cognome o indumento che rifletta la mitologia divistico-sessuale legata alla Belle Époque. A gremire le pagine sono lo Chat Noir, le Folies Bergère, il Crazy Horse, il Condor Club. Vi si celebrano donne da
leggenda: Isadora Duncan, Louise
Weber (detta La Goulue, cioè la
ghiotta, l’ingorda), che fece da modella a Tolouse-Lautrec. Rita Re-
A Bologna
COURBET
Ne “L’origine
del mondo”
(1866) raffigura
per primo, in
evidenza, il
sesso femminile
PLAYBOY
Esce nel 1953:
da Marilyn alle
playmate,
le donne
in copertina
sono nude
L’ULTIMA LEZIONE
SUL CLASSICO
BOLOGNA — Questa sera, a Bologna (Aula Magna di S. Lucia, alle 21), Massimo Cacciari, Franco
Cardini e Stefano Rodotà, coordinati da Ivano Dionigi, animeranno la tavola rotonda Aspettando i Barbari, ultimo incontro
del ciclo di letture e lezioni classiche Barbarie, organizzato dal
Centro Studi “La permanenza
del Classico” diretto da Dionigi.
Il triplice punto di vista filosofico, storico e giuridico fornirà
una sintesi delle riflessioni condotte nei quattro incontri precedenti. Gli interventi saranno
scanditi dalle letture di testi antichi e moderni. Per il programma
e per la diretta streaming video:
www.permanenza.unibo.it.
noir, Sally Rand, Bettie Page, Candy
Barr, Joséphine Baker fanno scuola
a certi «sex symbol seminali» del cinema, come Tedha Bara o Pola Negri fino alla Monroe, passando per
Rita Hayworth, titolare di «polpose
labbra che implorano di essere baciate», e per Hedy Lamarr, espositrice del primo nudo integrale, una
pratica che trovò poco più tardi da
noi un’emula volenterosa in Clara
Calamai. Non meno memorabile, a
suo modo, Jane Russell, la più lesta
a indossare il reggiseno a balconcino, «prendendo di petto» le leve
maschili. Oggetto di varie dissertazioni è il pelo pubico, la cui ostentazione, sulla scia di benemeriti pionieri, segnò una svolta decisiva negli annali dell’oscenità (il primo a
mostrarlo in primo piano in un dipinto fu Gustave Courbet ne L’origine del mondo, 1866). È forse il caso
di consigliare agli appassionati di
documentarsi.
Sul finire mi pare che il libro inclini a una certa malinconia, approdando a un capitolo, l’oscenità nel
terzo Millennio, che, direi, somiglia
poco all’autore e non rientra a pennello nella sua sceneggiatura. Le
donne si sono evolute. Certi eventi
– il femminismo, la pillola, per dire
– ne hanno cambiato l’animo. Le
doti della pur ammirevole Margaret
Thatcher venivano così celebrate
dai suoi colleghi di governo: «ecco il
miglior uomo politico di cui disponiamo». A farla breve, tutto sembra
nuovo. Ma chissà se è un bene.
Hedy Lamarr si
espose per prima
senza veli al cinema,
più tardi da noi
lo fece Clara Calamai
La domanda aleggia sul trattato
composto da Martínez de León. La
scrittrice Sharon Goulds, che egli cita, sembra confermare l’accennato
disagio: «Le donne che mostrano
doti di comando sono solitamente
considerate maschili». E gli uomini
focosi che dominano negli annali
dell’oscenità, che cosa possono fare, adesso: accontentarsi di docili
cretine? Poveracci, in fondo.
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